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Rassegna Stampa del giorno 4 Marzo 2013 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 pagina1 via Modena, 5 - 00184 ROMA Tel. 06.4746351 - Fax 06.4746136 e-mail : [email protected] Sito: www.fiba.it Aderente alla UNI (Union Network International), alla CES (Confederazione Europea dei Sindacati) e alla CISL Internazionale R R A A S S S S E E G G N N A A S S T T A A M M P P A A L L L U U U N N N E E E D D D Ì Ì Ì , , , 4 4 4 M M M A A A R R R Z Z Z O O O 2 2 2 0 0 0 1 1 1 3 3 3 U N A F O R I S M A A L G I O R N O : «Buona parte dellarte della diplomazia consiste nel non dire nulla, specialmente quando stiamo parlando!» (Will Durant) BANCHE/LAVORO Da Intesa 10 miliardi per le P.M.I. .................................................................................. 2 ECONOMIA: PRIMO PIANO Tobin tax e bolli: incroci pericolosi ................................................................................. 3 Tensioni in arrivo da Iva e materie prime ...................................................................... 4 La crescita lenta dei salari Sotto la media di Eurolandia ............................................. 5 Stipendi d’oro ai manager Lo schiaffo della Svizzera ................................................... 6 Conti pubblici Un sentiero sempre più stretto .............................................................. 7 Bot in tensione, ma avari Meglio il 3% dei salvadanai .................................................. 9 Borsa: I certificati per approfittare dei saldi improvvisi .............................................. 10 Le nostre buste paga dodicesime in Europa in Germania guadagnano il 14% in più......................................................................... 11 Oggi l’Eurogruppo sulla crisi di Cipro i ministri discutono delle elezioni di Roma .................................................................. 12 L’industria tedesca vede l’Italia fuori dall’euro............................................................. 13 Decrescita ed energia verde le ricette della Grillonomics ............................................ 14 Due sole aliquote Irpef e in caso di emergenza mini-patrimoniale all’1%.............. 16

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Aderente alla UNI (Union Network International), alla CES

(Confederazione Europea dei Sindacati) e alla CISL Internazionale

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U N A F O R I S M A A L G I O R N O :

««BBuuoonnaa ppaarrttee ddeellll’’aarrttee ddeellllaa ddiipplloommaazziiaa

ccoonnssiissttee nneell nnoonn ddiirree nnuullllaa,,

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BANCHE/LAVORO Da Intesa 10 miliardi per le P.M.I. .................................................................................. 2

ECONOMIA: PRIMO PIANO Tobin tax e bolli: incroci pericolosi ................................................................................. 3 Tensioni in arrivo da Iva e materie prime ...................................................................... 4 La crescita lenta dei salari Sotto la media di Eurolandia ............................................. 5 Stipendi d’oro ai manager Lo schiaffo della Svizzera ................................................... 6 Conti pubblici Un sentiero sempre più stretto .............................................................. 7 Bot in tensione, ma avari Meglio il 3% dei salvadanai .................................................. 9 Borsa: I certificati per approfittare dei saldi improvvisi .............................................. 10 Le nostre buste paga dodicesime in Europa in Germania guadagnano il 14% in più ......................................................................... 11 Oggi l’Eurogruppo sulla crisi di Cipro i ministri discutono delle elezioni di Roma .................................................................. 12 L’industria tedesca vede l’Italia fuori dall’euro ............................................................. 13 Decrescita ed energia verde le ricette della Grillonomics ............................................ 14 “Due sole aliquote Irpef e in caso di emergenza mini-patrimoniale all’1%” .............. 16

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Da Intesa 10 miliardi per le P.M.I.

Intesa Sanpaolo e Piccola Industria di Confindustria hanno sottoscritto un nuovo accordo per facilitare

l'accesso e la continuità del credito alle Pmi, finalizzato allo sviluppo internazionale, alla crescita

dimensionale e alla nascita di nuove aziende con progetti «di qualità». L'accordo di collaborazione, il

quarto, rinnova i tre precedenti siglati negli scorsi anni e prevede un plafond di 10 miliardi di euro, di cui

200 milioni dedicati a finanziare progetti innovativi di nuove imprese.

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GGGiiiooovvvaaannnnnniii BBBaaarrrbbbaaagggeeelllaaatttaaa

Debutto Al via dal 1° marzo l’imposta sulle transazioni che dal 1° luglio si applicherà anche ai derivati Disparità Resta l'anomalia dell’aliquota maggiorata per azioni non quotate e contratti Otc

Tobin tax e bolli: incroci pericolosi

Le due forme di prelievo sono indeducibili e rendono l’investimento più oneroso Dal 1° marzo è scattata la nuova imposta sulle transazioni finanziarie, la Tobin tax, che riguarda compravendite, operazioni con strumenti derivati e operazioni ad alta frequenza aventi per oggetto titoli azionari italiani. Per i derivati, l'imposta si applicherà però solo a partire dal 1° luglio 2013. L'imposta deve essere versata in via ordinaria entro il giorno i6 del mese successivo all'operazione, ma per consentire i cambiamenti nelle procedure degli intermediari (e nelle more dell'adozione dei necessari provvedimenti attuativi dell'Agenzia delle entrate), peri trasferimenti effettuati nei mesi di marzo, aprile e maggio 2013 il versamento dell'imposta è differito al i6 luglio 2013. Al debutto sui mercati, la nuova imposta sulle operazioni aventi per oggetto titoli azionari italiani aggiunge quindi un ulteriore tassello alla già complicata tassazione delle rendite finanziarie. Ecco alcune delle criticità sinora emerse. Indeducibilità e cumulo con i bolli La tobin tax, per espressa disposizione di legge, è indeducibile e quindi non rileva ai fini della determinazione del reddito. Né rilevano a tal fine (almeno, per i soggetti diversi dalle imprese) l'imposta di bollo e l'Ivafe (per le azioni estere o detenute all'estero senza il tramite di intermediari residenti) non trattandosi di oneri "inerenti" la produzione delle plusminusvalenze (in quanto legata al possesso dello strumento e non già all'acquisto o alla cessione). L'effetto è che quando entrambe le imposte si applicano congiuntamente (per esempio, derivati con sottostante azionario e azioni quotate non incluse nella lista delle "small cap") l'investimento diviene fiscalmente più oneroso. Non quotate e contratti Otc. La Tobin tax si applica alle operazioni aventi per oggetto titoli azionari non quotati in mercati regolamentati e alle transazioni su titoli quotati (a condizione che l'emittente abbia una capitalizzazione non inferiore a 500 milioni di euro). Per le non quotate e per le transazioni Otc su titoli quotati (se non effettuate tramite l'intervento di un intermediario che si interponga tra le parti acquistando gli strumenti su un mercato regolamentato, con coincidenza di prezzo, quantità complessiva e data di regolamento) non sono però richiamate le disposizioni sulla riduzione d'aliquota del 50%, né l'esclusione prevista per le società "sottocapitalizzate". La misura agevolativa appare in senso lato discriminatoria. Va però tenuto presente che le azioni non quotate non depositate in amministrazione presso intermediari residenti non sono soggette all'imposta di bollo dell'1,5 per mille. Plurima imposizione. L'imposta è dovuta in caso di conclusione di un contratto derivato con sottostante azionario e si applica in misura fissa, a scaglioni, sulla base del valore nozionale del contratto con un massimo di zoo euro per ogni controparte per i contratti aventi un nozionale superiore a i milione di euro (tabella 3 allegata alla legge n. 228/2012). In caso di "settlement" con consegna del sottostante (azioni italiane), non di nuova emissione (che sono escluse da imposizione), si applica altresì l'imposta sulle compravendite con l'aliquota dello 0,2% e in tal caso la base imponibile è il maggiore tra il valore di esercizio stabilito ("strike") e - anche con finalità antielusive - il valore normale delle azioni determinato ai sensi del comma 4, dell'articolo 9, del Tuir. Derivati Gli strumenti finanziari derivati sono contratti il cui valore “deriva” dalla quotazione di mercato delle attività “sottostanti”, cioè varia in base all'andamento delle attività finanziarie. Si tratta di contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati («future»), «swap» e altri contratti connessi a valori mobiliari o rendimenti o ad altri indici o misure finanziarie che possono essere regolati con consegna fisica del sottostante o con il pagamento di differenziali in contanti.

