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entre era in elaborazione questo trentatreesimo numero della nostra rivista, nel quale era previsto un ricordo del poeta bresciano mons. Fausto Balestrini a un anno dalla morte 1 , se n’è andato un altro testimone importante della cultu- ra libraria a Brescia: Rino Resola, fondatore e titolare della Libreria Resola. Quanti, a Brescia e in provincia, hanno passione per i libri, sanno quanto ha fatto Rino Resola per la bibliofilia nel suo senso più alto, pienamente etico, dove la diffusione dei libri presuppone una precedente, saggia ricerca dei libri migliori, dei “buoni libri”, che con i loro retti discorsi costruiscono la maturazione della persona e, come sapeva Aristofane, sono la migliore dife- sa della città. Ho l’onore di poterlo affermare per esperienza personale, da quando, quarant’anni fa, ginna- siale all’Arnaldo di fresca impor- tazione dalla Valcamonica, ebbi dai miei genitori il conto aperto presso la Libreria Resola, dove acquistavo anche i testi scolastici, ma soprattutto ho cominciato a rifornire di libri la mia nascente biblioteca, approfittando della vastissima disponibilità dei suoi scaffali 2 , che allineavano a piano terra e al primo piano le novità di narrativa e saggistica, ma con- servavano nel piano sottostante la vecchia BUR, la Biblioteca Universale Rizzoli nell’edizione disadorna, con la copertina bigia, che il Signor Resola, con signori- le generosità, non faceva riprez- zare, e manteneva quindi prezzi da favola, 100 o 150 lire al volu- metto singolo, cioè fino a 600 per il tomo quadruplo (solo gli ulti- missimi numeri, tra i quali ricor- do i “Detti e fatti memorabili” di Valerio Massimo, giungevano a 800 lire, equiparandosi così agli altri supereconomici, gli Oscar Mondadori): con poche migliaia di lire si portavano a casa due borsoni, gonfi di parole e di voci d’ogni tempo e Paese! Ma ai piani superiori non manca- vano libri rari, appetibili anche da palati più raffinati e bibliote- che più doviziose: pregiatissimi ‘fuori catalogo’, vecchi libri di storia bresciana ormai irreperibi- li altrove, qui conservati con rile- gature artigianali per la gioia dell’appassionato di cose belle; e se c’era bisogno del volume stampato all’estero, fosse l’edi- zione critica d’un classico antico o in lingua di un autore straniero, o la più recente del “Dictionnaire étymologique de la langue latine” di Ernout e Meillet, professori e studenti universitari potevano contare sull’efficienza della Libreria Resola. Indaffaratissimo nella stagione primaverile delle adozioni e autunnale degli acquisti scolasti- 1 EDITORIALE di Mino Morandini Professore di Lettere Ginnasiali al Liceo Classico Arnaldo da Brescia. M Tre statuette, in bronzo, ebano e altro legno (da sinistra ) raffiguranti un uomo che legge un libro. Esse provengono da artisti diversi in luoghi diversi del Burkina Faso.

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entre era in elaborazionequesto trentatreesimonumero della nostra rivista,

nel quale era previsto un ricordodel poeta bresciano mons. FaustoBalestrini a un anno dallamorte1, se n’è andato un altrotestimone importante della cultu-ra libraria a Brescia: RinoResola, fondatore e titolare dellaLibreria Resola.Quanti, a Brescia e in provincia,hanno passione per i libri, sannoquanto ha fatto Rino Resola perla bibliofilia nel suo senso piùalto, pienamente etico, dove ladiffusione dei libri presupponeuna precedente, saggia ricercadei libri migliori, dei “buonilibri”, che con i loro retti discorsicostruiscono la maturazione dellapersona e, come sapevaAristofane, sono la migliore dife-sa della città.Ho l’onore di poterlo affermareper esperienza personale, daquando, quarant’anni fa, ginna-siale all’Arnaldo di fresca impor-tazione dalla Valcamonica, ebbidai miei genitori il conto apertopresso la Libreria Resola, doveacquistavo anche i testi scolastici,ma soprattutto ho cominciato arifornire di libri la mia nascentebiblioteca, approfittando dellavastissima disponibilità dei suoiscaffali2, che allineavano a pianoterra e al primo piano le novità dinarrativa e saggistica, ma con-servavano nel piano sottostantela vecchia BUR, la BibliotecaUniversale Rizzoli nell’edizione

disadorna, con la copertina bigia,che il Signor Resola, con signori-le generosità, non faceva riprez-zare, e manteneva quindi prezzida favola, 100 o 150 lire al volu-metto singolo, cioè fino a 600 peril tomo quadruplo (solo gli ulti-missimi numeri, tra i quali ricor-do i “Detti e fatti memorabili” diValerio Massimo, giungevano a800 lire, equiparandosi così aglialtri supereconomici, gli OscarMondadori): con poche migliaiadi lire si portavano a casa dueborsoni, gonfi di parole e di vocid’ogni tempo e Paese!Ma ai piani superiori non manca-vano libri rari, appetibili ancheda palati più raffinati e bibliote-

che più doviziose: pregiatissimi‘fuori catalogo’, vecchi libri distoria bresciana ormai irreperibi-li altrove, qui conservati con rile-gature artigianali per la gioiadell’appassionato di cose belle; ese c’era bisogno del volumestampato all’estero, fosse l’edi-zione critica d’un classico anticoo in lingua di un autore straniero,o la più recente del “Dictionnaireétymologique de la langue latine”di Ernout e Meillet, professori estudenti universitari potevanocontare sull’efficienza dellaLibreria Resola.Indaffaratissimo nella stagioneprimaverile delle adozioni eautunnale degli acquisti scolasti-

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EDITORIALE

di Mino MorandiniProfessore di Lettere Ginnasiali al Liceo Classico Arnaldo da Brescia.

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Tre statuette, in bronzo, ebano e altro legno (da sinistra ) raffiguranti un uomo chelegge un libro. Esse provengono da artisti diversi in luoghi diversi del Burkina Faso.

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ci, Rino Resola trovava comunqueil tempo per un parere da esperto-ricordo un suo suggerimento suChesterton, perché è molto piùche un autore di gialli e narrativapiacevole-, accompagnato per ifrequentatori più affezionati daun omaggio o da uno sconto spe-ciale.Figure come Rino Resola eFausto Balestrini fissano nellamemoria la dimensione umanisti-ca della cultura occidentale dellibro, che dalle origini cosiddette‘barbariche’, povere, ma sane delMedioevo cristiano, sull’intreccio‘ad personam’ tra progresso tec-nico e interesse economico, fina-lizzato alla ricerca responsabiledi un benessere al tempo stessoindividuale e collettivo, ha fonda-to e definito la libertà di ciascuno

e di tutti.Dove questo non è avvenuto, ilristagno nell’era del manoscrittocomporta situazioni di bloccosocio-culturale come quella sug-gestivamente descritta dal contri-buto di Marco Sassetti su “Lebiblioteche islamiche dellaMauritania”: affascinanti per lostudioso, ma piuttosto scomodeper la gente alle prese con la vitad’ogni giorno e la crescente ine-luttabilità della globalizzazione,che rende ancor più precarie lecondizioni già difficili dei popolisahariani e subsahariani3.Ma ben peggiore è l’esito delconnubio tra l’orientale religionedel Libro Unico (che rende super-flui tutti gli altri...), sia esso ilCorano degli ayatollah o “IlCapitale” (o il libretto rosso

maoista: non importa) degli epi-goni nordcoreani, e la tecnologiaoccidentale scristianizzata, l’ido-latria della Bomba che tuttodistrugge (e si può incarnare,rovesciando l’Incarnazione, nel-l’uomo-bomba), perseguita daIran e Corea del Nord con diver-se impostazioni ideologiche, macon pari accanimento, nel piùassoluto disinteresse per le neces-sità reali della popolazione!È cronaca di questi giorni l’an-nuncio di un nuovo lancio missili-stico nella Corea del Nord, atta-nagliata dalla mancanza di cibo emedicinali, e l’atroce repressionein corso in Iran: alle vittime va ilcommosso omaggio dellaRedazione di “Misinta”.

1 Qui pubblicato nei “Diari bresciani”.2La fonte deuteragonista era la Libreria di Alfredo Tarantola, in Corso Palestro, e poi in sottordine le altre, a Brescia e dovunquemettessi piede: dalla Milano dei successivi anni universitari alla Cracovia degli Anni ‘80.3 A questo proposito giova ricordare l’attività anche del nostro Segretario, Filippo Giunta, da qualche anno impegnato come volon-tario nel settore medico-ospedaliero in Burkina Faso, come già nel numero 32 s’era parlato della bresciana UnAfrica in azione inTanzania: in entrambi i casi il motore primo è il libro moderno, il manuale universitario di medicina che dà le conoscenze necessa-rie e, prima ancora, la cultura umanistica del libro che genera la cultura umanitaria del dono gratuito.

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(La prima parte è stata pubblica-ta nel numero 32 di questa rivistauscito nel dicembre 2008)

Il distacco dell’Occidente

Già dal XII secolo in Europacompare un nuovo tipo di libro,

un nuovo tipo di pagina, unnuovo concetto di lettura.. I para-grafi suddividono i contenuti, contitoli che rimandano alle variesezioni di testo, un indice e unapaginazione più chiara compaio-no in ogni volume.

Il nuovo Format nasce in funzio-ne delle nascenti università, faci-litando il rapido reperimento del-l’informazione da utilizzare edibattere.Poi nel XV secolo c’è una cosache sicuramente successe sola-

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LE BIBLIOTECHE ISLAMICHE DELLA MAURITANIA

La carta e la tecnologia del manoscritto, momento di integra-

zione culturale nel bacino del Mediterraneo (parte seconda)

di Marco SassettiRestauratore manoscritti, Docente Procedure di restauro Università di Genova, Bibliofilo*

*Marco Sassetti è docente di Procedure di restauro dei Beni Culturali Mobili, Bibliografici ed Archivistici Tutelati, nel Corso diConservazione di Beni Culturali dell'Ateneo di Genova, è Direttore Tecnico del Laboratorio di restauro del libro S.Agostino, fondae ne diviene segretario nel 1994, l'Associazione Restauratori Archivi e Biblioteche ARAB.

Legatura con patta e mandorla a tarsia e rotelle a secco.

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mente in Occidente, che ad uncerto punto determinò unaimprovvisa cesura e discrasia dicrescita nell’assetto del mondo ecioè il suo modo di immagazzina-re, produrre, diffondere l’informa-zione, intesa sia come Significa-to-Energia sia come tecnica ocodice, ovvero l’insieme di tecni-che, metodi e regole per la forma-zione di un messaggio.Fu inventata la Stampa a caratterimobili intorno alla metà del XVsecolo: nasce la GalassiaGutemberg. La transizione dal calamo tempe-rato a mano alla fusione in piom-bo dei caratteri mobili della stam-pa, lo spostamento dagli scrittoriimonastici o universitari all’offici-na-bottega tipografica evidenziain modo impulsivo e rivoluziona-rio come il nuovo metodo diimmagazzinamento dell’anticacultura tradizionale (momento disostituzione meramente tecnicadel manoscritto) crea la necessitàdi nuove informazioni, formattan-dole in modo originale (il libro astampa diviene il primo Mediamoderno).Questo nuovo oggetto tecnologi-co diviene strumento di trasmis-sione della nuova Energia,“l’Informazione, il Dato” modifi-cando e plasmando velocementela Formattazione del processo delpensiero e la visione della realtà,già lentamente iniziato dall’intro-duzione dell’alfabeto fonetico

greco-romano. L’invenzione della Tipografiagenerò immediatamente il primoprodotto industriale e culturalevirtualmente ripetibile all’infinito,il sistema dei prezzi, il concettodi proprietà letteraria d’autore, ilmarchio di fabbrica, e molto altroancora.(cfr.Galassia Gutemberg,M.McLuhan, Armando, 1976).Soprattutto però liberò il sensodella vista, e attraverso la codifi-cazione dei caratteri dell’alfabetoromano, uniformò la grafia deinumeri indo-arabi, rendendo pos-sibile la nascita del “punto divista” individuale, la prospettiva,cioè la capacità di visualizzare edisporre la tridimensionalità deglioggetti ed eventi nello spaziobidimensionale della tela, delmuro o in quello a enne dimen-sioni della mente attraverso la“misura” proporzionale del“davanti e dietro” del “ prima edel poi” mediato dal passaggiodal “qui e ora”.Tutto ciò creò la Scienza, intesacome Indagine, Misura eRiproduzione dei fenomeni dellarealtà. La scienza moderna, così comenoi l’intendiamo - fondata cioèsull’esperienza diretta, l’esperi-mento di laboratorio, e priva diqualunque legame con “visionidel mondo” teologiche o filosofi-che - è parte fondamentale dellasostanza stessa dell’Occidente inquanto modernità1.

La Stampa cambiò, esaltando ilsenso della vista, la percezionedel tempo e dello spazio in unmondo già rappresentato da alfa-beti sequenziali, rendendo possi-bile la scoperta dello SpazioGalileiano e della MeccanicaClassica. Il linguaggio, prima “tecnica”delle civiltà antiche, trasmigraattraverso l’alfabeto - dapprimainciso su materie dure, poi pitto-grafato, dipinto e finalmentemanoscritto con il calamo - dive-nendo materia prima del nostromondo, trasformandosi via via in“Informazione” Le nostre rappresentazioni sonocostruzioni fatte di alfabeti checostituiscono parte significativadel nostro paesaggio mentale.Dalla trasmissione dellaInformazione e della Cultura dauna “machina mnemonica “ aduna altra - gli uomini - siamo pas-sati, attraverso l’invenzione deglialfabeti, al trasferimento delLinguaggio attraverso un Mediatecnologico costituito dalle varieforme che il Libro ha avuto dadopo Platone ai nostri giorni. La mitologia greca indica il reCadmo come portatore dell’alfa-beto fonetico che è una tecnologiadel tutto particolare, che a diffe-renza della scrittura, pittografica(egiziana, cinese) e sillabica con-sonantica (ebraica e araba), facorrispondere a lettere semantica-mente prive di significato suoni

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1 Cartesio affidò immediatamente alla editoria olandese, la più attiva e "moderna" della sua epoca, il suo Discorso sul Metodo chefondava la modernità del punto di vista individuale nell'analisi del mondo basato sull'osservazione diretta della realtà fisica e sullinguaggio matematico

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altrettanto privi di significato insè, provocando la prima spartizio-ne tra il mondo audio-tattile e ilmondo visivo. Il Significato eragarantito dalla conoscenza condi-visa del Codice semantico fra ilettori-scrittori-pubblico.L’alfabeto divenne strumento dipotere, autorità e controllo adistanza veicolando Informazioni,quindi Energia.L’uso sempre più diffuso di sup-porti scrittori leggeri ed economi-ci, rese sempre meglio trasporta-

bile l’Informazione: il Librodivenne la tecnologia più diffusa,interiorizzata e consueta, emble-maticamente definibile un “accu-mulatore di energia”. Pensiamo alla distanza che inter-corre nei confronti della trasmis-sione del sapere espressa daPlatone, che indicava la “memo-ria” come base della conoscenzadella cultura orale, nella quale leparole pronunciate venivano con-servate nella mente in quanto“idea “concretizzata dal senso

dell’udito secondo il loro Suono,non avendo allora un consolidatoaspetto ottico e visivo dato dallagrafia dell’alfabeto scritto “E cosìora tu, per benevolenza versol’alfabeto di cui sei l’inventore,hai esposto il contrario del suovero effetto. Poiché esso ingene-rerà oblio nelle anime di chi loimparerà: essi cesseranno diesercitarsi nella memoria perché,fidandosi di esso alfabeto, richia-meranno le cose alla mente nonpiù dall’interno di se stessi, ma

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Legatura XVII sec.

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dal di fuori attraverso segniestranei: ciò che tu hai trovatonon è una ricetta per la memoria,ma per richiamare alla mente. Nétu offri vera sapienza ai tuoi sco-lari, ma ne dai solo l’apparenza,perché essi, grazie a te, potendoavere notizie di molte cose senzainsegnamento, si crederannod’essere dottissimi, mentre per lamaggior parte non saprannonulla; con loro sarà una sofferen-za discorrere, imbottiti di opinio-ni invece che sapienti”(Platone,Fedro, 274 c-276 a) da quella

espressa invece dal principe afri-cano Modupe che racconta il suoincontro con la parola scritta inAfrica occidentale nel XIX seco-lo: ”Il solo spazio affollato nellacasa di Padre Perry erano gliscafali della libreria. A poco apoco arrivai a capire che i segnisu quelle pagine erano paroleintrappolate. Chiunque era ingrado di imparare a decifrare isimboli e a rimettere in libertà leparole intrappolate reinserendolein un discorso. L’inchiostro tipo-grafico intrappolava i pensieri,

che non potevano andarsene piùdi quanto un doomboo possasfuggire da una fossa. Quandocompresi sino in fondo ciò chequesto significava, provai la stes-sa emozione e lo stesso stupore diquando avevo visto per la primavolta le scintillanti luci diKonakry. Rabbrividii per l’inten-sità del desiderio di imparareanch’io a fare questa cosa mera-vigliosa.2. L’uso della parolascritta come strumento e veicolodi conoscenza, assurto a metodocon Aristotele e la Scolastica, efinalmente la canonizzazione del-l’alfabeto tramite la Stampahanno consolidato le Culture chehanno saputo trasformare lacoerente linearità sequenziale dei“neri segni su fondo chiaro” intecnologia-materia prima- che haformattato e permeato le strutturepsichiche e sociali. La frammen-tazione e la specializzazione del-l’esperienza in moduli uniformiha prodotto uno sviluppo espo-nenziale della conoscenza appli-cata, generando il segreto delpotere dell’ Uomo Occidentaleche dalla rivoluzione gutenber-ghiana ha saputo creare semprepiù sofisticate tecniche di imma-gazzinamento, trasporto e utilizzodell’informazione, attraverso l’ap-

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Manoscritto disinsabbiato

2. Marshall McLuhan , Gli strumenti del comunicare, Milano, 2002)3 L'incremento fondamentale per la formattazione della mente "moderna" avviene quando in Grecia all'uso dell'alfabeto foneticosequenziale si aggiungono le vocali e soprattutto si comincia scrivere e leggere da sinistra a destra permettendo per la prima volta alcervello umano intento a leggere di "lateralizzare" con preferenza alla parte destra del campo visivo che è controllata dalla partesinistra del cervello che è quella preposta alla analisi sequenziale e scomposta degli eventi meglio adatto a elaborare in modo "ridu-zionistico" contenuti linguistici, logici e analitici, che poi vengono confrontati con la visione generale complessiva "olistica" che èprecipua dell'emisfero destro responsabile delle attività creative, artistiche e intuitive: in ogni singolo occhio il Chiasma ottico divi-de lungo l'asse verticale la visione smistando le informazioni provenienti dalle sezioni Sx e Dx del campo visivo rispettivamenteagli emisferi cerebrali opposti ( cfr: D.De Kerckove Dall'alfabeto a internet, Mimesis Mi 2008.

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plicazione delle teorie scientifichedell’elettricità, dell’elettromagne-tismo e della natura della luce,effettuate esclusivamente con ilformat mentale occidentale ed inepoca gutemberghiana.Questa è l’unica vera grande dif-ferente “abilità” che può vantarela civiltà occidentale nei confrontidelle altre.La cosiddetta Civiltà Occidentalesi fonda sull’alfabeto foneticosequenziale, in quanto tecnologiache permette l’elaborazione uni-forme del pensiero mediante l’e-stensione del senso della vista cheha creato lo spazio-tempo gali-leiano3.Nelle Civiltà con cultura mediatada alfabeti non fonetici o nelleculture tribali il senso della vistanon è disgiunto dagli altri e l’e-sperienza della realtà è di tipoaudio-tattile.Tutte le lingue del mondo occi-dentale colonizzato dagli Europei,dalla Russia al Portogallo,dall’Italia alla Groenlandia,dall’Alaska alla Terra del Fuocoall’ Oceania usano l’ alfabetoderivato dalle lettere greco-roma-ne. La capacità di dividere ilsegno e il suono dal contenutoverbale e semantico ne fa una tec-nologia adatta alla trasposizione el’omogeneizzazione delle culture,permettendo una facile traslittera-zione -traduzione di significato

lessicale da una lingua all’altra.Le altre forme di scrittura , araba,cinese, giapponese sono caratte-rizzate dall’essere state utilizzatea lungo da una sola cultura,dando alla tipologia alfabeticauna connotazione di voluta sepa-ratezza dalle altre, mantenendovistrutture sociali e famigliari ditipo tribale. Nell’Africa non islamizzata d’og-gi, come lo è stato nell’Europaconquistata dai Romani, è suffi-ciente una generazione di alfabe-tizzati in inglese o francese perinnescare il distacco dell’indivi-duo dalla socialità tribale, contutto ciò di negativo e positivoche tale repentinità comporta.I Paesi Arabi Mussulmani conscrittura di origine fonetica –con-sonantica e alfabeto calligrafico,che nell’epoca del MediumManoscritto, erano sostanzial-mente psichicamente contigui manon uguali agli OccidentaliCristiani di origine alfabeticaGreco-Romana, hanno continuatoa editare, pubblicare, diffondere eformattare la loro lingua e la lorocultura in Modalità Manoscrittofino al XIX e prima metà del XXsecolo, non avendo -potuto e/ovoluto- introdurre la Stampa neiloro confini culturali e territorialia mio avviso proprio perchè laLingua Araba, la Scrittura Arabae la Formattazione particolare del

pensiero Arabo derivano i fonda-menti dall’istituzione del Corano-Libro-Manoscritto. “La scrittura araba ha un grandedifetto”, ebbe a dire Abu’ Raihanal Birùnì, ( matematico, 973-1048) “ovvero la somiglianzadella forma di alcune lettere e lanecessità di distinguerle conpunti e segni di flessione. Se sitralasciano, il senso divieneincomprensibile”.Inoltre la grafia araba “informa “la lettura ad alta voce nelle moda-lità delle “quantità” e del “tono”da conferire alle parole, come adesempio ben evidente nelle regoledelle sette diverse letture delCorano 4.

Questa caratteristica influenzaanche la relazione sintattica fra lesingole parole e nel momentodella loro calligrafia il cursus del-l’alfabeto si colloca diversamentein rapporto alla tripartizione delrigo In una certa misura ogni parolaassume una sua forma, quasi unideogramma a valore autonomofino a divenire arte figurativa avalore “magico- evocativo”.Gli Arabi hanno sempre coltivatoi risvolti estetici della loro scrittu-ra, concependo il documento gra-fico solo se prodotto a mano dal-l’uomo, e in particolare il Librosolo in quanto “mahtùt” (mano-

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4. Secondo la tradizione il Corano è stato rivelato in sette “lingue” intese come dialetti ma con un unico significato data la presen-za di diverse tribù nella penisola arabica, il cui grado di alfabetizzazione era inizialmente basso ed eterogeneo, ed era quindi neces-sario facilitarne la comprensione e la lettura a tutti. Si formarono quindi almeno sette scuole tra Kufa, Medina, Mecca, Bassora e laSiria sulle quali si basano quattordici versioni differenti con diverse regole di lettura salmodiata (tajwid), di vocalizzazione di alcu-ne parole e nella divisione dei versetti.

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scritto) e costruito “masnù”(fattoa mano), come prodotto artigiana-le e artistico, sviluppando inmaniera eccezionale la formadella scrittura calligrafica, fino adiventare il sostituto iconograficodella raffigurazione umana nel-l’arte islamica. Questo non fa necessariamentedell’Islam la “civiltà della scrittu-ra” per eccellenza, come laCinese. Solo la scrittura delCorano diviene l’unica scritturaiconica, e quindi sacrale, e solo iversetti del Corano si comporran-no sugli oggetti artistici islamici,tranne rari esempi in ambientipersiani e turchi. In una città legata commercial-mente coll’ Oriente arabo comeVenezia, sede tipografica di pri-maria importanza, venne tentato ilprimo programma di sfruttamentoeconomico dell’editoria in araboda parte dell’editore AlessandroPaganino: la stampa in arabo delCorano nel 1538 era pronta.

L’impresa fallì e i volumi rimase-ro invenduti, ma se la stampafosse stata compatibile con laconcezione del Corano intesosolo come testo, presso il mondoIslamico il successo sarebbe statoclamoroso 5.

