Edizione n. 6, dal 7 al 13 feb. 2012 n. 6 · Edizione n. 6, dal 7 al 13 feb. 2012 n. 6 Sommario A...

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1 Edizione n. 6, dal 7 al 13 feb. 2012 n. 6 Sommario A CURA DI GUIDA AL DIRITTO ANNO GIUDIZIARIO Con una difesa orgogliosa del ruolo istituzionale la giustizia amministrativa presenta il resoconto di Marcello Clarich - Ordinario di Diritto amministrativo presso l’Università "Luiss-Guido Carli" di Roma PROCESSO ETERNIT Eternit, comportamenti dolosi e omissioni: 16 anni ai supermanager (Guida al Diritto) 14 febbraio 2012 CIRCOLAZIONE STRADALE E CODICE DELLA STRADA Guida in stato di ebbrezza per l'ubriaco che dorme in sosta Corte di cassazione - Sezione IV penale - Sentenza 27 ottobre 2011-10 febbraio 2012 n.5404 PECULATO L'assessore può usare l'auto blu per far visita alla mamma Corte di cassazione - Sezione VI - Sentenza 12 gennaio-9 febbraio 2012 n.5006 APPALTI Contratti misti: l'oggetto non è il "quantitativo" Consiglio di Stato - Sezione III - Decisione 3 febbraio 2012 n. 630 INGIURIE Reato il lancio della sigaretta accesa contro l'ex Corte di cassazione - Sezione V penale - Sentenza 11 novembre 2011-8 febbraio 2012 n.4912 MISURE ALTERNATIVE Lavoro socialmente utile se non c'è opposizione del condannato Corte di Cassazione - Sezione IV - Sentenza 2-8 febbraio 2012 n. 4927 RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA Sì alla sospensione cautelare dell'attività per lo studio professionale Corte di cassazione - Sezione II penale - Sentenza 7 febbraio 2012 n. 4703 A CURA DI LEX24 SICUREZZA SUL LAVORO La sicurezza vincola l'appaltatore di Falasca Giampiero, Il Sole 24 Ore - Norme e Tributi 11.2.2012 - p.29 FALSITÀ IN ATTI La falsità nelle autocertificazioni di Scodnik Nicola, Lex24 - Il Merito, 1.2.2012

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Edizione n. 6, dal 7 al 13 feb. 2012 n. 6 Sommario

A CURA DI GUIDA AL DIRITTO ANNO GIUDIZIARIO Con una difesa orgogliosa del ruolo istituzionale la giustizia amministrativa presenta il resoconto di Marcello Clarich - Ordinario di Diritto amministrativo presso l’Università "Luiss-Guido Carli" di Roma PROCESSO ETERNIT Eternit, comportamenti dolosi e omissioni: 16 anni ai supermanager (Guida al Diritto) 14 febbraio 2012 CIRCOLAZIONE STRADALE E CODICE DELLA STRADA Guida in stato di ebbrezza per l'ubriaco che dorme in sosta Corte di cassazione - Sezione IV penale - Sentenza 27 ottobre 2011-10 febbraio 2012 n.5404 PECULATO L'assessore può usare l'auto blu per far visita alla mamma Corte di cassazione - Sezione VI - Sentenza 12 gennaio-9 febbraio 2012 n.5006 APPALTI Contratti misti: l'oggetto non è il "quantitativo" Consiglio di Stato - Sezione III - Decisione 3 febbraio 2012 n. 630 INGIURIE Reato il lancio della sigaretta accesa contro l'ex Corte di cassazione - Sezione V penale - Sentenza 11 novembre 2011-8 febbraio 2012 n.4912 MISURE ALTERNATIVE Lavoro socialmente utile se non c'è opposizione del condannato Corte di Cassazione - Sezione IV - Sentenza 2-8 febbraio 2012 n. 4927 RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA Sì alla sospensione cautelare dell'attività per lo studio professionale Corte di cassazione - Sezione II penale - Sentenza 7 febbraio 2012 n. 4703

A CURA DI LEX24 SICUREZZA SUL LAVORO La sicurezza vincola l'appaltatore di Falasca Giampiero, Il Sole 24 Ore - Norme e Tributi 11.2.2012 - p.29 FALSITÀ IN ATTI La falsità nelle autocertificazioni di Scodnik Nicola, Lex24 - Il Merito, 1.2.2012

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CASA FAMILIARE Casa assegnata al coniuge, la revoca è subito efficace di Bresciani Remo, Il Sole 24 Ore - Norme e Tributi 13.2.2012 - p.42 CODICE DELLA STRADA Sospensione cautelare della patente di guida di De Feo Nicola Fabio, Ventiquattrore Avvocato 1.2.2012 - n. 2 - p.16

GLI APPROFONDIMENTI DI LEX24 SCADENZE PROCESSUALI L'incertezza sulla norma non può riaprire i termini di Carnimeo Domenico, Il Sole 24 Ore - Norme e Tributi 13.2.2012 - p.3 FAMIGLIA Matrimonio: la convivenza non basta se c'è "riserva mentale" dello sposo Corte di Cassazione, sezione 1 civile, sentenza 8 febbraio 2012, n. 1780 FALLIMENTO Sezioni Unite in tema di convocazione dell'udienza per la dichiarazione di fallimento Corte di Cassazione, sezioni unite civilei, sentenza 1 febbraio 2012, n. 1418 REATI CONTRO LA PERSONA Le forme della molestia "telefonica" (art. 660 c.p.) Corte d'Appello de L'Aquila, Sentenza 3 gennaio 2012, n. 4117

GUIDA AL DIRITTO IL SOLE-24 ORE 10 N˚ 8 18 FEBBRAIO 2012

U na difesa orgogliosa del giudice ammini-strativo come garante dei diritti del cittadi-no nei confronti della pubblica ammini-

strazione e come istituzione fondamentale per ilbuon funzionamento della cosa pubblica. È questoil senso della relazione annuale del presidente delConsiglio di Stato, Pasquale de Lise, svolta il 1˚ feb-braio scorso, pochi giorni prima di concludere ilsuomandato, innanzi al Presidente della Repubbli-ca e alle massime cariche dello Stato.Ma al di là del bilancio numerico di una giustizia

amministrativa ancora in affanno, quali sono stati itemi su cui ha insistito dipiù la relazione?Primo fra tutti è la difesa

della pubblica amministra-zione da attacchi distrutti-vi recenti dei media che ladipingono come una «mac-china lenta e opaca», «auto-referenziale», «invasiva»ecc. La macchina burocra-tica non brilla certo per effi-cienza e sono sacrosantigli sforzi per riformarla.Ma è impensabile, secon-do de Lise, «l’idea di unoStato senza amministrazio-ne». Del resto, aggiungiamo noi, già un secolo faMax Weber ammoniva che né lo Stato né l’econo-mia dimercato possono funzionare senza unamac-china amministrativa ben organizzata. Pertanto, se-condo la relazione, «le regole si devono semplifica-re, ma non si possono abolire», perché senza diesse non vi sono diritti, né coesione e cittadinanzasociale.Un secondo tema riguarda il giudice ammini-

strativo. Quest’ultimo si trova all’incrocio tragiustizia e amministrazione e ha come compitoquello di curare le patologie dell’amministrazio-ne, fornendo insegnamenti e indirizzi per miglio-rarla, non quello di demolire le sue funzioni.Storicamente, anzi, il giudice amministrativo ha

anticipato innovazioni del diritto amministrati-vo nella direzione di una tutela più efficace chesono state poi stabilizzate per legge. De Lise haricordato l’obbligo di motivazione, la tutela con-tro il silenzio dell’amministrazione, la trasparen-za, l’ampliamento della tutela degli interessi dif-fusi, come quello dell’ambiente. Ma anche novi-tà legislative recentissime come l’attribuzioneall’Autorità antitrust del potere di impugnare gliatti di tutte le pubbliche amministrazioni chedistorcono la concorrenza apre per il giudiceamministrativo un nuovo spazio per garantire

ancor più l’interesse pub-blico.In questo quadro si in-

serisce la difesa strenuadel giudice amministrati-vo. In particolare il Consi-glio di Stato non costitui-sce una “super casta” oun’oligarchia. PalazzoSpada ha costruito il suoprestigio e peso istituzio-nale grazie a una selezio-ne meritocratica dei magi-strati che si fanno apprez-zare soprattutto per la lo-ro eccellenza professiona-

le e per la conoscenza della macchina ammini-strativa. E ciò è tanto vero, secondo de Lise, chequando i magistrati sono chiamati a ricoprireincarichi di staff governativi (capi di gabinetto,dell’ufficio legislativo ecc.), spesso sono confer-mati nei ruoli anche dai governi di indirizzo poli-tico opposto.Ma quello della giustizia amministrativa non è

neppure il migliore deimondi possibili. Duemonitisono contenuti nella relazione. Va anzituttomiglio-rato il dialogo interno tra il Consiglio di Stato e iTar, quest’ultimi ormai da tempo «parte integrantee fondamentale del sistema unitario della giustiziaamministrativa». In secondo luogo va reso più co-struttivo il confronto con il giudice ordinario e in

Il tema della settimana

U n trend dell’arretrato in contrazione sia al Consiglio diStato che ai tribunali amministrativi regionali. È questo il

dato più importante che si evidenzia dalla relazione del presi-dente del Consiglio di Stato Pasquale de Lise, letta in occasio-ne dell’inaugurazione dell’anno giudiziario della giustizia ammi-nistrativa, cerimonia che si è svolta a Roma il 1˚ febbraioscorso. Ciò significa che siamo in presenza di un indice diproduttività del sistema di gran lunga maggiore al numero deiricorsi. Le pendenze, infatti, sono diminuite di oltre 68milacause, ma l’arretrato è ancora considerevole, oltre 460milasono i procedimenti pendenti davanti ai giudici di ogni grado.

Con una difesa orgogliosa del ruolo istituzionalela giustizia amministrativa presenta il resoconto

DI MARCELLO CLARICH - Ordinario di Diritto amministrativo presso l’Università “Luiss-Guido Carli” di Roma

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GUIDA AL DIRITTO IL SOLE-24 ORE 11 N˚ 8 18 FEBBRAIO 2012

particolare con la Corte di cassazione, che in basealla Costituzione ha l’ultima parola sui confini dellagiurisdizione del giudice amministrativo. Anche direcente sono state emanate pronunce sia del Consi-glio di Stato che della Cassazione che si sono postein distonia con l’esigenza di una cooperazione trapoteri.Anche la funzione consultiva del Consiglio di Sta-

to, secondo la relazione, è un bene da salvaguarda-re perché previene il contenzioso e garantisce unamigliore qualità degli atti normativi del Governo.De Lise rilancia anzi l’idea di attribuire ai Tar lafunzione consultiva a livello locale.Quanto alla produttività, anche quest’anno il nu-

mero compessivo delle sentenze supera il numerodei ricorsi, con un saldo positivo complessivo positi-vo. Le pendenze sono diminuite di oltre 68.000 cau-se, ma l’arretrato è ancora considerevole (oltre460.000 ricorsi).Nel lasciare la toga, il presidente de Lise ha volu-

to dunque lanciare vari segnali. Spetta ora ai suoisuccessori raccogliere il testimone proseguendo losforzo per migliorare, nell’interesse del Paese, l’ef-fettività della giustizia amministrativa. n

Per saperne di più:

Procedimenti pervenuti, ricorsi definiti e confronti sui pendenti - Anno 2012

Tar PervenutiRicorsidefiniti

con sentenza

Ricorsidefiniti

con sentenzabreve

Ricorsidefiniti

con decretodecisorio

Totalericorsi definiti

PendentiAnno 2011

(al 31/12/2011)

Percentualedi variazionedei pendenti

2011rispetto ai

pendenti 2012

Totalependenti al31/12/2010

Ancona 1.150 344 260 901 1.505 6.803 -5,97Aosta 81 75 2 8 85 83 -2,35Bari 2.226 1.282 371 298 1.951 5.506 3,59Bologna 1.454 710 124 590 1.424 7.488 -0,20Bolzano 299 341 23 50 414 529 -17,60Brescia 1.655 962 522 1.113 2.597 6.299 -14,56Cagliari 1.182 1.074 73 475 1.622 4.010 -9,95Campobasso 434 755 28 498 1.281 2.209 -42,01Catania 3.765 2.164 427 4.279 6.870 66.842 -3,94Catanzaro 1.525 1.127 135 2.191 3.453 21.582 -7,34Firenze 2.366 1.385 397 1.910 3.692 9.963 -11,19Genova 1.399 1.343 350 2.994 4.687 7.529 -25,08Latina 1.187 885 96 1.362 2.343 6.682 -14,19Lecce 1.909 1.645 2.666 1.495 3.406 5.234 -21,16L‘Aquila 794 582 49 192 823 2.085 -4,40Milano 3.676 2.060 698 2.060 4.818 12.319 -9.98Napoli 6.706 4.745 973 21.529 27.447 72.662 -21,97Palermo 2.840 1.533 539 1.952 4.024 17.405 -7,51Parma 532 321 74 140 535 1.324 -0,45Perugia 567 327 70 240 637 2.174 -3,63Pescara 552 541 184 193 9.181 831 -28,49Potenza 502 522 41 748 1.311 3.454 -19,45Reggio Calabria 758 675 201 4.053 4.929 7.758 -33,37Roma 11.243 5.851 2.140 12.245 20.236 129.363 -8,25Salerno 2.116 1.411 365 7.169 8.945 19.741 -23,96Torino 1.481 955 201 4.286 5.442 8.386 -32,62Trento 266 248 21 40 309 313 -17,63Trieste 577 330 147 435 912 1.805 -14,50Venezia 2.258 1.091 668 3.557 5.316 11.117 -19,98Totale 55.500 35.284 9.445 77.003 121.732 441.496 -13,30 509.246Fonte: Consiglio di Stato - Relazione sull’attività della giustizia amministrativa per l’anno 2012

www.giustizia-amministrativa.it

Pendenze in forte contrazione

E D I T O R I A L E

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GUIDA AL DIRITTO IL SOLE-24 ORE 12 N˚ 8 18 FEBBRAIO 2012

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LA RELAZIONE SULL’ATTIVITÀDELLA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA