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L’analisi di Ref Ricerche

Tensioni in arrivo da Iva e materie prime

Il potere di acquisto si deteriora e le famiglie cambiano abitudini nel fare la spesa. Una pratica che consente ai consumatori di neutralizzare circa un punto di maggiore inflazione sul proprio carrello, ma che ha un impatto non indifferente sulle insegne della grande distribuzione organizzata. «Negli anni recenti - spiega Donato Berardi, partner di Ref Ricerche - l'intensità promozionale è costantemente cresciuta ma la sua efficacia si è ridotta. Un clima di promozione continuativa e pervasiva, infatti, finisce per essere letta alla stregua di un ribasso dei prezzi. Il consumatore, poi, dimostra oggi una crescente infedeltà alla marca, all'insegna e al punto vendita. Tutti questi elementi hanno contribuito ad abbattere i bilanci delle imprese che oggi non riescono più - come hanno fatto in passato - ad assorbire gli aumenti della filiera». Un trend che ha portato, nel 2012, a una crescita dei prezzi di base del 2,6% con conseguenze pesanti. Ogni aumento dei listini, infatti, si risolve con un calo dei volumi quasi equivalente, cui si somma un cambiamento del mix dei prodotti e una riduzione del giro d'affari. Il quadro generale del Paese mostra indicatori congiunturali al minimo - come la fiducia delle famiglie - e una recessione dell'industria dei beni di consumo (si vedano i grafici a fianco). I segnali di tensione sul mercato, però, potrebbero peggiorare. «Nuove pressioni - aggiunge Berardi - potrebbero materializzarsi nei prossimi mesi. La produzione mondiale dei cereali, per esempio, potrebbe contrarsi del 2,7% nel 2013, mentre quella del grano de15,5%. Alle avversità climatiche - siccità in Lisa, Europa e Asia Centrale - si sommeranno restrizioni all'export in alcuni Paesi produttori, l'Ucraina per il grano e la Thailandia per il riso. E, per finire, potrebbero crescere le pressioni sulle scorte perché i consumi eccederanno sulla produzione. Tutti elementi che graveranno sull'industria alimentare che paga già costi molto alti, con un'inflazione alla produzione al 4%». Le incognite dell'aumento delle materie prime si sommeranno, dal primo luglio di quest'anno, all'aumento sull'aliquota ordinaria dell'Iva. «Tra quattro mesi - conclude Berardi - l'Iva passerà dal 21 al 22%. Questo porterà a una riduzione del Pii dello 0,1%, che corrisponde a circa 2 miliardi e a un aumento dei prezzi. Le bevande, per esempio, registreranno un incremento dello 0,6%, i prodotti di cura per la casa dello 0,8% così come quelli della cura per la persona. In generale, dunque, da luglio di quest'anno le famiglie pagheranno, per i prodotti del largo consumo confezionato, un prezzo più alto dello 0,2%». Un ulteriore aggravio per i consumatori, che già nel 2012 hanno visto il proprio reddito disponibile, in termini reali, tornare indietro alla metà degli anni '80.

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Il rapporto Istat

La crescita lenta dei salari Sotto la media di Eurolandia

MILANO - Germania batte Italia, anche nel capitolo delle buste paga. Lo hanno certificato i nuovi dati Istat, per cui la retribuzione oraria lorda italiana è inferiore del 14,6% rispetto a quella tedesca. Il confronto, però, è in termini nominali: non tiene conto dei prezzi e del potere d'acquisto. I dati - riferiti all'ottobre del 2010 e pubblicati in una rilevazione a uscita quadriennale - assegnano all'Italia il dodicesimo posto nella classifica dei salari dell'Unione Europea. Siamo sotto del 13% nel paragone con il Regno Unito e dell'imo con la Francia, mentre superiamo del 25,9% la Spagna. Il confronto riguarda le buste paga dei dipendenti che hanno un contratto a tempo pieno ed esclude gli apprendisti. Nel dettaglio l'Italia, con 14,5 euro l'ora, si colloca sotto la media dell'Unione monetaria, ma risulta superiore a quella dell'Ue. La retribuzione oraria, sempre a ottobre del 2010, è infatti pari a 14,0 euro nell'intera Unione e a 15,2 euro in Eurolandia. Nella graduatoria generale, i valori più elevati Si registrano in Danimarca (27,09 euro), Irlanda (22,23 euro) e Lussemburgo (21,95 euro); quelli più bassi in Bulgaria (2,04 euro), Romania (2,67 euro), Lettonia e Lituania (rispettivamente 3,78 euro e 3,44 euro). L'indagine Istat analizza il mese di ottobre perché sono limitati gli effetti della stagionalità e la presenza di giorni festivi.

