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Elio A. Draetta

RACCONTARE E' UN DOVERE Per un reduce, raccontare un dovere, un'impresa importante. Raccontare, ad un tempo, percepito come un obbligo morale e civile, come un bisogno primario e liberatorio, come una promozione sociale. Chi ha vissuto il lager si sente depositario di un'esperienza fondamentale, inserito nella Storia del mondo, TESTIMONE per un diritto e per dovere; frustrato se la sua testimonianza non viene sollecitata, remunerato se lo . Primo Levi

Quei 700 lunghi giorni della mia vita ...

MEMORIE DI UN PRIGIONIERO DI GUERRA

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ELIO ANGELO DRAETTANasce a Reggio Calabria il 23 febbraio del 1922, da Francesco Paolo, insegnante di francese nelle scuole secondarie di II g rado, che aveva avuto una severa educazione in seminario, e da Giuseppina Caizzi donna di intelligenza superiore e di grande intuito, che incoraggi le tendenze artistiche di Elio, rivelatesi sin dalla sua tenera et, per cui ella era in continuo contrasto col marito. Questi, un genere di "padre-padrone" non tollerava assolutamente tutto ci che potesse distrarre il figlio dai suoi doveri di studio e distruggeva sistematicamente tutto quello che il ragazzo riusciva a produrre (disegni, poesie, racconti); in pi mal tolleravaa che la moglie si dilettasse al pianoforte ed alle sue letture preferite. E.A.D., proprio per la mancanza assoluta di comunicazione col padre, segue, perch costrettovi, il ginnasio inferiore, al cui termine - non avendo ricevuto il premio promessogli - una bicicletta se otteneva la media dellotto - ed i suoi sforzi per conseguirla furono premiati - con un atto di ribellione pretende - ed ottiene con stento - d'essere iscritto al liceo artistico dell'Accademia delle BB.AA. di Napoli - citt in cui la famiglia sera trasferita nel 1936. Accetta a malincuore la pretesa del padre di iscriverlo alla 2^ sezione di quel liceo per l'accesso allallora lstituto Superiore di Architettura, cosa che comporta studi per i quali egli non affatto portato (matematica, fisica, scienze naturali), quindi i giudizi sul suo profitto non sono certo lusinghieri, mentre, nelle materie artistiche, in storia dell'Arte e nelle materie letterarie, dimostra entusiasmo e grande voglia d'apprendere. All'et di 18 anni, stanco delle maniere paterne, si arruola volontario nell'esercito; interrompe gli studi, ma l'anno successivo, 1941, si presenta da privatista agli esami di diploma, ottenendo un buon punteggio alla maturit. Tornato al suo reggimento, assegnato ad una "compagnia universitari" di guastatori (oggi denominati incursori"), con il grado di sergente nell'Arma del Genio. Sempre da volontario, partecipa alle ultime azioni belliche in Jugoslavia, nel 1942; nel 43, inviato in Albania, dove, dopo l8 settembre, catturato dai tedeschi, e per aver rifiutato d'indossare la divisa dellesercito della Repubblica di Sal, deportato da prigioniero di guerra in Germania, dove addetto ai lavori forzati, fino al crollo della Gernmnia nazista. Tornato in Patria nellottobre del 45, si iscrive alla facolt di architettura, ma l'inaspettata morte di suo padre, Io costringe a trovarsi un lavoro qualsiasi, per sostenere la famiglia, ha la ventura di essere assunto dal municipio di Napoli, presso la polizia municipale col grado di brigadiere", addetto alle pubbliche relazioni del commando. In quegli anni, spronato da un suo zio materno, giornalista del Mattino, continua e perfeziona la sua attivit pittonca, partecipa a varie mostre collettive e tiene varie esposizioni personali, nella sua citt ed anche a Milano, Bologna, Verona, nonch a Lucerna, Francoforte (1952) e Copenaghen (1953): un suo quadro ad olio fa parte delle opere acquistate dal Comune di Napoli, intitolato Solitudine e rappresenta la figura di un uomo di spalle, che cammina lungo una strada alberata (via Luca Giordano), in una giornata nebbiosa. Altri suoi lavori di pittura e disegno figurano in gallerie a Francoforte, a Lucerna, nonch in prestigiose collezioni private in Italia ed allestero. In seno alla Polizia Municipale, egli organizza varie attivit culturali con lappoggio dellamministrazione cittadina, dellUniversit Popolare e dellIstituto Orientale: corsi di lingue straniere per la creazione del Reparto interpreti, altri corsi per il conseguimento di licenza media inferiore e lui fa parte anche del corpo docenti, insegna disegno e storia dellarte (a quellepoca la maggior parte dei vigili avevano solo la licenza elementare); promuove conferenze ed incontri a carattere culturale, ma anche su tempi specifici di interesse della categoria cui appartiene. Nel 1954, sposa Anna Riccio, dopo sette anni di fidanzamento; nel 1955 nasce il loro primo figlio, Giulio Francesco, che diverr ricercatore in Oncologia di gran nome. A questi nel 1956 segue Patrizio, per la cui mala sorte (si ammala duna grave poliomielite a due anni e tre mesi), i genitori trepidano per anni fino al graduale miglioramento delle condizioni del bambino. In seguito Patrizio diverr pastore di fede evangelica nonch esperto di informatica. Nel 1957, collabora con il suo comandante alla fondazione della sezione italiana dellInternational Police Association (organismo nom governativo avente lo scopo di incrementare i legami damicizia fra gli appartenenti alle forze di polizia del Mondo). In quello stesso anno lUniversit di London, Ontario (Canada), gli conferisce la laurea in Honoris Causa in Umanit. Nal 1967 nasce il loro terzo figlio, Stefano: questi a cinque anni, poich affetto da una pericolosa cardiopatia, subisce unoperazione, brillantemente riuscita, grazie al valore del famoso cardiochirurgo Azzolina. Stefano diviene un valente violinista, diplomatosi al Conservatorio S.Pietro a Majella di Napoli, e anchegli appassionato di informatica. Avvalendosi della legge per gli ex combattenti, nel 1979 si colloca in pensione allet di 57 anni. Da allora si interessa di attivit sociali a favore di anziani e di handicappati, pur continuando a coltivare la sua passione per larte. Il suo terzo figlio, Stefano, lo invoglia alluso del computer ed a scrivere il racconto di quanto avvenutogli nel corso della sua prigionia in Germania, cosa che egli realizza nel 1999, in circa cinque mesi, ne viene fuori un piccolo libro dal titolo Quei 700 lunghi giorni della mia vita, che sponsorizzato dallAssessorato allImmagine ed alla Cultura del Comune di Napoli, sar dato alle stampe nel febbraio 2001.-

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Elio A. Draetta

Il viaggio di ritorno da Berlino a Napoli

Il viaggio di andata da Kavaja a Bremervrde (Sandbostel)

Quei 700 lunghi giorni della mia vita... vita...

MEMORIE DI UN PRIGIONIERO DI GUERRA

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Jrgen ci ha mostrato, tra l'altro, con orgoglio, la sua superba attrezzatura di esperto in informatica. Dopo l'aperitivo, offertoci dalla gentile signora Reher, ci siamo separati a malincuore da quel sito invidiabile, per raggiungere l'appartamento di Hilde: UN PICCOLO MUSEO IPA, dove Jrgen ci ha lasciati abbracciandoci, con la promessa di venire a trovarci nel prossimo futuro. La nostra vulcanica, sempre sorridente ospite, ha tenuto a mostrarci, vantandosrene legittimamente, una parte degli innumerevoli, interessantissimi ricordi, cimeli, riconoscimenti - quanti diplomi alle pareti! - le pi significative fotografie della sua vastissima collezione, ivi compresa quella del suo primo incontro con me, nel 1961: tutte testimonianze della sua vivacissima, pluridecennale vita, dedicata, con non comune entusiasmo, agli ideali della nostra Associazione. Un'ora dopo, circa, siamo stati raggiunti dalla figlia di Hilde, Barbara: a bordo dell'auto di questa, siamo andati a casa sua, anche questa, un'elegante villetta unifamiliare, immersa nel verde, dove suo marito, il medico Klaus Peter Hugel, aveva preparato una superba grigliata di carne, ottime bottiglie di vini italiani e cos, tutti a tavola, contornati da quella bella famiglia, abbiamo risposto alle tante domande rivolteci, trascorrendo lietamente le nostre ultime ore del nostro "pellegrinaggio" ad Amburgo. Alle 17, Barbara ed Hilde ci hanno accompagnati all aeroporto, dove, non ho vergogna a dirlo, Hilde ed io, abbracciandoci, avevamo gli occhi pieni di lacrime. Hilde, il 4 ottobre, ha compiuto 80 anni... e, pochi giorni prima, ha avuto la gioia di diventare bisnonna della bellissima CarolineSophie.

------------------------------------------(1) - "I.P.A.". International Police Association, organismo associativo riconosciuto dall' UNESCO e dall'ONU, del quale, sono Segretario Generale Fondatore della Sezione Italiana. (2) - Nel 1944, dopo Amburgo, mi trovavo a Poelitz, allora Regione Pomerania del Reich, oggi Polonia; dal 4 luglio al 3 agosto, Amburgo venne rasa al suolo dai bombardieri inglesi... 70.000 morti...

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Hilde, che conosce tanta gente, tanta ne salutava, ha voluto presentarci ad una consocia IPA, che dirigeva la banda della polizia amburghese, ed alla quale ha accennato i motivi della presenza mia e di Ren in quel posto: anch'essa ci ha dimostrato molta simpatia. Dopo aver visitato, nella sua gran parte il cantiere, uscitine, percorso un altro tunnel, ci siamo recati al "Landungsbrcken", un molo d'attracco per battelli; a bordo d'uno di questi, per circa due ore, abbiamo visto quant'altro, di interessante vi era da scoprire, in quella poderosa struttura portuale. Scesi a terra, ha avuto inizio il giro dei vari posti che Ren desiderava rivedere (non prigioniero di guerra, ma internato civile, nelle ore libere dal lavoro egli era libero di andare dove voleva), alla stazione ferroviaria centrale, egli ci ha mostrato il binario, sul quale, nel vagone di una tradotta militare, trov modo d'infilarsi in una cuccia per cani: cos ebbe inizio il suo inutile tentativo d'evasione. E' stato molto interessante conoscere tanti volti di quella modernissima citt; tra l'altro, ci stata proposta la visita della "Reeperbahn", il quartiere a luci rosse, non distante dall'albergo, ma noi vi rinunciammo, pur ringraziando. Verso sera, tornati in riva all'Alster, in un piccolo ristorante, abbiamo gustato delle eccellenti specialit di frutti di mare e di pesce. Erano circa le ventitr, quando ci hanno riportati in albergo, assicurandoci di tornare a prenderci l'indomani. Alle 10 precise, di quella splendida mattinata piena di sole come la precedente, Jrgen era ad aspettarci, ci ha portati alla "casa IPA", dove ci ha presentati, entusiasticamente, a tanti amici col residenti, provenienti da diversi Stati, e tutti ci hanno fatto molta festa. La "casa" confortevole, molto ben messa. Poi, ci siamo recati nella non distante, abitazione di Jrgen; un casa vecchio stile, interamente in legno, col suo caratteristico tetto in erba compressa, costruita, nientemeno, che nella seconda met del 1700... dove siamo stai accolti, con signorile garbo e grande cortesia, dalla moglie del nostro Amico, signora Helga: un vasto parco, attorno a quella singolare, bellissima fattoria, con caprioli ed altri animali selvatici ivi perfettamente acclimatati; all'interno, tutto elegante ed interessante. 70

Ad Anna la mia cara moglie ai miei figli Giulio Francesco Patrizio Stefano ed ai miei nipoti che con tutti gli altri che leggono questi miei ricordi vorranno rivolgere un pensiero memore riconoscente alle tante migliaia di individui che non sono tornati