Inoltre la cultura letteraria, lapoesia, in epoca preislamica nontrovava nella forma scritta il suoveicolo di trasmissione principale,che rimaneva orale.Solo la necessità della trascrizio-ne della profezia coranica indusseuna ricerca lessicale e grafica piùpuntuale per una registrazione piùanalitica del testo introducendoforme ortografiche come i puntidiacritici, le vocali brevi, “hamza,shadda, “ecc.Solo da quel momento la scrittu-ra, nella sua accezione meramentegrafica (khatt), riceve un impulsodella sacralità del Testo Sacroapplicandosi e diversificandosipoi per ogni forma letteraria, con

specifici stile e forme.Se è vero che ogni lingua è unmodo convenzionale con cui lepopolazioni rappresentano ecomunicano il reale, e ne diventamezzo di conoscenza, quando ilTesto-Significato ,Rivelato daDio, trasferito da un LibroManoscritto diviene la più altarappresentazione identitaria di unpopolo, succede che tale Mediumcondizioni a sua volta i successivicodici linguistici e i successivimodi di organizzare la percezionedella realtà.Via via che un medium del passa-to si trasforma, evolve nelmedium successivo, trasferendoinalterate alcune caratteristichefondamentali, costruendo un pro-cesso di accumulazione, nonsostituendo il precedente, macombinandovisi.Nell’Islam Arabo ciò è avvenutosostanzialmente solo con l’intro-duzione della stampa quotidiana,dell’elettricità, quindi della radio,

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5. Il testo del Corano è stato tradotto in latino nel 1142 da Robert de Ketton su commissione di Pietro il Venerabile e da quelmomento conosciuto in occidente con altri scritti sull’Islam, attraverso il “corpus di Cluny o Collectio Toletana”. Angelo MichelePiemontese ricostruisce la diffusione di codici arabi e tradotti in latino ed ebraico nell’entourage di Marsilio Ficino e Pico dellaMirandola. Guglielmo Raimondo Monchates nel 1482 mise in cantiere una edizione mai realizzata, con testo originale a fronte, epoi Paganini a Venezia nel 1537-38 editò il Corano in carattere Arabo, scomparso per secoli e recentemente ritrovato in una copia.La prima edizione a stampa che ufficilamente divulgò il Corano negli ambienti culturali europei fu pubblicata a Basilea nel 1543 daJohannes Oporinus, a cura di Bibliander iniziando il confronto culturale e religioso con la cultura Ottomana. Di recente alcunibrani in volgare italiano del Corano sono stati scoperti da Luciano Formisano, dell’Università di Bologna, da riferire al canonicoMarco della Cattedrale di Toledo, che li curò tra il 1210 e il 1213. Essi sono stati trovati nel codice Riccardiano 1910, autografo diPiero di Giovanni Vaglienti (Firenze, 1438), molto precedenti quindi alla versione di Andrea Arrivabene del 1547, e a quella diLudovico Marracci, poi stampata a Padova solo nel 1698.6 molti artigiani e commercianti greci, armeni, ebrei e occidentali si "islamizzavano" per convenienza convertendosi e cambiandonome 7. Il Corano è stato tradotto in quasi tutte le lingue, ma i musulmani utilizzano tali traduzioni solo come strumenti ausiliari per lostudio e la comprensione dell’originale in arabo, la cui recitazione liturgica da parte del fedele musulmano deve avvenire sempre ecomunque in lingua araba, essendo il Corano “Parola di Dio” ( kalimat All?h ). Sostanziale la differenza con l’ Ebraismo per il quale gli Scritti Sacri Biblici e Talmudici sono “dottrina- Torah” e l’ebraico è l’uni-ca “lingua del Santuario”, mentre qualsiasi lingua con cui la Bibbia si esprima è di per sé stessa “santa”. Nel Cristianesimo, leScritture Sante sono solo scritto, cioè “Testamento”, e motivo di diffusione e imposizione della Bibbia furono anche le numerossi-me traduzioni che hanno permesso a gruppi lingustici diversi di leggerla nella propria lingua.

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della televisione e di internet, dalXIX al XXI secolo.La fase indispensabile per laseparazione tra vista, suono esignificato, possibile solo conl’uso dell’alfabeto fonetico, cioèl’era tipografica gutemberghianain grado di estendere i suoi effettia livello sociale e psicologico,non ha mai efficacemente operatonell’Islam Arabo.Nell’Islam Ottomano la stampa èstata utilizzata per produrre testidal XVIII secolo in poi, ma daparte di tipografi non arabi e nonnecessariamente islamici6 (motivi

di dragomannato alla “SublimePorta”), e nel caso dei libri lito-grafici del XIX secolo essa erapercepita veramente solo come unsistema più rapido di scrivere unalfabeto psichicamente interioriz-zato come manoscritto, come ori-ginariamente creduto anche inEuropa dai primi contemporaneidi Gutemberg. In Mauritania a Nouackhott, oggisi entra in una delle innumerevoli“copisterie” a fare fotocopie ditesti come un volta si andava dalcalligrafo per farsi fare un mano-scritto.

Teniamo presente che ad esempioin Egitto la stampa a caratterimobili è stata portata daNapoleone e che solo nel XXsecolo il Corano è stato stampatocon le edizioni posteriori allaguerra mondiale a cura del reFouad e non può essere editatosenza certificazione di un gruppodi Ulema che possono attestarnel’esattezza e che comunque rima-ne anche nella forma del librosoltanto un testo orale convertitoin caratteri a stampa 7.

L’Islam Arabo è rimasto perciò a

Scaffalatura tipica in pietra

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lungo – sicuramente fino allacaduta dell’impero ottomano- maper molti versi anche al giornod’oggi, una cultura sostanzial-mente audio-tattile come adesempio l’indiana e la cinese.Esse possono essere anche supe-riori alla cultura occidentale inmolte delle loro percezioni e delleloro espressioni, ma non ugualicome configurazione. Le cultureaudio-tattili non hanno la nostrastessa visione dell’ esistenza delpunto di vista individuale o delcittadino separato dal contestosociale semplicemente perché iconcetti di spazio e di tempo nonsono né continui né uniformi, nonsequenziali ma intimamente cor-relati ad un visione collettiva,simultanea nel sentire e nel proce-dere.

Dal momento che gli esseriumani non reagiscono al mondoesistente come realtà oggettiva,ma al mondo che essi costruisco-no nella loro mente e che “lecomponenti cognitive dell’orga-nizzazione mentale di un certoindividuo sono prodotti delle sueprecedenti esperienze di appren-dimento, che possono essere stateintenzionali, accidentali, sociali osolitarie, e che la società puòessere considerata come un siste-ma di significati, e gli individuicondividono un patrimonio comu-ne di significati legati ai simbolidella lingua e da questa attivitàinterpersonale derivano le aspet-tative – stabili e ugualmente con-divise – che guidano il comporta-mento secondo modelli prevedibi-li” (M. DeFleur e S. J. Ball-Rokeach, “Teorie delle comunica-zioni di massa”, pag. 51, IlMulino, 1995), possiamo ben direche ,a causa del suo alfabeto escrittura, la lingua Araba non haun sua Parola che esprime ilnostro concetto di Democrazia, ilche non vuol dire che non esisteun lessico in grado di esprimere isentimenti umani che sono conte-nuti nel condensato foneticogreco Democrazia.Semplicemente usano la fonazio-ne “Democratia” , importando laparola in epoca contemporanea,dal lessico consuetudinario dellinguaggio socio-politico occiden-tale, traslitterandola più che tra-ducendola in caratteri arabi, nonessendovi una formattazionementale equivalente. L’adozionedell’alfabeto fonetico occidentale

può aiutare oggi a trasformare lecaratteristiche fondamentalmenteaudio-tattili della lingua araba -alqur’àn uguale recitazione- perchéanche l’Islam Arabo possa svilup-pare quegli schemi lineari e visiviche hanno prodotto in occidente,lungo i secoli e con grande soffe-renza, le organizzazioni statalicentralizzate a base democratica eun’unità sociale basata su valoricondivisi e tolleranza (se è questoche veramente desiderano o desi-deriamo).

Questo è sostanzialmente avvenu-to negli anni venti del ‘900 inTurchia, dove Ataturk prendendoil potere ha vietato in modoimprovviso l’uso della scritturaaraba laicizzando lo Stato, soppri-mendo la legge coranica comestrumento di governo, introducen-do l’alfabeto occidentale, il siste-ma metrico decimale e quindi laStampa, facendo della Turchia loStato a religione islamica piùvicino all’occidente. La ricercascientifico-tecnologica, nelmondo musulmano, è forte inpaesi come Turchia, Iran( paesedi cultura indo-europea, che hausato lungamente la scritturasiriana anche litografata e ilPahlavi come lingua) e Malaysia(non si usa l’alfabeto arabo e l’in-segnamento superiore è ampia-mente in inglese o francese), dovepiù lucidamente ci si va ponendoanche il problema del rapportocon la globalizzazione, l’econo-mia capitalistica, la democrazia,l’informazione e la catena produ-zione-profitto-consumo.

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Moschea di Chinguetti

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Le implicazioni sociali: dialogo

fra culture.

Ora che la nostra cultura si stastaccando dall’era di Gutenberg,possiamo individuare con mag-giore chiarezza le sue caratteristi-che fondamentali, che sono l’o-mogeneità, l’ uniformità e la con-tinuità, create in centinaia d’annidall’uso dell’alfabeto foneticosequenziale: queste prerogativeche assicurarono ai greci e airomani un facile predominio suibarbari non alfabeti, potrebberoessere utilizzate per migliorare ilprocesso di globalizzazione dellademocrazia, evitando gli errori eeccessi del passato, dal momentoche l’impatto con una società dif-ferente altera i suoi media provo-cando un diverso tipo di influenzapsicologica e culturale sullesocietà e sugli individui.L’introduzione e l’uso di mediaspecifici influenza la società e gliindividui riformattandone i com-portamenti e gli atteggiamenti.Qui sta appunto il dilemma: stabi-lire fino a che punto sia possibilemodernizzare l’Islam e al tempostesso, e in quale senso, islamiz-zare la modernità.

Secondo Huntington, i popoli egli uomini non si identificano piùsolo in base all’ideologia politicao al sistema socio-economico incui vivono, ma tendono a definirela loro identità personale su basilinguistiche e religiose, aderendoalle proprie tradizioni e costumi,indipendentemente dal contestosociale globale dove si troverannoa vivere per necessità o nascita.

All’interno di queste società mul-tiidentitarie è probabile cheavverrà lo scontro vero, anchedrammaticamente violento, fra leoligarchie economiche e tecnicheche domineranno attraverso larappresentanza politica, fautricidella modernità e del consumo ele folle impoverite materialmentee moralmente deluse di ognisocietà che non crederanno più inun futuro possibile e vivibile, acausa delle incalzanti contraddi-zioni del modo di vivere Occi-dentaleOggi questo scenario dello scon-tro di civiltà è attualizzato inmodo particolare dal fondamenta-lismo islamico. Non è utile leggere il passato e ilpresente del mondo e prevederneun futuro possibile utilizzandol’ottica del linguaggio proprio osecondo categorie e punti di vistatipici ed esclusivi delle società ecultura occidentale.Banalmente occorre fare una seriedi sforzi tesi a interiorizzare unaserie di concetti che devono porsicome pregiudiziali per compren-dere il fenomeno conosciuto echiamato oggi “scontro di civil-tà”.

Occorre tenere presente che lapeculiare nostra visione del realesolo legato alla realtà fenomenica,e all’esperimento ripetibile, nonsolo non è stata sempre credutavera, ma neanche sostanziale estrumentale alla visione delmondo. Per molte culture medie-vali e per le società tribali, larealtà fenomenica non esisteva

necessariamente in quanto tale,ma spesso era privilegiato l’aspet-to nascosto, magico delle cose,non per questo meno vero e pro-fondo di ciò che è visibile e speri-mentabile. A lungo la nostra edu-cazione ha relegato l’immagina-zione visionaria nella devianza,mentre per gli artisti, per i misticie per gli analfabeti e molta gentecomune, non “specializzata”, èancora uno strumento di cono-scenza, a volte unico e insostitui-bile.

Il nostro legame con lo spazioGalileiano, con il mondo deifenomeni, con il “Cogito ergosum”, con la Prospettiva, che pernoi occidentali è fondamento nel-l’apprendimento - legame inter-rotto con l’avvento della teoriaondulatoria e quantistica dellaluce, della Relatività e degli Spazia enne dimensioni - è stato moda-lità scientifica e interpretativatipica dell’Occidente per cinquesecoli e ancora formatta pesante-mente il nostro modo di vedere.Per molte altre società e culture lasequenza temporale del prima edopo segue canoni diversi, e l’e-sperienza del reale è simultaneità,contemporaneità, percezioneaudio-tattile, e la prospettiva nonesiste come spazio mentale ecome termine semantico (parola).Mancando il senso mentale (nonfisico o fisiologico della stereo-scopia, nè meramente geometricodel calcolo delle proporzioni) del“Punto di Vista Individuale” cheorigina la visione prospettica, laprevalenza spetta all’io sociale

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rispetto al nostro consueto ioindividuale, condizionando così leforme politiche di governo e ilconcetto di Democrazia: in questocaso l’apprendimento e la cono-scenza non avviene attraverso laspecializzazione della vista cherazionalizza la sequenza deglieventi, ma attraverso la percezio-ne contemporanea mediata daicinque sensi, nei quali predominal’udito e la visione globale cheproducono non solo delle regolelinguistiche e semantiche, maanche delle regole simbolichecomportamentali.La vista non specializzata dall’ap-prendimento mediato da alfabetofonetico sequenziale canonizzatodalla stampa gutemberghiana nonè però la registrazione passiva dieventi, ma un recettore di energiaproduttrice e catalizattrice di atti-vità creativa. L’immagine divieneImmaginazione, il Segno puraComunicazione, il Significatosimbolo visionario e vettore diconoscenza.Quindi il Media -attraverso il quale si formatta ilpensiero durante l’apprendimento,fra le “Genti del Libro” (Ebrei,Cristiani, Islamici) è stato anche“Messaggio” di McLuhanianamemoria?Questo Media (Manoscritto e poiLibro a Stampa) è stato vettore diformattazioni del pensiero diversea causa dell’uso di alfabeti diver-si?

Proviamo a seguire l’evoluzionedi alcune parole-chiave, presenti

nel lessico e glossario tipico deldibattito in oggetto: Occidente eIslam, Democrazia e Islam,Integralismo Islamico.Il vocabolo Democrazia provienedal greco demokratia, compostoda demos e da kratia. Demosaveva il valore di popolo, gentilibere che abitavano e lavoravanoin un territorio, in opposizione alre e alla nobiltà che esercitavanocontrollo, ovvero – ad esempionelle città-stato greche - i cittadiniliberi che si costituivano inassemblea del popolo. Kratia, dakratos, stava per Forza, Potenza,e, in ambito politico, indicavaSignoria, il Potere, i mezzi perdetenerlo.Islàm significa “Sottomissione,dedizione a Dio”. Questa è ladenominazione scelta da Mao-metto, il nabi-rasul (il Profeta-Inviato di Dio) per indicare laReligione a lui Rivelata e poi pre-dicata.Il termine “Musulmano” (deri-vante dal turco “müsülm?n”, tra-sferito dal persiano “muslim?n”,introdotto in Occidente dai bizan-tini nel tardo Rinascimento), inarabo “Muslim” è il participio delverbo arabo “Salima” (sottomet-tersi) il cui infinito sostantivato è,per l’appunto “Islâm”. Il contrariodi un “muslim “ è il “ Kâfir” cioèingrato, infedele, quindi non sot-tomesso nei confronti di Dio.In questo senso, se Democraziasignifica condivisione, l’Islam èdemocratico in quanto la“Umma” - Comunità dei Credenti

è fondativa dell’Islam8.

In Occidente il presupposto dellaDemocrazia è la Libertà indivi-duale, tanto che si usano i duevocaboli quasi come sinonimi nellinguaggi politico, terminicomunque intimamente legati peravere la possibilità di godere dellalibertà, che si afferma essere ilfine di ogni democrazia. Questalibertà, secondo Aristotele, per-mette agli stessi individui for-manti un popolo in parte di esserecomandati e in parte di comanda-re. L’uguaglianza è garantita dalleCostituzioni e dalle Istituzioniche il Popolo si dà in modo chenon comandino di più certe cate-gorie di individui a scapito dialtre, ma tutti godano degli stessidiritti secondo rapporti numericidi uguaglianza. In lingua italiana,il termine democrazia appare perla prima volta nel Cinquecento,contrapposto al concetto dimonarchia e aristocrazia, con lariscoperta della filosofia politicaclassica aristotelica. Prima esiste-va il concetto di governo di popo-lo o popolare.Al concetto di democrazia vengo-no subito associati quelli di liber-tà, uguaglianza e fraternità, prin-cipi posti alla base del nuovosistema politico.Per i democratici, ovvero i fautoridella democrazia, una nazione peressere libera, deve essere anchedemocratica e gestita in formaindiretta dal popolo attraverso i

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8 Con questo nome si indicò la prima organizzazione politica e religiosa dei fedeli musulmani a Medina nel 622 d. C.

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propri rappresentanti liberamenteeletti.

L’Occidente Cristiano odierno siè costruito attraverso secoli didispute, di intolleranze, religiose,di potere temporale deposto, diguerre, di nazionalismi, giungen-do solo di recente alla vittoriasull’ assolutismo e le dittaturefasciste, naziste, comuniste.Questa lotta ha rivoluzionato,ridisegnato e informato tutti gliaspetti della vita politica, sociale

e civile, modificando (ancheattraverso gli ultimi strepitosinuovi sistemi elettronici di rica-vare, elaborare, utilizzare e dif-fondere dati) gli usi e costumi,l’etica e la morale, l’aspettativa divita e la sua qualità.

La cultura europea cristiana occi-dentale, a causa dell’ inculturazio-ne latino-greca trasmessa dalmedia –libro manoscritto-,è sem-pre stata segnata dal logocentri-smo e dall’individualismo di tra-

dizione greca mentre il cristiane-simo nascente era caratterizzatoda una visione comunitaria. IlCristianesimo poi diventò preva-lentemente una forma di autoritàpolitica accentratrice in termini diesercizio del potere, prima dellanetta divisione laica fra stato echiesa.La comune fede cristiana diffusadefinitivamente in Europa dopo legrandi conversioni dei re mero-vingi e franchi, condivisa inoriente nella forma ortodossa del-

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Legatura in marocchino rosso del secolo XIX.

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l’impero di Bisanzio, e si assestònella forma catechistica dalla teo-logia medievale, contribuendo aformare nelle società il senso deilimiti all’uso legittimo del poterepubblico, stabilendo diritti morali,ulteriormente rafforzati nellalezione riformista di stampo lute-rano e anglosassone Il concetto di Eguaglianza fra gliuomini è connaturato alla religio-ne Cristiana, tanto che potè esseretrasferito all’illuminismo e a ciòche ne conseguì in termini politicinella fondazione degli stati nazio-nali unitari dal XIX secolo adoggi, utilizzando contestualmentel’eredità del diritto romano, laico,rielaborato nei secoli in Europa:trascurare questo nesso può porta-re a errori di valutazione sull’ori-gine della democrazia moderna.

Un percorso diverso fu quelloseguito da ebraismo e islam.I pensatori mussulmani infatti,non hanno elaborato, in termini dipura politica laica, niente di simi-le ai fondamenti del pensiero libe-rale occidentale, mentre gli ebrei ,a causa della diaspora hanno ela-borato sistemi di pensiero sostan-zialmente legati alle propriecomunità, rivolte a salvaguardar-ne usi, costumi e peculiarità ,oltre che a difendersi da cristianie arabi, decontestualizzati dall’i-dea di stato territoriale, poichéassoggettati alle leggi dei territoriche li ospitavano.I pensatori di entrambi i popoli ,quando hanno intellettualmenteagito in sintonia identitaria con lapropria cultura, sono stati creatori

di sterminate opere di diritto,tanto che si può dire che la primascienza per un musulmano è ilDiritto e la Giurisprudenza, nonla teologia o la spiritualità, e lostesso è sostenibile per la tradi-zione ebraica. I testi sono caratte-rizzati da un limitato numero diprescrizioni di natura legale,generiche e insufficienti per crea-re un sistema di procedura e diprincipi tali da produrre unaCostituzione. Il quadro giuridicodel diritto (diritto islamico o figh)è ricavato da una esegesi interpre-tativa e normativa delle fonti(Hadith e Sunnah), al fine di uti-lizzarle come canone di prescri-zioni giuridiche da applicarecome giurisprudenza.Il diritto procede da Dio e la vita,considerata sacra, trae i suoi valo-ri individuali, sociali e civili dal-l’osservanza delle prescrizionicoraniche, comportamento di persè stesso in grado di conferireall’essere umano una vita serena efelice, ma sempre all’interno diuna comunità (famiglia, tribù,Nazione).Ovvio che un diritto provenientedalla Parola di Allah, quindi indi-scutibile e inemendabile, è radi-calmente diverso da uno fondatosu diritti attribuiti all’essereumano in quanto facente parte diuna società, indipendenti dalleulteriori qualità conferite ad essiper fede religiosa (anima) comelo sono la maggior parte dellecostituzioni e dei codici di deriva-zione romana e anglosassone inuso in Occidente.In particolare nell’Islam la Legge

è la “Sharî’a” e cioè “Ash-Sharî’a al-Islâmiyya“che si basasul Corano cioè “Al-Kitâb”, ilLibro per eccellenza, che è“Parola (in lingua araba) di Dio”in arabo “Kalâm Allâh“, contenu-ta nel Corano (Testo scritto incaratteri arabi Immutabilemediante il Calamo –al-Qualam-)La “Sharî’a” è “Lex DivinaIslamica” e ad essa è dovutaobbedienza sia dal punto di vistareligioso che da quello civile. IlDiritto Coranico è unico per tutti imusulmani, ovunque risiedano,da qualsiasi Sovrano dipendano, aqualsiasi popolo appartengano.Il Diritto Islamico infatti non haalcuna relazione con il concetto diterritorialità, e vale sia comeDiritto Naturale, che come vera epropria Legge. Inoltre l’ortodos-sia islamica prevede che laPreghiera e l’uso devozionale delCorano possa essere esercitatosolo in lingua e scrittura araba,demandando alle traduzioni solol’uso interpretativo e esegetico.Questa legge contiente il concettodi “Guerra Santa”, la “Jihâd” chetradizionalmente, nel medioevoera concepita per autodifesa,mentre nella versione moderna,secondo i maggiori Teologi, comeGuerra verso le ingiustizie, lafame, la povertà, le malattie, l’a-nalfabetismo. Per l’integralismoessa ha il valore estremo, letteral-mente, di atto violento contro inon Musulmani, gli infedeli i nonsottomessi, gli Occidentali.Ma cos’è l’Occidente perl’Islam? Gharb, la parola arabache traduce Occidente, indica

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anche il luogo dell’oscurità e delnon compreso, che incute paura ediffidenza. Gharb è quindi il terri-torio di ciò che è strano, altrove,abitato dallo straniero (gharib).Ma se è straniero e non lo siconosce vuole dire che non appar-tiene alla “Umma” il popolo deicredenti, e quindi non essendo in

sintonia identitaria può esserenecessario, per proteggersi, erige-re delle barriere o combattere.Il problema della percezionedell’Occidente, e non solo neiconfronti dell’Islam, è che la sto-ria del pensiero dominante occi-dentale e della sua espansione nelmondo è la storia della negazione

delle differenze, delle identitàespropriate. Per “essere accetta-ti” bisogna “essere come gli occi-dentali”.Conflitti mediorientali, 11 settem-bre, guerra in Iraq, sfida al terro-rismo, fondamentalismo islamico,negli ultimi anni l’occidentale sipone delle questioni essenziali:

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Manosscitto con inchiostro acido XVII sec

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l’Islam e il suo ordinamento ècompatibile o riformabile peraderire alla democrazia, allamodernità laica, alla libertà diespressione e la tolleranza religio-sa, ossia alla visione umanistica eliberale dell’Occidente?Anche in questo caso, come permolti altri, all’ inizio il problemaè come introdurre termini lessica-li figli della secolare cultura spe-cializzata occidentale nella linguascritta in arabo che trae forzasemantica dalla formattazione delCorano e dal diritto islamico, alfine di adattare alla civiltà medio-rientale la modernità.

Il concetto di riforma in arabomoderno è dato dal termine islâh,tramite la sua radice sillabicas.l.h., che è ampiamente attestatanel Corano, con una molteplicitàdi significati. Il termine Islâh tra-dotto semplicisticamente “rifor-ma”, sottende una esegesi dellefonti canoniche del diritto e dellareligione musulmana prese comebase essenziale per risolvere iproblemi morali sociali e identita-ri sviluppati nell’Islam dal contat-to con il mondo moderno.Il valore semantico è tratto daimoderni riformisti musulmani,dalla tradizione che vuole il pro-feta Muhammad come il riforma-tore per antonomasia. Il movi-mento culturale riformista(nahda–rinascimento) era nato pertentare di modernizzare l’Orientearabo sotto la pressione e l’in-fluenza occidentale, già iniziataalla fine del regno ottomano, allafine del secolo XIX.

Gli intellettuali musulmani,cominciarono a chiedersi se vive-re nel mondo moderno richiedevadei mutamenti nel modo islamicodi organizzare la società, e se sì,come cercare di attuare le rifor-me rimanendo in sintonia con latradizione culturale di fondo.Jamâl al-Dîn al-Afghânî (1839-1897), principale esponente del“modernismo islamico”, arrivòalla conclusione che il corpusdella tradizione giuridica e cora-nica islamica prescriveva fin dal-l’origine la compatibilità con laragione e il progresso scientificoe tecnico (tradizione neoplatonicatratta dalle opere di Plotino eAristotele da Averroè e Avicenna)per cui occorreva intendere lareligione nella forma trasmessadalle prime fonti, e confrontando-la con gli strumenti della ragioneconsiderarla compatibile con lascienza, in quanto quest’ultimarivelando la natura della realtàimpone di rispettare la verità, equindi in ultima analisi la Paroladi Allah, Verità ultima e definiti-va. Il metodo scientifico è unmomento del percorso alla veritàil cui traguardo è Dio. L’Islamcontemporaneo sviluppa un pen-siero che tenta di riallacciarsi aiconcetti originari della rivelazio-ne, usando da un lato la tradizio-ne interpretativa scritta, dall’altrocompiendo lo sforzo di arricchireil linguaggio stesso con termini ingrado di soddisfare l’interiorizza-zione dei nuovi elementi introdot-ti dal modo occidentale.In questo modo l’Islam, tenta diriformattare le proprie categorie

identitarie elaborando una autori-flessione che sia in grado diricomprendere le istanze impostedalla modernità, cosa che è riusci-ta facile per l’utilizzazione dellatecnologia occidentale, da noifrutto parallelo dell’uso specializ-zato della vista e del metodoscientifico, ma non altrettanto perl’uso del Metodo mentale di tiporazionale, laico, tipico della visio-ne sociale e statuale dell’occiden-te.Di fatto, i mezzi tecnici meccani-ci sono percepiti nell’islam comeuna modalità più veloce per otte-nere dei risultati pratici: il camione la Jeep sostituiscono il cammel-lo, ma entrambi vengono “bardatie governati”secondo il vecchioschema mentale. Con la Globalizzazione, i flussimigratori, gli strumenti di comu-nicazione di massa, la televisionesatellitare, le rete informatica, ilcellulare, oggi parrebbe che ilpopolo mussulmano arabo debba ,per riformarsi, compiere un gros-so sforzo per tentare di compren-dere l’Occidente, non pretenderesoltanto di essere compresi.Al giorno d’oggi milioni di arabiparlano e soprattutto leggono lelingue espresse in alfabeto latinoe perciò interiorizzano e condivi-dono idee, usi e costumi, mode easpettative occidentali, e in mol-tissimi casi vivono e si riproduco-no nei paesi occidentali, trasfe-rendo nei paesi di origine beni ecultura. In occidente essi sonoconsiderati soggetti con diritti esicuramente, la democrazia e ilrispetto per l’individuo vengono

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riconosciuti come valore tipicoche dà forza all’occidentale.Per le elitès al potere dei paesiarabi, esportatori di petrolio epetrodollari, e per i custodi del-l’ortodossia coranica è faciledemonizzare la democrazia comeuna malattia occidentale portatri-ce di corruzione e vanità, contra-ria alla parola di Allàh.

