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Organo del MAR (Movimento per l’Autonomia della Romagna) Mensile di informazione ed approfondimento di temi e problemi della Romagna e dei romagnoli. Le inserzioni, anche pubblicitarie, sono effettuate a completo titolo gratuito ad insindacabile giudizio del Comitato di Redazione, nei tempi e modi che riterrà più opportuni. Chiunque può copiare o riprodurre immagini e scritti di questo periodico, con il solo obbligo di citarne la fonte e l’autore. E’ RUMAGNÔL La Romagna, 21^ Regione italiana, è un diritto dei romagnoli Marzo-Aprile 2016 tra 'l Po e 'l monte e la marina e 'l Reno (Dante - Purgatorio, Canto XIV) Anno VIII - n. 03-04 Mensile culturale ed informativo, basato esclusivamente su interventi di volontariato e senza scopo di lucro - Questo periodico non percepisce alcun contributo statale Direttore Responsabile: Ivan Miani - Comitato di Redazione: Albonetti Samuele, Castagnoli Bruno, Chiesa Riccardo, Corbelli Valter, Cortesi Ugo, Giordano Um- berto, Poggiali Giovanni, Principale Paolo - Collaboratori: Albino Orioli, Angelo Minguzzi, Stefano Servadei . Sede: Via Valsalva, 8 – 47121 Forlì (FC) - Indirizzo e-mail: [email protected] Il M.A.R. piange la scomparsa del suo fondatore, l'onore- vole Stefano Servadei Politico saggio, illuminato, tollerante, eppure irriducibile nelle battaglie per gli ideali nei quali credeva, Stefano Ser- vadei ha scritto il suo nome nella storia della piccola patria romagnola, come amava definirla il grande Aldo Spallicci. Apprezzato parlamentare per diverse legislature, consi- gliere regionale, consigliere comunale, ovunque esercitava il mandato conferitogli dagli elettori, Stefano Servadei è sempre stato il paladino della Romagna e dei diritti dei ro- magnoli. Anch'io c'ero quel 9 marzo 1991 quando, avanti al notaio Giancar- lo Miccoli Favoni, Stefano Serva- dei fondò ufficialmente il Movi- mento per la Autonomia della Romagna, proclamandone, nel relativo Statuto, l’assoluta apoli- ticità, il richiamo all'etica del vecchio galantuomo romagnolo, l'assoluto disinteresse a perse- guire poltrone, prebende e ri- compense varie, stabilendo anzi che il M.A.R. si sarebbe sciolto alla proclamazione della Ro- magna quale 21ª regione italiana. Ad un giornalista che, nel corso di una intervista, gli ave- va chiesto se avesse avuto figli, Servadei rispose: "una sola figlia, la Romagna". Per quella figlia egli si è speso fino all'ultimo giorno della sua esistenza, lasciando a noi il compito di realizzare il suo sogno: la Regione Romagna. Nel Paradiso dei galantuomini, ove Stefano Servadei ha ritrovato la compagnia di altri due grandi romagnoli, Lo- renzo Cappelli e Aldo Spallicci, siamo certi che essi faran- no il tifo per noi: a noi il compito di non deluderli. Avv. Riccardo Chiesa - Presidente del M.A.R. Segreteria del MAR: E-mail: [email protected] Cell. 339 6273182 dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 14 Web: www.regioneromagna.org Pagina Facebook del M.A.R.: Movimento per l’Autonomia della Ro- magna (MAR) ”. Atto Costitutivo del M.A.R. Autografo di Francesco Fuschini 2 Romagnole da scoprire, anzi da guardare C’è crisi anche nelle nascite 3 Romagna Shuttle—T.R.C. 4 Le vecchie osterie della Romagna di un tempo 5 Da Concertino Romagnolo 6 Grido ad Manghinot 7 Dibattito aperto sulla famiglia L’oroscopo 9 Arte in Romagna 10 L’angolo della poesia 11 I Cumon dla Rumagna 12 Lettera al Direttore 13 Foto del M.A.R. 11 Sommario

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Organo del MAR (Movimento per l’Autonomia della Romagna)

Mensile di informazione ed approfondimento di temi e problemi della Romagna e dei romagnoli.

Le inserzioni, anche pubblicitarie, sono effettuate a completo titolo gratuito ad insindacabile giudizio del Comitato di Redazione, nei tempi e modi che riterrà più opportuni. Chiunque può copiare o riprodurre immagini e scritti di questo periodico, con il solo obbligo di citarne la fonte e l’autore.

E’ RUMAGNÔL

La Romagna ,

21^ Reg ione i t a l i ana , è

un d i r i t t o de i romagno l i

Marzo-Aprile 2016

tra 'l Po e 'l monte e la marina

e 'l Reno

(Dante - Purgatorio, Canto XIV)

Anno VIII - n. 03-04

Mensile culturale ed informativo, basato esclusivamente su interventi di volontariato e senza scopo di lucro - Questo periodico non percepisce alcun contributo statale Direttore Responsabile: Ivan Miani - Comitato di Redazione: Albonetti Samuele, Castagnoli Bruno, Chiesa Riccardo, Corbelli Valter, Cortesi Ugo, Giordano Um-berto, Poggiali Giovanni, Principale Paolo - Collaboratori: Albino Orioli, Angelo Minguzzi, Stefano Servadei �. Sede: Via Valsalva, 8 – 47121 Forlì (FC) - Indirizzo e-mail: [email protected]

Il M.A.R. piange la scomparsa del suo fondatore, l'onore-vole

Stefano Servadei Politico saggio, illuminato, tollerante, eppure irriducibile

nelle battaglie per gli ideali nei quali credeva, Stefano Ser-vadei ha scritto il suo nome nella storia della piccola patria romagnola, come amava definirla il grande Aldo Spallicci.

Apprezzato parlamentare per diverse legislature, consi-gliere regionale, consigliere comunale, ovunque esercitava il mandato conferitogli dagli elettori, Stefano Servadei è sempre stato il paladino della Romagna e dei diritti dei ro-magnoli.

Anch'io c'ero quel 9 marzo 1991 quando, avanti al notaio Giancar-lo Miccoli Favoni, Stefano Serva-dei fondò ufficialmente il Movi-mento per la Autonomia della Romagna, proclamandone, nel relativo Statuto, l’assoluta apoli-ticità, il richiamo all'etica del vecchio galantuomo romagnolo, l'assoluto disinteresse a perse-guire poltrone, prebende e ri-compense varie, stabilendo anzi

che il M.A.R. si sarebbe sciolto alla proclamazione della Ro-magna quale 21ª regione italiana.

Ad un giornalista che, nel corso di una intervista, gli ave-va chiesto se avesse avuto figli, Servadei rispose: "una sola figlia, la Romagna".

Per quella figlia egli si è speso fino all'ultimo giorno della sua esistenza, lasciando a noi il compito di realizzare il suo sogno: la Regione Romagna.

Nel Paradiso dei galantuomini, ove Stefano Servadei ha ritrovato la compagnia di altri due grandi romagnoli, Lo-renzo Cappelli e Aldo Spallicci, siamo certi che essi faran-no il tifo per noi: a noi il compito di non deluderli.

Avv. Riccardo Chiesa - Presidente del M.A.R.

Segreteria del MAR: E-mail: [email protected] Cell. 339 6273182 dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 14

Web: www.regioneromagna.org

Pagina Facebook del M.A.R.: “Movimento per l’Autonomia della Ro-magna (MAR)”.

Atto Costitutivo del M.A.R.

Autografo di Francesco Fuschini

2

Romagnole da scoprire, anzi da guardare

C’è crisi anche nelle nascite

3

Romagna Shuttle—T.R.C. 4

Le vecchie osterie della Romagna di un

tempo

5

Da Concertino Romagnolo 6

Grido ad Manghinot 7

Dibattito aperto sulla famiglia

L’oroscopo

9

Arte in Romagna 10

L’angolo della poesia 11

I Cumon dla Rumagna 12

Lettera al Direttore 13

Foto del M.A.R. 11

Sommario

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Marzo-Aprile 2016

natico e Rocchetta Fosco di Riccione. Pur facendo parte di coloro che “si persero durante il tra-gitto per varie vicissitudini”, mi sento di dovere ricordare il Dottor Lidio Rocchi di Cesena, deceduto il 18 febbraio scorso. Lidio fu il primo Coordinatore Comunale di Cesena e lavo-rò moltissimo per il Movimento. Era soprattutto impegna-to sui temi della cultura, della letteratura, della ricerca sociale che costituivano il retroterra di un impegno politi-co inteso nella pluralità del servizio e nella ricchezza della persona. Fin dai primi anni ’70 aveva costituito il Circolo “Nicola Pistelli” dove ci ospitò per lungo tempo per le riunioni del Comitato. Si dedicò in seguito anima e corpo alla politica e ciò fu la causa principale dell’abbandono. Fu medico oncologo e fu il fondatore della Associazione Romagnola Ricerca Tumori, una più che benemerita isti-tuzione impegnata nella ricerca e nella prevenzione, che ha fornito e fornisce tutt’ora assistenza a migliaia di pa-zienti, affiancando ed integrando il lavoro della Sanità pubblica.