Scarica dal nostro sitoil resoconto del Presidente

del Consiglio di StatoPasquale de Lise per l’anno 2012

Il «documento della settimana»ti aiuta nell’interpretazione

PRIMO PIANO

G U I D A A L L A L E T T U R A

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A CURA DI GUIDA AL DIRITTO Primo piano PROCESSO ETERNIT Eternit, comportamenti dolosi e omissioni: 16 anni ai supermanager (Guida al Diritto) 14 febbraio 2012 Dopo due anni e 66 udienze il processo Eternit si è concluso con la condanna in primo grado a 16 anni di reclusione e l'interdizione dai pubblici uffici del magnate svizzero Stephan Schmidheiny e del barone belga Louis Carthier. I due ex vertici della multinazionale dell'amianto sono stati riconosciuti colpevoli di disastro ambientale doloso e omissione volontaria delle cautele antinfortunistiche, e quindi condannati per il disastro negli stabilimenti di Casale Monferrato e Cavagnolo, mentre i giudici di Torino hanno dichiarato di non doversi procedere per quelli di Rubiera, in Emilia Romagna, e Bagnoli, in Campania, perché i reati sono estinti. Per il magistrato Raffaele Guariniello che rappresenta l’accusa “è un sogno”. E poi chiedendo una procura nazionale dice "abbiamo scritto una pagina storica di giurisprudenza”. Per capire però meglio il dispositivo e le ragioni dei giudici occorrerà aspettare il termine di 90 giorni per il deposito delle motivazioni. I numeri del processo 2.100 morti; 800 ammalati; 80 milioni di indennizzi alle oltre 5.000 parti civili: sono i numeri da capogiro del processo per l'amianto. Per leggere la sentenza, il Presidente del Tribunale di Torino, Giuseppe Casalbore, ha impiegato esattamente tre ore. Vi si riconoscono risarcimenti milionari al Comune di Casale Monferrato (25 milioni di euro), alla Regione Piemonte (20 milioni), all'Inail (15 milioni) e al comune di Cavagnolo (4 milioni). Nelle scorse settimane, il Comune di Casale aveva prima accettato e poi, dopo le proteste dei cittadini, rifiutato una transazione di 18 milioni di euro con gli imputati. Centomila euro di risarcimenti sono stati disposti nei riguardi delle Associazioni dei familiari delle vittime e dei sindacati, che si sono costituiti parte civile nel processo. Trentamila euro ciascuno sono stati riconosciuti alle centinaia di familiari di vittime; la somma è stata assegnata quasi sempre a titolo di risarcimento e solo in pochi casi a titolo di provvisionale; 35.000 euro sono stati assegnati a coloro che si sono ammalati. La maggior parte delle morti per amianto si è concentrata nella zona di Casale Monferrato (Alessandria), dove c'era il principale stabilimento italiano della multinazionale. Il resto delle vittime è a Cavagnolo (Torino), Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli, sobborgo di Napoli. Accolta la tesi dell’accusa Un altro successo, dunque, dopo quello della Thyssen Krupp dello scorso anno per Raffaele Guariniello, secondo cui è giunto il momento di istituire una procura nazionale per la sicurezza sul lavoro. "Abbiamo scritto - ha dichiarato Guariniello in una intervista - una pagina storica di giurisprudenza. È stata accolta tutta l`impostazione: il disastro ambientale, giudicato non solo nei luoghi di lavoro, ma appunto anche negli ambienti circostanti. E poi il dolo, come è già capitato al processo Thyssen a carico di coloro che hanno deciso quanto si dovesse o non si dovesse spendere per la sicurezza". "È un processo - prosegue Guariniello - che non si era mai svolto in nessuna parte del mondo. Era la prima volta. È stato un processo giusto. Tutte le parti hanno avuto modo di esprimere le proprie ragioni. I giudici e gli avvocati sono stati grandi. Noi abbiamo fatto la nostra parte. Finalmente ha vinto la giustizia, l`idea che si può fare giustizia". Poi aggiunge: "Ora credo che siano davvero maturi i tempi per una procura nazionale che si occupi di sicurezza sul lavoro su tutto il territorio". Le reazioni «Una sentenza che, senza enfasi, si può definire davvero storica», dice subito il Ministro della Salute, Renato Balduzzi. Il ministro sottolinea «gli aspetti sociali e quelli strettamente tecnico-giuridici» della decisione dei giudici torinesi e aggiunge che ora «la battaglia contro l'amianto prosegue, nell'attività amministrativa e nell'impegno delle istituzioni e dei cittadini». Parole che rincuorano i parenti delle vittime che, della sentenza, sottolineano soprattutto quella parola «colpevoli» che - dice Bruno Pesce, portavoce dell'Aneva, l'associazione che li riunisce - rende «giustizia alle famiglie». Una sentenza «importante» ma, nel

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contempo, anche «amara», invece, per il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris. «Tante famiglie napoletane - prosegue il sindaco - non hanno infatti trovato giustizia a causa della prescrizione. Resta comunque una sentenza fondamentale perché chiama in causa, rinnovando l'urgenza di una risposta, il tema della bonifica e della riqualificazione di Bagnoli». La difesa Di segno opposto ovviamente le reazioni della difesa. Secondo l'avvocato Astolfo Di Amato, legale di Stephan Schmidheiny: «Un punto che emerge drammaticamente è che un capo di una multinazionale che ha stabilimenti in tutto il mondo, con una sentenza del genere viene reso responsabile di quello che accade in tutti gli stabilimenti» e quindi «un ampliamento della responsabilità di tale fatta è certamente un problema per gli investimenti che dovessero avvenire per la multinazionale in Italia». Inoltre, sottolinea Di Amato «l'imputato svizzero aveva investito 73 miliardi di lire nella sicurezza senza percepire alcun profitto. Riesce difficile - prosegue - capire come un imprenditore che spende 73 miliardi per la sicurezza possa causare un disastro. Lo vedremo nelle motivazioni». © RIPRODUZIONE RISERVATA Sentenze del giorno CIRCOLAZIONE STRADALE E CODICE DELLA STRADA Guida in stato di ebbrezza per l'ubriaco che dorme in sosta Corte di cassazione - Sezione IV penale - Sentenza 27 ottobre 2011-10 febbraio 2012 n.5404 Guida in stato di ebbrezza per chi, ubriaco, si ferma e dorme sul volante. Secondo la Cassazione (sentenza 5404) ai fini della contestazione del reato previsto dall’articolo 186 del codice della strada, è irrilevante che l’automobile sia in marcia o in sosta, se chi siede al posto di guida ha superato il tasso di alcool tollerato. Inutili le proteste dell’automobilista che affermava di aver usato il volante solo come un “cuscino”, sul quale aveva appoggiato mani e testa prima di lasciarsi andare a un sonno profondo. La sosta parte della circolazione - Diverso il punto di vista della Corte che pensa a quanto poteva essere accaduto prima della “pennichella” o a quanto poteva accadere dopo. Nella circolazione stradale – spiegano gli ermellini – la fermata costituisce solo una fase della circolazione, il conducente poteva dunque aver raggiunto il luogo della “siesta” in stato di ebbrezza o decidere di lasciarlo prima di aver smaltito l’alcool. La Cassazione accoglie dunque il ricorso del pubblico ministero contro la decisione del tribunale che aveva assolto l’uomo prendendo per buone le sue giustificazioni. La Suprema corte rinvia la causa proprio al giudice di primo grado, invitandolo a decidere di nuovo. Questa volta cercando di capire dove l’imputato era residente, da dove era partito e dove intendeva arrivare. E, per finire, quale era la ragione che gli aveva impedito di portare a termine il viaggio. © RIPRODUZIONE RISERVATA PECULATO L'assessore può usare l'auto blu per far visita alla mamma Corte di cassazione - Sezione VI - Sentenza 12 gennaio-9 febbraio 2012 n.5006 L’assessore può usare l’auto di servizio per fare visita alla mamma. La Corte di cassazione con la sentenza 5006, esclude il peculato d’uso a carico di un assessore mantovano condannato dalla Corte d’Appello. Secondo i giudici di merito il politico aveva infranto il codice penale omettendo di consegnare l’auto blu, che gli era stata data al solo scopo di recarsi a Milano per seguire un corso formativo. Il ricorrente aveva deciso di “marinare” le lezioni formative e si era tenuto la macchina per l’intera giornata, prendendola la sera per far visita alla madre. Un uso estraneo alle finalità dell’Ente proprietario, che aveva fatto scattare la condanna dei giudici di secondo grado. Più benevola la Corte di cassazione che, considerata l’assenza di una prova sull’utilizzo della macchina per l’intera giornata e il fatto che la mamma dell’assessore abitava nel tragitto da compiere per andare a riconsegnare l’auto blu, “assolve” il ricorrente per la deviazione. Gli ermellini si allineano alla giurisprudenza prevalente sul tema, che esclude il reato quando l’uso momentaneo della cosa

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“non lede in modo apprezzabile gli interessi dell’ente”. Per l’assessore “mammone” il collegio ipotizza al massimo una censura disciplinare. L’uso occasionale dell’auto blu sembra dunque sdoganato, anche se non mancano sentenze di segno opposto che puniscono anche l’utilizzo sporadico dell’auto blu (sentenza 25541 del 2009). Nessuna tolleranza invece se l’auto di servizio la usa il carabiniere per scopi personali benché “terapeutici”: la cassazione con la sentenza 2660 dello scorso 23 gennaio ha, infatti, ipotizzato il peculato d’uso per il militare che con la macchina della “benemerita” era andato a cercare una farmacia. © RIPRODUZIONE RISERVATA APPALTI Contratti misti: l'oggetto non è il "quantitativo" Consiglio di Stato - Sezione III - Decisione 3 febbraio 2012 n. 630 Negli appalti misti, caratterizzati anche dalla previsione dei lavori, l’oggetto del contratto non è quello quantitativo, ma il carattere accessorio o meno delle prestazioni. Pertanto, nella fattispecie esaminata dal Consiglio di Stato e decisa con la sentenza n. 630 dello scorso 3 febbraio, la percentuale più elevata del costo dei lavori non vale a modificare l’oggetto del contratto, dal momento che nell’appalto in esame, destinato essenzialmente alla fornitura di tutti i componenti…per il corretto e razionale funzionamento delle sale operatorie, come specificato nel capitolato, hanno un ruolo accessorio rispetto al valore delle forniture essendo strumentali alla installazione di quanto necessario per il funzionamento del blocco operatorio. In questo caso dunque è del tutto ininfluente sull’inquadramento dell’appalto come fornitura la circostanza che le percentuali dei lavori siano diverse da quelle indicate in via presuntiva dalla stazione appaltante. © RIPRODUZIONE RISERVATA INGIURIE Reato il lancio della sigaretta accesa contro l'ex Corte di cassazione - Sezione V penale - Sentenza 11 novembre 2011-8 febbraio 2012 n.4912 Commette il reato di ingiuria chi lancia la sigaretta accesa contro l’ex. Dopo i bicchieri scagliati, le foto hard messe on line o i baci rubati, la Cassazione censura il lancio della sigaretta. Con la sentenza 4912 i giudici di piazza Cavour condannano per ingiuria e minaccia il ricorrente, colpevole di aver tirato un mozzicone ardente alla sua ex ragazza, accompagnando l’azione, di per sé non rassicurante, con gesti e sguardi intimidatori. Un comportamento tale da offendere l’onore e il decoro della vittima a prescindere dall’esistenza di un danno fisico. La “scenata”, finita nel mirino degli ermellini, si era svolta all’interno di un bar, a inchiodare alle sue responsabilità il “focoso” ex erano state, oltre alla deposizione della diretta interessata, le testimonianze degli avventori. Prove sufficienti che avevano indotto gli inquirenti a ritenere inutile acquisire la videoregistrazione effettuata all’interno del locale. Una richiesta fatta proprio dal ricorrente secondo il quale il “film” avrebbe provato la sua innocenza © RIPRODUZIONE RISERVATA MISURE ALTERNATIVE Lavoro socialmente utile se non c'è opposizione del condannato Corte di Cassazione - Sezione IV - Sentenza 2-8 febbraio 2012 n. 4927 Per sostituire la detenzione domiciliare con il lavoro socialmente utile è sufficiente che il condannato non si opponga e non è necessaria la sua richiesta. La Corte di cassazione, con la sentenza 4927, nega che incomba sul condannato l'obbligo, non solo di fare domanda per il lavoro socialmente utile, ma anche di indicare l'ente presso il quale svolgere l'attività e di ottenerne il consenso. Gli ermellini censurano così il comportamento della Corte d'Appello di Torino, che aveva rifiutato di accogliere la domanda del ricorrente desideroso di sostituire la detenzione domicilare con il lavoro di pubblica utilità. Un desiderio che non poteva essere soddisfatto - secondo i giudici di merito- perché il ricorrente non aveva fornito quanto richiesto: indicazione dell'ente, consenso, e calendario delle giornate lavorative da impiegare. Richieste che la Suprema corte bolla come ultronee, spiegando che spetta invece al giudice individuare i tempi e i modi per l'espiazione alternativa della condanna. Anzi, la corte precisa che per il lavoro di pubblica utilità non è necessaria neppure la domanda specifica da parte del diretto interessato, basta che non ci sia opposizione

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alla proposta. Gli ermellini ammettono che sul punto c'è stata una sentenza (sezione VI 7 luglio 2011 n.31145) in linea con quanto stabilito dalla corte d'Appello ma invitano a superare l'orientamento. © RIPRODUZIONE RISERVATA RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA Sì alla sospensione cautelare dell'attività per lo studio professionale Corte di cassazione - Sezione II penale - Sentenza 7 febbraio 2012 n. 4703 L’applicazione del decreto 231 agli studi professionali è stato sancito anche dalla Corte di cassazione. Con la sentenza 4703/2012, i giudici, infatti, hanno respinto il ricorso contro un’ordinanza del tribunale della Libertà di Messina che confermava la misura cautelare dell’interdizione di un anno dall’esercizio dell’attività per una società in accomandita semplice che svolgeva l’attività di ambulatorio odontoiatrico. Anche se dal testo della sentenza non è chiaro quale sia il reato contestato, il giudizio di merito ha accertato, e la Cassazione non ha sindacato nulla, che la società, così come richiesto dalla legge, ha “reiterato nel tempo gli illeciti” (l’altro ipotesi prevista è quella dell’aver ricavato un “un profitto di rilevante entità”). Bocciate, dunque, le doglianze della difesa perché sussistevano gli estremi per la misura cautelare della chiusura dell’attività. © RIPRODUZIONE RISERVATA