Le società musulmane sono quin-di ormai contaminate, inculturatedall’ occidente, ma attraverso un

interfaccia di modalità che non èpassato dalla specializzazione delsenso della vista di tipo gutem-berghiano e per questo l’eversio-ne islamica, in qualche modo, èfabbricata dallo stesso Occidente;non nel senso banale che l’Occi-dente ne sia direttamente respon-sabile per motivi storici, geopoli-tici ed economici (cosa sicura-mente importante), ma perché si èconstatato che spesso i teorici egli esecutori dei piani terroristicisono individui cresciuti, per moti-

vi di studio, di ceto sociale o diemigrazione, nel mondo occiden-tale, trovandosi sradicati sia dallaloro cultura originaria che daquella che li ospita. Questo con-tatto rende necessario l’apprendi-mento dell’alfabeto foneticostampato occidentale cheMcLuhan considera come poten-ziale creatore di schizofrenia. Sisviluppa così una specie di inter-faccia mentale schizofrenico fraconcetti identitari islamici format-tati in lingua e alfabeto arabo che

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Manoscritto Egiziano

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vengono via via ridefiniti attra-verso il progressivo distacco dalmondo magico dell’orecchio(Corano = Recita) a quello neutrodella vista (cfr. Galassia Gutem-berg. op. cit.)Tutto questo esalta in prima bat-tuta i particolarismi identitari, inazionalismi e gli aspetti più esa-sperati della tradizione, inducen-do all’interno di menti individualile stesse crisi attraversate dallesocietà europee con l’interiorizza-zione della stampa, creando cioèun’ideologia schizofrenica, sradi-cata sia da una realtà religiosa(audio-tattile) che da un’apparte-nenza nazionale (visiva)9.“Sarebbe il caso che gli psichia-

tri arabi cominciassero ad analiz-zare questi fenomeni, come ave-vano iniziato a fare gli egizianidopo l’uccisione di Sadat nel1981. Perche questi giovani vivo-no una situazione di autenticaschizofrenia e sono l’espressionedella crisi di una parte della gio-ventù musulmana, che non siriconosce più in nessun sistemadi valori, né occidentale né isla-mico tradizionale, e costruisce unmondo a modo suo, che è unmondo di terrore” dice in unaintervista l’islamologo KhaledFouad Allam.E’ quindi possibile stabilire comemodernizzare l’Islam e al tempostesso islamizzare la modernità,

senza tenere conto delle modalitàdi uso degli Strumenti delComunicare e dell’Apprendere?Questa necessità è attualmentesostenuta anche dall’intellettualemusulmano moderato ChrifChoubachy secondo il quale lachiusura dell’islam dipende anchedalla lingua araba che vaaggiornata, perché è l’unica lin-gua viva che non abbia subitoalcuna modifica grammaticaleimportante dalla sua origine, dapiù di quindici secoli.

Sappiamo però che il mondo elet-tronico, scoperto a cavallo deisecoli XIX e XX, ha negli ultimitrenta anni creato la rete informa-tica e la Globalizzazione: in occi-dente è avvenuto attraverso lapermeazione sostitutiva di sempremaggiori strati sociali precedente-mente formattati in modalitàgutemberghiana da 5 secoli distampa a caratteri mobili in alfa-beto fonetico latino.Sappiamo anche che la modalitàinformatica è più vicina alla per-cezione simultanea audio-tattiletribale (cosiddetto VillaggioGlobale) che alla specializzazionesequenziale visiva, e per questopiù immediatamente vicina alleciviltà che non si sono evolutecon il nostro alfabeto.Dal momento che secondoMcLuhan “Quando una tecnolo-gia estende uno dei nostri sensi,

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Popolazione di Oudane

9 Questo è il passo del monologo dell'Amleto " to be or not to be" che Mc Luhan individua come luogo della schizofrenia soprag-giunta al nuovo uomo tipografico " …Così la coscienza ci fa tutti vili, e così la tinta nativa della risoluzione è resa malsana dallapallida cera del pensiero,…"

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una nuova traduzione della cultu-ra si verifica con la stessa rapidi-tà con cui la nuova tecnologiaviene interiorizzata” una ipotesiper occidentalizzare (democrati-cizzare) l’Islam sarebbe quella diabolire la scrittura araba, rifor-mattando la tradizione attraversol’apprendimento in carattere lati-no sequenziale in grado di “esten-dere” la vista sugli altri sensi, inpoche parole “gutemberghizzare”la percezione islamica della real-tà: ammesso e non concesso checiò fosse percorribile in pochegenerazioni, intanto l’occidente sitrasferirebbe sempre più massiva-mente in modalità “campo globa-le elettronico” continuando a sbi-lanciare l’interefaccia di comuni-cazione.L’evento probabile è che il ricam-bio generazionale delle elites dipotere occidentale, ancora forte-mente Gutemberghiane per que-stioni anagrafiche degli individui,che però governano un mondoormai globalizzato dal punto divista socio-economico e energeti-co, porterà la comunicazione adun livello accettabile con ilmondo islamico del MuezzinVirtuale, mai passato dall’eradella stampa, attraverso l’utilizzodel medesimo interfaccia, LaRete.Semprechè saremmo ancora tuttivivi. Semprechè sia davvero LaRete a dominare il sistema diimmagazzinamento, trasferimentodei dati, quindi dell’energia.C’è da ritenere che essa permarrà

come mezzo di supporto tecnolo-gico, ma che la nuova frontieradella “Gente del Libro” intesocome accumulatore di dati siapiuttosto la nanotecnologia, laingegneria genetica, l’unificazio-ne delle teorie fisiche della mate-ria, l’equazione globale.Pensiamo alle nuove frontiere perlo sviluppo: i fondali marini esoprattutto lo spazio interstellare.L’unico modo per arrivarci, tra-sferirvisi, viverci non pare esserecompatibile con l’attuale format-tazione bio-fisica e mentale del-l’uomo, che per sopravvivercideve riprodurre in loco le condi-zioni minime “terrestri”.La vera colonizzazione avverràper adattamento darwiniano(naturale o artificiale?) alle nuovecondizioni. Non è verosimileibernarci o riprodurci per centi-naia o migliaia di nostri anni sog-gettivi in astronavi per percorreregli anni luce interstellari: sarebbepiù plausibile estendere in nostrotempo biochimico soggettivomediante opportune modificazio-ni genetiche.Chissà se ciò che la nostra menteelabora oggi leggendo il Corano ola Bibbia, con tutta la movimenta-zione di energia che comporta,(costruzione delle società dell’e-conomia ecc.) non potrà in futuroessere percepito direttamentemediante manipolazione genetica,cioè attraverso una nuova speciedi Media capace di immagazzina-re e trasferire informazioni, unBiolibro insomma.

* * *

Per questo occorre salvare imanoscritti di Cinguetti, quelliveri e tutti i libri, indipendente-mente dal valore semantico deglialfabeti o dal loro significato intermini di testo e relativismo cul-turale, per questo il PietroMarchetti del romanzo "il Libronel Deserto" (edizioni StampaAlternativa 2004) muore pur dipoterlo fare, perchè conservare etramandare l'oggetto tecnologicopiù perfetto che sia mai statoinventato, il Libro, è un imperati-vo etico.

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arte della carta in Francia fuintrodotta, come inGermania, da maestranze

italiane, le quali si stabilirono interritorio francese chiamate dailoro connazionali che, in qualitàdi abili mercanti, già da tempooperavano in area transalpina.Questi ultimi, di fronte alla cre-scente domanda, decisero di farvenire dalla patria i primi "tecni-ci" con l'incarico di diffondere interra francese la conoscenza delloro mestiere: sorsero così, ancoranel XIV secolo, i primi macerinella zona di Troyes, subitoseguiti da quelli aperti intorno aParigi (Corbeil, Essonnes e Saint-Cloud), anche se la carta conti-nuava ad essere importata in largaquantità dall'Italia. Tra la fine del Trecento e l'iniziodel Quattrocento, però, la produ-zione italiana non bastò più a sod-disfare i bisogni transalpini, per-ciò i commercianti italiani decise-ro di finanziare in terra francesela trasformazione di molini dagrano, in molini da carta, facendovenire dall'Italia appositi "mastri

cartai" per avviare i nuovi opifici.La Francia sostituì, così, l'Italiacome fornitrice di carta all'internodei suoi confini, tanto che la mag-gior parte degli incunaboli diStrasburgo risultano stampati sucarta riportante filigrane locali,soprattutto della Champagne.Secondo tradizioni e leggendelocali fu la città di Ambert1 , inAlvernia, a possedere per primain Francia un molino da carta,anche se documenti d'archivio

certificano che l'iniziatore fu,invece, un non meglio noto "mae-stro fiorentino", il quale impiantò,nel 1374, il follo di Carpentras,cittadina della Provenza sul fiumeAuzon; nel primo trentennio delXV secolo dei commercianti ita-liani fecero venire dal Pinerolese

L’ARTE DELLA CARTA IN FRANCIA E NELLE

REGIONI DI AREA FRANCOFONA

(XV E XVI secolo)

di Giuseppe NovaBibliofilo

L’

Filigrana "Colonna" proveniente da car-tiera di Avignone (1495)

Filigrana "Ruota di Santa Caterina" pro-veniente da cartiera di Ambert (1489)

1 L'abate Grivel nelle sue "Croniques du Livradois" riporta un'antica credenza secondo la quale le prime cartiere d'Europa furonocostruite nella valle del Valeyre, vicino ad Ambert (in Alvernia, regione nel Massiccio Centrale) da alcuni crociati rientrati nel loropaese dopo una lunga prigionia in Siria, dove avrebbero appreso i segreti della fabbricazione della carta a Damasco (città in ricordodella quale essi avrebbero dato i nomi di Dama e Ascalon ai loro primi folli). Un'altra credenza vorrebbe, invece, che furono mae-stri italiani ad aprire addirittura nel 1326 il primo follo in città. A parte queste storie popolari che non poggiano su nessuna base sto-rica e scientifica, dobbiamo però registrare il rapporto realizzato nel 1771 da M. Jubié, ispettore delle manifatture dell'Alvernia, ilquale scrisse che "si può affermare con sicurezza la presenza di opifici da carta attivi prima del XV secolo" e, in un successivo rap-porto del 1783, confermò che "i cartai locali assicurano che la loro arte ha preso origine ad Ambert nel 1300". L'esame delle filigra-ne usate ad Ambert non permettono di attribuire un'antichità così retrodata, ma ne esistono sicuramente di riferibili al XV secolo,anche se i documenti maggiori fanno riscontro al XVI secolo, infatti alla presa della città nel 1577 da parte dei protestanti ed i con-seguenti lavori per fortificarne il perimetro, si hanno notizie circa "l'abbattimento di 50 molini da carta situati negli immediati bordidella città per non facilitare l'avanzata di truppe nemiche". Nel 1592 l'armata comandata dal duca di Nemours, strinse d'assedioAmbert per sei settimane durante le quali bruciò tutti i molini che vennero stimati in più di quaranta. Attorno alla metà del Seicentol'industria cartaria d'Ambert riprese finalmente fiato tanto che, da un rapporto delle autorità comunali del 1717 risultano attivi ben59 folli da carta nei dintorni della città.

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alcuni cartai per mettere in fun-zione dei folli presso Avignone2;nel 1405 Guyot Le Bé prese inaffitto un follo a Saint-Quentin asud di Versailles; attorno al 1450il capitolo di Saint-Hilaire adAngoulême fece trasformare damaestranze italiane alcuni molinidi sua proprietà; nel 1466 Jean deJouffroy, abate di Luxeuil, con-cesse a due cartai piemontesi distabilirsi sul Breuchin, affluentedella Lanterne, contro un canoneannuo "di quattro risme di carta";nel 1475, alcuni folli isolati lavo-ravano in Lorena (Nancy),Franche-Comté (Besançon), a

Périgueux (cittadina sul fiumeIsle in Aquitania), Tolosa (capo-Filigrana "Armi della città" proveniente

da cartiera di Troyes (1545)

Filigrana "Agnello pasquale" proveniente da cartiera di Epinal (1464)

2 Chodbaut H., Les débuts de l'industrie du papier dans le Comtat-Venaissin ("Le Bibliographe moderne", XXIV, 1928-29). Unautore anonimo scrisse nell'"Urbium praecipuarum mundi theatrum", edito a Colonia nel 1572 che tra il 1565 e il 1572 Avignonedivenne celebre per "la tintura di stoffe, la seta e i suoi molini da carta", in effetti i "Regolamenti commerciali" emanati dal procu-ratore generale del Compté Venaissin nel luglio 1593 confermano l'esistenza delle cartiere, poiché si legge: "Papier du Commtat, dela grande forme, le meilleur, 24 sols la rame; le petit 18 sols".Notizie dell'attività di folli ad Avignone ci sono anche nel secolo successivo, infatti nel 1624 è documentata la cartiera gestita daGabriel Bonamour. Nel Settecento funzionavano invece gli opifici di St-Pérez, di Vaucluse e di Cadenet. La filigrana che contraddi-stingueva la carta prodotta dai folli di Avignone raffigurava una "Colonna".3 Nella cittadina alla fine del XV secolo erano attivi tre opifici che producevano ottima carta da stampa, tanto che numerose balledella produzione locale venivano inviate sulla Mosa in molte parti della Francia e, addirittura, all'estero (ci sono documenti cheattestano spedizioni a Lovanio, Bruxelles, Utrecht, Zwolle ed Oxford).4 Nel 1376 due parigini presero in enfiteusi dal vescovo della città un "gran molino per farvi da allora in poi carta ed altre cose,come crederanno opportuno, per il loro tornaconto, tranne che non potranno in nessun momento macinare né far macinare grani diqualunque tipo".5 Blanchet A., Essai sur l'histoire du papier et sa fabrication (Parigi 1900);6 Le Clert L., Le Papier. Recherches et notes pour servir à l'histoire du papier, principalement à Troyes et aux environs depuis leXIV siècle (Parigi 1926). Nei dintorni di Troyes erano attivi 20 folli, il più importante dei quali fu quello aperto nel 1349 in localitàMoulins-le Roy a Torvois-lès-Troyes da P. Garnier e Etienne de Verdun. I due soci pagavano al capitolo di St-Pierre una locazionedi 22 livres ed operarono per almeno 19 anni (5 locazioni), dopo di che cedettero l'impresa a Colin "paupier" e, successivamente,a Silvestre Poche che tenne l'opificio per 19 anni al prezzo annuo di 30 francs. Nel 1428 troviamo attivi anche i cartai Gilet Milone Nicolas Aubertin, anche se da un documento catastale del 1440 si legge che "les locataires des molins à apapier appellés lesMolins-le-Roy les ont laissé tomber en ruine". Nel XVI secolo, comunque, i molini furono riedificati, visto che nel 1593 troviamocome "maitre-papetier" Guillaume Journée e, dal 1621, Jehan de la Preize e Baptiste Daubetivre. Nel 1670 subentrò la famiglia DeBure che gestì la cartiera per più di un secolo. Il secondo follo di Troyes si trovava in località Bréviande, sulla Senna, e fu apertonel 1362 su iniziativa dei frati dell'Hotel-Dieu, i quali affidarono la gestione a Senestre Poche. Il terzo follo fu aperto in localitàMoulin-aux-toiles nel 1388 dalla trasformazione di un già esistente molino da farina. Il gestore fu Estienne Maupensant che, dopo19 anni, lo cedette a Bertholomin Barisen. Dal 1477 subentrò Perrin Truchot e Jean Pietrequin. Nel 1687 Pierre Debure prese lacartiera a titolo d'enfiteusi perpetua, così che la sua famiglia lo gestì per più di un secolo. Il quarto follo fu quello aperto nel 1397 aBarberey da Pierre Bousanton e gestito dai suoi eredi fino al 1472, anno in cui subentrò Perrot Rivière. Successivamente operòGuiot Oudot e, dopo di lui, iniziò uno stato di abbandono che soltanto l'intervento delle autorità comunali permise di superare. Nel

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luogo dell'Alta Garonna) e Bar-Le-Duc3 (capoluogo delDipartimento della Mosa, sulfiume Ornain).Fin dalla metà del XIV secolo,inoltre, l'Università di Parigi,volendosi rifornire di carta a prez-zo conveniente, ottenne daGiovanni II il Buono, il diritto diavere a Saint-Cloud4 , Corbeil,Essonnes5 e a Troyes6 delle fab-briche di carta, i cui proprietarisarebbero stati esentati da tasse edimposte in quanto dipendentidell'Università7.Sull'esempio di Parigi aprironosuccessivamente in altre regioni

della Francia altri opifici per lafabbricazione della carta, come i

Filigrana "Sfera con stella e scritta F.janvier 1566" proveniente da cartiera di

Angoumois (1567)

Filigrana "Scudo gigliato con inizialiWR" proveniente dalla cartiera di

Wendelin Riehel di Strasburgo (1598)

1604, infatti, è registrata l'attività di Edmond Denise, cartaio giurato dell'Università di Parigi. Il quinto follo fu quello di Pétal (dueruote) gestito dal 1438 da Guillaume Thierry e nel Cinquecento da Simon Hullebin che aggiunse una terza ruota. Il sesto follo fuaperto nel 1451 a Verriéres da Guiot Le Ber che trasformò un vecchio molino da grano. Il settimo si trovava in località La Pielle enel 1461 fu attivato sempre da componenti della famiglia Le Ber. L'ottavo follo fu aperto nel 1463 a Challouet da Perrin le Pallerate fu attivo per buona parte del Cinquecento. Il nono follo si trovava a Vannes e, dal 1474, era gestito da una società di Troyes, fin-ché passò prima nelle mani di Nicolas Michelet, poi di Siméon Nivelle e dei suoi discendenti. Il 10 novembre 1600 il capitolo diTroyes lo concesse in forma perpetua a Jacques Lebé e Edmond Denise che, di generazione in generazione, lo gestirono fino alXVIII secolo, allorquando, nel 1745, subentrò François Debure. Il decimo follo fu aperto nel 1476 a Sancy da un componente dellafamiglia Le Ber. Notizie sulla sua attività si hanno fino al 1621, data in cui operava il cartaio Nicolas Denise. L'undicesimo folloiniziò a produrre carta nel 1504 in località Moulins de Notre Dame, ma ben presto cadde in rovina. Fu ricostruito soltanto nel 1775da J. A. Garnier, libraio di Troyes. Il dodicesimo follo, sempre del 1504, si trovava a St-Quentin, anche se non durò molto tempo. Iltredicesimo follo iniziò l'attività nel 1528 a Bourguignons-sur-Seine. Il quattordicesimo follo fu aperto a Polisot nel 1544 da JeanPhillebert e Nicolas Bouchard. Nel Seicento la cartiera era ancora attiva, come conferma un documento del 6 aprile 1625. Il quindi-cesimo follo iniziò l'attività nel 1546 a Villeneuve-sur-Ource per opera del cartaio Simon Drodelot. Il follo esisteva ancora nelSettecento, poiché in una carta processuale del 1787 si parla di una cartiera in località Villeneuve. Il sedicesimo follo aprì i battentinel 1558 a Fouchy e nel 1637 ne era locatario Edmond Denise.Gli atri quattro folli furono aperti nel Seicento: Clérey nel 1601 da Jehan Gouault; Chappes nel 1611 da Pierre Gumery; Mussy nel1634 da Claude Bernard; e Fontaine nella seconda metà del XVII secolo. Dobbiamo, infine aggiungere alcuni folli aperti nelSettecento (attivi tra il 1728 e il 1772) e, più precisamente, gli opifici attivi nelle località di Fouchères, Courcelles e Villemoyenne.7 Per molto tempo il titolo di "Cartaio giurato dell'Università" fu molto ambito dai fabbricanti di carta e dai negozianti parigini,tanto che divenne una sorta di titolo nobiliare, molto redditizio e foriero di molteplici vantaggi che l'Università si preoccupava gelo-samente di salvaguardare.

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folli sorti in Normandia8,Bretagna, nel Beaujolais, masoprattutto quelli costruitinell'Alvernia dietro diretta pres-sione degli innumerevoli stampa-

tori e degli altri grossi fruitori dicarta attivi a Lione9.Tra i poli cartari più importanti10

che sorsero in Francia tra il XV eil XVI secolo ricordiamo inoltrequelli che sorsero sul bacinodella Mosella (fiume che, dopoesser nato dai Vosgi, attraversa laFrancia nord-orientale formandoil confine tra la Germania ed ilLussemburgo) e sull'area delReno e dei suoi affluenti (inFrancia comprende il settore pia-neggiante dell'Alsazia (Plained'Alsace) e la fitta rete di canalinavigabili che giunge a nord finoai rilievi dell'Hardt).A questo proposito dobbiamo

ricordare gli importanti opifici

Filigrana "Armi della città" proveniente da cartiera di Metz (1448)

Filigrana "Aquila con scudo" provenien-te da cartiera di Besançon (1508)

8 La Normandia possedeva numerose cartiere, come quella di Maromme (località situata presso Rouen su un affluente della Senna)che firmava, dalla prima metà del XVI secolo, la sua produzione con una filigrana raffigurante l'agnello pasquale con fiori e le armidi Rouen. Nel 1501 si stabilì Françoise de Petitville, cartaio dell'Università di Caen; Pont-Authou (dove nel 1498 operarono AmatusDavy e Nicolas Cal); Blangy-le-Château (dove fu attivo nel 1510 Jacques Leportier), Chambrois (dove nel 1515 troviamo i mastricartai Christophe d'Esquetot e Jean Le Roy), Vandeuore (dove si registra nel XVI secolo l'attività di Roland Fourriau), Canapville(il cui follo, gestito da Lurent Bellon, nel 1564 produceva per le tipografie di Rouen) e di Vieilles (che nel 1570 era condotto daJean Rogeray).9 Il bisogno di carta cominciava a crescere in molti campi. Oltre alle pressanti richieste delle officine tipografiche e degli editoricittadini, dobbiamo ricordare che nel XV secolo l'istruzione cominciava a diffondersi, le transazioni commerciali si perfezionavanoe i documenti scritti, di conseguenza, si moltiplicavano, non solo, ma occorreva sia "carta pregiata" per esigenze pubbliche e can-celleresche, sia "carta comune" per i lavori manifatturieri e di bottega.10 Tra le più importanti "papeteries" transalpine, oltre a quelle citate, dobbiamo inoltre ricordare quelle di Arenthon (HauteSavoie), Aubagne e Roquevaire (presso Marsiglia), Bar-le -Duc (sul fiume Ornain), Blangy-le-Château, Canapville e Pont-l'Evèque(Calvados), Carsac, La Bruère e Castilloux (nel Pèrigord), Cerney (in Alsazia), Chartres (città della Beauce sul fiume Eure),Divonne (Ain), Etanche (Meuse), Fontaine (presso Bar-sur-Aube), Fougères (Ille-et-Vilaine), Gardagne (Vaucluse), Isches(Lorraine), Malay-le-Roy (presso Sens), Orléans, Peyrus e St-Jean-en-Royans (Drôme), Pont-de-la-Chenau (presso Montignac), St-Ambreuil (sulla Grosne), St-Mart (a Chamalières), Sorgues-sur-l'Ile, Trévouse (presso Entraigues) e Villeneuve-sur-Ource, Vizille(Duphiné). 11 Il primo follo, costruito nel 1445 su diretto interessamento delle autorità comunali, fu eretto sulla Mosella, in località Saint Jeane diretto da Martin George e Nemery Renguillon, governatori dei molini della Mosella, i quali da documenti del 1445 e del 1447pagarono "tanto per la nuova opera fatta sul ‘neuf moulin à faire pauppier’, quanto per miglioramenti di altri mulini sul fiumeMosella, 500 lire, 12 soldi e 9 denari". Il capo cartaio era un certo Waulthier che lasciò la cartiera alla fine del 1452, sostituito daun altro "maestro". Nel 1472 un incendio distrusse la cartiera di Metz e, una volta ricostruita, fu data in gestione a Gros Jehan perun prezzo di "18 livres par an". L'attività del follo continuò fino agli inizi del XVI secolo, allorquando nel 1513 fu dato in gestionea tale Michele "le teinturier", il quale pagava al Comune "45 livres de loyer semestriel". Nel 1590 il follo fu trasformato in conce-ria, ma nel 1632, per merito di Jaques Cragnier, ridivenne molino da carta e funzionò, tra alti e bassi, fino all'inizio dell'Ottocento.Nel distretto cartario di Metz erano attivi anche i folli di Vallières (1512), di Lorry e Ars-sur-Moselle (1515).12 Località nella quale operarono dal 1408 diversi famosi maestri cartai, come Wendelin Riehel (la cui filigrana riportava le iniziali"WR" sotto l'emblema araldico della città, Nicolas Heilmann (attivo dal 1440 circa), G. Schwarz (che nel 1503 pagava "3,3 livres

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che furono attivati nei dintorni diMetz11 , capoluogo delDipartimento della Mosella,Strasburgo12 , città dell'Alsazia ecapoluogo del Dipartimento delBasso Reno, Colmar13 , città alsa-ziana e capoluogo delDipartimento dell'Alto Reno,Epinal14 , capoluogo delDipartimento dei Vosgi,Angoumois15 , nella piana aquita-na e Besançon16 , capoluogo delDipartimento del Doubs, posto acontrollo del passaggio che con-duce alla valle del Reno attraver-

so i Vosgi e il Giura.La crisi che dovette sopportare la

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Filigrana "Aquila con scudo" provenien-te da cartiera di Neuchâtel (1561)

