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LE SOLUZIONI AI 15 CLASSICI ERRORI DEGLI INVESTITORI Finanza comportamentale EDIZIONE SPECIALE PER Un approccio alternativo per risparmio e investimenti Un approccio alternativo per risparmio e investimenti

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LE SOLUZIONIAI 15 CLASSICI

ERRORI DEGLI

INVESTITORI

Finanzacomportamentale

EDIZIONE SPECIALE PER

Un approccioalternativoper risparmioe investimenti

Un approccioalternativoper risparmioe investimenti

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Prefazionel crescente interesse mostrato dagli investitori con cui giornalmente ci confrontiamo e i risultati accademici presentati in numerose pubblicazioni ci hanno spinto ad affrontare un tema affascinante come quello della finanza comportamentale.

A differenza della teoria finanziaria tradizionale secondo cui i mercati finanziari si basano sul concetto di efficienza e assoluta razionalità, questa disciplina affronta la sfida di interpretare l’andamento erratico dei mercati e il comportamento soggettivo degli investitori.

Il lavoro che presentiamo è stato sviluppato con la finalità di fornire una utile guida agli investitori, nel’ambito di un ampio progetto di educazione finanziaria. La prima parte della pubblicazione è pensata quale introduzione propedeutica alla materia ove vengono ripresi concetti base quali risparmio, investimento, rapporto rischio/rendimento e asset allocation. La sezione di approfondimento è invece dedicata all’analisi dei mercati gestiti da Borsa Italiana ove si concentrano gli scambi della maggior parte degli strumenti finanziari negoziabili.

Per l’analisi specifica della finanza comportamentale ci siamo affidati alla preziosa collaborazione di due professori universitari, tra i massimi esperti nazionali della materia, che hanno affrontato in maniera semplice ed efficace i concetti base della disciplina.

Di particolare interesse la sezione dedicata alla consulenza finanziaria che può rappresentare anche secondo un approccio comportamentale un reale valore aggiunto per indirizzare al meglio le scelte di investimento dei singoli risparmiatori.

Da non perdere l’appendice della pubblicazione in cui vengono descritti i 15 classici errori commessi dagli investitori con indicazione delle possibili soluzioni.

Buona lettura

Marco Berton | Direttore responsabile - Brown EditoreGabriele Villa | Head of Private Investors London Stock Exchange Group

I

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Società del gruppo

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Capitolo 1

PREFAZIONE 1

1 Risparmio e investimenti 4a cura di Borsa Italiana e Brown Editore

1.1 Risparmio e investimenti 41.2 Rischio e rendimento 5���� �������� ���������������������������� ������ 71.4 Il risparmio gestito: fondi comuni di investimento 81.5 I mercati gestiti da Borsa Italiana – London Stock Exchange 9

2 Finanza comportamentale 26a cura del prof.Ugo Rigoni e del prof. Enrico Maria Cervellati

2.1 Introduzione alla disciplina 262.2 Gli errori nelle scelte di investimento 272.3 Le decisioni d’investimento e i portafogli degli investitori 322.4 La correzione delle anomalie nelle scelte di investimento 38���� �� ����������������� 462.6 La previdenza integrativa 512.7 Il risparmio gestito 56

BIBLIOGRAFIA 59

APPENDICE Soluzioni ai 15 errori classici dell’investitore 62

Indice

Pubblicazione chiusa in redazione il 15/03/2011������������� �!�© iStock International Inc

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Capitolo 1

Risparmio e investimentisono elementi chiavi per

la crescita economica di una nazione.

La consulenza finanziaria professionale consente di stabilire

un profilo accuratodelle esigenze, della propensione

al rischio e dell’orizzontetemporale del singolo investitore

Risparmioe investimenti

1.1 RISPARMIO E INVESTIMENTI

La letteratura economica definisce il risparmio come la quota del reddito generato da persone, imprese o pubbli-ca amministrazione che non viene in-dirizzata verso i consumi ma che viene accantonata per essere spesa in un mo-

mento successivo. Lo scopo del risparmio, quindi, è quello di poter disporre in un secondo mo-mento delle risorse non utilizzate. Il tutto per far fronte a spese impreviste (risparmio precauzionale), per garantirsi un reddito futuro oltre a quello offerto dal sistema pensionistico (risparmio previdenziale), per lasciare un’eredità o, infine, per effettuare nel fu-turo un investimento di rilevanti dimensioni quale ad esempio l’acquisto di un bene durevole (automobili, casa, etc.). Dividendo gli attori economici in tre grandi categorie, famiglie, imprese e pubblica amministrazione, si assu-me solitamente che solamente le famiglie siano complessivamente risparmiatrici nette. Impre-se private e pubblica amministrazione, invece, non vengono associate al concetto di risparmio in quanto solitamente sono soggetti che richiedono al sistema risorse finanziarie in aggiunta a quelle di cui dispongo-no. Il risparmio di questi soggetti ha un valore negativo che deve essere finanziato direttamente dalle famiglie attraverso la cessione di titoli (azioni e obbligazioni) oppure indirettamente, ricorrendo al credito bancario. Le banche, a loro volta, finanziano i propri impieghi ricorrendo ai depositi delle famiglie. In questo senso si può dunque parlare di settori in surplus o in deficit dell’economia. Senza addentrarsi troppo nei meandri della teoria economica, si può affermare che il risparmio è un elemento vitale per incrementare la quantità di capitale fisso disponibile per le aziende e che quindi contribuisce in maniera diretta alla crescita eco-nomica di una nazione.Dobbiamo anche precisare che un aumento del rispar-mio non si traduce necessariamente in un aumento di-retto degli investimenti. Se i risparmi vengono infatti

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messi da parte in maniera infruttuosa anziché essere depositati presso un intermediario finanziario o inve-stiti nell’acquisto di titoli, non c’è possibilità che tali ri-sparmi vengano impiegati come investimento dalle im-prese. In altre parole il risparmio può aumentare senza che cresca l’investimento, causando paradossalmente una diminuzione della domanda e quindi contrazione anziché crescita economica. Nella finanza personale, il risparmio corri-sponde alla conservazione del valore nomina-le del denaro per utilizzi futuri al fine di creare, ad esempio, un fondo di emergenza per l’acquisto di beni durevoli come una casa o un’auto, oppure in previsione di spese future, nonostante la possibilità (tutt’altro che remota) che l’inflazione ne eroda il va-lore reale. Può essere usato per questi scopi un conto di deposito che paga generalmente un interesse in gra-do di coprire, totalmente o parzialmente, la perdita di valore reale.Il denaro utilizzato per acquistare azioni, depositato in uno strumento di investimento collettivo (ad esempio in un fondo comune) o utilizzato in generale per acqui-stare un titolo rischioso, viene considerato un inve-stimento finanziario. Questa distinzione è fondamentale perché il rischio connesso in questa forma di investimento può causare una perdita in conto capitale se, al momento del realiz-zo, il valore del titolo è diminuito rispetto al momento in cui il titolo stesso è stato acquistato.A diversi livelli di rischio desiderati corrispondono diversi tassi di rendimento attesi, tanto che, per alcuni conti di deposito privi di rischio, il tasso d’in-teresse può risultare insufficiente a coprire la perdita di valore reale dovuta all’inflazione. Spesso ac-cade che i termini risparmio e investimento vengano confusi ed utilizzati in maniera intercambiabile. Ad esempio molti conti di deposito sono etichettati come “conti di investimento” dalle banche per chiare finalità di marketing. Per investimento, invece, si deve in-tendere un impiego delle risorse il cui obiettivo è l’aumento delle disponibilità in termini reali. Appare quindi evidente la differenza tra il concetto di risparmio e quello di investimento, nel quale è ne-cessariamente presente l’elemento di rischio.

1.2 RISCHIO E RENDIMENTO

IL RISCHIO FINANZIARIOIn campo finanziario, il rischio è l’incertezza lega-ta al valore futuro di un’attività o di uno strumen-to finanziario o, più in generale, di un qualsiasi investimento.Un’attività patrimoniale si definisce rischiosa se il flusso monetario che produce è almeno in parte casuale, cioè non è conosciuto in anticipo con certezza. Un titolo azio-nario è un classico esempio di attività rischiosa: non si può sapere se il prezzo aumenterà o diminuirà nel tempo, né se la società che lo ha emesso pagherà periodicamente i dividendi.Per quanto i titoli azionari siano considerati attività ri-schiose per eccellenza, in realtà ne esistono molte altre. Nel

caso dei titoli obbligazionari, la società emittente potrebbe fallire e non restituire il capitale o non corrispondere gli in-teressi ai sottoscrittori. Gli stessi titoli di Stato che matura-no a 10 o 20 anni sono rischiosi: per quanto sia fortemente improbabile che il governo di un paese industrializzato vada in default (cioè non sia in grado di pagare quanto do-vuto), il tasso d’inflazione può aumentare inaspettatamen-te, riducendo il valore reale degli interessi e del capitale restituito alla scadenza, e dunque il valore del titolo.Un’attività priva di rischio o risk-free garantisce un flusso monetario certo. I titoli di Stato a breve ter-mine dei paesi più avanzati (come i Treasury Bill america-ni o i BOT italiani) sono privi o quasi di rischio. Giungen-do a scadenza nel volgere di pochi mesi, il rischio legato a un aumento inatteso dell’inflazione è esiguo, e si può esse-re ragionevolmente certi che il governo non mancherà di corrispondere alla scadenza il capitale e gli interessi. Altri esempi di attività risk-free sono i depositi bancari a vista e i certificati di deposito a breve termine.

“ IL RIRR SCHIO RAPPRESENTAL’INCERTEZZA SUL VALOREFUTURO DI UN INVESTITT MENTO”

Capitolo 1

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LA GESTIONE DEL RISCHIOGestire il rischio significa mettere in atto tutti gli accorgi-menti necessari a controllare i fattori di incertezza legati a un’attività e a limitare gli effetti di potenziali eventi avversi.Nel caso dell’attività di compravendita di strumenti finan-ziari, la gestione del rischio si basa sulla distinzione fra po-tenziale di opportunità (upside risk) e potenziale di pericolo (downside risk).Dal momento che l’impiego del risparmio ha come obietti-vo l’ottenimento del massimo rendimento, la gestione del rischio di un portafoglio finanziario sarà volta a limitare il più possibile il verificarsi degli eventi negativi e a mini-mizzarne il relativo impatto, cercando di non ostacolare il verificarsi di eventi positivi. In altri termini, la gestione del rischio finanziario consiste nel minimizzare il downside risk, senza limitare troppo l’upside risk.

Gestire professionalmente il rischio di un portafoglio fi-nanziario significa procedere a una sequenza di valutazioni - relative sia alle singole attività incluse nel portafoglio, sia ai rapporti di relazione fra queste, sia al portafoglio nel suo complesso - tale da permettere un’accurata pianificazione del rischio a cui il portafoglio viene esposto.Queste analisi consentono di definire una banda di oscil-lazione ideale del portafoglio - il cosiddetto profilo rischio/rendimento - e stabilire le azioni da intraprendere nel caso in cui il suo valore oscilli oltre la soglia prevista.L’attività di valutazione e analisi dei rischi parte quindi dalla stima della probabilità e del possibile impatto dei singoli eventi rischiosi, per giungere alla composizione di un quadro generale dei fattori d’incertezza a cui il por-tafoglio è esposto. A conclusione dell’attività di analisi e valutazione, il rapporto tra le opportunità e i rischi legati all’investimento dovrà bilanciare le aspettative e le esigen-ze del risparmiatore.

IL RENDIMENTO DI UNA ATTIVITÀ FINANZIARIAGli individui acquistano e detengono attività finanziarie per godere del flusso monetario che producono. Per con-frontare due attività, è utile considerare questo flusso in relazione al valore o al prezzo dell’attività stessa. Il rendi-mento di un’attività è il flusso monetario totale generato - inclusi i guadagni o le perdite in conto capitale - espresso come frazione del suo prezzo. Quando si investono i propri risparmi in azioni, obbligazioni, immobili o altre attività, di solito si spera di ottenere un rendimento superiore al tasso d’inflazione, in modo da compensare con il rendimento la perdita del potere d’acquisto della moneta. Per questa ra-gione, i rendimenti sono spesso espressi in termini reali, ovvero al netto dell’inflazione.Il rendimento reale di un’attività patrimoniale è pari alla differenza fra il tasso di rendimento nominale e il tasso d’inflazione. Dato che la maggior parte delle attività sono rischiose, un investitore non può sapere in anticipo i rendi-menti che otterrà l’anno successivo. Per esempio, il corso di un titolo azionario può tanto aumentare quanto diminuire.Il rendimento atteso di un’attività è il valore atteso del suo rendimento, cioè il rendimento che dovrebbe produrre in media. In alcuni anni, il rendimento effettivo può essere molto più elevato di quello atteso, e in altri molto inferiore. Ma nel lungo periodo, il rendimento medio effettivo do-vrebbe essere prossimo al rendimento atteso.Attività diverse hanno rendimenti attesi diversi. Per esempio, nell’ottobre 2005 il rendimento atteso reale di un Treasury Bill americano era inferiore all’1%, mentre quello di un portafoglio di titoli rappresentativi della borsa di New York (NYSE) era superiore al 9%. Ma se la differenza di rendimento atteso era così marcata, per-ché c’erano milioni di persone disposte ad acquistare un Treasury Bill? Perché la domanda di un’attività non di-pende solo dal rendimento atteso, ma anche dal rischio: le azioni hanno un rendimento atteso più elevato dei titoli di stato, ma sono anche più rischiose.Questi dati suggeriscono che quanto maggiore è il ren-dimento atteso di un’attività, tanto maggiore è il rischio che comporta.Se l’investimento è correttamente diversificato, questo corrisponde al vero. In conseguenza, l’investitore avver-so al rischio deve trovare il giusto equilibrio tra rendi-mento atteso e rischio

“L’INVESTMENTO HA COME OBIETTIVOQUELLOLL DI AUMENTARE LELL DISPONIBILITÀLL IN TERMINI REALAA ILL ,

ALAA NETTO QUINDI DELL’INFLFF AZIONELL ”

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IL RENDIMENTO E IL PREMIO AL RISCHIOIl rendimento di un titolo finanziario viene definito in questo modo: l’investitore paga un certo prezzo di ac-quisto, diciamo pari a 100, e alla fine dell’anno valuta la propria posizione utilizzando il prezzo di mercato dell’attività, supponiamo pari a 110, tenendo conto naturalmente dei dividendi o delle cedole percepiti du-rante l’anno, ad esempio pari a 5. In questo esempio il valore finale dell’investimento è di 115 (10 di prezzo fi-nale e 5 di dividendo) e deve essere confrontato con un investimento iniziale di 100.Il rendimento complessivo è del 15%. Si tratta di un ren-dimento soddisfacente? Dipende dalle alternative dispo-nibili. Un’alternativa è senz’altro rappresentata dall’inve-stimento in un titolo senza rischio annuale, che offre con certezza un tasso di interesse. Supponiamo che il tasso di interesse sia del 5%. Il ren-dimento del 15% è senz’altro più alto del 5%, ma occorre tenere presente che l’investimento nel titolo finanziario comporta una certa dose di rischio. Invece di avere un prezzo finale di 110, il titolo avrebbe potuto avere un prezzo finale pari ad 80 che, assieme al dividendo di 5, avrebbe comportato un rendimento complessivo di -15%. Se l’investimento nel titolo è rischioso, non è corretto confrontare il rendimento finale del 15% con il tasso di interesse del 5%, in quanto l’investitore sarà disposto ad investire in un titolo rischioso anziché in un titolo senza rischio solo in presenza di una adeguata remunerazione.Occorre da una parte tenere conto di tutti gli scenari possibili del rendimento rischioso, calcolando il rendi-mento atteso, e dall’altra parte considerare l’alternativa sommando al tasso di interesse anche la remunerazione necessaria a compensare il rischio che si corre, definito premio per il rischio.Se ad esempio ci sono solo due scenari possibili di rendi-mento del titolo rischioso, +15% e -15%, e se la probabilità del primo scenario è del 90% mentre quella del secondo scenario è del 10%, si ottiene un rendimento atteso pari a nove decimi di +15% e ad un decimo di -15%, per ottenere un risultato finale di +12%. Se il premio per il rischio è ad esempio del 5%, allora il rendimento atteso del 12% si confronta favorevolmente con la somma del tasso di inte-resse e del premio per il rischio, pari a 10%.