Dei 30 presenti il 9 marzo 1991 a Forlì in Via Giorgina Saffi n. 9 presso lo Studio Notarile del Dr. Giancarlo Fa-voni Miccoli per la «costituzione di un’associazione ai sensi degli artt. 16 e seguenti del c.c. avente la seguente denominazione “Movimento per l’Autonomia della Roma-gna (M.A.R.)”», ancora attivi nel Movimento siamo rima-sti soltanto in 6. Alcuni si persero durante il tragitto per varie vicissitudini; per altri solo la morte fu capace di toglierli dalle nostre file. E mi piace qui ricordare, in ordine alfabetico, coloro che, fino all’ultimo, fecero parte del Direttivo nel nostro Movimento: Baroni Bruno di Alfonsine, Foschi Giorgio di Savignano, Massarelli Michele di Cesena, Ricci Rodolfo di Bagno di Romagna e Servadei Stefano di Forlì. Tutti co-storo, purtroppo, hanno chiuso gli occhi prima di poter vedere realizzato il nostro sogno comune: ottenere la Romagna Regione a sé stante! Per la cronaca, i 6 .... “sopravissuti” sono (sempre in ordine alfabetico): Buriani Gianpiero di Cesena, Casta-gnoli Bruno di Cesena, Chiesa Riccardo di Cesena, Mura-tori Carlo di Mercato Saraceno, Remor Marcello di Cese-

Repertorio n. 153130, Raccolta n. 11661: ATTO COSTITUTIVO DEL MOVIMENTO PER L’AUTONOMIA DELLA ROMAGNA

Note di Bruno Castagnoli

Un autografo di Francesco Fuschini dedicato al Fondatore del M.A.R., On. Stefano Servadei

Onestamente non ricordo sul retro di quale documento (fotografia, biglietto) ho trovato questo scritto di Francesco Fuschini, risalente all’anno 1991. Mi fa piacere comunque riprodurlo perché tutti possano vedere cosa scrisse all’indirizzo del “Profeta della Romagna”.

Bruno Castagnoli

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ROMAGNOLE DA SCOPRIRE, ANZI DA GUARDARE di Ottavio Ausiello-Mazzi

Se la nostra nazionale calcio, in Brasile, non ha fatto pro-prio grande figura, da tempo in quella terra due pittrici romagnole hanno invece tenuto alto il nome della nostra terra. Forse sono più conosciute là che in Romagna! La prima è Caterina Baratelli (nata a Cesena nel 1903) mor-ta nel 1988 a Rio de Janeiro. Ha una strada intestata a Cesena ed anche Milano Marittima dovrebbe fare altret-tanto, visti i legami con la località e perché fu allieva, musa ed amica di Palanti. Il suo ritratto ("Il vestito tur-chese" 1928) nel 2012 è stato scelto per la copertina del catalogo e per i manife-sti della mostra (del Centenario) su Palanti. Caterina non fu né Cara-vaggio né Picasso, ma guardando le sue opere (anche su internet) vi sorrideranno gli occhi come in una festa cario-ca; e lo stesso dicasi per la produzione dell'altra pittrice di cui vorrei in-centivare la conoscenza, cioè Mitzi Durando (1876-1965) nipote del beato Marcantonio e, nel 1898, moglie dell’artista forlivese Angelo Dall'A-ste Brandolini, uscito da una eccentrica famiglia (fra gli avi Tiberto VIII Brandolini signore di Bagnacaval-lo e genero del Gattamelata, famoso capitano di ventu-ra). Attualmente a gestire la memoria di Mitzi è la nipote brasiliana Angelica Matarazzo de Benavides (vedi sito dedicatole). Colla modernità, l'immagine è stata veicola-ta più che altro dal cinema. Un volto, perdipiù bellissimo e praticamente (e colpevolmente) assente dalla nostra

cronaca locale, è quello della riccionese Vania Protti, la cui famiglia s'occupa di cinema dal 1904. Di storia quindi ne ha fatta, ma evidentemente cantare quanto sia buona la pap-pa al pomodoro rende di più, in notorietà, dato che ci si scorda che fu anche la prima moglie di Teddy Reno. Ma è peggio, forse, quando è la cultura a riproporci sempre le stesse pappe. I romagnoli devono sapere che nell'attuale cinematografia sono impegnate "signore" di Romagna coi controfiocchi, che siano di zocca come Roberta Guidi di Bagno; o d'adozione come la morcianese Tatiana Roma-

noff Pirotti, nata nipote degli zar di Russia ed oggi costumista di tutti i film di Verdone. Ma la "pioniera" fu la lughese Teresa Ricci-Bartoloni, poliedrica autri-ce, sceneggiatrice, aiuto regista (anche di Comenci-ni) che iniziò la carriera nel 1942 con "La principessa del sogno". Suo anche "Totò imperatore di Capri" del 1949. Sua sorella Ga-briella (1912-2006) pittrice a tempo perso sposò nel 1936 a Lugo il principe Marcantonio Pacelli. Era la madre del principe France-sco (che fu per ben 25 anni nella giuria del premio Da-

vid di Donatello) e la nonna di quell’Ascanio Pacelli reso celebre dal Grande Fratello. Per approfondire vi basterà "navigare" un po’ in internet digitando i vari nomi, perché la storia della donna romagnola è più ricca e complessa di quella che vi raccontano di solito e che non va molto oltre le "zdore"...

C’è crisi anche nelle nascite di Albino Orioli

L'Italia è arrivata oltre i 60 milioni di abitanti, anche se le nascite, stando ai dati demografici, sono diminuite di 100mila unità. Negli anni precedenti, erano gli im-migrati che rifornivano il nostro Paese di bambini. Ora, con questa crisi in atto, si sono fermati anche loro e, di conseguenza, è venuto a mancare il ricambio. L'Ita-lia è diventato un paese per vecchi e aumenteranno

sempre di più se le cose non cambieranno in fretta.

Anche gli sposalizi sono calati di molto e chi si unisce sotto forma di coppia, ci pensa due volte prima di met-tere al mondo un figlio, pensando all'avvenire che potrà avere, che incontrerà. Queste sono le cause di un Paese che non cresce economicamente. Che non ce la fa ad emergere, che non riesce a ripartire, nonostante in buoni propositi e le assicurazione dei nostri politici. Ci vorrà del tempo recuperare il tempo perduto e ritornare ad una parvenza di normalità osservando ciò che sta capitando in questo momento con i milioni di immigrati che arrivano sulle nostre coste per poi andare in altri Paesi del Nord che li stanno respingendo rimandandoli in Italia, per cui ci si deve sobbarcare una spesa enor-me per mantenerli e dar loro un'ospitalità decente. E gli italiani sono disorientati da questi nefasti eventi, tanto che sono tanti a diventare razzisti e a non volerli accet-tare vicino a casa propria, nei propri paesi, nelle proprie città. Questa è la fotografia della nostra Italia di oggi, anche se ci dicono che le nostre aziende si stanno ri-prendendo e siamo fuori dalla recessione. Ma dobbiamo pensare che ora a dividere la torta siamo molti di più e gli immigrati godono di favori che tanti italiani indigenti non possono avere. E la Comunità Europea non è in grado di fare interventi mirati, non avendo politici all'al-tezza della situazione, ma cerca solo di rappezzare qualche falla e basta. Ben altro ci vorrebbe!

Marzo-Aprile 2016

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Pagina 4 Anno VIII - n. 03-04 E’ RUMAGNÔL

te incredibile alla luce dei comportamenti di Riminesi e Riccionesi. I Bilanci previsionali della gestione del T.R.C. fanno conto su un contributo Regionale di 1,75 Euro a Km e un costo per passeggero sempre a Km di 0,9 Euro ecc. ecc.: sarà sicuro l’intervento Regionale per il futuro? E quanto costerà il biglietto Rimini/Riccione se si moltiplica-no i 12/15 Km per 0,9 Euro a Km? Sarà un prezzo appeti-bile che indurrà i Cittadini a modificare i loro comporta-menti? Quanto costerà annualmente ai Comuni il ripiana-mento dei conti della Società di Gestione di questo Servi-zio? Certo, all’esborso di questi soldi sarà chiamato come sempre Pantalone che così pagherà due volte, in quanto si vedrà tagliare molte delle opere utili vicino casa, per mancanza di soldi. Il T.R.C. è un’opera vecchia, costosa e sbagliata e, natu-ralmente, chi si occupa da sempre di “Mobilità Dolce” non ne ha pienamente preso coscienza, però, giustamente, rivendica la ricostruzione della Ferrovia Rimini/San Mari-no e, ovviamente, “trascurano” la necessità strategica di investire soldi per potenziare la Ferrovia Rimini/Ravenna/Ferrara. Quasi Tutti, anche Autorevoli personaggi del P.D., riconoscono che il T.R.C. è una costosa opera inuti-le. Però la realizzeranno, ci sono tanti soldi in ballo e an-che se sulla Società AM (Agenzia Mobilità), che la Regio-ne riconosce e blandisce, pesano molte incongruenze e anomalie che derivano dalle troppe funzioni di cui è inve-stita, (Programmazione, Progettazione, Affidamento e

Controllo sull’Esercizio del TPL), (Autorithy del TPL) (Trasporto Pubblico Locale), realizzazione del TRC. Di cui alcune di queste sembrano, addirittura, in contrasto con le Regole della Legge Regio-nale, sulle quali ovviamente non tocca a noi fare luce: questo compito spetta alla Magistratura, poiché sembra, e lo diciamo con tutta la cau-tela che il caso richiede, sembra, che la quadratura dei conti del Bilancio siano alquanto opinabili e, dopo l’esperienza fallimentare dell’Aeroporto, questo do-vrebbe far rizzare le orecchie a diversi Soggetti. Forse l’Amministrazione del Comune di Riccione, Sogget-to direttamente investito di grandi responsabilità, suo malgrado, nell’attuazione di quest’Opera, dovrebbe farsi

carico primariamente, se già non l’ha fatto, di una appro-fondita indagine sull’elaborazione dei Bilanci della Società che sta costruendo il T.R.C. e sulla loro perfetta corri-spondenza alle Regole, che, si spera, siano state tutte scrupolosamente rispettate. Le verifiche in corso d’opera di questi Bilanci e la loro Pubblicizzazione, saranno in o-gni caso ben accolte dai Cittadini. Peraltro suggeriamo che, per tali verifiche, siano investiti direttamente i Revisori dei Conti della Società, REVISORI sui quali oggi, molto più di ieri, pesano responsabilità di prima grandezza. Un lavoro a “costo zero”, dunque, an-che per evitare ulteriori sprechi di tempo alla Corte dei Conti.

