Ecco chi c'è dietro Matteo Salvini | L'Espresso, 11.02.2018

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22 11 febbraio 2018 L’Espresso

PRIMA PAGINA Il lato oscuro del Carroccio

Chi c’è diLe rete econ

Inchiesta sulle re

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Chi c’è dietro Salvini

illustrazione di

Emanuele Fucecchi

di Giovanni Tizian e Stefano Vergine

econ omica. La Russia. I riciclati al Sud.

Inchiesta sulle re lazioni nascoste del capo leghista

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24 11 febbraio 2018 L’Espresso

PRIMA PAGINA Il lato oscuro del Carroccio

L’ufficiale di collegamento si chiama Sergey Zhe-leznyak, 47 anni, delegato del Cremlino ai rappor-ti con i partiti europei. È lui l’uomo che per conto di Vladimir Putin ha sancito l’alleanza con Matteo Salvini lo scorso marzo a Mosca. Un patto rag-giunto dopo quattro anni di corteggiamenti, vi-site, prove di fedeltà. Accordo politico e non i-nanziario, ha precisato in dal primo momento Salvini: «Ritengo che Putin sia un grande e lo penso gratis», è il mantra del leader leghista. Zheleznyak non avrebbe problemi a dare una

mano ai fratelli padani, le cui politiche anti-Unione europea fanno ovviamente comodo al Cremlino. La Russia lo ha già fatto in Francia con il Front National di Marine Le Pen, beneiciaria di prestiti per oltre 10 milioni di euro. E di un aiuto, ora, la Lega avrebbe maledettamente bisogno. È stato lo stesso Salvini ad ammetterlo, lo scorso 3 gennaio dopo l’ultimo consiglio federale: «Oggi sul conto corrente della Lega nazionale abbiamo 15 mila euro». Il segretario del Carroccio deve afrontare la sua prima campagna elettorale da candidato premier, la prima senza inan-ziamento pubblico ai partiti, e deve farlo con le tasche vuote, o almeno così sostiene. La trufa dei rimborsi elettorali che ha portato alla condanna in primo grado di Umberto Bossi e Fran-cesco Belsito - 48 milioni evaporati falsiicando i bilanci - è co-stata al partito il sequestro dei conti correnti e una nuova inda-gine per riciclaggio aperta dalla procura di Genova, convinta che la Lega sia riuscita a mettere al riparo una parte di quei soldi. Matteo intanto piange miseria, deinisce «toghe rosse» i giudici che hanno sequestrato i fondi, parla di «attacco alla democrazia». Grazie alle donazioni dei sostenitori privati e ai 20 mila euro ri-chiesti a ogni candidato è convinto però che alla ine il presiden-te del Consiglio italiano sarà lui. Per comprendere il motivo di tanta sicumera non ci si può aidare a documenti uiciali. Gli eventuali bilanci della nuova Lega saranno disponibili al più presto fra un anno. Seguendo le parole del leader, e le mosse dei

suoi fedelissimi, ci si rende però conto che l’accordo politico irmato a Mosca quasi un anno fa potrebbe già avere avuto dei risvolti inanziari. Da quando ha iniziato a sostenere le ragioni della Russia, battendosi contro le sanzioni imposte da Usa e Ue per l’annessione della Crimea e l’invasione del Donbass, Salvini si è fatto molti amici. A Mosca, ovviamente, dove sanno bene che per mantenere in vigore l’embargo tutti i governi dell’Unione devono essere d’accordo. Ma anche in Italia, fra le tante imprese i cui bilanci dipendono dalla possibilità di continuare a fare afa-ri con la Russia. È il caso del colosso della carne Cremonini, che poco dopo l’inizio della battaglia commerciale con Mosca ha deciso di aprire un enorme stabilimento a Orenburg, al conine con il Kazakistan. O del gruppo Baldinini, produttore di scarpe romagnolo che ai piedi degli Urali ha sempre fatto grandi afari. Aziende che hanno trovato nel politico leghista una sponda im-portante per mantenere aperti i rapporti con il Cremlino e che ora, spera il leader felpato, gli saranno riconoscenti.

Per raccogliere imprese-amiche Salvini ha scelto Gianluca Savoini, 54 anni, ex giornalista de La Padania, per qualche tem-po suo portavoce personale. Savoini vanta parecchie conoscen-ze nel mondo russo, e negli ultimi anni si è recato di continuo nella Federazione. Tutto è iniziato il 15 dicembre del 2013 a Torino, quando Matteo è stato eletto segretario della Lega. In platea, seduto fra le centinaia di sostenitori padani, quel giorno c’era un invitato d’eccellenza: Aleksey Komov, rappresentante russo dell’associazione ultracattolica World Congress of Fami-lies, responsabile internazionale della Commissione per la Fa-miglia del Patriarcato ortodosso di Mosca e grande amico dell’oligarca Konstantin Malofeev, già molto attivo nei rapporti tra il Cremlino e i francesi del Front National. È a partire da quel giorno che Savoini è diventato uicialmente il motore della collaborazione tra Salvini e Putin. Insieme ai leghisti Max Fer-rari, Luca Bertoni, Claudio D’Amico e Gianmatteo Ferrari, due mesi dopo ha creato infatti l’associazione Lombardia-Russia, il cui presidente onorario è proprio Komov. In poco tempo sono

Operazione pronta cassa

Il partito era rimasto senza soldi.

incaricato di trovare “azi

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state aperte altre associazioni simili in giro per l’Italia, dal Pie-monte al Lazio, dalla Liguria al Veneto. Una sede è stata inau-gurata anche in Umbria, presieduta dal responsabile provincia-le di Casa Pound Piergiorgio Bonomi, candidato alla Camera per le prossime elezioni. L’ennesima dimostrazione del legame tra Mosca, Lega e i fascisti del terzo millennio. Queste associazioni, strutture opache dal punto di vista inanziario visto che non devono presentare bilanci, hanno come obiettivo uiciale quel-lo di veicolare la visione del mondo di Putin basata sui capisaldi “identità, sovranità e tradizione”. E come ine pratico quello di far sviluppare il commercio tra le nostre imprese e la Russia.

Su tutto questo la Lega ha trovato un appoggio anche in Italia. Non solo nella banca Intesa Sanpaolo che - come dimostrano alcuni documenti letti da L’Espresso - nel 2015 ha fatto entrare nel consiglio d’amministrazione della succursale russa, oltre che di quella svizzera, l’avvocato Andrea Mascetti, ex Movimento Sociale e già membro del consiglio federale del Carroccio. D’al-tronde il legale varesino, scelto l’anno scorso da Salvini per creare un think tank dedicato al federalismo e alla politica inter-nazionale, sposa a pieno le idee di Putin: «Tra 10 anni l’Europa e l’Italia di adesso non ci saranno più», ha dichiarato Mascetti, «si deve pensare ad una prospettiva geopolitica che guardi da Dublino a Vladivostok, c’è da pensare ormai in termini di Eura-sia». L’appoggio più visibile in Italia Salvini lo ha trovato però in una organizzazione russa. La sede è a Palazzo Santacroce, un elegante ediicio barocco nel centro di Roma, a due passi dal ministero della Giustizia. Si chiama Rossotrudnichestvo, in italiano Centro Russo di Scienza e Cultura. «Organizziamo corsi di lingua, mostre artistiche, presentazioni di libri, incontri con personalità russe», racconta la segretaria. Dietro la facciata uiciale si nasconde però una delle principali strutture create negli ultimi anni dal Cremlino per inluenzare la politica italia-na. Questo è ciò che sostiene il rapporto sulle ingerenze russe redatto dal senatore democratico americano Ben Cardin e presentato a inizio gennaio. La stessa tesi è argomentata da

Anton Shekhovtsov, politologo che insegna in Austria all’Insti-tute for Human Sciences, uno dei massimi esperti delle relazio-ni fra Mosca e i movimenti politici europei. Secondo Shekhovt-sov, Rossotrudnichestvo è oggi «il maggior strumento usato dalla Russia per esercitare soft power in Paesi stranieri», pre-sente in almeno 25 nazioni e con 600 dipendenti all’attivo. Una rete politico-diplomatica che può contare sui generosi fondi del Cremlino, passati dai 48 milioni di euro del 2013 ai 228 milioni programmati entro il 2020.