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Cittadini contro

Stipendi d’oro ai manager Lo schiaffo della Svizzera

Vittoria dei sì nel referendum anti «gatti grassi» Magari un giorno si potrà scrivere che una pagina di storia del Vecchio Continente è stata cambiata da qualche saponetta non pagata. Thomas Minder fino a una decina d'anni fa era solo il titolare di un'impresa di cosmetici di Sciaffusa con 20 dipendenti e fornitore della compagnia Swissair. Questa nel 2001 fallì ma si scoprì che era stato premiato con un bonus di 12 milioni di franchi il suo ultimo amministratore, Mario Corti. Minder in compenso non si vide ripagate le sue forniture di articoli da toilette e da lì decise di buttarsi in politica. La parabola di Minder ha raggiunto ieri l'apice, quando il 68% dell'elettorato elvetico ha detto sì alla sua proposta di legge che introduce nonne per limitare superstipendi per manager di multinazionali, banche e società quotate in Borsa. La Svizzera, terra di affari e denaro quant'altre mai, è la prima nazione a introdurre il tetto salariale per le élite finanziarie private, in un momento in cui in tutta Europa sale l'indignazione contro i «gatti grassi» (così nella Confederazione sono popolarmente chiamati i dirigenti superpagati). Il referendum di ieri, essendo dí modifica costituzionale avrà effetto immediato e la dieta per i «gatti grassi» comincerà da gennaio 2014. In sostanza viene stabilito che gli stipendi dei vertici aziendali non potranno essere più decisi dai consigli di amministrazione ma dall'assemblea degli azionisti e verificati ogni anno in base ai risultati di bilancio. La battaglia vinta da Minder, parlamentare conservatore, ha dell'incredibile: il suo stesso partito, l'Udc, si era detto contrario alla proposta di legge così come quasi tutte le altre sigle rappresentate nel parlamento di Berna. Contro il «salary cap» si erano pronunciati anche Confindustria e il mondo bancario. «Quale manager verrà qui a giocarsi la faccia sapendo di essere pagato meno di altri suoi colleghi?», era stato il refrain in campagna elettorale da parte di chi temeva che la Svizzera sarebbe di colpo divenuta meno seducente per gli investitori di tutto il mondo. L'ex imprenditore di cosmetici di Sciaffusa ha invece tirato dritto per la sua strada e ieri ha raccolto i consensi maggiori proprio in alcune delle principali piazze d'affari del Paese: il 72% a Zurigo, il 70,7 a Lugano. Grazie all'epilogo del referendum Minder è già stato ribattezzato il Robiri Hood dei piccoli azionisti e la sua vicenda viene accostata a quella italiana di Beppe Grillo (che ha fatto riferimento al caso svizzero nel suo comizio di chiusura della campagna elettorale a Roma). «La battaglia non è finita - ha però avvisato ieri Minder appena il risultato è apparso chiaro - adesso comincia quella in Parlamento sull'attuazione della legge». «La volontà del popolo va rispettata, anche se noi ci siamo dichiarati contrari» ha rassicurato dal canto sino il parlamentare liberale Fulvio Pelli. «Sarebbe un grande segnale all'opinione pubblica se banche e società tagliassero i compensi ai loro manager senza aspettare la legge» così si inserisce nel dibattito l'ex procuratore di Lugano ed esperto di finanza internazionale Paolo Bernasconi. Di sicuro il caso delle saponette e del superbonus all'amministratore di Swissair non è isolato. La vela di Minder, in campagna elettorale, è stata sospinta anche dall'indignazione popolare per la storia dell'ex ad di Novartis Daniel Vasella, che è stato congedato dalla multinazionale del farmaco con una buonuscita record di ben 72 milioni di franchi, somma cui poi ha rinunciato viste le proteste.

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Scenari II risultato delle elezioni riporta il timore di un crollo della fiducia nel Paese da parte dei mercati. E di un balzo dei tassi d’interesse

Conti pubblici Un sentiero sempre più stretto L’ombrello della Bce avrebbe bisogno di un governo che prenda impegni. Ma gli elettori hanno votato altro Basterà poco a mettere di nuovo in agitazione i mercati. La reazione che hanno avuto nei giorni scorsi, dopo i risultati delle elezioni italiane, sono state negative ma non sconvolgenti. Se però nelle prossime settimane l'instabilità e l'incertezza politica a Roma diventeranno endemiche, è quasi certo che la Borsa ne soffrirà e i tassi d'interesse sui titoli dello Stato saliranno. Sotto pressione Se ne è parlato poco, in questi giorni di prime valutazioni post-elettorali, ma se la situazione finisse fuori controllo, la dinamica del deficit e del debito pubblico prenderebbe strade molto negative. Quest'anno vanno in scadenza circa 300 miliardi di titoli pubblici: se dovessero essere rinnovati a tassi alti si aprirebbe un buco grave nei conti dello Stato. È importante averlo presente da subito e prepararsi, mentre i partiti cercano di affrontare la complicata situazione. Il governo Monti, al momento in carica, la Banca d'Italia, la Banca centrale europea (Bce) lo stanno facendo. Viene però il sospetto che una forte reazione dei mercati non farebbe necessariamente solo male. È brutto dirlo, ma i partiti italiani hanno dimostrato non sono sotto pressione sono immobili, difendono solo le loro posizioni: dopo che, alla fine dell'estate, il presidente della Bce Mario Draghi ha minacciato di intervenire con il famoso bazooka per difendere i titoli di Stato italiani, i mercati si sono tranquillizzati e lo spread con i titoli tedeschi è sceso; subito, i partiti hanno abbandonato ogni ambizione di riforma, il governo tecnico è caduto, la campagna elettorale è stata percorsa come se l'Italia fosse un Paese che al più ha bisogno di una camomilla. Viene dunque da pensare - essendo il rilassamento da scampato pericolo una costante - che un rialzo significativo dello spread concentrerebbe le menti, in particolare se unito alla pressione già elevata del risultato elettorale e del successo del Movimento 5 Stelle. Non è il tanto peggio tanto meglio: un periodo breve di alti tassi d'interesse sui Btp non sarebbe un disastro. Piuttosto, la combinazione tra la pressione dei mercati e la pressione degli elettori è forse l'unica strada per portare nei partiti il senso di urgenza che la situazione economica e sociale del Paese, fortemente deteriorate, chiedono. E per segnalarlo anche in Europa. La posta in gioco In ogni scenario, il sentiero che ha di fronte l'Italia è stretto. Nel suo paper settimanale sull'economia europea la società di analisi Oxford Economics sottolinea che il deficit pubblico non è in condizioni drammatiche: nel 2012 è finito leggermente sotto il 3% e il deficit primario (prima del pagamento degli interessi sul debito) addirittura in attivo. «Ma lo stock del debito dell'Italia- aggiunge - è molto alto, a quasi duemila miliardi di euro, al 120% del Pil e la sua maturità media è meno di sette anni». Una fase di instabilità farebbe dunque perdere fiducia ai mercati che spingerebbero verso l'alto i tassi. In teoria, un aumento dei rendimenti (cioè dei tassi) sul debito potrebbe essere bloccato dall'intervento promesso dalla Bce attraverso il programma Outright monetary transactions (Omt). «Ma - nota Oxford Economics - il programma Omt, che consente alla Bce di comprare debito sovrano degli Stati del - l'Eurozona per mettere un tetto ai rendimenti, si porta dietro condizioni politiche strette. Ed è precisamente questo tipo di politiche (altra austerità, ndr) che ha appena ricevuto una risposta negativa dagli elettori italiani, quindi non è chiaro se le condizioni politiche legate all'Omt saranno ora politicamente accettabili in Italia». Una crisi sui mercati del genere di quelle viste nel 2011 e nell'estate 2012 potrebbe portare da una parte a una Bce che si dice pronta a intervenire ma chiede che Roma firmi impegni precisi di disciplina di bilancio, e