La Romagna è il grande “Buco Nero” delle Infrastrutture Regionali. L’Aeroporto è miseramente fallito e per la commistione sbagliata della Politica Incompetente piglia Tutto: la Fiera è tra le mire di Bologna. Il P.D. si ritrova gran parte dei suoi uomini di punta indagati per “ASSOCIAZIONE A DELINQUERE”, è la Magistratura a muovere queste accuse e, abbiamo già sottolineato, sa-rebbe un gran bene si celebrasse il Processo prima delle Elezioni, così da liberare il campo dai veleni. Il Sindaco di Rimini, su cui pesa l’infamante accusa, potrebbe così ricandidarsi, sennò scendere dalla poltrona sarebbe d’obbligo. C’è poi da sperare che il Consiglio di Stato e-metta quanto prima la sentenza in merito alla gara di appalto dell’ENAC, che ha visto prevalere Airiminum. Oc-corre dare a questa Società la piena operatività della ge-stione dell’Aeroporto: il Turismo Romagnolo ha l’assoluto bisogno di questa Infrastruttura. Chi ha stipulato la con-venzione (ROMAGNA SHUTTLE), deve rendersi conto d’aver fatto una “sciocchezza”. Il trasporto di Turisti, tra l’Aeroporto di Bologna, Rimini e le altre Località Turisti-che della Riviera, richiede tempi più lunghi dello stesso viaggio aereo. Il T.R.C., (Trasporto Rapido Costoso), “inventato” dagli strateghi del P.C.I. o come si chiamava allora, nel 1992, sostenuto per carità di parte dall’attuale P.D. e avviato, con oltre un dozzina di anni di ritardo, da quello stesso Partito che ora addebita i ritardi della realizzazione all’attuale Amministrazione Riccionese. “Ridicola” anche l’indagine della Corte dei Conti sull’incarico dato dall’Amministrazione Riccio-nese dal costo di 7.500,00 Euro. Il progetto del T.R.C. ha un costo previsionale di 102 milioni di Euro, cui van-no aggiunti altri 30/35 milio-ni per il collegamento inutile con la Fiera di Rimini, già collegata egregiamente dal treno. Questo sistema di tra-sporto, definito strategico dall’attuale Presidente Regio-nale, che lo vorrebbe colle-gato a Ferrara, Città anche questa collegata a Ravenna e Rimini da una Ferrovia Obso-leta, questa sì strategica ed in attesa di investimenti e di ammodernamento prioritari e sensati rispetto al traspor-to su gomma. Forse la Corte dei Conti sarebbe bene muo-vesse qualche indagine in questa direzione! Quale sarà il costo finale dell’opera del TRC? Mistero fitto! Tempo ad-dietro c’è stata una richiesta di A.M. di rivedere i costi per una decina di milioni, poi silenzio assoluto, per l’avvicinarsi delle elezioni Riminesi. I Comuni coinvolti loro malgrado, dalla realizzazione del T.R.C., dovrebbero concentrare la loro attenzione sui dati economici finali dell’opera e, particolarmente, sui costi reali della gestione del T.R.C., in quanto fondati su stime di entrate piuttosto aleatorie e poco credibili. Pensare che 3,7 milioni di passeggeri debbano utilizzare quel mezzo di locomozione da subito, che dovrebbero diven-tare 4,9/5 milioni nel corso di qualche anno, è veramen-

ROMAGNA SHUTTLE—T.R.C. di Valter Corbelli

Marzo-Aprile 2016

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Pagina 5 E’ RUMAGNÔL

Il nome osteria deriva da “oste”, che a sua volta viene dal latino hospite(m), richiamando quindi la funzione del luogo che è quella dell’ospitalità. L’osteria è un e-sercizio pubblico dove si servono a volte anche cibi, ma più di tutti servivano il vino. Questi locali risalgono all’antica Roma e si chiamavano enopolium, ma non erano esattamente delle osterie; mentre esistevano anche ...le thermopolium dove si servivano cibi e be-

vande calde ( alcuni esempi sono ben visibili grazie agli scavi dell’antica Pompei). Le osterie si concentravano dove vi erano mercati, piazze, incroci e strade poiché erano tutti luoghi di passaggio e anche di commercio, che più tardi divennero poi luoghi d’incontro. Elementi caratterizzanti erano il vino, il cibo, le camere da letto e la prostituzione; a metà del 1900 erano frequentate più che altro da uomini ma negli ultimi anni anche dall’altro sesso. Erano luoghi d’incontro assieme alla Chiesa e alla piazza, ma dal dopo guerra persero im-portanza per poi riacquistarla poco a poco negli ultimi anni. Avevano diversi nomi a seconda delle loro inse-gne, che potevano essere una corona, un’aquila, un leone, un angelo; quelle più rare invece si chiamavano con il nome o il soprannome del proprietario. Le osterie si differenziavano per diversi elementi: per esempio a seconda di quanto erano accoglienti o meno ospitavano persone differenti. Le più accoglienti i personaggi per-bene, di riguardo; le meno invece i pellegrini e la sol-dataglia. Poi a seconda di dove erano ubicate: se erano fuori dalle mura o accanto alla stazione di posta ospita-vano chi non aveva tempo e denaro; se erano invece nella contrada dei magnani erano delle osterie a buon mercato. In questi locali in generale venivano serviti dei piatti molto semplici; per esempio un’osteria nel 1544 serviva una “menestra de tagliategli”. Qui la gen-te moriva anche, perché venivano accolti ammalati e anche gravi, soldati feriti, pellegrini sfiancati e loro pre-ferivano senz’altro le osterie agli ospedali. Questa gen-te veniva ospitata anche per carità cristiana, ma so-prattutto perché quando qualcuno moriva loro eredita-vano tutto ciò che la persona aveva indosso. Esiste ancora tutt’oggi l’osteria più antica del Rinascimento e forse del mondo: si trova a Ferrara, a lato del Duomo, la quale, si racconta che fu frequentata da molti perso-naggi illustri come: Ludovico Ariosto, Torquato Tasso, Karol Wojtyla e Niccolò Copernico che visse e studiò proprio sopra l’osteria.

L'ambulante riparatore di ombrelli (mestiere scom-parso) Fino agli 70 del 900 lo si vedeva comparire, saltuaria-mente, lungo le nostre vie e vagare per i caso...lari di campagna per riparare gli ombrelli. Era uno dei tanti ar-tigiani. Riparava, sempre con pezzi eroici, gli ombrelli: sia le parti metalliche che la ricopertura di stoffa. Spesso si arrischiava anche a riparare il vasellame rotto. Questo personaggio passava con giri periodici annunciandosi con il suo caratteristico grido di richiamo “Ombrellaio, om-brelli da riparare!”. Lo si chiamava in casa o nel cortile per rimettere in sesto quegli ombrelli che la parsimonio-sa economia domestica, sia popolare che medio borghe-se, di quel tempo non gettava mai. Nelle campagne dell'800 faceva parte del suo compenso anche il pasto che il contadino gli ammanniva o la sosta notturna offer-ta a lui nella stalla su di un letto di paglia mista e fieno. Mestiere ambulante che sovente si svolgeva lavorando, in città in autunno e inverno e nelle campagne in prima-vera ed estate. Approfittando della buona stagione, sosta dopo sosta, ripara-zione dopo riparazio-ne, faceva il suo vi-aggio a cavallo di una bicicletta attrez-zata con l'opportuna cassetta degli acces-sori e la strada per-corsa era tanta, nella speranza di guada-gnare qualcosa per sostentare sé e la famiglia povera. Queste sono alcune parole greche in uso nella no-stra lingua locale La Romagna è una terra impregnata di cultura greca, basta visitare Ravenna per rendersene conto. Il nome stesso Romània denotava il-territorio dell'Impero Romano (d'Oriente), in contrapposizio-ne alla.... circostante Lango-bàrdia (o Langobardìa ) poi Lombardìa. Ma tracce di quel-la grecità sono sopravvissute nella lingua locale? Alcune parole di origine greca però forse mi vengono in mente: 1) anguria - Etimologia: Dal gr. tardo angóurion - Defini-zione: s. f.(region.) cocomero 2) piadina - Deriv. della voce sett. piàdena 'vaso', forse dal gr.pláthanon 'scodella' oppure 3) piada - dal greco "plakous", focaccia 4) matra = madia 5) calzèdar = brocca od orcio 6) anàdar (anatra selvatica) 7) sfòrfan (zolfanello) 8) cutùran (stivaletti) 9) calzedàr (secchio di rame) 10) pitar (otre) 11) zilöstar (cero pasquale). Le ultime parole sono date come di origine bizantina.