Napoli, dicembre 1999

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Nulla pi di ci che ricordavamo, tutto nuovo, perfettamente a posto. Siamo stati meravigliati dalla grande folla davanti ai cancelli, in attesa di entrare; un'infinit di bandiere, striscioni, tanta musica: era in atto una festa, per il varo di una nave destinata alla flotta mercantile greca e, per l'accesso, occorrevano degli appositi inviti, che Jrgen non ha avuto difficolt a procurarsi. All'interno, naturalmente, nessuna traccia di quanto era avvenuto durante la guerra (2), tranne - e ne fummo davvero sorpresi - il vecchio, alto fabbricato, in mattoni rossi, nel quale Ren ed io eravamo alloggiati, seppure in differenti piani e settori dello stesso: evidentemente, non pi utilizzato, privo di vetri ai finestroni, stato conservato, a memoria di quanto avvenuto in quei lontani giorni, per quei pochi che conservano ancora certi ricordi... Innumerevoli le persone, sciamanti dappertutto, bambini con palloncini variopinti, tante scritte di benvenuto; chioschi con wrstel e birra; tante bande musicali nei vari capannoni intente ad eseguire differenti generi musicali di epoca e moderni, jazz compreso; bacini di carenaggio, in acqua ed a terra - ed in uno di questi, era visibile parzialmente, l'unit che stava per vararsi - gru mastodontiche, mezzi e containers carichi di merci, tutto quanto uno s'aspetta di trovare in un cantiere navale (il porto di quella citt anseatica si sviluppa per molti chilometri sulle sponde dell'Alster e dell'Elba). 8 69

INDICE APPENDICE 56 ANNI DOPO..."EINE PILGERFAHRT NACH HAMBURG" (Un pellegrinaggio ad Amburgo) il titolo di un analogo articolo, redatto da Jrgen REHER, per la rivista tedesca dell'IPA. (1) Con il mio vecchio amico ed ex compagno di prigionia, Ren Ratouis (v. pag.20), abbiamo realizzato un nostro comune desiderio, quello di rivedere il posto in cui, a cavallo degli anni '43 e '44, avevamo lavorato fianco a fianco, ci eravamo conosciuti ed era nata e cresciuta la nostra amicizia. E' accaduto nei giorni 10 e 11 del luglio di questo 1999. Una volta presane la decisione, al fine di non recarci in quella citt da comuni turisti, dopo aver scritto, preventivamente, ad una mia carissima consocia IPA (1), Hilde Hammermeister, la cui grande disponibilit, le dimostrazioni di autentica amicizia, il profondo attaccamento agli ideali dell'Associazione, l'hanno resa celebre in tutte le latitudini: Hilde , senz'alcun dubbio, la persona pi nota, fra tutti noi della citata IPA. Come prevedevo, stata molto al disopra delle mie aspettative... Era ad attenderci all'aeroporto di Amburgo, con un tipo mai conosciuto prima, Jrgen Reher, alto quasi due metri, robusto, capelli bianchi e sorriso accattivante, entrambi ci hanno accolti festosamente ed, a bordo della bellissima "Chrisler Voyager" di Jrgen, ci hanno dapprima accompagnati in un piccolo, ma confortevole, hotel convenzionato, il "St.Annen". Lasciativi i bagagli in una camera a due letti con bagno, tutt'e quattro siamo ritornati nell'auto, attraversato il vecchio "Elbtunnel" - il pi vecchio di quelli che passano sotto l'Elba, dalla caratteristica torre all'ingresso, tale e quale come la ricordavamo - ci siamo trovati davanti al cantiere navale "Blohm & Voss": il "posto" per il quale eravamo in "pellegrinaggio".Prefazione pag. 11 Introduzione............................................................................. 13 Kavaja......................................................................................... 15 Nei camion per Ocrida................................................................ 16 Il viaggio in treno......................................................................... 16 La scorta ungherese.................................................................. 17 Verso... lItalia............................................................................. 18 Bremervrde............................................................................... 19 Sandbostel.. 20 Le SS. Chi erano - cosa fecero?. 20 L Intellektuellengruppe............................................................. 22 Intellighenzia e merda................................................................. 23 Il soggiorno ad Amburgo............................................................. 23 Umberto Iolli................................................................................. 25 Ren Ratouis.............................................................................. 26 In Pomerania - Stalag XA............................................................ 27 Il Capobaracca............................................................................ 29 Armando Volpintesta & C........................................................... 30 Fritz il bello.................................................................................. 31 Un bombardamento - di mattina.................................................. 32 Il sacrestano............................................................................... 34 Lattendente................................................................................ 35 Il ritratto....................................................................................... 36 Io... attendente......................................................................... 36 I campi di concentramento (cartina) 38-39 Il furto di patate........................................................................... 41 Lo Straflager............................................................................ 42 Lobitorio...................................................................................... 43 Domeniche - Santificare le feste................................................ 43 Un incontro allAbort................................................................... 45 Verso la fine della prigionia........................................................ 46 Lesodo....................................................................................... 47 A Magdeburgo............................................................................ 48 Sconvolgente - accaduto a Neustadt......................................... 48 I russi - la liberazione.................................................................. 49 La bravata idiota......................................... 51 Un maiale, della carne finalmente e... Nazisti da giustiziare....... 51 I... nazisti..................................................................................... 52 I liberatori.................................................................................... 52 Di nuovo prigionieri?................................................................... 54 La festa da ballo......................................................................... 55 Il ritratto di Stalin.......................................................................... 56 Alla fine, libero............................................................................ 57 Tre mesi a Berlino....................................................................... 58 Alexanderplatz........................................................................... 58 Un cugino.................................................................................... 59 Anneliese ...Fischlein.................................................................. 60 La nostra ricchezza................................................................... 62 Fine degli idillii.............................................................................. 63 Il ritorno a casa........................................................................... 64 APPENDICE Luglio 1999: pellegrinaggio ad Amburgo..................................... Il viaggio di andata e quello di ritorno (cartina)

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assumere al Municipio, quale "vigile annonario", con un salario assai ridotto, grazie al quale ebbi modo, seppure limitatamente, di "aiutare la barca". Mi reiscrissi alla facolt di architettura, gratuitamente, in quanto "reduce dalla guerra e dalla prigionia" e, compatibilmente con i miei impegni di famiglia e di lavoro, mi posi a studiare, ma con scarsa convinzione e profitto: ero immotivato perch avvertivo con infinita angoscia la miseria che ci opprimeva... So bene che tanti altri miei compagni d'universit, anche se afflitti da una miseria pari, se non pi nera della mia, sottoponendosi a sforzi non facili, lavoravano anche impegnati in incarichi gravosi, ma riuscivano a concentrare le loro buone volont e, frequentando saltuariamente le lezioni, sono riusciti a laurearsi, taluni anche ottenendo ottime votazioni. Ma io non riuscivo a farcela, anche in quanto, per aumentare le nostre scarse entrate, mi presentai ad un club della marina americana, dove, mostrati al direttore i miei disegni, ottenni di andarvi ogni sera, per eseguire ritratti, a carboncino, dei frequentatori di quel club: iniziavo a lavorare e mietevo buon successo - alle 19 e, con la fila dei clienti dietro di me, smettevo quando il locale chiudeva, mai prima delle 2... poi, alle 7, mi toccava alzarmi, per trovarmi al comando, nel Maschio Angioino alle 8, e cos tutti i santi giorni, per anni, tranne che di domenica (per ogni ritratto, percepivo un dollaro, di cui versavo il 10% al club). Talvolta, mi andava molto bene, fino a 40-50 "sketchs" per sera). Non ho detto questo per giustificarmi di non essermi laureato, non sono pentito del mio passato, anzi, ringrazio sempre, con immensa gratitudine il buon Dio, per avermi forniti i mezzi atti a superare le tante, dolorose, vicissitudini negative della mia famiglia paterna, nonch di quella, che Anna, la mia amata moglie, ed io abbiamo formato in seguito, nel 1954.

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Una mezz'ora dopo, davanti a me c'era un piatto colmo di spaghetti al pomodoro; afferrai la forchetta e ne feci tre-quattro grossi bocconi, prima d'accorgermi che gli altri osservavano attentamente la mia avidit: Franco ed Aldo fissavano il mio piatto con evidente bramosia... Ingoiato il boccone, che in quel mentre mi riempiva la bocca, chiesi: - Ma ch'? Mangio solo io?... Perch mi guardate cos?... - Non ti preoccupare, Nin, mangia, mangia caro... Gli occhi di mamma non trattenevano le lacrime. Quella stessa sera, seppi delle restrizioni annonarie: avevo mangiato la pasta che doveva sfamare tutta la famiglia, quel giorno!!! Le lacrime di mamma erano per gli altri figli, specialmente i pi piccoli, che avevano, rispettivamente 13 e 9 anni; Rosetta ne aveva 24: come li avrebbe nutriti quel giorno? Ed il mio ritorno aggravava certamente quel problema!!!.. Pane, pasta, farina, latte, tutto quanto serviva per nutrirsi, in quantit ridottissime, era ottenibile, presentandosi con delle carte annonarie personali (anch'io ne ebbi una) a degli appositi uffici di distribuzione; a parte tali generi di necessit, non vi era altro, n caff, n zucchero, vino od altro; era per possibile acquistare, al mercato nero, farina di piselli e di uova, latte in polvere ed altre sostanze del genere (tutto fornito dagli americani e finito in mani di contrabbandieri), ma a costi eccessivi per noi, perch le condizioni della mia famiglia, in quel tempo erano disastrose: mio padre era assente per malattia dalla scuola, da oltre un anno, il suo stipendio era, perci, assai ridotto e non permetteva, che raramente, di fare "certi" acquisti! Vicino a noi, abitava una autorevole personalit, della quale non scorder mai la bont d'animo, la gentilezza, la profonda cultura, un assessore comunale, buon conoscente di pap: l'esimio Guido Della Valle, professore universitario, che, messo al corrente delle nostre gravi difficolt, mi fece 66

PrefazioneCon ogni uomo viene al mondo qualcosa di nuovo che non mai esistito, qualcosa di primo e unico. Ciascuno ha lobbligo di riconoscere e considerare di essere unico al mondo nel suo genere, e che al mondo non mai esistito nessuno identico a lui: se infatti fosse gi esistito al mondo un uomo identico a lui, egli non avrebbe motivo di essere al mondo. Ogni singolo uomo cosa nuova nel mondo, e in questo modo deve portare a compimento la sua natura Nessun incontro con una persona o una cosa che facciamo nel corso della nostra vita privo di un significato nascosto Se, trascurando di stabilire un rapporto autentico con gli esseri e le cose alla cui vita siamo tenuti a partecipare come essi partecipano alla nostra, pensiamo solo agli scopi che ci prefiggiamo, allora anche noi ci lasciamo sfuggire lesistenza autentica, compiuta. Cos diceva Martin Buber, ebreo appartenente alle comunit chassidiche, nel lontano 1947, quando gli orrori dellolocausto erano ormai noti, con i loro milioni di esseri umani dispersi nel vento La verit profonda di queste sue parole emerge prepotente dallo scritto di Elio Draetta, dai rapporti apparentemente casuali che si susseguono nella narrazione, dal coraggio di metter neo su bianco unavventura che molti preferiscono tenere dentro di s fino allo sfinimento, affrontandola soltanto nei loro incubi ricorrenti. Ed emerge, questa verit, dal coraggio di ricordarla cos com accaduta, con i sentimenti e le sensazioni che ha portato con s, nel bene e nel male, e dalla serenit del tono, che con pacatezza e autoironia riesce a comunicare a noi, pi giovani e ignari lettori, un possibile significato recondito della pi grande tragedia dellumanit. Grazie, Elio, per il coraggio e la dolcezza insieme, di questo tuo scritto. Dr. Teodora TOSATTIPastore Chiesa Evangelica Valdese Teologo Biblista