1.3 ASSET ALLOCATION: L’IMPORTANZA DELLA DIVERSIFICAZIONE

Quella dell’asset allocation è la scelta strategica fonda-mentale in una decisione di portafoglio, sia nel caso ci si affidi a un gestore professionale, sia se si decide di gestire direttamente il proprio portafoglio. E lo è per la semplice ragione che, oltre a definire il profilo rischio-rendimento del portafoglio, l’asset allocation influenza più di ogni altra decisione la variabilità della perfor-mance del portafoglio.Le classi di attività che si prendono in considerazione nella definizione di una asset allocation sono liquidità, obbligazioni e azioni. Data la diversa esposizione al rischio e il diverso poten-ziale di rendimento che caratterizza ogni classe di attivi-tà, la composizione di queste tre classi di attività finan-ziarie in un portafoglio è in grado di soddisfare, data la sua propensione al rischio, gli obiettivi di risparmio di qualsiasi individuo.Purtroppo, non esiste una soluzione standardiz-zata per la determinazione della asset allocation ideale per un singolo individuo. In generale, però l’espo-sizione di un portafoglio ai mercati azionari sarà tanto

maggiore quanto più alte sono la propensione al rischio dell’investitore e il suo orizzonte temporale. Questo perché i mercati azionari garantiscono sto-ricamente un più elevato rendimento come pre-mio per il rischio che comportano, ma allo stesso tempo sono più volatili nel breve periodo. Per esempio, chi avesse investito in un portafoglio con una elevata componente azionaria negli anni 1990, avrebbe dovuto affrontare ingenti perdite nel biennio 2000-2001.

“L’INCERTEZZA SULLUU ELL SCELTELL DI ASSET ALLAA OCATIONLL

CONSIGLGG IANOLL O DI AFFIDARSI AD UN PROFESSIONISTA DEL

SETTORE FINANZIARIO O ”

Capitolo 1

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Solo oggi il mercato sta recuperando le posizioni perse, ma quello stesso shock potrebbe non avere lo stesso peso (in termini di rendimento) nel 2010 e, ancor più, nel 2020, quando non sarebbe considerato altrimenti che come un piccolo incidente di percorso.Al contrario, la componente di liquidità del portafoglio garantisce una certa “sicurezza” nel caso si debba re-alizzare rapidamente una parte dell’investimento. Ma, d’altra parte, quanto maggiore è la componente di liqui-dità del portafoglio, tanto minore è il suo rendimento potenziale complessivo, dato che a livelli bassi di rischio corrispondono livelli altrettanto bassi di rendimento.La difficoltà di compiere una scelta razionale riguardo all’asset allocation, suggerisce a molti di affidarsi alla consulenza di una società finanziaria, in grado di stabilire un profilo accurato delle esigenze, della propensione al rischio e dell’orizzonte tem-porale. Esistono anche software che possono aiutare il singolo risparmiatore a definire un’asset allocation adat-ta a soddisfare i propri bisogni e le proprie aspettative. Molti di questi sono accessibili gratuitamente su internet. In ogni caso, è vivamente consigliabile il ricorso ad un supporto professionale nel definire una scelta così importante.

1.4 IL RISPARMIO GESTITO:FONDI COMUNI DI INVESTIMENTO

Il risparmio gestito può essere definito come la quota di ri-sparmio personale affidata dal singolo ad uno o più gesto-ri professionali che, nell’ambito di un mandato ricevu-to, provvedono ad amministrare le risorse loro conferite. Con l’espressione risparmio gestito si fa dunque riferi-mento alle attività di gestione professionale del risparmio operate dai fondi comuni di investimento mobiliare e dalle SICAV, all’attività di gestione di patrimoni mobiliari individuali (GPM) effettuata da banche e da società d’in-termediazione mobiliare (SIM), nonché alle attività di in-vestimento per conto dei risparmiatori operate dai fondi pensione e dalle compagnie di assicurazione nell’ambito della cosiddetta previdenza complementare. I prodotti finanziari rientranti nell’ambito del risparmio gestito si distinguono da quelli dell’intermediazione ban-

caria tradizionale, che mediante la raccolta di depositi e l’erogazione di impieghi, attua una radicale trasformazio-ne delle caratteristiche degli strumenti finanziari. Nel caso dei fondi comuni e delle gestioni individuali di patrimoni mobiliari si realizza una completa traslazione sugli investitori del rischio proveniente dalle oscillazioni di valore dei titoli detenuti in portafoglio e dalle possibili differenze temporali tra le esigenze finanziarie dei sogget-ti in deficit ed in surplus. Accanto alla nozione più ampia di risparmio gestito, usualmente utilizzata nelle statistiche internazionali, che ricomprende le gestioni di patrimoni individuali, gli

OICR (fondi comuni di investimento e SICAV), le assicu-razioni sulla vita e i fondi pensione, spesso ci si richiama ad una nozione più ristretta comprendente le sole gestio-ni di portafogli, collettive e individuali. Con il termine gestioni collettive sono da intendersi le gestioni dei fondi comuni di investimento mobiliare e le SICAV.

FONDI COMUNI E FONDI PENSIONEI fondi comuni sono quindi patrimoni colletti-vi costituiti con i capitali raccolti da una plurali-tà di risparmiatori, ciascuno dei quali detiene un numero di quote proporzionali all’importo che ha versato. Il sottoscrittore di una quota di fondo comune di investimento accetta implicitamente il rischio e il rendimento associati al portafoglio scelto: se il valore del portafoglio aumenta, il sot-toscrittore ne trae beneficio; se diminuisce, ne sop-porta la perdita.Rispetto a un investimento diretto in azioni o ob-bligazioni, il vantaggio offerto dal fondo comune di investimento è l’accesso alla diversificazione di portafoglio, anche disponendo di risorse mi-

“ I FONDI PENSIONE RIRR SPONDONOALLE ESIGENZE DI NATURAPREVIVV DENZIZZ ALEII DEGLILLINVESTITT TORII IRR ”

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nime: chi investe in attività finanziarie più di ogni altro dovrebbe rammentare che “non si devono mettere tutte le uova nello stesso cesto”.Il valore di una singola azione o obbligazione è le-gato alle fortune di una singola impresa, quindi de-tenere azioni o obbligazioni di un solo tipo è molto rischioso; assai meno rischioso è un portafoglio che contiene diversi tipi di azioni o di obbligazio-ni, perché le sorti di una singola impresa possono influire solo su una parte modesta del patrimonio. I fondi comuni rendono facile l’accesso a portafogli diversificati: oggi chiunque può sot-toscrivere una quota di un fondo comune e diven-tare di conseguenza comproprietario o creditore di centinaia di imprese diverse.Un secondo vantaggio riconosciuto ai fondi comu-ni è legato alla competenza professionale di chi ne gestisce gli investimenti: i gestori di fondi comuni di investimento tengono sotto stretto con-trollo le tendenze e gli andamenti dei mercati fi-nanziari nei quali sono presenti e acquistano i tito-li delle imprese che considerano più promettenti. Questa gestione professionale garantisce un rendimento migliore sulle somme date in gestione al fondo.Gli strumenti finanziari di previdenza comple-mentare, tipicamente i fondi pensione, consen-tono invece ai risparmiatori di investire le proprie risorse con un orizzonte di lungo termine, in base ad un’esigenza di natura previdenziale. I fondi pensione, in particolare, sono strumenti finanziari ideati per consentire ai risparmiatori di costruire una rendita pensionistica aggiuntiva a quella offer-ta dai sistemi di previdenza obbligatoria.Nella fase di raccolta il fondo pensione riceve le contribuzioni previdenziali che gli sono versate dal lavoratore aderente e dal datore di lavoro, nonché le quote di accantonamento annuale del trattamen-to di fine rapporto (TFR).Al termine dell’attività lavorativa, una volta matu-rato il diritto alla pensione, il lavoratore (o più in generale il soggetto aderente al fondo) riceve una rendita pensionistica periodica, proporzio-nale alla contribuzione accumulata.

Gli investimenti realizzati dai fondi pensione pos-sono riguardare sia titoli quotati nei mercati fi-nanziari regolamentati sia quote di OICR. In ogni caso, sono previste regole specifiche per questi prodotti, volte a tutelare l’investimento realizzato dai lavoratori aderenti. Per questo motivo i fondi pensione non possono effettuare specula-zioni finanziarie ritenute particolarmente rischiose (come le vendite allo scoperto) o utiliz-zare strumenti finanziari derivati con finalità di-verse da quella della copertura dei rischi.

1.5 I MERCATI GESTITI DA BORSA ITALIANA - LONDON

STOCK EXCHANGE

Borsa Italiana, società per azioni nata nel 1998 con la privatizzazione dei mercati di borsa, svolge l’attività di organizzazione e gestione di mercati regolamenta-ti di strumenti finanziari. Il suo principale obiettivo è quello di garantire lo sviluppo e di massimizzare la liquidità, la trasparenza, la competitività e l’efficienza dei mercati stessi. Dal 2007 Borsa Italiana fa parte del London Stock Exchange Group plc, il primo mercato europeo per scambi azionari, con il 48% della capita-lizzazione di mercato dell’indice FTSEurofirst 100 e con il book di negoziazione più liquido per contratti e controvalore

Le competenze di Borsa Italiana sono principalmente: �� �������������� ������������������������-

to dei mercati;�� ������������������������������������������-

missione, di esclusione e di sospensione degli opera-tori e degli strumenti finanziari dalle negoziazioni;

�� ������������������������������������������-missione e permanenza sul mercato per le società emittenti;

�� �������������� �������������������������������� ������������������������������������������������

corretto svolgimento delle negoziazioni.

Gli scambi vengono effettuati su 6 distinti mercati in

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base alla natura del sottostante oggetto di contrattazio-ne: MTA, SeDeX, MOT, ExtraMOT, IDEM ed ETFplus (vedi figura nella pagina successiva).

1.5.1 MTA: IL MERCATO AZIONARIO

MTA è il Mercato Telematico Azionario all’interno del qua-le si negoziano azioni, obbligazioni convertibili, diritti di opzione e warrant. Questo mercato si rivolge alle imprese di media e grande capitalizzazione offrendo loro un mer-cato allineato ai migliori standard internazionali, in grado di supportare le esigenze di raccolta di capitali domestici e internazionali provenienti da investitori istituzionali, pro-fessionali e dal pubblico risparmio ed in grado di garantire un’elevata liquidità dei titoli.

MTA (unitamente al mercato MIV) è rappresentato dai seguenti indici:�� ����������������!������ ���� �������"� ����� #�$&� ����� ������ #��

Cap, FTSE Italia Small Cap, FTSE Italia Micro Cap �� ��������������� ����� ������ ���'&� �!�� ����������� ��� ����� �������

appartenenti al segmento STAR

AIM Italia è il mercato di Borsa Italiana dedicato alle “piccole e medie imprese italiane leader di domani”.AIM Italia si rivolge alle PMI più dinamiche e compe-titive del Paese facendo leva sul know how ottenuto in 14 anni di esperienza dell’AIM inglese, il mercato de-dicato alle small caps, leader mondiale con oltre 1.600 società quotate provenienti da 40 diverse nazioni.

L’MTA Internationa) permette di negoziare sull’MTA al-cuni dei titoli più liquidi dell’area Euro utilizzando mo-dalità e costi del mercato italiano. Si tratta di un servizio sostanzialmente rivolto alla clientela privata, ma anche gli operatori professionisti possono trovare interessanti opportunità di trading in questo segmento.

LE AZIONIIn generale ad ogni azione spetta un voto, tuttavia, seb-bene esista il divieto di emettere azioni a voto plurimo,

e quindi di assegnare più di un voto a ogni azione, esi-ste la possibilità di emettere categorie speciali di azioni con differenti contenuti in termini di diritti ammini-strativi e patrimoniali.

AZIONI ORDINARIEL’azione ordinaria rappresenta l’unità minima di par-tecipazione al capitale di una società. Le caratteristiche istintive delle azioni ordinarie riguardano i pagamenti discrezionali di dividendi, i diritti residuali sul capita-le della società, la responsabilità limitata e il diritto di voto nelle assemblee societarie.I profitti derivanti dal possesso di azioni ordinarie sono rappresentati dai dividendi e dai guadagni in con-to capitale (capital gain).Il pagamento e l’ammontare dei dividendi sono determi-nati dal Consiglio di Amministrazione (CdA) della socie-tà emittente (eletto dagli azionisti ordinari) e approvati dall’assemblea ordinaria. Tuttavia il diritto degli azionisti a ricevere il dividendo non è assoluto; nel caso in cui, pur in presenza di utili positivi, il CdA e l’assemblea ordina-ria decidano di non distribuire gli utili gli azionisti non riceveranno nulla. In generale, però, quando gli utili non vengono distribuiti sono automaticamente reinvestiti nella società stessa contribuendo ad incrementare i pro-fitti dell’esercizio successivo.La principale componente di remunerazione delle azioni ordinarie è comunque rappresentata dal capital gain, os-sia dalla differenza tra il prezzo di acquisto ed il prezzo di vendita dell’azione stessa.In caso di fallimento o di scioglimento della società, gli azionisti ordinari possono vantare soltanto un di-ritto residuale. Ciò significa che essi avranno diritto a suddividersi pro quota ciò che residua dopo il soddi-sfacimento di tutte le altre categorie di stakeholders: i creditori, i lavoratori dipendenti, gli obbligazionisti, l’amministrazione tributaria e gli azionisti privilegia-ti. Tale caratteristica rende le azioni ordinarie più ri-schiose dei titoli di debito e delle azioni privilegiate. Una delle principali caratteristiche associate alle azio-ni ordinarie è costituita dal beneficio della responsabi-lità limitata. Essa implica che le eventuali perdite degli azionisti siano limitate all’ammontare dei conferimen-ti inizialmente apportati nell’impresa a titolo di capi-

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1111

Capitolo 1

AZIONARIOAZIONARIO SECURITISED SECURITISEDDERIVATESDERIVATES ETF E ETCETF E ETC REDDITO FISSOREDDITO FISSO DERIVATIDERIVATI

MAC

Covered CCoveredd warrantwarwarranrantt

Covered warrantCCoveredd warrantstrutturati / esoticistrstruttutturauratiti / e/ esotsoticiici

LaverageLLaveragecertificatescercertiftificaicatestes

ETFETF IDEM EquityIDEM Equity

IDEXIDEX

Mercato RegolamentatoSegmento di mercatoMTF ( Multilateral Trading Facilities)

Trading After Hours: STAR, SeDeX

DomesticMOTDomesticMOT

InvestmentInvInvestestmenmenttcertificatescertificates

tale, anche qualora il valore delle attività dell’impresa scenda al di sotto di quello dei debiti dovuti. In altre parole, il patrimonio personale dell’azionista resta estraneo rispetto ai diritti vantati dai creditori della società in caso di fallimento. Un’altra caratteristica delle azioni ordinarie è la titolarità di un diritto di voto pieno che fa sì che gli azionisti possano partecipare, pro-quota, ai fatti sociali e alla formazione della vo-lontà assembleare.

AZIONE NOMINATIVAAzione intestata a una persona fisica o giuridi-ca, con il nome del titolare riportato sul certificato azionario e risultante dal libro dei soci della società emittente.L’azione nominativa può essere trasferita se-condo due diverse modalità. La prima, detta transfert, comporta l’annotazione del nome dell’acquirente sia sul titolo che sul libro dei soci ad opera della società. Con la conclusione di questa procedura l’acquirente assume la qualifica di socio e può quindi esercitare i diritti relativi.

AZIONE PRIVILEGIATAL’azione privilegiata, al pari dell’azione ordinaria, rappresenta l’unità minima di partecipazione al ca-pitale di una società, ed attribuisce sia diritti ammi-nistrativi, sia diritti patrimoniali.Tuttavia il contenuto dei diritti patrimoniali può essere liberamente stabilito dalla società e, di nor-ma, prevede alcuni vantaggi rispetto alle azioni ordinarie. Generalmente le società riconoscono un rendimento addizionale (e una prelazione) ri-spetto al dividendo delle azioni ordinarie. Inoltre gli azionisti privilegiati godono di una prelazione nel riparto del patrimonio a seguito del fallimen-to o dello scioglimento della società rispetto ai soli azionisti ordinari.A fronte di questi vantaggi patrimoniali vi sono, in genere, alcune restrizioni dei diritti ammini-strativi, infatti gli azionisti privilegiati possono votare soltanto nelle assemblee straordinarie, ma non ordinarie.

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1.5.2 MOT E EXTRAMOT: IL MERCATO DEI TITOLI

A REDDITO FISSO

IL MERCATO MOT E’ possibile negoziare tutti gli strumenti sopra descritti sul mercato italiano del MOT.Le negoziazioni avvengono inizialmente con modalità di asta e successivamente, fino al termine della gior-nata, in modalità di negoziazione continua. Durante la fase d’asta i contratti sono conclusi ad un prezzo teo-rico che massimizza il quantitativo scambiato mentre durante la negoziazione continua sono conclusi me-diante abbinamento automatico delle proposte ordi-nate in base al criterio prezzo/tempo.