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dall'altra a un governo italiano, se ci sarà, impossibilitato o contrario a firmare ogni impegno. «Una potenzialmente pericolosa impasse tra la Bce e l'Italia, che potrebbe avere conseguenze sede al di là dell'Italia». La posta in gioco sarebbe insomma altissima. Sul nostro Paese si concentrerebbero l'attenzione, gli allarmi e le pressioni di tutto il mondo, dal momento che in gioco ci sarebbe l'esistenza stessa della moneta unica. Come si comporterebbero in quel momento i partiti? Sull'orlo del precipizio non avrebbero probabilmente alternative: dovrebbero agire in modo radicale, molto più radicale rispetto ai loro programmi elettorali, per fermare la crisi e, se vorranno evitare una soluzione greca, mettere mano a riforme che inizino a ridare efficienza e buona governance al Paese. Questo scenario è estremo e ad alto rischio. Ma, sulla base dell'esperienza, sarebbe irragionevole non considerarla.. «Al momento - dice Oxford Economics - noi diamo una probabilità del 15% a una rottura dell'euro, ma la possibilità di questo evento aumenterebbe se l'attuale impasse politica non fosse risolta in fretta».

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La liquidità

Bot in tensione, ma avari Meglio il 3% dei salvadanai

La liquidità come antidoto all'incertezza. Da sempre collocare il proprio capitale in investimenti dí breve e brevissimo periodo, dai pronti contro termine della durata di uno o due mesi, fino ai Bot a 12 mesi, è considerata la soluzione migliore per fronteggiare i tempi di instabilità finanziaria. L'handicap principale di queste forme di investimento, sia in generale che nell'attuale fase di mercato, è data dai rendimenti. Le operazioni di pronti contro termine difficilmente raggiungono l'1% di performance. I Bot a 12 mesi, dopo le incerte elezioni italiane di febbraio sono passati da un rendimento dell'1,2% all' 1,43%. Tutti valori lordi che corrispondono, al netto, a meno della metà del tasso di inflazione corrente. L'investimento in liquidità è sicuro e sempre disponibile. Ma spesso non copre il tasso di inflazione, oggi dí poco superiore al 2%. L'alternativa più efficace ai bassissimi rendimenti continuano ad essere i conti dí deposito, tradizionali oppure online, generalmente vincolati per almeno dodici mesi. Attualmente í saggi minimi sui conti di deposito vincolati a dodici mesi (spesso con soglie di investimento comprese fra í mille-e i cinquemila euro) si arrestano all'1,75% lordo, valore che tenendo conto dell'imposizione sugli interessi al 20% (sui Bot e sui pronti contro termine che hanno come sottostante i titoli di Stato l'imposizione si ferma al 12,5%) scende a un netto dell'1,4%. Troppo poco per battere l'inflazione. Ma va detto che il rendimento medio dei conti di deposito a inizio febbraio si attestava al 2,89% lordo (pari al 2,31% netto). E che con le migliori offerte disponibili, al 4,10 lordo (un netto del 3,28%), esiste la possibilità di difendersi dalla corsa del costo della vita e di racimolare un piccolo margine aggiuntivo. Veri rischi collegati ai conti di deposito non ne esistono, visto che il fondo interbancario di garanzia copre l'eventualità di un potenziale fallimento bancario garantendo i depositi fino a un massimo di 100 mila euro. Il principale vantaggio offerto dall'investimento in liquidità, insieme alla sostanziale assenza di un rischio di tasso (quanto i tassi salgono i titoli a cedola fissa già emessi perdono valore) e alla mancanza di un rischio di controparte (vista la garanzia interbancaria sui depositi e la facile liquidabilità per le altre forme di investimento), è data dalla flessibilità e dalla possibilità di approfittare delle occasioni di mercato che via via sí presentano. Per questa ragione nei momenti in cui cresce l'incertezza e la volatilità - e il momento presente rientra in questo scenario -gli strategist dí portafoglio suggeriscono di aumentare la componente di investimento in liquidità. Per far crescere la sicurezza e per poter disporre di risorse pronte ad essere impiegate in maniera redditizia quando se ne presenta l'occasione. M. SAB.

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Trend Se il calo dei listini può trasformarsi in occasione