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La lunga camminata, di oltre un'ora e mezza, quasi interamente in salita e fatta di buon passo, mi faceva meravigliare sempre di pi di quanti pochi danni avesse riportato, dalla guerra, la mia citt. Al Vomero!... Percorsi quelle vie, nulla era cambiato: i bellissimi platani sui marciapiedi, esistenti ancora oggi, erano rigogliosi come prima. Via Scarlatti, quindi piazza Vanvitelli, bellissima come prima: ridiscesi in via Luca Giordano, e mi ricordai degli amici, con i quali, tanto spesso di sera, passeggiavamo instancabilmente, in su e gi, gli occhi attenti alle ragazze, cui rivolgevamo galanti complimenti; arrivai alle scalinate della piazzetta con la chiesa di S.Francesco; dall'inferriata sulla seconda tesa, vidi il fabbricato dove abitavamo: grazie a Dio era intatto come quelli vicini! Uno-due minuti dopo, bussavo a quella porta con la targhetta "Prof. Francesco Draetta". L accanto, a terra, il recipiente della spazzatura... - "Monnezza vuol dire mangiare..." - mi dissi sorridendo e feci un trillo di campanello. Dei passi strascicati e la porta mi fu aperta. - Nin!... - mio padre, uno scialletto di lana sulle spalle, pronunci, appena udibile, il nomignolo affibbiatomi da piccolo, e ci abbracciammo forte forte. Sopraggiunse mia madre singhiozzando, con mia sorella Rosetta ed i miei due fratelli minori, Franco ed Aldo. Tutti avvinghiati a me, mi trascinarono nella sala da pranzo, dove mi beai delle coccole che mi facevano, rispondendo alle tante domande che mi fecero (in tutto il tempo che ero stato prigioniero, avevo scritto molto spesso, soprattutto a mia madre, ma a destinazione, era giunta soltanto una cartolina postale, quindi mancavano completamente di mie notizie). Dopo circa tre ore... pi che la gioia... "pot il digiuno": - Vorrei tanto mangiare un piatto di spaghetti - dissi, e notai gli occhi di mamma incupirsi di preoccupazioni, ma pap, bruscamente le ordin di darsi subito da fare: ai tentennamenti ed ai muti interrogativi che gli rivolgeva, pap, con un gesto deciso, indic la porta della cucina, dove ella si diresse sveltamente. 12 65

IL RITORNO A CASA Del viaggio di ritorno - forse a causa della mia attenzione, tutta tesa nella impazienza di rivedere i miei e nella speranza di ritrovarli tutti in buona salute - ricordo ben poco. Sono certo, per, che la tappa finale dei convogli organizzati dalle forze di occupazione in Germania, fu Pescantina, in provincia di Verona, dove era stato predisposto un centro di accoglienza e raccolta di tutti noi ex prigionieri. Vi fummo rifocillati, censiti, interrogati e, poi, messi in treni, con un foglio, mi pare un congedo provvisorio, per raggiungere le nostre destinazioni e presentarci ai distretti militari di competenza. Mentre il treno (certamente pi confortevole di quello che, dalla Grecia, ci aveva portati a Bremervrde) camminava lentamente lungo la costa tirrenica, vedemmo dei prigionieri tedeschi, intenti a lavori sulle massicciate. Ci fece gran rabbia il constatare che si muovessero con pigrizia, molti di loro erano seduti a riposarsi... Alle nostre urla - "Auf...", "Schnell...", "Los, schveine Deutsche..." - (su, svelti, porci tedeschi) i pi tra essi non vi facevano del tutto caso: pochi ci schernivano mostrandoci il dito medio... Al mattino presto del giorno successivo, dopo moltissime fermate, potemmo finalmente scendere nella stazione di Napoli. ...Era cos come la ricordavo; uscito in piazza Garibaldi, la vidi semideserta, con pochi tram che vi stazionavano, informatomi, seppi che non vi erano collegamenti con il mio quartiere, il Vomero. Erano circa le sei di quel giorno di fine settembre 1945. Rientrai in stazione e sedutomi nella sala d'aspetto, attesi che si facesse un'ora migliore, per recarmi a casa. Verso le otto, m'incamminai lungo il "Rettifilo" (il corso Umberto I e, man mano che procedevo, con sorpresa ) constatavo come tutti gli stabili del "Risanamento" che s'affacciavano su quell'arteria, erano intatti (certi "bene informati", in Germania, ci avevano detto che Napoli era stata rasa al suolo per i bombardamenti subti...). 64

INTRODUZIONE

ALBANIA, SETTEMBRE 1943 "Long ago and far away..." (tanto tempo fa e lontano...): il titolo d'una vecchia canzone americana, un po malinconico, forse, col quale comincio a stendere - in una cronologia alquanto approssimativa, data l'et mia doggi - il resoconto dei fatti che meglio ricordo, tra quelli avvenutimi nel corso della mia prigionia in Germania. Lo faccio per mio figlio Stefano, nonch per tutti coloro, che da tempo, mi hanno incitato a farlo. Una premessa necessaria: di tutto quanto m' capitato in quegli anni: la colpa stata unicamente mia, s, perch, nel gennaio 1941, mi "presentai alle armi", quale "volontario ordinario": AVEVO POCO MENO DI VENT'ANNI!! Fui assegnato al 9 Reggimento Genio, ebbi , dapprima, la qualifica di "artiere" poi, di volta in volta, divenni "marconista", "mascheratore", "guastatore", specialit da me volute, frequentando i relativi corsi di specializzazione, ma, un mese dopo, divenni (pi dignitosamente?) "volontario universitario ed, in trenta giorni, fui sergente: questo rimase il mio grado fino al termine del mio servizio militare...

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FINE DEGLI IDILLI Dopo una decina di giorni, del tutto avviliti per quanto ci era avvenuto, decidemmo concordemente di lasciarci. Uschi, abbandonato il suo abituale allegro umore, si fece dei lunghi pianti, avvinghiata a Pinuccio. Anneliese, con me, fu molto tenera, mi baci a lungo e mi ringrazi...di tutto... Tutt'e due, ci accompagnarono ad un campo americano, dove non fu facile farci ammettere. Stemmo l davanti due giorni, ci dettero per da mangiare. Le ragazze, rimaste con noi, una volta che fummo accettati, se ne tornarono a casa, ma venivano tutti i giorni a trovarci: ci guardavamo e toccavamo, attraverso il reticolato; ci dissero che avevano trovato lavoro, presso una sarta che lavorava per clienti americane, ci portavano sempre dei dolcetti, della cioccolata ed altre cosette. Una sera, annunciammo loro, con tristezza, che l'indomani saremmo partiti per l'Italia. Uschi vers fiumi di lacrime, Anneliese mi guard mestamente, con affettuosa simpatia (mi sentivo venir meno...) e mi prese le mani: - Elio, Du bist in meinem Herz, ich werde niemals das alles vergessen, Du bist, fr mich viel mehr als ein Freund gewesen - (tu sei nel mio cuore, non dimenticher mai tutto questo, per me sei stato molto pi che un amico), mi disse. Queste furono le sue affettuose parole di addio. L'indomani mattina, era da poco sorto il sole, la vidi l fuori, mi sembr pi bella che mai: era sola, mi disse che Uschi non aveva avuto la forza di venire. Mi porse dei fiori di campo, fiori di nessun valore, ma fu come se m'avesse dato un po del suo cuore..., ed aspett alcune ore, finch non andai via, in uno dei camion dell'autocolonna che ci port, a tappe, in Italia. Da dov'ero seduto, non mi riusc di rivederla, mentre mi allontanavo per sempre da lei...

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Ma i miei ricordi di quella bella, inaccessibile berlinese, mi ha fatto scordare un fatto importante, che ci permise di migliorare quella convivenza, in un certo buon agio, per oltre due mesi. LA NOSTRA RICCHEZZA Uschi ci confid, due settimane circa dopo la nostra coabitazione, che, non distante da casa sua, c'erano le rovine d'una chiesa cattolica, il cui parroco aveva raccolto molto danaro, che, certamente, era rimasto in una cassa da lui custodita, ora sicuramente sepolta fra le macerie. Non sto, qui, a narrare attraverso quali peripezie, mettendo le nostre vite a repentaglio, riuscimmo a trafugare quella cassa, nella quale trovammo una somma, favolosa, prima della guerra: circa trecentomila marchi!, Cambiati, al mercato nero di Alexanderplatz, un po per volta, ne ricavammo pi di quarantamila dollari; diecimila, per decisione di Uschi, li mettemmo da parte per Anneliese. Da a l l o r a, vi ve m m o m o l to meglio; ci approvvigionavamo ad Alexanderplatz, per i pasti che la brava Uschi sapeva preparare, andavamo a ballare molto spesso, ed offrivamo da bere a tanti, che subito diventavano nostri "amici", nei tram, pagavamo in moneta americana, e spesso non volevamo il resto spettanteci... Ma questa nostra, ingenua generosit fu la nostra rovina. Venimmo individuati da un paio di loschi figuri, che ci denunziarono ai russi... Un brutto, e quanto brutto!, giorno, una squadra di individui, in borghese, fece irruzione in casa, rovistarono tutto, s'impadronirono del danaro (anche di quello conservato per la povera Anneliese), degli abiti delle ragazze e nostri, di tutto ci che eravamo riusciti a comprarci, ci lasciarono seminudi e se n'andarono, profferendo chiss quali minacce in russo... Questo brutto accaduto meritava, forse, una pi attenta descrizione, ma ricordandolo, provo ancora oggi l'angoscia di ci che avvenne.

KAVAJA Kavaja (oggi Kavaie, n.d.A). Ero in forza al Reparto Direzionale Magazzini Speciali, un immenso agglomerato di grandi padiglioni, nei quali conservavamo materiali d'ogni genere, occorrenti ai fabbisogni delle nostre truppe occupanti i territori balcanici. Mi ritrovai, una mattina dopo l8 settembre 1943, in una delle tante trincee, fatte scavare, in fretta e furia pochi giorni prima, con l'ordine di contrastare, leventuale, prevedibile, avvicinamento di truppe tedesche, che, si riteneva, sarebbero venute per impadronirsi del materiale a noi affidato. Infatti, due giorni dopo, arrivarono le "truppe tedesche": una motocicletta con sidecar, con sopra due militari ed una vistosa bandiera bianca, che si arrest, a circa cento metri di distanza, per gli "alt" da noi urlati. L'enorme cancello del nostro muro di cinta si apr, per lasciarvi passare, accompagnato da due giovani ufficiali, il nostro Comandante (quel brav'uomo: fino a poco prima, il viso durissimo, certamente impaurito, pistola in pugno, percorreva le trincee, raccomandandoci calma e determinazione) il quale, portatosi vicino alla moto, si mise sull'attenti e fece un suo impeccabile saluto; al che, l'uomo del sidecar si lev in piedi e dopo un rapido gesto di salutorisposta, in un "suo" italiano, abbai: - Foi, Maggiore Comandante, s? Ecco ordine di fostro Generale d'Armata (e tese un plico che il Comandante apr); dofete sgombrare tutti fostri uomini e lasciare a noi magazzini CON TUTTI MATERIALI TUTTI, CAPITO, ENTRO ORE DODICI DOMANI! Il Comandante, voltosi a noi, con voce non meno squillante di quella di quel "crucco", ci comunic, con tono amaro: - E' cos, ragazzi, dobbiamo lasciare tutto alle forze tedesche...Rientrare immediatamente nei reparti e prepararsi.L'indomani mattina eravamo tutti pronti con armi e bagagli.