ORARI DI NEGOZIAZIONE

asta diapertura

negoziazionei icontinua

8:00 9:00 17:30

LE OBBLIGAZIONI L’obbligazione è un titolo di credito che rappresenta una parte di debito acceso da una società o da un ente pubblico per finanziarsi. Garantisce all’acquirente il rimborso del capitale più una remunerazione sotto for-ma di tasso di interesse.Le obbligazioni sono emesse allo scopo di reperire, direttamente tra i risparmiatori e a condizioni più vantaggiose rispetto a quelle dei prestiti bancari, ca-pitali da investire. Il vantaggio per l’emittente deriva, infatti, dalla possibilità di pagare tassi di interesse solitamente inferiori rispetto a quelli che sarebbe co-stretto a pagare a fronte di un finanziamento bancario di eguale scadenza. L’investitore, a sua volta, benefi-cia di un rendimento maggiore rispetto a quello di un investimento in liquidità e con la possibilità, laddove quotati, di smobilizzare il proprio investimento sul mercato secondario.

Il detentore di obbligazioni di una società, pur non essendo immune dal rischio d’impresa, a differen-za dell’azionista non partecipa all’attività gestionale dell’emittente, non avendo diritto di voto nelle assem-blee. In compenso, la remunerazione del capitale di ri-schio azionario è subordinata al preventivo pagamento di interessi e rimborsi agli obbligazionisti.

Esistono, tuttavia, delle obbligazioni (obbligazioni convertibili) che possono essere convertite in azioni della società emittente, o di una società appartenente allo stesso gruppo. A seguito della conversione si cessa di essere obbligazionista diventando azionista ed ac-quistando, quindi, tutti i diritti relativi.

Le obbligazioni possono essere classificate in due ma-crocategorie: le obbligazioni semplici (plain vanilla) e quelle strutturate, ovvero costruite utilizzando un tito-lo semplice (di solito zero coupon) ed una o più opzioni sull’andamento di un prodotto sottostante. Fanno parte della prima i titoli a Tasso Fisso, quelli a Tasso Variabile e le obbligazioni Zero Coupon. Tra le strutturate ricordiamo, a titolo esemplificativo ma non esaustivo, le equity linked, le index linked, gli struttu-rati su tassi e quelli su commodities.

La cedola rappresenta l’interesse pagato durante la vita del titolo: può avere periodicità trimestrale, seme-strale, o annuale. Può essere anche corrisposta esclusi-vamente a scadenza se, come nel caso delle obbligazio-ni strutturate, la performance dell’attività sottostante rispetta quanto stabilito nel regolamento del prestito obbligazionario.

L’interesse può essere fisso (stabilito a priori) o variabile (solitamente indicizzato al Libor o all’Euribor maggiora-to di uno spread o ad altri tassi ufficiali e di norma ag-giustato semestralmente) o, come già anticipato, legato all’andamento di un’attività sottostante. Spesso, per in-centivarne la sottoscrizione, l’emissione avviene sotto la pari, cioè il valore nominale (ovverosia il valore che ver-rà rimborsato a scadenza) è maggiore rispetto al prezzo di sottoscrizione (che è quello che si paga per acquistare il titolo): in questo modo aumenta il rendimento.

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I titoli detti “zero coupon”, invece, non pagano interes-si sotto forma di cedole durante la loro vita ed il rendi-mento è dato unicamente dalla differenza tra il valore nominale ed il prezzo di sottoscrizione. Per garantire i sottoscrittori dal rischio di insolvenza dell’emittente, la legge prevede che le obbligazioni non possano esse-re emesse per un importo superiore al capitale sociale della società emittente, versato ed esistente secondo l’ultimo bilancio approvato; si può derogare a questo principio generale solamente se l’emissione è accom-pagnata da garanzie reali.

BOT - BUONI ORDINARI DEL TESOROI BOT, Buoni Ordinari del Tesoro, sono titoli di credito emessi dal Tesoro al fine di finanziare il debito pubbli-co nel breve termine. Tali strumenti presentano quindi una vita di 3, 6 o 12 mesi. Alla scadenza l’investitore riceverà una somma di denaro pari al valore nominale dei titoli posseduti.

I BOT RIENTRANO NELLA TIPOLOGIADI TITOLI “ZERO COUPON” (SENZA CEDOLA).La remunerazione dell’investimento è data dalla dif-ferenza tra il valore nominale del titolo (il prezzo di rimborso) ed il prezzo di acquisto: la somma che l’in-vestitore paga in sede di sottoscrizione (o di successivo

acquisto sul mercato secondario) è, infatti, inferiore a quanto incasserà a scadenza. L’emissione dei BOT av-viene tramite asta telematica competitiva, gestita dalla Banca d’Italia, a cui partecipano gli intermediari au-torizzati; in questa fase si determina il prezzo di asse-gnazione dei titoli ai sottoscrittori. Generalmente si ha un’emissione a metà e alla fine di ogni mese. Una volta emessi, il MOT (Mercato Telematico delle Obbligazioni di Borsa Italiana) permette la successiva compravendita dei titoli sul mercato secondario. All’investitore viene offerta, quindi, la possibilità di vendere il titolo prima della sua scadenza ad un prezzo trasparente e tendenzialmente coerente con i tassi di interesse di mercato.Il rendimento a scadenza del titolo, come detto, deriva dalla differenza tra il prezzo di rimborso ed il prezzo di acquisto o di emissione e dalla vita residua del tito-lo. Ad esempio, nel caso di un BOT a dodici mesi con prezzo di emissione pari a 97, il rendimento a scadenza è pari al 3.09% annuo. Di seguito, si riporta la formula per calcolare il tasso di rendimento effettivo a scadenza, da applicarsi nel caso di vita residua del titolo inferiore a 12 mesi:

vedi esempio 1 qui sotto

Il valore percentuale così determinato corrisponde al rendimento annuo lordo, cioè il rendimento che si ot-terrebbe nell’arco temporale di un anno reinvestendo i proventi ottenuti dall’investimento originario alle medesime condizioni di mercato iniziali (c.d. regime di capitalizzazione composta).Stessa operazione matematica va effettuata nel caso in

“LELL OE BBLIGAZILL ONI PERMETTOTT NOALLAA ’INVESTITORE DI CONIUGAREPRORR TEZIOO ONE A RENDIMENTO,FLESSIBILL LITÀLL A STABILITÀLL ”

valore nominaledi rimborso

prezzoemissione

CasoBot semestrali

360180 22

2

44= =36090

Bot trimestrali

6,28-1 x 100( )) =10097

Quindi il rendimentosu base annua sarebbe

pari al 6,28%

ESEMPIO 1

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1515

Capitolo 1

cui si acquisti il titolo sul mercato secondario: l’unica dif-ferenza è che ovviamente il denominatore è rappresenta-to dal prezzo di acquisto e non dal prezzo di emissione.

vedi esempio 2 qui sotto

Nell’ipotesi in cui l’investitore decidesse di vendere il titolo sul MOT prima della scadenza il calcolo del tasso di rendimento è il seguente:Il rendimento annuo lordo a scadenza è già noto in fase di sottoscrizione del titolo, sempre che lo stesso venga mantenuto in portafoglio fino a scadenza. Nel caso di vendita prima della stessa, invece, ci si espone al rischio che tale rendimento possa essere inferiore a quello originariamente previsto.

BTP - BUONI DEL TESORO POLIENNALI I Buoni del Tesoro Poliennali (BTP) sono titoli di credito a medio-lungo termine emessi dal Tesoro con scadenza pari a 3, 5, 7,10, 15 e 30 anni. L’inve-stitore riceve, durante la vita dell’obbligazione, un flusso cedolare periodico oltre al rimborso a scaden-za del valore nominale dei titoli posseduti. Le cedole sono determinate applicando al valore nominale del titolo un tasso di interesse fisso, predeterminato la momento dell’emissione del prestito. Il pagamento è, a differenza dei Bund tedeschi e degli Oat fran-cesi, semestrale. Anche nel caso di questi strumenti di debito pubblico, l’emissione avviene tramite asta; solitamente si ha un’emissione al mese. Si tratta di aste marginali in cui non viene definito un prezzo base d’asta. Anche per i BTP il MOT, il mercato te-lematico delle obbligazioni, rappresenta il mercato secondario regolamentato di riferimento sia per la

clientela retail che per gli investitori istituzionali.I BTP possono essere sottoscritti per un valore nomi-nale minimo di 1000 Euro o un multiplo di esso.I Buoni Poliennali sono titoli a reddito fisso particolar-mente adatti per quegli investitori che richiedono flus-si di pagamenti costanti. Le varie scadenze esistenti sul mercato consentono di programmare flussi di cassa regolari durante tutto l’arco dell’anno. Inoltre i BTP sono particolarmente apprezzati per la loro liquidità. Il principale rischio che l’investitore corre acquistando i BTP è quello di mercato. I BTP, in quanto strumenti a tasso fisso, sono molto sensibili alle variazioni che in-tervengono sui tassi di mercato. La volatilità, in altri termini, è tanto maggiore quan-to più lunga è la vita residua del titolo. Un aumento dei tassi di mercato comporterà una diminuzione del

prezzo del BTP: per eguagliare il rendimento di mer-cato, date le cedole fisse, la quotazione dovrà decre-scere, in modo che l’investitore recuperi con un “ca-pital gain” la differenza tra il rendimento cedolare e quello di mercato. Al contrario, nel caso di diminu-zione dei tassi di mercato, il prezzo del BTP si alzerà. In ogni caso, mantenendo i titoli in portafoglio fino a scadenza, l’investitore si vedrà rimborsato un importo pari al valore nominale.

“ I MERCATITT OBBLILL GAZIZZ ONARIRRPREVEDONO OPERATORIRR SPECIALII ILL STITT A SOSTEGNO DELLA LILL QUIUU DITÀII

DEGLILL STRUMENTITT . ”

prezzodi acquisto

prezzo emissioneo di acquisto

(55= giorni in cui il titolo è tenuto in portafoglio)ESEMPIO 2

36055 6,546

6,54

=

946,94-1 x 100( ))) =9897

Quindi il rendimentosu base annua sarebbe

pari al 6,94%

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CTZ - CERTIFICATI DEL TESORO ZERO COUPONCon l’introduzione dei CTZ (Certificati del Tesoro Zero Coupon), nel 1995, il Tesoro ha uno strumento zero-coupon di medio termine. Si tratta, infatti, di un titolo, della durata di 24 mesi, che non prevede il pagamento di cedole periodiche a favore dei sottoscrittori ed il cui ren-dimento viene determinato sulla base della differenza tra valore nominale e prezzo di emissione (sotto la pari). Dal rendimento lordo così determinato deve essere sottratta la ritenuta fiscale, attualmente pari al 12.5%. L’emissione dei CTZ avviene mediante asta marginale mensile, che si tiene in coincidenza con l’asta dei BOT. All’asta possono partecipare solo gli intermediari abilitati, ovvero banche e SIM; gli investitori intenzionati a sottoscrivere CTZ dovranno prenotare la quantità desiderata presso un intermediario autorizzato non oltre il giorno precedente l’asta: l’importo di sottoscrizione è pari a nominali Euro 1.000 (lotto minimo) e relativi multipli. La commissione di collocamento dello 0.20% è retrocessa dal Tesoro agli intermediari, e quindi il sottoscrittore finale paga il prez-zo d’asta, senza ulteriori aggravi.Dopo l’emissione i CTZ sono negoziabili sul mercato rego-lamentato MOT, per importi pari o multipli di 1000 euro.

CCT - CERTIFICATI DI CREDITO DEL TESOROUna ulteriore tipologia di titoli emessi dallo Stato è rappre-sentata dai Certificati di Credito del Tesoro (CCT). Si tratta di titoli a tasso variabile della durata di 7 anni. Sono carat-terizzati dal pagamento di cedole semestrali indicizzate al rendimento dei BOT a 6 mesi, maggiorato di uno spread. I CCT hanno la peculiarità di adeguare la cedola ai tassi cor-renti di mercato, permettendo all’investitore la possibilità, in caso di smobilizzo dell’investimento prima della sca-denza, di recuperare, grosso modo, il capitale inizialmente investito. Ai fini della determinazione della cedola seme-strale, si moltiplica per 0.5 il rendimento lordo semplice del BOT semestrale registrato nell’ultima asta che precede il godimento della cedola del CCT; al risultato così ottenu-to viene sommato uno spread dello 0.15%. La cedola netta incassata dall’investitore terrà conto della ritenuta fiscale attualmente del 12.50%. Sul rendimento lordo dell’investi-mento, oltre alle cedole incassate, incide anche lo scarto di emissione (ovvero la differenza tra valore nominale e prez-zo di emissione).

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Capitolo 1

Come per i CTZ, il collocamento avviene una volta al mese mediante asta marginale a cui partecipano gli intermedia-ri abilitati. L’investitore dovrà quindi prenotare i titoli con almeno un giorno di anticipo rispetto alla data dell’asta. Il prezzo pagato è quello d’asta, dato che nessuna commissio-ne è prevista a carico del sottoscrittore. Per quanto concer-ne l’importo minimo di sottoscrizione e la negoziazione sui mercati secondari, si rimanda al paragrafo dedicato ai CTZ.

BOCI cosiddetti BOC sono titoli obbligazionari emessi da enti territoriali, esclusivamente con finalità di copertura degli investimenti. È quindi fatto divieto di utilizzare tali stru-menti per finanziarie le spese correnti. La durata minima è fissata in 5 anni e l’emissione avviene alla pari, mentre le cedole possono essere trimestrali, semestrali o annuali, di importo fisso o variabile. Nel secondo caso l’indicizzazione deve essere basata sui tassi BOT o interbancari, eventual-mente maggiorati di uno spread non superiore al punto percentuale. La tassazione sulle cedole è pari al 12.50%.

1.5.3 ETFPLUS, IL MERCATO DI ETF ED ETC

ETFplus è il mercato interamente dedicato alla negozia-zione di ETF, ETF strutturati ed ETC, strumenti che, pur condividendo i medesimi meccanismi di funzionamento, presentano caratteristiche e peculiarità proprie. Sono pre-visti tre segmenti.- ETF indicizzati (ETF obbligazionari, ETF azionari)- ETF strutturati (con effetto leva, senza effetto leva )- ETC (Indici di commodities, Energia, Metalli indu-

striali, Metalli preziosi, Prodotti agricoli, Bestiame)- ETN (su sottostanti non compresi nella categoria ETC)Le negoziazioni degli ETF, ETF strutturati, ETC ed ETN

si svolgono in continua dalle 9.05 alle 17.25 senza aste di apertura e di chiusura. I contratti vengono conclusi mediante l’abbinamento automatico delle proposte in acquisto e in vendita ordinate secondo criteri di priorità prezzo/tempo.

ETF ED ETC ETFETF è l’acronimo di Exchange Traded Fund, un termine con il quale si identifica una particolare tipologia di fondo d’investimento o Sicav con due principali caratteristiche:�� *����������$����������� ������� !������������<<������� ��������������������-

plicare l’indice al quale si riferisce (benchmark) attra-verso una gestione totalmente passiva.

Un ETF riassume in sé le caratteristiche proprie di un fon-do e di un’azione, consentendo agli investitori di sfruttare i punti di forza di entrambi gli strumenti:�� ������������ �� ������� ���� ���!�� �������

dei fondi;�� �����<�����������������������������������������

in tempo reale delle azioni.