Le ricerche di Gianpaolo Fabbri

Le vecchie osterie della Romagna di un tempo (dove, peraltro, poteva succedere di tutto....)

Anno VIII - n. 03-04

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Da Concertino Romagnolo: Capanni col nodo a cura di Bruno Castagnoli

I problemi vanno raccolti a tempo giusto come i meloni. Il compromesso storico già appartiene alla storia, la «paura degli Italiani» è andata in ferie, il dilemma pro-fessionalità o tessera di partito risulta scornato, la «chiarezza nello scrivere» ha sposato Azzeccagarbugli,

Carlo Cassola assicura la p a c e c h i a m a n d o «Ministero dei quattrini buttati via» il Ministero della Difesa e Ugo La Mal-fa baruffa con la crisi a tu per tu. Il problema che scotta adesso è quello del-le ragazze della spiaggia con le «tette al vento». Il canonico Benedetti di Ra-venna non mi mandi all’inferno sul capitolo dei «peccati in parolacce»

perché io mi ricordo di un sermone che recitavo in chiesa davanti al presepio e principiava così: «Tira su quella veletta - e vedrai Gesù che tetta». Ma il problema è sotto le parole: il balzo sulla trincea liberatoria al grido di guerra dell’onorevole Adele Faccio: «Il corpo è mio» pare irreversibile. Ho dato un’occhiata a tiro lungo da Cesena-tico a Marina di Ravenna, e le ragazze della questura in due pezzi fanno le indiane ma sono individuate, seguite da rumori a bocca chiusa e dove ci sono ammucchiate extra-parlamentari sui materassini pneumatici si sentono giaculatorie senza reggiseno contro il potere in genere e contro l’onorevole Anselmi in particolare. Intanto che sociologi, psicanalisti, esperti in comunicazioni di massa e religiosi affrontano l’argomento a mare e a monte, io torco i pensieri verso le spiagge del sottosviluppo. Giusto un secolo fa, quando gli amici di Olin-do Guerrini Tugnazz Cassio Cimbro e Gusti-nett, fecero la «gita di piacere» a Marina di Ravenna, la spiaggia era sabbia di nessuno e i granchi all’alba ci facevano processioni devote. Non c’era il golf, e l’equitazione ne-anche per ridere. Dov’è il ristorante «Qui si mangia male e si beve peggio» c’era l’osteria della Marianaza e lo stallatico con una posta in servizio degli ubriachi. La Ro-magna, dopo l’Albana e il Sangiovese, ha poco da mostrare, però ha inventato la bal-neazione distensiva: un brevetto da rilancia-re. L’idea che dà adesso la spiaggia è quella di un serpaio stemperato nella noia. Le radioli-ne riducono in sabbia il silenzio. Il cornetto «Algida» con le noccioline fa il giro tra mani smemorate. Nel cielo lucidato col «Sidol» passa l’apparecchio che si tira dietro lo stri-scione pubblicitario di «Nutella»: le vie del Signore sono infinite ma il consumismo ne ha una di più. Quando Tugnazz andava a Marina in gita di piacere, la spiaggia diventava una fiera, un carnevalino, un giubileo di scomunicati. Pri-ma cantavano la monferrina, poi si tiravano addosso «acqua, merda e sabbia, che parevano tutti porci con buon rispetto»; praticavano il nudismo integrale, si affer-

ravano alla traditora per il collo e si cacciavano sotto a be-re acqua salata che dà un vomito robusto. Turismo dal vol-to umano. E Tugnazz è il suo nome. Adesso se il sole prende quattro ore di libera uscita o un temporale passa sulla spiaggia suonando la grancassa, succede un 48. I turisti tedeschi corrono a visitare il mau-soleo di Teodorico, gli italiani sono sopraffatti dalla pro-spettiva dell’autunno rovente, le signore bloccano la cana-sta e i ragazzini danno la caccia ai gatti. Imparate da Tugnazz a far ridere i temporali. Tugnazz e soci giocavano a tressette con la briscola. Veniva mezzo-giorno e si buttavano addosso al brodetto come cani. Il vino preso in dosi d’urto apriva la vena del ridere. Elenco delle attrazioni d’albergo nei giorni sbilenchi: spaccare la tavola a colpi di randello e, per coinvolgere il gestore, ta-gliare il mantile a fette col coltello; ungere gli amici per tutta la persona, bruciare cappelli e infilare nelle tasche fertilizzanti naturali. Il ritorno in città non presentava pro-blemi di traffico. La giardiniera correva lungo il Candiano col suo carico di ubriachi e le acque scivolavano a Ravenna senza fretta. Cantavano: «Di quella pira», urlavano: «Abbasso la monarchia». Tugnazz prendeva in mano le redini delle cavalle e tutto finiva nel canale. Le allegrezze degli ubriachi in lotta contro l’acqua che tenta di mescolar-si al vino passando dalla bocca solo Dante Alighieri le può registrare. Dopo il pionierismo di Tugnazz sulla spiaggia a misura d’uomo, scendiamo, lungo la scala a pioli del tempo, sulla spiaggia del sesso rubato con gli occhi. La spiaggia di Tu-gnazz era asessuata: una donna sul bagnasciuga o era un sogno o era la Traviata che si vendeva per una fetta di anguria. Sulla spiaggia di Amarcord la donna si intravede allo spioncino. Sergio Zavoli nel suo «dizionarietto» di me-morie con uncino (I giorni tascabili, Minerva Italica) conta

la storia dei capanni col nodo. La tecnica ha i suoi preliminari: individuare i capanni di legno dolce dove i nodi saltano sotto la pressione di un pollice con due stagioni di esercizio; sce-gliere l’ora che «i turisti, scavalcato il lungo-mare, sono tutti a tavola dentro le verande degli alberghi». I pollici a punteruolo in un’ora «aprivano decine di occhiaie, tutte all’altezza giusta; il nodo cadeva dentro il capanno, un breve rotolio e poi, silenzio». La società del buco ritornava a raccogliere con l’occhio il frut-to proibito del lavoro del dito. Turbamenti, cuori a scoppio ritardato: un mistero impastato di magia e di perdizione. Enzo Biagi a proposito di Ultimo tango a Parigi osservò: «Ha fatto più Bertolucci per il burro, di tutto lo stabilimento Galbani». Il sindacatino dei guardoni avrebbe creato una grande indu-stria: capanni in plastica con nodo a salto age-volato. Ma la liberalizzazione del sesso ha am-mazzato il mistero. I giovani non hanno più nulla da scoprire perché tutto è in cooperativa. Quando il Signore Iddio «fece all’uomo e alla donna delle tuniche di pelle e li rive-stì» (Genesi, 3, 21), diede una mano all’amore. C’è più amore in due fidanzati che si

danno la mano, che in una colonia di nudisti. Ci vuole la corona del Rosario a contare le crisi della nostra società, ma la crisi dell’amore le straccia tutte.

Lo scritto di questo mese risale al 1977, tratto come sempre dal libro di Francesco Fuschini, edito a cura di Walter Della Monica per le Edizioni del Girasole.