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NEI CAMION PER OCRIDA Alle 12 arriv una lunga colonna di quei grossi camion grigioverdi, a bordo dei quali, sorvegliati a vista da non pi di cinquanta tedeschi (noi, penso, eravamo in cinquemila!), dovemmo salire. I nostri ufficiali ci avvertirono: - Ragazzi, stiamo rientrando in Patria, stiamo dirigendoci ad Ocrida (in Grecia, oggi Ohrid, n.d.A.), dove lasceremo le nostre armi che riprenderemo al nostro confine, e dove prenderemo delle tradotte per tornare a casa: vi raccomandiamo, niente fesserie! -. Un viaggio da cani, scossoni a non finire, non so quanto dur (oggi, so che percorremmo 1500 o 1600 chilometri) ed arrivammo ad Ocrida, un posto indescrivibilmente squallido, con tanti tedeschi, le armi puntate su di noi, che si assicurarono che lasciassimo le nostre (mortai, mitragliatrici, fucili mitragliatori, fucili 91, moschetti, pistole, e relative munizioni... baionette comprese) mentre loro catalogavano ed inventariavano il tutto.

IL VIAGGIO IN TRENO E fummo caricati sui treni: carri-merci scoperti - per fortuna faceva un gran caldo - un convoglio lunghissimo, il nostro, tre locomotive a vapore, due davanti, una in coda, che ci riempivano e quasi soffocavano di fuliggine, al centro una vettura, passeggeri naturalmente, per la scorta d'una cinquantina di SS, un viaggio durato ben quattordici giorni. Poche, le soste, tutte in aperta campagna, e, per noi inspiegabile, quella velocit ridottissima, che ci consentiva di leggere i nomi delle stazioncine che attraversavamo, localit tutte sconosciute. Io ero tra i pi fortunati, m'era stato possibile di sedermi-accucciato, mentre gli altri quasi tutti in piedi: posizione che persi quando dovetti scendere dal carro, per soddisfare un mio bisogno - durante le soste, avevamo tutto il tempo per farlo - ma nel risalire, invariabilmente, gli altri s'erano pi comodamente sistemati... una notte intera, dovetti trascorrerla a cavalcioni su un respingente. 16

Poi, tornarono i nostri ballerini: - Beh, voi non ballate? Uschi ci prese per le braccia, facendoci alzare. - Fraulein, mchten Sie tanzen? (Signorina, vorrebbe ballare?) - chiesi io. - ANNELIESE - grid ridendo Uschi - si chiama e devi chiamarla Anneliese. Elio, capito? -. Lei annu e ci mettemmo tra la folla dei ballerini. Era uno strano ballo, si dimenavano tutti, come matti, era un "boogie woogie", per me sconosciuto... le feci un gesto sconsolato, lei assent e stemmo l, a guardare gli altri ballare. Poi, suonarono un valzer, poi, ancora altre danze che conoscevo, la mia compagna ballava molto bene, io non sfiguravo; per tutto quel pomeriggio, per, non riuscii pi a parlarle, ero intimidito dalla sua riservatezza, e quella musica, eseguita con bravura da un quintetto americano, mi trasmetteva la tristezza che, sentivo, essere in lei. All'imbrunire, decidemmo di andar via. - A casa mia - disse Uschi, divertita. Ne ricordo ancora a memoria, l'indirizzo: Swinemunderstrasse, o Schwinemunder Strasse 368, un piccolo fabbricato a tre piani, chiss come rimasto in piedi, come altri al limite di esso. La casa, tre soli ambienti, molto modesti, al piano rialzato, apparteneva ai suoi genitori, morti sotto le bombe, Anneliese abitava con lei da vari mesi. Erano state compagne di scuola, Ursula Salomo ed Anneliese Fisch, in seguito, scherzosamente, la chiamai Fischlein (Pesciolino; in tedesco, Fisch pesce) abitava l, da quando, rimasta anche lei sola, per la morte della sorella, con la quale conviveva in un altro quartiere, aveva subto un dramma tremendo. era stata stuprata da otto soldati russi!... Queste cose, me le confid, a voce bassa, Uschi, una sera che le chiesi il perch dell'atteggiamento della sua amica, con la quale, dopo circa due mesi dal nostro incontro, ero riuscito a scambiarmi solo delle delicate effusioni e non m'ero sognato di chiederle... qualcosa di pi intimo. Le feci alcuni ritratti, a carbone ed a sanguigna, tutti ben riusciti, dei quali lei sembr felice e mi ringrazi con dei baci pi prolungati. Pinuccio ed Uschi, invece, facevano... di tutto! 61

ANNELIESE ...FISCHLEIN Pinuccio, cos si faceva chiamare, mi port con s, in una tenda-birreria, dove mi present a due ragazze, dicendo: - Questa la mia, si chiama Uschi (ma che razza di nome pu essere?...), quest'altra si chiama Annelise... -. Erano due belle ragazze, ma totalmente differenti tra loro. Uschi (diminutivo di Ursula), piccoletta di statura, rotondetta, scura di capelli, rideva, pareva divertirsi di tutto, e ciarlava in continuazione. Pinuccio non parlava in tedesco (gli domandai come riuscisse a spiegarsi: - Elio - mi rispose - io conosco solo gut, schlecht, tanzen, essen, schlafen ed Aufwiedersehen, (buono, cattivo, ballare, mangiare, dormire ed arrivederci), il resto, lo dico a gesti -. L'altra era del tutto diversa: un tipo fine, capelli ed occhi d'un caldo colore castano chiaro, mi sorrise appena (Uschi mi aveva baciato sulla bocca); era davvero bella, vestiva un semplice abito celeste, maniche corte, Uschi aveva le sue braccia carnose completamente scoperte (eravamo all'inizio di giugno, e faceva caldo) ed al contrario, la sua compagna, era taciturna, avevo l'impressione che fingesse di interessarsi a quanto dicevamo, alle facezie che Pinuccio pretendeva che traducessi, e non ne rideva come l'altra, che pareva scoppiasse dal ridere ad ogni sciocchezza da me riferita... Ne fui, immediatamente invaghito... Mio "cugino" propose di andare a ballare. Ci alzammo ed, usciti, raggiungemmo un'altra, non lontana, tenda da dove veniva della musica. C'era una gran folla di giovani che ballavano: Pinuccio e la sua dama si unirono subito agli altri. Anneliese ed io ci sedemmo ad un tavolo libero: - Lei molto bella, signorina... - dissi avvicinandomi a lei; mi ringrazi con un semplice grazie. Avevo un po di soggezione di quella bella creatura. - Signorina, io sono pittore, mi farebbe piacere se volesse posare per me. - Oh, non credo di essere tanto interessante... - mi rispose, seria, quasi mi sentii scoraggiato dal continuare. Poi, lentamente, seguitammo a parlarci; in verit ero io a dirle frasi, che mi sembravano assai banali, lei si limitava a semplici risposte, fatte per lo pi di monosillabi. 60

Un pomeriggio, sul tardi, infine, fummo in una grossa stazione, Belgrado, ma per pochi minuti, soltanto. Ripartendo, il treno cominci ad andare sempre pi velocemente, con nostra gran contentezza "stavamo approssimandoci, finalmente con speditezza, all'Italia"! Con l'oscurit della notte, avemmo sempre pi freddo. LA SCORTA UNGHERESE Una mattina, il tempo livido, freddo nelle ossa, il lungo convoglio si era fermato in aperta campagna, una pianura di cui non si vedeva la fine. La sosta si protraeva e nessuno sapeva dirci cosa stessimo aspettando; ma dun tratto vedemmo avvicinarsi due camion militari, dai quali, una volta approssimatisi, scesero, una cinquantina di militari, in uniformi diverse da quelle dei tedeschi, erano armati. Intanto, quasi tutti noi eravamo scesi dai carri e ci chiedevamo cosa stesse accadendo. I tedeschi della nostra scorta, zaini ed armi in spalla, scesi dal loro vagone, presero a parlare con i nuovi venuti, dopodich salirono sui camion che subito si allontanarono per la stessa strada lungo la quale erano venuti, e scomparvero alla nostra vista per la densa polvere che sollevarono. Quei militari, vociando e gesticolando, ci fecero risistemare ai nostri posti; loro si issarono, pochi per parte, in tutti i carri. Sul nostro ne montarono quattro: si notava bene che erano delle giovani reclute e cera un preciso distintivo che li differenziava dai tedeschi... i loro sguardi: Ci osservarono con apparente simpatia. Qualcuno tra noi, anchio, prov ad attaccare discorso con quei ragazzi. Ad alta voce, io chiesi se qualcuno parlasse in francese ed uno mi si avvicin sorridente e si present, dicendomi di essere il sergente Stanko Laszlo, delle truppe ungheresi (quindi eravamo in Ungheria?!...). Si inform sulla nostra provenienza e, quando gli dissi che eravamo diretti in Italia, corrug le sopracciglia, ma non espresse nessun commento. Il treno adesso era pi veloce... il freddo pi intenso. Stanko trasse fuori dal suo zaino una maglia grigioverde e me la dette: gli strinsi forte la mano a significargli la mia 17

gratitudine. Per tutto quel lungo pomeriggio, e per buona parte della notte, stemmo a parlare del pi e del meno e fumammo alcune sigarette. Il suo luogo dorigine e residenza era Szeged, aveva diciotto anni. Sera fatta lalba: Ci fu unennesima sosta in campagna, ed il sergente Stanko mi porse la mano, facendomi i suoi auguri: gli ungheresi dovevano scendere e lasciare il compito di scorta ai tedeschi... Ci abbracciammo come due buoni amici (di quel bravo ragazzo, ancora oggi, ricordo bene il viso, dagli occhi buoni: certamente sapeva bene quella che era la nostra vera destinazione, forse, non ebbe il coraggio di rivelarmela). I soldati tedeschi, intanto sopravvenuti, fecero presto ad occupare il loro vagone. Nelle fermate, si avvicinavano a noi frotte di vecchie donne cenciose, che barattavano con noi pani e formaggi, in cambio di non importa quali articoli di vestiario. Personalmente, io presto mi ridussi in pantaloncini, camicia e bustina: una fame bestiale..."Tanto, me ne vado a casa!..." Giorni e giorni, notti e notti, senza sapere dove ci trovassimo: era del tutto inutile chiedere informazioni ai nostri guardiani, che scendevano dalla loro vettura ad ogni sosta, attentissimi a che non ci allontanassimo (ma per andare dove?) nessuno di loro capiva la nostra lingua, o cos ci davano ad intendere. VERSO... LITALIA Un po per la gioia dell'ormai imminente raggiungimento del nostro confine, un po nel tentativo inutile di sentir meno quel brutto freddo, cominciammo, prima in pochi, poi tutti, a cantare, e cantammo tante ore, nonostante la temperatura, sempre pi rigida, finch, alla flebile luce d'un paio di lampade d'una stazioncina che attraversammo senza fermarci, leggemmo il nome d'un paese. Veramente, ne distinguemmo soltanto la grafia, era in... gotico! Eravamo in Austria, se non gi in GERMANIA... PORCA PUTTANA!!! Tutto quel freddo avrebbe dovuto farcelo capire!!! Addio speranze... 18

Mi fermai interdetto sul come fare, e badando a ci che facevano i russi, poi, furtivamente, procedendo cautamente, evitando di farmi notare, mi riusc di passare dall'altra parte, nel settore americano. Effettivamente, mi resi conto che quanto avevo saputo, corrispondeva al vero: era un immenso mercato all'aperto, con merci di tutti i generi: alcoolici, generi alimentari, abbigliamenti d'ogni tipo, per uomo e donna - vidi, per la prima volta i blue-jeans, le calze di nylon, le lattine di coca cola e birra - sigarette, sigari, tabacco in pacchetti, ma pure biancheria, asciugamani, lenzuola, coperte, insomma, c'era di tutto, ed in grandi quantit. I venditori erano sul posto, tutti americani in maggioranza bianchi, pochi neri e altri dai lineamenti orientali, ma le loro uniformi erano della stessa foggia, facevano i loro affari con la massima naturalezza, senza timore alcuno, chiaramente, la cosa era tollerata, se non patrocinata (forse una mia maligna insinuazione?) dalle loro autorit... UN CUGINO Mentre m'intrattenevo ad osservare non ricordo cosa, parlando a me stesso, dissi qualche frase a voce alta; vicino a me, un tale, abbastanza ben vestito, mi chiese se ero italiano, e di dove. Cominciammo cos, e scoprimmo di essere lontani parenti, cugini di secondo o terzo grado, si chiamava Giuseppe Caizzi, era di Foggia, la citt di provenienza di mio nonno materno, il cognome era lo stesso, era anche lui exprigioniero dei tedeschi, ma veniva da un altro posto, da Hannover; da l, con i suoi compagni, era stato obbligato all'esodo, per l'avanzata delle forze alleate. E, ...curioso, era scappato anche lui dallo stesso campo russo di Heiligensee.