A CURA DI LEX24 SICUREZZA SUL LAVORO La sicurezza vincola l'appaltatore di Falasca Giampiero, Il Sole 24 Ore - Norme e Tributi 11.2.2012 - p.29 La Cassazione penale amplia i confini della responsabilità aziendale in materia di sicurezza sul lavoro, nei casi di appalto. Secondo la sentenza 5420/2012, la mancata elaborazione del documento unico di valutazione dei rischi (noto anche come Duvri), con la conseguente omessa valutazione dei rischi derivante dalle interferenze lavorative tra i dipendenti del committente e quelli dell'appaltatore, è un fatto di per sé produttivo di responsabilità, nel caso in cui si verifichi un infortunio. La vicenda cui fa riferimento la sentenza si è svolta nel 2007 all'interno di uno stabilimento Fiat, dove un dipendente di un'impresa appaltatrice, nel corso di un intervento di manutenzione presso il reparto stampaggio, è deceduto dopo essere stato travolto da un carrello. Il pubblico ministero incaricato di seguire la vicenda ha contestato al legale rappresentante dell'impresa committente la mancata elaborazione del Documento unico di valutazione dei rischi, e quindi la mancata valutazione dei possibili rischi derivanti dalle interferenze tra il personale dipendente dal committente e quello dipendente dall'appaltatore. Il giudice dell'udienza preliminare ha invece escluso la responsabilità penale dell'imputato, in quanto non ci sarebbe stato nesso di causalità tra la mancata elaborazione del Duvri e l'evento mortale. Questo nesso di causalità, secondo il Gup, è mancato in quanto nel corso dell'intervento manutentivo che ha portato alla morte dell'operaio non si è verificata alcuna interferenza tra il personale dipendente della committente e dell'appaltatrice; in particolare, secondo il Gup, la responsabilità va esclusa in quanto non si è verificato alcun contatto rischioso tra i lavoratori. La sentenza della Cassazione ribalta questa conclusione, contestando innanzitutto la nozione di interferenza adottata dal Gup. Osserva la Corte che si deve considerare come interferenza non solo il contatto fisico, ma anche tutto quel complesso di attività preventive che le imprese che convivono in un certo luogo di lavoro devono compiere per evitare gli infortuni.

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In altre parole, secondo la sentenza, il personale della ditta appaltatrice deve essere messo in condizioni di conoscere – mediante il Duvri, redatto dall'appaltante – tutti i rischi cui può andare incontro quando opera in quel luogo di lavoro. Inoltre, prosegue la Corte, quando viene appaltato un servizio non è mai ammessa la cessione della responsabilità in capo all'appaltatore: questa esclusione di responsabilità può verificarsi solo quando sussiste piena e assoluta autonomia organizzativa e dirigenziale del fornitore. In questo contesto, secondo la Corte, il nesso causale va esaminato e ricercato verificando se è stata data adeguata comunicazione mediante il Duvri circa i rischi derivanti dallo svolgimento del lavoro in un certo ambiente lavorativo. La sentenza osserva, inoltre, che le modalità concrete con cui si è svolto l'infortunio dimostrano che una valutazione preventiva dei rischi avrebbe consentito di prevenire l'infortunio. In particolare, il fatto che si sia verificata una fuoriuscita incontrollata di materiale dimostra che sarebbe stato utile valutare preventivamente il rischio del verificarsi di tale evento e che tale rischio avrebbe dovuto essere comunicato all'impresa esterna: in tal modo, la stessa avrebbe potuto adottare le misure necessarie a prevenire o ridurre i rischi per i proprio dipendenti. Da ultimo, la sentenza della Cassazione ricorda che il committente deve anche controllare che l'impresa appaltatrice osservi correttamente le misure antinfortunistiche, quando l'attività lavorativa si deve svolgere all'interno della propria azienda e in presenza dei propri dipendenti. © RIPRODUZIONE RISERVATA I capisaldi 01|L'APPALTO Per la Corte si deve considerare come interferenza non solo il contatto fisico tra lavoratori dell'azienda appaltante e dell'appaltatrice, ma anche tutto quel complesso di attività preventive che le imprese che convivono in un certo luogo di lavoro devono compiere per evitare gli infortuni. Il personale della ditta appaltatrice deve essere messo in condizioni di conoscere mediante il Duvri - il documento unico di valutazione dei rischi – tutti i rischi cui può andare incontro quando opera in quel luogo di lavoro. Inoltre, quando viene appaltato un servizio non è ammessa la cessazione della responsabilità da parte del committente. Un'esclusione della responsabilità dell'appaltante è configurabile solo qualora all'appaltatore sia affidato lo svolgimento di lavoro svolto in piena e assoluta autonomia organizzativa 02|LA CONSEGUENZA Il nesso causale, in caso di incidente per un lavoratore di una ditta appaltatrice, va esaminato verificando se è stata data adeguata comunicazione mediante il Duvri circa i rischi derivanti dallo svolgimento del lavoro in un certo ambiente lavorativo. Il committente deve poi controllare che l'impresa appaltatrice osservi correttamente le misure antinfortunistiche, quando l'attività si svolge all'interno dei propri spazi e in presenza dei propri dipendenti FALSITÀ IN ATTI La falsità nelle autocertificazioni di Scodnik Nicola, Lex24 - Il Merito, 1.2.2012 Tribunale di Bologna, Sentenza 19 settembre 2011, n. 3207 - Giudice Dott. Poschi Falsità in atti – false attestazioni in atto notorio - configurabilità del reato di cui all'art. 483 c.p. - circostanze e presupposti. (c.p., art. 483) Integra il delitto di cui all'art. 483 c.p., la condotta di chi, nella dichiarazione sostitutiva dell'atto notorio, resa al funzionario incaricato della CCIAA, dichiari falsamente di essere in possesso dei requisiti per l'iscrizione al registro delle imprese mentre, in realtà, sullo stesso gravino diversi precedenti penali in relazione ai quali l'atto medesimo sia destinato a provare la verità, trattandosi di un errore di diritto, concernente la ricorrenza di requisiti legali, non scusabile. Il Tribunale di Bologna interviene su un argomento di interessante richiamo, non foss'altro per il fatto che, nella quotidianità, non è infrequente imbattersi, anche per il comune cittadino, nella richiesta di rilasciare attestazioni autocertificative nell'ambito degli svariati rivoli della burocrazia amministrativa.

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Ricordiamo che per "autocertificazione" si intende “la certificazione prodotta dall'interessato in sostituzione della normale certificazione” (art.2, L. 15/1968) e rappresenta, cioè, la possibilità per il cittadino di fornire le stesse notizie presenti in un registro pubblico, in modo più semplice e con meno oneri, nel contesto dei rapporti intrattenuti con la Pubblica Amministrazione e con i concessionari e i gestori di pubblici servizi (iniziativa che, invece, può essere utilizzata nei rapporti tra i privati, salvo che gli stessi non vi acconsentano, e davanti all'autorità giudiziaria nello svolgimento di funzioni giurisdizionali). Come noto, le norme sulle autocertificazioni sono contenute nella Legge n.15/1968 (art. 2) e sono, poi, state raccolte nel più recente D.P.R. 8 dicembre 2000 n. 445 ("Testo Unico in materia di documentazione amministrativa"), che ha ridefinito ed esteso il campo di applicabilità delle dichiarazioni sostitutive di certificati. Le conseguenze penali derivanti dall'indebito utilizzo della disciplina in tema di autocertificazioni ricadono nella previsione di cui all'art. 76 del T.U., il quale individua i diversi livelli di trasgressione illecita riferibili a “chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o ne fa uso nei casi previsti dal presente testo unico” e rimanda, per gli aspetti punitivi, alle disposizioni del codice penale e delle leggi speciali in materia. Così rievocati i contorni della fattispecie possiamo, anzi tutto, osservare come la normativa in tema di autocertificazioni prescriva all'art. 38, comma 3 del D.P.R. n. 445 del 2000, la necessità di requisiti formali per le istanze e le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà da produrre agli organi della amministrazione pubblica o ai gestori o esercenti di pubblici servizi (le stesse devono, invero, essere sottoscritte dall'interessato in presenza del dipendente addetto ovvero sottoscritte e presentate unitamente a copia fotostatica non autenticata di un documento di identità del sottoscrittore), ma che la eventuale inidoneità, ai fini amministrativi, di un'autocertificazione prodotta senza l'osservanza di una delle condizioni previste dalla citata norma, non esclude, comunque, la configurabilità dell'illecito penale (Cass., Sez. V, sent. n. 16275 del 16-03-2010 [ud. del 16-03-2010]). Se ci soffermiamo ad analizzare la condizione prevista dall'art. 483 c.p. trattata dalla pronuncia del Tribunale di Bologna, è possibile inoltre notare come il requisito dell'atto che sia "destinato a provare la verità" dei fatti in esso affermati sussista anche quando la prova possa essere ritenuta, da chi è preposto alla sua valutazione, invalida o insufficiente, perché ciò non equivale a dire "inesistente". Invero, l'art. 76, comma 1, del D.P.R. n. 445 del 2000, al quale occorre richiamarsi, ai fini della verifica circa la sussistenza o meno del reato, descrive direttamente la condotta penalmente rilevante come quella di "chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o ne fa uso nei casi previsti dal presente testo unico", rinviando quindi, per la sanzionabilità di tale condotta, al codice penale ed alle leggi speciali in materia, senza minimamente prevedere, come ulteriore requisito, la oggettiva idoneità probatoria delle dichiarazioni anzidette; e quanto detto per la evidente ragione che essa è insita nella loro stessa natura, quale emerge dalla formulazione del D.P.R. n. 445 del 2000, art. 46 secondo cui sono "comprovati" mediante dette dichiarazioni gli "stati, qualità personali e fatti" successivamente indicati nella medesima disposizione normativa (Cass., Sez. V, sent. n. 20570 del 10-05-2006 [ud. 10-05-2006]). Per le medesime considerazioni, la falsità sussiste indipendentemente dal fatto che quanto dichiarato possa poi essere verificato nella sua esatta dimensione dal destinatario dell'atto (Cass. Sez. V, Sent. n. 38748 del 09-07-2008 [ud. del 09-07-2008]). L'orientamento consolidato del Supremo Collegio è, poi, nel senso che, mentre la falsa dichiarazione sostitutiva di certificazione resa ai sensi del D.P.R. n. 445 del 2000, art. 46 ai fini, ad esempio, di partecipare ad una gara di appalto integra il delitto di cui all'art. 483 c.p. (Cass., Sez. 5, sent. 20570 del 10-5-2006, Esposito; Sez. 5, sent. 5122 del 19-12-2005, Grossi), dall'altro va tenuta distinta la condotta della mera presentazione di un'autocertificazione ideologicamente falsa in un contesto in cui la falsa verità è destinata ad essere recepita per l'emanazione o efficacia di un atto pubblico, dalla ulteriore condotta della successiva effettiva attestazione, sulla base di quanto dichiarato nell'inveritiera autocertificazione che, per chi ha redatto falsa autocertificazione, integra il diverso e concorrente reato di cui agli artt. 48 e 479 c.p. (Cass., S.U., sent. 35488 del 28-6-2007, Scelsi). Sotto il profilo soggettivo, il dolo del delitto di falso andrà, invece, escluso tutte le volte in cui la falsità risulti essere semplicemente dovuta ad una leggerezza o ad una negligenza, non essendo prevista nel vigente sistema la figura del falso documentale colposo (Cass., Sez. VI, sent. n. 15485 del 24-03-2009; Sez. 5, sent. 1963 del 21-2-2000, Veronese ed atri; Sez. 2, sent. 2593 del 23-2-1990, Pasini). CASA FAMILIARE Casa assegnata al coniuge, la revoca è subito efficace di Bresciani Remo, Il Sole 24 Ore - Norme e Tributi 13.2.2012 - p.42