Il post su facebook del capo della Lega dopo l’incontro a

Mosca con il presidente russo Vladimir Putin

tito era rimasto senza soldi. Allora un uomo del leader è stato

i ende amiche”. Iniziando da Mosca

Foto

: Ansa

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26 11 febbraio 2018 L’Espresso

Controllato dal ministero degli Esteri russo, l’uicio ita-liano di Rossotrudnichestvo è diretto da Oleg Osipov, per

anni corrispondente dell’agenzia di Stato russa Tass, prima dall’Africa e poi dall’Italia. Se Osipov tende a non parlare pub-blicamente di temi politici, sua iglia Irina è di tutt’altra pasta. Italiano luente, classe 1988, l’esuberante moscovita non fa mi-stero delle sue simpatie per la Lega e per i partiti di estrema destra. Sui proili social si sprecano le fotograie che la ritraggo-no insieme a esponenti del fascio-leghismo, dal dirigente di Casa Pound Marco Clemente al segretario dell’associazione Lombardia-Russia Luca Bertoni. È proprio Irina, già candidata alle ultime elezioni comunali di Roma con Fratelli d’Italia (non eletta), ad aver fatto da trait-d’union tra il Cremlino e i cosiddet-

PRIMA PAGINA Il lato oscuro del Carroccio

La ricerca di nuovi finanziame

apparire società che avevan

Li chiamano Zaia Boys perché di Luca Zaia, governatore

leghista del Veneto, sono gli uomini più idati. Domenico

Mantoan è il dominus della sanità veneta, il dirigente

che ha l’ultima parola su nomine di medici e appalti

degli ospedali. Fabio Gazzabin è invece il mister Wolf

di Pulp Fiction, il tuttofare che risolve i problemi del

governatore impomatato. Due massimi dirigenti della

Regione con un denominatore comune: un esposto

depositato alla Corte dei Conti che mette in dubbio

la regolarità delle loro nomine e dei relativi stipendi

a cinque zeri.

Partiamo da Gazzabin, soprannominato “il messicano”

per via dei baffoni neri. Sta con Zaia da oltre 15 anni.

Prima direttore generale della provincia di Treviso, poi

responsabile della segreteria del ministero

dell’Agricoltura a Roma, dal 2010 a oggi capo di

gabinetto del presidente della Regione. L’esposto che

lo riguarda sostiene che Zaia gli abbia dato un posto da

dirigente anche se lui non ne avrebbe avuto diritto. Una

tesi pericolosa per le tasche del governatore. Perché se

alla ine la Corte dei Conti dovesse condividerla, il

danno erariale sarebbe ripagato interamente da Zaia.

La legge italiana stabilisce che per diventare dirigente

pubblico è necessaria la laurea, mentre Gazzabin ha

solo un diploma da perito tecnico. Di fronte alle critiche

ti movimenti sovranisti nostrani. Ha accompagnato personal-mente Salvini a Mosca in almeno un’occasione. Ha organizzato viaggi in Russia e manifestazioni pro-Putin in Italia a cui ha partecipato Forza Nuova. Ha collaborato con l’associazione Lombardia-Russia. È stata tra gli animatori di Sovranità, l’asso-ciazione di Casa Pound nata un paio d’anni fa per appoggiare Matteo premier. Un sostegno talmente spudorato da aver por-tato la tv ucraina Ictv a deinirla un’agente del Cremlino in Italia, accusa che lei ha bollato come «fantasiosa».

Russi a parte, qualche canale di inanziamento Salvini se l’è aperto anche in patria. Il capo della Lega spera di poter conta-re ancora su storici sostenitori del Carroccio come la Pata, che produce le omonime patatine, o Carbotermo, specializzata in centrali termiche e caldaie. Aziende che in passato, ai tempi di Umberto Bossi, hanno staccato assegni da decine di migliaia di euro per il partito. Di certo Matteo potrà contare sul soste-gno di amici storici. Gente che gli deve molto. In prima ila c’è Luca Morisi, l’uomo scelto per curare il proilo social di Matteo. Da quando è diventato il guru della rete leghista, Morisi ha visto esplodere i suoi afari personali. Non tanto per i lavori svolti per conto del partito, quanto per le commesse pubbliche inanellate. Con la sua Sistemaintranet, controllata con il socio Andrea Paganella e specializzata in sistemi informatici, Mori-si ha infatti ottenuto parecchi appalti dalle Asl lombarde. Forniture assegnate spesso senza gara, perché d’importo infe-riore ai 40mila euro, grazie all’avallo di direttori generali no-minati con l’appoggio dalla Lega. Il risultato è che la società di Morisi dal 2009 al 2016 ha ricevuto in totale dalle Asl contrat-ti per oltre 1 milione di euro.

Gli afari vanno alla grande anche per altri fedelissimi di Salvini: Fabrizio Cecchetti, vice presidente del consiglio re-gionale lombardo, ed Eugenio Zoili, responsabile della sua segreteria. Legati al “capitano” in dai primi anni della mili-tanza, ora candidati al Parlamento nazionale, i due condivi-dono un’altra passione: il cibo. Insieme alla ex compagna di

Che granagli Zaia boys

Salvini, Giulia Martinelli, e a Gian Marco Senna, unico vero imprenditore della compagine (in lizza per la Lega come ca-polista al consiglio regionale lombardo), Cecchetti e Zoili da qualche anno sono diventati azionisti di una serie di ristoran-ti a Milano e Como. Una quindicina in tutto, con un fatturato complessivo di quasi 7 milioni di euro nel 2016. Si va dalla storica Trattoria La Pesa alla catena di hamburgherie Fatto Bene, dal ristorante di pesce Bianca alla cucina fusion italo-ci-nese di Ghe Sem. Locali alla moda, nella multiculturale Mila-no. Con tanto di cuochi e camerieri stranieri, alla faccia del “prima gli italiani”. Ma gli afari sono afari, e non c’è spazio per la coerenza. Soprattutto adesso che la campagna elettora-le incombe e Matteo è alla disperata caccia di “danè”. Q

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vi finanziame nti è proseguita in patria. Ed ecco

van o avuto appalti dalle Asl lombarde

sollevate dalla stampa locale, gli uomini del governatore hanno ricordato che esiste una norma regionale, approvata proprio durante la sua presidenza, che permette di conferire incarichi dirigenziali indipendentemente dal possesso della laurea. La difesa sembra però incongruente con quanto sostenuto in passato dalla Corte. Proprio sul punto della laurea, i magistrati contabili hanno infatti evidenziato il contrasto tra la legge nazionale e quella applicata in Veneto. Si legge per esempio nella relazione presentata in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2016, irmata dal procuratore regionale Carmine Scarano: «Il sistema normativo relativo al personale, così congegnato, porta ad una pressoché assoluta discrezionalità nell’attribuzione del ruolo di dirigente». Scarano si riferiva ad alcune persone che, pur senza i requisiti richiesti, sono stati nominati dirigenti dell’Ater, l’ente locale che gestisce le case popolari. Nessun riferimento esplicito a Gazzabin, la cui situazione pare però molto simile. Come d’altronde quella di Mantoan, direttore generale della sanità veneta. È in carica dal 2010 e come Gazzabin è stato scelto senza concorso. Mantoan è laureato in Medicina, ha un curriculum di tutto rispetto. L’esposto inviato alla Corte dei Conti evidenzia però un’altra pecca: il mancato svolgimento di funzioni dirigenziali prima di diventare il numero uno della sanità. Una mancanza che, se accertata, potrebbe costare a lui il posto da dirigente. E a Zaia parecchi “sghei”, visto che Mantoan da anni decide come spendere milioni di euro pubblici. In realtà un passato da dirigente