Borsa: I certificati per approfittare dei saldi improvvisi I «bonus» ora sono quotati a sconto. E pagano un premio. A patto che non ci siano altri crac... Risultati elettorali inaspettati hanno scosso i mercati finanziari, provocando forti cali in Piazza Affari. Ma se la logica dell'acquistare sulle debolezze vale per i titoli azionari, secondo molti analisti può essere ancora più efficace nel caso di alcune tipologie di certificati di investimento, quegli strtunenti finanziari derivati, dotati oppure privi di effetto di leva, che investono su sottostanti come indici azionari, singoli titoli, materie prime o altro. Le forti oscillazioni dei corsi di borsa della settimana scorsa hanno messo in evidenza la convenienza dei «bonus certificates» che pagano un premio alla scadenza (di solito compreso fra il 10 e il 20% del capitale sottoscritto) a patto che durante la durata di vita del titolo, solitamente compresa fra i 18 e i 36 mesi, le quotazioni del sottostante non abbiano toccato o infranto al ribasso un determinato valore prefissato al momento dell'emissione. Cercando il premio Come vedremo attraverso qualche esempio, nei momenti di forte volatilità o calo dei corsi di borsa, molti «bonus certificates» su indici o su singoli titoli azionari raggiungono quotazioni largamente inferiori alla pari, pur mantenendosi a distanza di sicurezza dal cosiddetto «evento barriera », al verificarsi del quale il certificato perde la facoltà di pagare il premio alla scadenza e si trasforma in un semplice prodotto benchmark, la cui quotazione segue in modo lineare l'andamento del sottostante. Su un sottostante molto liquido e diffuso come il Footsie Mib, l'indice delle società italiane a larga capitalizzazione, gli analisti segnalano il bonus certificate emesso da Bnp Paribas: quota 95 e pagherà al rimborso un capitale di 113 (quindi con un premio del 13%) a patto che l'indice, oggi sul livello di circa 15.500 punti, non buchi al ribasso la barriera di 12.404 punti fino alla scadenza dello strumento, prevista per il 18 agosto del 2014. In altri termini, se nel corso dei prossimi 18 mesi l'indice italiano non perderà un ulteriore 20%, il guadagno per il sottoscrittore che acquistasse il certificato sul mercato secondario sarebbe pari al 18%, vale a dire il premio del 13% più lo «sconto» di quotk zione che oggi è pari al 5%. Ancora più elevato, ma in questo caso assai più rischioso, il guadagno potenziale del certificato emesso da Société Generale sul titolo Enel con scadenza 25 luglio 2014. Il titolo è quotato oggi a 81 e pagherà un bonus del 50% se nel periodo il titolo Enel non scenderà al di sotto di una quotazione di 2,40 euro (oggi è a 2,75). Il guadagno potenziale, in questo caso, sfiora il 70%, a fronte tuttavia di un rischio molto elevato. Visto il successo della categoria, gli emittenti hanno cominciato a proporre tipologie di strumenti più complessi, come il bonus certificate di UniCredit che ha come sottostante un basket di titoli azionari del settore assicurativo (Axa, Allianz, Generali) e che pagherà alla scadenza dei prossimi 18 mesi un premio del 16,80% se nessuno dei tre titoli sarà mai sceso al di sotto del 62% del prezzo di borsa che aveva al momento dell'emissione. Tra gli aspetti più interessanti degli strumenti di nuova emissione, infine, c'è che l'evento-barriera che fa scattare la perdita del bonus viene calcolato solo a fine periodo e non più su tutto l'arco di vita del certificato. Protezione Un’altra opportunità in queste fasi è rappresentata dai certificati «equity protection ». Vale la pena osservare che nel mese di gennaio, chi avesse approfittato del forte calo della volatilità e del costo implicito delle strategie opzionarie, acquistando i certificati appartenenti a questa tipologia (con garanzia di rimborso integrale del capitale a scadenza, anche in ipotesi di caduta delle quotazioni del sottostante) avrebbe fatto un ottimo affare. Avrebbe infatti comprato a sconto certificati che appena un mese dopo, per effetto del ritorno della volatilità sui mercati, quotano nuovamente sopra la pari, indipendentemente dal sottostante cui sono riferiti.

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Le nostre buste paga dodicesime in Europa in Germania guadagnano il 14% in più

ROMA -I lavoratori danesi guadagnano quasi il doppio di quelli italiani: 27,09 curo lordi in media per ora contro 14,48. Ma a guadagnare più di noi nella Ue sono in tanti, ben 11 Paesi, come emerge dall'indagine Istat "Struttura delle retribuzioni". Siamo lontanissimi anche dall'Irlanda, che vanta una retribuzione lorda media di 22,23 euro, e dal Lussemburgo (21,95). I nostri salari sono inferiori di oltre il 14% a quelli tedeschi, del 13% a quelli del Regno Unito e dell'il% a quelli francesi. Sono inferiori anche alla media dell'Eurozona, 15,22 euro, battono solo la media Ue27 (14,02 euro), che però tiene conto anche di Paesi con salari bassissimi come Bulgaria (2,04 euro l'ora), ultima in classifica, Romania (2,67), Lettonia (3,78) e Lituania (3,44). I dati Istat riguardano le imprese e le istituzioni con almeno 10 dipendenti nell' industria e nei servizi, e non tengono conto dei contratti di apprendistato. Le rilevazioni sono state effettuate nell'ottobre 2010, ma è difficile pensare che le cose nel frattempo siano cambiate in meglio per il nostro Paese, tanto che il 51,1% degli italiani dichiara, secondo l'ultimo rapporto Eurispes, di percepire retribuzioni " per niente" o "poco" soddisfacenti, contro un carico di lavoro eccessivo per il 32,2% degli intervistati. A pesare sull'insoddisfazione della maggioranza dei lavoratori italianicisono anche probabilmente le forti disparità di trattamento. I dipendenti con almeno 15 anni di anzianità aziendale percepiscono una retribuzione annua superiore del 61,4% rispetto ai loro colleghi assunti da meno di cinque anni. Considerando le varie fasce di età, le differenze sono anche maggiori: la retribuzione lorda oraria media è dí 9,6 euro nella fascia d'età 14-19 anni, sale a 11,2 euro da 20a 29 anni e fino a 23,5 euro per gli ultrasessantenni. Sarà per quello che, conferma l'ultima edizione dell'Osservatorio sul Diversity management della Sda Bocconi, «l'azienda non sembra essere tanto il luogo della guerra tra i sessi, quanto quello della guerra tra le generazioni». Però anche le differenze tra i sessi permangono, anzi aumentano: il gender pay gap passa in Italia dal 4,4% del 2006 al 5,3% del 2010 rispetto alla retribuzione oraria, mentre nella Ue27 si riduce dal 17,7 al 16,2%. Eppure le donne sono più qualificate degli uomini: il 51,1% ha conseguito un diploma di scuola secondaria superiore contro il 43,4% degli uomini, il 18,4% ha una laurea o un titolo post-laurea contro il 10,9% degli uomini. Il titolo di studio sembra far poco la differenza per le donne, ma in genere pesa molto sulla retribuzione: rispetto a una media lorda annua di 28.558 euro (31.394 per gli uomini, 24.828 per le donne) i laureati guadagnano in media 42.822 euro l'anno contro i 19.296 di chi è in possesso solo della licenza della scuola dell'obbligo. Fa la differenza anche il tipo di contratto: i dipendenti a tempo indeterminato guadagnano in media 29.852 euro lordi l'anno, quasi il doppio rispetto a quelli a termine (15.633). I dirigenti guadagnano quattro volte quanto percepito dai lavoratori non specializzati (81.649 contro 18.290 euro); naturalmente sí parladiunamediaperchéle donne dirigenti guadagnano 61.361 euro l'anno, gli uomini 88.942. Il Nord-Ovest è l'area dove si guadagna di più: le retribuzioni superano del 6% la media annua nazionale, ma anche il Centro la supera dello 0,8%. Mentre fa fatica il Nord-Est (-2,3% rispetto alla media nazionale), e naturalmente si guadagna molto di meno nelle Isole (-4,4%) e in generale nel Mezzogiorno (-8,5%).