Gli ETF sono caratterizzati inoltre da un innovativo mecca-nismo di funzionamento, definito “creation / redemption in kind” (“sottoscrizione / rimborso in natura”), che con-sente una puntuale replica dell’indice e un maggior conte-nimento dei costi rispetto ad un fondo tradizionale. Acquistando un ETF è possibile prendere posizione su un indice di mercato (S&PMIB, DAX, Nasdaq100, S&P500…) in tempo reale con una sola operazione ad un prezzo che riflette il valore del fondo in quel preciso momento e che va a replicare passivamente la performance dell’indice stesso. Va considerato però che qualora la valuta di riferimento dell’indice sia differente da quella di negoziazione (che è sempre l’euro), il rendimento dell’ETF potrà divergere da quello del benchmark per effetto della svalutazione/rivalu-tazione di tale valuta nei confronti dell’euro.Gli ETF presentano una commissione totale annua (TER) ridotta e applicata automaticamente in proporzione al periodo di detenzione, mentre nessuna commissione di “Entrata”, di “Uscita” e di “Performance” è a carico dell’in-vestitore. Il risparmiatore deve solo considerare le com-

“CORPORATE BE OND PERDIVERSIFICARECC IL PROPRIOPORTAFOGLIO BENEFICIANDO

DI PIÙ ALTI RENDIMENTI ”

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missioni applicate dalla propria banca/Sim per l’acquisto e la vendita sul mercato. Inoltre poiché il lotto minimo di negoziazione è sempre pari ad una quotazione l’investito-re potrà acquistare un ETF investendo anche solo poche centinaia di euro.I dividendi o gli interessi che l’ETF incassa a fronte dei tanti detenute nel proprio patrimonio (nonché i proventi del loro reinvestimento) possono essere distribuiti perio-dicamente agli investitori o capitalizzati stabilmente nel patrimonio dell’ETF stesso. In entrambi i casi il solo bene-ficiario è l’investitore.Un aspetto molto importante che riguarda l’operatività su-gli ETF è la liquidità, cioè la facilità con la quale è possibile costruire o smobilizzare una posizione. Va sottolineato che il meccanismo di creazione e rimborso in natura degli ETF richiede ai partecipanti autorizzati di operare sui titoli pre-senti nell’indice benchmark al fine di creare nuove quote/azioni o chiederne il rimborso. Di conseguenza si crea un legame tra liquidità dell’ETF e liquidità del mercato sot-tostante, per cui le condizioni di spread e di controvalore delle proposte presenti sul book di negoziazione sono le medesime che si potrebbero fronteggiare operando diret-tamente sui titoli componenti l’ETF. Per operare sugli ETF è necessario inoltrare l’ordine di ac-quisto / vendita attraverso la propria Banca / Sim utiliz-zando gli usuali canali (Internet, sportello, promotore, call center ecc..), per cui di fatto il trading su questo strumento è analogo a quello delle le azioni.Gli ETF non sono esposti ad un rischio di insolvenza (e di conseguenza non richiedono un rating) neppure nel caso in cui le società che ne hanno curato o curano le attività di costituzione, gestione, amministrazione ecc... risultino insolventi. Questo perché gli ETF, come i Fondi Comuni di Investimento oppure le Sicav, hanno un patrimonio se-parato rispetto a quello delle società appena menzionate.Non deve invece essere dimenticato che gli ETF sono ov-viamente esposti al rischio che le azioni, le obbligazioni e gli altri strumenti in cui è investito il loro patrimonio per-dano valore.

ETF STRUTTURATIGli ETF strutturati sono degli OICR, cioè dei fondi o delle Sicav negoziabili in tempo reale come delle azioni gestiti con tecniche volte a perseguire rendimenti che non sono

solo in funzione del mercato a cui fanno riferimento, ma che possono essere volte:�� �������������������������������������������������-

cipando agli eventuali rialzi dell’indice di riferimento (ETF protective put);

�� ���������������������>��!����������������� �-damento di un indice (ETF a leva);

�� ��������������������������������������������di riferimento (ETF short con o senza leva);

�� ����� ����������� �� ��������� � ��������� �>�complesse come ad esempio la strategia cosiddetta buy-write o covered call che prevede l’assunzione di una posizione lunga sul benchmark e la contestuale vendita di un opzione sull’indice stesso con strike out of the money del 5%.

L’elemento che accomuna gli ETF strutturati agli ETF è la politica d’investimento che si può sinteticamente de-finire “passiva” in considerazione del fatto che una volta definito il modello matematico in base al quale il patri-

monio sarà gestito, la discrezionalità lasciata al gestore è limitata. Come per gli ETF indicizzati, le quote possono essere create e riscattate continuamente da parte degli intermediari autorizzati (authorised participant), assi-curando che il prezzo di mercato sia sempre allineato al NAV del fondo.

ETCGli ETC sono titoli senza scadenza emessi da una società veicolo a fronte dell’investimento diretto o in materie prime o in contratti derivati su materie prime.Il prezzo degli ETC è quindi legato direttamente o indi-rettamente all’andamento del sottostante, esattamente come il prezzo degli ETF è legato al valore dell’indice a

ETF: SEMPLICIEE TII ÀTT , TRASPARTT ERR NZAEE ,FLELL SSIBILITII ÀTT , ECONOMICITII ÀTTE ABBATTAA IMTT ENEE TNN OTTDEL RISCHIO EMIEE TTEII NEE TENN ”

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cui fanno riferimento.Gli ETC rispondono all’esigenza di poter prendere posizio-ne su una singola materia prima, possibilità preclusa agli ETF che, in quanto fondi o Sicav, devono garantire un certo grado di diversificazione ai sensi della Direttiva sugli Orga-nismi d’Investimento Collettivi del Risparmio (UCITS III).

In sintesi un ETC consente di:�� ����������������������������������������������"����

ETC replicano la performance di una singola commo-dity o di indici di commodities, grazie all’investimento diretto da parte della società emittente nella materia prima fisica (ETC fisici o physically-backed) o in con-tratti derivati sulla materia prima stipulati con contro-parti nel mercato delle commodities nei confronti delle quali si sostiene un rischio di credito. In questo secondo caso gli ETC consentono agli investitori di avere un’e-sposizione simile a quella che si otterrebbe gestendo una posizione in acquisto in contratti future senza leva finanziaria.

�� '������ ������������ �������� ����� �����������delle materie prime: a differenza di una posizione in future, gli ETC non comportano la necessità di riposi-zionarsi da un contratto future ad un altro, non richie-dono nessun margine e non comportano altre spese di intermediazione/sostituzione dei contratti derivati in scadenza in quanto tali attività sono incorporate nello strumento.

�� @����J��!����������������������������������-me consentono di evitare gli oneri e i rischi legati al loro stoccaggio ed eliminare il rischio di controparte.

�� W�������� �������������������������������[��-tal return). In caso di ETC legati al prezzo di contratti future sulla materia prima, il risparmiatore ha accesso ad un rendimento assoluto che comprende tre diverse componenti: - rendimento spot: è quello derivante dall’oscilla-

zione del prezzo del future della materia prima sot-tostante;

- rendimento legato al rolling (che può essere positivo o negativo): è il rendimento associato all’attività di sostituzione dei contratti future in sca-denza che consente di mantenere la posizione sul sottostante; è negativo (riporto) quando il contratto

in scadenza ha un prezzo inferiore di quello succes-sivo, è positivo (deporto) nel caso opposto;

- rendimento del collaterale: è l’interesse che si ottiene dall’investimento del collaterale (l’acquisto di un future non richiede infatti alcun investimen-to se non il mantenimento di un margine che però è anch’esso remunerato);

- Va inoltre considerato che gran parte delle materie prime sono trattate in dollari per cui il valore dell’in-vestimento sarà influenzato positivamente o negati-vamente dall’andamento del tasso di cambio EUR/USD.

�� ��������� ��� �������� ������ ���������� ��� �� ������molto contenuto: nessuna commissione di “entrata”, di “uscita” e di “performance” è a carico dell’investitore, le commissioni di gestione sono contenute e sono applica-te in proporzione al tempo di possesso del titolo attra-verso la riduzione della quantità di materia prima di cui si ha diritto.

�� �������������� ������������������������������������mercato vanno considerate le commissioni applicate dalla propria banca/SIM.

Anche per gli ETC esiste un mercato primario e un mercato secondario. Il mercato primario, accessibile esclusivamente agli intermediari autorizzati, consen-te la sottoscrizione e il rimborso dei titoli su base gior-naliera al valore ufficiale dell’ETC; per gli ETC physi-cally-backed è prevista la possibilità di effettuare la sottoscrizione anche in natura, ossia consegnando all’emittente direttamente la materia prima. Questo meccanismo consente agli intermediari specia-

“DIVERSIFICAZIONE E PROTEZIONE DEL CAPITALE SONO I FONDNN AMENTALIDD OBIETTIVI

NELLA COSTRUZIONE DEL PORTAFOGLIO ”

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lizzati di effettuare arbitraggi che fanno si che il prezzo degli ETC sia sempre costantemente allineato al valore di mercato della materia prima sottostante.Il mercato secondario è rappresentato dalla Borsa, dove tutti gli altri investitori possono negoziare gli ETC al prez-zo determinato dalle migliori proposte in acquisto e in vendita presenti sul book di negoziazione. 1.5.4 SEDEX: IL MERCATO DEI

SECURITISED DERIVATES

SeDeX è il mercato di Borsa Italiana dedicato alla nego-ziazione di certificati e covered warrant, nel loro insie-me definiti derivati cartolarizzati. Il mercato è suddiviso in 4 segmenti:

Covered Warrant Plain vanilla; Strutturati / esotici (Cap e Floor

Warrant sui tassi, Warrant digitali, Alpha Warrant)

Certificates Investment (Classe A – Bench-mark, Open End – Classe B - Capitale protetto, Bonus, Outperformance, Discount);

Leverage (Mini Futures e Turbo & Short Certificates)

GLI ORARI E LE FASI DI NEGOZIAZIONE

cancellazionell idelle proposte

negoziazionei icontinua

8:00 9:00 17:259:00

Il mercato SEDEX apre alle ore 8.00 con una fase di cancellazione delle proposte che chiude alle ore 9.00; alle 9.05 apre la fase di negoziazione in continua che chiude alle 17.25 e infine dalle 18.00 alle 20.30 è pos-sibile negoziare in After Hours. Non sono previste aste di apertura e di chiusura.

I CERTIFICATI E I COVERED WARRANTInvestment CertificatesSono strumenti negoziati nel segmento Investment Certificates e sono divisi in due classi, A e B.

La classe A comprende:BENCHMARK - certificati che replicano linearmente l’attività sottostante prescelta (al netto dei flussi dei dividendi), infatti in ogni momento il loro prezzo sarà derivato da quest’ultima, senza l’utilizzo di ulteriori variabili. Alla scadenza rimborsano in modo automa-tico un importo pari al livello dell’indice sottostante, moltiplicato per il multiplo e convertito al tasso di cambio corrente, nel caso in cui l’indice di riferimen-to non sia espresso in euro. Open End - certificati che replicano linearmente l’attività sottostante prescel-ta e non prevedono una scadenza. L’assenza di una scadenza li rende utilizzabili anche in una strategia di medio-lungo termine, con la possibilità di suddivi-dere l’investimento nel tempo e costruire un piano di accumulo. Si possono vendere in qualsiasi momento, senza commissioni di uscita, pagando il solo costo di negoziazione. L’investitore ha comunque facoltà di esercitarli nel corso della loro vita e lo stesso emitten-te può a un certo punto fissare una data di scadenza. QUANTO – tipo di benchmark certificates che a scaden-za rimborsano in modo automatico il livello dell’indice moltiplicato per il multiplo, senza subire la conversio-ne al tasso di cambio corrente, anche se espressi in valuta estera. In questo modo viene azzerata l’espo-sizione al rischio di cambio e tramutato il valore del sottostante direttamente in euro, in base al principio per cui 1 punto indice vale 1€.

La classe B comprende invece:BONUS - certificati che garantiscono un rendimento minimo a scadenza (bonus) se, durante un periodo di osservazione prestabilito, l’attività sottostante non scende al di sotto di un valore predeterminato e defini-to barriera. Se la barriera viene raggiunta il certificato diventa un benchmark. Questi prodotti risultano par-ticolarmente indicati per investitori aventi aspettative di mercato al rialzo, piuttosto che stabile o moderata-mente ribassista, in quanto consentono di partecipare

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2121

Capitolo 1

in maniera lineare all’attività del sottostante, con l’ec-cezione positiva data dal bonus.CAPITALE PROTETTO - certificati che attribuiscono una totale o parziale protezione da eventuali deprez-zamenti dell’attività sottostante (Equity Protection, Borsa Protetta). Questa categoria comprende anche gli Airbag (o Planar) che attenuano l’effetto di deprez-zamenti dell’attività sottostante. Sono prodotti adatti per operatori con aspettative rialziste che desiderino limitare l’esposizione al rischio collegato con l’opera-zione senza rinunciare, però, ad una partecipazione ad una possibile performance positiva del sottostan-te. Alla scadenza gli Equity Protection sono automa-ticamente rimborsati in funzione della quotazione del sottostante rispetto al livello di protezione. Se il prezzo di riferimento del sottostante è minore o ugua-le alla protezione verrà rimborsato un importo parti alla protezione stessa moltiplicata per il multiplo, se invece il prezzo di riferimento è superiore alla prote-

zione, verrà rimborsato un valore pari al livello d del sottostante a scadenza commisurato a un fattore di partecipazione al rialzo e rapportato al multiplo.DISCOUNT - certificati che a fronte di uno sconto sul prezzo di acquisto pongono dei limiti sui potenziali profitti (Cap). Sono strumenti che consentono di porre in essere strategie di investimento nel caso di aspetta-tive di mercato stabili o moderatamente rialziste. Alla scadenza prevedono il pagamento di un importo che dipende esclusivamente dalla performance del sotto-stante; se il prezzo del sottostante è superiore al cap, viene corrisposto all’investitore una somma uguale al valore del cap, se invece risulta inferiore, viene liqui-dato il valore del sottostante.OUTPERFORMANCE – famiglia di certificati molto am-pia che al proprio interno contiene strumenti strut-

turati molto variegati. Quello che accomuna que-ste diverse tipologie di strumenti, e di qui il nome outperformance, è che al verificarsi di determinate condizioni i certificati permettono di partecipare in misura più che proporzionale alle variazioni al rialzo o al ribasso dell’attività sottostante. Questi strumenti possono prevedere nella loro strutturazione barriere predeterminate di autocallability o di knock-out, pa-gamento di coupon e presenza di cap o di floor. Alcuni certificati, al raggiungimento di predeterminati valori dell’attività sottostante, possono estinguersi anticipa-tamente (autocallability) rispetto alla loro naturale scadenza.

Questa categoria comprende diverse tipologie di stru-menti che i vari emittenti identificano con denomina-zioni proprie:�� �����]�&��^�����&��^������J����&���!���� �_� `&� �_� `� ���������<��&� �<������&�

Up&Up�� j��<���]�&�j��<���J!���&�����������{�� J��!�J�������� $�������|

LEVERAGE CERTIFICATES Questi strumenti replicano l’andamento dell’attività sottostante permettendo di partecipare, con effetto leva, alla performance dello stesso. In caso di anda-mento sfavorevole del sottostante è prevista l’estin-zione anticipata dello strumento al raggiungimento della barriera di stop-loss. La versione rialzista di questi strumenti è chiamata bull, mentre quella ri-bassista è chiamata bear. Con riferimento all’effetto leva presente in questi prodotti, occorre rilevare che la variazione in euro del prezzo dello strumento è pressoché la stessa del sottostante, in quanto il delta degli stop loss bull e bear si attesta attorno al 100%. Inoltre è possibile constatare che quanto più il valore corrente del sottostante è vicino alla barriera, tanto minore sarà il prezzo del certificato e l’effetto leva ne risulterà amplificato. Questi strumenti finanziari si adattano maggiormente a strategie di investimento più speculative e con orizzonti temporali mediamen-te di breve periodo.

“CERTIFICATICC : CONSENTONO DIREALIZZARE CON UN UNICOSTRUMENTO STRATEGIE DIINVESTIMENTO COMPLESSE ”

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COVERED WARRANT PLAIN VANILLAI covered warrant plain vanilla rappresentano la categoria più semplice di covered warrant, in quanto incorporano unicamente una facoltà di acquisto (covered warrant call) o di vendita (covered warrant put).L’esercizio di un covered warrant può comportare la con-segna fisica del sottostante (physical delivery) oppure la liquidazione monetaria della differenza (cash delivery), se positiva, tra il prezzo dell’underlying e lo strike price (nel caso di covered warrant call) o della differenza, se positiva, tra lo strike price e il prezzo dell’underlying (nel caso di covered warrant put).

Sulla base della facoltà che attribuiscono al loro possesso-re si distinguono:�� J������� `������ }��� ~����� J���"� ���������� ���

facoltà al portatore di acquistare, alla data di scaden-za (o entro la data di scadenza), un certo quantitativo dell’attività sottostante ad un prezzo prestabilito (stri-ke price), ovvero, nel caso di strumenti per i quali è prevista una liquidazione monetaria (cash delivery), di incassare una somma di denaro determinata come differenza tra il prezzo di liquidazione dell’attività sot-tostante e lo strike price, se positiva.

�� J������� `������ }��� ~����� }��"� ���������� ���facoltà al portatore di vendere, alla data di scadenza (o entro la data di scadenza), un certo quantitativo dell’attività sottostante ad un prezzo prestabilito (stri-ke price), ovvero, nel caso di strumenti per i quali è prevista una liquidazione monetaria (cash delivery), di incassare una somma di denaro determinata come differenza tra lo strike price e il prezzo di liquidazione dell’attività sottostante, se positiva.