esiste nel curriculum del ras della sanità veneta. Risale alle metà degli anni ‘80, quando il medico non aveva ancora 30 anni. Mantoan ha dichiarato di aver svolto allora la funzione di dirigente del servizio sanitario prima per l’esercito e poi per i carabinieri. In attesa di conoscere il parere dei magistrati, c’è un’altra questione che preoccupa il fedelissimo di Zaia. È una storia tragica: un incidente avvenuto nel settembre del 2016, in cui ha perso la vita un uomo di 71 anni. Cesare Tiveron viaggiava sul suo scooter, stava superando una ila di macchine quando è andato a sbattere contro l’auto blu del ras della sanità veneta. Il problema è che la vettura che trasportava Mantoan stava effettuando una manovra vietata. Un bel problema per il suo autista, che con il nuovo reato di omicidio stradale rischia grosso. La situazione inizialmente sembrava volgere a favore

di Mantoan. Il perito scelto dal tribunale di Padova, il medico legale Massimo Montisci, aveva infatti collegato il decesso di Tiveron a un infarto che lo aveva colpito un attimo prima dell’incidente. Tutto chiaro? Non proprio. Vieri Tolomei, l’avvocato della vittima, ha infatti presentato un’istanza di revoca del perito. «Altri tre consulenti che hanno analizzato l’incidente, compreso quello scelto dallo stesso tribunale per deinire la dinamica della collisione, di fatto smentiscono la conclusione di Montisci», riassume il legale. Non solo. Tolomei evidenzia anche un conlitto d’interesse tra Mantoan e Montisci. Quest’ultimo lavora infatti per l’ospedale di Padova. Che dipende proprio dal direttore generale della sanità veneta. S.V.

Luca Zaia

governatore del Veneto

Foto

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28 11 febbraio 2018 L’Espresso

PRIMA PAGINA Il lato oscuro del Carroccio

Gattopardo Matteo

Giuseppe ScopellitiPina Castiello e Vincenzo Nespoli

Alessandro Pagano

Trasformisti, ex dc, fascisti, impresent

Ecco la rete del conse

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Se hanno preferito gli uomini di Lombar-do e Cuffaro lasciando fuori noi mi hanno fatto un favore... Così parlò Mat-teo Salvini, detto il Capitano, all’indo-mani della presentazione del governo siciliano di Nello Musumeci. Il neo governatore ha lasciato ai margini della giunta il deputato di Salvini. Il leader della Lega si aspettava quantomeno un assessorato per celebrare il risultato storico ottenuto in Sicilia che ha consa-

crato la vocazione nazionale del partito di Salvini. Tutta-via, il capo del Carroccio - nella sua stizzita analisi - omet-te di rivelare il proilo del primo leghista della storia a palazzo dei Normanni: è un riciclato e per di più indaga-to per appropriazione indebita. Si chiama Tony Rizzotto, 65 anni, chioma folta e improbabile, fan di Mimmo Ca-vallaro autore della hit anni ‘80 “Siamo meridionali” e dipendente pubblico del comune. Si è fatto le ossa con l’ex governatore Totò Cufaro condannato per favoreggia-mento alla maia. Il salto di qualità, però, avviene da de-putato all’Ars col Movimento per l’autonomia di Rafaele Lombardo, il successore di Cufaro anch’egli inito nei guai ma per voto di scambio.

Il Carroccio nazional-popolare è una salsa fatta in casa, come nelle migliori tradizioni meridionali, mistura di democristiani, estrema destra e igure equivoche. Fascio-leghismocrociato, una truppa organizzata da Matteo Salvini per conquistare un pezzo d’Italia che ino a ieri era a lui pressocché sconosciuto. Da Andreotti ad Almirante, ipotetico pantheon ideale.

Il regista del casting della classe dirigente della Lega del Sud è Rafaele Volpi, scelto da Salvini. La selezioni sembra aver seguito tre rigide regole: godere di uno spiccato ca-risma clientelare, possedere uno spirito politico camale-

ontico, essere il referente di un blocco elettorale traman-dato di padre in iglio, a prescindere dalla sigla del partito.

Quel palazzo nel centro di RomaUn palazzo signorile al centro di Roma. In uno dei quar-tieri dell’upper class della Capitale. In via Federico Cesi, a due passi dal Lungotevere, c’è l’incarnazione dello spo-salizio tra democristiani e leghisti. Qui al secondo piano si trova la sede uiciale di “Noi con Salvini”. Almeno questo dicono gli atti uiciali. «In realtà da quattro mesi, si sono traferiti per le regionali siciliane», precisa il por-tiere dello stabile. Una sede fantasma, quindi? Un docu-mento svela l’arcano. Gli appartamenti al secondo piano sono divisi tra la famiglia Attaguile. E la sezione si trova proprio in quello di proprietà di Angelo Attaguile. Segre-tario nazionale di Noi con Salvini, coordinatore del mo-vimento in Sicilia, e candidato al Senato con la Lega, Attaguile è stato esponente di punta della Dc, poi del Movimento per l’autonomia di Rafele Lombardo, presi-dente dell’istituto case popolari e del Catania calcio, as-solto dalla corte d’appello di Messina per una tentata concussione. Con Lombardo sono compaesani, entrambi del paesone di Grammichele, feudo elettorale del primo e ancor prima del padre di Angelo Attaguile, Gioacchino, che dell’ex governatore è stato padrino politico. Eh sì, l’esponente della Lega di Sicilia si porta dietro una glo-riosa eredità politica: il babbo è stato tre volte senatore Dc, sottosegretario alle Finanze nei governi Rumor e Colombo, inine ministro della Marina Mercantile. An-gelo ha dato il massimo per non tradire la storia politica di famiglia. Da ragazzo è stato presidente dei giovani democristiani, nel 2005 Giuseppe Pizza lo nomina suo vice nella nuova Dc. Poi milita con gli autonomisti e nel 2013 viene eletto alla Camera grazie a un posto F

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: A. C

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fascisti, impresentabili, ras delle clientele.

nso in Campania, Calabria e Sicilia

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30 11 febbraio 2018 L’Espresso

PRIMA PAGINA Il lato oscuro del Carroccio

sicuro in quota Lombardo nelle ila del Pdl, due setti-mane dopo migra nel gruppo Lega Nord-Autonomie.

Un sostegno indispensabile che ha permesso all’ aggrega-zione paralamentare di avere il numero necessario per sopravvivere. Lunga vita ad Attaguile, dunque, che due anni dopo verrà incoronato segretario nazionale di Noi con Salvini, embrione del Carroccio nazionale. Il movi-mento entra così all’interno di Montecitorio e alla sigla Lega Nord-Autonomie si aggiunge Noi con Salvini, che da allora ha iniziato a usufruire della quota dei rimborsi ai gruppi: quasi 1,8 milioni negli ultimi due anni, a cui si è aggiunto un cotributo liberale di 500mila euro dal gruppo Lega Nord Padania, in auge nella legislatura precedente

dei governi Berlusconi e Monti. Che sia questione anche di afari la liason con gli autonomisti siciliani è evidente dal sostegno economico ricevuto da questi ultimi negli anni passati: circa un 1,4 milioni ino al 2010. Sebbene Attaguile sia un recente acquisto di Salvini, con i leghisti c’è sempre stata un’intesa. Lo scopriamo tornando in via Cesi. Tra il ‘93 e il ‘99 la proprietà dello stesso appartamento era suddivisa tra Attaguile e Michele Baldassi di Udine, leghista, manager in aziende pubbliche in quota Carroccio e sposato con Fe-derica Seganti, pezzo grosso del partito friulano, ex asses-sora regionale, alla cui campagna elettorale è cresciuto un giovanissimo Massimiliano Fedriga, astro nascente della Lega versione Salvini. Un leghista e un democristiano a Roma. Negli anni in cui si raccoglievano le macerie della prima Repubblica, con il partito di Bossi che si scagliava contro le clientele della Dc e i tangentari di Mani pulite, per non parlare dei meridionali. Tuttavia Baldassi per pochi mesi nel periodo di comproprietà ha ottenuto anche un incarico nell’Ast, la società del trasporto pubblico della Regione Sicilia. Uscito Baldassi dalla proprietà, mai Atta-guile avrebbe immaginato che 16 anni più tardi in quel di via Cesi avrebbe riabbracciato altri leghisti.