Filigrana "Orso" proveniente da cartieradi Ginevra (1553)

de loyer annuel"), Johann Volpis (attivo tra il 1515 e il 1525 circa) e W. Köpfel (che dal 1526 pagava un affitto annuo di ben "30livres". Nel 1537 un devastante incendio distrusse gran parte dei molini e, dopo la ricostruzione, subentrò un componente dellafamiglia Riehel, che gestì la cartiera fino al XVII secolo, allorquando nel 1605 un suo discendente acquistò il follo direttamente dalComune pagandolo 6000 fiorini.13 La cartiera di Colmar, situata sul Logelbach, alle porte della città, fu fondata nei primi anni del XVI secolo da Georges Dietz.Nel 1528 subentrò un certo Arbogaste e, successivamente Jean Sontag. Nel 1544 troviamo Martin Volpis e, dopo di lui, iniziò l'atti-vità il figlio. Nel 1623 il Comune affittò il follo a Tobie Gsell, ma nel 1632 l'edificio fu demolito, come tutti gli altri molini fuori lemura.14 Il più antico follo cittadino fu quello detto Du Gouverneur menzionato nel 1464 in occasione di spese sostenute per erigere l'edi-ficio. Nel 1480 troviamo un certo "Anthony Papiermacher zu Spinal" (probabilmente della famiglia italiana dei Galliziani). Ilsecondo follo era quello di Poux, nominato per la prima volta nel 1511, allorquando risulta gestito da Claude Vautrin. Il terzo follosi chiamava Papeterie du Grand-Moulin e risulta citato per la prima volta nel 1525 (risulta attivo ancora nel 1630). Il quarto folloera quello attivo dal 1619 in località La Madeleine. Nei dintorni di Epinal, inoltre, funzionavano i folli di Jarménil (1570 c.),Docelles (diversi opifici sul torrente Vologne attivi dal 1510 c.), Chenimenil (gestito nel 1544 da Jean Bagay), in località VrayChamp (1560 c.) e ad Arches (attivo dal 1469 fino agli anni Ottanta del XVIII secolo).15 Località ricca di corsi d'acqua che vide sorgere, nella prima metà del XVI secolo, diversi folli che producevano carta di apprez-zata qualità. Il più antico documento è del 1534 e concerne il cartaio Etienne de Prouzac attivo in località Pont-des-Tables. Si trattadi una concessione rilasciata dall'Abbazia de la Couronne in cui si autorizza mastro Estienne a costruire due folli da carta.Sappiamo che Estienne prese come apprendisti Jehan Delaville e Jacques Roy e che, nel XVII, era ancora attivo. Nella zona opera-vano, inoltre tre molini da carta sul fiume Charente (uno in località Rief, uno a Gui-Garnard ed uno aPont-de-la-Chenau, tutti men-zionati nel XVII secolo); uno sul torrente Tiarde (a Coutures, gestito dal 1561 da Jean Thibauld e Jehan Tillet); due sul torrenteTouvre (il primo detto Maine-Graignaud, il secondo Ruelle-La Ferrière, entrambi aperti nel Seicento), quattro su corso d'acquachiamato Eaux-Claires (Chamoulard, innalzato nel Seicento e trasformato nel 1702 in molino da grano e da olio, Verger aperto nel1539 e dato in affitto a Therot Texier, Beémont documentato nel 1612 come gestito da Paul Chaulmette, e Chantoiseau gestito nel1669 da Denis Gautier); nove folli sul fiume Charreau (Roussillon sicuramente già attivo nel 1571, Cothier dal suo fondatore,Lénard Cothier, già menzionato nel 1555, Breuty menzionato in un documento del 29 agosto 1540, Le Grand-Girac gestito dal 1550circa da Pierre du Cros, Poullet, Barbary, Moulin-Neuf, Les Brandes e St-Michel tutti operanti nel Seicento) undici folli sullaBoéme (oltre al già menzionato opificio sito in località Pont-des-Tables, ci furono quelli a La Rochandry gestito nel 1561 da JeanMoreau, Le Got concesso dall'Abbazia nel 1497 al cartaio Roullet, La Font-de-la-Térigne gestito nel 1545 da Jean Souller eLussaud documentato nel 1580. Nel Seicento sorsero, invece, gli opifici detti Boutaud, Tudeboeuf, La Courade, Beauvais et Martin,L'Abbaye e Nersac), un follo sulla Nonève (quello denominato Les Dexmiers, nominato nel 1576), 6 mulini sulla Lizonne(Négremus funzionante nel 1516, La Palurie probabilmente aperto nel 1528 da Héliot Texier, La Barde attivo dal 1585 circa,

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produzione della carta nelSeicento ebbe diverse ripercussio-ni nelle regioni di lingua francese:in alcuni distretti la sfavorevolecongiuntura fu superata senza dif-ficoltà, anzi portò addirittura adaumentare la concentrazione diopifici (è il caso dei poli attivi adAmbert e Troyes), mentre in altridistretti parecchi folli, come delresto in gran parte d'Europa,

dovettero chiudere sotto il pesodell'enorme aumento del costodegli stracci e delle altre materieprime. Rimasero attive soltantoquelle cartiere che seppero supe-rare la forte recessione investendoin nuove tecnologie o specializ-zandosi in particolari settori dellaproduzione (in Francia nacqueronel XVII secolo molini da cartache lavoravano esclusivamente

per specifiche committenze: sta-bilimenti di cartone, fabbriche dicarte da gioco, botteghe di carto-lai, rilegatori, merciai, droghieri,cerai, ecc.).

Nella Svizzera francese furonoattivi importanti opifici che servi-vano, soprattutto, ad evadere lecommittenze pubbliche ed i biso-gni delle officine tipografiche

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Champatier, La Chebaudie e Chez Forsat, tutti aperti nel XVII secolo), e un follo sul torrente Antenne (in località Boussac, fondatonel 1786 da Perrin de Boussac). Tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento furono aperti nel distretto di Angoumois altri follida carta, ma sicuramente non riuscirono a mantenere i livelli di alta qualità che contraddistinsero i primi cartai della regione. 16 Nel 1458, come si legge in un documento cancelleresco dell'epoca, il Capitolo di Besançon possedeva un follo in localitàTarragnoz, alle porte città, anche se l'arte della carta fu introdotta certamente prima. L'attività dell'opificio risulta essere discontinuafino al 1512, dopo di che è documentata in maniera ininterrotta fino al XVII secolo. Il più famoso cartaio che gestì il follo diBesançon fu sicuramente Jean de Rosey che usò una filigrana raffigurante una "Mano benedicente sormontata da una corona a trepunte".17 L'introduzione dell'attività cartaria a Neuchâtel, come si riscontra negli "Acts du Musée Neuchâtelois" compilati nel 1901 dalprofessor Quartier-la- Tente, fa specifico riferimento al XV secolo, infatti il 25 luglio 1476 il conte Rodolfo di Neuchâtel, tramiteun contratto notarile, concesse a "mastro Pietro del Piemonte" (proveniente da Caselle sullo Stura) e a Giovannino Varnoz, pure ita-liano, l'autorizzazione ad erigere un follo da carta a Serrières, accordando loro "le terrain et le bois nècessaires moyennant unecense annuelle de deux rames de petit papier, une rame de gros et deux florins d'or". Nel Cinquecento fu attivo il cartaio SimonIteret e, nel secolo successivo, Louis Bard che, da un contratto di vendita del 7 giugno 1624, s'impegnava a consegnare 1000 rismead un tipografo locale. Nel XIX secolo a St-Sulplice funzionava ancora una cartiera gestita dalla famiglia Reymond.18 Negli Archivi del Capitolo di Valère a Sion è conservato il più antico documento scritto su carta esistente in Svizzera. Si tratta diun "Registro di minute" compilato dal notaio Martin e cominciato nel 1275, in cui risultano, tra l'altro, annotazioni di acquisti dipartite di carta, senza però menzionare la fonte di approvvigionamento. Sembrerebbe comunque improbabile che si tratti di produ-zione locale, poiché non solo le prime notizie circa un'attività cartaria a Sion sono relative all'ultimo quarto del XV secolo, masoprattutto perché l'effimero tentativo d'impiantare un follo sulle rive del Rodano risultò del tutto fallimentare, tanto che il molinofu chiuso e non sembra si è avuto alcun seguito all'esperimento. 19 Nei pressi della città esistevano dalla metà del XV secolo due folli: il primo fondato dall'italiano Antonio da Novara in localitàThal, alla confluenza tra il Worb e l'Aare. La cartiera fu ceduta nel 1466 a Jean Giaggi, pure piemontese e proprietario del secondofollo, sito in località Worblaufen. Nel 1467 Giaggi (o Jaggi) ottenne dal magistrato di Berna un privilegio per la raccolta di stracci,così che nel 1469 affittò l'opificio ad un altro piemontese, Jean Pator di Caselle. Non sappiamo fin quando gli italiani gestirono ifolli di Berna, ma nel 1545 troviamo come cartaio Antoine Bergier di Friburgo. La filigrana della carta prodotta nelle cartiere diBerna rappresenta un "Orso" (la più antica riscontrata risale al 1466).20 L'introduzione dell'arte della carta a Ginevra si deve a Claude Savoye, il quale il 2 giugno 1528, presentò il suo progetto alConsiglio della Città sperando di ottenere dal Vescovo la disponibilità di un posto per impiantare un follo a sue spese. I documentisuccessivi, però, pur sottolineando la risposta favorevole delle autorità, non dicono dov'era stato scelto il luogo deputato, anche sesi pensa di averlo localizzato lungo il braccio destro del Rodano, tra l'inizio dell'attuale Quai du Seujet ed il ponte corrispondente.La costruzione, comunque, iniziò nel 1528 e durò a lungo, visto che il follo iniziò a funzionare solo nel 1538. Nel 1532 Savoye fueletto sindaco e, quindi, dovette cedere la gestione del follo a Jehan Chautemps, il quale continuò l'attività marcando la sua produ-zione con una filigrana raffigurante un'"Aquila". Nei dintorni della città, comunque, sorsero altri folli, tanto è vero che uno dei piùantichi atti notarili relativi ai folli da carta ginevrini, del 27 settembre 1526, menziona la carta marcata "à la petite coupe", tra cuiquella di Gratien Bel, il quale gestiva un opificio in località Divonne (venduto successivamente a suo cugino Jacques Bel, cittadinodi Ginevra).

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locali. Nel XV secolo venneroaperte diverse cartiere, tra le piùimportanti delle quali ricordiamoquelle attive a Neuchâtel17 ,capoluogo di Cantone, situatasulla sponda nord-occidentale dellago omonimo ed alle falde delGiura orientale; a Sion18 , capita-le del Cantone del Vallese eBerna19 , capitale dellaConfederazione, costruita su un

meandro dell'Aare.Nel Cinquecento, invece, inizia-rono l'attività i folli di Ginevra20,capoluogo di Cantone situatasulla riva dell'omonimo lago nelpunto in cui esce il Rodano e diLosanna21 , capitale del Cantonedi Vaud, posta sulla riva setten-trionale del lago di Ginevra.Tra le cartiere minori attive nelterritorio oggi occupato dalla

Svizzera francese, dobbiamo,infine, ricordare quelle diBelfaux, Dardagny e Marly (pres-so Fribourg), La Mothe (Vaud) eVersoix (Genéve).

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Nel 1557 subentrò il cartaio Laurent de Normandie. Il follo di Allemogne, invece, era gestito dai fratelli Vualliat (filigrana "fiore aquattro petali"), fornitori del famoso stampatore Henry Estienne. A Ginevra nel Seicento esistevano diverse cartiere, condotte da Bernard Cartier, Pierre Penet, la famiglia Chouet, la famiglia Bolet,la famiglia Orset et Jonas Robert.21 A Losanna l'arte della stampa fu introdotta nel 1493 e, fin dai primi anni del Cinquecento, i tipografi locali spinsero le autoritàcomunali ad aprire un follo da carta per contenere le spese relative alla materia prima. Nei documenti d'Archivio della città svizzeranon ci sono, però, notizie circa un accoglimento delle richieste degli stampatori cittadini. Sembrerebbe, comunque, assodato che laprima cartiera attiva nei dintorni di Losanna fu aperta soltanto attorno alla fine del XVI secolo e non prima.

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Per quanto concerne la bibliografia sul-l'arte della carta nella Svizzera francese(ricordando che il primo mulino ad essereattivo nella Confederazione Elvetica fuquello aperto da Antonio da Novara aBollingen attorno al 1460 circa) dobbia-mo soprattutto ricordare le opere delBRIQUET che, oltre a quelle citate, fannospecifico riferimento alle realtà locali,come Notices historiques sur les plusanciennes papeteries suisses (1883-1885), cui fecero eguito i saggi sullePapeteries de Fribourg (Belfaux, LaGlâne e Marly), sulle Papeteries deGenève et environs (Favergers, Crans,Arenthon, Allemogne, Thoiry, Dardagny,Divonne, St-Loup, Versoix, La Bâtie, eGenève), sulle Papeteries de Berne(Worblaufen, Thal, Worb, Bollingen,Bremgarten, Rheinfelden, Suhr, Clarens,Bière, St-Suplice e La Mothe), sullePapeteries de Bâle, sulle Papeteries deZürich, sulle Papeteries de la Suisse cen-trale (Baar, Cham, Herw, Kriens, Sursee,Perlen e Rotzloch), sulle Papeteries deSeleure et de Neuchâtel (Mümlyswyl,Goesgen, Zuchwyl, St-Suplice etSerrières), sulla Papeterie de la Suisseorientale (Goldach, Kraetzeren, Kubel etSchaffouse) e sulle Papeteries de laSuisse méridionale (Canobbio, Vouvry,Natiers et St-Gingolph).

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LEGATURE CINQUECENTESCHE BOLOGNESI

ALLA QUERINIANA DI BRESCIA

uesto articolo presenta 12esemplari con legature delXVI secolo attribuibili a

botteghe bolognesi, reperite allaQueriniana nel corso di un recen-te censimento delle legature sto-riche.

Considerazioni generali sulla

legatura bolognese del

Cinquecento.

Bologna ebbe grande rilievo nellastoria della legatura in genere, maparticolarmente in quella rinasci-mentale, per il breve ma intensoperiodo che va dal 1520 al 1555circa. L’attività dei legatori evidenziatuttavia un’origine più antica.Diversi artigiani devono esserestati attivi a Bologna nelQuattrocento se non prima, per lapresenza dell’Università, dinumerosi ordini religiosi, di fami-glie patrizie, di intellettuali, diletterati, di notai anche se i loromanufatti non sono identificabilicon certezza. Ricordo Tommasodi Pasquale cartolaio attivo sindal 1350; Cristoforo di GiovanniZoppelli da Lodi citato come“lighator” in un documento del1447; don Bartolomeo di maestroGiovanni del Tintore, miniatore elegatore, indicato come destinata-rio dei pagamenti nel Giornaledella Fabbrica di S Petronio indata 22 aprile 1479; frate

Francesco di Ascoli coordinatoredella legatoria del convento di S.Domenico tra il 1470 e il 1475;Pietro di Girolamo Ciza verso il1475, bidello dell’università,librario e legatore; frateAmbrogio verso il 1490 membrodi S. Maria dei Servi; Cristoforode Libri per la copertura di unBoezio commissionato da GiovanGaspare da Sala.Le legature bolognesi di questoperiodo, decorate con comunilavorazioni a nodo, cerchielli,crocette, losanghe e dischetti, nonsono facilmente differenziabilirispetto alla produzione di granlunga più numerosa di Firenzeche era allora il principale centroper la produzione e il commerciodi libri.Il Cinquecento ha destato l’atten-zione di Tammaro De Marinis inItalia e di alcuni ricercatori stra-

nieri1 dedicatisi allo studio dellelegature rinascimentali felsinee,eseguite anche per alcuni illustristudenti tedeschi quali DamianPflug e Nicolaus Ebeleben che trail 1542 e il 1548 frequentavanol’Università di Bologna.Un’esposizione di legature rina-scimentali bolognesi inedite,tenutasi nel maggio 1998 pressola Biblioteca Universitaria diBologna, ha fornito materiale perun catalogo, redatto a cura diAnthony Hobson, che ha ampliato

e razionalizzato le conoscenzesulle botteghe bolognesi dellaseconda metà del XV e dellaprima metà del XVI secolo. Forse presente nella produzionebolognese della fine del XV2,comunque accertato nei primidecenni del XVI secolo3, è loschema decorativo architettonico. G. D. Hobson segnalò nel 19264,questa tipologia ornamentaledella coperta, la cui funzione èquella di introdurre simbolica-mente il lettore all’argomentotrattato nel volume. Le legaturecosì caratterizzate sono databiliverso l’ultimo quarto del XVsecolo, riconducibili a un’areaben definita dell’Italia nord-orien-tale, comprendente Venezia,Verona, Padova e Ferrara. Il motivo architettonico, derivatodai sarcofagi romani dell’arearavennate, di forma semicilindri-ca, fu utilizzato per la prima voltadall’umanista veronese FeliceFeliciano (1433-79). Questo sche-ma di decorazione è semplice: èinfatti costituito da filetti tracciatia raffigurare un portale di duecolonne sormontate da un archi-trave coronato da un arco a tuttosesto. Le cornici sono provvistedi piccoli fregi, costituiti, neiprimi esemplari, da cordami:manca ogni accenno di prospetti-va. I più noti artigiani bolognesi della

di Federico MacchiBibliofilo, esperto in Legature Storiche

Q

1 GOLDSCHMIDT 1928; SCHUNKE 1974; HOBSON 1998.2 HOBSON 1989, p. 69, n. 2.3 HOBSON 1989, fig. 125, Luciano, Opera, Venezia, Aldo Manuzio, 1503, National Trust, Blickling Hall, II.2, piatto posteriore.4 HOBSON 1926, pp. 18-36.

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prima metà del Cinquecento,riguardano il “primo“ (1517-1522) e il “secondo (1508[?]-ca.1539) legatore di AchilleBocchi”, il legatore di Marescotti(ca. 1519-1522), il “bidellus bur-gundus” (1520), il “legatore deglistudenti tedeschi” (ca. 1520-ca.1523) - artigiani questi ultimi aiquali si rivolgevano abitualmentegli studenti provenienti dallaGermania-, il “legatore di S.Petronio” (ca. 1522-1551), il“primo” (ca. 1525-ca. 1545) e“secondo (ca. 1526-1529) legato-re alla vignetta”, il “primo” (ca.1525-1555) e “secondo (ca. 1525-1535) legatore di S. Salvatore”,“il legatore della Bibbia di UlrichFugger (ca. 1533-1550) e il “lega-tore di Pflug e Ebeleben” che fu ilpiù importante e longevo attivo aBologna (1535 (?)-ca. 1570)Alcune indicazioni fanno suppor-re che quest’ultimo subentrò alla“bottega del legatore degli stu-denti tedeschi”; certamente ebbela maggior parte dei propri clientifra la comunità universitaria diorigine germanica. Trasse la propria denominazioneda due cugini, rampolli di nobilifamiglie sassoni, che compirono

gli studi a Bologna, Damian Pfluge Nikolaus ab Ebeleben: questi sitrasferirono nel capoluogo emilia-no, dopo aver soggiornato aParigi. La data della permanenza bolo-gnese dei due giovani è accertata,perché alcune legature da lorocommissionate, recano il loronome, quello della città, il giorno,il mese e l’anno di esecuzione,una datazione, dunque, fra le piùcomplete che si possano desidera-re.La decorazione di queste partico-lari e ben riconoscibili legaturebolognesi (se ne conosconouna quarantina), è a intrecci geo-metrici, modulo ripreso a Dresdaverso la metà del secolo dal lega-tore Jakob Weidlich5: si collocanella scia dei manufatti ornati alla“maniera parigina”, a nastriintrecciati, a differenza dei modu-li in uso in quel tempo a Bologna,caratterizzati da una semplice cor-nice a secco e da una cartellacentrale dorata.Pflug tra il 1543 ed il 1545 fecerealizzare a Bologna almeno 7legature, mentre 35 furonoapprontate per Ebeleben tra il1543 e 1548: tanti sono infatti, gli

esemplari a noi noti. Di Ebelebensi sa che rimase a Bologna sino al1548, mentre di Pflug è certa lapresenza a Roma nel 1546, ovecommissionò a Mastro Luigi unalegatura6, oggi custodita a Parigi,alla Bibliothèque nationale deFrance. Le legature della bottegadi “Pflug & Ebeleben” seguivanoquantomeno per un certo periodo,l’uso consueto a Bologna, di averil centro dei piatti decorato in oroentro un riquadro ornato a secco.Lo stile della bottega conobbe unradicale mutamento negli anniQuaranta, evidentemente in rispo-sta alle richieste di altri clientitedeschi, come il conte Heinrichzu Castell e Georg Zollner inBrand.Numerose, talvolta peculiari,sono le caratteristiche dellecoperte bolognesi. Al caratteristi-co utilizzo del pellame scuro,nero o bruno, talora quattro bin-delle e tre nervi alternati a quattroapparenti, si affiancano i motividella prima metà del secolo: cuo-riformi contrapposti, la testa dilupo, - pure presente nelle legatu-re coeve venete7 e bergamasche8

-, la mascella dentata, Cupido, ildoppio corno di abbondanza, i tri-

5 HERZOGIN ANNA AMALIA 2007, n. 20, Hutten, Ulrich von, Hoc In Volumine Haec Continentur Ulrichi Hutteni Equ. Super interfec-tione propinqui sui Ioannis Huttenis deploratio, Mainz, Schöffer, 1519, Inc. 395; n. 21, Phrygio, Paulus, Constantinus, Chronicum

regum regnorumque omnium catalogum et perpetuum…, Basel, Herwag., 1534, 2° XVIII:45. 6 DES LIVRES RARES 1998, n. 46, Rés. m. Yc. 372.7 Bergamo, Biblioteca civica “A. Mai”, Agostino da Pavia, Elucidarium christianarum religionum, Brescia, Angelo Britannico,

1511, Cinq. 4 1357 bis.8 Bergamo, Biblioteca civica “A. Mai”, Philippus Presbyter, In historiam Iob., Basilea, Adam Petri, 1527, Cinq. 6 1379.9 HOBSON - QUAQUARELLI 1998, p. 105, n. 53, cartella vuota; p. 108, n. 56, Missale Ordinarium Missae ad pontificis seu sacerdotissolennem aut privatam missam celebraturi usum, sec. XVI, ms. membranaceo, Bologna, Biblioteca universitaria ms. 1603.

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fogli, le piccole foglie aldinepiene bucate, una testa di morofasciata, un filosofo, le fogliettecon trifoglio terminale, e quelli adanfora con doppio uncino. Eancora, la fiamma, il braciereacceso, il nasturzio negli angolidelle cornici, la rosa a sei petalibilobati, le volute uncinate, i fregicentrali a ogiva, la foglia d’acero,il rametto con le estremità a cali-ce aperto a forma di lira, l’autoree/o il titolo dell’opera, posti entrouna coppia di cerchi concentricial centro dei piatti, motti e sen-tenze, rosoni orientaleggianti.Caratteristico schema ornamenta-le bolognese del primoCinquecento è quello costituito dadoppi filetti che si intrecciano aformare disegni geometrici dilosanghe e triangoli. Sono pureimpiegati i motivi della Fortuna ei putti con corno di abbondanza. Dal secondo quarto delCinquecento in poi, compaiono leplacche ad arabeschi dalle ampievolute ad uncino con medaglioneal centro: discretamente diffusetra le rare placche italiane delXVI secolo, costituiscono unpeculiare genere di decorazionebolognese.Verso la fine del secolo, agliintrecci “alla Grolier” o “a nastriintrecciati”, e alle composizionigeometriche a doppi filetti, succe-dono motivi a fogliami, di ispira-

zione naturalistica: ampie e fron-de azzurrate racchiuse o meno,entro una cornice rettangolare.Questa decorazione è caratteristi-ca costante di Bologna tale da farriconoscere come bolognese ognilegatura che presenti questo tipodi ornamentazione9.

Le legature di questo periodosono spesso di buona qualità,come attestano gli esemplaricustoditi in molte biblioteche ita-liane: segnatamente, a Bologna,presso l’Archiginnasio, laBiblioteca Universitaria el’Archivio di Stato, e a Milano,presso la Biblioteca NazionaleBraidense e la BibliotecaTrivulziana.Nel periodo barocco, Bolognaresterà uno dei più importanticentri di produzione di copertedecorate: in particolare, contende-rà a Roma il merito di produrresgargianti decori a ventaglio.Occorre ricordare che Roma, perragioni storiche, ebbe stretti rap-porti con Bologna, circostanzache spiega le affinità stilistiche trale legature realizzate in questoperiodo nei due capoluoghi: que-sta città fece parte degli Statidella Chiesa, come Legazione,dal 1506 all’Unità d’Italia conuna breve parentesi napoleonica.

Seguono le schede di una dozzina

di legature bolognesi, latamenteorganizzate in ordine cronologicodi produzione.

1. Legatura del secondo quarto

del secolo, eseguita dal “secon-

do legatore di Achille Bocchi”

(?) o dal “secondo legatore alla

vignetta”(?).

Dante col sito et forma dell’infer-no tratta dalla istessa descrizionedel poeta, Vinegia, Aldo, 1515,170x102x30 mm, CinquecentineH 39. (Figura. 1).Marocchino bruno dal fiore par-zialmente scomparso, su cartoneparzialmente in vista, decorato asecco e in oro. Cerniere indeboli-te. Angoli ricurvi. Due corniciconcentriche a secco, interrottenella porzione mediana da unmotivo circolare. Foglie di viteaccantonate esterne. Al centro delpiatto anteriore, una vignettadorata a fogliami reca l’impres-sione “DAN/TE” entro tre piccolerosette; quella posteriore, eviden-zia invece, una serie di gigli e distelline. Tracce di quattro bindellein tessuto rosso mattone. Dorso atre nervi rilevati. Capitelli grezzi.Compartimenti muti. Taglio mar-morizzato policromo. Carte diguardia bianche. Il motivo della cartella centralesuggerisce l’opera del “secondolegatore di Achille Bocchi”1

(1508[?]-ca. 1539) o del “secondo

1 HOBSON - QUAQUARELLI 1998, p. 60, n. 8, Bocchi, Achille, In librum septimum Historiae Patriae Epitoma, sec. XVI (1529), ms.cartaceo, Bologna, Biblioteca universitaria, ms. 305, vol. VII; p. 62, n. 10, Bocchi, Achille, In XII librum Historiae Patriae ab urbecondita Epitoma, sec. XVI, ms. cartaceo, Bologna, Biblioteca universitaria, ms. 305, vol. XII.