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Tuttavia l’8 gennaio 1951 Grido viene eletto come sinda-co effettivo, insieme ad altri, della Società cooperativa Casa del popolo, a responsabilità limitata. Di nuovo il 13 luglio 1954 Grido scrive a Giovanni Pe-trucciani prendendosela coi comunisti padroni di Riccio-ne, che «si sono irrigiditi ancor di più per la mia lettera-circolare sul dazio, tendente a difendere le piccole e medie pensioni, clienti del mio Studio, contro le illegali azioni della società Trezza miliardaria». I socialisti chiedevano una graduale abolizione delle imposte indi-rette sui consumi (dazio consumo e dazio doganale tra Comune e Comune), che prevalentemente gravavano sulle classi meno abbienti, anche perché in cambio di queste tasse non ottenevano le tanto desiderate case popolari. Si lamenta del fatto che i torti subìti sotto il fascismo (olio di ricino, esilio, furto di mezzo albergo, boicottaggio del suo unico lavoro di consulente tributa-rio, malvagia costrizione alla camicia nera) sono state «bazzecole» a con-fronto delle attuali delinquenze. Duran-te il ventennio gli erano stati nemici Pullè (Galeazzo), Piccioni, Stanzani, Gusella e altri, e ora rifiuta l’aiuto di Riccò, Lami, Soldati ecc. (cui probabilmente gli aveva proposto di ricorrere lo stesso Petrucciani). Sente vicina la fine della sua vita: «voglio vivere i miei ultimi mesi in libertà». «La libertà dei grandi uomini che non hanno mai chiesto nulla per sé, né prebende né ca-dreghini 1) , ma solo sacrifici e galera: hanno sempre da-to tutto, anche la salute e la vita: da eroi!». «La libertà di Pietro Gori e di Errico Malatesta e di mille altri santi più o meno oscuri cui si inchinano pensosi e nel massimo rispetto i lavoratori coscienti di tutto il mondo». Da queste parole appare evidente che Grido contestava i comunisti da posizioni più vicine all’anarchismo che non al socialismo. Il socialismo di Grido ha oscillato tra il ri-formismo democratico nei metodi e il rivoluzionarismo comunista nei fini. Quanto più gli ideali rivoluzionari venivano contraddetti dalla pratica socialcomunista, tanto più egli rifuggiva da un impegno politico attivo, rifugiandosi su posizioni anar-chiche. Dei comunisti non sopportava il metodo del centralismo democratico, che gli faceva sembrare il Pci simile ai fa-scisti o a una chiesa. Il 18 ottobre dello stesso anno scrive di nuovo a Petruc-ciani dicendogli che non ha intenzione di riguastarsi la salute tornando in politica. Aborrisce i gerarchi, spera in una rivoluzione universale che smascheri i ladri. Lo di-sgusta il fatto che si accettino, tacendo, angherie, umi-liazioni, prepotenze, solo perché, dicendo pane al pane e vino al vino, si finirebbe col danneggiare la combriccola e guastare l’obiettivo politico. Per ora sembra che non si possa fare che assistere al furto e tacere. Il 12 febbraio 1955 denuncia al Prefetto di Forlì il pos-sesso di una pistola automatica per difesa personale, a ripetizione ordinaria di calibro non superiore a 7,65. Da tempo l’aveva. Il 15 gennaio 1956 risponde a una lettera di Natale Ven-turini del 4 gennaio, in cui questi diceva che dopo aver

dato le dimissioni dal Partito repubblicano nel 1948, aveva deciso, nel 1953, di aderire al Partito socialista, perché aveva capito che dopo trent’anni di repubblicanesimo e due guerre mondiali, le posizione del Pri erano meglio rap-presentate dai socialisti.

Grido apprezza il fatto che un repubblica-no, invece di passare alla destra, sia pas-sato alla sinistra. Ma gli confida anche l’intenzione di non voler rinnovare la tes-sera del Psi (ferma alla quarantanovesi-ma) e di voler finire i suoi giorni tra gli anarchici, con un bisogno di libertà senza limiti. Ce l’ha in particolare coi «gerarchetti lo-cali» (comunisti e socialisti), che lo han-no ostacolato in varie maniere, ingrati del fatto ch’egli, con altri quattro compa-gni, aveva redatto il primo manifesto per il primo CLN (26 luglio 1943), di cui ave-va tenuto la presidenza fino alla Libera-zione «ritirandomi, poi, come è mio co-stante costume, quando fiorivano i posti, le prebende ecc.». È convinto che la sinistra abbia perduto il tram come nel 1919, facendo il gioco della borghesia. Gli fa schifo l’apertura a destra dei partiti di sinistra. Secondo lui

dal 1944 al 1947 (e anche al momento dell’attentato a To-gliatti), le masse si erano mostrate responsabili: i dirigenti però le avevano tradite. Fa capire che anche nei confronti dell’ideologia materiali-stica comincia a nutrire forti dubbi, in quanto la vede trop-po vicina alle posizioni dell’egoismo borghese. Stranamente appare convinto, in una lettera del 14 aprile 1956, che gli restino pochi mesi da vivere. Deplora il com-pagno Antonio Segni perché non apre a sinistra. Si sente più vicino agli anarchici che ai comunisti. Ha conservato, forse per l’insolita notizia riportata, un vo-lantino del 4 maggio 1956, a firma del Pli di Forlì, in cui risulta che un giudice di Torino – amico e collaboratore di Piero Gobetti, il fondatore di «Rivoluzione liberale» – si era suicidato per aver fatto parte di un Collegio giudicante che aveva con-dannato a vari anni di carcere un im-p u t a t o da lui ritenuto i n n o -c e n t e . Si era deciso a q u e s t o p e r c h é non era riuscito a convincere i suoi colleghi. Non si sa dove pubblicato o a chi inviato, ma tra le sue carte esiste un suo articolo firmato I socialisti (di Riccio-ne), è intitolato Speculazione indegna. Rammentiamo a Fanfani e ai fanfaroni a proposito di… Stalin. La data è quella del 20 maggio 1956.

GRIDO AD MANGHINOT di Enrico Galavotti

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Parte 23^

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Gli fa schifo l’apertura a de-stra dei partiti di sinistra. Secondo lui dal 1944 al

1947 (e anche al momento dell’attentato a Togliatti), le masse si erano mostrate re-sponsabili: i dirigenti però le

avevano tradite.

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1. Stalin è stato deposto dagli altari del comunismo per gli errori commessi in vita, ed è stato fatto appena tre anni dopo la sua morte. I clericali invece non hanno mai fatto la stessa cosa nei confronti dei loro delinquenti, neppure a distanza di secoli. 2. Giordano Bruno, Girolamo Savonarola, Arnaldo da Brescia, Giovanni Huss e mille altri innocenti (non comu-nisti ma credenti e devoti a Dio in forma non proprio dogmatica) sono stati arrostiti vivi, sulle piazze d’Italia per ordine dei papi, e nessuno dei falsi cristiani d’oggi, dopo secoli, ha ancora condannato quei papi, rivendican-do la memoria di quei grandi martiri. 3. Francisco Ferrer, pensatore e filosofo spagnolo, circa mezzo secolo fa fu assassinato per ordine di un altro Stalin del Vaticano. 4. La Notte di san Bartolomeo, la Santa Inquisizione e altre orribili tragedie del fosco Medioevo clericale non sono state opera dei comunisti. 5. Se si vuole essere «democratici» e «cristiani», biso-gna dichiarare «fuorilegge» Ignazio di Lojola e Tomaso Torquemada, che uccidevano uomini donne vecchi e bambini, sani o malati, ritenuti rei o innocenti, solo per-ché «atei» (li chiamavano «eretici») o di altre religioni o comunque per-ché «non pro-strati ai piè del padrone cleri-cale». 6. Il generale Franco è un dittatore di fede cattolica che ha distrut-to in Spagna la libertà e la de-mocrazia, ha sterminato i suoi avversari politici, li tiene in galera da vent’anni o sono dovuti scappare in esilio. 7. Hitler e Mussolini, il primo con le sue camere a gas, il secondo coi suoi Amerigo Dumini, Albino Volpi, Rodolfo Graziani, non sono stati solo dittatori ma anche assassi-ni. 8. Grido considerava Giacomo Matteotti il più grande dei martiri socialisti, ma qui ha parole di riguardo anche per don Minzoni e per tutti gli ebrei. E invece critica il defun-to cardinale di Milano [Alfredo Ildefonso Schuster] che «nascose sotto la sua lunga tunica l’Inviato dalla Provvi-denza [Mussolini], onde evitargli la sacrosanta vendetta del popolo».2) 9. La Dc ingrandisce gli errori della Russia comunista e rimpicciolisce quelli nostrani, di sua legittima pertinenza, come p.es. il caso Cippico. 3) 10. Gesù Cristo non aveva nemici, non odiava nessuno, amava tutti gli uomini, prima e più ardentemente gli av-

versari che i suoi discepoli. 11. Roosevelt, Truman e Churchill stimarono Stalin per l’energia con cui combatteva il nazismo. 12. Tutti i lavoratori sfruttati sanno bene che la rivoluzione russa è la più grande rivoluzione di tutti i tempi e luoghi e temono il suo fallimento. 13. I socialcomunisti in Italia sarebbero già al governo se non esistesse «la tortura morale-religiosa con cui i clericali raccolgono milioni di voti delle nostre povere donne». 14. Critica duramente Roberto Farinacci «ex-vice sottoca-postazione di Roccacannuccia, diventato poi, per virtù lit-toria, grande avvocato penalista semi-analfabeta, finito in Piazzale Loreto per virtù di popolo accanto a Mussolini»; proprio lui «si trovò a difendere gli assassini confessi di Giacomo Matteotti, assolti, per virtù littoria, prima ancora del processo». 15. Per concludere rivendica il diritto di critica e lo nega ai democristiani. Insieme ad altri 19 capi-famiglia, Grido, il 14 giugno 1956, chiede all’Amministrazione comunale di provvedere ad a-sfaltare il viale Cavour (una traversa di viale Ceccarini), sede della sua abitazione e del suo ufficio, poiché quando pioveva diventava impraticabile. L’istanza era già stata presentata sin dal 1946 e viene rin-novata il 29 maggio 1957, con 38 firmatari. Allora si fece

addirittura un e-sposto rivolto al Prefetto, in quanto in dodici anni non era stato fatto nul-la, mentre per altre vie, anche periferi-che o rurali, era stato provveduto alla massicciata con idonea asfalta-tura. Il Comune rispose

che entro il 1958 avrebbe sistemato il viale. Ma il 7 febbra-io 1959, sistemato il viale, Grido chiede che il Comune provveda a realizzare la fognatura per lo scolo delle acque. I sottoscrittori della richiesta sono disposti a pagare i tubi per i condotti sotterranei. 1) Carica importante e redditizia nella pubblica amministrazione. 2) Si riferisce al fatto che alla caduta della Repubblica Sociale Ita-liana Schuster promosse un incontro in Arcivescovado tra Mussoli-ni e i rappresentanti partigiani, nel tentativo di concordare una resa senza spargimento di sangue. Propose anche a Mussolini di fermarsi in Arcivescovado, sotto la sua protezione, per poi conse-gnarsi agli Alleati. Il Duce però rifiutò, preferendo tentare la fuga. 3) Si riferisce a delle operazioni fraudolente in valute straniere, che diedero luogo al famoso processo giudiziario contro Mons. Cippico: chi non riusciva ad ottenere valuta dall'Ufficio Italiano Cambi si rivolgeva al Vaticano, il quale si faceva pagare in propor-zione alla severità dei controlli effettuati dallo Stato e provvedeva anche a far accreditare all'estero le somme di cui riceveva il corri-spettivo in lire italiane.