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Il provvedimento di revoca dell'assegnazione della casa familiare a uno dei coniugi è immediatamente esecutivo. Ne consegue che per rientrare in possesso dell'alloggio il proprietario non deve attendere l'ordine di rilascio del giudice. Lo ha affermato la terza sezione civile della Cassazione con la sentenza 1367/2012 che, per la prima volta, ha chiarito l'efficacia della sentenza di revoca dell'assegnazione della casa coniugale quando il provvedimento non dispone nulla in ordine al rilascio del bene entro un termine certo. L'importante provvedimento ha preso le mosse dal ricorso presentato da un uomo nell'ambito di una processo di separazione dalla moglie. Il tribunale con la sentenza che definiva il giudizio aveva infatti revocato l'assegnazione della casa coniugale alla moglie modificando la precedente ordinanza presidenziale. Forte di questa pronuncia l'uomo ha notificato alla donna l'atto di precetto per il rilascio dell'immobile insieme alla sentenza di primo grado munita di formula esecutiva. L'assegnataria si è opposta lamentando la carenza del titolo esecutivo in mancanza dell'ordine di rilascio dell'immobile, ma la sua impugnazione non ha trovato seguito presso i giudici di merito. Di qui il ricorso in Cassazione proposto dalla ex moglie. Secondo la donna la sentenza che revoca l'ordinanza di assegnazione porrebbe il detentore della casa in una situazione di utilizzo del bene senza titolo che darebbe solo facoltà al proprietario di esercitare un'azione ordinaria di rilascio. In assenza di questa iniziativa giudiziaria, secondo la ricorrente, sarebbe quindi impossibile riottenere subito la casa. La Cassazione non è stata dello stesso avviso ritenendo, al contrario, che la condanna al rilascio è implicita nel provvedimento e nella sentenza con cui viene revocata l'assegnazione della casa familiare. Una soluzione, peraltro, che è la stessa sia per il provvedimento anticipatorio e provvisorio disposto dal presidente del tribunale con ordinanza, sia per quello definitivo adottato con sentenza dal collegio. Infatti l'assegnazione si sostanzia unicamente nel diritto di continuare a vivere nell'abitazione della famiglia senza l'altro coniuge. Una forma di "protezione", ha spiegato il collegio di legittimità, che nasce nel 1975 con l'esigenza di regolare le crisi coniugali e che ha la funzione di perseguire interessi primari di natura personale essenzialmente collegati alla tutela dei figli. Si tratta, in sostanza, di un diritto di godimento che si può definire sui generis proprio per la collocazione nell'ambito dei rapporti familiari in dissoluzione, la cui caratteristica essenziale, connaturale alla funzione, è quella di costituire un argine rispetto al diritto di proprietà dell'altro coniuge o di un terzo. L'assegnazione, inoltre, è presupposto per la successione ex lege nel contratto di locazione e "resiste" anche in presenza di costituzione tramite comodato. Il godimento della casa senza l'altra persona, quindi, è un dato imprescindibile e assodato che non è stato messo in discussione neanche con l'introduzione della legge sull'affido condiviso dei figli. In pratica, prosegue il collegio, il diritto non può venire a esistenza se non si accompagna all'allontanamento dalla casa familiare dell'altro coniuge. Ne consegue che se il non assegnatario resta a vivere nell'alloggio in questione «non manca solo la possibilità di esercitare un diritto in astratto esistente sulla carta», ma «il diritto stesso, essendo il godimento esclusivo l'unico contenuto dell'assegnazione». Ciò comporta, sul piano esecutivo, che il provvedimento che dispone l'assegnazione contiene in sé, implicitamente, la condanna al rilascio dell'alloggio nei confronti dell'altro coniuge. Attribuzione e rilascio, quindi, non si pongono su due piani distinti in quanto il secondo non è consequenziale al primo, «ma coessenziale per la nascita stessa del diritto». Ne consegue che è irrilevante l'esistenza o meno dell'ordine espresso di rilascio nella sentenza attributiva del diritto e che non si può discutere della sua idoneità come titolo all'esecuzione. Allo stesso modo, conclude la Suprema corte, la natura speciale del diritto di abitazione nella casa familiare, quando smette di esistere a causa del provvedimento di revoca, «determina una situazione uguale e contraria in capo a chi lo ha perduto, con conseguente necessario allontanamento dello stesso». Ciò peraltro consente alla decisione, al fine di adeguare immediatamente la realtà al nuovo pronunciamento del tribunale, di essere eseguita senza necessità di ulteriori passaggi burocratici o nelle aule di giustizia. © RIPRODUZIONE RISERVATA In pillole 1 L'ANTEFATTO

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Nell'ambito di un procedimento di separazione dei coniugi, il tribunale di Lecce (sezione di Casarano), con la sentenza che definisce il giudizio, revoca l'assegnazione della casa familiare alla moglie modificando il contenuto della precedente ordinanza presidenziale 2 IL RICORSO La donna propone opposizione all'esecuzione della sentenza, lamentando la carenza del titolo esecutivo a causa della mancanza dell'ordine di rilascio dell'immobile. Il tribunale rigetta l'opposizione; contro tale sentenza la donna propone ricorso in Cassazione 3 LA MOTIVAZIONE La Cassazione respinge il ricorso sulla base del principio per cui la revoca dell'assegnazione della casa familiare (disposta con provvedimento presidenziale o del giudice) è titolo idoneo per l'esecuzione anche se non contiene esplicitamente la condanna al rilascio CODICE DELLA STRADA Sospensione cautelare della patente di guida di De Feo Nicola Fabio, Ventiquattrore Avvocato 1.2.2012 - n. 2 - p.16 la QUESTIONE Quali sono i presupposti di applicazione della sospensione provvisoria della patente di guida, come misura cautelare rispetto alla sanzione amministrativa accessoria? E quale l'ambito di cognizione del giudice, in sede di impugnativa dell'ordinanza prefettizia applicativa? la RISPOSTA IN SINTESI Anche dopo le recenti, ulteriori modifiche, i presupposti per l'applicazione della misura cautelare amministrativa della sospensione provvisoria della patente di guida sono da rinvenirsi congiuntamente: a) nella condizione che per il reato in questione sia prevista la sanzione amministrativa accessoria della sospensione/revoca della patente; b) nella circostanza che non sia già decorso - tra tempus commissi delicti e adozione della misura - un lasso di tempo tale da “eliderne” la funzione cautelare; c) per i soli casi di sospensione conseguente a lesioni personali colpose o omicidio colposo riveniente da violazione di norma del Codice della strada, nella contestuale sussistenza in capo all'interessato di “fondati elementi di evidente responsabilità” nella causazione dell'evento dannoso. L'ordinanza prefettizia di sospensione provvisoria cautelare può essere opposta entro trenta giorni dalla sua notificazione dinanzi al giudice di pace del luogo in cui è stata commessa la violazione; e tale giudice ha cognizione piena, indifferente rispetto alla giurisdizione penale, estesa a legittimità e - nel caso ex art. 223, comma 2 - anche al merito. gli APPROFONDIMENTI Sospensione cautelare della patente di guida conseguente a reati nel Codice della strada: presupposti, impugnazioni e rito La selezione giurisprudenziale Il caso concreto Sospensione cautelare della patente di guida conseguente a reati nel Codice della strada: presupposti, impugnazioni e rito la QUESTIONE Quali sono - anche nell'interpretazione giurisprudenziale più recente - i presupposti di applicazione della sospensione provvisoria della patente di guida, come misura cautelare rispetto alla sanzione amministrativa accessoria? E quale l'ambito di cognizione del giudice, in sede di impugnativa dell'ordinanza prefettizia applicativa? l'APPROFONDIMENTO Sospensione della patente di guida nel Codice della strada: tipologie Nella strutturazione attuale del Codice della strada - precisazione necessaria in considerazione del noto succedersi di “novelle” legislative a riguardo - la sospensione della patente di guida costituisce, per così dire, il “contenuto” di istituti differenti, e che riguardano fattispecie diverse tra loro. Una prima somma divisione, di natura non solo, per così dire, “dogmatica”, ma soprattutto normativa e applicativa, concerne la “natura” del provvedimento di sospensione della patente.

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Normativa di riferimento D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285: artt. 220, 222, 223; Codice penale: artt. 590, 590; Legge 24 novembre 1981, n. 689: artt. 22, 22 bis, 23. Se ne possono perciò, sotto tale profilo, isolare perlomeno quattro differenti tipologie: 1. la sospensione della patente di guida come sanzione amministrativa accessoria a reati (sia presenti nel Codice della strada sia in altri corpi normativi, in particolar modo nel Codice penale); 2. la sospensione della patente di guida costituente sanzione amministrativa accessoria a illecito amministrativo (anche qui, nella gran parte dei casi, afferente illeciti amministrativi previsti nel Codice della strada, ma non di rado - ed è tendenza che va sempre più radicandosi - pure comminata a seguito di violazioni amministrative previste da altre norme); 3. la sospensione della patente quale misura amministrativa inerente la sicurezza della circolazione stradale derivante dalla perdita dei requisiti psichici o fisici per il conseguimento (o per il mantenimento) dell'idoneità alla guida di veicoli; 4. la sospensione della patente quale misura amministrativa di pubblica sicurezza per fatti non inerenti la circolazione stradale In questi casi - salvo che per la sospensione sub “3” - l'istituto in questione ha carattere definitivo, non intendendo con tale espressione l'essere sine die ma la sua caratterizzazione come atto “ conclusivo” di un procedimento (amministrativo o penale), a prescindere dunque dalla sua impugnabilità. La sospensione della patente di guida, tuttavia, può anche costituire una vera e propria “misura cautelare amministrativa ”, ovviamente coperta da riserva di legge (e dunque irrogabile solo nei casi espressamente previsti da una norma di legge statale o atto avente tale forza) e applicabile quale “anticipazione”, per così dire, dell'omologa sanzione amministrativa accessoria; a tale generale inquadramento deroga l'ipotesi della sospensione cautelare - infatti sine die, dunque senza durata predeterminata edittalmente - che si applica allorquando vengano meno temporaneamente i requisiti psico-fisici per l'ottenimento (rectius: il mantenimento) dell'idoneità alla guida. In questo caso, trattandosi appunto di provvedimento senza durata prefissata, la concreta distinzione misura cautelare/sanzione tende a sfumarsi quanto a effetti pratici (non giuridici, naturalmente). Sospensione della patente di guida come sanzione amministrativa accessoria: principi generali È uno degli strumenti sanzionatori sicuramente più utilizzati dal Legislatore in sede di normazione “ speciale” stradale; ma comincia a essere prevista anche in numerose fattispecie “extra-materia” proprio per il suo essere istituto ad alta efficacia preventiva e afflittiva tra le varie sanzioni amministrative. Anzi, come si è avuto modo di osservare, tra gli istituti sanzionatori cosiddetti “indiretti” o accessori - cioè, in buona sostanza, diversi dalla sanzione amministrativa principale - è quello che più spesso si accompagna a fattispecie anche eterogenee, e che il Legislatore adotta e “modula” per punire più severamente determinate “connotazioni” delle condotte-base. Un primo principio va subito rimarcato: anche per questa tipologia di sanzione vige, in assenza di deroghe espresse, il noto brocardo “accessorium sequitur principale ”: sicché non soltanto il venir meno del “fatto” generatore della responsabilità da illecito amministrativo (o da reato), ma anche della sanzione principale (amministrativa o penale che sia) ha effetto caducatorio della sanzione amministrativa accessoria. La regola, tuttavia, soffre di perlomeno un'importante eccezione nel campo degli illeciti amministrativi: ex articolo 202 comma 1 c.d.s., il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria (quando ammesso), estintivo dell'obbligazione sanzionatoria pecuniaria, non spiega invece effetto nei confronti della sanzione amministrativa accessoria, che pertanto si esegue nonostante il venir meno della principale. La ratio (puramente pratica) di tale deroga è ben evidente - anche se tutt'altro che dogmaticamente ineccepibile -, dal momento che sovente, specie nel campo del Codice della strada, la sanzione accessoria ha un'intensità afflittiva, e dunque un'efficacia generalpreventiva, maggiore di quella pecuniaria (si pensi all'eccesso di velocità con perdita di punti e sospensione della patente di guida, appunto). Altro principio generale attiene all' autonoma impugnabilità della sanzione accessoria della sospensione della patente di guida : anzi, più precisamente, del provvedimento (pressoché sempre un'ordinanza) che la applichi o irroghi. Più di qualche dubbio , per la verità, sorge in relazione alla sospensione della patente che il prefetto competente per territorio applichi a seguito dell'irrevocabilità del provvedimento giurisdizionale penale (sentenza o decreto penale di condanna) che l'abbia irrogata. Come noto, infatti, nel caso di condotta costituente reato previsto dal Codice della strada oppure in ipotesi di lesioni/omicidio derivanti da violazione delle norme sulla circolazione stradale, a prescindere dalla eventuale applicazione della misura cautelare amministrativa di identico contenuto, il giudice penale - ove ovviamente giunga a pronuncia di condanna o

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equiparata - deve anche irrogare la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida; sanzione che poi viene in concreto applicata dal prefetto. Orbene, è l'impugnabilità innanzi al giudice di pace di questo provvedimento che desta più di una qualche perplessità, stante la sua natura meramente esecutiva di una statuizione penale; e tuttavia dobbiamo annotare che non si tratta neppure di materia di competenza del giudice penale in sede di esecuzione (e quindi eventualmente oggetto di incidente di esecuzione), posto che non ne è fatta menzione nell'articolo 676 c.p.p., la cui elencazione è ritenuta dalla Cassazione tassativa (Cass., Sez. III, n. 9182/2009), e che quindi rimarrebbe “priva” di autonoma impugnabilità. Reati per i quali è prevista la sospensione della patente di guida e la corrispondente misura cautelare Come indicato brevemente in precedenza, queste brevi note concernono solo e soltanto la sanzione amministrativa accessoria a reato della sospensione della patente, cioè quella che consegue all'accertamento della commissione di uno di quegli illeciti penali per i quali la legge la preveda espressamente: si tratta, in somma sintesi, di tutti i reati (delitti e contravvenzioni) previsti dal Codice della strada - che assumono perciò la veste di norme speciali - nonché dei delitti di omicidio colposo (589 c.p.) e lesioni personali colpose (590 c.p.), qualora l' evento derivi da una violazione delle norme del Codice della strada , come recita l'articolo 222, comma 1, c.d.s.; formulazione che, peraltro, si discosta leggermente, ma significativamente, da quella dell'aggravante speciale e a effetto speciale prevista dalla corrispondente parte speciale del Codice penale. Infatti, sia il comma 2 dell'articolo 589 sia il comma 3 dell'articolo 590 c.p. condizionano l'operatività dell'aggravante ivi descritta alla violazione di norme sulla circolazione stradale, il che ci pare descrivere un ambito più esteso, dal momento che il Codice della strada è solo uno - seppure senza dubbio il più importante - dei corpi normativi che disciplinano tale materia (basterà ricordare la regolamentazione nazionale e comunitaria in tema di autotrasporto): sicché non in ogni ipotesi di lesioni/omicidio colposo aggravato dalla violazione di norme sulla circolazione stradale sarà applicabile anche la sanzione amministrativa accessoria. S'è appena detto che - invece - per ogni reato previsto e disciplinato direttamente dal Codice della strada è prevista (perlomeno) la sanzione amministrativa accessoria della patente di guida: perlomeno, diciamo, poiché non di rado a essa si accompagnano anche , per restare nel campo, altre sanzioni amministrative accessorie a reato . I reati previsti direttamente dal Codice della strada per i quali scatta detto meccanismo sanzionatorio sono dunque quelli previsti dagli articoli : 9 bis , partecipazione a competizione sportiva in velocità, non autorizzata, con veicoli a motore, comma 5 (la sanzione accessoria si somma alla “pena” prevista, che è la stessa di quella irroganda in caso di organizzazione, promozione, direzione, agevolazione della detta competizione); 9 ter , violazione del divieto di gareggiare in velocità con veicolo a motore, comma 3 (deve comunque trattarsi pur sempre di una competizione, come precisa il comma 2); 186 comma 2 lettere b/c, guida in stato di ebbrezza derivante dall'uso di sostanze alcooliche; 186 comma 7 , rifiuto ingiustificato di sottoposizione a test etilometrico; 186 bis comma 3 , fattispecie soggettivamente “speciali” (in quanto afferenti soggetti infraventunenni, titolari di patente da meno di tre anni o conducenti di determinate tipologie, categorie o classi di veicoli: comma 1) di guida in stato di ebbrezza derivante dall'uso di sostanze alcooliche; 186 bis, comma 6 , rifiuto ingiustificato di sottoposizione a test etilometrico opposto da soggetti infraventunenni, titolari di patente da meno di tre anni o conducenti di determinate tipologie, categorie o classi di veicoli: comma 1; 187, comma 1 , guida in stato di alterazione psicofisica per uso di sostanze stupefacenti; 187, comma 8 , che richiama il comma 7 dell'articolo 186, rifiuto di sottoposizione alle procedure di accertamento relative allo stato di alterazione suindicato; 189, comma 6 , omesso arresto in caso di sinistro stradale, comunque riconducibile al comportamento del soggetto agente, con danno a persone; 189, comma 7 , omissione di soccorso stradale, cioè omessa assistenza, nelle condizioni suindicate, ai soggetti che abbiano riportato lesioni. L'applicazione cautelare della sanzione accessoria della sospensione della patente di guida In ogni ipotesi di commissione di reato che preveda la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida (così come quella della revoca della stessa), può - e in alcuni casi deve - essere applicata la misura cautelare della sospensione “provvisoria” della patente di guida . Questo è, in somma sintesi, l'esito del meccanismo descritto e regolamentato dal combinato disposto degli articoli 222 e 223 del