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Oggi l’Eurogruppo sulla crisi di Cipro i ministri discutono

delle elezioni di Roma MILANO - Una discussione informale sull'esito delle elezioni italiane e il salvataggio di Cipro, questi ì temi che verranno discussi oggi dai ministri delle Finanze dell'Eurozona riuniti nell'Eurogruppo e a cui parteciperà anche Vittorio Grilli. Il caso Italia ed rischio "contagio" paventato nei giorni scorsi da diversi esperti tra cui il tedesco Wolfgang Schauble e lo spagnolo Luis de Guindos, non è invece formalmente all'ordine del giorno, ma secondofonti vicineall'Eurogruppo «i ministri non potranno fare a meno di affrontarlo». Tra i 17 membri non ci sarebbe «un sentimento di soddisfazione» per il risultato delle politiche italiane e l'umore prevalente è di «attesa, per vedere» cosa succederà nelle prossime settimane, hanno detto, sottolineando tuttavia che «nel breve periodo l'Italia non ha problemi di deficit, ma di competitività: il Paese deve riguadagnare laforza che aveva nel passato e questo può essere fatto solo con grandi riforme strutturali».

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L’industria tedesca vede l’Italia fuori dall’euro

E a Berlino nasce il partito della valuta del Nord. Bruxelles: nessuno abbassi la guardia BERLINO -In Germania falchi euroscettici, economisti e ambienti delle industrie esportatrici accennano all'ipotesi che l'Italia possa uscire dall'euro. Lo scenario di un abbandono della moneta unica da parte della terza economia dell'Eurozona non viene escluso e anzi viene delineato con sempre maggiore convinzione da una parte delle istituzioni economiche e politiche tedesche. Anche se per adesso minoritarie. La nuova levata di scudi anti-italiana va in scena proprio mentre il commissario europeo 011i Rehn ammonisce nuovamente tutti i paesi membri dell'Eurozona che soprattutto in questo momento è vitale che nessun paese membro dell'Unione monetaria abbassi la guardia del rigore e del consolidamento. Ogni Paese dell'Eurozona è rilevante, anche Cipro, ha detto Rehn replicando al ministro delle Finanze tedesco Schaeuble secondo cui Cipro è di dimensioni trascurabili. A Berlino, in vista delle elezioni politiche di settembre, la lobby euroscettica e nostalgica del marco si sta riorganizzando in corsa per fondare un nuovo partito, dal chiaro nome "Alternative fuer Deutschland", Alternativa per la Germania. La loro richiesta: ripensare l'euro come moneta "dura" dei soli Paesi forti, o abbandonarlo. Intanto, a Roma, Beppe Grillo propone un referendum online sulla permanenza o meno nella moneta unica. Ovviamente senza alcun valore istituzionale. A sorpresa, l'ipotesi di un'uscita dell'Italia dall'euro è fatta propria, come strumento negoziale, dall'economista Paolo Savona. In dichiarazioni al settimanale Focus, l'ex ministro dei governi che hanno portato il nostro paese nell'euro ha lanciato un allarme sulla situazione italiana, schiacciata da una politica basata esclusivamente sull'austerità e sul rigore contabile: «Se lapolitica europea non cambia- ha detto Savona- avremo di fronte a noi due possibilità. O un tasso di disoccupazione pari al 20 per cento della popolazione attiva, tenendoci l'euro, oppure rinunciando all'euro un tasso d'inflazione del 20 per cento ma con la speratiza di una ripresa. Io preferirei la seconda variante. Soltanto la paura di un salto nel vuoto ci trattiene... un paese serio deve disporre di un Piano B di questo genere; altrimenti, la sua posizione negoziale diventa più debole ». Da qualche giorno, appoggiato da voci euroscettiche nel centrodestra della cancelliera Angela Merkel, parla a favore di. Piani B per l'Italia Anton Boerner, cioè ilpresidente dell'Associazione degli esportatori tedeschi (Bga). «I Paesi del Nord - dice Boerner - dovrebbero riflettere a porte chiuse sugli scenari d'esecuzione, altrimenti gli italiani possono ricattarci con la minaccia di uscire dall' euro». Ilsessantaper cento degli elettori italiani, dice ancora Boerner, è contrario alla moneta unica nella sua forma attuale, bisogna rispettare gli elettori italiani e spiegare loro che non c'è alternativa alla disoccupazione. Boerner insiste nel chiedere a Berlino l'elaborazione d'un Piano B, con la previsione di un crollo dell' euro o di nuovi confini dell'eurozona, e si dice contrario ad aiuti all'Italia, «perché gli italiani sono più benestanti dei tedeschi».

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Decrescita ed energia verde le ricette della Grillonomics