(Continua da Pag. 7) - GRIDO AD MANGHINOT

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L’Art 12 dello Statuto del MAR, cita: I proventi coi quali il M.A.R. provvede alle proprie attività, sono: a) le quote volontarie dei soci; b) i contributi di Enti e privati; c) le eventuali donazioni; d) i proventi di gestione o iniziative permanenti od occasionali. Come già ci è stato chiesto, pubblichiamo il numero di conto bancario dell’Associazione. Qualora qualche simpatizzante o sostenitore delle ragioni della Romagna volesse sottoscrivere,

aiutando tutti nell’impegno che dura da oltre vent’anni, lo po-trebbe fare serenamente, poiché tutti i nostri introiti vengono registrati nei rendiconti che, con l’etica del vecchio galantuomo romagnolo, mettiamo a disposizione di tutti gli associati. Le coordinate bancarie del Tesoriere del MAR (Sig. Bruno Casta-gnoli) sono: Cassa di Risparmio di Cesena IBAN: IT02 U061 2023 901D R001 1204 100

Il M.A.R. è un movimento trasversale alla politica al quale aderiscono uomini e donne sia di destra che di sinistra, ma con un comune sentire: “l’istituzione della Regione Romagna”. Il M.A.R. non beneficia di finanziamenti pubblici e tantomeno è sponsorizzato dalla politi-ca, ma sono i suoi aderenti a sostenerlo nelle proprie iniziative. Finora gli aderenti che lo sostengono sono quasi esclusivamente i com-ponenti il Comitato Regionale, e la cosa diventa sempre più, per loro, abbastanza onerosa.

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C’è troppa ipocrisia sui temi della famiglia: credo che il dibattito su queste problematiche, che investono il priva-to di ciascuno, debba proseguire ben oltre l’approvazione della recente legge sulle unioni civili degli omosessuali d’ambo i sessi. Probabilmente il tutto poteva risolversi in minor tempo, se non ci fossero state intromissioni ideolo-giche, dei contrari, da una par te , d i ca ra t te re “trasgressivo, quasi violen-to”, dei favorevoli, dall’altra parte , che puntano all’estremizzazione dei “diritti” sempre e comun-que e ad ogni costo. Peral-tro manca ancora il quadro economico dei costi di que-sti “diritti”, passato sotto gamba, che saranno oltre-modo ingenti. Questo vale anche per i matrimoni tra persone anziane e “badanti”. Certo, la potenza di “fuoco” di quanti sostengono l’estensione dei “diritti” è altissima, coadiuvata spesso dalla miscela “esplosiva” dell’“omofobia” e dagli innume-revoli fatti di sangue e di violenza efferati verso le donne, fatti usati dai media per ragioni che non hanno a che fare con la corretta informazione. Non vogliamo togliere nulla, ma esagerare con la spettacolarizzazione, può recare solo danni alla vera “causa” delle donne, che spesso con sem-plici misure cautelative di prevenzione si potrebbero sal-vare. La gelosia è una costante nei rapporti umani e non crediamo che questa legge sui “sentimenti” abbia risolto alcunché. Problemi purtroppo vi saranno anche nei nuovi nuclei omosessuali, che diventeranno “fattacci”: le “gelosie” che intercorrono tra le coppie eterosessuali ci saranno anche all’interno di questi nuovi nuclei, che non saranno certamente “migliori” dei nuclei famigliari tradi-zionali. Neppure è da credere che i milioni di famiglie tradizionali, che da sempre vivono e convivono tranquillamente in Italia e negli altri paesi, per forza di questa legge, cam-bieranno le loro abitudini che, nella stragrande maggio-ranza dei casi, consistono nel mandare avanti la loro fa-miglia crescendo al meglio i loro figli, con pochi aiuti da parte dello Stato e della Società e, soprattutto, nell’assoluto silenzio dei “Media”, poiché non fanno Au-

dience. Questo, a prescindere dalla nuova legge approva-ta. Legge, che comunque, ha il merito di sanare una mol-teplicità di situazioni che, appunto, così verranno in emer-sione e qualche ipocrisia sarà superata. Questa legge ri-guarda la vicenda dei “diritti civili” di ciascuno, che tra-scende in ogni caso da ogni forma di Affitto dell’Utero e di

sperimentazione genetica. La stessa possibilità di adottare bambini da parte dei nuovi nuclei omosessuali è altra cosa. Questa possibilità ov-viamente dovrà essere valu-tata attentamente, caso per caso, perché smisurate sono le molteplicità dei casi, che difficilmente possono essere compresi da una legge. Quello che dovrà assoluta-mente essere impedito con

estrema chiarezza è il ricorso all’affitto dell’Utero. Già qualcuno lo ha sperimentato e qualche Giudice, non limi-tandosi ad applicare la legge, la “aggira”, adducendo moti-vi che non possono essere lasciati alla sua competenza. Ogni giorno ci sono decine di aborti “legittimi”, per i motivi più vari, vedi quelli delle Prostitute: lo Stato cerchi di sal-vare qualcuno di questi figli, introducendo forme concrete di aiuto alle Donne. Poi qualcuno di questi, sarebbe bene darli in adozione semplificando le procedure, senza passa-re dalle forche caudine di “interessi costituiti” inammissibi-li. Lo Stato deve dare risposte ai diritti naturali legittimi, ma deve altresì astenersi dal dare la stura a vergogne econo-miche ben peggiori del traffico dei clandestini. Assoggetta-re le Donne povere alle pratiche di affitto dell’Utero per vil denaro e per pura prepotenza di una “Casta di ricchi” che, per appagare il loro smisurato edonismo, possono permet-tersi tutto e, forse, molti di questi sono gli stessi che si oppongono alla vivisezione o alle sperimentazioni geneti-che sugli animali per usi scientifici razionali a favore della Ricerca: quella svolta correttamente per la tutela della sa-lute pubblica, seguendo precise normazioni. Vorrebbero applicare queste pratiche alle Donne povere, che vi si pre-stano per sopravvivere, come altri lo fanno donando organi ecc. ecc. Noi crediamo, sia meglio dare a queste Donne povere, altre opportunità.

DIBATTITO APERTO SULLA FAMIGLIA di Valter Corbelli

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L’oroscopo di Albino Orioli

Mercoledì scorso, giorno di mercato, io e mia moglie siamo venuti giù a Rimini per fare delle compere. Prima di inizia-re il giro fra le bancarelle, ci siamo fermati in un bar a prendere un caffè. Su di un tavolo c'erano tre quotidiani e due giornali sportivi. Mia moglie, che è appassionata di oroscopi, li ha voluti leggere tutti. Ebbene, dopo averli letti l'ho vista sorridere pensando che aves-se trovato un oroscopo fortunato. Al contrario, mi ha detto che li aveva letti ma l'uno al contrario dell'altro. Nessu-no dei cinque diceva le stesse cose. Anch'io mi sono mes-so a ridere dicendole che gli astrologi dovrebbero scrivere le stesse cose o almeno qualche cosa di uguale se è vero

che gli astri da loro interpellati riservano loro le notizie del giorno, fortunate o meno fortunate. Le ho fatto notare che bisogne-rebbe leggerne sempre uno solo di orosco-pi, riportato dallo stesso quotidiano, in modo da non creare confusione nella pro-pria mente. Certo, gli astrologi fanno il loro mestiere e scrivono quello che dicono loro gli astri. Può darsi che qualcuno di loro abbia una propria visione o capti cose e che un collega ne riceva altre. Insomma, se uno dovesse dar retta agli oroscopi, penso che sarebbe sempre fuori strada. Questa, naturalmente, è la mia convinzio-ne ed è intesa a non inficiare il lavoro di nessuno di questi studiosi delle stelle. La stessa cosa si può collegare alle previsioni

del tempo, dove i meteorologi spesso e volentieri sbaglia-no le loro previsioni prendendosi tanti accidenti.

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A distanza di un mese dall'inaugurazione della mostra "Piero della Francesca. Indagine su un mito", è possibile tracciare un primo bilancio della mostra e, soprattutto, descriverla con cura dopo averla visitata ed analizzata più volte.