Il Drago e Il PadanoAttaguile non è il solo, con un papà potente Dc, a salire sul Carroccio di Salvini. Filippo Drago sindaco di Aci Castello l’ha seguito. Udc, Noi Sud, Pdl, Mpa, e inine candidato numero due per la Lega in uno dei collegi plurinominale del Catanese. Suo padre, Nino Drago è stato otto volte sottose-gretario oltreché sindaco di Catania. Un fuoriclasse del consenso, andreottiano, all’epoca di Salvo Lima. Uscito indenne da un’inchiesta. Come il suo erede, Filippo, assolto per la voragine di bilancio lasciata nelle casse del comune di Catania dalla giunta Scapagnini. «Nun semu tutti i stissi».

Non siamo tutti gli stessi, slogan che nel 2008 ha reso ce-lebre il rampollo di Nino.

Nel club dei Salvini boys della Trinacria si è iscritto anche Alessandro Pagano da San Cataldo, provincia di Caltanissetta. Berlusconiano della prima ora, assiduo pellegrino a Medjugori, fedele ultratradizionalista della congrega Alleanza cattolica. Il primo incarico di rilievo è del ‘96, assessore alla Sanità nel governo regionale del chiacchierato Giuseppe Provenzano. Quattro anni più tardi si alternerà tra Finanza e Beni Culturali nella prima giunta Cufaro. Nel 2013 da deputato Pdl transita con Angelino Alfano nel Nuovo centro destra, da cui di-vorzia per giurare amore eterno alla Lega-Noi con

Lo sappiamo: gli equilibri del

dopo-voto sono imprevedibili,

nessuno dei poli sembra a

oggi in grado di aggregare una

maggioranza di seggi nel

prossimo Parlamento. E molto

dipende da chi vincerà

collegio per collegio. Un primo

nucleo di collegi da guardare

con attenzione è quello

in cui, secondo l’algoritmo

che Quorum/YouTrend

ha sviluppato per

Rosatellum.info, a giocarsela

dovrebbero essere Pd e M5S.

Dal risultato in queste aree

discenderanno le possibilità

di un governo a larghe intese

dopo il voto.

I collegi-chiave in cui la sida è

tra centrosinistra e M5S

attraversano il Paese da Nord

a Sud, dal Piemonte alla

Puglia passando per Emilia

Romagna, Marche e Lazio.

Ci sono collegi metropolitani

come Torino 4, che è il seggio

di Miraiori (lì Bersani cinque

anni fa vinse sul M5S di 9

punti) e Roma 6, quello

del Tuscolano (dove il

centrosinistra vinse di 8).

C’è poi quasi tutta la fascia

adriatica che va da Rimini,

dove l’alfaniano Sergio

Pizzolante se la vedrà con la

deputata del M5S Giulia Sarti,

ino ad Ancona.

Numerosi sono i collegi in cui

la sida è tra il M5S e il

centrodestra, e dove quindi si

gioca la battaglia del governo

per la coalizione di Berlusconi

a Salvini. Di questi 63 seggi,

tra Camera e Senato, ben 52

si trovano nel Centro-Sud.

Nell’Italia centromeridionale

si determineranno insomma

le possibilità di una

maggioranza di centrodestra

nel prossimo Parlamento.

A quanto risulta dalle nostre

proiezioni, la sida fra

centrodestra e Cinque Stelle

è serratissima in Sicilia

(nei collegi di Palermo alla

Spuntano gli eredi

Comprese le famiglie ch

Collegi decisividi Lorenzo Pregliasco*

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L’Espresso 11 febbraio 2018 31

Camera, ma anche a Catania e Marsala al Senato). Lo stesso si può dire dell’Abruzzo, che già nel 2013 vide i due schieramenti vicinissimi, e di un buon numero di collegi intorno a Napoli, fra cui uno in particolare, dal grande valore simbolico. È il collegio di Acerra, quello dove si trova Pomigliano d’Arco e dove il centrodestra schiera Vittorio Sgarbi contro il candidato premier Luigi Di Maio. Nel 2013 nei comuni oggi ricompresi in quel collegio, secondo le stime di YouTrend coordinate da Matteo Cavallaro, il centrodestra superò il M5S di oltre 10 punti, 34,8 per cento a 24,3. Alle europee dell’anno dopo, il Movimento non è andato oltre il 26,8, perdendo in termini assoluti quasi seimila voti. Così, anche se il centrodestra non dovesse arrivare alla maggioranza assoluta, potrebbe comunque lasciare sul campo una vittima eccellente... * www.youTrend.it

i del vecchio potere scudocrociato.

e stavano con Andreotti a Catania

TORINO 4 Vantaggio Csx in vantaggio su M5S

ANCONA Vantaggio Csx in vantaggio su M5S

RIMINI Vantaggio M5S in vantaggio su Csx

ROMA TUSCOLANO VantaggioM5S in vantaggio su Csx

ACERRA IncertoCdx in vantaggio su M5S

CATANIA Incerto M5S in vantaggio su Cdx

M5S

Csx

Cdx

Incerto

Vantaggio

Sicuro

Fonte: simulazioni Quorum/YouTrend per Reti da Rosatellum.info

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32 11 febbraio 2018 L’Espresso

Salvini. E da quel momento per i nisseni Pagano diven-ta “Il Padano”. Lo ha seguito il cugino, dipendente del

centro di accoglienza per migranti. Chi è rimasto fuori, ma lo sosterrà, sono il cognato, Raimondo Torregrossa, in passato sindaco di San Cataldo, e la cognata Angela Maria Torregrossa, amministratrice della rinomata clinica Regi-na Pacis, convenzionata con la Regione. Torregrossa fa il suo ingresso nella struttura sanitaria di San Cataldo nel periodo in cui Pagano guidava la Sanità. Il cognato, invece, è stato primo cittadino di San Cataldo quando lui era de-putato all’assemblea regionale. Poi, quando Pagano va Montecitorio, Torregrossa va a palazzo dei Normanni. I maligni hanno deinito questa alternanza sancataldese

“Operazione Montante”, perché voluta da Antonello Mon-tante, l’imprenditore, cavaliere del lavoro, ino a un anno fa capo degli industriali sicialiani e sotto indagine per concorso esterno in associazione maiosa. Montante come Pagano è di San Cataldo, ino al 2009 i rapporti erano ot-timi. Poi tra i due è sceso il gelo.

Ombre nere sullo Stretto

Superato lo Stretto, da Reggio Calabria in su, i Salvini boys non hanno nulla a che spartire con la tradizione democri-stiana. Qui prevale il nero degli eredi politici del Movi-mento sociale. Giuseppe Scopelliti, per esempio, sosterrà

PRIMA PAGINA Il lato oscuro del Carroccio

Gianni Tonelli non è solo il

sindacalista-poliziotto candidato

di Salvini in Emilia che promette di

«portere la polizia in Parlamento».

La sorpresa è che anche un

imprenditore, almeno così risulta dal

registro delle imprese della Romania,

dove è registrata dal 2008 la

Immobiliara Gianni Tonelli Srl. «Sì

è la mia», conferma all’Espresso il

segretario del Sindacato autonomo

polizia, meglio noto con l’acronomo

Sap. Tuttavia giura di non averci mai

fatto affari. «Ho deciso di avviare

quell’attività in un momento di

sconforto qui in Italia e mi sono preso

un anno sabatico». La società è

ancora registrata, e persino la

brochure del 2014 di Conindustria

italiana in Romania la inserisce tra le

aziende associate. «Non ho avuto né

la voglia né il tempo di andare lì a

chiuderla». Eppure Tonelli, 55 anni e

romagnolo, con l’immobiliare era a un

passo dal concludere un bel colpo:

cinque palazzine da due piani da

realizzare in via Cehov 68 a

Timisoara. L’istruttoria era andata

avanti ino alla presentazione del

piano alla commissione tecnica, con

tanto di progetto prelimiare irmato

nel 2009. Ma poi qualcosa si è

inceppato, perché non c’è traccia

della decisione del consiglio

comunale che avrebbe dovuto

approvare il progetto deinitivo.