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legatore alla vignetta”2 (ca. 1526-1529). Dopo il 1522, Achille Bocchi(1488-1562), cittadino felsineo,noto per la sua storia di Bolognafino al 1263, pubblicata tra il1517 e il 1551, si rivolse ad una

seconda bottega. Si trattava di unlibraio dalla cospicua produzione.Caratteristici, la Fortuna al centrodel cartiglio centrale a fogliebucate, il titolo collocato al centrodel piatto anteriore entro una car-tella circolare oppure rettangola-

re.Con riguardo al “secondoMaestro alla vignetta”, sei sono lelegature di cui finora si è accerta-ta la provenienza. La maggiorparte delle legature approntate datale officina, reca una cornicetta

Figura 1. Legatura del secondo quarto del secolo, eseguita a Bologna dal “secondo legatore di Achille Bocchi” (?) o dal “secondolegatore alla vignetta”(?) su Dante col sito et forma dell’inferno tratta dalla istessa descrizione del poeta, Vinegia, Aldo, 1515,

Cinquecentine H 39.

2 HOBSON - QUAQUARELLI 1998, p. 78, n. 26, Homerus, Ulyssea. Batrachomyomachia. Hymni XXXII, Florentiae, Philippus Iunta,1519, Bologna, Biblioteca universitaria, Raro A. 56. 3 DE MARINIS 1960, II, n. 1315 ter, Apuleius, Opera, Firenze, Eredi di Filippo Giunta, 1522. 4 BIBLIOTECA PASSERINI LANDI 2009, p. 28-29, n. 1, Plinius Secundus, Gaius, Historia naturalis, [in italiano] [Tr. Christophorus

Landinus], Venezia, Nicolaus Jenson, 1476, Landi B5.IX.2.

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formata da foglie e daramoscelli3; è peraltro noto ancheun fregio della Fortuna dalla veladispiegata.I motivi circolari nelle porzionimediane della cornice, paionoderivati dalle legature venezianetardo quattrocentesche, cometestimonia un esemplare4 custodi-to nella Biblioteca civicaPasserini Landi di Piacenza.

2. Legatura del secondo quarto

del secolo XVI.

C. Crispi Sallustii De coniuratio-ne Catilinae, Venetiis, in aedibusAldi, 1521, 167x105x23 mm,Cinquecentine G 44. (Figura. 2).Marocchino testa di moro, su car-tone, decorato a secco e in oro.Inquadramento a filetti concentri-ci a secco, e a due in oro. Negliangoli esterni, un fregio costituitoda una coppia di arabeschi unci-

nati affrontati; in quelli interni,una rosetta a sei petali bilobati. Alcentro dei piatti, un braciereardente. Tracce di due bindelle.Dorso a tre nervi rilevati.Materiale di copertura scomparsoin testa. Capitelli grezzi.Compartimenti muti. Taglio blu,marmorizzato. Iscrizione di anticamano sul verso della prima cartadi guardia posteriore. Il cuoio testa di moro, i fregi a

Figura 2. Legatura del secondo quarto del secolo XVI, eseguita a Bologna su C. Crispi Sallustii De coniuratione Catilinae,Venetiis, in aedibus Aldi, 1521, Cinquecentine G 44.

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coppia di arabeschi uncinati con-

trapposti1, le rosette bilobate2 e ilbraciere ardente3 testimonianol’origine bolognese della coperta.Quest’ultimo motivo, frequente

nella coperte rinascimentalidell’Italia settentrionale, si pre-senta, con alcune varianti, sottoforma di vaso da cui fuoriesconodelle fiamme. Posto di solitoentro un compartimento, simbo-

leggia l’amore sacro: allorché èaffiancato da Cupido saettante,l’amore profano, come pure ladevozione dell’autore verso ilproprio mecenate o protettore.Compare anche su legature rina-

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1 DE MARINIS 1960, II, n. 1346, tav. CCXXX, Officium B.M.V., sec. XVI, ms., Milano, Biblioteca Ambrosiana, libro d’ore 6.2 BRESLAUER 107, n. 276, Statius, Sylvarum libri V. Thebaidos libri XII. Achilleidos II; Aldus Manutius, Orthographia et flexus dic-tionum Graecarum apud Statium, Venezia, Aldus Manutius, 1502; HOBSON - QUAQUARELLI 1998, p. 62, n. 10, Bocchi, Achille, InXII librum Historiae Patriae ab urbe condita Epitoma, sec. XVI (1535), ms. cartaceo, Bologna, Biblioteca universitaria, ms. 305,vol. XII. 3 HOBSON - QUAQUARELLI 1998, p. 62, n. 10.4 DE MARINIS 1960, I, n. 603, tav. CIII, Chronique française, sec. XVI, ms. cartaceo, Biblioteca Vaticana, Reginense latino 966; I,n. 604, tav. CIII, Chronique française, sec. XVI, ms. cartaceo, Biblioteca Vaticana, Reginense latino 964.

Figura 3. Legatura del secondo quarto del secolo XVI, eseguita a Bologna dal primo “legatore alla vignetta(?)” su Auli Gellii

…..libri undeginti, Venetiis, aedibus Aldi et Andreae soceri, 1515, 170x107x45 mm, 4A J VIII 26.

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scimentali francesi4.

3. Legatura del secondo quarto

del secolo XVI, eseguita dal

“primo legatore alla vignet-

ta(?)”.

Auli Gellii …..libri undeviginti,Venetiis, aedibus Aldi et Andreaesoceri, 1515, 170x107x45 mm,4A J VIII 26. Provenienza: “J.Francisci Beccelleni (?)” e“Bibliot. Car Baccale (?)Brixiae”. (Figura. 3).Marocchino testa di moro, su car-tone parzialmente in vista, deco-rato a secco e in oro. Cerniereindebolite. Angoli ricurvi e sbrec-ciati. La cornice di filetti multiplia secco provvista di viticci, deli-mita sul piatto anteriore, una car-tella quadrilobata dalla scrittadorata “AVLVS/GELLIVS” entrotre piccole foglie aldine piene; suquello posteriore, l’immagine

della Fortuna dalla vela dispiega-ta. Nel campo, in testa ed alpiede, una rosetta stilizzata dalleestremità bilobate. Quarti di cer-chio accantonati. Tracce di quat-tro bindelle. Dorso a tre doppinervi rilevati. Capitelli grezzi.Taglio concavo, blu. Carte diguardia bianche rifatte. Il cuoio testa di moro1, la cornicea viticci2 e le rosette dal marginebilobato3 nello specchio, testimo-niano l’origine bolognese dellacoperta. In particolare, la cartellaquadrilobata4 nello specchio sem-brerebbe riferibile al “primo lega-tore alla vignetta”. Mentre il “legatore degli studentitedeschi” riforniva principalmentegli studenti stranieri, il “primomaestro alla vignetta” (ca. 1525-ca. 1545) provvedeva alla cliente-la italiana. Questo legatore collo-

ca al centro del piatto anterioreentro una vignetta costituita dacorolle bucate, il titolo del volu-me oppure ad esempio un Cupidooppure, come in questa legatura,un cartiglio a quattro lobi provvi-sto della Fortuna5.

4. Legatura del secondo quarto

del secolo XVI.

Aurelii Cornelii Celsi medicinaelibri VIII…, Venetiis, in aedibusAldi et Andreae Asulani soceri,1528, 218x142x30 mm,Cinquecentine E 48. (Figura. 4).Cuoio marrone, su assi, decoratoa secco. Tre filetti concentrici. Lacornice decorata a piastrelle, raf-figura dei motivi a cordame. Alcentro dello specchio, un cartigliocostituito da quattro fregi affron-tati, di tipo orientaleggiante, entrouna coppia di fiamme, ripetutesingolarmente negli angoli. Due

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1 SCHMITT 1974, pp. 32-33, Boccaccio, Giovanni, Amorosa Visione…Apologia di Gieronimo Claricio contro della Poesia delBoccaccio, Venezia, 1531, Karlsruhe, Badische Landesbibliothek, 66 A 5060 RE.2 DE MARINIS 1966, pp. 100-101, Boccaccio, Giovanni, Ameto (overo Comedia delle Nimphe Fiorentine), Firenze, eredi di FilippoGiunta, 1521; HOBSON - QUAQUARELLI 1998, p. 61, n. 9, Bocchi, Achille, Patriae Historiae ab urbe condita liber XI qui decadisecundae primus MCCVIII, sec. XVI (1533), ms. cartaceo, Bologna, Biblioteca universitaria, ms. 305, vol. XI; LIBRERIA

ANTIQUARIA U. HOEPLI 1925, n. 28, tav. I, Aristophanes, Comoediae novem, Florentiae, per haeredes Philippi Juntae, 1525.3 LIBRERIA ANTIQUARIA U. HOEPLI 1925, n. 28, tav. I, Aristophanes, Comoediae novem cum commentariis antiquis ……(graece),Florentiae, per haeredes Philippi Iuntae, 1525. HOBSON - QUAQUARELLI 1998, p. 75, n. 23, Processionarium Ordinis fratrum praedi-catorum, Venezia, Lucantonio de Giunta, 1517, Bologna, Biblioteca universitaria, Raro B 10.4 Bergamo, Biblioteca “A. Mai”, Biondo, Flavio, Opera omnia, Basilea, Hier. Froben, Io. Herwagen e Nikolaus Episcopius, 1531,Cinq. 7 102 – Cinq. 7 103; BRESLAUER 104, n. 18, Manciolino, Antonio, Opera nova, Venezia, Nicolò d’Aristotile, 1531; LIBRERIA

ANTIQUARIA U. HOEPLI 1928, n. 53, tav. XV, Herodotus, Historie tradotte da Matteo Maria Bojardo, sec. XV, ms. cartaceo;MONTENZ 2007, n. 6, Strozzi, Tito Vespasiano, Strozii poetae pater et filius, Venetiis, in aedibus Aldi et Andreae soceri Asulani,1513.5 Figura simbolica impressa con intento decorativo al centro della coperta, secondo l’iconografia classica della divinità femminile:con i capelli sciolti sulla nuca e la vela al vento, sola o in equilibrio sul dorso di un delfino. Quest’ultima immagine è, in Italia, lapiù diffusa. L’aspetto della Fortuna che i legatori italiani amano far risaltare è la fuggevolezza: perciò la mettono sul dorso di undelfino, simbolo della velocità. Di essa, si conoscono numerose versioni nelle varianti maschile e femminile. In Italia la Fortuna sitrova prevalentemente su legature in marocchino bruno o rossiccio, ma anche bianco, della prima metà del XVI secolo, eseguite tral’altro, a Venezia, Padova e Bologna. In diverse legature prodotte nelle Fiandre nel secolo XVI l’immagine della dea, incisa su plac-ca, assume maggiori dimensioni rispetto al modello italiano, occupando buona parte del piatto (GID - LAFFITTE 1997, n. 89).

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fermagli, rifatti. Dorso a tre nervirilevati. Capitelli rosa e azzurri.Compartimenti provvisti di una

coppia di filetti incrociati. Tagliomarmorizzato policromo. Carte diguardia bianche.

Il genere di cornice1 e la cartellacentrale, presente in legature rea-lizzate nella bottega del “secondo

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1 HOBSON - QUAQUARELLI 1998, p. 53, n. 1, Bernardus Claravallensis, santo, Tractatus super Cantica Canticorum, sec. XIII, ms.membranaceo, Bologna, Biblioteca universitaria, ms. 2437. 2 DE MARINIS 1960, II, n. 1251, tav. CCXIX, Libro segreto del Collegio canonico, sec. XVI (1528), ms., Bologna, Archivio diStato, 137; HOBSON - QUAQUARELLI 1998, p. 72, n. 20, Bocchi, Achille, Historiae Patriae ab urbe condita liber octavus, sec. XVI(posteriore al 1556), ms. cartaceo, Bologna, Biblioteca universitaria, ms. 305, vol. VIII. Cfr. anche Bergamo, Biblioteca “A. Mai”,In Ezechiele. In minoribus prophetae. In Psalterio, Basileae, ex officina Frobeniana, 1536, Cinq. 5 459; Ptolomaeus, Claudius (gr.),Magnae constructionis libri, tr. Giorgio Trapezunzio, cur. Lucas Gauricus, Venezia, L. A. Giunta, 1528, Cinq. 6 712; Irenaeus (S.),Opus Irenaei, cur. Des. Erasmus, Basilea, Io. Froben, 1526, Cinq. 7 191.3 Jacobus de Valentia, Centum et quinquaginta psalmos Dauidicos, Lugduni, in aedibus Joannis Moylin, 1526, Cinquecentine E 52;Libri dell’antica scuola del S.S. Sacramento eretto nella chiesa parrocchiale di S. Paolo di Fiero, fine sec. XV, ms. membranaceo,Ms. F VIII 13.

Figura 4. Legatura del secondo quarto del secolo XVI, eseguita a Bologna su Aurelii Cornelii Celso medicinae libri VIII…,Venetiis, in aedibus Aldi et Andreae Asulani soceri, 1528, Cinquecentine E 48.

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legatore di S. Salvatore”2, sugge-riscono l’origine bolognese dellacoperta. La Queriniana possiededue altri volumi rinascimentalifelsinei3 di questo genere.

5. Mezza legatura del secondo

quarto del secolo XVI.

D. Basilium vere magnum sua lin-gua, Basileae, officinaFrobeniana, 1532, 317x205x70mm, Cinquecentine C 34. (Figura.5).Cuoio marrone, su assi, decoratoa secco. Cornice dalle volute sti-lizzate a foglie bucate. Quattrorettangoli disposti verticalmentecon una rosetta bilobata centrale.Quarti d’angolo di foggia orienta-leggiante. Capitelli e taglio grez-zi. Orientano verso un’origine bolo-gnese della mezza legatura, gene-re raramente segnalato nella lette-ratura delle coperte rinascimentalibolognesi, la cornice a volutefogliate bucate1, le rosette dalmargine bilobato2 e i quarti dicerchio orientaleggianti agliangoli3. Di formato in-folio, essoè caratterizzato da un materiale dicopertura che riveste parzialmen-te le assi in legno. Il dorso hanervi rilevati, e robusti capitelli

agganciati ai piatti tramite forirettangolari praticati nei supporti.

lignei: questi debordano dal bloc-co dei fogli formando l’unghiatu-

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Figura 5. Mezza legatura del secondo quarto del secolo XVI, eseguita a Bologna su D. Basilium vere magnum sua lingua, Basileae, officina Frobeniana, 1532,

Cinquecentine C 34.

1 Bergamo, Biblioteca civica “A. Mai”, Leone, Ambrogio da Nola, De vrinis actvarii Ioannis Zachariae filij, medici, praestantissi-mi, libri VII, Basileae, Andrea Cratander, 1529, Cinq. 2 280; DE MARINIS 1966, pp. 182-183, Psalterium romanum, Venetiis, apudIuntas, 1576; DE MARINIS 1960, II, n. 1273, tav. CCXXI, Aulus Gellius, Venezia, 1515, Biblioteca vaticana, L.d.m.4; HOBSON -QUAQUARELLI 1998, p. 62, n. 10, Bocchi, Achille, In XII librum Historiae Patriae ab urbe condita Epitoma, sec. XVI, (1535), ms.cartaceo, Bologna, Biblioteca universitaria, ms. 305, vol. XII; LEGATURE RINASCIMENTALI 1999, p. XXIV, n. 29, Missale Romanum,Venetiis, Haeredes Luce Antonii Junte, 1560, Milano, collezione privata; Piacenza, Biblioteca Passerini Landi, Rabi Rossei Aegyptijdux, seu Director dubitatium aut perplexorum in treis Libros divisus, opera Iudocii Badii Ascensium, 1520, G’.IV.23.2 Cfr. la scheda n. 2, nota2.3 DE MARINIS 1960, II, n. 1248, tav. CCXIV, Valerius Flaccus, Bologna, 1519, Biblioteca Vaticana R.I.,II.1029.

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ra, adottata almeno sin dal XIII,ma in uso corrente dal XV secolo.I quattro fermagli ne completanoil profilo. Questa Biblioteca pos-

siede altri esemplari rinascimen-tali bolognesi di questo tipo4.

6. Legatura del secondo quarto

del secolo XVI.

Theodori grammatices libri I-IIII,Florentiae, haeredes PhilippiIuntae, 1526, 170x103x37 mm,Salone F XVI 41. Restauro:Giuseppe Ferrari, Modena.(Figura. 6).Cuoio marrone, su cartone, deco-rato a secco. Sui piatti, un’ampiaplacca (170x100 mm) di foggiaorientaleggiante, caratterizzata alcentro, da un cupido alato munitodi un arco con freccia nell’arco,entro motivi ad arabeschi. Traccedi due bindelle in cuoio. Dorso atre nervi rilevati. Capitelli e cartedi guardia rifatti. Taglio di coloreblu.Alcune placche1 ad arabescofurono impiegate dai legatoribolognesi del secondo quarto delCinquecento, a secco e in oro sucuoio di capra, o meno frequente-mente, in oro, e in nero su perga-mena. Lo scopo era quello diottenere con una sola impressio-ne, a differenza dei punzoni cherichiedevano un lungo e costosonumero di interventi, un riccoeffetto ornamentale. Sembra chele placche siano state realizzatetramite fusione e non tramite inci-sione: esemplari identici potevanoquindi essere in possesso di botte-ghe diverse. Una placca in dueparti, superiore ed inferiore, fuusata essenzialmente, e forseesclusivamente, dal legatore “di“Pflug ed Ebeleben”. Un’altra

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4 2A GG III 7, 2A GG III 8, 2A GG III 9.

Figura 6. Legatura del secondo quarto del secolo XVI, eseguita a Bologna su Theodorigrammatices libri I-IIII, Florentiae, haeredes Philippi Iuntae, 1526, 170x103x37 mm,

Salone F XVI 41.

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placca in due parti fu impiegatasu due legature eseguite perMarcantonio Totila. Una terzaplacca o esistette in più di unacopia o circolò da una bottegadall’altra. La Biblioteca universi-taria di Bologna possiede un’ana-loga legatura2 a quella proposta.L’immagine di Cupido o del Diopagano, sola o assieme a quelladella Fortuna, fu impiegata inperiodo rinascimentale da legatoridell’Italia settentrionale ed è,altrove, molto meno diffusa. Eraun soggetto cui si ricorreva spes-so nella decorazione di libri diautori classici venduti a studentiprovenienti dai vari paesi europei.Il Dio appare sotto forma di puttoalato, un piede proteso in avanti o

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1 Lastra di metallo incisa, realizzata sem-bra tramite fusione, utilizzata come i ferriper l’impressione di decorazioni sullelegature. Per le sue dimensioni non puòessere impressa a mano come gli altri ferrima necessita dell’ausilio di una pressa o diun bilanciere. L’incisione della decorazio-ne sulla lastra, è eseguita in cavo se sivuole imprimere a secco, o in rilievo se sivuole imprimere in oro (la matrice incisain rilievo per la doratura può tuttavia esse-re utilizzata anche a secco). Con una plac-ca si può decorare parzialmente o total-mente il piatto di un volume, piccole plac-che possono essere accostate per crearecombinazioni diverse adatte alla misuradel piatto da decorare o possono esserecompletate da cornici e altre decorazioniimpresse con rotelle o piccoli ferri. Nellelegature più antiche, le prime decorazioni di questo genere erano ottenute con l’impiego di matrici xilografiche con le quali s’impri-meva a freddo il disegno, esercitando una forte pressione sul cuoio inumidito. Successivamente vennero prodotte placche di ferro,incise in cavo, che, riscaldate, permettevano d’imprimere il motivo a secco, cioè senza inumidire il cuoio. La decorazione così otte-nuta risulta leggermente in rilievo su fondo brunito. Rare e tardive le placche in Italia: sono note agli inizi del XVI secolo, quelle asecco su legature genovesi firmate in lettere capitali da Antonio di Taggia (“opus antonii de tabia in carubeo fili inclite civitatisianue”) e da Viviano da Varese Ligure (“opus viviani de varixio cartarii in carubeo fili ian”). 2 HOBSON - QUAQUARELLI 1998, p. 102, n. 50, Gaza, Theodorus, Theodori grammatices libri IIII, Florentiae, per haeredes PhilippiIuntae, 1526, Biblioteca Universitaria di Bologna, A.V.Z.XIV.18.

Figura 7. Riutilizzo dei piatti di una legatura del secondo quarto del secolo XVI, ese-guita a Bologna su Martinengo, Giovanni Giacomo, Successi in Bs. e trattato con

Venezia, sec. XVI (1511), ms. cartaceo, 323x220x48 mm, Ms. H IV 1.

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posto sul globo, bendato, armatod’un arco col quale sta saettandoo ha appena saettato una frecciatalvolta visibile fuori dal cartiglioin cui Cupido è talora inscritto.

7. Riutilizzo dei piatti di una

legatura del secondo quarto del

secolo XVI.

Martinengo, Giovanni Giacomo,Successi in Bs. e trattato conVenezia, sec. XVI (1511), ms.cartaceo, 323x220x48 mm, Ms. HIV 1. Provenienza: legatoMartinengo. (Figura. 7).Marocchino marrone rossiccio, sucartone, decorato a secco ed inoro. Tre cornici concentriche deli-neate da multipli filetti a secco,raffigurano rispettivamente: 1)volute provviste di arabeschipieni ad uncino e di corolle stiliz-zate; 2) coppie di cuori aldinipieni; 3) foglie bucate intrecciate.Una coppia di arabeschi accanto-nati, delineati da un quarto di cer-chio all’estremità. Nello specchio,una losanga costituita da quattromotivi a mensola, ripetuti negliangoli. Quattro bindelle rifattedecorate con degli arabeschi.Dorso a tre nervi e carte di guar-dia bianche rifatti. Taglio grezzo. Il cuoio scuro, le volute ad uncinonella cornice esterna1 e le fogliebucate intrecciate2 in quella inter-na, testimoniano la genesi bolo-gnese del volume restaurato.

8. Riutilizzo dei piatti di una

legatura del secondo quarto del

secolo XVI.

Privilegi di Brescia …, sec. XVI,ms. membranaceo, 310x215x65

mm, Ms. H V 4. (Figura. 8).Marocchino marrone, su assi,decorato a secco. Cornice decora-ta con motivi orientaleggiantiintrecciati. Losanga interna con

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1 FUMAGALLI 1913, tav. IX, Petrarcha, Venezia, Gabr. Giolito de Ferrari, 1545, ? &. 2. 9. 2 Cfr. la scheda n. 5, nota1.

Figura 8. Riutilizzo dei piatti di una legatura del secondo quarto del secolo XVI, ese-guita a Bologna su Privilegi di Brescia …, sec. XVI, ms. membranaceo, 310x215x65

mm, Ms. H V 4.

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arabeschi. Borchie angolari atesta bombata e a cappello; umbo-ne a bottone centrale bombato.Ferramenta a rosette e a motivifogliati. Due fermagli. Dorso aquattro nervi rifatto. Capitellibianchi e gialli. Taglio grezzo. Il genere di decorazione della cor-nice esterna1 orienta verso un’ori-gine felsinea. Cantonali non origi-nari, come evidenziano leimpronte sul cuoio dalle maggioridimensioni che fuoriescono intesta rispetto a quelli oggi presen-ti e la loro esecuzione in areatedesca2. Apparente riutilizzo,come testimonia l’ampio valoredi unghiatura3 al piede ed in testa(10 mm. ca.). Il decoro “a losanga-rettangolo” ècostituito da un nastro a forma dilosanga generalmente inscrittaentro un rettangolo. Noto almenodal VII secolo nell’ornamentazio-ne di legature copte, è stato

ampiamente impiegato nel corsodei secoli. Frequente in Italia,specie nelle legature venezianedel XVI secolo nella forma di“losanga-rettangolo”; in quella di“losanga ondulata”, comparenelle legature eseguite da Andreadi Lorenzo o “Mendoza binder”,dal “Fugger-Meister” e da AntonLudwig. Si ritrova nel periodorinascimentale con il tipico aspet-to di losanga-rettangolo anche sulegature di area francese, spagno-la e nordica.In occasione del restauro, sonostati applicati i fermagli, conaggancio sul piatto anteriore, inluogo di quello posteriore, comedi regola avviene per le legatureitaliane di questo periodo.

9. Legatura del secondo quarto

del secolo XVI.

Vegetio, De l’arte militare ne lacommune lingua, Venetia, 1540,

155x107x25 mm, CinquecentineG 54 m 1-2. (Figura. 9).Cuoio marrone, su cartone, deco-rato a secco e in oro. Angolischiacciati. Filetti concentrici asecco. Cornice dorata a torciglio-ne. Al centro del piatto anteriore,entro una cartella di fregi orienta-leggianti, un’iscrizione recita“VEGE/TIO/FLAVII/VVL/GAR”; su quello posteriore, la Fortunadalla vela dispiegata. Un fioronedalla corolla a testa bombatastriata negli angoli esterni. Traccedi quattro bindelle in tessuto.Dorso a tre nervi alternati a quat-tro apparenti con tratteggi obliqui.Una stellina entro una coppia ditriangoli convergenti ai lati.Taglio dorato e cesellato dai moti-vi a nodi intrecciati. Capitelliverdi e rosa. Carte di guardiabianche con una filigrana a formadi un ampio giglio entro un cer-chio a doppio filetto.