L'adesione del pubblico a tale mostra è stata superio-re alle attese, con 11.000 visitatori nelle prime due settimane, fatto prevedibile data l'importanza di Piero nel panorama artistico ita-liano. Sembra incredibile che que-sto straordinario artista ri-nascimentale, definito dal contemporaneo Luca Pacioli "il monarca de la pittura", che aveva operato alle corti di Papa e principi, possa essere stato dimenticato addirittura per diversi seco-li, fino agli inizi del novecen-to, quando è stato riscoper-

to grazie a studiosi come Bernard Berenson, Adolfo Ven-turi e soprattutto Roberto Longhi, il grande critico d'arte a cui si deve, nello stesso periodo, la riscoperta di Cara-vaggio. Qualche timido segnale di interesse si era manifestato a fine settecento e nel corso dell'ottocento, grazie ad alcu-ni studiosi italiani e, soprattutto, a studiosi stranieri, ma saranno due importanti opere del Longhi: il saggio "Piero dei Franceschi e lo sviluppo della pittura veneziana" del 1914 e la monografia su "Piero della Francesca" del 1927 a riportare l'attenzione su questo straordinario artista. La mostra allestita nei musei di San Domenico, a Forlì, diventati ormai, da più di 10 anni, punto di riferimento per gli appassionati d'arte, si articola su più sale, parten-do dalle salette al piano terra, ricche di documentazione e con preziosissimi testi antichi di grande valore. Le opere principali sono però al primo piano, precedute da due grandi pannelli provenienti da Parigi, che domina-no il grande scalone, e che riproducono, ad olio su tela,

parte degli affreschi rea-lizzati da Pie-ro ad Arezzo, con scene della Leggen-da della Vera Croce. Non ci si de-ve aspettare, però, la solita mostra mo-n o g r a f i c a

ricca di opere dello stesso autore a cui l’esposizione è intitolata, in questo caso Piero della Francesca. Piero, infatti, ha dipinto grandi cicli di affreschi, come ad esempio la leggenda della Vera Croce ad Arezzo, la Re-surrezione di Sansepolcro e l'affresco del Tempio Malate-stiano di Rimini, ma un numero limitato di pitture su ta-vola, tesori preziosi per i musei che le custodiscono e che non sono disponibili a prestarli agli organizzatori di mo-stre.

Una sola opera importante e di grande formato è presente in mostra a Forlì: il pannello centrale del Polittico della Mi-sericordia con la Madonna della Misericordia, concessa dal museo civico di Sansepolcro, in cambio di un accordo che prevede il prestito a Sansepolcro di un'opera presente in mostra a Forlì, quando l’esposizione sarà terminata. Le altre tre opere di Piero, presenti a Forlì, sono "San Ge-rolamo e un devoto", "Santa Apollonia" e "La Madonna col Bambino" proveniente da Newark, la cui autenticità è stata messa in discussione da Vittorio Sgarbi, in visita alla mo-stra, ma certificata come autentica, a suo tempo, addirit-tura dal Longhi. Perché quindi intitolargli la mostra? La risposta è semplice. La mostra infatti descrive in manie-ra precisa e grazie ad un nutrito gruppo di opere di straor-dinario valore artistico, l'influenza esercitata da Piero della Francesca non solo sui suoi contemporanei quali Paolo uccello, Andrea del Castagno, Domenico Veneziano, Filippo Lippi ed il Beato Angelico, per citarne solo alcuni, ma anche su diversi artisti dei secoli successivi. Particolarmente importante è infatti il fascino esercitato da Piero sui pittori dell'ottocento ed in particolare sui Mac-chiaioli fiorentini. Basti pensa-re, a titolo esemplificativo, al grande capolavoro di Silvestro lega: "Il canto di uno stornel-lo" (presente in mostra) che ritrae le tre sorelle Batelli che cantano, mentre una di loro suona il piano, nell'atmosfera rarefatta di un pomeriggio d'estate. Quest’immagine ci ricorda le figure di Piero, pacate e solenni, dell'adorazione del Sacro Legno e dell’incontro di re Salomone con la Regi-na di Saba negli affreschi di Arezzo. Lo stesso potrebbe dirsi delle ricamatrici dipinte da Adriano Cecioni, immerse in uno spazio ed un’atmosfera sospesa che ricorda la luminosità diffusa di alcune opere di Piero. L’influenza di Piero della Francesca si estende anche ai pit-tori francesi, contemporanei dei Macchiaioli, quali Degas e Seurat, sicuramente affascinati anche dalle due grandi co-pie degli affreschi aretini conservati alla Scuola delle Belle Arti di Parigi e che, attualmente, fanno bella mostra di sé, nello scalone che porta al primo piano della mostra.Ma l'in-fluenza di Piero non si ferma qui. Come già detto la definitiva rivalutazione di Piero della Francesca avviene nel 900 grazie a grandi critici come Be-renson, Adolfo Venturi ed il Longhi che scrivono importanti trattati storici e critici sulla storia dell'arte italiana. L'opera più importante relativa a tale periodo, e presente in mostra, è il ritratto di Silvana Cenni, realizzato da Felice Casorati e spesso accostato alla Madonna della Misericor-dia anche nei pannelli che decorano le pareti esterne del museo e nei pieghevoli illustrativi della mostra. Particolarmente importante e ricca, e legata alla luminosità delle opere di Piero, è la produzione artistica di Giorgio Morandi a cui è dedicata un'ampia sezione della mostra. Non si possono non citare, infine, Balthus che venne in Italia per studiare, grazie alla generosità di un ricco mece-nate, le opere di Piero come la Resurrezione e gli affreschi di Arezzo e l'americano Edward Hopper a sua volta colpi-to dal fascino di Piero.

Arte in Romagna a cura del Prof. Umberto Giordano

PIERO DELLA FRANCESCA

Anno VIII - n. 03-04

Marzo-Aprile 2016

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E’ STÂMP Listès che un stâmp d lègn d pér dlèt par tnì’ böta Sòta e’péš de mazôl pr al tvaj dla fësta, Listès che i frut in faza a la timpësta Da bur a bur ad dè cumpâgna d nöta. La vita par la pêz ch’la pê una löta, La libartê d pinsê’ cun la su tësta, L’ešẽmpi de lavór, la faza unësta, La schẽna drèta, e’côr e la féd ciöta. Sèmpar pracìš e sèmpar difarẽñt, Parôla dêda còma un sas tiràt Ch’i n’ tórna indrì e i n’ câmbia cun e’vẽñt, Sèmpr e’pinsìr d dê da magnê’ a i su fiùl, Bab u s è aviê e us à lasê e’ritràt D un galatöm: e’stâmp di Rumagnùl.

L’angolo della Poesia - E’ cantóñ dla puišèja a cura di Cincinnato

[email protected]

Questo sonetto è dedicato alla memoria dell’On. Stefano Servadei. Il giorno dei funerali, durante la cerimonia religiosa, diverse persone hanno preso la parola per ricordarlo: autorità, il sindaco, Angelucci... Da ultima si è avvicinata Laura Sansovini, del C.D. del MAR, che ha chiesto di presentare 3 versi di un poeta romagnolo che voleva restare anonimo ed ha estratto dalla tasca un bigliettino. Il nostro Zizarone ha memorizzato quei 3 versi e ha pensato che potevano essere la degna chiusura di un sonetto da comporre in onore e in memoria di quel galantuomo romagnolo scomparso. Bastava trovare un incipit e il resto sarebbe venuto da sé: facile da pescare nel lungo elenco delle virtù di Servadei. A fare da starter è stata l'idea di una allegoria di ambientamento tipicamente nostrano: le tele romagnole, stampate ar-tigianalmente con stampi scavati in pezzi di robusto legno di pero in grado di resistere ai colpi di un altrettanto energico mazzuolo di legno. Di lì il passaggio naturale alle robuste qualità morali di Servadei e al suo tenace attaccamento alle regole romagnole che devono guidare il comportamento del galantuomo, la parola che più di ogni altra rappresenta una efficace sintesi di tutte le buone qualità. Non ha importanza sapere chi aveva allungato a Laura il bigliettino con quei 3 versi; ormai sono patrimonio dell'umanità romagnola. Altro che UNESCO!

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Due momenti dell’onoranza funebre durante il rito

religioso dell’On. Stefano Servadei

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I CUMON DLA RUMAGNA: Tirat zo da Wikipedia e etar da Ugo dagl’ Infulsěn

Meldola

Dati amministrativi

Altitudine 58 m. s.l.m.

Superficie 79,08 kmq.

Abitanti 10.052 (31.12.2014)

Densità 127,11 ab/Kmq.