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TRE MESI A BERLINO BREMERVRDE Uscito dal lager, presi, a ritroso, la strada fatta per venirci; dopo un lungo e stancante camminare, visto un tram che stava passando, lo presi al volo e spiegai, all'anziana signora-bigliettaia, chi ero, che non avevo denaro con me e che ero diretto al centro. Lei, con molta gentilezza, mi disse di sedermi e mi dette varie spiegazioni, per le quali, venni a sapere che la poca popolazione, rimasta - di vecchi, uomini e donne, ma anche di madri e bambini - si era volontariamente prodigata per liberare le strade pi importanti, per lasciare libere quelle poche rotaie rimaste, ma, anche per sistemarne delle nuove, con le relative linee elettriche, al fine di permettere il movimento dei trams, aveva altres sistemato delle scuole, in prefabbricati avuti dagli americani. Si pensi che la guerra era finita nemmeno un mese prima. I berlinesi, senza attendere aiuti, donazioni dall'alto, coraggiosamente, con ostinazione, gi iniziavano a dare nuova vita alla loro citt. (Da allora, sono passati cinquantaquattro anni, di persone e fatti, in tutto questo tempo, ne sono stato a conoscenza e, nel mio piccolo, quando ho potuto, ho fatto di tutto per rendermi utile alla comunit, proprio in virt delle varie vicissitudini dolorose da me attraversate, per le esperienze maturate tanti anni fa, ma non ho mai avuto sentore di atteggiamenti altrettanto coraggiosi e d'intraprendenza, a seguito delle varie, non poche tragedie vissute nel nostro Paese; ma forse, esagero, un caso di positiva buona volont c' stato: in Friuli, dopo le gravi distruzioni causate da quel terremoto). ALEXANDERPLATZ Quella buona donna, mi fece scendere, e fui ad Alexanderplatz, il centro di Berlino, dove emergeva, sola, alta, imponente, su quell'immensa area di rovine e rifiuti d'ogni specie, la "Branderburger Tor", la Porta di Branderburgo (oggi, ridivenuta simbolo della Germania riunita) davanti ad essa, tanti soldati russi, al di l, altrettanti americani. 58 L'indomani, di mattina presto, intirizziti, alcuni con sintomi d'assideramento, fummo tirati gi, letteralmente, dai carri ed avviati di corsa ad uno sterminato recinto, con tanto, fitto filo spinato e l'indicazione di pericolo di morte, evidenziata dal disegno d'un teschio, per chi avesse toccato quel groviglio di fili, e tante torrette di guardia. Entrammo, sospinti dai nostri guardiani, quasi a passo di corsa. All'interno, un'infinit daltri recinti, anche questi in filo spinato, ma senza quell'odioso avvertimento di pericolo, in ognuno di questi, erano ammassati tantissimi uomini, tante uniformi di fogge diverse, che ci guardavano passare con indifferenza. Giungemmo in un'enorme spazio, fra quei recinti e numerosissime baracche in legno, dove ci fermarono. C'era, davanti a noi, un grosso fabbricato con la scritta "Hauptquartier" (comando in capo) e, davanti, un reparto di SS, ben allineati per tre, mitragliette pronte all'uso, ed un palco in legno alto pi di due metri, senza parapetti, sul quale, salirono alcuni "pezzi grossi", tra loro, uno, vistosissimo, grasso, schifoso d'aspetto, plurigallonato, che, con aria di stupida cordialit, cindirizz un discorso, che qui riassumo, tradottoci frase per frase, da un militare italiano, in una stupenda uniforme, mai vista prima d'allora: - Soldati italiani, vi trovate nel lager di smistamento di Bremervrde, dove rimarrete un paio di giorni, nella fiducia che ci tenete a tornare nella vostra patria; siete qui perch il vostro Re ha tradito noi e voi. Ha tradito il nostro patto d'alleanza, ha destituito il vostro Duce ed ha nominato Capo del Governo il Maresciallo Badoglio. Siete tutti in grado di valutare l'enorme dimensione e le gravi conseguenze di questo vile tradimento... A Voi, la scelta, ...arruolarvi nell'esercito della Repubblica Italiana, indossare bellissime divise, come questa che indossa questo soldato (l'interprete), essere alloggiati in ottime caserme, godere dello stesso trattamento economico delle truppe tedesche... OPPURE - grid e fece una pausa, divenendo truce - essere rinchiusi nei nostri lager, condannati a lavori pesantissimi, A VITA. Chi aderisce, e vuole collaborare alla sicura vittoria del 19

Il treno-tradotta arriv , in un mattino della terza decade del settembre 1943, nella stazione ferroviaria di Bremevrde, dove ebbe termine quel lungo viaggio durato 14 giorni. La lunghissima colonna di militari italiani, ufficiali compresi, fu costretta a marciare speditamente, per circa 5 ore,finch fu raggiunto l'enorme recinto descritto nella pagina precedente: Bremervrde non era quindi la denominazione di un lager, ma di un centro abitato, dal quale, circa 11 km. verso sud-est, distava il ben noto, famigerato lager di SANDBOSTEL Questo lager entr nel complesso dei tantissimi campi di concentramento organizzati dal comando superiore delle forze armate del "Reich" (Impero), gi dal 1 settembre 1939 ed in conformit con i criteri comuni a tutti i campi del genere, le baracche in esso installate vennero, in massima parte, assegnate ai militari di truppa, denominate "Stalag", mentre altre vennero destinate agli ufficiali e si chiamarono "Offlag". I compiti di sorveglianza e d'amministrazione dei campi furono affidati a reparti di militari tedeschi, che si avvalevano, per i vari lavori cui vennero adibiti i prigionieri, di "Obermeister" e "Vorarbeiter" (capimastri): civili tedeschi per lo pi ex detenuti di pochissimi scrupoli, o prigionieri polacchi, opportunisticamente divenuti collaboratori dei nazisti., divenuti presto peggiori dei loro padroni. Il lager di Sandbostel, originariamente delle dimensioni di m. 700 in lunghezza, e 500 in larghezza, nel corso delle guerra divenne assai pi esteso. Vi furono aggiunte altre aree, con molte altre baracche, nelle quali furono sistemati un "Reservelazarett" (ospedale da campo: in effetti era da considerarsi un'infermeria, dove non vi era alcuna volont di sanare le sofferenze di chi era costretto a ricoverarvisi, un vero e proprio lazzaretto, di manzoniana memoria) ed un Ilag, per un grande affluire di internati civili, in maggioranza belgi e francesi. Dal 1 ottobre 1944, la sorveglianza dei lager, pe r ordine della Cancelleria del Reich, pass al comandante supremo delle SS, Himmler. (Notizie tratte da una pubblicazione propagandistica pubblicata a cura di organizzazioni antinaziste, in collaborazione con il Ministero per le opportunit Europee dello Stato della Bassa Sassonia, e con l'Amministrazione Comunale di Bremervrde)

stessa richiesta del giorno precedente. Al che, lei, irritata, mi disse che m'avrebbe messo in prigione. Cosa che fece, ma, una settimana dopo; mi fece uscire, promettendomi il sospirato permesso, a ritratto ultimato e ben riuscito. Io, con molta fermezza, pretesi che quell'agevolazione mi venisse concessa prima di fare il ritratto: La Comandante si fece scarlatta di rabbia e mi neg la nuova condizione prospettatale. Mi lasci, ma ritorn dopo qualche ora, con il mio prezioso "pezzo di carta", firmato e timbrato, facendomi oscure minacce, se non cambiavo il mio "irrispettoso contegno". Il ritratto mi riusc come meglio non si poteva: la tenentessa ne fu abbagliata, i miei compagni altrettanto; lo avevo fatto in soli otto giorni; da lei, avevo saputo quali colori impiegare, per la giacca e le decorazioni: il petto di "baffone" ne era pieno all'inverosimile. ALLA FINE, LIBERO L'indomani, uscii da quel campo, col mio prezioso permesso valido dieci ore, e non vi feci pi ritorno. Dopo tanti anni, seppi che tutti quelli, rimasti in quel campo ad Heiligensee, furono deportati ad Odessa: vi rimasero, chi tre, chi quattro anni, a lavorare, ma indubbiamente, non nelle stesse condizioni sofferte nei lager nazisti.

LE "SS". CHI ERANO - COSA FECERO Le "SS" (abbreviazione di "Schutz-Staffeln") erano speciali squadre nate per proteggere e favorire l'espandersi del partito nazionalsocialista (o Nazismo), sorto per volont del suo ideatore, Adolf Hitler, che dopo il suo fallito colpo di stato dell'ottobre 1923, le rafforz e riorganizz e, datone il comando al crudele "Reichmannsfhrer" Himmler, ottenne che, dieci anni pi tardi, da poche centinaia che erano, le SS divenissero oltre cinquantamila. Hitler assunto il potere di Capo del governo, confer alla sua polizia i compiti della sorveglianza e dell'amministrazione interna del paese, nonch quello del controspionaggio. Fu applicato il razzismo. Chiunque non fosse di pura razza tedesca, e di sana e robusta costituzione, fu considerato essere inferiore e messo a morte. I primi, a subire tale sorte furono i tedeschi di religione ebraica (si badi bene parliamo di religione; gli unici tollerati erano i praticanti cristiani luterani, tutti gli altri, dovevano essere eliminati). Le SS, con spietata, scientifica precisione, eseguirono ciecamente gli ordini di Himmler e di Hitler, distruggendo gli Ebrei ed i prigionieri politici dei campi di concentramento, nonch opprimendo i popoli delle nazioni occupate, cos come ordinato dalla feroce spietata volont nazionalsocialista. Il Tribunale Internazionale di Norimberga, sorto dopo la seconda guerra mondiale, per giudicare i delitti nazisti, decret che le SS fossero da considerarsi la pi spietata organizzazione criminale.