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1 Bergamo, Biblioteca civica “A. Mai”, Missa apostolorum Petri et Pauli, latino, prima metà sec. XVI, ms. membranaceo, Veneto,decorazione del codice di scuola veneta, scrittura gotica “de forma”, cc. 33, Cassaforte 2.20; Libri liturgici pontificali, Pontificaleromanum, Venezia, eredi di Lucantonio Giunta, 1561, Cinq. 6 891; DE MARINIS 1960, II, n. 1245, tav. CCXIII, Matricula Germ.Collegii, sec. XVI (1543), ms. cartaceo, Bologna, Biblioteca universitaria; Milano, Libreria antiquaria Mediolanum, Hyginus,Opere, Basilea, Hervagium, 1535.2 ADLER G. – KRAUSKOPF J., Abb. 4.80, 4.88. I cantonali e gli umboni proteggono il piatto centrale, gli angoli e il materiale dicopertura, creando una distanza tra la superficie dei piatti e quella di collocazione. Per incrementare tale distanza, è stato introdottoil bottone lavorato in cavo, oppure pieno o ancora fuso con la borchia stessa. Dopo l’invenzione dei caratteri mobili, l’incrementataproduzione libraria richiede di velocizzare anche la realizzazione dei fermagli e dei cantonali e degli umboni. Fin verso il 1470,cantonali e umboni vengono realizzati singolarmente per ogni volume. Con l’avvento tuttavia dei singoli componenti ottenuti perfusione, è possibile parlare di produzione seriale. Potevano essere acquistati nei mercati locali sotto forma di semilavorati da adatta-re con pochi accorgimenti al volume considerato. Per le legature correnti, è l’ottone – lega di rame e zinco (20%) - ad essere prefe-

rito: può essere fuso, facilmente lavorato e mantiene a lungo lo splendore.3 L’unghiatura è la parte interna del piatto che deborda, sui tre lati, dal corpo del volume lungo i tre tagli: in genere da 3 fino a 15mm ca. in uso sin dal XIII secolo per proteggere il blocco delle pagine. Dal XVII secolo può essere ornata nelle legature di maggiorpregio: tale decorazione eseguita in genere con la rotella che consente di realizzare velocemente un motivo ornamentale continuolungo tutto il bordo interno della coperta; viene anche impropriamente denominato “pizzo interno”, in riferimento alla decorazione“a pizzo”, frequentemente impiegata nel XVII e XVIII secolo. Nel periodo romantico, l’unghiatura presenta in genere una decora-zione più sobria caratterizzata da filettature doppie o triple o da greche che richiamano la decorazione della coperta.

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Legatura felsinea, come suggeri- scono la corolla a testa bombata striata1, il tipo di cornice a torci-

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Figura 9. Legatura del secondo quarto del secolo XVI, eseguita a Bologna su Vegetio, De l’arte militare ne la commune lingua,Venetia, 1540, 155x107x25 mm, Cinquecentine G 54 m 1-2.

1 DE MARINIS 1960, II, n. 1320, tav. CCXXVII, Ricettario di bellezza, sec. XVI, ms. membranaceo, Bologna, Biblioteca universita-ria, cod. 1352; II, n. 1368, tav. CCXXXIII, Inscriptiones antiquae, sec. XVI, ms., Bologna, Biblioteca universitaria, cod. 851; II, n.

1359, tav. CCXXXIV, Terentius, Lyon, 1544, London, coll. Ch. Fairfaix Murray.2 Bergamo, Biblioteca civica “A. Mai”, Pentateuchus Moysi; Iosue, Liber Iudicum; Ruth; Proverbia Salomonis; Ecclesiastes;Cantica Canticorum; Liber Sapientiae; Ecclesiasticus; Libri Prophetarum; Machabeorum libri, Lione, Jehan Clein, 1529, inizialiillustrate, Cinq. 1 38; BIBLIOTECA CASANATENSE 1995, I, n. 291, II, p. 81, fig. 124, Dubois, Jacques, De medicamentorum simpli-cium, praeparationibus, mistionis modo, libri tres, Venetiis, ex officina Erasmiana apud Vincentium Vaugris, 1543, O.IX.9;BRESLAUER 104 A, n. 154, Celsius, Aurelius Cornelius, Medecinae libri VIII; Quintus Serenus, Liber de medicina, Venezia, in aedi-bus Aldi & Andreae Asolano soceri, 1528; HOBSON 1989, fig. 125, Luciano, Opera, Venezia, Aldo Manuzio, 1503, National Trust,Blickling Hall, II.2, piatto posteriore; Piacenza, Biblioteca Passerini Landi, Enchiridion Psalmorum, Lugduni, Seb. Gryphius, 1534,8C.XI.18. 3 BRESLAUER 107, n. 176, Josephus, Flavius, De bello Iudaico. De antiquitatibus. De Imperatrice ratione, in quo martyriumMachabeorum describitur, Lyon, S. Gryphius, 1528.

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glione2 e la cartella centrale daimotivi fioriti bucati3. Per lanozione di Fortuna, cfr. la schedan. 3, nota 5.

10. Legatura del secondo quar-

to del secolo XVI.

Pontificale del vescovo DomenicoDomeniche, sec. XV, ms. mem-branaceo, scrittura gotica libraria,290x207x100 mm, Ms. A III 11.Provenienza: Capitolo delDuomo. (Figura. 10).Cuoio bruno dal fiore parzialmen-te scomparso, su assi, decorato asecco. La cornice raffigura dellevolute a fogliami stilizzati bucatie intrecciati. Nello specchio, unalosanga provvista di viticci.Cartiglio centrale ottenuto con seigigli bocciolati, ripetuti singolar-mente negli angoli e all’internodella losanga. Tracce di quattrobindelle. Dorso rifatto, provvistodi quattro nervi. Capitelli assenti. Le foglie bucate intrecciate1 nellacornice, fregio pure presente intre altri esemplari cinquecenteschibolognesi2 custoditi in questaBiblioteca, i viticci3 e i gigli boc-ciolati4, testimoniano l’originefelsinea della coperta. Impiantoornamentale inusuale.

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Figura 10. Legatura del secondo quarto del secolo XVI, eseguita a Bologna suPontificale del vescovo Domenico Domeniche, sec. XV, ms. membranaceo, scrittura

gotica libraria, Ms. A III 11.

1 Cfr. la scheda n. 5, nota1.2 2A GG III 7, 2A GG III 8, 2A GG III 9.3 DE MARINIS 1960, n. 1251, tav. CCXIX, Libro segreto del Collegio Canonico, sec. XVI (1528), ms. membranaceo, Bologna.

Archivio di Stato, 137.4 HOBSON - QUAQUARELLI 1998, n. 59, n. 7, Bocchi, Achille, Historiae Patriae ab urbe condita Liber Sextus, sec. XVI (1528), ms.cartaceo, Bologna, Biblioteca universitaria, ms. 305, vol. VI.

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11. Legatura del 1547, eseguita

dal “legatore di Pflug &

Ebeleben”.

Rhetoricorum ad C. Herenniumlibri III; Ciceronis: De inventionelibri II; De oratore, ad Q. fra-trem, libri III; Brutus, sive de cla-ris oratoribus, liber I; Orator adBrutum; Topica ad Trebatium;Oratoriae partitiones.Initium libride optimo genere oratorum, corri-

gente Paulo Manutio, Aldi filio,Venetiis, 1546, 166x105x30 mm,

4A G VIII 16. (Figura. 11).Marocchino nocciola, su cartone,decorato a secco e in oro. Angoliricurvi con supporto in vista.Coppia di filetti concentrici asecco. La cornice dorata delimitala cartella centrale di foglie buca-te provvista sul piatto anteriore,dell’iscrizione “M/T C/RHETO-

RI/VO/I”,“MD/XLVII/IXLVL/BONO/NIÆ” su quello posteriore.Fregio a corolla bombata e striatanegli angoli esterni della cornicee fregio aldino pieno accantonatoin quelli interni. Dorso a tre nervie quattro apparenti rilevati, ornaticon delle barrette diagonali dora-te. Alette di rinforzo orizzontali inpergamena manoscritta. Capitelliverdi e azzurri. Taglio dorato.

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Figura 11: Legatura del 1547, eseguita a Bologna dal “legatore di Pflug & Ebeleben” su Rhetoricorum ad C. Herennium libri III;Ciceronis: De inventione libri II; De oratore, ad Q. fratrem, libri III; Brutus, sive de claris oratoribus, liber I; Orator ad Brutum;Topica ad Trebatium; Oratoriae partitiones.Initium libri de optimo genere oratorum, corrigente Paulo Manutio, Aldi filio, Venetiis,

1546, 4A G VIII 16.

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Come nelle legature eseguite perDamian Pflug e Nikolaus abEbeleben che fecero imprimeresulle coperte dei loro libri la dataed il luogo della legatura, anchequesto esemplare presenta analo-ghe caratteristiche. Tipici dellabottega sono i motivi a corollabombata e striata negli angoliesterni della cornice1, il fregio ditipo aldino in quelli interni2 e lacartella centrale3. La Bibliotecareale di Copenhagen custodisceuna legatura prodotta da questoopificio, caratterizzata dal mede-simo impianto ornamentale4.

12. Legatura dell’ultimo quarto

del secolo XVI, non oltre il

1585.

Paleotti, Gabriele, Discorso intor-no alle immagini sacre et profa-ne, diviso in cinque libri,Bologna, Alessandro Benacci,1582, 218x151x48 mm., Salone

G V 34. Provenienza: Bologna,biblioteca di S. Domenico.(Figura. 12).Marocchino marrone, su cartone,decorato a secco e in oro. Entrofiletti concentrici a secco, unacornice dorata provvista di voluteazzurrate e di corolle stilizzate.Una coppia di nasturzi negliangoli esterni del riquadro sulpiatto posteriore. Al centro deipiatti, una placca orientaleggiantecostituita da un fregio a mensolaimpresso quattro volte e provvistodi un trifoglio alle estremità, ripe-tuto singolarmente negli angoliinterni dello specchio. Sul piattoposteriore, l’iscrizione “MOLE/RCAR./PALEOTTI” e“DELLE IM/AGINI”. Quattrofermagli un tempo, due quellioggi rimasti, caratterizzati da unacoppia di bindelle decorate conun fregio a nasturzio. Dorso a trenervi rilevati. Capitelli assenti.

Una corolla a testa bombata estriata al centro dei compartimen-ti. Alette cartacee orizzontali dirinforzo. Taglio grezzo. Carte diguardia bianche. Una scritta al piede del frontespi-zio, informa che il bibliotecariodel convento di S. Domenico inBologna, acquistò il volume nel1585, anno di esecuzione “adquem” del manufatto. Orientanoverso una genesi locale, la corni-ce a viticci, il nasturzio, il trifo-glio alle estremità della mandorlacentrale, come suggerisce un ana-logo esemplare custodito nellaBiblioteca Universitaria del capo-luogo emiliano1, e la provenien-za. Il nasturzio costituisce un motivostilizzato ispirato alla pianta omo-nima, che al naturale presentafoglie arrotondate disposte acorona. In uso nella seconda metàdel secolo XVI e nei primi decen-

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1 BRESLAUER 93, n. 338, Guillaud, Cl., Collatio in omnes Divi Pauli Apostoli Epistolas, Lyon, S. Gryphius, 1543; GOLDSCHMIDT

1928, n. 198, tav. LXXII, LXXIII, Cicero Orationes, vol. II; Opera philosophica, vol. II, Venezia, Aldus 1541; HOBSON 1989, fig.135, Breviarium Romanum, Nonantola, Georgius et Antonius fratres de Mischinis, 1480, Manchester, John Rylands UniversityLibrary, 10241; HOBSON - QUAQUARELLI 1998, p. 89, n. 37, Psalterium Chartusianum cum litaniis, sec. XV, ms. membranaceo,Bologna, Biblioteca universitaria, ms. 2916; LATHROP C. HARPER INC. 1981, n. 30, Johannes Chrysostomus, In Sanctum Iesu ChristiEvangelium, secundum Matthaeum commentarii, Paris, Charlotte Gaillard, 1543; SOTHEBY 1965, n. 541, tav. 64, Petrarca, Trionfi,sonetti, canzoni, Venezia, Gabriel Giolito, 1547.2 BEARMAN–KRIVATSY-MOWERY 1992, p. 196, n. 12:5. Sirenius, Julius, De Fato Libri Novem, Venezia, Giordano Ziletti, 1563, BJ1460 S5 1563 Cage; GOLDSCHMIDT 1928, n. 209, tav. LXXXII, Justinianus, Institutiones, Venezia, L. A. Giunta, 1543. Volume ese-guito per Mattheus Hörbrott, oggi custodito alla British Library di Londra (Davis 806); HOBSON - QUAQUARELLI 1998, p. 91, n. 39,Officium parvum beatae Mariae Virginis, Parisiis, Opera Egidij Hardouyn …et Germani Hardouyn, calendario dal 1513 al 1527,Bologna Biblioteca universitaria, Raro B 11; NEEDHAM 1979, n. 52, Omero, Iliade, Odissea, Venezia, eredi di Aldo Manuzio, 1524,New York, Pierpont Morgan Library, PML 55173-74. 3 HERZOGIN ANNA AMALIA 2007, n. 19, Aschines e altri, Orationes horum Rhetorum, Venedig, Aldus & Socer., 1513, Inc 217;BRESLAUER 93, n. 338; DE MARINIS 1960, II, n. 1317, tav. CCXXV, Biblioteca Vaticana, l.d.m. 150, Valerius Maximus, Venezia,1534, manufatto eseguito per Annibale Campeggi; HOBSON - QUAQUARELLI 1998, p. 89, n. 37, Psalterium Chartusianum cum lita-niis, sec. XV, ms. membranaceo, Bologna, Biblioteca universitaria, ms. 2916; LATHROP C. HARPER INC. 1981, n. 30; LEGATURE

RINASCIMENTALI 1999, p. XXIV, n. 29, Missale Romanum, Venetiis, Haeredes Luce Antonii Junte, 1560, Milano, collezione privata.4 ROYAL LIBRARY 1938, I, n. 48, Cicero, Epistolae ad Atticum, ad M. Brutum, ad Quintum fratrem, Venetiis, Aldus, 1544. Al centrodel piatto anteriore scritta “M./T.C./EPISTO./AD AT/TI.”; su quello posteriore “MD/XLVII/IX LVL/BONO/NIAE”.

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ni di quello successivo, su legatu-re venete2 e bolognesi3, tale fre-

gio compare generalmente neiquattro angoli interni della corni-

ce, oppure, con disposizione piùcuriosa, alternativamente nei soli

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Figura 12. Legatura dell’ultimo quarto del secolo XVI, non oltre il 1585, eseguita a Bologna su Paleotti, Gabriele, Discorso intornoalle immagini sacre et profane, diviso in cinque libri, Bologna, Alessandro Benacci, 1582, Salone G V 34.

1 HOBSON - QUAQUARELLI 1998, p. 106, n. 54, Clario, Isidoro, In sermonem Domini in monte habitum secundum Matthaeum oratio-nes sexagintanovem ad populum, Venetiis, apud Dominicum Nicolinum, 1566, Bologna, Biblioteca universitaria, A.M.NN.I.30. 2 BIBLIOTECA MARCIANA 1988, p. 233, tav. CXLV, Capitolare giurato da Andrea Bernardo eletto consigliere ducale, Cod. It. VII,1729; FRANKFURTER BÜCHERFREUNDE 1914-1919, n. 1104, tav. CXXXVI, Diploma di dottorato della facoltà di giusrisprudenza del-l’università di Padova, 1585. 3 BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA 1977, n. 149, tav. CXV, Ulisse Aldrovandi, Ornithologiae…..libri XII. Index, Bologna, GiovanBattista Bellagamba, 1600, R.I.S. 52 (C); HOBSON - QUAQUARELLI 1998, p. 112, n. 60, Ulisse Aldrovandi, Antidotarium aBonon. Med. Collegio ampliatum, Bononiae, apud Victorium Benacium, 1606, Bologna, Biblioteca Universitaria, A.IV.B.VII.8;Milano, Biblioteca Braidense, Missae propriae festorum; Missale Romanum, Venetiis, apud Iuntas, 1595-1600, Stampe Popolari L5.4 Oratio funebris et aliae compositiones in laudem Petri de Accoltis, sec. XVII (1627), ms. cartaceo, Aldini 182; Mons. CornelioMusso, Delle prediche quadregisimali (2 vol.) Venezia, stamperia de’ Giunti, 1586, M.N. 12 F 3.

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due angoli esterni di testa e dipiede dei piatti. Tale fregio fupure adottato per il decoro dellapergamena, come testimonia unacoppia di inediti esemplari custo-diti nella Biblioteca Universitaria

di Pavia4: in uso particolarmentea Bologna, costituisce un preziosoaiuto nell’identificazione dellelegature di questa città .Il decoro “a centro e angoli”, diorigine orientale tanto che figurasu tessuti, tappeti persiani e inminiature del Corano, è caratte-rizzato da un motivo centrale eangolari impressi con placche divaria dimensione a fondo dorato,pieno come nell’esemplare propo-sto, oppure azzurrato. La placcacentrale, di varie dimensioni, haforma di mandorla, di ovale o dicartella entro la quale un sottilenastro si intreccia variamente. Gliangolari, sono di forma prevalen-temente a triangolo rettangolocontenente volute ed arabeschi.Esso non richiede la fantasia el’abilità necessarie per realizzarelegature a piccoli ferri o con filet-ti: il suo impatto è legato preva-lentemente alla finezza dei motivirealizzati nelle placche. Comparein Europa a Venezia nell’ultimoquarto del secolo XV, ma siimpone più tardi, nel periodo1550-1560, a Parigi, da dove sidiffonderà tra il 1570 e il 1650ca., principalmente in Germania,in Inghilterra e nei Paesi Bassi,mantenendo delle caratteristichesimilari. Curiosamente, risultameno impiegato nei paesi europeiche meglio degli altri sembrereb-bero aperti all’influsso orientale:

in Italia, Spagna e persino aVenezia non sarà mai particolar-mente diffuso. Gabriele Paleotti (Bologna, 4ottobre 1522 – Roma, 23 luglio1597) è stato un cardinale italia-no, arcivescovo di Bologna dal1566, importante figura dell’epo-ca della Controriforma. Per inca-rico di papa Pio IV, partecipòcome consultore e canonista alConcilio di Trento (1562): dopo ilconcilio il pontefice lo innalzòalla dignità cardinalizia nel conci-storo del 12 marzo 1565, ed entròa far parte di quella che sarebbediventata la Congregazione delConcilio. Nel 1582 pubblicò ilcelebre Discorso intorno alleimmagini sacre e profane, chedettò i principi a cui dovevanoattenersi gli artisti dellaControriforma. Scomparve nel1597 e venne sepolto nellaCattedrale metropolitana di SanPietro a Bologna.

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ue carte miniate del territo-rio bresciano, entrambe col-locabili nella seconda metà

del XV secolo, consentono di dareuno sguardo non solo al livellodelle conoscenze “geografiche”che potevano avere le persone diallora, ma anche sulla ubicazionedi rocche, fortificazioni, borghi ecastelli disseminati, in particolare,nella fascia compresa tra le Vallied il fiume Oglio.

Miniata su pergamena, laprima carta (Figura 1) del territo-rio bresciano apparteneva al ms.H.V.5, di cui costituiva le cc. 282-283; prelevata successivamente, èora conservata in una cartellaautonoma. Non si tratta, pertanto,di una carta geografica vera e pro-pria, bensì di un elemento didasca-lico del celebre Libro dei privilegidi Brescia, una sorta di prontuarionormativo e legislativo sulle esen-zioni di natura fiscale godute dallacittà, dal territorio e dalle famiglienobili locali.

È databile con precisioneai primi anni Settanta del XVsecolo. Contiene una delle piùantiche raffigurazioni del territoriobresciano. Nonostante una eviden-te sproporzione fra le distanze euna certa ingenuità nel disegno enell’esecuzione, la carta è moltoprecisa per quanto riguarda l’ubi-cazione dei castelli e dei borghifortificati, nonché delle vie d’ac-qua che attraversano i monti e lapianura. Ben rappresentata è lastruttura urbana della città diBrescia; sono infatti perfettamentevisibili il castello, le mura, le anti-che porte e la cinta muraria interna

che delimitava la cittadella vec-chia.

La carta funge da comple-tamento della sezione documenta-ria dedicata ai possedimenti fon-diari della famiglia Martinengo,una delle famiglie nobili piùinfluenti nella storia bresciana.Nonostante una evidente spropor-zione fra le distanze ed una certaingenuità nel disegno e nell’esecu-

zione, la carta è molto precisa perquanto riguarda l’ubicazione deicastelli e bei borghi fortificati,nonché delle vie d’acqua che attra-versano i monti e la pianura. Inessa vi è inoltre una delle più anti-che raffigurazioni del territoriobresciano ed in particolare dellastruttura urbana del capoluogo;sono infatti perfettamente visibilile mura, le antiche porte, il castel-

PEPITE QUERINIANE: RUBRICA DI SCOPERTE BIBLIOGRAFICHE

ANTICHE RAFFIGURAZIONI MINIATE DELLA

CITTA’ E DEL CASTELLO DI BRESCIAdi Ennio FerraglioDirettore del Sistema Bibliotecario Urbano di Brescia, Socio dell'Ateneo di Brescia

D

Figura 1. Miniatura su pergamena tratta dal Libro dei Privilegi. Ms. H V 5.

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Figura 2. Carta miniata su di unfoglio di pergamena di grandi

dimensioni, oggi conservata pressola Biblioteca Estense di Modena

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lo e la cinta muraria interna chedelimitava la cittadella vecchia.

Sul verso della carta sonodipinte alcune delicate scene divita agreste, con uomini ed anima-li.

La seconda immagine(Figura 2) è tratta da una carta

miniata su di un foglio di perga-mena di grandi dimensioni, oggiconservata presso la BibliotecaEstense di Modena. Forse coevadella precedente, la carta è peròmeno precisa per quanto riguardala raffigurazione della città diBrescia, anche se alcuni elementi

corrispondono alla realtà, comel’ubicazione delle porte e, soprat-tutto, la collocazione del castello.La raffigurazione del castello è,invece, frutto di fantasia, in quan-to manca del tutto la molteplicecinta muraria che digrada dallacollina del Cidneo verso la città.

Figura 2. (dettaglio del centro della città)

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ell’ultimo numero diMisinta, avevo segnalato

come, in occasione dell’anni-versario della nascita delFuturismo, la Queriniana stes-se procedendo alla pubblica-zione di una ricca bibliografiadi tutto il materiale possedutodalla biblioteca sull’argomen-to, bibliografia oggi pubblicataper gli Annali Queriniani.Tra le figure che emergono conmaggior vigore dalla ricercaeffettuata, è quella del comme-diografo Anton GiulioBragaglia nato a Frosinonel’11 febbraio 1890 e morto aRoma il 15 luglio 1960.L’attualità di questa figura,oltre a quella di aver attraver-sato alcuni dei momenti piùespressivi del nostro passatopiù recente, è quella, sicura-mente più banale, di aver sti-molato la nascita di una com-pagnia teatrale che in suoonore fu inizialmente chiamataIl Bragaglino per poi, a causadell’opposizione degli eredi diBragaglia, cambiare il nome inBagaglino, nome che tuttoraconserva e con cui è conosciu-ta dal grande pubblico televisi-vo.Ma chi era Anton GiulioBragaglia?Inizia la sua attività nel 1906 aRoma, come aiuto regista nellacasa di produzione cinemato-grafica Cines, in cui il padre è

direttore generale; qui entra incontatto con i registi dell’epo-ca acquisendo esperienza tec-nica e sensibilità artistica chelo porteranno alle sue primesperimentazioni in campo foto-grafico e cinematografico. Nel1911 diventa caporedattore delgiornale “L’Artista” e pubblicail saggio “Fotodinamismo” cheè ripubblicato nel 1913 con il

titolo “Fotodinamismo futuri-sta sedici tavole”. La fotodina-mica è una ricerca sui corpi inmovimento che, smaterializ-zandoli, evidenzia le lineedelle traiettorie attraverso unaparticolare tecnica che consistenel registrare sulla lastra foto-grafica il movimento di ungesto con un’esposizione tem-porale pari al tempo necessario

LE RIVISTE DEL BIBLIOFILO

di Antonio De GennaroResponsabile della Emeroteca della Biblioteca Civica Queriniana

N

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a compierlo. Le figure ritrattesono quindi mosse e moltipli-cate poiché si rendono visibilitutte le fasi del gesto compiu-to. Purtroppo però, nonostante l’o-riginalità di questi esperimenti,il pregiudizio dei pittori futuri-sti lasciò questo tipo di foto-

grafia in posizione marginale.Nel 1913 Boccioni ed altri fir-matari del “Manifesto” del1910 prendono le distanzedalla fotodinamica diBragaglia in quanto fuori dal-l’arte, tanto che sul periodico“Lacerba” pubblicano ilseguente avviso: “Data l’igno-

ranza generale in materiad’arte, e per evitare equivoci,noi pittori futuristi dichiariamoche tutto ciò che si riferiscealla fotodinamica concerneesclusivamente delle innova-zioni nel campo della fotogra-fia. Tali ricerche puramentefotografiche non hanno assolu-tamente nulla a che fare colDinamismo plastico da noiinventato, né con qualsiasiricerca dinamica nel dominiodella pittura, della scultura edell’architettura”. In realtàBragaglia dimostra di com-prendere l’importanza delmezzo tecnico ai fini espressivie intuisce le grandi possibilitàdi sviluppo delle sue scoperte.Infatti, l’esperienza fotodina-mica gli permetterà di realizza-re, nel 1916, i films “Il miocadavere”, “Drammadell’Olimpo”, e, con la colla-borazione di EnricoPrampolini, i lungometraggi“Perfido incanto” e “Thais”.

Contemporaneamente pubblicale riviste “Cronached’Attualità”, “La Ruota”,“Index rerum virorumque proi-bitorum”, e i saggi “Film sono-ro”, “Il teatro della rivoluzio-ne”, “Jazz band”, “Il segreto diTabarrino”.Nel 1918, con il fratello CarloLudovico, fonda la “Casa d’ar-te Bragaglia”, galleria indipen-

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dente sita in via Condotti ecomposta di quattro camere,un salone e un corridoio, dovesi espongono - senza sottostarea regole o programmi rigidi,ma rispondendo a scelte perso-nali dei Bragaglia - opere diautori soprattutto dell’ambientefuturista. L’inaugurazioneavviene con una mostra diGiacomo Balla, seguita, neglianni, da oltre settanta esposi-zioni di grandi artisti.