Il successo nazionale del Movimento 5 stelle è conseguenza della crisi globale. Non ci sarebbe Beppe Grillo sulla scena politica se non fossimo dentro la più grave recessione del dopoguerra. È il crollo del Pil e il drammatico sboom dell'occupazione che alimentano il rancore, l' antipolitica, la ribellione che dal locale si espandono via via ai livelli superiori. La de crescita alimenta il populismo e anche qualcosa di peggio, come dimostrano la storia europea e ancora le cronache greche e ungheresi. I nostri grillini sono parenti stretti dei madrileni di Puerta del Sol come dei giovani americani di Occupy Wall Street, figli tutti di Stéphane Hessel e del suo "Indignatevi!". Un'onda che si è sollevata. Il loro è un diverso punto di vista, contrapposto a quel che è stato il pensiero unico del neoliberismo suggerito su larga scala e con scarsi (o pessimi) risultati dagli economisti del Fondo Monetario Internazionale di Washington. Che in Europa ha condotto alle rigidità del fiscal compact (stupido?) e in Italia, di conseguenza, a un'austerità senza precedenti. Un mix micidiale: recessione e politiche di austerity. Con effetti profondi e devastanti sulla struttura produttiva del nostro paese: abbiamo perso 70 mila aziende nell 'ultimo quinquennio, i senza lavoro, compresi i cassintegrati, superano largamente i 3 milioni di persone, quasi il 40% dei giovani è disoccupato, le banche hanno chiuso il credito alle aziende, i consumi interni sono crollati, le distanze sociali si sono allargate, circail30%dellapopolazione è a rischio povertà. Sono numeri impressionanti, mai visti nell'ultimo mezzo secolo. Anche per questo il Movimento è diventato il primo partito d'Italia. Non è solo colpa della casta deipolitici, per quanto sia un fattore determinante. Hanno scritto sul Blog di Grillo il premio Nobel per l'economia Joseph Stiglitz e Mauro Gallegati, professore di economia adAncona e intellettuale organico alla rete del Movimento: «Non proponiamo nuove strategie di crescita, ma un diverso modo di vivere e produrre». Questa è la premessa per rileggere il programma economico del 5 stelle, nel quale statalismo e liberismo convivono in smaccate contraddizioni; dove destra e sinistra si confondono in un impasto post-ideologico dai confini incerti; dove l'iperegolazione si alterna a misure pro market di cultura liberale; dove non c'è spazio - mai - per il modello neocorporativo della contrattazione sociale tra sindacati e industriali bensì per un modello partecipativo pre-capitalista di cogestione imprenditore- lavoratore priva di corpi intermedi; dove il contrasto alla precarietà diventa poco più che uno slogan («abolire la legge Biagi») senza traiettorie pratiche e laproposta di un reddito di cittadinanza la suggestione di un welfare finalmente universalistico di stampo nord europeo; dove il neoambientalismo, che fa perno sulla produzione di energia pulita, si intreccia con un modello di sviluppo locai molto ardito a protezione dell'italianità; dove, infine, i "nemici" sono simbolicamente le banche, le corporation multinazionali e i nostri monopoli parapubblici (Eni, Enel, Autostrade e in fondo anche Telecom). È un programma workinprogress, o un patchwork, tra idee strampalate (abolire Equitalia, per esempio), radicali, prive di copertura finanziaria e suggerimenti largamente ragionevoli come l'adozione della banda larga dovunque. Dove la tanto discussa proposta di superare la moneta unica si è ormai scolorita, ha attraversato l'ipotesi di un referendum popolare (impossibile su un trattato internazionale) ed è approdata definitivamente a un tavolo di confronto, stando all'ultima intervista di Grillo alla rete statunitense Cnn. Ha fatto i conti con la realtà, insomma. È un amalgama inedito il programma economico grillino. Che non serve (ancora) per governare bensì per raccogliere consenso. Popolare. Di certo, con le idee di Grillo bisogna cominciare a fare i conti. Insomma, si deve provare a capire cosa può essere la Grillonomics. Nel nome c'è già la parte ideologica del programma economico. «Si può dire - sostengono Piergiorgio Corbetta e Elisabetta Gualmini ne "Il partito di Grillo" appena uscito per il Mulino - che il M5s nasce insieme al suo programma, anzi è il suo programma. Le 5 stelle, contenute nel simbolo, indicano infatti i 5 valori

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fondativi e obiettivi politici intorno a cui il Movimento è nato: acqua, ambiente, energia, trasporti, sviluppo». Interessi locali (emblematica l'adesione al movimento "No Tav") declinati su scala nazionale. Euro. Parte dal locale anche il dissenso sull'euro, più sulla sua costruzione cheha tolto agli stati laleva della politica monetaria, che sulla sua stessa esistenza, tanto che ormai nessuno sostiene nettamente che si debba tornare alla lira. Dopo tante tappe di avvicinamento, il Movimento sembra proporre innanzitutto una rivisitazione dei vincoli europei, dei tempi per il raggiungimento del pareggio di bilancio. L'euro viene identificato come il simbolo di una integrazione europea calata dall'alto e subita da imprese e famiglie. È più una questione democratica, insomma, che strettamente economica. Anche perché sono stati proprio Stiglitz e Gallegati a sostenere che l'uscita dall'euro «colpirebbe pesantemente il ceto medio, lo stesso che ora sta pagando i sacrifici richiesti dalla strategia di austerità ». Due alternative allora: o un'Europa politica e monetaria sul modello degli Stati Uniti, oppure un'euro 2 per i paesi del sud, lasciando l'euro forte alla Germania e ai suoi "satelliti". Debito pubblico. Velleitaria, e dannosa, appare la proposta di ririegoziare il debito pubblico prossimo al 130% del Pil. L'idea abbozzata è quella di collocare i titoli pubblici a tassi bassissimi, lo 0,001%. Una provocazione più che una proposta. Si risparmierebbero risorse - dicono - per destinarle agli investimenti produttivi. Hanno commentato Mario Centorrino e Margherita Billeri sul sito www. nelmerito. core: «Molte famiglie vedrebbero ridimensionarsiunafonte importante di entrate, ma soprattutto gli investitori non ne sottoscriverebbero di nuovi, percependo il paese come insolvente». Un autogot. Di vero, -dietro la ristrutturazione del debito, c'è l'allarme sul rischio che si siano già tutte ipotecate le risorse necessarie per sostenere le generazioni più giovani. Questione centrale nella strategia del movimento. Patrimoniale. Vago finora il progetto su una patrimoniale. Sui patrimoni immobiliari o su quelli personali? In attesa di capirne di più è chiaro però a cosa servirebbero i proventi: a finanziare il reddito di cittadinanza, a sostegno - par di capire perché anche qui il disegno nonè completo - di coloro che hanno perso il lavoro. «Il reddito di cittadinanza non è più un optional, ma una necessità per fronteggiare una fase storica in cui il divario sociale si sta ampliando a livelli da Ottocento » (da www. beppegrillo. it, "Alta voracità"). Energia. Dettagliato. invece, il piano energia che scommette sul riscaldamento a basso impatto ambientale, la cogenerazione e l'efficienza di tutto il sistema. Si insiste molto sugli incentivi fiscali per le rinnovabili e si propone l'abolizione del Cip6. Nessuna nuova centrale, dicono igrillini.«Laprima cosa da fare è accrescere l'efficienza e ridurre gli sprechi delle centrali esistenti, accrescendo al contempo l'efficienza con cui l'energia prodotta viene utilizzata dalle utenze (lampade, elettrodomestici, condizionatori e macchinari industriali) ». Pacchetto bocciato, però, dal liberista Carlo Stagnaro dell'Istituto Bruno Leoni: «Solita fuffa sulle rinnovabili, priva di qualunque collegamento con la situazíone attuale. In p articolare, i grillini sembrano non essersi accorti che il sistema elettrico italiano soffre, oggi e nel futuro prevedibile, di overcapacity, quindi l'ultimo dei problemi è accrescere la potenza disponibile». Finanza. Ricetta liberal per i mercati finanziari con le idee di superare il meccanismo delle "scatole cinesi" del nostro capitalismo senza capitali e quello perverso degli incroci azionari tra banche e industrie e di impedire scalate a debito come quella di Telecom da parte di Tronchetti Provera. «Proposte pro mercato - commenta Francesco Daverì ordinario all'Università di Parma- perché i mercati per funzionare hanno bisogno di regole e di trasparenza. E in questo Grillo appare molto più avanti rispetto a Bersani, probabilmente con qualche scheletro nell'armadio a cominciare dall'affaire Monte Paschi per finire ai tanti casi di societàpartecipate dagli enti locali». Si presenta liberai anche la proposta di rafforzare la nostra rachitica class action e copiare il modello statunitense. Non si capisce perché poi si debbano abolire le authority del mercato anziché rafforzarle e sottrarle alla lottizzazione partitica. Insomma c'è ancora molta confusione sotto il cielo. Ma è meglio cominciare anon sottovalutare la nascente Grillonomics.