Frazioni Piandispino-Valdinoce, Ricò-Gualdo, San Colombano, Teodorano, Vitignano

Meldola (Mèdla in romagnolo) è un comune della provin-cia di Forlì-Cesena. Tracce e ritrovamenti indica-no che il territorio è stato frequentato e abitato fin dalla preistoria. Un probabile abi-tato dell'età del bronzo re-cente, è venuto alla luce nel corso di scavi archeologici del 2007/2008. Durante l'epoca romana il territorio in cui sor-se poi Meldola fu attraversato da un acquedotto, ancora esistente nel sottosuolo dell'abitato, destinato a rifor-nire il porto militare di Classe a circa 40 km. Resti di ville rustiche tardo romane sono attestati nella zona di Ca Gaiani e in altri punti del terri-torio. Nel V-VI secolo vi fu costruita una grande villa fortificata di epoca teodoriciana, con ambienti decorati da mosaici policromi, sepolta da una frana dopo essere stata di-strutta da un incendio e sulla quale sorge parte del cen-tro storico. Intorno all'anno 1000 è attestato per la prima volta il nome di "Mendola". In questo periodo sorse il castello che domina l'abitato. Il centro passò ai Malatesta di Cesena e fu quindi in pos-sesso degli Aldobrandini e dei Doria Landi Pamphili. Ebbe un certo sviluppo per il mercato della seta, rimasto attivo fino agli inizi del XX secolo. Meldola vide l'abolizione del feudo con l'arrivo dei napoleonici, il ritorno allo Stato Pontificio nel 1815 e in seguito l'annessione al regno d'I-talia. Il 7 settembre 1862, con decreto regio, le venne accordato il titolo di città. Lo sviluppo economico portò alla costruzione di un picco-lo teatro d'opera e alla creazione della tranvia per Forlì, poi soppressa nel 1930. Fu capoluogo di un mandamento e sede di un tribunale locale e delle carceri. L'ospedale civile creato nel XVI secolo ebbe una nuova sede negli anni settanta, ristrutturata ancora nel 2007 e dotata di un centro di ricerca per lo studio e la cura dei tumori so-

lidi, l'IRST. Meldola ha diversi monumenti ed architetture interessanti,

fra i quali: 1) Il loggiato Aldobrandini, inte-ressante esempio di loggiato rina-scimentale a due piani, sorge su un lato della piazza dedicata a Fe-lice Orsini. 2) Il ponte dei Veneziani, a 5 arca-te a tutto sesto, è forse databile ai primi anni del Cinquecento; ha perso parte dell'aspetto originario perché distrutto durante la secon-da guerra mondiale. Poi grazie all'intervento del geometra Mario Maldini e della sua equipe è stato

restaurato allargandone la carreggiata e rinforzandola con parti in cemento armato celate dai blocchi di finitura. Lo stesso Maldini, in un articolo su La Piê, rivista fondata dal poeta e politico italiano Aldo Spallicci, ha affermato che il Ponte dei Veneziani potrebbe risalire al tempo degli anti-chi romani, in quanto ricopre le vestigia dell'acquedotto

traianeo: «I Veneziani, nell'anno 1500, secondo alcuni, o nell'anno 1200, secondo altri, restaurarono il ponte già esistente, come del resto è avvenuto anche recentemente dopo le distruzioni della grande guerra mondiale.» Da La piê, n. 155, p. 82.

Nome abitanti Meldolesi

Patrono San Nicolò

Posizione del comune di Meldola all'interno della provincia di Forlì-Cesena

(Segue a Pag. 13)

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3) Nel Basso Medioevo il bosco di Scar-davilla era sede di monastero i cui edifi-ci sono ancora esistenti (col nucleo anti-co di Scardavilla di Sotto e la più recen-te Scardavilla di Sopra) con la chiesa Settecentesca restaurata tra le due Guerre Mondiali.

4) Chiesa della Madonna del Sasso; è una delle chiese più antiche di Meldola. Tuttora sconsacrata, risale al 1523 e presenta una facciata scarna, ma ele-gante nel complesso.

5) La Rocca di Meldola, sorge su uno sperone di roccia che domina il borgo dall'alto. Probabilmente risalente all'anno 1000, la Rocca è stata teatro di dominazione dei Montefeltro prima, de-gli Ordelaffi e dei Malatesta poi.

6) Il Castello con nucleo medievale di Castelnuovo, in località Castelnuovo di Meldola, si trovava su un'altura all'imbocco del Torrente Voltre col Fiume Bidente. Oggi troviamo i resti della Pieve i resti del nucleo fortificato e alcune abitazioni diroccate. Di una certa importanza in epoca medievale.

7) La Rocca delle Camina-te, è un bastione difensi-vo e di avvistamento sito

nella omonima frazione a pochi chilometri dal Comune di Meldola. Edificato sulle ceneri di un precedente avampo-

sto militare deve l'aspetto originario alla ricostruzione del 1929: divenne abitazione ufficiale di Benito Mussolini, che vi ospitò personaggi di rilievo storico a ca-vallo delle due Guerre Mondiali.

8) Il Castello di Teodorano, sorge anch'esso fuori Meldola, nella fra-zione di Teodorano appunto. È il classico esempio di borgo fortifica-to, dotato di imponenti e resistenti mura che proteggono la chiesa e la piazza del piccolo centro. Della originaria costruzione cinquecen-tesca rimangono la torre civica e parte delle mura. Nei primi anni del Cinquecento vengono atterrate

le mura da maestranze inviate da Cesare Borgia per ren-dere inoffensivo il sito. Ciò che oggi rimane è quanto resta dopo i bombardamenti subiti durante la seconda guerra mondiale.

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LETTERE AL DIRETTORE Signor direttore, ci risiamo; dopo il Natale tornano i veti alle tradizioni cristiane della Pasqua. Il Tar dell'Emilia-Romagna il 10 febbraio scorso ha accettato il ricorso di alcuni insegnanti, genitori e Comitato scuola e Costituzione, contro la delibera di un Istituto di Bolo-gna che autorizzava le benedizioni di rito. Una sentenza senza precedenti giurisprudenziali che, in sintesi, a detta dei giudici, non è indifferenza religiosa ma imparzialità per tutti i culti; la scuola è laica e, “è stato affermato un principio costituzionale”, conviene una docente. Per quanto mi riguarda è l'ennesimo esempio di cristianofobia che nega ai bambini italiani di festeg-giare. E' tipico della sinistra alludere al rispetto di tutte le Con-fessioni religiose; un alibi reiterato più volte per favorire l’apertura delle moschee. Mentre in Tunisia ne chiudono 80 per rischio terrorismo, in Italia le promettono in campagna elettora-le nonostante gli allarmi e in ossequio alla Corte Costituzionale che ha bocciato la legge lombarda sulle stesse. Ed è paradossa-le che per queste ambigue apostasie si impongano agli alunni della scuola media A. Pertile di Agordo (Bl), su iniziativa della docente di religione, un incontro con un imam che parlerà di Islam all'insegna di <aprire la scuola alla dottrina musulmana per la maturazione degli alunni nella tolleranza, rispetto, acco-glienza e solidarietà> (sic). Il classico tema buonista. Dialogo interreligioso o, forse, un esperimento su adolescenti immaturi e suggestionabili. Stupisce, a mio avviso, il consenso dell’Autorità religiosa locale pur lamentando lo scarso interesse per l’ora di religione. Ma forse tiene conto dell’incontro che il Santo Padre avrà al Cairo con il Grand Imam di Al-Azhar. Ecco allora “l'ora di religione islamica” secondo il canone di sinistra e la buona scuola renziana, una piaggeria spacciata per evoluzio-ne culturale; e perché non anche con le altre Confessioni ? Un modus operandi collaborazionista non condivisibile; un sospetto

è lecito. Comunque presumendo che il nuovo ramo di studi nella scuola media in questione e, forse di altre, avrà un seguito, con avvi-cendamento di altri, cosa insegneranno questi imam ? Credo ini-ziando a condannare l’islamofobia che qualcuno definisce una scu-sa contro la libertà di espressione e che l’Islam è una religione di pace con esplicito invito ad aderirvi in linea con la Da'wa, un do-vere per un credente islamico. E il ruolo della donna che deve essere sottomessa, indossare il velo e quant’altro prescrive il Co-rano. E, forse, delle spose bambine e dei matrimoni combinati con minori di 12/13 anni come è usanza da loro. Un argomento che, forse, indurrà qualche deputato”riformista” a proporre un ddl ad hoc per “adattare” l'età dell’emancipazione minorile per dribblare il reato di pedofilia. Deploreranno lo studio della Divina Commedia per il Canto XXVIII offensivo verso il Profeta Maometto? Non so; ma sono veramente sconcertato nel constatare l'indifferenza sull'espansione islamica in Occidente, così supportata nonostante le messe in guardia dal pericolo, che da decenni lanciano intellet-tuali insigni e saggi prelati come fecero il Cardinale Giacomo Biffi (30/09/2000); Oriana Fallaci e Ida Magli, l’antropologa recente-mente mancata; e fanno i tanti scrittori nostri e di Paesi musul-mani che hanno esperienze dirette e la scrittrice Bat Ye'or, illustre studiosa con il suo “Il declino della cristianità sotto l’Islam”. Tutti concordi sulle mire islamiche per il dominio sugli “infedeli” per assoggettarli con le buone o con le cattive. La distruzione delle Torri Gemelle a New York l'11 settembre 2001 ha dato un nuovo inizio al terzo millennio in un crescendo di attentati nel mondo. Tutto questo evidenzia l’irresponsabilità e la pochezza di certi co-siddetti Grandi della Terra per le espressioni, a volte, superficiali e le sceneggiate di manifestazioni dopo le stragi dove le vittime sono cittadini inermi. Ma non è escluso che, prima o poi, arrivi per loro il redde rationem. Cordiali saluti. Sergio Villa - Cesena

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Archivio fotografico di Bruno Castagnoli

Bertinoro

22.12.1991

Romagnolisti presenti ad

una trasmissione di RAI 3

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Marzo-Aprile 2016

Immagini dello Stand del M.A.R. alla Fiera di Pievesestina “Sono Romagnolo” del 26.02.2016