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IL RITRATTO DI STALIN Una mattina, nel corso di una sua ispezione, la Comandante venne nella nostra baracca e mi vide disegnare a lapis un paesaggio immaginario; sinform e, saputo che avevo fatto il liceo artistico, mi chiese se ero in grado di fare un ritratto da una fotografia. Le risposi che potevo benissimo farlo. - Bene - disse lei - domattina le porter qualcosa da fare -. Difatti, venne da me, con una foto di Stalin, e mi consegn una scatola di colori, dei pennelli e del solvente, nonch una grande tela montata su telaio in legno. - Signor Draetta, se ne capace, deve farmi un ritratto del compagno Stalin; devo appenderlo dietro la mia scrivania, perch fra un mese, sar qui, in ispezione, il nostro Maggiore Generale, un grande eroe della nostra armata. Lo vuole fare? - S, Comandante - le risposi - ed io cosa avr in cambio? - Lei vuole in cambio qualcosa? Cosa vorrebbe? - Vorrei, Comandante, che mi desse un permesso, per andare a Berlino - (eravamo in un quartiere, nella lontana periferia di quella capitale, Heiligensee, un posto molto ameno, vicino ad un laghetto, tanto verde). Lei eccep che era perfettamente inutile andare a Berlino, dato che era interamente distrutta. Io, (che avevo saputo, da alcuni del campo, che, ad Alexanderplatz, oltre alle rovine, c'era un fiorente mercato di merci di ogni genere, messo su dai soldati americani, e che, in quei paraggi, c'erano vari locali da ballo, con tante ragazze tedesche, desiderose di piacevoli esperienze) le ripetei che, se mi dava il permesso per recarmi a Berlino, e, solo in tal caso, le avrei eseguito il ritratto. E lei: - Ci pensi, signor Draetta, torner domattina, mi raccomando! Quella strana donna parlava cos bene, e senz'alcun particolare accento, la nostra lingua, perch era laureata in italiano e francese; non era mai stata dalle nostre parti, che, per, conosceva bene, per gli studi fatti, evidentemente con grande impegno e volont. Il giorno appresso, comparve nella nostra baracca gi di buon mattino, a ripetermi di fare quel lavoro, ma io rifeci la 56 Reich, faccia un passo avanti, ADESSO, SUBITO! Intirizziti, quasi congelati, ci guardammo l'un l'altro. Nessuno, NESSUNO si mosse! Quel maiale di gerarca divenne rosso scarlatto, pareva che dovesse scoppiare, fece dietrofront, url qualcosa ai suoi cortigiani e, repentinamente, fummo sospinti, coi calci delle armi degli SS e spintonati all'interno delle baracche, dove cademmo sfiniti, a sedere su delle lerce brande. Alcuni minuti dopo, accompagnato da due SS, entr, da noi, un tipo vistosamente massiccio: giaccone in pelle, stivaloni, berretto in pelliccia, che si sistem davanti a noi, a gambe larghe, e prese a parlarci in buon italiano: - Io sono polacco, sono venuto qui come voi, e sono molto pi intelligente di voi. Io collaboro con le forze della grande Germania, mangio, dormo, vesto bene e sono ben pagato. Ripensate bene a quanto vi stato proposto dal sig. Oberstammfhrer: adesso, subito, lasciate i vostri bagagli ed uscite fuori, SBRIGATEVI, PRESTO! All'esterno, fummo di nuovo di fronte a quel maiale con tutti quei galloni, ed il freddo ci aveva quasi paralizzati: Soldati italiani - l'interprete traduceva - vi offro ancora la possibilit di collaborare con noi e salvarvi, perch ben difficile sopravvivere a quanto vi aspetta se decidete altrimenti... Chi accetta la mia proposta, faccia adesso un passo avanti, per L'ULTIMA VOLTA CAPITO? Ancora oggi, ho nelle orecchie quelle ultime parole, urlate ossessivamente, anche quelle nella lingua di quellodioso gerarca "ZUM LETZENMAL VERSTANDEN?" Ma anche stavolta, di passi in avanti non ce ne furono e, perci, fummo di nuovo sospinti nella baracche. Mi chinai a prendere da sotto la branda, il mio zaino: era quasi vuoto, vi trovai soltanto la gamella ed il cucchiaio, tutto il resto, forchetta e coltello, il mio primo orologio, un Agir Watch, la scatola col necessario per disegnare e dipingere, alcuni libri, sapone ed asciugamani, altri oggetti utili, tutto sparito! Mi precipitai fuori, dal polacco "pi intelligente di noi" e gli dissi del furto subto: lui mi guard a lungo sorridendomi, quindi si volse verso un SS, grande e grosso quasi quanto lui; gli disse qualcosa, facendo cenno a me col capo. L'SS lo scost, mi venne vicino e, sorridendo, mi vibr un violento 21

pugno sul naso, per cui svenni. Una secchiata d'acqua mi fece rinvenire e quasi morire dal freddo (ancora oggi, il mio setto nasale visibilmente rotto). L' "INTELLEKTUELLENGRUPPE" Dopodich, barcollando e ripiegato dal dolore, raggiunsi i miei compagni, gi inquadratisi l accanto. Sollecitati dalle urla degli SS, ad andatura forzata, fummo di nuovo nel piazzale col palco, dove avvenne, un'insospettata, veloce selezione (per titolo di studio, professione/mestiere, attitudine) di tutti noi, gi separati in gruppi di cinquanta e pi ragazzi: io, "studente in architettura", fui unito ad ingegneri, geometri, architetti, studenti distituti tecnici o duniversit, nell'"Intellektuellengruppe" (gruppo intellettuali), poi, suddivisi in squadre di sette-otto di noi. La nostra, (otto elementi "intellettuali"), con due SS ed un borghese naturalmente ben "accappottato", fu messa in marcia; usciti dal recinto, ne percorremmo il perimetro per un bel po, e, fermatici, ci dettero dei picconi nuovi di zecca. Il borghese ci fece capire che lui era il nostro "Meister", che dovevamo obbedirgli, e ci mostr il da farsi: dovemmo svellere, le mani gelate, dal terreno coperto da uno spesso strato di ghiaccio (io, nella camicia ed i pantaloncini rimastimi!..), picconando maldestramente, non so quante lastre di cemento, ognuna di circa un metro quadrato, ed accatastarle un paio di metri pi in l, fino a quando udimmo una sirena. Il "Meister" ci fece cenno di smettere, trasse di tasca un pacchetto ed, a grossi morsi, divor un paio di panini imbottiti, noi, morti di fame, la bocca che ci si riempiva di saliva, continuammo a lavorare, per non congelarci del tutto. Cos, maledettamente, pass anche tutto il pomeriggio ed, a sera, rientrammo stremati, affamati, in baracca, dove ci venne "servita la cena": quasi un litro dacqua, meno male calda..., in cui "nuotavano" alcuni pezzetti di rapa e daltri ignoti vegetali, che trangugiammo in poche sorsate, e, poi, con un tremore inarrestabile, ci buttammo sulle brande sfiniti, le mani insanguinate e doloranti e ci addormentammo... 22

stregua di noi sovietici, ma dovrete essere disciplinati come tutti i nostri soldati, va bene? Quella - la indic - la vostra baracca. Per ogni vostra richiesta, dovete far capo al qui presente sottufficiale va bene? Vi raccomando, massima disciplina: Evitatemi di dover prendere misure restrittive, va bene? E come poteva per il momento, andar meglio? La Comandante era un pezzo di donnona, il seno evidentemente contenuto da apposite fasce, si rivelava, comunque, imponente, cosce e bacino forti, gli stivali che le stringevano i polpacci, era bionda, abbastanza piacente, ma i suoi occhi esprimevano durezza ed inflessibilit. Alcuni giorni passarono. Effettivamente, ci trattavano bene, forse meglio di quei soldati, tant' vero che, spesso, certuni tra essi, venivano a chiederci, educatamente, un po di quelle foglie di tabacco, di cui eravamo stati generosamente riforniti. LA "FESTA DA BALLO" Ed una sera, ci fu una "festa da ballo": quattro soldati sovietici suonavano (un violino, due balalaike ed un flauto), eseguivano melodie tradizionali russe, ma anche musica da ballo. La tenentessa, seduta al centro tra i suoi soldati, batteva le mani, come tutti gli altri, sottolineando il tempo delle musiche, nonch per applaudire musicisti e coppie di ex-prigionieri messisi a ballare. - Io vado ad invitarla - dissi ai miei compagni; mi alzai ed avvicinatola, m'inchinai: - Comandante, mi concede un ballo? Si alz, era uno "slow", ed io la strinsi a me. Ballava bene, ma io non ci feci caso, perch tutta la mia attenzione era per quel corpo morbido contro il mio... ben presto, m'eccitai e la strinsi di pi... la sua reazione: con la mano destra mi appiopp uno schiaffone e, con l'altra, mi scost violentemente da s, imponendomi di ritornarmene nella baracca. Dopo quella, vi furono alcune altre occasioni "brillanti", dalle quali, per, fui escluso, per ordine del Comandante. 55

Quella mangiata di carne - malcotta, senza sale n pane - caus diarrea e vomito, a me ed ai miei compagni, per circa una settimana... Io, per vari anni, una volta rientrato a casa, non volli nemmeno sentire nominare la carne di maiale (che, d'altronde, in quegli anni del dopoguerra, per gli altri era un sogno). E dire che non mangiavamo carne, da circa tre anni!!!

INTELLIGHENZIA E MERDA La stessa squadra, il giorno dopo. Tutta la nostra "intellighenzia" dovette impegnarsi al trasporto di un grosso, puzzolente oltre il concepibile, carro-botte in legno, col quale, dovemmo svuotare tantissime "latrine da campo" (scavi longitudinali), colme descrementi e durine: Io ed altri vomitammo non so che cosa, con indicibili dolori di stomaco! L'impegno, per, fin col suono della sirena per la "Frhstckpause", la pausa di mezzogiorno, durante la quale, la bava che ci colava gi, potemmo goderci la vista dei tedeschi che facevano colazione. Rientrammo al lager, dove bevemmo un altra gamella di quell'intruglio maleodorante. Subito "dopopranzo", ci ammassarono agli altri ed, a passo quasi di corsa, sempre scortati a dovere da militari ed SS, raggiungemmo la stazione ferroviaria e salimmo su dei treni, stavolta, in carri-bestiame (coperti, grazie a Dio), e dopo sei-sette ore, arrivammo a destinazione, ad Amburgo/Altona. IL "SOGGIORNO" AD AMBURGO Ci portarono, dopo almeno cinque ore di marcia di buon passo, in un grosso fabbricato in mattoni rossi, sul cui ingresso leggemmo, a grossi caratteri, la scritta "ARBEIT MACHT FREI" (il lavoro rende... liberi). Fummo sistemati al terzo piano. Io capitai in un enorme stanzone; constatammo con sorpresa che c'era un bel tepore: veniva da una grossa stufa in metallo, (messa al centro, fra i letti a castello in legno a tre piani) sulle cui pareti, nottetempo, attaccavamo delle bucce di patate, tratte dai bidoni di spazzatura vicini alla cucina dei tedeschi, per arrostirle (operazione fatta furtivamente - guai ad essere scoperti! - e non sempre "fruttuosa"). Io, come altri, mi sistemai al terzo piano (scelta fatta gi quando ero recluta). In quel lager fummo trattati pi umanamente. Inaspettatamente, ci dettero delle strane uniformi e dei pastrani color cachi, cosa di cui avevamo gran bisogno:... 23