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Codice della strada; in particolare, quest'ultima norma disciplina le due tipologie di “misure cautelari amministrative” (tali non solo perché applicate in concreto da un'autorità amministrativa, ma anche perché hanno medesimo contenuto della sanzione amministrativa accessoria a reato “corrispondente”, quella cioè che verrà irrogata dal giudice penale), in relazione alla tipologia di reato. La sospensione cautelare nei reati previsti dal codice della strada Il primo iter (articolo 223 comma 1) regolamenta le modalità di applicazione della misura cautelare amministrativa della sospensione della patente in conseguenza della commissione di reati per i quali sia direttamente prevista la sanzione amministrativa accessoria di uguale contenuto o quella della revoca della patente. Si tratta, fondamentalmente, dei reati suindicati, previsti e disciplinati dal Codice della strada; e tuttavia, trattandosi di norma procedimentale “a struttura aperta”, per così dire, essa pare essere applicabile a tutti i reati che presentino detta caratteristica sanzionatoria, ovunque (cioè da qualsiasi norma) previsti. In concreto, il comma 1 dell'articolo 223 c.d.s. prevede che l'agente o l'organo che accerti la violazione provveda in primo luogo al “ritiro” della patente di guida : si tratta non di un'autonoma sanzione accessoria - peraltro prevista nel Codice della strada: è una sanzione amministrativa accessoria non a reato, ma a illecito amministrativo, regolamentata dall'articolo 216 c.d.s. - ma dell' applicazione immediata della stessa misura cautelare che verrà poi disposta dal prefetto . Conseguentemente, in sede di eventuale esecuzione - cioè successiva all'esito del giudizio penale - della vera e propria sanzione amministrativa accessoria comminata dal giudice, verranno detratti, come “presofferti”, sia il periodo di applicazione della misura cautelare, sia quella del ritiro, cioè il lasso di tempo intercorrente tra apprensione materiale del documento ed emanazione dell'ordinanza prefettizia; anzi, assai spesso in quest'ultimo provvedimento è proprio indicato che la “sospensione” (cautelare) decorre dal momento dell'avvenuto ritiro della patente. La patente ritirata deve essere inviata entro dieci giorni, insieme al “rapporto” (cioè a una sommaria descrizione del fatto, con l'indicazione delle norme violate; si tratta - versandosi in ipotesi di reato - non di un ordinario verbale di accertamento), al prefetto del luogo della commessa violazione, seguendo le regole generali in materia di competenza “amministrativa” in materia di Codice della strada. Ciò significa che essa potrà non coincidere con quella stabilita utilizzando i criteri attributivi del Codice di procedura penale, che dovranno essere utilizzati per individuare il giudice (penale) territorialmente competente a conoscere il reato: peraltro, tutti i reati previsti direttamente dal Codice della strada sono di competenza del tribunale in composizione monocratica, quindi con devoluzione anche alle sezioni distaccate. Il prefetto emette quindi l' ordinanza di sospensione fino a un massimo di due anni . Come agevole notare, il Legislatore non prevede “termini” procedimentali per l'adozione dell'ordinanza, ponendo a carico del solo organo accertatore l'obbligo di trasmissione, s'è detto, entro dieci giorni: termine la cui violazione non è sanzionata e a cui non è collegata alcuna conseguenza diretta, sebbene, ad avviso di chi scrive, la sua violazione concretizzi comunque un vizio di violazione di legge Altrettanto interessante è poi la mancata previsione di un limite edittale minimo (“fino a due anni”), il che implica da un lato che il prefetto abbia discrezionalità nella determinazione del quantum da irrogare in concreto e, dall'altro - il che ci sembra particolarmente rilevante in sede di impugnazione -, l' obbligo di motivare in concreto in ordine alla quantificazione della misura irrogata nel caso specifico: ciò anche in osservanza del principio giurisprudenziale consolidato che esige adeguata motivazione ove la sanzione irrogata si discosti dal minimo edittale, che nel nostro caso, in assenza di altre indicazioni, non può che essere pari a un giorno. L' ordinanza viene poi notificata al titolare della patente , e da tale data decorre il termine di trenta giorni per la sua impugnazione . La sospensione cautelare nei reati di lesioni personali colpose e di omicidio colposo Significativamente differente in alcuni tratti è la procedura per l'applicazione della misura cautelare della sospensione della patente in ipotesi di lesioni personali colpose e omicidio colposo . In primo luogo, trattandosi in sé di fattispecie di reato a condotta libera (nelle quali cioè, in approssimazione, il Legislatore “tipizza” solo l'evento, e non il modo/mezzo penalmente rilevante con il quale solo esso debba essere ottenuto), presupposto per l'operatività della misura cautelare è che l'evento lesioni personali/morte derivi da una violazione delle norme del Codice della strada , come previsto espressamente, sebbene con formulazione “a contrario”, dal comma 1 dell'articolo 222 c.d.s. (“qualora da una violazione delle norme di cui al presente codice derivino danni alle persone...”: il richiamo all'omicidio colposo è nel terzo periodo del comma 2), norma “sostanziale” a cui si aggancia la norma procedimentale del comma 2 dell'articolo 223 c.d.s.

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In secondo luogo, il Legislatore richiede in questi casi, per l'applicazione della misura cautelare, un ulteriore requisito, strettamente agganciato al concetto (e al presupposto) di “derivazione” del danno (lesione/morte) dalla violazione di una norma del Codice della strada: la misura può essere applicata solo quando emergano “fondati elementi di un'evidente responsabilità ”. Il presupposto tecnico-giuridico: la valutazione dei “fondati elementi di evidente responsabilità” Ciò implica innanzitutto la necessità di una valutazione discrezionale - di natura certo tecnica - da parte della prefettura, che non può “demandare” acriticamente tale compito all'organo accertatore: invero, la norma richiede un esame autonomo e ulteriore da parte del prefetto, rispetto a quello effettuato dall'organo che ha accertato l'infrazione, ed è abbastanza lapalissiano che, se è stato redatto un verbale di contestazione, l'agente debba aver ritenuto sussistente una violazione; peraltro, in questa ipotesi è proprio il comma 2 a disporre che l'accertatore debba inviare non solo il “rapporto” - cioè la propria “annotazione” riassuntiva - ma anche copia del verbale di contestazione (sottinteso: di infrazione al Codice della strada). A comprova di quanto si sostiene va annotato che il comma in esame, prima della riscrittura operata dalla legge n. 120/2010, prevedeva addirittura l'intervento di un organo “esterno”, cioè dell'ufficio della Motorizzazione (M.C.T.C.), che esprimeva, in ordine alla sussistenza del requisito in esame, un proprio parere entro quindici giorni dalla ricezione degli atti, parere obbligatorio ma non vincolante (“sentito il competente ufficio....”, recitava la norma). Ora, probabilmente per esigenze di celerità, tale parere è stato eliminato, concentrando, per così dire, in capo all'ufficio territoriale del Governo anche questo giudizio di natura tecnica, molto delicato dal momento che il suo esito costituisce un presupposto per l'applicazione della misura cautelare. Devono dunque - anche con riferimento alla motivazione del provvedimento - sussistere “fondati” (con obbligo di indicazione della fonte) elementi di “evidente” responsabilità, deve intendersi nella causazione delle lesioni: e, perciò, del sinistro che le abbia generate. Due brevi osservazioni: per un verso, riteniamo che non si assolva all'obbligo di motivazione limitandosi a richiamare il verbale o il rapporto redatto dall'organo accertatore , a meno che esso non contenga una “valutazione”; la qual cosa, peraltro, appare di dubbia ammissibilità, dal momento che ciò implica un giudizio di comparazione (tra violazione della norma che dà origine all'accertamento dell'infrazione cristallizzata nel sommario processo verbale e responsabilità nella causazione del sinistro a sua volta generatore di lesioni) non proprio dell'organo accertatore e, soprattutto, non conforme alla ratio della norma, che ci pare richiedere un giudizio “esterno”. Certo, l'obiezione è probabilmente aggirabile in concreto, potendosi sostenere che ben può l'organo prefettizio condividere appieno le valutazioni dell'organo accertatore, il che, a ben vedere, è proprio alla base dell'ammissibilità della motivazione per relationem ex art. 3, comma 3, legge n. 241/1990. E tuttavia ci pare che qualora tale evenienza si risolva in un pedissequo appiattimento sulle valutazioni dell'organo che ha accertato l'infrazione l'intera procedura si svuoti di significato A questo punto, in concreto, appare opportuno l'intervento nel procedimento ex lege n. 241/1990 da parte dell'interessato a mezzo di memorie o consulenze , che il prefetto dovrà poi valutare in sede di emanazione dell'eventuale ordinanza (incorrendo, in caso contrario, in vizio di omessa motivazione); con l'avvertenza che per un verso di rado viene inviato al soggetto futuro destinatario del provvedimento il previsto “avviso di avvio del procedimento”, argomentandosi sulla natura cautelare dello stesso che legittimerebbe, per ragioni di celerità, tale omissione (art. 7, comma 1, legge n. 241/1990); e cionondimeno, trattandosi di procedimento che si avvia d'ufficio, chiunque sia coinvolto in un sinistro con lesioni a persone e a cui sia stata contestata una violazione delle norme del Codice della strada automaticamente sa, per così dire, si essere interessato a tale procedura. D'altro canto, si pone il problema dell' ostendibilità degli atti (parliamo fondamentalmente del “ rapporto”): infatti se è vero che si tratterebbe di atti coperti da segreto istruttorio, perlomeno sino all'inutile spirare del termine per la proposizione della querela nel caso di lesioni personali (mentre l'ipotesi di omicidio colposo è, come noto, procedibile d'ufficio), e dunque sottratti all'accesso, è altrettanto vero che detti atti il prefetto deve comunque depositare nella cancelleria del giudice procedente in caso di opposizione giurisdizionale all'ordinanza di sospensione, pena la mancata ottemperanza al disposto di cui al comma 2 dell'articolo 23 della legge n. 689/1981 e, soprattutto, la soccombenza processuale, dal momento che non avrebbe elementi per comprovare la fondatezza della propria pretesa sanzionatoria. Si tratta dunque di una questione che in realtà è ambigua e poco logica, come sovente accade: la stessa documentazione che (si afferma) non è ostendibile in sede di adozione del provvedimento prefettizio, deve invece essere depositata - divenendo quindi accessibile - in caso di opposizione all'ordinanza stessa.