Il covered warrant plain vanilla si differenzia dall’opzione oltre che per il fatto di essere un titolo e non un contratto, per una maggiore durata e per la mancanza di un sistema di margini.

COVERED WARRANT STRUTTURATI/ ESOTICII covered warrant strutturati o esotici si differenziano dai plain vanilla per il fatto che incorporano una combinazio-ne di più opzioni call e/o put oppure di alcune opzioni eso-tiche (es. le opzioni digitali), strumenti finanziari derivati che presentano caratteristiche speciali e comunque diver-

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2323

Capitolo 1

se da quelle che regolano il funzionamento di un’opzione ordinaria, che conferiscono allo strumento una maggiore complessità. Sulla base della tipologia delle attività sotto-stanti si distinguono in:�� �����"������������������!����������������������

e predeterminato (chiamato rebate) quando scadono in-the-money. Come le call (put) plain vanilla, quan-do a scadenza il sottostante è inferiore (superiore) allo strike si estinguono senza valore, mentre se è maggio-re (minore) rimborsano un rebate, il cui ammontare è predefinito e indipendente dall’ampiezza della diffe-renza tra sottostante e strike. Sono strumenti adatti ad investitori con aspettative direzionali sul sottostante (rialziste per i call o ribassiste per i put);

�� �������"�����������������������<�����������call o put che permettono all’investitore di neutralizza-re la propria esposizione rispetto all’andamento dei tas-si di interesse sia a breve che a lungo termine (ad esem-pio tasso Euribor o tasso Swap); in particolare possono essere utilizzati per coperture a fronte di passività (ad esempio mutui) indicizzate a un tasso variabile;

�� ��<�_"���������_����������������������*����������dal rapporto tra due asset, l’asset long e l’asset short. Ciascuno dei due asset può essere costituito da un ba-sket di sottostanti. Questo tipo di prodotto consente di puntare su una performance dell’asset long a scadenza maggiore di quella realizzata dall’asset short. Il prezzo dei rainbow è influenzato oltre che dalla volatilità dei sottostanti anche dalla correlazione che intercorre tra l’asset long e l’asset short e nel caso di basket anche dalla correlazione diretta tra i componenti del basket stesso.

1.5.5 IDEM: IL MERCATO DEDICATO AGLI STRUMENTI DERIVATI

Il mercato IDEM (Italian Derivatives Market) è suddiviso in 2 segmenti:IDEM Equity ed IDEX

Sul mercato IDEM sono negoziati i seguenti prodotti:- 1 tipologia di opzione sull’indice FTSEMIB (Mibo)- 2 tipologie di futures sull’indice FTSEMIB (FIB e MiniFIB)- 46 contratti di opzione listati su azioni liquide e ad ele-

vata capitalizzazione e caratterizzati da un controvalo-

re accessibile anche all’investitore retail - 55 futures su azioni liquide e ad elevata capitalizzazio-

ne e caratterizzati da un controvalore accessibile anche all’investitore retail

- 13 futures su azioni Europee (Pan European stock futures)

- 1 futures su indice FTSE MIB Dividend (FDIV)- Futures annuali, trimestrali e mensili sull’energia

Gli strumenti derivati sono negoziati sul mercato IDEM con i seguenti orari e modalità:

GLI ORARI DI NEGOZIAZIONE

asta diapertura*

negoziazionecontinua

Obblighi operatoriMarket Makers

8:30 9:01 17:40

9:30

* L’asta di apertura è valida solo per il FTSE MIB Futures e il FTSE MIB Mini-Futures

LE OPZIONILe opzioni sono contratti finanziari che danno al compra-tore – dietro il pagamento di un importo iniziale chiamato “premio” - il diritto, ma non l’obbligo, di acquistare o vende-re una data quantità di una attività finanziaria sottostante (titoli, indici, valute,...) ad un determinato prezzo di eserci-zio chiamato “strike” ad una data specifica o entro tale data. Nel caso in cui l’opzione possa essere esercitata solo alla scadenza avremo le cosiddette opzioni “europee”, mentre le opzioni “americane” danno al possessore la possibilità di esercizio in qualunque momento entro la data di scadenza.

OPZIONE CALLGarantisce al possessore il diritto di ricevere a scaden-za (o entro la scadenza) e ad un prezzo prefissato il sottostante, oppure, quando non possibile (ad esem-pio per opzioni su indici), il corrispettivo in denaro.

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Ovviamente l’esercizio avrà senso solo se il prezzo del sottostante sarà superiore allo strike poiché il posses-sore della call avrà il diritto di acquistare il sottostante ad un prezzo strike “X” quando sul mercato tale sotto-stante ha un valore pari a “Y” (dove X<Y) ed il profitto realizzato sarà pari alla differenza tra il prezzo di mer-cato e lo strike.Il grafico sintetizza il profilo di profitti e perdite con-nesso all’uso di opzioni call. L’asse orizzontale indica il prezzo del sottostante; l’as-se verticale indica invece i profitti (o le perdite) dell’ac-quirente dell’opzione. Come già detto, l’opzione acqui-sirà valore solo se il prezzo di mercato del sottostante sarà maggiore del prezzo di esercizio. Dal momento che l’acquisto della call ha un costo (ovvero il premio che si deve riconoscere alla controparte che vende l’opzione, a chi cioè accetta di garantire all’acquirente il diritto di acquistare il sottostante al prezzo prefissato), il grafico del payoff della call origina nel quadrante negativo. In caso di ribasso dei prezzi, il valore della call tenderà a zero e la massima perdita che l’investitore sosterrà sarà il premio pagato.

Questo strumento risulta ottimo per coloro i quali vo-gliono scommettere sul rialzo del mercato senza correre il rischio, in caso di ribasso, di subire le perdite in conto capitale connesse al possesso diretto del sottostante. È utile anche per gli investitori che desiderano acqui-stare il titolo sottostante, ma vogliono differire nel tempo le uscite finanziarie che l’acquisto diretto del titolo comporterebbe.

OPZIONE PUTGarantisce al possessore il diritto di vendere a scadenza il sottostante ad un prezzo prefissato. In questo caso, l’e-sercizio avrà senso solo se il prezzo del sottostante sarà inferiore allo strike; il profitto realizzato ammonterà alla differenza tra lo strike e il prezzo di mercato.La put è uno strumento che permette di guadagnare se il mercato scende. Il compratore di opzioni put vuole scom-mettere sul ribasso del mercato senza i costi connessi con lo “short selling” (vendita allo scoperto, cioè di titoli che non si possiedono) né le perdite subite se il mercato va in direzione opposta a quella prevista.Inoltre, la put è spesso utilizzata da chi desidera proteg-gere il proprio portafoglio dai ribassi del mercato. Ac-quistare un titolo e la relativa put permette di ottenere i guadagni in conto capitale sul titolo in caso di mercato crescente e al tempo stesso di evitare di perdere qualora scendesse. Infatti, in questo secondo caso, le perdite sul titolo verrebbero bilanciate dall’apprezzamento dell’op-zione; la perdita massima verrebbe comunque limitata al valore dello strike, ovvero al valore a cui il detentore della put ha il diritto di vendere i suoi titoli.In sintesi, le posizioni “lunghe” sulle opzioni consentono di prendere posizione scommettendo sul rialzo o sul ribasso del mercato con la possibilità di guadagno illimitato ed il rischio di una perdita limitata al prezzo del premio pagato.

Ma qual è il profilo di perdite e profitti per il ven-ditore delle opzioni?Bisogna sottolineare che, mentre l’acquirente di opzioni a scadenza (o entro la scadenza per le opzioni americane)

Profitto LONGCALL

strike priceprezzo delsottostante

Perdita

Guadagno massimoteoricamente

illimitato

Perdita massimalimitata al

premio pagato

Profitto LONGPUT

strike price

prezzo delsottostante

Perdita

Guadagno massimoestremamente

elevato

Perdita massimalimitata al

premio pagato

Acquisto opzioni: profilo profitto/perdita

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2525

ha la facoltà di non esercitare il diritto (e da qui deriva il limite alle perdite che si possono subire), il venditore ha sempre l’obbligo di onorare l’impegno che l’opzione che ha venduto prevede. Nel caso del venditore di una call, il payoff sarà quello riportato in figura. Il profitto fisso ini-ziale (il premio incassato) va diminuendo all’aumentare del prezzo del sottostante: il venditore dell’opzione si at-tende dunque che il mercato resti fermo o cali.

È da sottolineare che a fronte di un profitto immediato li-mitato, la perdita è potenzialmente illimitata.Nel caso della put, invece, l’erosione del premio iniziale incassato si ha se il prezzo del sottostante diminuisce: il massimo profitto si avrà se il prezzo resterà costante o sa-lirà. Anche per il venditore della put il profitto sarà limita-to e pari al premio incassato, mentre la perdita massima si realizzerà quando il sottostante dovesse perdere comple-tamente di valore. L’assunzione di una posizione corta in opzioni ha un profilo di rischio superiore all’equivalente posizione lunga. Per questo motivo, molto spesso la ven-dita di questi strumenti viene associata alla compraven-dita di altre attività finanziarie (ad esempio azioni, ETF, future e opzioni su indici e su azioni) al fine di realizzare strategie di investimento più articolate le quali possono perseguire finalità differenti come, ad esempio, la coper-tura della posizione in azioni e in derivati e l’incremento della performance del proprio portafoglio.

LA “DANAROSITÀ” DELLE OPZIONICome appena illustrato, il profitto o la perdita a sca-denza connessi all’utilizzo delle opzioni dipendono dal

superamento al rialzo (per la call) o al ribasso (per la put) del prezzo di esercizio da parte delle quotazioni del sottostante. Per opzione “at the money” (ATM) si intende quella per cui il prezzo di esercizio è uguale al prezzo corrente dell’attività sottostante.Per opzione “in the money” (ITM) si intende quella per cui il prezzo di esercizio è inferiore (call) / supe-riore (put) al prezzo corrente dell’attività sottostante.Per opzione “out of the money” (OTM) si intende quel-la per cui il prezzo di esercizio è superiore (call) / infe-riore (put) al prezzo dell’attività sottostante.

I FUTURESNei principali testi di finanza i futures vengono defi-niti come dei contratti a termine in cui la contropar-te assume l’obbligo di comprare (posizione lunga) o vendere (posizione corta) un dato quantitativo di una specifica attività sottostante (underlying) ad una certa data futura e ad un prezzo prestabilito (prezzo a ter-mine o prezzo future). Da un punto di vista teorico, la derivazione del prezzo di un generico future si basa sul principio di non arbitraggio in base al quale il prezzo del future è determinato correttamente se non è pos-sibile ricavare un profitto da operazioni sul mercato a pronti (ovvero il mercato sul quale è quotata l’azione sottostante) e su quello a termine (nella realtà, le ope-razioni possibili sono il cash and carry e il reverse cash and carry). Una delle caratteristiche peculiari dei contratti futures - e che li rendono un interessante strumento i trading - è il cosiddetto “effetto leva”.

Profitto SHORTCALL

strike price

prezzo delsottostante

Perdita

Guadagno massimolimitato al premio

incassato

Perdita massimateoricamente

illimitata

Profitto SHORTPUT

strike price

prezzo delsottostante

Perdita

Guadagno massimolimitato al premio

incassato

Perdita massimaestremamente

elevata

Capitolo 1

Vendita opzioni: profilo profitto/perdita

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2.1 INTRODUZIONEALLA DISCIPLINA

La teoria finanziaria tradizionale è stata per lungo tempo il paradigma principale di analisi dei fenomeni finanziari, fon-dato sull’assunzione che gli individui si comportino in maniera razionale. Questa ipotesi, sebbene per molti aspetti non rea-

listica, ha permesso alla teoria finanziaria di affrontare in modo rigoroso e coerente un ampio ventaglio di problemi.Negli ultimi trent’anni ha iniziato a farsi strada un approc-cio alternativo, la finanza comportamentale, che, appli-cando i risultati della psicologia cognitiva alle tematiche finanziarie, ha privilegiato il realismo delle ipotesi al rigore del metodo o dei risultati. I primi lavori propriamente di finanza comportamentale furono pubblicati nelle riviste scientifiche nella prima metà degli anni Ottanta del secolo scorso, segnatamente da Hersh Shefrin e Meir Statman tra il 1984 e il 1985. In seguito vi fu un progressivo intensifi-carsi della produzione di ricerca scientifica, sotto la spinta di studiosi come Richard Thaler, Robert Shiller e molti al-tri. Non si deve dimenticare, tuttavia, che la finanza com-portamentale è profondamente debitrice del lavoro degli psicologi Daniel Kahneman, Amos Tversky e Paul Slovic che, a partire dalla prima metà degli anni Settanta, hanno condotto numerose ricerche dimostrando che la psicologia cognitiva poteva contribuire al rinnovamento della teoria delle decisioni economiche.Alla finanza comportamentale è stata spesso mossa la critica di essere una disciplina disorganica, formata dalla descrizione di una collezione di “anomalie” spesso in reci-proco contrasto. Si deve, tuttavia, tenere presente che l’o-biettivo originario della finanza comportamentale è stato quello di descrivere e interpretare singoli aspetti del com-portamento di investitori, professionisti e mercati, senza pretendere di proporre una visione unitaria e coerente di tutti i fenomeni. Nel corso degli anni, tuttavia, anche la fi-nanza comportamentale si è indirizzata verso una visione più organica dei problemi finanziari, spinta dall’accresciu-ta consapevolezza che non ci si può limitare a sottolineare gli errori che le persone commettono sistematicamente, ma si deve anche guardare alle possibili soluzioni di tali problemi. In questo processo può essere di grande aiuto la

Capitolo 2

Finanzacomportamentale

La finanza comportamentalefornisce una guida

alla comprensione degli erroricommessi dagli investitori.

Consulenti preparati e prodottifinanziari adeguatiaiutano a limitarne

le conseguenze negative

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Capitolo 2

teoria tradizionale che, fornendo un quadro di riferimento organico di cosa dovrebbe fare un individuo per ottimiz-zare il proprio benessere, permette, da un lato di misurare la perdita di benessere prodotta dagli errori, dall’altro di individuare i comportamenti più coerenti (o meno incoe-renti) con quelli ottimali.È quindi in atto un processo di convergenza dei due pa-radigmi, quello classico e quello comportamentale, un tempo contrapposti, che Hersh Shefrin chiama “behavio-ralizing finance”: un processo che vede affermarsi un nuo-vo paradigma nella teoria della finanza in base al quale si cerca di dare spiegazioni organiche ai problemi muovendo da presupposti che tengano conto di come pensano e agi-scono effettivamente gli individui. Con questi presupposti si sta progressivamente abbandonando la contrapposizio-ne tra l’approccio descrittivo (la finanza comportamentale che descrive e spiega il comportamento prevalente) e quel-lo normativo (la finanza tradizionale che detta le regole per prendere le decisioni migliori). I due approcci possono, in-fatti, trovare una felice sintesi in un’impostazione prescrit-tiva che riconosce che gli individui non sono naturalmente inclini a comportarsi nel modo che potrebbe ottimizzare il loro benessere e che è, pertanto, importante studiare e proporre meccanismi e soluzioni che li aiutino a mantene-re una linea di comportamento capace di coniugare l’esi-genza di seguire la propria natura con quella di perseguire il benessere economico.