C’è una domanda però a cui,

probabilmente, Tonelli dovrà

rispondere. Il ministero dell’Interno

da cui dipende sapeva della sua

seconda attività? Se la risposta è

affermativa allora non c’è alcun

problema perché vorrà dire che

rientra, come prevede la norma, nei

casi previsti da disposizioni speciali,

al contrario incapperebbe nel divieto

delle medesima legge, articolo 50,

che vieta «espressamente agli

appartenenti ai ruoli della polizia

di stato e dell’esercito l’esercizio

di attività professionali, commerciali,

industriali...».

Sicuramente Tonelli sarà in grado

di chiarire. Così come ha spiegato

all’Espresso la questione dei rimborsi

spese ricevuti nel 2016. Risulta

infatti dalla documentazione del Sap

una cifra che oscilla tra i 3 e i 4 mila

euro al mese. «Certo, ma sono soldi

che ho anticipato io per svolgere

la mia funzione di sindacalista, le

assicuro che il mio sindacato ha i

conti in regola, a differenza di altri.

E se è vero che spediamo di più è

perché lavoriamo il triplo. Badi bene,

viaggio con un auto del 1999 che ha

700 mila chilometri e il mio conto

corrente non è affatto più ricco». E

anche quando gli facciamo notare che

alcune delle date indicate sulla lista

dei rimborsi concidono con le sue

presenza a meeting della Lega Nord,

non nega, anzi: «Sono stato presente

a moltissimi incontri, anche con i 5

Stelle e Fratelli d’Italia, ero invitato

come segretario del Sap per parlare

dei problemi della polizia».

Sarà. Intanto nel 2017 il Sap ha

perso iscritti in percentuale maggiore

rispetto agli altri: le disdette sono

state 3.502. «Vero, ma alla ine il

saldo con i nuovi iscritti è quello che

conta e poi noi del Sap abbiamo

avuto il coraggio di fare pulizia»,

si difende Tonelli, che nonostante

la candidatura resta segretario del

sindacato poliziotti ino al 4 marzo,

Lo sceriffo vende case in Romania

A Reggio la rete è composta da e

Regista delle candidature:

Page 13: Ecco chi c'è dietro Matteo Salvini | L'Espresso, 11.02.2018

L’Espresso 11 febbraio 2018 33

ex cacicchi del Movimento sociale.

: il condannato Giuseppe Scopelliti

Salvini con il suo nuovo Movimento nazionale per la so-vranità fondato insieme a Gianni Alemanno, sotto proces-so per inanziamento illecito in un ilone scaturito da Maia Capitale. Scopelliti non si candiderà, per non crea-re imbarazzo al Capitano. Ha una condanna in appello a cinque anni per abuso e falso per la vicenda del dissesto milionario del municipio che governava. E poi è in attesa di capire l’evoluzione di un’inchiesta dell’antimaia sul li-velo occulto della ‘ndrangheta, in cui è indagato. Ma l’ex governatore e già sindaco di Reggio lavorerà dietro le quinte, metterà, cioè, a disposizione il suo blocco eletto-rale mobile che fa gola a molti. A Salvini quei voti sicuri fanno comodo. Dal canto suo Scopelliti non rinuncia certo a piazzare sue pedine nelle liste. Una su tutte: Tilde Minasi, fedelissima in dalla prima giunta comunale.

Dalla destra sociale proviene anche il segretario sezione calabrese della Lega-Noi con Salvini. Si chiama Domenico Furgiuele, un passato nella Destra di Storace, e, ora, can-didato alla Camera. Di mestiere fa il geometra, a tempo perso lavora nella tv locale di famiglia. Le sue passioni, il calcio e la storia. Quando era un ultras del Sambiase ha collezionato un Daspo, che la Questura aibbia solo ai tifosi più agitati. Sulla storia recente ha le sue idee. Ritiene, per esempio, il neofascista Stefano Delle Chiaie, fondato-re della fuorilegge Avanguardia nazionale, «più una vitti-ma che un carneice». E su questo sarà in sintonia con Scopelliti, visto che Delle Chiaie - un legame fraterno con la frangia più torbida della Calabria - è stato protagonista del fronte nero nei moti di Reggio negli anni Settanta.

Una delle prime apparizioni di Matteo Salvini in Cala-bria è del 2015, quando insieme a Furgiuele hanno orga-nizzato una conferenza stampa all’Aerhotel Phelipe, di proprietà della famiglia dell’imprenditore Salvatore Maz-zei, suocero di Furgiuele. Il parente del candidato di Salvini a Lamezia ha i beni sotto sequestro dall’anti-

poi dovrà dimettersi. Prontissimo a varcare il portone di Montecitorio. O forse quello del Viminale? «No ma quale ministero, scherza? Io non ho chiesto niente a nessuno, sono quei per difendere i miei colleghi da ineficienze e umiliazioni. Non dimentico da dove vengo». In realtà Tonelli il poliziotto operativo l’ha fatto per poco. Ha iniziato a militare nel Sap a Bologna: quando delagrava il caso della Uno Bianca, era già un sindacalista impegnato. Noto per le sue posizioni oltranziste, ordine e disciplina, ha recuperato le forze dopo un lungo sciopero della fame per protestare contro l’apertura di un procedimento disciplinare nei suoi confronti. Per il sindacalista era un attacco alle sue battaglie, i poteri forti che lo volevano zittire. Di Tonelli si ricordano anche le dichiarazioni sui casi Aldrovandi e Cucchi. Dalla parte dei poliziotti che hanno applaudito i colleghi condannati per il pestaggio del ragazzo di Ferrara. E per salvare l’onore della divisa, di Cucchi disse che «se uno ha disprezzo per la propria salute, se conduce una vita dissoluta,ne paga le conseguenze». Ordine e disciplina, appunto. G.T.

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34 11 febbraio 2018 L’Espresso

PRIMA PAGINA Il lato oscuro del Carroccio

maia. Lui rigetta ogni accusa, sostiene di essere una vittima, forte anche di un assoluzione da un processo

per concorso esterno. Di certo, però, Mazzei è sfortunato nella scelta dei partner: un suo vecchio socio, imprendi-tore delle sale bingo, è stato pizzicato di recente dalla guardia di inanza di Lamezia per una presunta bancarot-ta fraudolenta. Dettagli per Furgiuele, iero di aver porta-to la Calabria a Pontida, incluso il gazebo con l’insegna della regione. Così tra un “Va, pensiero”, vichinghi in delirio e mutande verdi, ha ormai quasi cancellato dalla memoria quel passaggio di un informativa della polizia in cui viene tirato in ballo per aver oferto alle persone sba-gliate due stanze dell’hotel di famiglia, lo stesso in cui

Salvini è stato ospite tre anni fa. I detective che indagava-no su un caso di omicidio del 2012, infatti, scoprono che i sicari dopo la spedizione hanno alloggiato nel quattro stelle senza pagare alcunché. «Erano ospiti del signor Domenico Furgiuele, genero del signor Mazzei, proprie-tario dell’Hotel», si legge nel documento. L’episodio non ha avuto alcun rilievo penale, Furgiuele non poteva im-maginare che quelli fossero gli autori del grave delitto. Si era idato di un amico, a sua insaputa coinvolto con quel-la gentaglia. Una storiaccia, insomma, da dimenticare. Furgiuele, ora, è concentrato sulla campagna elettorale. Nella sede leghista di Lamezia campeggia un celebre motto di Codreanu: «Per noi non esiste sconitta o capi-tolazione..». Il fascista rumeno, per i camerati d’Europa semplicemente “Il Capitano”.