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Ove il prefetto, comunque, ritenga sussistenti i due concorrenti presupposti di legge (derivazione delle “lesioni” da una violazione delle norme del Codice della strada ed esistenza di fondati elementi di evidente responsabilità nella causazione delle dette “lesioni”), emette ordinanza cautelare di sospensione della patente di guida per un periodo compreso tra un giorno - non essendo neanche nel comma 2 indicato un minimo edittale - e tre anni Le “esigenze cautelari”: la “tempestività” del provvedimento e il decorso del tempo dal fatto Un cenno va certamente dedicato, ad avviso di chi scrive, anche al cosiddetto “presupposto implicito” per l'applicazione stessa della misura cautelare in questione: e cioè l' esistenza e la persistenza di un'esigenza cautelare . Parrebbe lapalissiano, ma così non è. Le norme del Codice della strada, infatti, a differenza di quelle - per citare le più note, ovviamente - del Codice di rito penale, non fanno menzione alcuna della necessità dell'esistenza di un'esigenza “in concreto”, equiparabile, sempre per rimanere nell'esempio citato (calzante, peraltro, perché sempre di reati si tratta), a quelle elencate dall'articolo 274 c.p.p., che devono necessariamente concorrere con i “gravi indizi di colpevolezza”. Cionondimeno, siamo in presenza di chiare misure a carattere cautelare e comportanti compressione , per di più, di un diritto fondamentale (la liberta di locomozione), sebbene solo in una delle sue forme “a minore intensità”, dal momento che anche il soggetto privato della patente di guida può ben muoversi. Pertanto la giurisprudenza, anche sull'impulso dottrinario, ha enucleato quale vero e proprio “presupposto immanente” anche di questa tipologia di misure cautelari la persistenza, al momento dell'irrogazione da parte del prefetto, dell' esigenza cautelare di “tutela della sicurezza stradale” da verificarsi in concreto , e cioè in riferimento al principale parametro del “tempo decorso” (dal momento del fatto storico, cioè dell'infrazione): per tutte, Cass., Sez. Unite, 6 giugno 2007, n. 13226. È evidente, infatti, che caratteristica principale della misura in questione sia la sua tempestività , come testimoniano tra l'altro l'intero procedimento di applicazione e i termini assai brevi in esso previsti (a tacere, per i soli casi di cui al primo comma, della sua “pre-applicazione” consistente nel “ritiro immediato” su strada del documento di guida), tempestività che si concretizza nell'impedire quanto prima possibile la guida a chi abbia dato elementi per ritenere di essere pericoloso in tale attività (pericolosità ovviamente presunta, in questa fase). Se ciò è vero, è altrettanto indubitabile che l'applicazione della misura a distanza di tempo eccessivo dal fatto - e sempre che, sottolineiamo, non siano intervenute altre violazioni comportanti l'applicazione della medesima tipologia di provvedimento cautelare - non solo sia oggettivamente inefficace, ma sia priva di logica. Ne consegue che principio generale è che non possa essere applicata la misura cautelare in questione qualora dal verificarsi dell'evento a cui è connessa la violazione del Codice della strada (con riferimento alle fattispecie ex art. 220-223 c.d.s.) alla sua applicazione sia decorso un lasso di tempo tale da inficiare la sua efficacia , pena la sua illegittimità , e dunque annullabilità : precisazione che pare rilevante, dal momento che tale vizio deve essere tempestivamente dedotto con l'opposizione, pena il “consolidamento” del provvedimento relativo. Un'ultima notazione: la giurisprudenza non fornisce elementi univoci in tema di “lasso di tempo rilevante”: le ultime pronunce di legittimità si attestano sui cinque mesi (Cass., Sez. II, 30 marzo 2009, n. 7731), ma contestualmente devolvono al giudice di merito l'apprezzamento della “congruità” del lasso di tempo, che ben può essere inferiore in rapporto alle varie fattispecie. Peraltro, il parametro della congruità temporale va valutato sia con riferimento alla concreta idoneità del provvedimento cautelare ad assolvere alla propria funzione, di cui s'è appena detto, sia con riguardo all'esaurimento dei termini procedimentali previsti dall'articolo 223 c.d.s.: Cass., Sez. I, 12 dicembre 2007, n. 26018. L'impugnativa giurisdizionale dell'ordinanza cautelare prefettizia: l'opposizione al giudice di pace Il novello comma 4 dell'articolo 223 c.d.s., una volta tanto, ha contribuito a far chiarezza in tema di impugnazione dei provvedimenti prefettizi in questione, prima abbastanza equivoca, stabilendo che essi sono opponibili innanzi al giudice di pace con le forme di cui all'articolo 205 c.d.s., che, a sua volta, amputato di due dei suoi tre commi, si limitava a prevedere solo il termine per la presentazione del ricorso, di trenta giorni (o di sessanta giorni se l'interessato risiede all'estero). Né, sul punto - in tema di competenza - ha introdotto modifiche il D.Lgs. n. 150/2011, posto che non risultano né “aggiunte” applicabili direttamente né abrogazioni, anche parziali, di norme. Sovrapposizione e intersezione di procedimenti e ambito di cognizione del giudice dell'opposizione Molto si è dibattuto in ordine all' ambito della cognizione spettante al giudice di pace investito dell'opposizione alla tipologia di ordinanza indicata; questione che rinviene e deriva dalla peculiarità - per la verità non rara in questa materia - della sovrapposizione/intersezione tra giurisdizioni e competenze, in

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relazione alla quale non opera la regola generale della “connessione oggettiva” tra illecito amministrativo e reato ex art. 221 c.d.s., giusta quanto si sosterrà a breve. Nell'ipotesi che stiamo esaminando ci troviamo di fronte fondamentalmente a un doppio binario : dallo stesso fatto storico (in approssimazione: commissione di un reato previsto dal Codice della strada oppure verificarsi di sinistro cagionato da violazione di norme del Codice della strada dal quale siano derivate perlomeno lesioni personali colpose), gemmano infatti due distinti procedimenti. L'uno - principale - che si svolge in sede penale e che attiene alla valutazione dell'eventuale responsabilità , appunto, penale; l'altro - accessorio - in sede amministrativa , inerente l'applicazione della misura cautelare della sospensione della patente. Il procedimento penale , peraltro, è solo eventuale : infatti, la procedibilità per il reato di lesioni personali colpose, anche se aggravate dalla violazione delle norme sulla circolazione stradale, è su querela di parte ; sicché, ove essa non intervenga tempestivamente, il reato diviene improcedibile, ed è destinato poi a estinguersi per prescrizione; al contrario, sia l'omicidio colposo sia tutti i reati - delitti e contravvenzioni - previsti dal Codice della strada sono perseguibili d'ufficio. L'avvio del procedimento amministrativo “cautelare”, invece, è pressoché automatico: cioè esso si attiva per il sol fatto della ricezione, da parte del prefetto, del rapporto dell'organo accertatore che “individui” il reato a cui è connessa la sanzione amministrativa accessoria della sospensione/ revoca della patente; non automatica, invece, è ovviamente l'applicazione della misura cautelare, poiché condizionata all'esistenza dei presupposti di cui s'è detto. Da questa ricognizione discende direttamente l'ambito di cognizione da parte del giudice di pace chiamato a pronunciarsi, a seguito di opposizione, sull'ordinanza cautelare prefettizia di sospensione della patente di guida: cognizione che si estende all'esistenza di tutti i requisiti presupposti per l'irrogazione della misura nel caso concreto. Possiamo dunque schematizzare due diverse tipologie/estensione di cognizione , in dipendenza della fattispecie di reato a cui la misura sia collegata; sicché, in somma sintesi, il giudice dovrà vagliare: - nelle ipotesi di cui al comma 1 dell'articolo 223 c.d.s. ( reati previsti direttamente dal Codice della strada ), oltre alla irrogabilità astratta della misura cautelare - e cioè che si tratti di fattispecie di reato, e che per essa sia prevista la sanzione amministrativa accessoria della sospensione e/o della revoca della patente di guida (dal momento che ex comma 1 dell'articolo 223 c.d.s. in presenza della sanzione amministrativa accessoria - a reato - della sospensione della patente o della revoca della patente di guida risulta automaticamente applicabile la misura cautelare amministrativa in questione) - l'esistenza del presupposto cautelare generale (congruità temporale) e la perlomeno verosimile riconducibilità del comportamento contestato alla fattispecie di reato individuata dall'accertatore; infatti la norma afferma solo che il prefetto “dispone” la sospensione, con ciò delineando confini assai stretti per un'eventuale operatività della sfera discrezionale, limitata, appunto, a quanto detto; - nei casi di cui al comma 2 , invece, ai presupposti suddescritti si aggiunge quello - assai più intenso e “di merito” - della “sussistenza di fondati elementi di un'evidente responsabilità ”. Ciò attribuisce al giudice un potere di cognizione assai più penetrante, dal momento che, come si è avuto modo di rimarcare, da un lato la responsabilità nella causazione del sinistro lesivo con violazione di norme del Codice (tale è il “nucleo” legittimante l'adozione del provvedimento) deve essere “evidente”, cioè tale da non lasciar spazio a dubbi; e dall'altro, gli elementi su cui tale ricostruzione si basa devono essere “fondati”, cioè perlomeno - nella lettura “minore” dell'estensione del lemma - non solo “deduttivi”. Perciò il giudice potrà sindacare e valutare sia il profilo di legittimità dell'adozione del provvedimento cautelare, anche sotto il profilo dell'esistenza di valida e idonea motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza degli elementi appena indicati, sia sotto l'aspetto, come detto, del merito, potendo ben giungere a un giudizio differente rispetto a quello del prefetto. “Onus probandi” e connessione oggettiva Ci paiono infine rilevanti tre riflessioni di ordine squisitamente processuale. Va innanzitutto brevemente esaminata - con riguardo alle sole ipotesi inerenti le lesioni personali/omicidio colposo - l'eventuale operatività della cosiddetta “connessione oggettiva” tra illecito amministrativo (quello concretizzantesi nella violazione di norme del Codice della strada) e reato (appunto, lesioni/omicidio colposo), istituto previsto dall'articolo 221 c.d.s. e che crea una sorta di “attrazione” in capo alla giurisdizione penale . È modesto parere di chi scrive che essa non trovi applicazione nel caso di specie, sia perché il comma 1 della norma appena citata fa cenno alla “violazione” e alla “sanzione” (sicché solo estendendo eccessivamente l'ambito semantico del primo lemma si potrebbe giungere a estendere la connessione oggettiva anche alla misura cautelare amministrativa), sia - soprattutto - perché il Legislatore, pur ben

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conscio dell'esistenza dell'istituto in questione, ha scientemente introdotto (e confermato in tutte le pur numerosissime e disarmoniche riforme) un rimedio giurisdizionale autonomo e “speciale” per quanto concerne le misure cautelari amministrative. Dunque, se ne deve concludere che la cognizione del giudice di pace relativa all'opposizione all'ordinanza prefettizia è e permane del tutto svincolata rispetto a quella del giudice penale . Perciò, senza voler considerare che solo in casi pressoché “di pura scuola” potrà formarsi una statuizione penale irrevocabile prima della delibazione del giudice di pace (non foss'altro perché questi giudica di una misura cautelare...), ad avviso di chi scrive solo la formazione del “giudicato penale sostanziale” può spiegare effetti diretti sul giudizio in questione; e soltanto perché, a quel punto, la “misura cautelare” della sospensione della patente - applicata dal prefetto - viene “sostituita” dalla sanzione amministrativa accessoria, irrogata dal giudice. In ordine, poi, all '”onus probandi”, si deve osservare che è onere del ricorrente introdurre con il ricorso (mezzo di proposizione dell'opposizione) le doglianze relative ai vari vizi indicati, che sono tutti a pena di annullabilità, e non di nullità , eccezion fatta per quello relativo alla carenza assoluta del presupposto astratto, cioè che si tratti di fatto per il quale non è prevista la misura cautelare amministrativa. Perciò in assenza di deduzione di tali vizi, il provvedimento amministrativo si “consolida” e il giudice non può rilevarli d'ufficio. Naturalmente, in ordine alla tempestività dell'introduzione della doglianza, andrà certamente considerato che i vizi inerenti il “merito” (cioè i fondati elementi di evidente responsabilità) possono essere dedotti e articolati solo dopo l'avvenuto deposito , da parte dell'amministrazione resistente, della documentazione ex art. 23, comma 2, legge n. 689/1981, pacificamente applicabile in forza del combinato disposto ex art. 223, comma 4, 205 e 194 c.d.s.: ciò in quanto si tratta di atti che il privato non può neppure conoscere in via principale, in quanto sottratti all'accesso perché coperti da segreto istruttorio. E qui si svela l'altra faccia della medaglia, per così dire. Anche nel tipo di giudizio che ci interessa - essendo esso conformato dall'articolo 223, comma 4, al normale rito di opposizione a ordinanza-ingiunzione -, infatti, l' amministrazione è resistente formale , ma attrice “sostanziale”: il che significa che incombe su di essa l'onere di provare la fondatezza della propria pretesa sanzionatoria (in relazione alle doglianze introdotte dall'opponente). Ergo, spetta alla prefettura non solo depositare la documentazione cosiddetta obbligatoria (quella inerente l'accertamento e la cui produzione è prescritta dall'articolo 23, comma 2, legge n. 689/1981 già richiamato), ma anche costituirsi ritualmente in giudizio e contraddire, provando. In caso contrario, a meno che l'infondatezza dell'opposizione non emerga già (e solo) dalla documentazione depositanda, l'amministrazione sarà processualmente soccombente. la SELEZIONE GIURISPRUDENZIALE ATTUALITA' DELL'ESIGENZA CAUTELARE Cassazione civ., Sez. I, 12 dicembre 2007, n. 26218 Il provvedimento del prefetto di sospensione della patente di guida previsto dall'art. 223 c.d.s., avendo natura cautelare e trovando giustificazione nella necessità di impedire nell'immediatezza del fatto che il conducente del veicolo, nei cui confronti esistano fondati elementi di responsabilità in ordine a un comportamento lesivo della incolumità altrui, possa reiterare una condotta in grado di arrecare ulteriore pericolo, trova il suo limite di legittimità nella rispondenza alla funzione cautelare che gli è propria. Ne deriva che, pur non prevedendo la norma espressamente un termine di decadenza dal potere di disporre la sospensione cautelare della patente, il provvedimento è illegittimo ove non sia adottato entro un tempo che ne giustifichi la funzione cautelare, alla quale la legittimità della sua emanazione è ontologicamente collegata (cfr. Cass. nn. 17205/2005, 21048/2004, 15906/2003, 11967/2003, 14866/2001, 6108/2001, 3454/2001, 5689/2000, 11959/1999). Cassazione civ., Sez. Unite, 6 giugno 2007, n. 13226 Non è (...) ammissibile una sospensione della patente che dovesse intervenire a una distanza di tempo dal completamento dell'iter previsto dall'art. 223 c.d.s., commi 1 e 2, tale da non essere giustificata dalla esigenza di valutazione degli elementi raccolti. A tal fine va anche considerato che se lo scopo della sospensione della patente è quello di impedire provvisoriamente di guidare a un soggetto la cui condotta di guida risulti pericolosa per la pubblica incolumità, come desumibile da un grave incidente in cui lo stesso sia rimasto coinvolto, sarebbe illogico adottare tale sospensione a distanza di molti mesi dall'incidente, quando il pericolo per la pubblica incolumità che si vorrebbe evitare si è comunque verificato. AMBITO DI COGNIZIONE DEL GIUDICE DI PACE IN SEDE DI OPPOSIZIONE