2.2 GLI ERRORI NELLE SCELTE D’INVESTIMENTO

2.2.1 GLI ERRORI COGNITIVI ED EMOZIONALI

La teoria tradizionale ipotizza l’esistenza di individui per-fettamente razionali e onniscenti che, nel prendere deci-sioni in condizioni di incertezza, massimizzano la propria utilità attesa.Ovviamente questa non è la realtà: le evidenze empiri-che mostrano infatti che gli individui commettono errori cognitivi ed emozionali che inficiano il comportamen-to razionale prospettato dalla teoria classica. Non si può tuttavia considerare l’approccio teorico tradizionale come errato, in quanto esso ha natura normativa o prescrittiva:

teorizza situazioni ideali in presenza (teorica, appunto) di mercati perfetti ed efficienti.L’approccio comportamentale, avendo invece natura de-scrittiva, è in grado di considerare i limiti alla razionalità degli individui e di valutarne gli impatti sulle decisioni. La sfida più grande della finanza comportamentale è forse quella di dimostrare che questi errori possono essere ti-pizzati in quanto comuni alla maggioranza degli individui (vedere nella tabella in Appendice la descrizione sintetica dei quindici errori ritenuti più rilevanti dagli studiosi).In gergo tecnico, questi errori vengono chiamati bias. Rap-presentano in realtà una predisposizione a commettere un errore. Si tratta dunque di “pregiudizi” nel senso proprio del termine, ossia di qualcosa che viene prima (pre appun-to) del giudizio e può condurre all’errore. In particolare, due bias sono ritenuti particolarmente ri-levanti in ambito comportamentale: l’iper-ottimismo e l’eccessiva sicurezza (overconfidence). Occorre innanzitut-

to distinguere tra ottimismo e iper-ottimismo; mentre il primo è un aspetto generalmente positivo (chi è ottimista è tendenzialmente più socievole, attivo e propositivo), il secondo porta a effetti indesiderati legati al fatto di sovra-stimare la probabilità di esiti favorevoli che portano a com-mettere errori di valutazione nel formulare delle stime.Mentre l’ottimismo si basa sulla percezione del mondo che ci circonda, l’eccesso di sicurezza ha a che fare con la considerazione di noi stessi, delle nostre conoscenze e del-le nostre capacità. Chi è overconfident crede di sapere più di quanto non sappia, e di essere più bravo di quanto non sia. Non si tratta di una persona incapace; al contrario, le persone più dotate e ambiziose tendono a essere più sicure di sè. In generale, si sente superiore alla media o ai suoi “pari” o soffre della cosiddetta illusione del controllo, ossia pensa di potere dominare fenomeni che in realtà sfuggono al suo controllo, come l’andamento dei mercati finanziari. Ad aumentare il grado di oveconfidence contribuisce poi

“È POSSIBILE TIPIZZARENUMEROSI ERRORI CHE GLIINVESTITORI COMMETTONO ”

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l’errore di conferma, che porta gli individui a dare troppa importanza alle informazioni che supportano il loro perso-nale punto di vista e al contrario a sottovalutare, o addirit-tura non considerare, quelle che lo contraddicono.È tuttavia possibile commettere errori non solo prima o durante il processo di elaborazione e gestione delle infor-mazioni, ma anche successivamente alla decisione presa. In particolare, due sono gli errori tipici della fase succes-siva a quella decisionale: l’errore di attribuzione e quello del “senno di poi”. Col primo (attribuzione) si intende l’e-videnza per la quale gli individui tendono a incolpare al-tri per gli errori di scelta commessi, e al contrario lodare sè stessi per le decisioni andate a buon fine . L’errore del “senno di poi” si riferisce invece a un giudizio in retrospet-tiva che ci porta a pensare che l’esito di un determinato evento fosse ovvio e prevedibile già al momento in cui ab-biamo preso la decisione, mentre in verità era giustificabile e comprensibile solo a posteriori.

Se gli errori cognitivi giocano un ruolo rilevante nel pro-cesso decisionale, anche il peso di quelli emozionali è di assoluta rilevanza. Una delle emozioni più importanti è il “rimpianto” che deriva dalla sofferenza che ci provoca ren-derci conto di aver fatto una scelta sbagliata. Il rimpianto, per sua natura, si verifica ex-post, ma può condizionare la scelta anche ex-ante. La paura di prendere una decisione sbagliata, e poi di rimpiangerla, può infatti bloccare gli in-dividui e impedire loro di scegliere. Il rimpianto ha un im-patto psicologico più forte del rammarico, che si prova per non aver preso una decisione che invece si sarebbe rivelata corretta. Dunque, dato il maggior impatto emotivo rispet-to al rammarico, il rimpianto può portarci all’inazione.La paura del rimpianto può addirittura portare alla cosid-detta dissonanza cognitiva, cioè la situazione psicologica conflittuale nella quale un individuo si trova quando deve affrontare il fatto che una sua convinzione è sbagliata. Al

fine di evitare tale problema, gli individui possono arrivare a negare l’esistenza di evidenze che contraddicono il loro punto di vista.Un altro meccanismo mentale di difesa dal rammarico e dalla dissonanza cognitiva è rappresentato dai comporta-menti mimetici o gregari che consistono nell’omologazio-ne a determinati comportamenti di massa. Seguire ciò che fanno gli altri ci offre infatti la possibilità di condivere gli sbagli, riducendo il rammarico e i suoi effetti negativi.Data la complessità delle decisioni che si trovano ad af-frontare, le persone ricorrono a scorciatoie mentali note come “euristiche”, guidate dai pregiudizi/errori (bias) sot-tostanti. Si tratta di regole empiriche che utilizzano basi intuitive per reperire e gestire più agevolmente le informa-zioni al fine di semplificare il problema decisionale e giun-gere rapidamente a una scelta.Tre euristiche giocano un ruolo particolarmente rilevante: la disponibilità, la rappresentatività e l’ancoraggio.L’euristica della disponibilità interviene nel processo di raccolta delle informazioni e fa sì che le persone tendano a fare più affidamento sulle news che sono maggiormente e più facilmente reperibili, anche se non necessariamente sono quelle più rilevanti per prendere la decisione.La rappresentatività e l’ancoraggio sono invece euristi-che utilizzate per gestire ed elaborare l’informazione raccolta. La prima fa riferimento al fatto che le persone spesso ragionano su base intuitiva. Osservando un even-

to, gli individui tendono ad associarlo a uno stereotipo, ossia vedono quell’evento come rappresentativo di una classe più generale di eventi. La rappresentatività si ri-vela pericolosa in quanto ragionare per stereotipi porta spesso a commettere errori. La rappresentatività spinge a trarre conclusioni basandosi su un numero troppo limitato di informazioni, ma anche a dare eccessiva importanza alle news più recenti, a pre-scindere dalla loro importanza. È noto che purtroppo gli individui hanno difficoltà nel calcolo probabilistico e non danno sufficiente importanza alle informazioni statistiche. Un fenomeno molto diffuso nei processi umani è noto come “inversione verso la media” e sta a indicare l’eviden-za secondo la quale anche se è possibile osservare valori estremi, si tende poi a ritornare verso il valore medio. Ad esempio, i figli di persone molto più alte della media ten-deranno, in media, pur essendo alti, ad esserlo meno dei

“LALL PAURA DEL RIMPIANTO ANCORAGLGG ILL INVESTITORI ALLAA OLL STATUS QUO,FACENDO PERDERE OPPORTUNITÀD’INVESTIMENTO ”

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genitori. Al contrario figli di persone più basse della media, pur rimanendo sotto la media, tenderanno ad essere più alti dei propri genitori.Queste “euristiche” derivano dal fatto che spesso gli indi-vidui prendono decisioni su base intuitiva. La valutazione di un particolare evento non segue regole matematico-sta-tistiche come vorrebbe la teoria tradizionale, ma avviene a livello psicologico tramite l’assegnazione di valori affet-tivi che possono essere positivi o negativi. Se da un lato l’intuizione può essere inizialmente utile, è poi necessario passare ad analisi più rigorose. Basandosi su esperienze passate che non necessariamente si ripeteranno in futuro, essa può infatti risultare fuorviante.Non solo l’euristica della rappresentatività, ma anche quella dell’ancoraggio gioca un ruolo rilevante nel modo in cui le persone gestiscono le informazioni. Questa euri-

stica decisionale porta ad ancorarsi mentalmente a un de-terminato valore. Come un’ancora fa sì che una barca non si discosti dal punto di aggancio, si può rimanere ancorati mentalmente a un certo valore iniziale di riferimento. L’ancoraggio è molto forte quando dobbiamo formulare delle stime, ma lo è anche quando serve decidere, ad esem-pio, se mantenere o abbandonare una certa idea.Le euristiche sono legate agli errori sottostanti, come nel caso, ad esempio, dell’iper-ottimismo che fa credere di poter reperire facilmente le informazioni (euristica della disponibilità), di essere in grado di utilizzare esempi fami-liari per le proprie stime (euristica della rappresentatività) e di avere a disposizione valori di riferimento su cui basare le proprie decisioni (euristica dell’ancoraggio).

2.2.2 GLI ERRORI DI PREFERENZA GLI EFFETTI DI “CORNICE”

L’approccio neoclassico alla finanza assume che le prefe-renze degli individui siano relative alla ricchezza in termi-

ni assoluti e che determinino l’atteggiamento nei confronti del rischio in maniera stabile. Si può essere propensi, neu-trali o avversi al rischio, ma non è possibile essere propensi al rischio in determinati casi e avversi in altri. Nella realtà queste affermazioni teoriche non sembrano verificate, in quanto il cervello tende a valutare i guadagni e le perdite rispetto a un determinato punto di riferimento (tipicamente lo status quo, la situazione nella quale ci si trova in quel momento). Gli individui tendono dunque a prendere decisioni in base a variazioni di ricchezza e non tanto in base ai livelli assoluti. Tale meccanismo mentale porta ad avere un atteggiamento nei confronti del rischio che varia a seconda che si stiano valutando guadagni o per-dite potenziali.Queste evidenze sono il risultato di esperimenti e costitu-iscono la base dell’ormai nota “Teoria del prospetto”, svi-luppata dagli psicologi Daniel Kahneman e Amost Tversky in un contributo del 1979 che è valso al primo il premio Nobel per l’economia nel 2002. Un esempio chiarisce i concetti. Si immagini di dover sce-gliere tra due opzioni. La prima prevede il lancio di una moneta: nel caso esca testa si vincono 1.000 euro, se l’esito invece è croce, allora non si vince nulla. La seconda con-siste invece nel ricevere 500 euro certi, senza partecipare al gioco rischioso. Davanti a un quesito di questo tipo, la maggioranza delle persone opta per la seconda opzione. Il valore atteso della scommessa è la media dei due possibili risultati (1.000 euro di vincita con probabilità pari al 50%, contro la stessa probabilità di non vincere nulla) ed è esat-tamente pari a quanto è possibile ricevere nella seconda opzione, 500 euro. Accettare i 500 euro certi al posto di af-frontare la scommessa con pari valore atteso è un atteggia-mento di avversione al rischio. A parità di valore atteso, si preferisce l’opzione certa rispetto a quella aleatoria. Alcuni individui sono talmente avversi al rischio da essere anche disposti a rinunciare a una parte del potenziale guadagno purché questo sia certo. Si ipotizzi ora di dover optare tra due scelte, ma che impli-chino delle perdite. La prima opzione che ci viene proposta è un gioco in cui al 50% si perderanno 1.000 euro, ma sarà anche possibile non rimetterci nulla in un caso su due. La seconda opzione invece è una perdita certa di 500 euro. La maggioranza degli individui, in questo caso, sceglie la scommessa. Il motivo risiede nel fatto che agli individui

“LELL PREFERENZE E LELL DECISIONIDEGLGG ILL INVESTITORI SONO INFLUENZATELLDALAA MODO IN CUI LELLINFORMAZIONI SONO PROPOSTE ”

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Capitolo 2

non piace perdere. Nel gergo della finanza comportamen-tale si parla appunto di “avversione alla perdita certa”. Gli studi sperimentali hanno inoltre dimostrato che il dispiacere che proviamo in caso di perdita è pari a circa due volte e mezzo rispetto alla soddisfazione che ci dà un guadagno di eguale ammontare. Una perdita di 500 euro provoca un dispiacere molto più forte della soddisfazione derivante da un guadagno di 500 euro.. La teoria del prospetto si caratterizza inoltre per alcuni ca-ratteristiche, denominate “effetti”, che mostrano come nella realtà gli individui non si comportino in modo razionale. La prima caratteristica è nota come “effetto certezza” e consiste nell’evidenza che gli individui tendono ad attribu-ire un peso eccessivo agli eventi certi. Un evento ha un im-patto psicologico maggiore se è considerato certo rispetto alla situazione in cui si pensa sia meramente probabile. Di nuovo, un esempio aiuterà a chiarire il concetto. Si imma-gini di stare valutando la probabilità che un evento si veri-fichi e che, a seguito di una nuova informazione, si sappia che tale probabilità aumenterà del 10%. La teoria tradizio-nale postula una funzione di probabilità lineare, nel senso che un aumento ad esempio del 10% deve avere le stesse conseguenze a prescindere dal livello di probabilità di par-tenza. Nella realtà gli individui reagiscono diversamente a seconda della probabilità di partenza: passare dal 20% al 30% di probabilità non è la stessa cosa che passare dal 90% al 100%. Nel secondo caso siamo davanti a un evento certo, a cui gli individui associano un valore maggiore.Poche persone sono tuttavia in grado di ragionare corret-tamente da un punto di vista probabilistico. Si tende, ad esempio, a dare troppa importanza a variazioni di probabi-lità, anche se lievi, che fanno sì che un evento possa essere considerato certo o impossibile.Per questo motivo, nella teoria del prospetto non si uti-lizza una vera e propria funzione di probabilità, ma una funzione di “ponderazione” delle probabilità, nel senso che queste ultime vengono pesate per tenere conto del com-portamento degli individui. L’effetto certezza, inoltre, fa sì che si tenda a ritenere certi gli eventi molto probabili (ad esempio con probabilità superiore al 95%) e impossibili quelli estremamente improbabili (per esempio, sotto il 5% delle probabilità che si realizzino). Un aspetto interessan-te riguarda gli eventi ritenuti improbabili, ma che hanno a che fare con guadagni o perdite di ammontare elevato,

come ad esempio l’esplosione di una centrale nucleare, da un lato, o la vincita di una lotteria, dall’altro. Questi eventi sono talmente suggestivi che influenzano in maniera rile-vante a livello emotivo le decisioni delle persone. Un altro effetto, detto di “isolamento”, afferma che gli in-dividui tendono a isolare le diverse caratteristiche di uno stesso problema decisionale, focalizzando l’attenzione su quelle che ritengono maggiormente rilevanti, o differen-ziali rispetto ad altre opzioni di scelta, trascurando gli ele-menti comuni. Anche in questo caso, sovrappesare gli ele-menti differenziali e sottopesare quelli comuni può portare a errori di valutazione. Addirittura, opzioni equivalenti, se scomposte nei loro elementi caratterizzanti, potrebbero essere considerate in maniera differenziale.La finanza tradizionale sostiene inoltre che, davanti a un problema decisionale, gli individui siano in grado di sce-

gliere razionalmente l’opzione che massimizza la loro utili-tà, a prescindere dal modo con cui il problema venga strut-turato. Il teorema dell’irrilevanza della struttura asserisce che è la sostanza che conta, non la forma. In realtà, come sappiamo, anche la forma ha la sua importanza: il modo in cui un problema viene strutturato è infatti in grado di modificare le scelte. L’approccio comportamentale basato sulla teoria del pro-spetto afferma invece che gli effetti di framing (cornice) sono di assoluta rilenza. Il framing è appunto il modo in cui un problema decisionale viene inquadrato. Il modo in cui viene presentato un quesito è dunque in grado di in-fluenzare le scelte degli individui.L’aspetto è di estrema rilevanza in quanto chi pone il que-sito è in grado di influenzare chi lo riceve. In sostanza, è in grado di manipolare le scelte, semplicemente modifi-cando la presentazione del problema. Una stessa notizia televisiva, ad esempio, può essere data in maniera com-pletamente diversa a seconda dell’emittente. Si può dun-que influenzare la percezione delle persone variando il

“ SOLO UN GUADAGNO DUE/E TRE VOLTEMAGGIORE PUÒ COMPENSNN ARESSIL DISPIACERE DI UNA PERDITA ”

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linguaggio o la mera enfasi che viene data alle singole noti-zie, o focalizzando l’attenzione su determinati aspetti, non necessariamente rilevanti, anche solo cambiando l’ordine di presentazione.Ovviamente, anche quando non si voglia volontariamente condizionare la scelta, è possibile che il problema decisio-nale non sia trasparente, ma opaco, confuso, contenente dati incompleti o informazioni errate. Non solo il modo in cui un problema è posto può influen-zare il processo decisionale degli individui, ma anche le scelte precedentemente prese. La stesso atteggiamento nei confronti del rischio può variare a seconda che in prece-denza l’individuo abbia subito una perdita o incassato un guadagno. Nel primo caso, si potrebbe essere più cauti, essendo già in perdita al fine di evitarne un’altra, mentre un guadagno pregresso potrebbe portare ad aumentare l’esposizione al rischio.Il condizionale, tuttavia, è d’obbligo in quanto l’avversio-ne alla perdita certa potrebbe invece portare a un atteg-giamento più propenso al rischio al fine di tornare in pa-reggio, di recuperare cioè la perdita precedente. Al tempo stesso, un guadagno pregresso potrebbe portare l’indivi-duo ad accontentarsi di quanto incassato in precedenza.Questo meccanismo è alla base di una ben nota evidenza in ambito di investimenti finanziari, il cosiddetto “effetto di disposizione”, secondo il quale gli individui tendono a chiudere troppo presto le posizioni vincenti e a lasciare

invece correre le perdite (in questo caso per via dell’avver-sione alla perdita certa).