DI NUOVO PRIGIONIERI? La cosa, la pi sorprendente, ed assolutamente inattesa, fu che, quello stesso giorno, un pattuglione di soldati sovietici ci fece lasciare il "nostro" carretto, imponendoci di seguirli (non parlavano l'italiano e noi non sapemmo farci capire!). Camminammo, da loro scortati (niente armi puntate contro di noi...) per un'ora e pi; ogni tanto, qualcuno di essi ci indicava delle macerie, fra le tantissime dappertutto, ridendo e dicendo la sola parola, forse, che conosceva: Kaputt! -, finch arrivammo in periferia, dove non c'erano pi macerie, ma soltanto prati ed alberi e, c'era un... lager, nel quale entrammo, supponendo che vi fosse un qualche necessario adempimento da farsi Ed, invece, no! Ci rinchiusero alle spalle il cancello Filo spinato, non elettrificato, e tante baracche in legno. In giro, tanti poveracci come noi, seduti a dei tavolini, oppure a passeggiare, che chiacchieravano tra loro, forse non doveva essere proprio una prigione... Aspettammo l impalati, fino a quando, da una delle baracche, venne fuori una donnasoldato, accompagnata da alcuni altri nella sua stessa divisa. Si appress a noi e parl, in perfetto italiano: - Sono la tenente Irina (non ricordo il cognome), Comandante di questo campo d'ospitalit. Voi starete qui con noi, finch non saranno delimitati i confini delle quattro zone berlinesi: russa, americana, francese ed inglese; solo allora, vedremo cosa fare per rimpatriarvi. Intanto, sarete trattati alla 54

quasi, ci sentimmo rinati! Vi rimanemmo circa quattro mesi. Ogni mattina, adunata generale, appello, la minaccia: - WER STIEHLT ODER PLNDERT WIRD MIT DEM TODE BESTRAFT! - (chi ruba o saccheggia sar punito di morte!), abbaiata dal comandante, un capitano delle SS, dalla faccia sfigurata dal fuoco. E poi, al lavoro. Ci portavano, a passo cadenzato, in un immenso cantiere, tutto macerie, o quasi; con pochissimi capannoni, la maggior parte dei quali lesionati: era "Blohm & Voss", uno dei maggiori cantieri navali, nel mare del Nord, nei cui superfortificati tunnel sotterranei, erano costruiti gli "U-Boote", i temibili sottomarini tedeschi. Il nostro compito era quello di sgomberare le macerie e caricarle su dei camions, che scaricavano chiss dove. Venivamo anche impegnati in lavori di manovalanza, per ricostruire il possibile. Alle 12, smettevamo dopo sette ore, e tornavamo in baracca, dove ingollavamo quella stessa brodaglia "assaporata" a Bremervrde; alle 13,30, eravamo di nuovo a faticare, fino alle 19. Le fatiche pi dannatamente insopportabili erano quelle di svellimento e trasporto dei pezzi di rotaie contorte dalle esplosioni, per i bombardamenti degli inglesi, quasi giornalieri. Solo di domenica, eravamo liberi di riposarci. Una mattina, nel corso di uno di questi bombardamenti, un caccia in evidente avaria, ci sorvol a bassissima quota: simultaneamente, tutte le armi dei nostri guardiani lo mitragliarono, credo che fin subito in mare.

- Padre, che vi succede? - Gli chiese in tedesco. L'altro prese a piangere pi dirottamente e gli spieg il nostro malfatto. Era un giovane tenente: si volt verso di noi, chiedendoci spiegazioni. Al sentir muovere accuse di... nazismo, e la nostra volont di voler uccidere quei tre disgraziati, rise: - Ma, che nazisti?... Sono dei poveri contadini! Non avete coscienza? Lasciateli in pace ed andatevene per i fatti vostri... - Continu a rimproverarci per un bel po, finch, convintosi della nostra ritrovata coscienza, accompagn i tre poveretti in casa, ordinandoci di sparire. Di quel bravo ragazzo russo, quel tenente, conservo ancora la fotografia, che volle regalarmi. Ci eravamo scambiate delle opinioni sulla guerra, sull'inutile carneficina, appena consumatasi.

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decidemmo: potevamo macellare quella povera bestia. Fu un'impresa tutt'altro che facile, e veramente straziante... Tre di noi mantenevano la coda e le zampe del maialino, che emetteva stridii terribili, dibattendosi con forza, tentando - vi riusc pi volte - di svincolarsi, mentre gli altri, vibrandogli coltellate e colpi d'ascia, si davano da fare per finirlo. Dur, povero maialino, una buona mezz'ora, finch, per un colpo infertogli fortunosamente al collo, smise di dimenarsi. Non lo scuoiammo, e chi sapeva farlo? Staccammo una della zampe posteriori con l'accetta, accendemmo il fuoco, in quella cucina rustica, e facemmo l'arrosto..!.. I... NAZISTI! Stavamo mangiandocene dei grossi pezzi, tagliati alla bell'e meglio, quando improvvisamente, smettemmo di "abbuffarci", per dei rumori che ci giunsero dall'alto, da oltre il soffitto in tavole grossolane: - C' qualcuno, andiamo a vedere... Cercammo e scoprimmo una porticina, dalla quale, partiva una scala in legno, e fummo in un vasto solaio-fienile, dove, in un angolo, vedemmo, tremebondi, due anziane ed un vecchietto, che, appena comparimmo, presero a lamentarsi ed a piangere. E' da considerare pure, che, certamente, dovevamo rappresentare, per loro, uno spettacolo, da... film dell'orrore, tanto eravamo sporchi e macchiati di sangue... suino: Tedeschi!... Nazisti! - Li accusammo quasi all'unisono. Li afferrammo e, trascinandoli gi per la scaletta, li portammo piangenti e imploranti, sull'aia, dove, tacitamente, avevamo deciso di giustiziarli seduta stante. I LIBERATORI Per loro mera fortuna, sopravvenne una camionetta con una decina di soldati russi. Uno di costoro, and vicino ai tre malcapitati e si rivolse affettuosamente al vecchio, accarezzandogli i capelli, e liberandolo dai fili di fieno l attaccati: 52

UMBERTO IOLLI Ad Altona, incontrai, un mio ex-compagno di liceo artistico, il simpaticissimo Umberto Iolli: un napoletano verace, di figura minuta e colorito olivastro, occhi e capelli crespi, nerissimi, arguto e sempre pronto a prendere in giro tutti. Lo trovai molto diverso, era sempre immalinconito e s'era molto sciupato. A volte, per, gli tornava il buon umore ed allora, di domenica solitamente, ci cantava alcune belle canzoni napoletane: ne ricordo specialmente due... "Chitarre e manduline, stanotte 'o core mio vurria sent..." e "Scetateve guagliune 'e malavita..." (sento ancora oggi, con tanta tristezza, la sua voce, dolce, appassionata, piena di malinconia: cantava a mezza voce, le ricamava meravigliosamente quelle melodie...). Umberto, l'ho saputo di recente, morto, qui a Napoli, il 27 dicembre dello scorso anno 1998, aveva 85 anni, povero, caro amico mio!

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REN RATOUIS E, sempre ad Altona, ebbi la ventura di trovarmi un nuovo amico: accanto a noi, c'era una squadra di civili, deportati francesi, addetti al nostro stesso lavoro coatto. Io conosco il francese da bambino, e mi piaceva, mentre lavoravamo, chiacchierare con loro; si trattava di giovani operai, per lo pi di modestissima cultura. Ricordo che, nel corso di una di quelle chiacchierate, uno di essi, era di Bezirs, riprese uno dei suoi compaesani, che aveva riso per una frase da me pronunciata, affermando: - Tais-toi, Elio connat assez mieux le franais que nous!... - (Sta zitto, Elio conosce il francese molto meglio di noi!...). E fu cos, che, alcuni giorni pi tardi, ne conobbi uno che dimostrava d'avere buona cultura; col quale, poco per volta, simpatizzammo e divenimmo amici, era di Parigi, diplomato al liceo classico, conversatore brillante, era un piacere scambiarsi idee con lui: si chiamava Ren Ratouis. Progettava di evadere, ed io pensavo che si trattava d'un sogno come tanti di quelli che ognuno di noi faceva in continuazione.

LA BRAVATA IDIOTA Raccolsi un "panzerfaust", fra i tanti, l giacenti inesplosi, me lo misi in spalla (non so dire perch avessi preso quella terribile arma) e mi rincamminai con i miei compagni (il "panzerfaust", tradotto letteralmente, significa pugno corazzato; gli americani lo chiamarono "bazooka", consiste in un tubo contenente una carica, che, una volta attivata, fa partire una piccola ogiva, un razzo micidiale, capace di penetrare corazze d'acciaio d'un certo spessore, basti pensare a come sono i carri armati). Improvvisamente, mi frull un'idea (non avevo nemmeno idea di pensare minimamente alla bestialit che stavo compiendo), puntai quell'ordigno verso una mucca poco distante e premetti la leva, dove c'era scritto "Feuer" (fuoco). Un tremendo boato, il rinculo mi fece cadere riverso, ...della vacca, non c'era pi niente, era sparito anche un alberello che stava dietro ad essa Incoscienza, crudelt, che ancora oggi non riesco a spiegarmi. Ma ne racconto un'altra, che ho sulla coscienza, e ... nelle viscere: UN MAIALE, DELLA CARNE FINALMENTE E... ...NAZISTI DA GIUSTIZIARE! Camminavamo, spingendo il nostro carretto, ed un giorno ci apparve una fattoria, con dei campi coltivati intorno; vi andammo, nella convinzione di trovare qualcosa di meglio da mangiare, che non quel pane lasciatoci dai soldati russi. Entrammo, perlustrandola; non vi trovammo nessuno certamente, anche i suoi abitanti erano scappati via, come tanti altri - ci mettemmo a frugare dovunque possibile, ma, niente. Uscimmo all'aperto. Uno di noi vide qualcosa muoversi nei cespugli l vicini; corremmo a vedere cosa vi fosse: era un maialino, del quale c'impadronimmo non senza difficolt (nessuno, di noi sette, era contadino o agricoltore) e rientrati in casa, trovammo dei coltelli ed un'accetta, con i quali,

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Sulla strada sotto di noi, passava un'interminabile fila di carri armati enormi, sulle cui antenne, erano ben visibili le bandiere rosse, gli uomini degli equipaggi, i busti fuori dalle torrette, agitavano le braccia salutandoci. Corremmo verso i liberatori, come matti, gridando la nostra gioia Da alcuni carri, fermatisi, scesero dei soldati, che ci vennero incontro ridendo e ci indicarono verso dove andare: Tullio Marullo e quegli altri pochi che conoscevano il russo, poterono chiarire loro chi fossimo e da dove venissimo: Ci vennero tolte le armi, ma avemmo dei pani e delle foglie di tabacco. In quel mentre, sopraggiunse, quasi sovrastando il rumore dei cingoli, come una lunga nuvola nera, un imponente reparto di cavalleria cosacca: mantelli neri foderati di rosso al vento, dalle spalline imbottite, che facevano arrivare le loro spalle all'altezza degli orecchi, colbacchi in astrakan, tutti dai grandi baffi neri, sciabole roteanti nelle mani, gridavano non so cosa, galoppando fra i carri armati. Li guardammo passare, ammirati: era davvero uno spettacolo inconsueto, emozionante. Poi, ognuno prese la sua strada. Con i miei sei compagni migliori, impadronitici di un carretto a mano l abbandonato, su cui ponemmo le nostre poche cose, arricchite dai pani e dalle foglie di tabacco, riattraversammo Neustadt, come ho gi detto, e ci incamminammo verso Berlino, che, avevamo saputo, era gi stata liberata. Manco a farlo apposta, ci trovammo nella zona occupata dalle truppe sovietiche: l, ma anche in tutto il resto di quella capitale, non c'era rimasto pi nulla... stringeva il cuore vedere tutta la capillare distruzione d'ogni cosa: di quel pochissimo ch'era rimasto, dir pi avanti, quando narrer del come divenni ..."cittadino berlinese", per tre mesi soltanto...