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Cassazione civ., Sez. I, 28 agosto 2006, n. 18617 E proprio in considerazione della finalità cautelare del provvedimento di sospensione o di revoca della patente ex art. 223 c.d.s., questa Corte, dopo aver rilevato che la citata disposizione, nel prevedere che il Prefetto possa adottare la sospensione provvisoria della patente di guida, richiede, ai fini della emissione di tale provvedimento, la sussistenza di “fondati elementi di una evidente responsabilità”, ha affermato che in sede di opposizione si impone la valutazione in ordine alla presenza, nel caso di specie, di detti presupposti, cui il giudice del merito non può sottrarsi, limitando il proprio esame alla regolarità formale della misura adottata (Cass. 6 settembre 2004, n. 17972). In considerazione della previsione normativa ora richiamata, si è inoltre chiarito che il controllo sul provvedimento di sospensione non può essere contenuto nella verifica circa la presenza del fumus, ma richiede la concreta e oggettiva sussistenza delle condizioni richieste dalla legge sulla base delle risultanze processuali (Cass. 23 ottobre 2003, n. 15906; Cass. n. 17972/2004, cit.). Per le sentenze di Cassazione si rinvia a: Lex 24 & Repertorio 24 (www.lex24.ilsole24ore.com) la PRATICA IL CASO CONCRETO Cassazione civ., Sez.II, 30 marzo 2009, n. 7731 Il giudice di pace di Conegliano con sentenza dell'11 giugno 2005 accoglieva il ricorso proposto da M.G. avverso il provvedimento prefettizio di sospensione della patente per un mese notificatole l'11 gennaio 2005. Rilevava che il provvedimento era stato adottato a distanza di circa 5 mesi dal giorno di accertamento della violazione, il che contrastava con la natura cautelare della misura, da irrogare nell'immediatezza del fatto per scongiurare ulteriore pericolo per l'incolumità pubblica. La prefettura competente e il ministero dell'Interno hanno proposto ricorso per cassazione, notificato il 18/25 luglio 2006, lamentando violazione dell'art. 218 c.d.s. La corte, nell'escludere che il provvedimento di sospensione cautelare della patente “non possa più essere adottato per il solo mancato rispetto dei termini (non previsti a pena di decadenza) di cui all'art. 223 c.d.s., commi 1 (dieci giorni per la trasmissione del rapporto al prefetto e alla direzione generale della M.T.C.), e 2 (quindici giorni per la trasmissione del parere del competente ufficio della direzione generale della M.T.C.), o perché il prefetto ometta di richiedere il parere del competente ufficio della direzione generale della M.T.C. (la cui richiesta deve effettuare “appena ricevuti gli atti”) lo stesso giorno in cui gli è pervenuto il rapporto, o non provveda appena ricevuto detto parere, dovendo, invece, ritenersi che sia gli adempimenti propedeutici di cui si è detto, sia l'emissione del provvedimento di sospensione intervengano entro un tempo ragionevole - la cui valutazione in concreto è rimessa al giudice di merito - in considerazione delle finalità cautelari del provvedimento, ha ribadito il principio secondo il quale comunque l'ordinanza - stante la natura cautelare della stessa - debba essere adottata entro un lasso di tempo tale da non frustrarne la funzione (nel caso, è stato considerato incongruo il termine di cinque mesi).

GLI APPROFONDIMENTI DI LEX24 A CURA DELLA REDAZIONE LEX24 SCADENZE PROCESSUALI L'incertezza sulla norma non può riaprire i termini di Carnimeo Domenico, Il Sole 24 Ore - Norme e Tributi 13.2.2012 - p.36 La parte incorsa nella decadenza da una scadenza processuale non può invocare la rimessione nei termini facendo leva sull'incerta interpretazione delle norme in materia di definizione delle liti fiscali pendenti. A stabilirlo la sentenza n. 35/15/12 della Ctp Bari. La pronuncia ha chiarito che tale definizione riguardava esclusivamente le liti «pendenti al 1° maggio 2011» e non quelle potenziali. Pertanto nessun dubbio poteva sussistere sull'inapplicabilità della sospensione dei termini processuali al termine di 60 giorni previsto per la proposizione del ricorso.

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Il caso trae origine dall'impugnazione di un avviso di liquidazione con il quale l'agenzia delle Entrate comunicava a un contribuente la revoca delle agevolazioni fiscali previste dalla legge 604/1954 su formazione o arrotondamento della piccola proprietà contadina e liquidava le imposte di registro e ipotecaria in misura ordinaria. Il ricorrente sosteneva che in pendenza del termine di proposizione del ricorso era entrato in vigore l'articolo 39 del Dl 98/2011 che prevedeva la possibilità di definire le liti fiscali di valore non superiore a 20mila euro e disponeva contestualmente la sospensione di tutti i termini processuali. La Ctp ha rigettato la richiesta e dichiarato inammissibile il ricorso. Pur riconoscendo l'applicabilità dell'istituto della rimessione in termini al processo tributario, i giudici hanno ritenuto inconsistenti le giustificazioni del ricorrente in quanto la sospensione dei termini processuali disposta dall'articolo 39 del Dl 98/2011 si applica esclusivamente alle liti già pendenti alla data del 1° maggio 2011 e non anche a quelle, come nel caso in esame, instaurate successivamente a tale data. La soluzione adottata dal collegio barese risulta in linea con la giurisprudenza di legittimità secondo cui «la decadenza da un termine processuale, compreso quello per impugnare, non può ritenersi incolpevole e giustificare, quindi, la rimessione in termini, ove sia avvenuta per errore di diritto» (così la Cassazione n. 17704/2010). Tuttavia, in sede di conversione in legge del decreto Milleproroghe (Dl 216/2011), è stata prevista l'estensione della suddetta definizione alle liti pendenti al 31 dicembre 2011. Pertanto la controversia in oggetto sarà definibile in via agevolata nonostante la declaratoria di inammissibilità del ricorso (si veda in tal senso il punto 2.3 della circolare n. 48/E/2011) se ricorrono tutte le altre condizioni previste dalla legge e che, nel caso specifico, l'avviso di liquidazione abbia natura di «atto impositivo» (si veda il punto 4.4 della stessa circolare). © RIPRODUZIONE RISERVATA FAMIGLIA Matrimonio: la convivenza non basta se c'è "riserva mentale" dello sposo Corte di Cassazione, sezione 1 civile, sentenza 8 febbraio 2012, n. 1780 Corte di Cassazione, Sezione 1 civile - Sentenza 10 giugno 2011, n. 12738 Delibazione (giudizio di) - Sentenze in materia matrimoniale - Emesse da tribunali ecclesiastici - Matrimonio concordatario - Nullità - Per apposizione di condizione unilaterale viziante il consenso - Pronuncia relativa dei tribunali ecclesiastici - Dichiarazione di efficacia nella Repubblica - Condizioni - Accertamento, da parte del giudice dello Stato italiano, della conoscenza o conoscibilità della condizione da parte dell'altro coniuge - Necessità - Criteri - Particolare rigore - Limiti - Fattispecie. La delibazione della sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio concordatario per l'apposizione di una condizione al vincolo matrimoniale (nella specie "condicio de futuro" relativa alla residenza familiare) viziante il relativo consenso negoziale di uno dei coniugi, trova ostacolo nel principio di ordine pubblico, costituito dalla ineludibile tutela dell'affidamento incolpevole dell'altro coniuge, allorché l'apposizione della condizione sia rimasta nella sfera psichica di uno dei nubendi, senza manifestarsi (né comunque essere conosciuta o conoscibile) all'altro coniuge. L'accertamento della conoscenza o conoscibilità, da parte di quest'ultimo, di detta condizione deve essere compiuto dal giudice della delibazione con piena autonomia rispetto al giudice ecclesiastico e con particolare rigore, giacché detto accertamento, pur tenendo conto del favore particolare al riconoscimento che lo Stato italiano si è imposto con il protocollo addizionale del 18 febbraio 1984 modificativo del Concordato, attiene al rispetto di un principio di ordine pubblico di speciale valenza e alla tutela di interessi della persona riguardanti la costituzione di un rapporto, quello matrimoniale, oggetto di rilievo e tutela costituzionali. Corte di Cassazione, Sezioni Unite civile - Ordinanza 6 luglio 2011, n. 14839 Giurisdizione civile - Autorità giudiziarie ecclesiastiche e dello stato della città del vaticano - Giudice ecclesiatico - Comportamenti, non penalmente rilevanti, tenuti dal predetto in un processo canonico per la dichiarazione di nullità di un matrimonio canonico con effetti civili - Domanda di risarcimento dei danni asseritamente arrecati da tali comportamenti - Giurisdizione del giudice italiano - Sussistenza - Esclusione.

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Il giudice italiano difetta di giurisdizione rispetto ad un'azione risarcitoria promossa da un cittadino nei confronti di un giudice ecclesiastico per supposti comportamenti, non penalmente rilevanti, produttivi di danno che il predetto giudice avrebbe tenuto in un processo canonico per la dichiarazione di nullità di un matrimonio che sia stato celebrato a norma dell'art. 8 dell'accordo di Villa Madama del 18 febbraio 1984, ratificato con legge 25 marzo 1985, n. 121. Infatti, gli atti compiuti dal giudice ecclesiastico nel processo canonico e la conformità degli stessi al diritto canonico, in generale, e alle regole processuali canoniche, in particolare, in quanto funzionali all'attività processuale ed interni al processo stesso, non possono essere oggetto di un sindacato del giudice italiano, in omaggio sia alla riserva esclusiva di giurisdizione ecclesiastica sulla violazione delle leggi ecclesiastiche, espressa dal canone 1401 c.i.c., sia alla regola fondamentale della separazione ed indipendenza degli ordini dello Stato e della Chiesa cattolica, espressa dall'art. 7 Cost.. Corte di Cassazione, Sezioni Unite civile - Sentenza 18 luglio 2008, n. 19809 Delibazione (giudizio di) - Sentenze in materia matrimoniale - Emesse da tribunali ecclesiastici - Nullità del matrimonio - Vizio del consenso - Configurazione nell'ordinamento canonico - Configurazione dell'ordinamento interno - Diversità - Errore indotto da dolo - Rilevanza nell'ordinamento canonico - Ordine pubblico interno - Condizioni per il rispetto - Conseguenze - Delibazione della sentenza ecclesiastica - Limiti - Fattispecie concernente l'errore in ordine all'infedeltà prematrimoniale. Non ogni vizio del consenso accertato nelle sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio consente di riconoscerne l'efficacia nell'ordinamento interno, dandosi rilievo nell'ordinamento canonico, come incidenti sull'"iter" formativo del volere, anche a motivi e al foro interno non significativo in rapporto al nostro ordine pubblico, per il quale solo cause esterne e oggettive possono incidere sulla formazione e manifestazione della volontà dei nubendi, viziandola o facendola mancare. Conseguentemente, l'errore, se indotto da dolo, che rileva nell'ordinamento canonico ma non in quello italiano, se accertato come causa d'invalidità in una sentenza ecclesiastica, potrà dar luogo al riconoscimento di questa in Italia, solo se sia consistito in una falsa rappresentazione della realtà, che abbia avuto ad oggetto circostanze oggettive, incidenti su connotati stabili e permanenti, qualificanti la persona dell'altro nubendo. (Nella specie la S.C. ha confermato la decisione della Corte d'Appello che aveva ritenuto non delibabile per contrarietà assoluta all'ordine pubblico, una sentenza ecclesiastica che, nella formazione della volontà dei nubendi, aveva dato rilievo all'errore soggettivo, nel quale era incorso un coniuge per dolo dell'altro, che aveva negato una relazione prematrimoniale con altre persone). Corte di Cassazione, Sezioni Unite civile - Sentenza 20 luglio 1988, n. 4700 Delibazione (giudizio di) - Sentenze in materia matrimoniale - Emesse da tribunali ecclesiastici - Dichiarative della nullità del matrimonio concordatario per esclusione di uno dei "bona matrimonii" - Delibazione Con riguardo alla sentenza del tribunale ecclesiastico dichiarativa della nullita` del matrimonio concordatario per esclusione unilaterale di uno dei "bona matrimonii", manifestata all'altro coniuge, la delibazione, nella disciplina di cui agli artt. 1 della legge 27 maggio 1929 n. 810 e 17 della legge 27 maggio 1929 n. 847 (nel testo risultante a seguito della sentenza della corte costituzionale n. 18 del 1982), deve ritenersi consentita anche se detta nullita` sia stata dichiarata su domanda proposta dopo il decorso di un anno dalla celebrazione, ovvero dopo il verificarsi della convivenza dei coniugi successivamente alla celebrazione stessa, in difformita` delle due disposizioni dettate dall'art. 123 secondo comma c. c. in tema d`impugnazione del matrimonio per simulazione, atteso che entrambe tali norme, pur avendo carattere imperativo, non configurano espressione di principi e regole fondamentali con le quali la costituzione e le leggi dello stato delineano l'istituto del matrimonio, e che, pertanto, la indicata difformita` non pone la pronuncia ecclesiastica in contrasto con l'ordine pubblico italiano. contra Corte di Cassazione, Sezione 1 civile - Sentenza 20 gennaio 2011, n. 1343