2.3 LE DECISIONI D’INVESTIMENTO E I PORTAFOGLI DEGLI INVESTITORI

2.3.1 IL RISCHIO NEL PROCESSO D’INVESTIMENTO

2.3.1.1 La percezione del rischioVi è un accordo pressoché unanime sul fatto che le deci-sioni d’investimento debbano basarsi sulla valutazione del rischio degli investimenti e sulla disponibilità degli investitori ad assumere rischi. La teoria classica della fi-nanza ha dato risposte precise ed eleganti a questi pro-blemi, ma il comportamento degli investitori sembra tenerne conto solo in minima parte.Nella teoria classica della finanza il rischio di un investimento è tipicamente definito come la volatilità dei rendimenti attesi: questa definizione suggerisce l’idea che il rischio sia un feno-meno oggettivo in cui la dimensione soggettiva non ne modifica la percezione, quanto l’accettabilità o meno.La finanza comportamentale mette in discussione que-sto presupposto, sottolineando la soggettività della per-cezione del rischio che non è visto come un “oggetto che esiste in natura”, che aspetta semplicemente di essere descritto e misurato. Esso è invece una costruzione del

Una perdita rilevante 40% 22%Un rendimento inferiorea quanto preventivato 20% 25%

Rischio di business,definito da elementi quali la leva

dell’investimento, il beta del titolo,la pressione competitiva del settore

18% 22%Fonte: Olsen (1997)

Tabella 1. Le tre definizioni più frequenti di “rischio finanziario”

Percentuale riportata dagli investitori

Percentuale riportata dai consulenti

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Capitolo 2

pensiero che dipende dall’approccio mentale, dalla cul-tura, dall’esperienza e dagli stati d’animo del soggetto che lo percepisce e valuta. La teoria del prospetto per-mette di dare un contenuto più preciso a tale afferma-zione, chiarendo che:

- l’atteggiamento verso il rischio non è definito a priori, ma dipende dalla situazione che si sta esaminando, poiché prevalgono propensioni diver-se a seconda che l’investitore abbia a che fare con utili o perdite;

- l’impatto delle perdite sulla soddisfazione e sul be-nessere è nettamente maggiore di quello dei gua-dagni. Tale asimmetria valutativa suggerisce che le persone sono più propense a percepire il rischio in termini di probabilità e dimensione della perdita attesa, piuttosto che di volatilità dei rendimenti.

Conviene allora pensare al rischio come a una costru-zione mentale che ha molteplici dimensioni: la volati-lità dei rendimenti, così come la probabilità di perdere o qualunque altra definizione univoca si voglia dare, in genere potranno offrire solo una visione parziale di come gli individui percepiscono il rischio. Ciò vale sia per gli investitori, sia per i professionisti della finanza, per i quali si può pensare che, mentre definiscono il ri-schio in termini essenzialmente coerenti con quelli del-la teoria finanziaria classica, lo percepiscono in modo più articolato e meno oggettivo.La tabella seguente mostra le definizioni di rischio più ricorrenti fornite da un panel di consulenti finanziari e investitori facoltosi: ai soggetti era chiesto di stilare una lista aperta riportante in ordine d’importanza ciò che veniva in mente quando si pensava al rischio di un investimento finanziario. Più della metà delle persone ha fornito almeno due definizioni alternative, con il risultato che nel complesso non vi è stata una defini-zione nettamente prevalente sulle altre. La principale differenza emersa tra investitori e consulenti è stata la maggiore attenzione che gli investitori mettono sul-la “nozione di perdita rilevante”, che peraltro ricorre spesso anche tra i consulenti. È significativo il fatto che le definizioni più ricorrenti non vedono mai il rischio come un’opportunità.

Queste evidenze mostrano che, per rappresentare con maggiore realismo il tema della percezione del rischio, bisogna in primo luogo abbandonare l’idea consolida-ta e razionale che l’investitore possa essere descritto da un unico e stabile atteggiamento verso il rischio, la tolleranza al rischio. Il suo atteggiamento dipende dal-le circostanze e dalle emozioni: generalmente dopo un periodo di rendimenti positivi la sua tolleranza appa-rirà maggiore che non dopo un periodo di rendimenti negativi. Inoltre molto spesso si trascura la differenza tra “il prima” e “il dopo”. Si cerca, infatti, di valutare la tolleranza al rischio solamente nel momento in cui l’in-vestitore prende una decisione, nell’ipotesi implicita che gli individui anticipino correttamente le proprie reazio-ni emotive alle conseguenze degli investimenti. In realtà gli individui non sono generalmente in grado di valutare correttamente in anticipo come reagiranno quando si verificherà un evento avverso. Per questo motivo biso-

gnerebbe capire la reazione emotiva che segue alle con-seguenze dell’investimento (“il dopo”), oltre a quella che segue alla decisione di fare un investimento (“il prima”).

2.3.1.2 La relazione tra rischio e rendimentoIl principio fondamentale della finanza è che la relazio-ne tra rischio e rendimento deve essere positiva: i ti-toli che promettono un rendimento atteso più elevato comportano anche un rischio più elevato. Alcune inda-gini empiriche sulle aspettative, sia dei risparmiatori che dei professionisti del settore finanziario, mettono in dubbio che gli individui aderiscano intimamente a questo principio. Ciò spiegherebbe perché accade così frequentemente che le persone sottostimino i rischi d’investimenti che promettono rendimenti elevati, cor-rendo il pericolo di cadere preda di intermediari o con-sulenti spregiudicati.Questa dissonanza tra il principio fondante della finan-

“GLIGG INVESTITORI PERCEPISCONOIL RISCHIO COME LA POSSIBILITÀDI UNA PERDITA RILEVANTE ”

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za e la convinzione degli investitori ha due spiegazioni principali che, pur muovendo da presupposti diversi, possono coesistere:

1) la natura multidimensionale del rischio fa sì che sia più facile definire cos’è il rendimento rispetto al ri-schio. Di conseguenza è più difficile fare una gradua-toria dei rischi piuttosto che dei rendimenti di diversi investimenti; e gli individui trovano difficile definire una relazione tra queste due caratteristiche alterna-tive degli investimenti. In altre parole, gli investitori pensano che le attività più redditizie possano avere un minore rischio perché non hanno le idee chiare su cosa sia il rischio;

2) seguendo un’altra linea di ragionamento, invece, gli investitori associano il rischio principalmente a un’e-ventualità negativa (non vedono il rischio come un’op-portunità, bensì come un pericolo) e quindi trovano innaturale aderire a un principio che sostiene che un attributo positivo (il rendimento elevato) debba essere associato a uno negativo (il rischio elevato). Come so-stiene Shefrin, gli individui, sotto l’effetto dell’euristica della rappresentatività, sono implicitamente propensi a credere che “le azioni di società bene amministrate siano buoni investimenti”.

2.3.2 I PORTAFOGLI DEGLI INVESTITORI

2.3.2.1 La diversificazioneLa diversificazione è un principio d’investimento che po-trebbe permettere di contenere i rischi anche quando si considerano attività di per sé rischiose. Vi è, tuttavia, una diffusa evidenza empirica che dimostra la scarsa diversi-ficazione della gran parte dei portafogli d’investimento. I titoli direttamente detenuti sono in media molto pochi, non più di 4-5: inoltre, la scelta di questi titoli difficilmente segue la regola base della diversificazione efficiente, cioè la ricerca di titoli i cui rendimenti sono poco correlati. È interessante notare che, mentre sembra che nel corso degli anni gli investitori abbiano aumentato il numero di titoli in portafoglio, non sembra che il principio della diversifica-zione efficiente abbia trovato un’applicazione più diffusa.

Queste evidenze si coniugano con un altro comportamento degli investitori apparentemente inspiegabile:

- i mercati azionari sono tendenzialmente sottopesati rispetto a quanto si dovrebbe fare applicando la teoria classica di portafoglio;

- gli investimenti azionari sono concentrati in pochi titoli.

Perché investitori che preferiscono sotto pesare rischi che storicamente nel lungo periodo hanno offerto buoni ren-dimenti, si espongono all’alea dell’investimento diretto in pochi titoli? Comprendere le ragioni di questo comporta-mento è importante per cercare di correggerlo o, quanto meno, di ridurne le possibili conseguenze negative.Gli sviluppi della teoria del prospetto hanno dimostrato che gli individui sono propensi al rischio quando consi-derano guadagni elevati, sebbene poco probabili, mentre sono avversi al rischio quando considerano perdite eleva-

te e poco probabili. In pratica si rovesciano le preferenze che valgono per le situazioni più comuni, nelle quali l’in-vestitore è avverso al rischio nel dominio dei guadagni e propenso in quello delle perdite. Ciò spiega da un lato il sovrappeso dato a investimenti molto conservativi, a bas-so rischio e rendimento (perché riducono la probabilità di perdite elevate), e dall’altro la preferenza per investimenti limitati nel loro ammontare, ma con forti rischi (perché lasciano aperta la possibilità di ottenere in circostanze for-tunate rendimenti elevati).Una spiegazione complementare ricorre all’apparato concettuale della contabilità mentale che dimostra che, contrariamente a quanto postulato dalla teoria del por-tafoglio, gli individui non ragionano considerando con-giuntamente tutti gli investimenti. Essi preferiscono, infatti, dividere in diversi strati ideali la ricchezza e gli

“NON È NECESSARIAMEN NEE TENN VEROCHE LE AZIONINN DI SOCIETÀBENEE ENN AMMINISTRATENNSIANAA O BUONINN INVESTIMENN NEE TINN ”

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investimenti, secondo una logica che viene ripresa dal-la metodologia della “piramide degli investimenti” a cui non di rado fanno ricorso anche i consulenti. I diversi strati corrispondono ai bisogni dell’individuo: lo strato base deve garantire la sicurezza e, pertanto, richiederà d’investire in strumenti molto conservativi. Negli strati intermedi prevale l’obiettivo di garantire una crescita del capitale e, pertanto, si investirà in prodotti con migliori prospettive di rendimento e, ovviamente, più rischi. Da ultimo rimangono i bisogni meno essenziali e, tuttavia, importanti per non precludere la dimensione della “spe-ranza” all’individuo: infatti, il benessere esistenziale ri-chiede che, pur senza abbandonare un realismo di base, le persone possano sperare che in futuro sia possibile migliorare significativamente la propria condizione. Ecco allora che, per credere in un futuro migliore, negli strati più alti gli investitori concentrano gli investimenti in po-chi strumenti rischiosi. Emerge con chiarezza che questo processo d’investimento, dove ogni strato è trattato se-paratamente, è in aperta contraddizione con la teoria del portafoglio, che prescrive che la selezione di ogni singolo investimento debba tenere conto della correlazione con tutto il portafoglio.Un’altra forma di scarsa diversificazione presente nei por-tafogli degli investitori di tutto il mondo è il cosiddetto home bias, vale a dire la tendenza a preferire gli investi-menti in ambito domestico o di emittenti geograficamente vicini. Le versioni estreme di quest’anomalia vedono gli investitori prediligere l’investimento in azioni della società per cui lavorano, con l’effetto di concentrare doppiamente il rischio: da un lato perché investono in uno o pochi titoli, dall’altro perché il rischio finanziario tende a coincidere pericolosamente con quello professionale. L’anomalia è spiegata dalla confusione tra familiarità e conoscenza: le persone pensano di conoscere meglio ciò che è consueto e familiare. Tale assunzione può, forse, essere vera nella vita quotidiana, ma è tutta da dimostrare nei mercati fi-nanziari, dove si può affermare di conoscere meglio un in-vestimento rispetto a un altro solo quando le previsioni sui rendimenti futuri del primo si rivelano a posteriori più cor-rette che per il secondo. Vi sono, infatti, numerosi riscontri sul fatto che gli investitori si ritengono più competenti nel fare previsioni sui titoli del proprio Paese, anche se non è dimostrato che queste previsioni siano realmente più at-

tendibili. Inoltre, vi è in genere una relazione positiva tra la presunzione di competenza e l’iper-ottimismo: le persone tendono a prevedere rendimenti tanto più alti quanto più credono di conoscere le caratteristiche dell’investimento.

2.3.2.2 Il tradingVi sono investitori che movimentano molto raramente il proprio portafoglio: tuttavia, negli ultimi 15-20 anni, grazie anche alla diffusione dei sistemi di trading online e alla mag-giore disponibilità di informazioni assicurata da Internet, è aumentato l’attivismo degli investitori. Un investitore razio-nale movimenta attivamente il portafoglio perché pensa di sapere cogliere in anticipo le tendenze generali di mercato (market timing), oppure perché pensa di sapere selezionare titoli sopra/sotto valutati (securities selection). Tuttavia, do-vrebbe persistere in tale pratica solo se i fatti gli dessero ra-gione: il rendimento del portafoglio, al netto dei costi di tran-sazione e tenuto conto dei rischi assunti, dovrebbe essere

mediamente maggiore di quello di un portafoglio poco mo-vimentato. L’evidenza empirica, che copre ormai sia diversi mercati che intervalli temporali, non conferma questa con-vinzione: nella maggior parte dei casi gli investitori privati che movimentano di più il portafoglio ottengono performan-ce peggiori di quelli meno attivi. Un risultato impressionante è stato misurato a Taiwan dove è stato possibile esaminare il risultato complessivo di tutti gli investitori nel periodo 1995 – 1999: la movimentazione aggressiva ha provocato perdite in aggregato pari a circa il 2,8% del PIL di Taiwan.Vi sono diverse spiegazioni concorrenti per l’eccessivo tra-ding degli investitori. In primo luogo vi è la cosiddetta “ricer-ca di emozioni” (sensation seeking). La ricerca di emozioni è un tratto stabile della personalità che può variare molto tra le persone. Quando è molto spiccato, l’individuo è alla continua ricerca di nuove, inusuali e intense esperienze ge-neralmente associate all’assunzione di rischio: il trading ben si adatta a questa descrizione perché muta continuamente

“ SE LASAA CIATI A SE STESSI MOLTIINVESTITORI NON DIVERSRR IFICANOGLI INVESTIMENTI ”

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Capitolo 2

l’oggetto dell’investimento. L’investitore che è alla ricerca di emozioni non è eccitato dal rischio in sé del portafoglio, ma dal fatto che tale rischio muti continuamente. In queste cir-costanze non deve stupire che i rendimenti possano essere inadeguati, perché l’investitore è alla ricerca di emozioni, più che di rendimento, anche se probabilmente per non sentirsi in colpa si convince che il suo attivismo ha solo l’obiettivo di migliorare la performance.L’eccessiva sicurezza è un altro elemento importante che dispiega i suoi effetti tramite due meccanismi: da un lato induce a sottostimare i rischi, dall’altro a considerarsi mi-gliori della media e, pertanto, capaci di battere il mercato perseguendo una movimentazione attiva del portafoglio. Ciò è rinforzato dalla competenza e dall’illusione del con-trollo. Gli investitori che si percepiscono più competenti sono più inclini a puntare sulla propria autonoma capaci-tà di discernimento: sottovalutano tuttavia che, anche in molti compiti dove l’abilità è importante, i fattori casuali e fuori controllo possono esercitare un impatto notevole sui risultati (illusione del controllo). A ben vedere il trading at-tivo assomma su di sé tutte queste caratteristiche: richiede informazioni, conoscenza e competenza, ma i risultati delle decisioni sono sempre pesantemente influenzati da fatto-ri non prevedibili, cioè casuali. Gli errori comportamentali non agiscono solo nel senso di indurre a un trading eccessi-vo, ma spingono anche ad attuarlo in modo non ottimale. È il caso dell’effetto di disposizione, che induce ad anticipare il realizzo delle posizioni in utile, posticipando quello delle perdite. Le decisioni su cosa vendere e/o comprare, che coin-volgono una valutazione sulle prospettive future di uno stru-mento d’investimento non dovrebbero essere influenzate da un dato passato come il prezzo d’acquisto, che non riguarda la generalità del mercato ma la situazione specifica dell’inve-stitore. È stato documentato che questa tendenza deprime le performance del portafoglio: infatti, mediamente i titoli in utile venduti garantirebbero in seguito rendimenti maggiori di quelli in perdita mantenuti in portafoglio. A conclusione di questa panoramica sul trading, si deve ram-mentare che si tratta di un gioco a somma zero, se si escludo-no i costi di transazione. Pertanto, se gli investitori individua-li in media perdono, altri investitori in media guadagnano. La già citata ricerca su Taiwan, che copre l’universo di tutti gli investitori attivi sul mercato locale, offre un’interessante evidenza al riguardo. Mentre il rendimento al lordo dei costi

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di transazione degli investitori individuali è negativo, quello degli investitori istituzionali è positivo e rimane tale anche dopo avere incluso l’effetto dei costi di transazione.