Lo chiamavano ‘o Criminale

Tra Napoli e Caserta nessuna nostalgia del passato. Si vive alla giornata, elezione dopo elezione. E qui il Capitano Salvini ha ben altri pensieri. Primo fra tutti l’ingombrante presenza di Vincenzo Nespoli nella composizione delle liste della Lega in Campania. Nespoli è stato tre volte de-putato, sindaco della sua città, Afragola, e condananto in secondo grado a cinque anni per bancarotta fraudolenta. Seppur nell’ombra, come Scopelliti in Calabria, anche lui ofre la merce migliore che ha disposizione, i voti. Sporchi, volendo dar credito a un pentito di camorra nuovo di zec-ca: «È amico intimo della famiglia Moccia... quando è stato al potere al Comune, là erano tutti schiavi... è un SS, lo chiamano o’ Criminale». Nespoli, quindi, meglio che resti dietro le quinte, in attesa. Palco libero per la front woman di Salvini in Campania, Pina Castiello, anche lei di Afragola e legata a Nespoli da militanza comune e da so-lida amicizia. Inizia in Alleanza nazionale, poi passa al Pdl,

casa politica in cui ha stretto un solido rapporto sia con Nicola Cosentino che con la famiglia Cesaro, due saghe politiche inquinate dai clan.

Ma di Afragola è anche un altro candidato pro Salvini. Ciro Salzano, imprenditore, patron dell’ Aias, l’associazio-ne per la cura dei disabili. Non c’è che dire, tornata eletto-rale fortunata per Afragola. Con l’Aias del neoleghista Salzano ha collaborato il medico no vax radicale Massimo Montinari, sospeso per sei mesi dall’Ordine dei Medici. Non è nota la posizione di Salzano sui vaccini, mentre quella di Salvini sì: «Con noi al governo via l’obbligo». Chissà, magari è stata questa la molla che ha spinto Salza-no a correre con il Capitano.

Salvini alle pendici del Vesuvio. Alla ine, quindi, quel “Napoli colera”, urlato a squarciagola, era solo una goliar-data da tifoso. Il presente è un selie con il fuoriclasse az-zurro Lorenzo Insigne. Insomma, i tempi sono ormai ma-turi per issare lo stemma di Alberto da Giussano nella ca-pitale del Regno delle due Sicilie. Il segretario regionale campano è Gianluca Cantalamessa. Napoletano e candida-to alla Camera nel collegio uninominale Campania 11. Le simulazioni danno la sua elezione pressoché certa. La Lega è stata per lui un approdo, ma casa sua resta la destra socia-le. E inchè suo padre era ancora in vita guai a parlare di autonomia e secessione. Antonio, il papà, era un nostalgico del Duce, della patria indivisibile. Antonio Cantalamessa, infatti, è stato tra i più importanti esponenti dell’Msi. Il iglio l’ha seguito come meglio ha potuto, per esempio organiz-zando incontri nel ricordo di Almirante. Il giorno del fune-rale del papà dichiarò: «Grazie a mio padre ho capito cosa signiica essere un uomo, che cos’è la destra, che cosa sono i valori». Su questo nessun dubbio. Il 28 aprile 2003 Canta-lamessa senior aveva partecipato a una messa in onore di Mussolini e dei caduti della repubblica sociale italiana. Cinque anni più tardi viene nominato presidente di Equi-talia Polis, l’ agenzia di riscossione che il capo del Carroccio promette di abolire. Il iglio si è limitato a fare l’imprendi-tore, in ambito assicurativo e immobiliare. In passato anche nel settore farmaceutico. Socio, per esempio, ino al 2004 della New.Fa.Dem di Giugliano. Ai tempi in cui Cantala-messa era azionista, tra i consiglieri c’era Valerio Scoppa. Famiglia importante la sua, papà radiologo di fama, zio generale dei carabinieri in pensione legato alla curia, il fratello sposato con la iglia del boss Angelo Nuvoletta, morto nel 2013, mentre stava scontando l’ergasotlo per l’omicidio del cronista del Mattino Giancarlo Siani. Storie passate. Oggi Cantalamessa è un Salvini Boy, impegnato a contrastare l’invasione straniera. Q

L’uomo forte ad Afragola?

Per un pentito è vicino ai clan

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L’Espresso 11 febbraio 2018 35

GLI IMPRENDITORI

DELLA XENOFOBIA L’interrogativo echeggiato tante volte

in questi giorni - Macerata è una città

razzista? - è decisamente fesso.

Intanto perché contiene una tonalità

e una tentazione razzista già

nell’enunciato. Infatti, deinire con

quell’etichetta una città o, tanto più,

una nazione o comunque un gruppo

sociale o una categoria professionale,

è di per sé un’operazione

discriminatoria. E ciò perché assume

un soggetto come un blocco unico e

unitario e, di conseguenza, qualiica

un insieme di individui attraverso un

giudizio generale e generalizzante.

Siamo esattamente alla radice primaria

del razzismo, che opera attraverso

quella sciagurata procedura di

attribuzione a un’intera comunità

(qualunque ne sia la dimensione)

di un tratto proprio di uno o più

elementi. In altre parole, è razzismo

chiamare razzista Macerata o

Abbiategrasso o Alghero o Cosenza,

perché a Macerata, Abbiategrasso,

Alghero, Cosenza - in Italia, in Polonia -

si ritrova un certo numero di razzisti

(magari anche tanti). È elementare, ma

riiutare quello stigma omologante è la

prima operazione di verità da compiere.

La seconda è quella di chiarire come

non sia tutto razzismo quello che può

apparire razzismo. Anche nelle analisi

più soisticate, la categoria di razzismo

viene utilizzata quasi fosse sinonimo di

pregiudizio o di xenofobia, secondo una

sequenza discorsiva in genere casuale:

odio, intolleranza, violenza, xenofobia,

razzismo. E invece, mai come in questo

caso, le parole vanno manovrate con

la massima delicatezza e con la più

callida saggezza. Proprio perché

“razzista” è tutt’ora, nelle società

democratiche, la più pesante

espressione di riprovazione morale,

quel termine va utilizzato con

parsimonia, solo quando è

strettamente motivato. In caso

contrario, lo si banalizza, lo si

depotenzia e, alla resa dei conti, se ne

riduce l’eficacia di interdizione etica.

Peggio: attribuendo con leggerezza

quell’etichetta, si ha l’effetto di

incattivire e radicalizzare nella propria

difidenza chi è mosso prevalentemente

da un senso di inquietudine e da una

condizione di smarrimento verso ciò

che appare ignoto (una folla di stranieri

senza nome e cognome, biograia,

identità). E, allora, va detto che, nella

gran parte dei casi, quando si parla di

razzismo, ci si trova, in realtà, davanti

a fenomeni di xenofobia. Ovvero, alla

lettera, di paura dello straniero. E oggi

è esattamente questo il sentimento

che si va diffondendo all’interno della

nostra società, a Macerata come a

Brescia (si veda l’articolo su questa

città nello scorso numero de

L’Espresso), come in tante altre

periferie italiane. Per un verso, la

xenofobia corrisponde a un’antica

pulsione, che trova le sue radici nei

fondamenti antropologici e psicologici

della personalità; per altro verso, la

xenofobia risente in maniera

sensibilissima dello stato di insicurezza

prodotto dalla crisi economica. È

questo che induce irresistibilmente a

cercare un capro espiatorio sul quale

rovesciare le ansie collettive. Dal

momento che il capro espiatorio

non può essere individuato nel Fondo

Monetario Internazionale o nella Banca

Mondiale o in JP Morgan - soggetti

troppo lontani e, alla lettera

inconoscibili e inafferrabili - la ricerca

del bersaglio tende a ritrarsi. Il nemico

lo si trova lì, a portata di mano e - esso

si - afferrabile: lo straniero. Il quale

sembra riassumere tutte le insidie

dell’insicurezza: anonimato, estraneità

geograica e storica, alterità culturale.

Tutto questo è razzismo? Certamente

no. Tutto questo può dar luogo a forme

di razzismo? Certamente sì. E ciò

accade perché in quella dimensione

di angoscia sociale e di inquietudine

collettiva, in quello spazio di

smarrimento e insicurezza, si gioca una

partita mortale. Lì, inora, la buona

politica non è intervenuta se non

attraverso la retorica della solidarietà e

l’ideologia dei buoni sentimenti. Ma lì,

esattamente lì - ecco il punto - da oltre

un quarto di secolo interviene la cattiva

politica. Quelli che, nei primissimi anni

‘90, deinimmo “gli imprenditori politici

dell’intolleranza”. Leghisti e fascisti,

populisti e razzisti hanno saputo fare

dell’ansia collettiva degli strati più

deboli della popolazione, affaticati

da una convivenza comunque dificile,

una risorsa elettorale. Hanno trasferito

nella sfera politico-istituzionale il

panico morale di tanti cittadini, offrendo

loro risposte ispirate da politiche di

segregazione e discriminazione. Se

qualche decennio fa una frase tante

volte ripetuta, doveva intendersi come

l’omaggio rituale ai principi universali

di uguaglianza (“Non sono razzista”), ai

quali si intendeva derogare (“ma...”),

oggi il suo signiicato risulta diverso.