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Delibazione (giudizio di) - Sentenze in materia matrimoniale - Emesse da tribunali ecclesiastici - Sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio - Convivenza protrattasi lungamente - Delibazione - Ammissibilità - Esclusione - Fondamento - Fattispecie. E ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario la convivenza prolungata dai coniugi successivamente alla celebrazione del matrimonio, in quanto essa è espressiva di una volontà di accettazione del rapporto che ne è seguito, con cui è incompatibile, quindi, l'esercizio della facoltà di rimetterlo in discussione, altrimenti riconosciuta dalla legge. (Nel caso di specie, la Corte, decidendo nel merito ai sensi dell'art. 384 cod. proc. civ., ha rigettato la domanda di delibazione della sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio concordatario per esclusione del "bunum prolis", essendosi la convivenza protratta per quasi un ventennio). © RIPRODUZIONE RISERVATA FALLIMENTO Sezioni Unite in tema di convocazione dell'udienza per la dichiarazione di fallimento Corte di Cassazione, sezioni unite civilei, sentenza 1 febbraio 2012, n. 1418 ll principio delle Sezioni Unite in tema di convocazione dell'udienza per la dichiarazione di fallimento: Il termine di dieci giorni di cui all'art. 8, quarto comma, della legge 890/1982, nel testo sostituito dall'art. 2 comma 4 lettera c) numero 3 del dl 35/2005 (...) deve essere qualificato come termine «a decorrenza successiva» e computato, secondo il criterio di cui all'articolo 155, primo comma, del codice procedura civile, escludendo il giorno iniziale (data di spedizione della lettera raccomandata di cui al secondo comma dello stesso art.8) e conteggiando quello finale; b) lo stesso termine – essendo stabilito nell'ambito del procedimento preordinato alla notificazione di atti inerenti al processo (anche) civile (...) deve intendersi compreso fra i «termini per il compimento di atti processuali svolti fuori dall'udienza» di cui all'articolo 155, quinto comma, cod.proc.civ. (...) con la conseguenza che il dies ad quem del termine medesimo, ove scadente nella giornata del sabato, è prorogato di diritto al primo giorno seguente non festivo. Corte di Cassazione, Sezione 1 civile - Sentenza 22 gennaio 2010, n. 1098 Fallimento ed altre procedure concorsuali - Fallimento - Apertura (dichiarazione) di fallimento - Procedimento - Audizione dell'imprenditore - Notificazione del ricorso e del decreto di convocazione - Inosservanza del termine dilatorio ex art. 15, terzo comma, della legge fall. - Conseguenze - Nullità della "vocatio in ius" - Dichiarazione da parte del giudice - Condizioni - Tempestiva deduzione ad opera della parte - Specificazione delle ragioni d'invalidità - Necessità - Omissione - Conseguenze - Sanatoria della nullità - Configurabilità La regola, dettata dall'art. 157 cod. proc. civ., secondo cui l'obbligo del giudice di esaminare l'eccezione di nullità relativa di un atto processuale presuppone che la medesima sia stata dedotta dalla parte, oltre che tempestivamente, con la specificazione delle ragioni d'invalidità, costituisce un principio generale, applicabile a tutti i processi speciali di cognizione, ivi compreso il procedimento per la dichiarazione di fallimento. Ne consegue che la nullità della "vocatio in ius" derivante dall'inosservanza del termine dilatorio di comparazione previsto dall'art. 15, terzo comma, della legge fall., resta sanata nel caso in cui il debitore non l'abbia specificamente dedotta nella memoria di costituzione, difendendosi nel merito. Corte di Cassazione, Sezione 1 civile - Sentenza 16 luglio 2010, n. 16757 Fallimento ed altre procedure concorsuali - Fallimento - Apertura (dichiarazione) di fallimento - Procedimento - Audizione dell'imprenditore - Notificazione del ricorso e del decreto di convocazione - Inosservanza del termine dilatorio ex art. 15, terzo comma, della legge fall. e mancata espressa abbreviazione ex art. 15, quinto comma, legge fall. - Conseguenze - Nullità della "vocatio in ius" - Automaticità - Esclusione - Condizioni - Partecipazione all'udienza del debitore - Sanatoria della nullità - Configurabilità - Fondamento. Nel procedimento per la dichiarazione di fallimento, il mancato rispetto del termine di quindici giorni che deve intercorrere tra la data di notifica del decreto di convocazione del debitore e la data dell'udienza (come

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previsto dalla nuova formulazione dell'art. 15, terzo comma, legge fall.) e la sua mancata abbreviazione nelle forme rituali del decreto motivato sottoscritto dal Presidente del Tribunale, previste dall'art. 15, quinto comma, legge fallimentare, costituiscono cause di nullità astrattamente integranti la violazione del diritto di difesa, ma non determinano - ai sensi dell'art. 156 cod. proc. civ., per il generale principio di raggiungimento dello scopo dell'atto - la nullità del decreto di convocazione se, il debitore abbia attivamente partecipato all'udienza, rendendo dichiarazioni in merito alle istanze di fallimento, senza formulare, in tale sede, rilievi o riserve in ordine alla ristrettezza del termine concessogli, né fornendo specifiche indicazioni del pregiudizio eventualmente determinatosi, sul piano probatorio, in ragione del minor tempo disponibile. Corte di Cassazione, Sezione 1 civile - Sentenza 29 ottobre 2009, n. 22926 Fallimento ed altre procedure concorsuali - Fallimento - Apertura (dichiarazione) di fallimento - Procedimento - Audizione dell'imprenditore - Art. 15 della legge fall., nel testo riformato dal d.lgs. n. 5 del 2006 - Svolgimento secondo le modalità dei procedimenti in camera di consiglio - Instaurazione del contraddittorio - Notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza - Necessità - Omessa notifica o mancato rispetto del termine - Conseguenze - Nullità del ricorso - Esclusione - Rinnovazione della notifica eseguita spontaneamente dalla parte - Efficacia sanante. Nel procedimento per la dichiarazione di fallimento, divenuto - per effetto delle modifiche all'art. 15 della legge fall. introdotte dal d.lgs. n. 5 del 2006, nel testo "ratione temporis" applicabile - un procedimento a cognizione piena, il rapporto cittadino-giudice si instaura con il deposito del ricorso, mentre la successiva fase, che si perfeziona con la notifica al convenuto del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza, è finalizzata esclusivamente all'instaurazione del contraddittorio: pertanto, in caso di omissione della notifica o mancato rispetto del termine assegnato per il suo compimento, non ne deriva, in difetto di espressa sanzione, la nullità del ricorso stesso, ma solo la necessità di assicurare l'effettiva instaurazione del contraddittorio, realizzabile mediante l'ordine di rinnovazione della notifica emesso dal giudice, in applicazione dell'art. 162, primo comma, cod. proc. civ., o mediante la costituzione spontanea del resistente, ovvero ancora, come nella specie, attraverso la rinnovazione della notifica eseguita spontaneamente dalla parte. Corte di Cassazione, Sezione 1 civile - Sentenza 14 gennaio 2003, n. 365 Procedimento civile - Atti e provvedimenti in genere - Nullità - Rilevabilità Ai sensi dell'art. 157 cod. proc. civ., affinché sussista l'obbligo del giudice di esaminare l'eccezione di nullità relativa di un atto processuale, è necessario che la deduzione della medesima ad opera della parte avvenga, oltre che tempestivamente, con la specificazione delle ragioni dell'invalidità. (Sulla base del principio di cui in massima, la S.C. ha ritenuto non sufficiente la deduzione, ad opera del convenuto, della nullità della citazione fatta attraverso il mero richiamo, in forma generica, delle norme coinvolte - nella specie gli artt. 163, numero 7, e 164 cod. proc. civ. -, in mancanza della specificazione dell'elemento della norma - indicazione dell'udienza, invito a costituirsi nel termine, avvertimento che la costituzione oltre il termine implica le decadenze di cui all'art. 167 cod. proc. civ. - cui la deduzione era riferita). . © RIPRODUZIONE RISERVATA REATI CONTRO LA PERSONA Le forme della molestia "telefonica" (art. 660 c.p.) Corte d'Appello de L'Aquila, Sentenza 3 gennaio 2012, n. 4117 Minaccia, ingiuria, molestia o disturbo alle persone - Reati contro la persona - Minacca, ingiuria - Molestia o disturbo alle persone - Circostanze dei reati - Tutela dell'ordine pubblico - Tutela riflessa dell'interesse del singolo - Reato perseguibile d'ufficio

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E' imputabile dei reati di p. e p. dagli artt. 594, 612 e 660 c.p., la prevenuta che arrechi molestia o disturbo per futili motivi ad altra persona, chiamandola ripetutamente al telefono, rimanendo anonima, per rivolgerle minacce ed ingiurie sia verbalmente che attraverso l'inoltro di messaggi SMS. Con la norma di cui all'art. 660 c.p. il legislatore ha inteso tutelare la previsione di un fatto che arrechi molestia alla quiete privata, tutelando in tal modo, la tranquillità pubblica. Pur essendo una disposizione volta alla tutela dell'interesse privato, rileva, in tale ambito, anche l'ordine pubblico ricevendo, l'interesse del singolo, una protezione soltanto riflessa. Ne deriva che il reato de qua è perseguibile ex officio e nell'ipotesi in cui il fatto costituisce contemporaneamente anche un altro reato punibile a querela, come nel caso di specie, la remissione o la mancanza di querela non fa venir meno la contravvenzione di cui all'art. 660 c.p. Essa, invece, rimane assorbita dall'altro delitto, nell'ipotesi in cui si sia in presenza di querela. Corte d'Appello di L'Aquila, Sentenza 3 gennaio 2012, n. 4117 Molestie telefoniche - Estensibilità della tutela penale anche al caso di messaggi inviati con MSN - Sussistenza. La condotta incriminata dall'articolo 660 del codice penale può essere estesa analogicamente al caso in cui le molestie provengano da posta elettronica con l'utilizzo del sistema MSN. Tale sistema, infatti, è in tutto assimilabile a quello di messaggistica istantanea SMS poiché anche rispetto ai messaggi inviati via MSN il destinatario è costretto sia de auditu, sia de visu a percepirli prima di poterne individuare il mittente. I messaggi inviati con MSN, se a contenuto ingiurioso o offensivo, sono perciò idonei a ledere sia la quiete che la tranquillità psichica del destinatario. Corte d'Appello Napoli, Sezione 3 penale, Sentenza 14 dicembre 2011, n. 5122 Molestia o disturbo alle persone - Ipotesi contravvenzionale - Condotta - Molestia - Fastidiosa o inopportuna alterazione della condizione psichica di una persona - Disturbo - Alterazione delle normali condizioni in cui si svolge l'occupazione del soggetto - Valutazione - Criteri - Normale e media psicologia delle persone in relazione al modo comune di vivere delle stesse - Elemento soggettivo - Petulanza o altro biasimevole motivo. La fattispecie criminosa prevista dall'art. 660 c.p. punisce la condotta dell'agente che per petulanza, ovvero per altro biasimevole motivo, in luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero con il mezzo del telefono, reca a taluno molestia o disturbo, e, dunque, la condotta oggettivamente idonea a molestare e disturbare terze persone, interferendo nell'altrui vita privata e nell'altrui vita di relazione. La molestia, rilevate nei termini di cui innanzi, consiste, in particolare, in un'azione che altera fastidiosamente o inopportunamente la condizione psichica di una persona, mentre con il concetto di disturbo si intende ciò che altera le normali condizioni in cui si svolge l'occupazione del soggetto. Ai fini della configurabilità della menzionata ipotesi contravvenzionale, in ogni caso, sia la molestia che il disturbo devono essere valutati in riferimento alla normale e media psicologia delle persone in relazione al modo comune di vivere delle stesse, salvo che siano oggettivamente tali. Nel contesto innanzi esposto si inserisce anche la condotta del soggetto, accompagnata da petulanza o altro biasimevole motivo, che inoltri messaggi di testo tramite telefono cellulare (cd. sms) di contenuto ingiurioso in numero rilevante, da valutarsi alla luce degli elementi menzionati. In tal senso, pertanto, nella fattispecie concreta, contestato alla prevenuta l'invio di circa 40 messaggi al giorno all'ex marito per un periodo temporale di alcuni mesi, deve essere valutato non solo il numero di messaggi, seppure assai rilevante per una persona adulta (a differenza di quanto avviene tra i giovani) ma anche il loro contenuto offensivo, denigratorio, accusatoria e minatorio, seppure in senso lato ed atecnico. Quanto all'elemento soggettivo, non possono assumere alcun rilievo le pulsioni o le ragioni determinati l'agente all'azione, in quanto il reato sussiste anche se si arreca molestia o disturbo alle persone allo scopo di esercitare un proprio diritto o preteso diritto, allorché ciò si faccia con modalità arroganti, impertinenti o vessatorie. Nel caso concreto, in particolare, non incidono sulla esistenza del contestato reato

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i sentimenti dell'imputata, peraltro assolutamente normali e comprensibili in occasione della fine di una lunga relazione sentimentale, né le ragioni che l'hanno spinta a scrivere centinaia di sms all'ex marito. Tribunale di Trento, penale, Sentenza 19 ottobre 2011, n. 863 Molestie o disturbo alle persone - Elementi della fattispecie: condotta oggettivamente idonea a molestare o comunque arrecare disturbo a terze persone e volontà diretta verso il fine specifico di interferire inopportunamente dell'altrui sfera di libertà - Fattispecie: reiterata ripetizione di ben 12 telefonate nell'arco dello stesso giorno - Configurabilità del reato - Sussistenza. Il reato di cui all'articolo 660 de codice penale è integrato da qualsiasi condotta oggettivamente idonea a molestare o comunque arrecare disturbo a terze persone e richiede, sotto il profilo soggettivo, la volontà della condotta e la direzione della volontà verso il fine specifico di interferire inopportunamente dell'altrui sfera di libertà. Perché una condotta possa assumere rilievo ai fini di tale fattispecie, oltre ad essere molesta o arrecare disturbo a terzi, con il mezzo del telefono, ovvero in luogo pubblico o aperto al pubblico, deve essere accompagnata da petulanza o altro biasimevole motivo. La consistente e reiterata ripetizione di ben 12 telefonate concentrate nell'arco del pomeriggio dello stesso giorno, integra i requisiti del reato in oggetto ed in particolare della petulanza, la quale consiste in un'insistenza eccessiva, e perciò fastidiosa, di invadenza nell'altrui sfera personale. Corte d'Appello di Palermo, Sezione 1 penale, Sentenza 15 ottobre 2011, n. 3018 Molestia o disturbo alle persone - Elemento materiale - Invio di corrispondenza elettronica - Rilevanza - Esclusione - Fattispecie. (Cp, articolo 660) Ai fini della configurabilità della contravvenzione di cui all'articolo 660 del Cp, al termine «telefono» (che costituisce la tassativa modalità di trasmissione della molestia, rilevante per la sussistenza del reato, alternativa a quella, di carattere topografico, del luogo pubblico o aperto al pubblico in cui si svolge la condotta costitutiva del reato), deve essere equiparato qualsiasi mezzo di trasmissione, tramite rete telefonica e rete cellulare, di voci e di suoni imposti al destinatario, senza possibilità per lui di sottrarsi all'immediata interazione con il mittente. Ne deriva, che può integrare il reato la trasmissione di posta elettronica su un telefono attrezzato che, con modalità sincrona, consenta di segnalare l'arrivo di mail con un avvertimento acustico. Diversamente, non sussiste il reato nel caso di invio di mail realizzato tramite computer, giacché, in tal caso, la posta elettronica inviata può essere letta dal destinatario, per nulla avvertito dell'arrivo, solo se e in quanto questi decida di aprirla, realizzandosi una situazione del tutto simile alla ricezione della posta per lettera, cui il destinatario accede per sua volontà (da queste premesse, la Corte ha annullato senza rinvio, con la formula «perché il fatto non è previsto come reato», la sentenza che, invece, aveva ravvisato la contravvenzione nella condotta sostanziatasi nell'invio di messaggi molesti tramite internet sul computer del destinatario). Corte di Cassazione, Sezione 1 penale, Sentenza 12 ottobre 2011, n. 36779 © RIPRODUZIONE RISERVATA