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“Due sole aliquote Irpef e in caso di emergenza

mini-patrimoniale all’1%” Parla Mauro Gallegati, docente di economia politica ad Ancona, uno dei più stretti consiglieri di Grillo nei temi economici: “bisogna salvare i lavoratori noni posti di lavoro. i contratti precari dovranno costare di più. così reperiremo le risorse” Roma Nessuna ricetta per la crescita. Ma un diverso modo di vivere e produrre, massimizzando il benessere e non il Pil. E due strategie. Dal basso, modificare i consumi. Dall'alto, trasformare la politica. Processi lunghi. «Nel lungo periodo saremo tutti morti, diceva Keynes. Ma è anche vero che moriamo tutti a date diverse. Tanto vale provare a cambiare l'economia e il Paese». Mauro Gallegati, docente di economia politica presso l'Università politecnica delle Marche, allievo di Giorgio Fuà e di Hyman Minsky a St. Louis, cultore della teoria della decrescita, esperto di debito pubblico, è da anni anche uno dei più stretti consiglieri, nei temi economici, di Beppe Grillo e del suo Movimento 5 Stelle. Un guru della Grillonomics. «Per carità. Quale guru. Ho conosciuto Grillo prima del V-Day di Bologna nel 2007. Lui aveva già letto “Crescita economica. Le insidie delle cifre” di Fuà e si interrogava sulla critica lì contenuta al modo in cui è costruito il Pil. Voleva approfondire. Il nostro dialogo è iniziato così». E terminato con la stesura del programma del Movimento e con il "training" dei neo-eletti. «Ho scritto la parte dedicata al lavoro. Per il resto, io do il mio contributo. Le proposte poi si discutono in rete. Certo, aiuterò gli esordienti. Ogni giorno ricevo richieste di colleghi di tutta Italia pronti a sostenere, consigliare, formare i neoeletti. Anche un gruppo di fisici. E persino Bruce Greenwald, cattedra alla Columbia, uno dei collaboratori più stretti di Stiglitz». Cosa la unisce al premio Nobel per l'economia? «L'idea che l'austerità non risolve la crisi, ma la aggrava. L'evidenza che il Pil non misura il benessere. L'analisi delle disuguaglianze, accresciute durante la recessione. Su questo abbiamo scritto un saggio, a breve pubblicato su Micromega». Perché il Pil non va? «E un indicatore sbagliato, lo si sa dalla sua ideazione, perché registra i valori di scambio, cioè i prezzi delle merci, non il loro valore d'uso. Noi tutti abbiamo bisogno d'aria che è gratis. Viceversa, la benzina ha un prezzo. Senza aria però non vivia mo. Senza benzina, sì. Il Pil non rileva questa differenza. Se n'è accorto anche l'Istat». Si riferisce al Bes, il nuovo indicatore che misura il Benessere equo e sostenibile. «L'Istat lo presenterà il prossimo 11 marzo. Per questo io suggerisco ai Cinquestelle che bisogna puntare a massimizzare il benessere non il Pil. E a quel punto non ci sarà più bisogno di lavorare come matti. Basteranno venti ore a settimana. Godiamoci la vita e facciamo andare le macchine». La decrescita felice. Ma è sostenibile? «Io e Fitoussi abbiamo calcolato che se il Pil mondiale si fermasse a oggi e venisse distribuito a tutti, avremmo 400 dollari al mese pro capite. Va bene per l'Africa, forse. Non per noi. La decrescita in sé è insostenibile, altro che felice. Funziona se è qualitativa. Ovvero puntare sulle micro-opere, l'ambiente, la cultura. E lasciare stare Tav e ponte sullo Stretto. Mentre lo Stato azzera la corruzione e garantisce la libera concorrenza, investendo in ricerca e istruzione». Intanto però il Pil esiste e condizionale pagelle dei Paesi.

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«Chi dice "dobbiamo crescere di più" ci prende in giro. Perché il tipo di sviluppo che abbiamo conosciuto negli ultimi cinquant'anni non esiste più. Siamo arrivati a un punto di cambio nel paradigma. Il mantra o credo del Pil sta per finire». Cosa fare nella fase di transizione? «Dal basso, cambiare consumi e mentalità. Penso a Gruppi di acquisto solidale, orti urbani, case energeticamente autosufficienti. Nel breve, dall'alto, puntare su personale politico in grado di interpretare il cambiamento ». Gli eletti dei Cinquestelle. L'avversione all'Europa non aiuta. Lei pensa che si possa davvero uscire dall'euro? «Sarebbe un'ipotesi disgraziata che io non avallo. E credo neanche Grillo sottoscriva. Certo il Movimento è un arcipelago di persone e posizioni. Chi dice: non usciamo, pensiamoci bene. E chi invece: usciamo subito. Ma sarebbe il disastro, il default». Però invece sponsorizza l'ipotesi di riscadenzare il debito pubblico. Non sarebbe un segnale di fallimento? «Non credo. Al contrario, allungare le scadenze di 7-8 anni libererebbe risorse per gli investimenti. D'altronde tagliare spese essenziali, come sanità e scuola, ad esempio, non è come tagliare le auto blu. Alla lunga, si spende meno, ma si produce anche meno. E il rapporto deficit/pii resta com'è, se non peggio». Bisognerebbe dirlo all'Europa. «Senza un'unione politica, non si va da nessuna parte. Io dico: ridiscutiamo i patti e mettiamo sul tavolo il tema della disoccupazione». In Italia è un dramma: tre milioni senza lavoro. Qual è la sua ricetta? «Reddito di cittadinanza per tutti, anche i precari. Costa 20-30 miliardi. Di questi, 15 li spendiamo già con la Cassa integrazione, 5 li troviamo tagliando sprechi, costi della politica, spese militari. L'articolo 18 è solo ideologia. Per noi conta riformare la Fomero perché la flessibilità non sia precarietà. Non dobbiamo proteggere il posto, ma il lavoratore. E i contratti precari devono costare dí più, perché i giovani sono condannati a pensioni da fame». Nell'immediato il Fisco incombe. Imu, Tares, Iva... «Stiamo studiando un'economia senza contante, per scoraggiare evasione e sommerso. E poi due sole aliquote Irpef: 20-25% e sotto il 40. Se serve, anche una patrimoniale sull'I% dei ricchissimi. Così evitiamo l'aumento Iva».

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