Oggi, quel “Non sono razzista, ma...”

sembra esprimere, tra l’altro, una sorta

di richiesta di soccorso: aiutatemi a

non diventare razzista. Se questo è

vero, dobbiamo essere consapevoli

della drammaticità della situazione,

dal momento che la xenofobia si va

diffondendo: e, tuttavia, quel passaggio

dalla xenofobia al razzismo, al quale

lavorano alacremente leghisti e fascisti

non è fatale né rapido. Mi sembra

questo il solo, ancorché esile, motivo

di prudentissimo ottimismo. Ma se

la xenofobia non verrà disinnescata,

mediata e disincentivata attraverso

politiche intelligenti e razionali, capaci

di tutelare insieme gli interessi di

residenti e immigrati, sarà inevitabile

che il terrorismo razzista (così va

deinito quanto accaduto a Macerata)

trovi consensi inconfessati e aspiranti

emulatori, tacite adesioni e

“volenterosi carneici”. Q

LUIGI MANCONI

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36 11 febbraio 2018 L’Espresso

PRIMA PAGINA Profondo nord

di Luca Piana e Francesca Sironi

Razza lombardaA

lla fine di gennaio At-tilio Fontana, candida-to leghista alla poltrona di presidente della Re-gione Lombardia, è an-dato a un sit-in di pro-testa al casello di Agra-te Brianza, tangenziale est di Milano. Deciso a

cavalcare la rabbia dei pendolari per l’aumento da 1,7 a 2 euro del pedaggio, ha tuonato contro il governo e promes-so: «Abbatteremo il casello!». Dettaglio non irrilevante: Fontana ha fatto inta di non sapere che la Lombardia è uno dei maggiori azionisti della tangenziale milanese e, di conseguenza, è stata la medesima Regione guidata dal suo pre-decessore, compagno di partito e amico Roberto Maroni, a chiedere gli aumenti poi concessi da Roma.

Poco importa. La campagna elettora-le sta evidenziando anche a livello loca-le una caratteristica decisiva della com-petizione nazionale per il voto del 4 marzo. Lega e Forza Italia gareggiano l’una contro l’altra per allargare il più possibile lo spettro dei sostenitori. Da una parte Matteo Salvini sta trasfor-mando il movimento di natura federali-sta che fu di Umberto Bossi in un parti-to nazionalista, ispirato alla destra fran-cese di Marine Le Pen, anti sistema an-che quando il sistema è rappresentato

dai suoi alleati o addirittura dalla Lega stessa, come mostra il caso di Agrate Brianza. Dall’altra parte Silvio Berlu-sconi recita il ruolo del padre nobile che rassicura tutti, da Roma a Bruxelles, sul fatto che il giovane compagno di corda-ta elettorale non spaccherà i fragili equi-libri su cui si regge l’Italia.

Strategie, o contraddizioni, che in Lombardia convivono nello stesso frontman Fontana. L’ex sindaco di Vare-se, 65 anni, avvocato benestante che in città amava girare in Porsche, conosciu-to da chi ci ha lavorato per la capacità di entrare nel merito dei problemi e di mediare fra esigenze diverse, ha accan-tonato la sua immagine di moderato, per sfoderare toni salviniani e inseguire gli umori più neri dell’elettorato.

Prima l’uscita sulla «razza bianca» che rischierebbe l’estinzione, poi il pic-chetto in tangenziale, inine la promessa di cacciare dalla Lombardia centomila

clandestini, fatta in anticipo rispetto alla gara al rialzo che si è scatenata dopo la tentata strage razzista di Macerata. Sulla quale, va detto, ha preferito rispol-verare il Fontana pacato: «Chi spara ha sempre torto», ha afermato, sostenen-do che se necessario parteciperebbe a una manifestazione anti-xenofoba.

Eppure, a ben vedere, la campagna per il voto nasconde una questione che va oltre gli slogan elettorali e che, per il dopo-voto, apre interrogativi che ri-guardano l’Italia intera e la Lombardia in particolare. Una questione che reste-rebbe scottante anche se Berlusconi e Salvini si ritrovassero in testa la notte del 4 marzo e, a Milano e in Lombardia, Fontana rispettasse le previsioni scon-iggendo il principale sidante, Giorgio Gori, che in questi mesi ha lavorato per insinuarsi nei feudi elettorali del rivale. Il punto è: inneggiare alla “razza bianca” rischia di spaccare il blocco

Forza Italia e Lega in lotta

a colpi di slogan estremisti.

Perché qui si gioca

la leadership della destra

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38 11 febbraio 2018 L’Espresso

sociale che si riconosceva, piutto-sto, nella “razza lumbard”? Se c’è un

luogo dove in questi anni Forza Italia e la Lega sono apparsi più complementa-ri che altrove, questo è infatti la Lom-bardia. Ai tempi in cui facevano asse con successo, Berlusconi e Bossi riuscivano a rappresentare una porzione della so-cietà tanto ampia quanto variegata. Si parlava di forza-leghismo, e in Lombar-dia non era un modo di dire, perché la comunanza degli obiettivi fra i due lea-der coglieva le pulsioni della maggioran-za dei cittadini. Oggi, invece, le diver-genze tra Berlusconi e Salvini iniscono sotto gli occhi di chiunque, sull’Europa, il Jobs Act, le pensioni, gli uomini su cui puntare per il futuro governo.

FONTANA E LA CASALINGA

Certo, i punti comuni restano tanti. È su questi che vari osservatori si dicono convinti che la compattezza conservata dallo schieramento anche nei momenti diicili non si sfalderà, ora che il succes-so è a portata di mano. «Per i piccoli imprenditori Berlusconi è un vincente», sostiene Enrico Radice, titolare del mo-bilificio Radice Casa, portavoce del “Centro per la promozione della Brian-za” di Cabiate, cittadina che vanta il più alto tasso di partite Iva per abitante d’Italia. «I brianzoli hanno Villa Gernet-to nell’immaginario», spiega Radice, evocando la dimora settecentesca di Berlusconi, con 35 ettari di bosco e giar-dini terrazzati sulla valle del Lambro.

Radice esibisce l’orgoglio di chi si è fatto da solo, prima garzone di bottega, poi operaio, inine artigiano, e non but-ta via nulla della storia recente del cen-trodestra lombardo. Che cosa pensa di Formigoni, il potente ciellino travolto dallo scandalo dei regali milionari rice-vuti dagli imprenditori della sanità? «Per noi è stato positivo. Ha incentivato gli insediamenti produttivi, dato spazio ai piccoli, riconosciuto la voglia di fare». Il periodo di Maroni, la cui giunta è stata pure falcidiata dalle inchieste giu-diziarie? «Lo abbiamo vissuto bene», conferma l’artigiano brianzolo. E le au-tostrade in cui la Lombardia ha riversa-to iumi di denaro pubblico, la Brebemi dai pedaggi cari come il fuoco e la Pede-montana, giunta a un passo dal falli-mento? Nessun dubbio: «Maroni è stato

bravo, lui ci ha creduto, sono le banche ad aver tradito. Ma quell’autostrada ci serve: dal mio capannone ogni mattina guardo con malinconia la rotonda per entrare sulla superstrada Milano-Me-da, sempre ingolfata di traico».