Nel 1921 la Casa d’arte ècostretta a cambiare sede e sitrasferisce in via Rasella, nellecantine di Palazzo Tittoni checomprendono anche le Termedi Settimio Severo. Da artista poliedrico e intellet-tuale qual è, Bragaglia s’inte-ressa e pubblica scritti anchesulla danza. Nel 1921 nellaCasa d’arte Bragaglia avvieneil debutto della danzatrice ecoreografa russa Evgenija

Borisenko, interprete di spetta-coli molti dei quali diretti daBragaglia che le imporrà ilnome d’arte di Ja Ruskaja persfruttare la moda dei danzatorirussi lanciata da Djagilev intutta l’Europa degli anni ‘20.Nel 1922 nascono il “TeatroSperimentale degliIndipendenti”, attivo fino al1936, e una compagnia teatra-le, la Compagnia SpettacoliBragaglia.

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Adottando la formula di un“teatro teatrale”, attraversoregia e recitazioni non accade-miche, il nuovo teatro “è natu-ralmente rivoluzionario, e sipropone di intaccare, tagliare,spezzare, distruggere tuttoquell’ammasso di finzione,cartapesta, lucro, asinità,camorra, imbroglio, mediocri-tà, che suole in genere chia-marsi ‘teatro’”. SecondoBragaglia, il teatro è qualcosadi diverso dalla produzione let-

teraria e, in quanto tale, deveessere affidato ad un ’corago’,piuttosto che ad uno scrittore.Basandosi sul concetto di “tea-tro visivo”, Anton GiulioBragaglia scriverà che “la let-teratura è letteratura e il tea-tro è teatro” dimostrando con isuoi spettacoli che “con il solovisivo si potrà far teatro, noncon le sole parole”.Lo spettacolo è un’esperienzanella quale concorrono ugual-mente elementi provenienti

dalle discipline artistiche piùdisparate, ben definiti nelladinamica globale della messain scena. “La messa in scenafa il teatro. Il teatro è dato dalmovimento: l’azione, la mimi-ca, il gesto, le luci colorate,che son mobili, i suoni che sonmobili nello spazio, e la suc-cessione dei luoghi atmosfe-ra”.L’azione rivoluzionaria diBragaglia s’inserisce in unquadro che vede il teatro italia-

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no degli anni Venti caratteriz-zato dalla presenza, da unaparte, di compagnie formate daprimi attori accentratori emegalomani e di drammaturghipoco avvezzi alla dimensionedel palcoscenico, e, dall’altra,oggetto dell’azione dissacrato-ria e provocatoria dei futuristiche spesso proponevano alle-stimenti non adeguati alleaspettative del nuovo pubblico.

Bragaglia, con innovative solu-zioni scenotecniche e sceno-grafiche - privilegiando lascena non dipinta (scenoplasti-ca) e cromatica - dà avvioinvece ad una “riforma delpalcoscenico per rinnovare lacommedia ”.Il teatro bragagliano, al disopra di generi e categorie, dàla massima importanza a tuttigli elementi della macchina

scenica, dal suono al movi-mento, dalla luce allo spazio,dalla voce al testo, ed ha ilmerito di agganciare solida-mente il teatro italiano all’e-sperienza internazionale.Nel 1932 Bragaglia è nominatoconsigliere della Corporazionedello Spettacolo, e dal 1937 al1943 dirige il Teatro delle Arti.Muore a Roma nel 1960.

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RNESTO GALLI DELLA

LOGGIA, CAMILLO RUINI,Confini. Dialogo sulCristianesimo e il mondo

contemporaneo, Milano,Mondadori 2009, pp. 196, € 18,spazia dalla Questione Romanaalle radici dell’Occidente, al rap-porto con il Pensiero Laico,scientifico e filosofico, conl’Ebraismo e l’Islam, nel confron-to sinergico tra due interlocutoriconsci sia di ciò che li divide sia,ed è più importante, di ciò che liunisce.

HALTON ARP, Seeing red:

l’Universo non si espande.Redshift, Cosmologia e scienzaaccademica, a c. di E. BIAVA e A.BOLOGNESI, Milano, Jaca Book2009, pp. 387, € 48, è uno dei rarilibri scientifici e, al tempo stesso,appassionanti anche per i nonspecialisti, perché con il linguag-gio rigoroso delle evidenze osser-vate nell’astronomia extragalatti-ca (l’Autore, laureato ad Harvard,ha svolto 43 anni di ricerche negliosservatori di Monte Wilson eMonte Palomar, nonché al MaxPlanck Institut di Monaco diBaviera) si pone come «il passag-gio cruciale nel percorso di con-futazione su base empirica dellateoria del Big Bang».

FRANCISCO J. AYALA,L’evoluzione: lo sguardo dellaBiologia, Milano, Jaca Book2009, pp. 199, € 22, è una sintesidelle teorie di Darwin, conferma-te, a due secoli dalla nascita, danuove scoperte di biologia egenetica, sull’evoluzione vegetalee animale guidata dalla ‘selezionenaturale’; l’Autore, docente diBiologia e Filosofia all’Universitàdella California, la distingue perònettamente dall’evoluzione cultu-rale, propria dell’uomo, che, peressere compresa, richiede un’er-meneutica non solo biologica:leggere come selezione naturaleanche lo sviluppo delle culture

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uest’estate, leggiamo saggi per diventare più saggi... Passando sotto imbarazzato silenzio l’ovvio giocodi parole, il candido lettore è invitato a inoltrarsi nella sottoseguente selva di novità librarie, dovutecome al solito per lo più ai sagaci consigli -e talvolta ‘haud mollia iussa’...- dell’amico Valerio della

Libreria Resola, come sempre ben fornita e generosa nell’elargire in visione il meglio della più recente pro-duzione editoriale italiana.Un ‘grazie’ speciale, inoltre, va alle editrici Electa, Jaca Book e Mondadori per la generosa collaborazione.

VISTI IN LIBRERIA:

RUBRICA DI RECENSIONI LIBRARIE

di Mino MorandiniProfessore di Lettere Ginnasiali al Liceo Classico Arnaldo da Brescia;

Q

E

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umane sarebbe un ritorno al razzi-smo.

BEDA, Storia degli Inglesi(Historia ecclesiastica gentisAnglorum), I (libri I-II), testo afronte, a c. di M. LAPIDGE, tradu-zione di PAOLO CHIESA, Milano,Fondazione Lorenzo Valla -Mondadori, 2008, pp. 400, € 27,racconta, in un latino nobile epiano, la storia (VI-VII sec.) del-l’evangelizzazione e dell’incultu-razione delle tribù anglosassoni,che da una ferocia senza parigiungono a un livello tanto alto dicultura classica, latina e anchegreca, da riesportarla, con ilCristianesimo, sul continenteeuropeo sia in aree ‘nuove’, mairomanizzate, germaniche, nordi-che e slave, sia nelle aree di piùantica romanizzazione, compresal’Italia, che a missionari prove-

nienti dalle isole britanniche devela propria rinascita intellettualecon la rete di scuole e ‘scriptoria’,presso monasteri e cattedrali, inEtà Carolingia; di questa fioriturainglese altomedievale Beda (VIIIsec.) è, con Alcuino di York, tra ifrutti più alti per erudizione eapertura intellettuale.

BONVESIN DA LA RIVA, Le meravi-glie di Milano, testo a fronte, a c.di PAOLO CHIESA, Milano,Fondazione Lorenzo Valla -Mondadori, 2009, pp. 264, € 30, èil primo manifesto pubblicitariodel ‘miracolo milanese’, di unacittà rinata con le RinascenzeCarolingia e Ottoniana, che haresistito alla potenza militare diFederico Barbarossa, è rapida-mente risorta dalla distruzioneinflittale ed ora (XIII sec.), con iVisconti, si pone come capitale

economica proiettata dall’Italiaall’Europa: alla pur grandeMediolanum tardoantica, capitaledell’Impero Romano d’Occidentein quanto centro strategico diretrovia rispetto alle Alpi intesecome barriera difensiva, si sosti-tuisce la Milano d’oggi, snodoinsostituibile nella rete economicae culturale europea.

CARLA DEL ZOTTO, Rosvita. Lapoetessa degli imperatori sassoni,Milano, Jaca Book 2009, pp. 150,€ 16, è un’immersione nellaMitteleuropa del X secolo, poverae fragile in economia e politica,ma piena di fermenti carichi di ungrande futuro, anche per i ritrova-ti contatti con l’OrienteOrtodosso che portano la princi-pessa bizantina Teòfano a diven-tare reggente dell’Imperod’Occidente per conto del figlio

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Ottone III; Rosvita, monaca aGandersheim, legata alla Casa diSassonia tramite la badessaGerberga e l’arcivescovo Brunonedi Colonia, acquisisce una raffi-nata padronanza del latino che siconcretizza in una ricca produzio-ne poetica, dai drammi in stileterenziano all’agiografia alla sto-ria epica dei Gesta Ottonis; conlei la poesia torna a guardare ilmondo con occhi di donna.

CARLO PEDRETTI, Leonardo & io,Milano, Mondadori 2008, pp.708, € 35, sintetizza, in 49 erudi-tissimi capitoli, i risultati di uncinquantennio di ricerche delprincipe dei ‘leonardologi’, titola-re della cattedra di studi suLeonardo all’Università dellaCalifornia, insignito, per questepubblicazioni, delle più prestigio-

se onorificenze; eppure, conmagistrale ironia, si lascia piace-volmente leggere come e megliodi un romanzo (a proposito,Leonardo & io inizia con unagustosa stroncatura del Codice daVinci e frottole consimili), perchéogni capitolo è una novella, unframmento della romanzesca vitae arte vinciana, che ne illumina,con l’acume sottile del suo quasiconterraneo Boccaccio, aspettigrandi e piccoli, dalle intuizioniaviatorie ai rebus, dalle scienzealla filosofia, dalle caricature alCenacolo, inserendoli con perizianella storia della cultura.ROBERTO CALASSO, La folieBaudelaire, Milano, Adelphi2008, pp. 425, € 36, è il piùrecente saggio di una scrittura cheondeggia, onirica e fascinosa, fra«L’oscurità naturale delle cose» e«Il labile sentimento della moder-

nità», tra Impressionismo e lette-ratura francese, abissi psichici ecronaca politica, in una Parigi finde siècle fitta di rimandi alla tra-dizione italiana, e veneziana inparticolare: un seguito ideale allastudenda meditazione di Il rosaTiepolo.

ANTOINE DE SAINT-EXUPÉRY,Manon ballerina, Milano,Bompiani 2008, pp. 234, € 19,raccoglie quattro inediti narrativi,alcuni frammenti e testi docu-mentari, infine sette lettere d’a-more a Natalie Paley; è una pic-cola antologia che dal giovaneaspirante scrittore di Manon bal-lerina (una novella del ‘demi-monde’ proustiano, databile al1925) arriva all’esule pilota vici-no alla fine (il carteggio con l’ari-stocratica Natalie è del ’42, l’ulti-mo volo di Saint-Exupéry del’44); tra queste pagine si leggel’evoluzione esistenzialedell’Autore e la crisi esiziale del

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suo mondo, la Vecchia Europamoritura a Yalta.

RYSZARD KAPUSCINSKI, Nel turbi-ne della storia: riflessioni sul XXIsecolo, Milano, Feltrinelli 2009,pp. 191, € 14 (con 32 pagine, nonnumerate, di foto bn e a colori),giustappone come tessere di unmosaico brevi testi del giornalistae storico polacco recentementescomparso (è l'ultimo suo libro,del quale non ha potuto seguireche in parte la composizione),raggruppandoli per problemi earee geografiche, dalla fine delcolonialismo allo scontro tra cul-ture e globalizzazione, dall'Africaal Pacifico, dalla rievocazionecommossa del sacrificio coscientedi Ernesto Che Guevara al seccogiudizio "c'è poco da idealizzarel'islam: contiene delle caratteristi-che per noi assolutamente inac-

cettabili".

MAGDI CRISTIANO ALLAM, EuropaCristiana Libera, Milano,Mondadori 2009, pp. 173, € 18,ripercorre "la mia vita tra Verità eLibertà, Fede e Ragione, Valori eRegole", un'avventura umana chesi dipana dalla nascita nel 1952 alCairo (futuro centro della dimen-sione violenta dell'Islam, daNasser al terrorismo, che qui ela-borò e mise a segno l'assassiniodel Presidente Sadat) al lavoro digiornalista in Italia, fino a diven-tare vicedirettore del "Corrieredella Sera", al battesimo ricevutoda Papa Benedetto XVI in SanPietro, la notte del 22 Marzo2008, alla vittoria nelle recentielezioni europee: una vicendasegnata dal rischio personale perla critica rigorosa al sistema isla-mico, ma anche da tante testimo-nianze di amici importanti e gentecomune, che si riconoscono nei

suoi ideali.

ANDREA TORNIELLI, Paolo VI.L'audacia di un papa, Milano,Mondadori 2009, pp. 721, € 28(con 16 pagine, non numerate, difoto bn), andrebbe in realtà sotto-titolato "l'audacia di un cattolico",bresciaNO per l'appunto, cheseppe andare contro corrente nelsessantennio rovente dal 1918 al1978, prima come giovane sacer-dote impegnato nella pastoraleuniversitaria tra Grande Guerra eavvento del Fascismo, poi nellealte sfere della politica vaticanatra la Seconda Guerra Mondiale eil Dopoguerra, poi comeArcivescovo di Milano e infinecome Papa del Concilio, dell'a-pertura alla modernità e dellachiusura decisa a ciò che potevamettere in pericolo il 'depositumfidei' e il senso del magisteropontificio.

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LA PITTURA POMPEIANA,

Napoli, Museo Archeologico

Nazionale, dal 29 Aprile

2009; Mostra a cura di

PIETRO GIOVANNI GUZZO,

MARIA ROSARIA BORRIELLO;

Catalogo a cura di IRENE

BRAGANTINI e VALERIA

SAMPAOLO; foto di LUIGI SPINA;

Milano, Electa 2009.

Informazioni: Orari Dalle 9 alle19.30. Chiuso martedì; Tariffe10€ intero, 6,75€ ridotto;il Museo è inserito nel circuitoCampania Artecard; Prenotazioneobbligatoria per gruppi, scuole evisite didattiche, Sito internetwww.6viaggi.it; www.campaniar-tecard.it; www.electaweb.com;Catalogo Electa a cura di IreneBragantini e Valeria Sampaolo;Ufficio Stampa Soprintendenzaspeciale per i Beni Archeologicidi Napoli e Pompei: FrancescaDe Lucia, tel. +39 081 [email protected], Electa Enrica Steffenini,tel. +39 02 21563433; [email protected]; CarolinaPerreca, tel. +39 081 4297435,[email protected]; Enrico Guglielmo,Maddalena Marselli, EvaNardella, Vega Ingravallo, tel.848800288, + 39 081 4422149.Riapre al pubblico, al termine deilavori di restauro e di riallesti-mento delle sale, la collezionedelle pitture del MuseoArcheologico Nazionale diNapoli che raccoglie un reperto-rio di affreschi unico al mondo.La collezione degli affreschi,restituiti dalle città vesuvianedistrutte dall’eruzione del 79 d.C.,raccoglie circa 400 opere che

documentano la pittura di etàromana, dalle più sobrie pitture aincrostazione alle megalografie diBoscoreale in cui principi, filosofie personificazioni si stagliano suun rosso pompeiano, indubbia ecodella grande arte ellenistica; dallearchitetture illusionistiche perincantare l’élite, fino ai più raffi-nati arabeschi di accattivante leg-gerezza e popolati di eroti, satiri,ballerine sospese nell’aria. Coloriantichi e dettagli mai visti, svelatigrazie all’attività di pulitura erevisione dei recenti restauri,hanno consentito ai maggiori spe-cialisti del settore di compierenuove scoperte.Il criterio seguito per il nuovoallestimento ha privilegiato laricomposizione dei contesti e lasequenza cronologica. Il percorsoespositivo si apre con una saladedicata alla tecnica, nella qualesono presentati esempi di graffitipreparatori, sinopie, pitture sumarmo, ciotole di colori e stru-menti di misurazione. Segue lasala dedicata alla scoperta dellepitture, all’influenza che esseebbero sulla moda e sul gustoneoclassico: in essa è presentatoal pubblico il primo affresco stac-cato a Pompei. Si continua, inordine cronologico, con le pitturedistribuite secondo i contesti diriferimento, come la villa diBoscoreale e la Casa di Giasone, icui affreschi sono collocati aparete secondo la successione cheavevano prima del distacco; lasala dedicata al III stile compren-de una serie di elementi decorati-vi e di grandi quadri nei quali ilpaesaggio predomina sulla figuraumana; la sala successiva presen-

ta due case di prestigio, quella diMeleagro e quella dei Dioscuri,esemplificative della pittura di IVstile (I secolo d.C.) che compren-de opere di grande fama, quali Lenozze di Hera e Zeus, Achille eBriseide, Il Sacrificio di Ifigenia,Piritoo e il Centauro, Enea ferito,Marte e Venere, Arianna abban-donata; a seguire le sale dellenature morte e dei paesaggi, quel-la della pittura popolare e deiritratti (celeberrimo quello delpanettiere Terentius Neo con lamoglie).Sommario del catalogo: La pittu-ra pompeiana (PIETRO GIOVANNI

GUZZO), La collezione degli affre-schi del Museo di Napoli(VALERIA SAMPAOLO), La scopertadelle pitture (VALERIA

SAMPAOLO), La tecnica della pit-tura antica (VALERIA SAMPAOLO),La pittura romana (IRENE

BRAGANTINI), La villa diBoscoreale (IRENE BRAGANTINI),La pittura nel I sec. a.C. (IRENE

BRAGANTINI), La pittura in etàaugustea. La villa di

MOSTRE DA VEDERE E RIVEDERE,

DA GUARDARE E DA SFOGLIARE

di Mino MorandiniProfessore di Lettere Ginnasiali al Liceo Classico Arnaldo da Brescia.

L

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Boscotrecase (20 a.C. - 10 d.C.)(IRENE BRAGANTINI), La pitturanella prima età imperiale (IRENE

BRAGANTINI), La casa di Giasone(VALERIA SAMPAOLO), La pitturain età imperiale 50-79 d.C.(IRENE BRAGANTINI), La pitturaparietale e i mutamento della cul-tura abitativa (IRENE

BRAGANTINI), La villa di Ariannaa Stabia (VALERIA SAMPAOLO), Ilarari (VALERIA SAMPAOLO), Lenature morte (VALERIA

SAMPAOLO), Il paesaggio(VALERIA SAMPAOLO), La pitturapopolare (VALERIA SAMPAOLO), Iritratti (VALERIA SAMPAOLO).FRAMMENTI DEL PASSATO.

TESORI DELL’AGER TIBUR-

TINUS, Tivoli, Villa Adriana,

Antiquarium del Canopo, fino

all’1 novembre 2009, Catalogo a

cura di MARINA SAPELLI RAGNI,

Milano, Electa 2009, pp.138,

19€, ufficio stampa Electa:Gabriella Gatto, tel. +39 06

42029206, [email protected], EnricaSteffenini, tel. +39 0221563433, elestamp@mon-

dadori.it; curatela: Marina SapelliRagni, Soprintendente per i beniarcheologici del Lazio; responsa-bili scientifici: Marina SapelliRagni, Benedetta Adembri, MariaGrazia Fiore e Zaccaria Mari;orari: tutti i giorni dalle 9,00 aun’ora prima del tramonto;biglietti: 10 euro intero, 6,75 euroridotto; informazioni: 0639967900, www.pierreci.it.Sono esposti reperti rinvenutinegli scavi degli ultimi anni e chesinora non avevano trovato spaziadeguati né opportunità per un’e-sposizione definitiva: possenti esereni frammenti statuari delculto di Hercules Victor, la piùimportante divinità venerata aTivoli, che il Cristianesimo conti-nuò con il culto di San Lorenzo,entrambi benefattori capaci disubire con fermezza la morte perfuoco, premiata infine con l’im-mortalità; e con Ercole anchearchitravi di marmo bianco, coneroti e delfini, cesti di frutta, cera-miche e affreschi, la sfinge acefa-la, l’erma di Crisippo e altri pezzid’incerta identificazione, ma disicuro fascino, provenienti dallavilla di Adriano (II sec. d.C.),transenne e capitelli, antefisse efusti di candelabro relativi agliedifici riservati all’imperatore ealla sua corte escono finalmentedai depositi. La ricostruzione vir-tuale di uno dei più celebri san-tuari dell’Italia pagana offre ildestro per ripercorrere la storia diTivoli e del suo territorio, con

particolare attenzione all’influssogreco e alle derivazioni mitiche eletterarie.Sommario del catalogo:Introduzione (MARINA SAPELLI

RAGNI), Tivoli e il territorio tibur-tino nell’antichità (ZACCARIA

MARI), Recenti scavi e prospettivedi ricerca (ZACCARIA MARI), LaPalestra di Villa Adriana(ZACCARIA MARI), Villae e domusdel territorio tiburtino (ZACCARIA

MARI), Tivoli: villa romana inlocalità Galli (ZACCARIA MARI),L’Ercole tiburtino e il suo culto(MARIA GRAZIA FIORE).

AFFAELLO. LO SPOSALIZIO

DELLA VERGINE RESTAURA-

TO, Milano, Pinacoteca di Brera,dal 19 marzo 2009; Catalogo acura di MATTEO CERIANA ED

EMANUELA DAFFRA; Milano,Electa 2009, pp. 81, 15€. Ufficiostampa Electa: Gabriella Gatto,tel. +39 06 42029206, [email protected], EnricaSteffenini, tel. +39 02 21563433,[email protected]; informa-zioni e prenotazioni, tel.02.89421146 - 199199111,

www.brera.beniculturali.it.Una mostra sulla fragilitàdella bellezza e sulla suaresistenza immortale,

espressa dal quadro di Raffaello eraccontata dalla sua storia esem-plare, negli ultimi due secoli, daquando, nel 1789, giunse aMilano, portato dal generalenapoleonico conte GiuseppeLechi, bresciano, al quale l’avevadonato la Municipalità di Città diCastello, nel corso della campa-gna contro lo Stato Pontificio,fino al gesto vandalico del 1958,quando uno sqilibrato colpì più

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F

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volte il dipinto con un martello euna punta metallica, che neinfransero il vetro protettivo,determinando una serie di danni,soprattutto in corrispondenzadella figura della Vergine e dellascalinata del tempio. Tre i princi-pali restauri: il primo nel 1857,eseguito da Giuseppe Molteni,«restauratore eccezionale ... adot-tò misure di tutela che ancoraoggi costituiscono una lezione diprofessionalità e saggezza»; ilsecondo, a opera di MauroPelliccioli, si limitò a sanare leferite inferte dal vandalo in attesadel terzo, diretto da MatteoCeriana ed Emanuela Daffra, ini-ziato il 28 gennaio 2008, docu-mentato dall’attuale mostra connumerose foto di particolari lungole diverse fasi tecniche, e conun’attenta rilettura storica, percollocare lo Sposalizio nella tem-perie culturale del primoCinquecento e nel dibattito criticodei secoli successivi, a partiredalle teorie di Leon BattistaAlberti e dal paragone con il suomodello originario, l’analogodipinto del Perugino per ilDuomo di Perugia, ora a Caen,datato 1502-1504.Sommario del volume: Lo‘Sposalizio’ di Raffaello al mododi un’introduzione (SANDRINA

BANDERA), Raffaello Sanzio, ‘LoSposalizio della Vergine’ (CARLO

BERTELLI), I colori del tempio(CARLO BERTELLI), Lo‘Sposalizio’: due secoli a Brera(MATTEO CERIANA), I restauridello ‘Sposalizio della Vergine’(PAOLA BORGHESE, ANDREA

CARINI, SARA SCATRAGLI), Ilrestauro delle cornice (PATRIZIA

FUMAGALLI, FABIO FREZZATO,

ANTONELLA ORTELLI, LUCA

QUARTANA), ”Relazione intornoalle operazioni fatte al quadro diRaffaello rappresentante loSposalizio di Maria Vergine”(1858) (GIUSEPPE MOLTENI).

L RITORNO DI NAPOLEONE.

IL GESSO DI CANOVA A

BRERA RESTAURATO

Milano, Pinacoteca di Brera, dal

5 maggio al 31 dicembre 2009;

Catalogo a cura di MATTEO

CERIANA; Milano, Electa 2009,

pp. 143, 21€.. Ufficio stampaElecta: Gabriella Gatto, tel. +3906 42029206, [email protected], EnricaSteffenini, tel. +39 02 21563433,[email protected]; informa-zioni e prenotazioni, tel.02.89421146 - 199199111,www.brera.beniculturali.it.Per volere dei Fati pochi uominiintegralmente dediti ai ludi aspridi Marte riuscirono anche, talvol-

ta ‘praeter intentionem’, alasciare un’orma profonda,nel bene e nel male, nellastoria della cultura e in

particolare dell’arte, comeNapoleone. È la vocazione ambi-gua del condottiero che tutto sov-verte, anche l’arte, sia pure alprezzo di devastanti distruzioni,per divenire egli stesso fonte d’i-spirazione, e per le arti figurative,e per la letteratura (nel catalogo èriprodotta anche l’ode manzonia-na, con parte dell’autografo e lastoria della prima, clandestina dif-fusione). Nell’aprile 1809 giunsea Milano il calco in gesso di“Napoleone come Marte pacifica-tore”, opera di Antonio Canova,acquistato dal viceré Eugenio diBeauharnais, già committente del

bronzo che però solo più tardi fucollocato nel cortile del Palazzodi Brera, dove ancora si trova. Ilgesso invece divenne il pernoprospettico della nascentePinacoteca, nella quale ora ritornadopo un accurato restauro, docu-mentato dal catalogo, che loincornicia entro una serie di ana-loghi e coevi paralleli pittorici escultorei, ricreando la vivacitàintellettuale, a volte superficiale,ma storicamente feconda, dellaMilano nel primo ‘800, percorsadalla polemica tra neoclassici eromantici.Sommario del volume: L’opera diCanova a Brera e la committenzanapoleonica (SANDRINA

BANDERA), Il percorso dell’icono-grafia napoleonica a Milano tracelebrazione storica e ritrattodivinizzato (FERNANDO

MAZZOCCA), Una ‘schedula’ peril ‘Napoleone come Marte pacifi-catore’ di Antonio Canova (PAOLO

MARIUZ), Atlante fotografico delgesso di Brera restaurato, “Ilgesso in grande ... riuscito dellamassima esattezza in modo cheesso ricopia perfettamente tutte lebellezze del prezioso modello“(LUISA SOMAINI), Il granNapoleone al museo (FRANCESCA

VALLI), Documenti relativi algesso, Monumenti di Napoleonein deposito nel palazzo di Brera,ovvero: come è stato risolto ilcontrasto fra la ragion di Stato ela pretesa autosufficienza dell’ar-te (DANIELE PESCARMONA),Documenti relativi alla fusione inbronzo della statua di AntonioCanova raffigurante Napoleone,Busto di Napoleone I (CECILIA

GHIBAUDI), Conversazione traAntonio Canova e Napoleone

I

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(1810), ALESSANDRO MANZONI IlCinque Maggio, ode, Nota altesto (MARIELLA GOFFREDO DE

ROBERTIS), Il restauro del gessodi Napoleone come Marte pacifi-catore, Gli affanni di un recupero(MATTEO CERIANA), Relazione direstauro (DANIELE ANGELLOTTO),Napoleone Bonaparte in veste diMarte pacificatore. I calchiall’Accademia di Belle Arti diCarrara e all’Accademia di BelleArti di Napoli (AUGUSTO

GIUFFREDI).