Ed, invece... un giorno mi parve fosse scomparso, i suoi compagni mi dissero che, veramente, era scappato via!... Passarono forse venti giorni. Una sera, tornando al lager dal lavoro, lo vidi, inquadrato in uno "Strafabteilung" (reparto di punizione): marciava al passo, era assai dimagrito, occhi bassi, rincurvato. D'impulso, stavo per avvicinarmici, ma i suoi occhi m'ammonirono di non provarci... Dopodich, davvero non lo rividi pi. Ma, anni dopo, a guerra finita, ci siamo rimessi in contatto, scrivendoci; da allora, i nostri rapporti sono divenuti sempre pi stretti, ci siamo visti pi volte, in Francia e qui; siamo quasi diventati parenti (io sono padrino di battesimo di Patrice, suo figlio, lui lo di Patrizio, il secondo dei miei figli), e ci vogliamo un bene dell'anima, cos pure per le nostre famiglie. IN POMERANIA - "STALAG XA" Una sera, vennero ad avvisarci il Comandante e dei soldati: - Preparatevi, domani mattina partirete!Infatti, l'indomani, era una mattinata piena di sole (stranamente, in quel periodo passato ad Altona, pochissimi furono i giorni di maltempo; anche i tedeschi erano sorpresi di tutto quel sole, data l'abituale, pressoch perenne pioggia o nebbia), fummo caricati su dei treni, carri bestiame, naturalmente, e viaggiammo infreddoliti, fino al pomeriggio inoltrato, quando arrivammo a destinazione: Plitz, in Pomerania (vasta regione della G erm an ia N ord -or ie n ta le , confinante con la Polonia, Stato questo, del quale, attualmente, l'ex Pomerania fa parte) un paesino prossimo a Stettino, d'uno squallore incredibileIl timbro della censura, che veniva apposto ad ogni libro, documento e/o fotografia, in possesso dei prigionieri

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Marciammo per oltre un'ora ed, a sera, ci rinchiusero in un lager, dalle caratteristiche non dissimili da quello di Bremervrde: di nuovo l'"incoraggiante" insegna "IL LAVORO RENDE... LIBERI". Baracche, anche queste, in legno, una pi grande per il comando. Addio, belle giornate di Altona!.. Un freddo perennemente pungente, umido, e le ombre della sera, appena mitigate da poche, fioche lampade, appesantivano il nostro smarrimento. Inquadrati sui tre lati del piazzale, con SS e Vorarbeiter polacchi, pronti ad aizzarci contro i loro cani, ci contarono, e, quindi, ci sorbimmo il discorso di "benvenuto" del comandante, carico di disprezzo e di minacce (particolarmente aggressiva, la frase "WER STIEHLT ODER PLUENDERT WIRD MIT DEM TODE BESTRAFT" - "chi ruba o saccheggia sar punito di morte", ripetutaci poi, tutte le sante mattine...). Infine, entrammo nelle baracche, ci scaldammo lo stomaco con quell'abominevole brodaglia (sempre la stessa...) e ci mettemmo a dormire, nel tepore delle stufe. Gi quella prima notte - e, quasi tutte le successive, nel lungo tempo che passammo a Plitz, al suono d'una sirena di preallarme - fummo svegliati, tirati fuori e mandati di corsa fuori dal lager, oltre il bosco, il pi lontano possibile - ci dicevano - per essere fuori del campo d'azione dei bombardieri, data l'immediata prossimit della raffineria di petrolio, nella quale lavoravamo. Ogni volta, quindi, mantenendoci sulla testa i pastrani, per proteggerci dalle schegge d'ogni dimensione, dei proiettili della contraerea, correvamo nel bosco, mentre suonava l'allarme vero e proprio, lo oltrepassavamo, continuando per una buona mezz'ora. Da dove, poi, ci fermavamo - terreno gelato, quasi privo di altra vegetazione - vedevamo, davanti a noi, sulla sinistra, levarsi alte fiamme, accompagnate da scoppi e boati degli obiettivi centrati dai bombardieri. Una volta allontanatosi il rombo di quegli aerei, al nuovo ululato della sirena (cessato allarme), rientravamo di corsa nel lager e ci rimettavamo nei nostri gicigli; per, a volte, capitava di dover rialzarci e allontanarci di nuovo (i famosi bombardamenti "ad ondate"). 28

Sbalordito, m'accostai ad uno di essi, che stava fumando, e gli chiesi una sigaretta. Riparandosi con la mano dal sole, gli occhi socchiusi, tir fuori un pacchetto di sigarette quasi vuoto, e me lo porse. Aveva proprio il viso d'un bambino: - Camerata - mi chiese - vai a Neustadt? - Gli risposi che cos sembrava. E lui: - Nella terza casa a sinistra, su questa strada, c' mia madre: Se possibile, va a dirle che sto bene e che, fra pochi giorni, torner a casa. Mi fai questo piacere?... Gli risposi affermativamente, ridandogli il pacchetto, ma lui non lo riprese. - Senti, camerata - gli dissi provando una certa angoscia - perch non torni dalla tua mamma, adesso, subito? I russi stanno arrivando, perch devi morire?... Rispose rabbiosamente, fissandomi ostile: - ICH MUSS (io devo!) stare qui, il nostro Fhrer ci ha ordinato di non far passare i comunisti... Tu sei un prigioniero, ma sei un soldato, mi capisci, non vero? - Col cuore che mi doleva, abbozzai un saluto ed, accendendomi una sigaretta, tornai nella fila dei miei compagni, ai quali, riferii l'avvenuto, ne parlai anche alle guardie, che mostrarono comprensione. Andai da quella povera donna, le riferii il messaggio del suo bambino. Mi abbracci, mettendosi a piangere sconsolata... Forse una settimana dopo, fummo liberati dai russi eravamo stati rinchiusi in un grande capannone, contenente fieno; sparite tutte le guardie - volli tornare su quella strada. Piansi!... quel ragazzino, e tutti i suoi "camerati... erano ancora l, interamente arsi vivi dai lanciafiamme dei carri sovietici, tutti contorti negli spasimi della morte... I RUSSI - LA LIBERAZIONE Dal capannone-fienile, dove ci avevano rinchiusi, avvertimmo, sempre pi intensi, e vicini, gli scoppi delle artiglierie ed, una mattina, sentimmo, e distinguemmo bene, un forte sferragliare di cingoli... Uscimmo tutti: i tedeschi erano spariti, per terra, avevano abbandonato le loro armi, delle quali ci appropriammo. 49

spesso, bagnandosi il gargarozzo con qualche liquido che avevano nella borracce; meno male che buona parte, di essi, avevano mutato contegno: forse non c'era pi sfizio a sfotterc, ed anche, forse, perch eravamo costretti a quella marcia promiscua, con tutta quella folla di fuggiaschi: anziani e vecchi in maggioranza, poche donne con bambini; niente giovani, n ragazze, n ragazzi. Domandammo ad alcuni, dove fossero diretti, ci rispondevano che intendevano solo allontanarsi dal "pericolo comunista" A MAGDEBURGO Tanti giorni dopo (quanti non so ?!), in una notte che fioccava una fitta neve, eravamo a Magdeburgo... pochissimi gli edifici ancora in piedi, macerie dappertutto, niente strade, camminavamo faticosamente, inciampando su mattoni e detriti d'ogni tipo: quelli che avevano la sventura di cadere erano abbandonati... Alcuni dei nostri caddero, ma ci fu impedito d'aiutarli, con la minaccia di farci fuori. Nei giorni precedenti, molti fra noi, avevano avuto, dai borghesi, del cibo, che avevamo diviso da buoni compagni con gli altri, e la fame s'era finalmente calmata.

Eravamo sistemati in letti a castello, a tre piani, dove annidavano cimici a migliaia. Io, ed altri fortunati, ci appropriammo delle cuccette al terzo piano, cos da non farci piovere addosso altri di quegli immondi insetti, coi quali, per, imparammo presto a convivere!.. IL CAPOBARACCA Avevamo anche un "capobaracca", l'unico "sergentemaggiore" tra noi, un torinese, non ricordo come si chiamasse. Mi fu antipatico da subito - penso, per, che l'antipatia fosse fortemente reciproca - e spiego perch: era sempre in ordine, lui solo aveva conservato la sua divisa abbastanza a posto (chiss come, forse s'era "arruffianato" a dovere con i tedeschi), era esentato dal lavoro, non faceva altro che canterellare, fregarsi le mani ed andare su e gi tra noi, durante il lavoro che ci ammazzava, ponendoci domande tipo "Beh, cum a va o "Voi avete freddo? Io no", che c'irritavano. Ogni mattina era l'unico, a venir fuori, a busto nudo, al lavatoio comune: si insaponava, facendo un uso esagerato dell'acqua (per noi che a stento ci fregavamo il muso... come i gatti). E canterellava sempre... che rabbia..., noi non avevamo la forza neppure per muoverci, per le tredici ore di lavoro al giorno che dovevamo fare. Inoltre, non ricordo d'averlo mai visto grattarsi per i pidocchi: cosa che noi facevamo quasi voluttuosamente, soprattutto la sera, al caldo delle stufe... Ma, dato che dormiva nella cuccetta sottostante alla mia, a volte, durante la notte, mi raschiavo via manciate di pidocchi dai peli del pube e delle ascelle e, perfidamente, glieli gettavo addosso... Con lui, and a finir male: fu l'unica volta che ebbi una lite furibonda, perch m'aveva accusato ingiustamente d'essermi appropriato di un suo pane; di questo, ce ne davano un pezzo da un chilo, solo al luned, che doveva bastarci per tutta la settimana: aveva la forma d'un mattone e misurava soltanto una ventina di centimetri, non era certo di farina... Io lo divoravo subito, sia per la fame, sia per gli immancabili furti, (poi... con lo stomaco strapieno, ...era duro andare a lavorare). 29

SCONVOLGENTE ACCADUTO A NEUSTADT Ma ritorn il sole. Dopo altri giorni, giungemmo nei pressi di un paesino, preannunciato da un cartello "Neustadt", che sintravedeva, lontano, sembrava intatto! I nostri guardiani, con molta abilit, ad un bivio, ci divisero dai fuggiaschi civili e ci guidarono verso quel paesino. Circa un chilometro prima di questo, ai due lati della strada, c'erano delle trincee; dentro, appostati, forniti di molte armi, anche di "Panzerfaust" (armi anticarro, bazooka) c'erano dei... ragazzini - vestiti con uniformi da soldati, gli elmi troppo grandi per loro - di dieci, undici, massimo tredici anni... 48

Per tale lite dovette ricoverarsi nell'infermeria del campo, con il viso sanguinante ed il naso rotto; seppi poi che s'era fatto trasferire in un'altra baracca: il fatto, per, che non m'abbia denunciato, mitiga un po il ricordo negativo che ho di lui. ARMANDO VOLPINTESTA & C. Del lager (Stalag XA) di Plitz, oggi, in polacco, "Police", dove noi, di Kavaja formavamo il "B.A.B. (Bauarbeit Bataillon)" - battaglione di lavoro costruzioni - serbo, grato il ricordo di quanti, fra quei compagni, divennero miei amici: di Umberto Iolli, ho gi detto, ma c'erano pure il caro Armando Volpintesta - persona simpaticissima, occhi verdi, sempre annebbiati da una cupa tristezza per la quale fui sul punto di diventare omosessuale, tanto era il bene che ci volevamo.

sempre stretti in quella morsa di cattiveria. I nostri morti, giorno per giorno, sempre pi numerosi, noi - i sopravvissuti sempre pi cadaverici: io pesavo meno di quaranta chili e nonostante la mia costituzione gracile, mi toccava veder morire dei ragazzi, tanto pi fisicamente validi di me! ...E venne il marzo 1945! L'ESODO Cominci una mattina, senza preavviso. La solita adunata, l'appello - di meno della met di quanti ne eravamo in origine - ci ordinarono di prendere le nostre cose: - Che diavolo succede? - (ci domandammo sgomenti...). Ci misero in fila per tre, come ogni volta, ed uscimmo, marciando sul margine sinistro della carreggiata, in direzione opposta a quella per recarci alla raffineria. Ci guardavamo preoccupati, sapevamo che, da quella parte, c'era quel terribile "lager di punizione". Eravamo, naturalmente, scortati da soldati ed SS, le armi puntate su di noi, che ci imponevano il passo come sempre: - Links, zwo, drei, vier... Ma oltrepassammo il bivio del lager, poi il paese, e continuammo marciando, fino a quando ci raggiunse il ben noto rumore dei bombardieri: fuggifuggi generale, nel bosco, che era dall'altra parte della strada. Nota positiva: eravamo gi distanziati dalla raffineria, difatti, ci piovvero addosso pochissime schegge di contra