Più a est, a Bergamo, anche Paolo Agnelli dice di nutrire pochi dubbi su chi avrà maggiori consensi tra i piccoli im-prenditori, almeno per il voto nazionale: «Direi più Salvini che Berlusconi. Tanti gli riconoscono di essere stato il primo a tornare a parlare di dazi, quando nes-suno aveva il coraggio di farlo». La storia di Agnelli è tutt’altro che banale. Pro-prietario con la famiglia di un’azienda che produce alluminio, la Agnelli Indu-stries, ha 300 dipendenti e esporta in tutto il mondo. Nel 2012 ha fondato Conimi, un’associazione che raccoglie 28 mila imprese manifatturiere. L’ambi-zione era - e resta - dar voce agli indu-striali, soprattutto piccoli e medi, che nelle scelte di governo e Conindustria rischiano sempre di restare stritolati dagli interessi dei grandi gruppi, com-presi quelli controllati dallo Stato.

L’autunno scorso ha pubblicato un libro a due voci con Matteo Richetti, deputato del Pd, dal titolo “Piccole per modo di dire” (Lupetti editore), che suona come un atto d’accusa nei con-fronti di chi - imprenditori, governi, banchieri - non ha saputo difendere il sistema delle piccole fabbriche su cui si fonda l’industria nazionale, messo al tappeto dalla globalizzazione. Da que-ste posizioni, la sensazione di Agnelli che i cavalli di battaglia liberati dal cen-trodestra nella campagna elettorale, come la lat-tax, e dalla Lega, come i dazi, possano far presa fra i piccoli im-prenditori. Anche se, dopo il voto, è davvero diicile prevedere che quelle promesse possano diventare realtà.

Per comprendere il motivo per cui le contraddizioni fra Berlusconi e Salvini

non abbiano per ora scalito il loro vantag-gio nei sondaggi, si può partire dalle cartine ri-portate a pagina 37. «Lega e Forza Italia in Lombardia sono forte-mente complementa-ri», spiega Marco Val-bruzzi, il ricercatore dell’Istituto Cattaneo di Bologna che ha ela-borato i dati. I due par-titi si completano geo-graficamente, con la Lega dominante nelle valli e Forza Italia in pianura, ma anche so-cialmente. Sommando alla base leghista di pic-coli imprenditori, par-tite Iva e commercianti quella forzista dei grandi industriali, diri-genti e avvocati, si ri-empie quasi l’intero arco professionale. Lo spazio per competere contro questo monolite verde-azzurro si fa così molto stretto. L’unica forza a guadagnare un po’ di appeal sono i Cinque Stelle, capa-ci di trovare consensi fra impiegati, operai e professionisti, soprattutto nei piccoli comuni. Con risultati rimasti però, in qui, deludenti.

Ma perché, nonostante la crisi, gran parte del ceto medio lombardo non si è stufato del monopolio politico del cen-trodestra, che in Regione è al potere da 23 anni e a livello nazionale ha governa-to a lungo? Il ricercatore del Cattaneo ritiene che in parte questo fenomeno sia dovuto «allo slittamento del discorso pubblico dalla sicurezza economica a quella personale. La nuova Lega di Sal-vini interpreta perfettamente questo spostamento».

La base del Carroccio

è divisa sulla svolta

nazionalista. E c’è chi

rimpiange i tempi di Bossi

PRIMA PAGINA Profondo nord

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L’Espresso 11 febbraio 2018 39

Ecco dunque la molla della campagna leghista, e dell’uscita di Fontana sulla «nostra razza bianca» che rischia di «essere cancellata». Il tentativo di Salvi-ni e dei suoi è estendere il voto della Lega nello zoccolo duro degli elettori di Forza Italia: casalinghe e pensionati, insieme il 43 per cento dell’elettorato lombardo di centrodestra alle ultime politiche. La Lega, infatti, riflette un mondo più giovane rispetto a quello dei compagni di coalizione: solo il 35 per cento dei suoi votanti ha più di 55 anni, mentre in Forza Italia gli over costitui-scono la maggioranza. «Se riuscisse a contenere il distacco da Forza Italia in qualche manciata di seggi, per Salvini sarebbe un enorme successo: vorrebbe dire tenere continuamente sotto scacco Berlusconi, perché i parlamentari della Lega tendono a non tradire le direttive», osserva una fonte vicina al partito.

NEL MIRINO DI GORI

Se questa strategia avrà successo, si ve-drà il 4 marzo. Se poi ne uscirà un go-verno, è ancora un’altra storia. Per quel che riguarda la culla del forza-leghismo, la Lombardia, è però interessante nota-re che i mal di pancia non mancano.

Ogni volta che Salvini strizza l’occhio al fascismo, nella parte del movimento che un tempo si riteneva più libertaria, fe-deralista, a volte addirittura di sinistra, il malumore cresce. È diicile immagi-nare, come già detto, che questo sgreto-li in modo rilevante il blocco degli elet-tori del centrodestra. Ma è altrettanto interessante notare che il candidato del Pd, Giorgio Gori, ha scelto di giocarsi le sue carte facendo breccia proprio nel bacino elettorale che si spartivano Bos-si e Berlusconi. Ha lanciato la sua can-didatura a Rimini, al meeting di Comu-nione e Liberazione, un movimento con cui coltiva solidi legami. E ancora: uno degli strateghi della sua campagna elet-torale è stato, almeno inizialmente, Mauro Ferrari, lo spin doctor, che dopo aver collaborato con Gori nel 2014 per l’elezione a sindaco di Bergamo, l’anno successivo ha dato il suo contributo alla sponda politica opposta, lavorando alla vittoria di Luigi Brugnaro a Venezia. Dopo un po’ Ferrari ha lasciato la cam-pagna in corso, che racconta così: «In Lombardia la percezione di buon gover-no è altissima; un’anomalia, se si pensa che in politica la parola “cambiamento” ha dominato gli ultimi anni». Da questa considerazione è nata la scelta di punta-

re sulla conservazione, accanto alle novità: «Gori ha impostato la sua stra-tegia sul tentativo di dimostrare che si può fare meglio, e lo sta facendo mi-niaturizzando, isolando, i singoli ar-gomenti. Le ultime analisi che ho po-tuto studiare sembravano segnalare il suo potenziale sugli indecisi, sui mo-derati che hanno abbandonato il cen-trosinistra o sui leghisti che non sono sintonizzati con Salvini», spiega Fer-rari. Riscontri? Diicile dire quanto pesino; ma non mancano. Il brianzolo Enrico Radice lo chiama “il Gori”, alla lombarda: «Mi piace, perché è stato un imprenditore. L’ideale sarebbe se lui e Fontana collaborassero». Il bergama-sco Paolo Agnelli: «È venuto da noi, in associazione, gli abbiamo raccontato che le piccole imprese sanno bene come rinnovarsi ma non hanno credi-to dalle banche. Parlando è venuta l’i-dea di sostenere gli investimenti coin-volgendo la finanziaria regionale Finlombarda, e lui l’ha messa in pro-gramma».

Nelle mappe di pagina 37 si può notare una zona bianca, nell’area di Mantova. Lì storicamente Lega e Forza Italia sono più deboli. Elisa Govi, indu-striale nel settore della carta e presi-dente dell’associazione delle piccole e medie imprese Api, spiega che in que-sto territorio ci sono molte grandi in-dustrie. «Gli operai arrivano da tutta Italia e in qualche modo mantengono la loro idea di nazione, di Stato, che rende molti di loro contrari alla sepa-razione. E poi siamo al confine con l’Emilia e l’influsso di certe idee, dell’importanza attribuita a valori co-me l’uguaglianza si sente». Ma in que-sto tessuto, paradossalmente, può es-sere il nuovo corso di Salvini a fare breccia? Insistendo sull’insicurezza che, a sentire Elisa Govi, «è una sensa-zione comune»? «Sa, ci sono furti, fatti violenti», spiega l’imprenditrice, «sono nati servizi di controllo a livello di vicinato, perché anche la polizia sembra avere poche risorse, forse han-no fatto tagli che non dovevano». Il giorno dopo il colloquio con L’Espres-so, ci ha mandato un messaggio: «Ave-vamo appena parlato di sicurezza... stanotte hanno tentato di entrare in una casa vicina a noi... speriamo in un futuro migliore». Q

Cartelloni elettorali a Milano, quartiere del Giambellino

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