GIUSEPPE BOSSI. IL GABI-

NETTO DEI RITRATTI DEI

PITTORI (1806), Milano,

Pinacoteca di Brera, dall’11 giu-

gno al 20 settembre 2009;

Catalogo a cura di SIMONETTA

COPPA E MARIOLINA OLIVARI;

Milano, Electa 2009, pp. 84, 15€.Ufficio stampa Electa: GabriellaGatto, tel. +39 06 42029206,[email protected],Enrica Steffenini, tel. +39 0221563433, elestamp@mondado-

ri.it; informazioni e prenotazioni,tel. 02.89421146 - 199199111,www.brera.beniculturali.itLa raccolta di ritratti e autoritrattidi artisti fu concepita daGiuseppe Bossi, all’epoca (1806)segretario dell’Accademia e pro-motore della Pinacoteca, comestimolo e incentivo a una ricogni-zione storica sugli antichi maestridella scuola milanese; a questiultimi si affiancano ritratti e auto-ritratti dei “maestri di Brera” suoicontemporanei e colleghi. Dei 34pezzi che componevano il “gabi-netto”, ben 25, se ci si attiene alleattribuzioni e alle identificazioniiconografiche del fondatore (nonsempre condivise dalla storiogra-fia moderna) raffigurano maestrilombardi o loro familiari. purtrop-po la raccolta fu presto smembra-ta, anche per ritorsione contro lacoerente posizione critica delBossi nei confronti del crescentedispotismo napoleonico, che lospinse a dare le dimissioni dagliincarichi sopra riferiti.

Ora la mostra, raccogliendo edesponendo 24 ritratti o autoritratticon l'aggiunta di un autoritrattodel Bossi stesso, porta a compi-mento il suo progetto, permetten-do al visitatore di ripercorrere lastoria della pittura lombarda attra-verso i volti e le tecniche dei suoiprotagonisti.Sommario del volume:Giuseppe Bossi, segretario diBrera (FRANCESCA VALLI), GliAccademici Ambrosiani, il MuseoMilanese di Francesco Albuzzi, il"Gabinetto de' ritratti de' pittori"di Giuseppe Bossi. Raccolte ico-nografiche di artisti a Milano:tracce per una storia (SIMONETTA

COPPA), "Dei diversi Nuvolone":una seconda versione del 'Ritrattodi famiglia in concerto' (DANIELA

PESCARMONA), Il "Gabinetto de'ritratti de' pittori", Biografie (acura di EUGENIA BIANCHI),Bibliografia generale.

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opo Cesare Arici, sono statimolto pochi i bresciani cheavessero con le Muse e il

‘labor limae’ la dimestichezza chepoteva vantare Fausto BALESTRINI,come dimostrano i suoi 14 volu-metti di poesie qui elencati:Considerando, Castel Maggiore(BO), Book Editore, 1989 (mag-gio), pp. 56;In punta d’urlo, Roma, AlbatrosEditrice, 1989 (settembre), pp.56;Fughe e ritorni, Ragusa, CulturaDuemila Editrice, 1990, pp. 67;Il libro delle ore, Roma, AlbatrosEditrice, 1991 (ottobre), pp. 68;L’altra sponda, Catanzaro,Vincenzo Ursini editore, 1991(dicembre), pp. 64;La ballata dell’homo sapiens,Torino, Lorenzo Editore, 1993(febbraio), pp.63;Nuda verità, Grizzana Morandi(BO), Seledizioni, 1993 (giugno),pp. 47;Questo nostro mondo..., Ragusa,Cultura Duemila Editrice, 1994,pp. 48;Haikù nel mondo dei ragni, [s.i.l.]Editrice del Castagno, 1999, pp.24;L’urlo, il silenzio, la parola,Roma, Gabrieli Editore, 2003, pp.87;I rovelli del poeta, Roma,Gabrieli Editore, 2004 (aprile),pp. 78;La gran carovana, Roma,Gabrieli Editore, 2004 (settem-bre), pp. 90;Quel che s’ha da traghettare,

Catanzaro, Carello Editore,2004(ottobre), pp.61;Episodi, Epitaffi, Epigrammi inversi, Roma, Gabrieli Editore,2006 (febbraio), pp. 46;Cuore presago. Poesie e critica,Roma, Gabrieli Editore, 2006(febbraio), pp. 68.Volumetti da integrare con le poe-sie pubblicate, singole o a piccoligruppi, su riviste e antologie let-terarie, non di rado perché pre-miate o menzionate.

Un anno è trascorso da quando,l’11 maggio 2008, il poeta FaustoBalestrini, «don Faustino» per isuoi parrocchiani, si è messo incammino, di buona lena, verso ilRegno dei Cieli.Una sua raccolta poetica si intito-la «Quel che s’ha da traghettare»(Carello Editore, Catanzaro2004): una sessantina di pagine,arricchite dalla traduzione inglesea fronte, di Antonietta Corea.Il titolo allude al bagaglio a manoche ognuno vorrebbe portar sem-pre con sé, nel viaggio attraversoil tempo, e a maggior ragione nel-l’infinito viaggio ultraterreno:conoscenze, esperienze, sensazio-ni, ricordi, sprazzi di realtà, fram-menti di vita, un diario del senti-mento che aggiorniamo ogni gior-no, perché ogni giorno, senza tre-gua, lo sappiamo, vede svanirequalche riga o addirittura, neimomenti di maggior tensione,perde pagine e pagine.Ma in fondo è anche quello che ilpoeta vuol lasciare dietro di sé,

agli sconosciuti eppure amatiposteri, come diceva Ezra Pound:«Quello che veramente ami / nonti verrà mai tolto./ Quello cheveramente ami / è la tua vera ere-dità.»Fausto Balestrini era nato a SaleMarasino il 5 maggio 1921, inuna data -lui allora non lo sapeva-fortemente simbolica, perché lasua poesia sarà profondamenteinfluenzata dall’opera delManzoni, romanzo e poesie, e daquesta lettura trarrà la propriapolifonia di registri, tra slanciepico-lirici, momenti di ripiega-mento interiore e, come tema pre-valente, la considerazione quasiprosastica delle vicende presenti epassate, viste con un sorriso spes-so pensieroso, talvolta amaro, maiaspro: una musa lombarda, con-creta, memore dell’equilibrio edel disincanto delle Satire di

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DIARI BRESCIANI

POESIA DELLA CONCRETEZZARICORDO DI MONS. FAUSTO BALESTRINI (1921-2008)

di Mino MorandiniProfessore di Lettere Ginnasiali al Liceo Classico Arnaldo da Brescia.

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Orazio, e quindi benevola, alienada ogni integrismo, dal pessimi-smo giansenista come da certarilassatezza pseudoprogressistache vedeva tutto buono solo ciòche era fuori, quando non ostile,alla Chiesa e alla cultura occiden-tale.Tuttavia i suoi interessi culturalinon conoscevano preclusioniideologiche: in fatto di libri la suaerudizione era giustamente onni-vora e conversare con lui riserva-va sempre gustose sorprese, perl’aggiornata competenza in que-stioni complesse come per laconoscenza di testi e autori ignotio inaspettati dall’interlocutore:sulle sue ‘fonti’ è fondamentale ilsaggio dedicatogli dall’amico e

cognato Leonardo Urbinati, inappendice alla raccolta «Cuorepresago» (Gabrieli Editore, Roma2006), «Il ponte del capello. Echidi cultura e di letteratura nellapoesia di Fausto Balestrini».Insomma don Balestrini, anchecome poeta, ha saputo andarecontro corrente, separandosi dalvasto e vario volgo dei produttoridi versi inneggianti agli idoliideologici (anche clericali) delmomento: le sue prese di posizio-ne civili, la sua filosofia della sto-ria e la sua etica laica (molti deisuoi estimatori ignoravano il suostato di ecclesiastico, che trasparesolo di rado, quando riflette sullepiccole cronache tra chiesa ecanonica) non sono mai scontate,cercano la verità tenendo losguardo fisso alla Verità, senzadistrarsi neppure quando era certodi apparire scomodo.Poeta sapido, dunque, nella tradi-zione già classica della «lanxsatura», la poesia come un piattodi portata, ricco di ogni genere divivande per lo spirito, un’insalatafantasia condita però con l’acetoitalico, contro il rischio dellamonotonia: don Balestrini amava,con il garbato epicureismo cristia-no di Lorenzo Valla, del Petrarca

e di Erasmo, la buona tavola, enon era raro trovarsi con lui permotivi di lavoro ed essere invitati,contestualmente, a pranzo inqualche tranquilla trattoria fuoriporta.All’origine della sua decisione discrivere poesie c’è una serie dibronchiti e broncopolmoniti che,giovane seminarista, lo costringe-vano a letto, negandogli anche laconsolazione degli amati libri(altri, più tecnologici passatempiallora non esistevano) e precipi-tandolo in un tedio dal quale lopoteva salvare soltanto la medita-zione sul senso ultimo del tutto,matrice di ogni poesia: allora fusoprattutto un lavorìo interiore,poi con il maturare degli anni ilpensiero pervenne alla scrittura.I suoi versi giungevano sullacarta -era lui stesso a raccontarlo-solo dopo una lunga incubazioneinteriore, e quindi già quasi per-fetti, tanto che il «labor limae»,per la correzione e la selezioneinterne, non richiedeva moltotempo: torna in mente Montale,nelle lettere a Clizia (pubblicatesoltanto nel 2006), quando descri-ve il suo lavoro di poeta in termi-ni molto simili, nato dalla memo-ria e dal dolore.

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n anni non recenti sono statipubblicati alcuni studi1 sudonne bibliofile. In questi si

fa riferimento al pregio dei lorolibri e in modo generico, all’inte-resse di alcune di esse per le lega-ture. Più recentemente, altre pub-blicazioni2 hanno reso noto ilcontributo delle donne nel corsodei secoli come esecutrici di lega-ture. Le informazioni sulle donnebibliofile amanti di legatureriguardano donne prevalentemen-te legate alla storia del lorotempo.Eleonora d’Aragona, moglie diErcole I d’Este dal 1471, volleche i suoi volumi, specie devozio-nali, fossero legati in raso, in vel-luto e in broccato con ornamentiin oro e argento. Per IsabellaGonzaga, moglie dal 1490 diFrancesco Gonzaga, duca diMantova, lavorarono a Ferrara iMaestri Niccolò Nigrisoli, Zuliande Azolini, Francesco del Giglio,Matteo da Ferrara e Lorenzo deRossi. Le legature per lei eseguitea Mantova, riferisce PiccardaQuilici3 “sono di grande varietà,pelli variopinte, marocchino,pelle di bue o di capretto, cuoiocomune e molte stoffe, velluto,raso, seta, damasco, panno, confornimenti (borchie, cantonali allatedesca e fermagli) in ottone,argento o argento dorato”.Caterina de’ Medici (1519-1589),regina di Francia, possedeva una preziosa raccolta di manoscritti e volumi a stampa riccamente

L’ANGOLO DELLE LEGATURE

DONNE E LEGATURE

di Federico MacchiBibliofilo, esperto in Legature Storiche

I

Figura 1. Legatura del terzo quarto del secolo XVI, eseguita a Parigi per Caterina deMedici su Paschal, Pierre, Henrici II Galliarum regis elogium; Eiusdem Henrici

Tumulus, Paris, Michel de Vascosan, 1560, Paris, Bibliothèque nationale de France,Rés. Fol. Lb 31. 103.

1 QUENTIN – BAUCHART 1886; CIM 1919; FUMAGALLI 1926; STEINBRUCKER 1933.2 RELIURES 1995; TIDCOMBE 1997.3 QUILICI 1987, p. 89.

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decorati. La sua biblioteca perso-nale, conservata nel castello diChenonceaux, fu una delle piùimportanti del tempo, ricca dicirca 5000 volumi. Le sue legatu-re originali sono piuttosto rare(Figura 1), in quanto i suoi libri,entrati a far parte dei fondi dellabiblioteca reale, furono in grannumero legati a nuovo per attesta-re la proprietà della corona. Su diesse compare un monogrammaformato da una “H” (Henri) e dadue “C” intrecciate, o in meda-glione il nome “Catherine“. Ilricco impianto ornamentale dellelegature di Diane de Poitiers(1499-1566), analogo a quelloimpiegato per Enrico II, è caratte-rizzato dalla presenza di elementipeculiari quali la sigla “HD”, iltriplo crescente e la faretra(Figura 2). Parte della bibliotecadi Caterina di Borbone (1558-1604), sorella di Enrico IV diFrancia, fu legata alla maniera diClovis Ève, che forse lavorò perlei. Maria de’ Medici (1573-1642), anche lei regina di Francia,ebbe il gusto dei libri importantiche fece legare in gran numero(Figura 3), con le armi di Franciaaccollate a quelle dei Medici, lacordelliera delle vedove dopo il1610, e il monogramma coronato“M M M”. Cristina di Svezia(1626-1689), grande appassionatadi letteratura e d’arte, raccolse aRoma una celebre biblioteca,acquisita alla sua morte dal futuropapa Alessandro VIII, che la donò

alla Biblioteca ApostolicaVaticana: sono note 1834 legaturedella Regina (Figura 4). CasaSavoia vantò molte donne biblio-

file: tra queste, Maria Adelaide,che nel 1697 sposò Luigi diBorgogna e raccolse molti libricelebri e segnalati per le lorocoperte attribuite al legatore

Figura 2. Legatura del terzo del quarto del secolo XVI, eseguita in Francia, per Dianede Poitiers su Camerarius, Bartholomaeus, De praedestinatione dialogi tres, Paris,

Mathieu David, 1556, New York, Pierpont Morgan Library, PML 16137.

4 MACCHI 2007, p. 161.

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Boyet. Tra le donne bibliofile,meritano una particolare menzio-ne la contessa De Verrue (1670-1736) e la contessa du Barry(1746-1793). Madame dePompadour (1721-1764): que-st’ultima collezionò libri legatiper la sua sontuosa dimora diVersailles, eseguiti da noti mae-stri, Antoine-Michel Padeloup(1685-1758), Nicolas-DenisDerome (1731-1788), LouisDouceur (1721-1769) e Pierre-Antoine Laferté (1734-1769). Ènoto anche uno stile di decorazio-ne detto “Pompadour”, di tipo“rococò”: serti floreali, graticcifioriti, panieri, uccellini, fregi difoglie accartocciate, sfingi. Madame Adelaïde di Francia(1732-1800), figlia primogenita diLuigi XV, è la sola ad occupareun posto tra i veri bibliofili, inquanto possedeva una ricca einteressante collezione di libri,tutti legati in marocchino rosso(quelli delle sorelle Sophie eVictoire erano rispettivamente, inmarocchino color limone e verdeoliva). “Les ouvrages de cetteillustre provenance n’ont plus deprix” scriveva É. Deville nel1931, mentre L. Carteret sottoli-neava che “les exemplaires avecreliures à emblèmes ou armoiriesde Madame Adelaïde (losangacon tre gigli di Francia 2.1, coro-nata e circondata da palmette)sont également très recherchés”.Carolina Ferdinanda Luisa (1798-1870), figlia di Francesco I, redelle Due Sicilie, riunì nellabiblioteca del castello di Rosny,non lontano da Parigi, un’impor-

tante collezione di libri e di lega-ture, venduta all’asta nel 1864; diqueste, esiste un catalogo in cuicompaiono delle legature firmate,alle armi dei Borboni di Francia edi Napoli.

I volumi provenienti da bibliote-che femminili sono non infre-quentemente provvisti di armi,soprattutto nel XVIII secolo. Siimpongono a questo propositoalcune considerazioni: oltre a raf-

Figura 3. Legatura del primo quarto del secolo XVII, eseguita in Francia per Maria de Medici.

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forzare il segno di possesso dellibro, lo stemma nobiliare ripro-dotto sulla coperta consente indi-rettamente di proteggere il volu-me da indesiderate sottrazioni. Inquesto senso, le armi, dapprimariprodotte a mano, poi stampate,

svolsero una funzione in parterapportabile a quella dei successi-vi, più modesti “ex libris”.Mentre le armi di personaggimaschili sono rappresentate da unsolo scudo, per le donne, l’emble-ma è costituito da due scudi

affiancati: alla sinistra araldica(destra per l’osservatore), quellocon le armi della famiglia d’origi-ne della donna, a destra (sinistraper chi guarda) lo con le armiacquisite per matrimonio (Figura5). Un altro schema, più raro,vuole lo stemma maritale sul piat-to anteriore, quello uxorio sulposteriore. Le dame nubili adotta-no di solito uno scudo a losanga.Le vedove annunciano al mondoil loro stato anche nei simboliaraldici, provvisti di cordelliera.La biblioteca di un aristocraticobibliofilo, - e ancor più di unabibliofila -, può esibire stemmifra loro diversi, corrispondenti adifferenti fasi della vita del perso-naggio. La decorazione che ornail piatto della coperta intorno aisimboli araldici rispecchia gene-ralmente il genere di ornamenta-zione in voga nel periodo di ese-cuzione della legatura.

Per quanto riguarda le donnelegatrici, nomi femminili com-paiono per la prima volta nellastoria della legatura già in epocamedievale, nell’esecuzione dilegature in stoffa ricamata. In Francia, secondo i registri del-l’epoca, Catherine La Bourcièreeseguì delle legature in seta, rica-mate con perle, per Carlo VI(Parigi, 1388) e altri noti perso-naggi dell’epoca, mentre Emelotde Rubert realizzò delle copertein seta ricamata d’oro e in dama-sco per il duca d’Orléans (Parigi,1398). In legatoria la presenzafemminile si colloca per lungotempo in posizione subalterna; è

Figura 4. Legatura dell’ultimo quarto del secolo XVII, alle armi della regina Cristinadi Svezia su Titi Livii historiarum, Amstelodami, Apud Danielem Elsevirium, 1679,

Milano, collezione privata.

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5 DUNCAN - DE BARTHA 1989.6 TIDCOMBE 1997.7 RELIURES 1995.

noto, per esempio, che a partiredall’epoca medievale fino alsecolo XVIII, ricamatrici, mem-bri di comunità religiose, affian-carono le corporazioni di legatorinel confezionare i lussuosi manu-fatti destinati a sovrani, a perso-naggi di corte e alla nobiltà.Nel periodo rinascimentale, lecronache ricordano episodica-mente due nomi di donne legatri-ci: l’austriaca Katharina Liemann,legatrice in Vienna, il cui nomecompare su una legatura eseguitanel 1590 (Figura 6), e MadeleineBoursette, libraia e legatrice aParigi dal 1541 al 1556. Si può tuttavia affermare che lastoria delle donne legatrici apieno titolo ha inizio inInghilterra nei primi anni delNovecento, allorché queste siriuniscono in una corporazione,“The Guild of Women binders”,fondata nel 1898 dal libraio FrankKarslake. Sorreggeva questa asso-ciazione, una fusione di idealiartistici, abilità tecnica e pregevo-li testi sui quali esercitarla.L’associazione, nata con finalitàartistiche e sociali e con l’intentodi fornire una colta e decorosaoccupazione a rispettabili signoredi buona famiglia, selezionavaper la legatura solo le miglioriopere: “beautiful bindings unitedto beautiful books”. In particola-re, per la semplicità dell’attrezza-tura richiesta, era molto seguita la

preparazione di coperte a ricamoe goffrate. Erano firmate sul rim-

bocco inferiore del contropiattoanteriore, sul recto della guardia

Figura 5. Legatura della metà del secolo XVIII, eseguita in Francia per MariaLeszczynska su Office de la Semaine Sainte, Paris, chez la veuve Mazières, 1728.

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libera o con le iniziali delle singo-le legatrici sul contropiatto poste-riore. La legatura femminile iniziò amanifestarsi in modo autonomo ebrillante con l’esposizione delle

Arti decorative del 1925, a Parigi,ove ebbero notevole successoalcune donne di talento: JeanneLangrand, Germaine de Léotard(Figura 7), Martitia Garcia,Madeleine Gras e soprattutto

Rose Adler (Figura 8).Quest’ultima, dotata di una perso-nalità molto originale e moderna,firma le proprie opere e prendel’abitudine di datarle per segnarele tappe della loro evoluzione eper manifestare che si tratta diopere di qualità e non di meroartigianato. Tra le esponentid’Oltremanica, è d’obbligo ricor-dare, una per tutte, Sybil Pye(Figura 9), attiva sin dal 1906,nota per gli inusuali lavori amosaico per intarsio. Il contributo femminile alla lega-toria, specie nella seconda metàdel secolo scorso (Figura 10), si èandato progressivamente impo-nendo, al punto che l’elenco dilegatrici la cui opera negli ultimidecenni ha arricchito la storia diquesta disciplina, pretenderebbeben altro spazio e non potrebbepiù limitarsi a considerarel’Europa e l’America settentrio-nale.Nel concorso del 1998 intitolato“Maestri legatori per l’Infinito”,bandito a Macerata in occasionedel bicentenario della nascita diGiacomo Leopardi, le legatureprovenienti da tutto il mondo,eseguite da donne rappresentava-no il 70% circa dei 620 esemplaripervenuti. Nel marzo 1999, alla BibliotecaTrivulziana di Milano, è statacurata da Rachele Farina unamostra sulle Amanti del libronella quale hanno figurato unacinquantina di legature eseguiteper donne bibliofile.Ampie informazioni sulle donnelegatrici si trovano nei volumi di

Figura 6. Legatura del 1590, eseguita a Vienna da Katharina Liemann su Breviarumhorarum canonicarum, Nürnberg, Georg Stuchs de Sultzpach, 1502, Wien,

Nationalbibliothek, 6°.22.A.18.

Page 75: EDITORIALE - Misinta · 2011. 6. 7. · Galassia Gutemberg, M.McLuhan, Armando, 1976). Soprattutto però liberò il senso della vista, e attraverso la codifi-cazione dei caratteri

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A. Duncan e G. de Bartha5, oltre

a quello di M. Tidcombe6, checontiene gli elenchi delle donneassociate alla “Guild of WomenBookbinders” (Corporazionedelle donne legatrici) e delle arti-giane che tra il 1848 e il 1901diressero delle botteghe di legato-ria. La Librairie Jean-Claude Vrain diParigi ha pubblicato nel 1995 un

importante catalogo7 nel qualesono ben descritte e rappresentatea colori, delle legature di quarantatra le più note legatrici francesi ebelghe.Questa breve nota ha posto in evi-denza e illustrato con immagini, irapporti tra donne e legatura: rarele elitarie bibliofile passate allastoria, e le altre, un tempo subor-dinate collaboratrici, diventate poicultrici della legatura.

Bibliografia

CIM 1919 = Cim, Albert, Les femmes etles livres, Paris, Flammarion, 1919DUNCAN - DE BARTHA 1989 = Duncan, A.- De Bartha, G.., La reliure en France.Art Nouveau - Art Deco, 1880-1940,Paris, 1989FUMAGALLI 1926 = Fumagalli, Giuseppe,Donne Bibliofile italiane, Firenze, 1926MACCHI 2007 = Macchi, Federico, Lelegature di Cristina di Svezia recente-mente ritrovate alla BibliotecaQueriniana di brescia (e in appendice,due Elzeviri della Regina in un mercatinomilanese, in Annali Queriniani), in“Annali Queriniani”, VIII, 2007, pp. 141-216QUENTIN – BAUCHART 1886 = Quentin –Bauchart, Ernest, Les femmes bibliophiles

de France, (XVIe, XVIIe et XVIIIe siè-cles), 2 vol., Paris, Morgand, 1886QUILICI 1987 = Quilici, Piccarda, Breve

storia della legatura d’arte dalle originiai nostri giorni. IV. Il Rinascimento: lega-ture italiane, in “Il bibliotecario”, n. 14,Dicembre 1987, Bulzoni Editore, pp. 53-106 RELIURES 1995 = Reliures de femmes de1900 à nos jours, Paris, Librairie Jean-Claude Vrain, 1995STEINBRUCKER 1933 = Steinbruckner,

Charlotte, Die Frau von heute alsBuchbinderin, Schriftkünstlerin undDruckerin, in “Zeitschrift fürBücherfreunde”, 3 F., 2. Jahrgang (1933),pp. 141-146TIDCOMBE 1997 = Tidcombe, Marianne,Women bookbindigs, 1880-1920, BritishLibrary, London, 1997.

Figura 7. Legatura della seconda metà del secolo XX, eseguita a Parigi da Madeleinede Léotard, Reboux, Paul, La maison de danse, 1929, mercato antiquario.

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1. TESTO 1.1 Il testo degli articoli deve pervenire alla rivista sia dattilo-

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