2.4 LA CORREZIONE DELLE ANOMALIENELLE SCELTE D’INVESTIMENTO

2.4.1 IL PROCESSO DI CORREZIONE DEGLI ERRORI DI COMPORTAMENTO

L’approccio comportamentale è stato accusato di descri-vere gli errori commessi dagli investitori, e le anomalie di mercato da essi derivanti, senza tuttavia fornire proposte per la loro correzione. Tale critica fotografa una situazione ormai passata, perché negli ultimi anni gli studiosi di finanza comportamentale si sono sempre più sforzati di fornire indicazioni su come correggere gli errori cognitivi. Il processo di correzione de-gli errori comportamentali è noto come debiasing. Si tratta di un insieme di procedure che possono essere poste in es-sere al fine di ridurre, se non eliminare, gli effetti indeside-rati dei bias o delle euristiche decisionali ad essi associate.Rendere gli individui consapevoli degli errori commessi è un primo passo verso la loro correzione, ma non è suffi-ciente a eliminare le conseguenze negative di questi errori in quanto estremamente radicati e dunque resistenti ai cambiamenti. A tale riguardo è poi fondamentale spiegare all’individuo la natura dell’errore e le sue cause, eventual-mente utilizzando esempi personali di situazioni in cui si è ripetuto lo stesso errore. La parte più importante di tutto il processo di correzione degli errori risiede tuttavia nell’ad-destramento e nella ripetizione sistematica delle procedu-re e richiede enormi sforzi. Tali tecniche variano a seconda dell’errore o dell’euristi-ca considerata. Per non essere condizionati dagli effetti di cornice (framing), ad esempio, occorre ridefinire i pa-rametri di riferimento, in modo da poter considerare i costi pregressi come tali e dunque ininfluenti rispetto alla decisione da prendere. In questo modo, si riuscirà a sop-portare la perdita percependo un minore costo soggettivo. Nel caso dell’ancoraggio, invece, è utile ricordarsi che nel formulare una stima, o nel prendere decisioni riguardo la vendita di strumenti finanziari, il cervello tende ad anco-rarsi ad alcuni valori di riferimento. Il primo passo per evi-

tare l’ancoraggio è rendersi conto di qual è l’ancora men-tale e capire se essa continua a rappresentare un adeguato punto di riferimento o se invece la si debba aggiornare. An-che in questo caso, la ripetizione di tecniche che aiutino ad aggiornare il punto di riferimento saranno di sicuro aiuto. Occorre dunque mettere in dubbio i punti di riferimento personali e chiedersi se sono effettivamente rilevanti al fine decisionale. Questo tipo di atteggiamento aiuta non solo nel caso dell’anchoring, ma anche con riferimento all’eccesso di sicurezza (overconfidence); la quale, oltre che essere causata dall’illusione del controllo e della co-noscenza, è spesso esacerbata da errori come quello di conferma (confirmation bias), che porta a sopravvalutare i punti di vista favorevoli alla propria posizione e a sotto-vautare quelli contrari. Mettere in dubbio le informazioni o i dati che supportano solamente il nostro punto di vista e invece cercare di riportare all’attenzione quelli ad esso contrari è un esercizio che - se ripetuto - risulta essere estremamente utile.

L’istruzione gioca un ruolo fondamentale nel trasmet-tere le nozioni da utilizzare per una corretta valutazione finanziaria, ma la ripetizione di tecniche di debiasing è fondamentale per evitare i condizionamenti degli errori cognitivi. L’addestramento e le procedure sono anche uti-li a risolvere gli errori psicologici o emotivi. Ad esempio, l’avversione alle perdite o l’avversione alla perdita certa non sono errori cognitivi, ma psicologici. Riconoscere che il nostro atteggiamento nei confronti del rischio cambia perchè percepiamo di essere in un dominio delle perdite può aiutarci a prendere la decisione giusta.La correzione degli errori comportamentali (debiasing) è tuttavia estremamente difficoltosa in quanto il tipo di errori che si sta considerando è particolarmente duro da sconfiggere; non solo perchè si tratta di modi di ragiona-re estremamente radicati nel cervello, ma anche perchè

“LALL FINANZA COMPORTAMENTALAA ELLAIUTA A CAPIRE COME POSSONOESSERE CORRETTI GLGG ILL ERRORIDEGLGG ILL INVESTITORI ”

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Capitolo 2

quando agiscono in ambito economico-finanziario il pro-cesso di apprendimento è particolarmente lento. È noto, infatti, che l’apprendimento, e la conseguente riduzione degli errori, è più agevole quando il feedback di una certa scelta è chiaro e immediato. Meno chiaro e meno imme-diato è questo riscontro, minore è l’apprendimento. L’e-sito delle decisioni finanziarie è per loro natura opaco e a medio-lungo termine. È opaco nel senso che non dipende solo dalle scelte dell’investitore, ma dal concomitante agi-re di fattori esogeni e dunque al di fuori del suo controllo. In caso di esito positivo l’investitore non saprà se è stato merito suo o per via di una congiuntura favorevole del mercato. In caso contrario, potrebbe essere frutto di una sua decisione sbagliata, ma anche di uno shock inatteso sui mercati. Spesso, come si è detto, l’investitore tenderà ad attribuire a sè il merito degli esiti positivi (self-attribution bias) e a dare la colpa ai mercati per quelli sfavorevoli.Tipicamente, l’esito degli investimenti si osserva a distan-za di un certo numero di mesi, o addirittura anni, renden-do ancora più ostica l’interpretazione da parte dell’inve-stitore. Ottenendo un feedback non chiaro e a distanza di tempo, l’investitore non è in grado di correggere i propri errori in maniera opportuna.Le procedure di debiasing sono difficili da seguire ed è spesso necessario l’intervento di un esterno, come ad esempio un consulente finanziario. Accade infatti che gli individui siano soggetti al cosiddetto narrow framing, la tendenza cioè a focalizzarsi eccessivamente sul problema che si sta valutando, perdendo una visione più d’insieme. Il punto di vista di una persona esterna può invece aiutare ad avere una visione più ampia e imparziale.Un consulente finanziario non solo può assumersi il ruolo del terzo, ma grazie alla sue competenze può aiutare l’in-vestitore ad agire in modo più razionale per raggiungere i suoi obiettivi. Il consulente dovrebbe essere in grado di guidare il proprio cliente a perseguire nel modo migliore i suoi interessi, correggendo quegli errori cognitivi che pos-sono invece minarne il raggiungimento.Occorre tuttavia essere chiari e trasparenti nel mettere in luce sin dall’inizio, e per tutta la durata del rapporto di con-sulenza, non solo quali sono le aspettative del cliente, gli obiettivi e i mezzi per raggiungerli, ma anche il fatto che è probabile che il cliente tenderà a deviare dal percorso proposto dal consulente e che ogni deviazione andrà ad in-

taccare la possibilità di raggiungere gli obiettivi prescelti. Quest’ultimo aspetto è fondamentale per garantire la sta-bilità del rapporto consulente-cliente.Meir Statman, esperto di finanza comportamentale, so-stiene infatti che il consulente finanziario dovrebbe ave-re un ruolo simile a quello del medico di famiglia (parla infatti di financial physician). Il medico di famiglia non è uno specialista, ma ha il vantaggio di conoscere il proprio assistito, la sua storia clinica e la sua personalità, e dun-que il modo in cui risponde alle cure proposte. Allo stesso modo, il consulente finanziario deve conoscere il proprio cliente, le sue conoscenze in ambito finanziario, ma anche la storia degli investimenti effettuati in precedenza, per sapere come reagisce alle oscillazioni di mercato rispetto al percorso di investimento prescritto. Non basta infatti prospettare a un cliente la soluzione ottimale, se si sa che alla prima turbolenza abbandonerà la strategia per paura da un lato o eccessiva euforia dall’altro.

Più in generale, la correzione degli errori coinvolge aspetti relativi all’educazione finanziaria, da un lato, e alla disclo-sure in ambito finanziario, dall’altro. Recentemente si è assistito a un acceso dibattito, anche in sede istituzionale, rispetto a questi due temi, non solo rispetto ai loro effetti, ma anche con riferimento alla loro implementazione. Non è in dubbio solamente la loro efficacia, ma anche di chi dovrebbe essere l’iniziativa su questi aspetti, se dei singoli individui, o del mercato in senso lato, oppure delle istitu-zioni responsabili della regolamentazione e della vigilanza in ambito finanziario.Se si sposasse la prima ipotesi, si dovrebbe innanzitutto valutare se i singoli investitori sono in grado di “difen-dersi” da eventuali comportamenti opportunistici degli intermediari finanziari. Volendo leggerla alla Hirschman, l’opzione voice, di “protesta”, è limitata dal limitato valore contrattuale del singolo, o se si vuole dalla debole regola-mentazione della class action in Italia. L’opzione exit, os-

“LALL CORREZIONE DEGLGG ILL ERRORID’INVESTIMENTO È PIÙ EFFICACE CONIL SUPPORTO DI UN CONSULUU ENTELL ”

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sia quella ad esempio di “andarsene”, di cambiare banca, è invece alquanto limitata dal cosidetto status quo bias, ossia la tendenza degli individui all’inazione, che li porta generalmente a essere estremamente riluttanti a cambiare il proprio status quo, la loro situazione corrente. Questo errore è estremamente rilevante nelle decisioni individua-li, come si avrà modo di esporre con riferimento alle scelte in termini di previdenza integrativa.Se allora i singoli investitori non sono in grado di elimi-nare gli incentivi perversi degli operatori di mercato a sfruttare a loro vantaggio gli errori comportamentali, è forse necessario un intervento istituzionale pubblico per limitare alcuni aspetti devianti dei meccanismi di mer-cato che non solo non eliminano tali incentivi, ma anzi tendono ad enfatizzarli.È però necessario sottolineare come gli interventi regola-mentari tradizionali non siano stati sufficienti a eliminare gli incentivi perversi di cui sopra. Alcune regole di traspa-renza, ad esempio, si sono rilevate spesso esclusivamente

formali, non incidendo nella sostanza, ma aumentando l’ammontare di informazioni, spesso non particolarmente rilevanti, che hanno causato un sovraccarico informativo dal quale gli individui tipicamente escono tramite l’uso di euristiche comportamentali, per loro natura distorsive.È dunque fondamentale strutturare meglio la rego-lamentazione finanziaria tenendo in considerazione quanto descritto, e prescritto, dagli studi di finanza comportamentale. Soprattutto a seguito della recente crisi finanziaria si è andato diffondendo sempre più un atteggiamento di tipo paternalistico a tutela degli investitori. Alcune posizioni paternalistiche estreme arrivano a pensare addirittura di vietare per norma alcuni strumenti finanziari più rischio-si, ad esempio quelli collegati a derivati. Anche se esistono già regole a tutela degli investitori individuali che vietano

la somministrazione a livello retail ad esempio di alcuni obbligazioni o altri prodotti pensati esclusivamente per gli operatori istituzionali, occorre porre molta cautela in questo tipo di limitazioni. È vero infatti che molti investi-tori individuali non godono di un’adeguata preparazione finanziaria, ma altri, invece, dimostrano conoscenze e ca-pacità molto avanzate. È poi difficile poter discriminare all’interno dell’ampia e variegata categoria degli investi-tori individuali quelli più preparati e abili, da quelli inve-ce non sofisticati.Vietare dunque a tutti l’accesso agli strumenti finanziari più complessi e rischiosi non rappresenta dunque una so-luzione ottimale nè per gli investitori individuali, nè tanto-meno per l’industria del risparmio gestito, senza contare anche gli effetti negativi che ne deriverebbero in termini di minore innovazione finanziaria.La possibile soluzione, ancorchè non definitiva, dovrà es-sere costituita da un mix di educazione finanziaria, regole di disclosure ben strutturate, nonchè l’incentivazione della consulenza finanziaria al servizio del cliente e non tanto degli interessi dell’intermediario.In quest’ottica sono dunque da preferire soluzioni se-mi-paternalistiche che utilizzino la strumentazione e le evidenze della finanza comportamentale per suggerire opzioni ritenute preferibili nella generalità dei casi, ma lasciando la libertà agli individui di poter cambiare tali op-zioni e scegliere quelle preferite. Si potrebbe ad esempio sfruttare la naturale tendenza degli individui all’inazione per proporre in diversi ambiti finanziari un’opzione di de-fault, ritenuta più valida per la maggioranza delle persone, dalla quale sia possibile deviare, ma solo con un atto espli-cito di cambio opzione. Se dunque sembra ineluttabile un intervento pubblico al fine della correzione degli errori comportamentali, è do-veroso garantire agli individui la libertà di scelta. Sotto questo punto di vista è fondamentale innalzare il grado di cultura finanziaria degli investitori individuali tramite op-portune iniziative educative che tengano però anche conto dei meccanismi cognitivi di apprendimento delle persone e dei potenziali errori nella gestione delle nozioni apprese.

2.4.2 L’EDUCAZIONE FINANZIARIAL’approccio tradizionale alla finanza, presupponendo la razionalità degli agenti, trasla la responsabilità delle scelte

L’INTERVENTO PUBBLICOLL PUÒCONTRIBUIRE A CORREGGERE GLGG ILLERRORI, MA GLGG ILL INVESTITORIDEVONO AVERE LIBERTÀLL DI SCELTALL ”

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finanziarie sugli individui stessi. Nella realtà, le persone non sono perfettamente razionali e gli errori cognitivi so-pra descritti, influenzando il modo con il quale percepisco-no ed elaborano le informazioni, impediscono una corretta comprensione dei fenomeni finanziari.Si pone dunque, per le autorità preposte alla tutela dei ri-sparmiatori, la necessità di implementare programmi di educazione finanziaria che considerino i dettami dell’ap-proccio comportamentale. Se il debiasing cerca di correg-gere gli aspetti pertinenti la cognizione, intervenendo sugli errori di comportamento, l’educazione aiuta a innalzare il grado di alfabetizzazione finanziaria.L’importanza di quest’ultima è ormai riconosciuta a livel-lo internazionale quale obiettivo da perseguire non solo a beneficio dei singoli, ma dell’economia e della società in generale. L’educazione finanziaria aiuta infatti a compren-dere il valore del denaro, il ruolo del risparmio e l’impor-tanza dell’investimento.

Questi aspetti sono ancor più rilevanti per gli individui il-letterati in finanza, per i quali la probabilità di incorrere in problemi finanziari è più elevata, anche se il problema è generalizzato perché la maggiore parte delle persone so-vrastima le proprie conoscenze e competenze in ambito finanziario. A volte, dunque, il problema di un’inadeguata educazione finanziaria non è nemmeno percepito. Questo accade soprattutto perchè gli investitori faticano a com-prendere i reali benefici di una migliore comprensione dei fenomeni finanziari.Occorre però sottolineare come non solo la recente crisi fi-nanziaria, ma anche i crac societari che l’hanno preceduta (si pensi a Cirio, Parmalat, ai tango bond) hanno smosso le coscienze di molti investitori, spingendoli ad ammettere la loro “ignoranza” su questi temi.Elevare il grado di alfabetizzazione finanziaria, inoltre, ha conseguenze più generali, aumentando ad esempio la

stabilità del sistema economico e riducendo le possibilità di nuovi scandali finanziari o crisi. Investitori finanziaria-mente più colti saranno in grado di scegliere mutui più adatti alle loro esigenze, di comprendere più a fondo le caratteristiche dei prodotti o dei servizi acquistati, di avere portafogli più diversificati e di pianificare meglio il proprio futuro previdenziale. Questi comportamenti virtuosi pos-sono risultare in una spinta verso una maggior concorren-za nell’industria dell’intermediazione finanziaria, riducen-done i costi, a beneficio degli utenti finali. Una migliore conoscenza dei prodotti e dei servizi finan-ziari, infine, tipicamente porta a un maggiore utilizzo dei mercati, aumentando le possibilità di finanziamento delle imprese con conseguenze positive a livello occupazionale e dell’economia in generale. È tuttavia noto che il livello medio di cultura finanziaria degli investitori individuali sia molto basso non solo in Italia, ma anche nel confronto internazionale (Australia, Canada, Francia, Germania, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti).Le autorità preposte alla tutela dei risparmiatori devono allora tenere sotto controllo il grado di educazione finan-ziaria della popolazione e la sua evoluzione nel tempo.A tale scopo vengono predisposti questionari come quelli contenuti nelle periodiche indagini sui bilanci delle fami-glie italiane di Banca d’Italia o nell’elaborazione dell’In-dicatore di Cultura Finanziaria (ICF) sviluppato da The European House-Ambrosetti per Patti Chiari. Secondo quest’ultimo, la cultura finanziaria può essere suddivisa tra istruzione/preparazione finanziaria, informazione fi-nanziaria e scelte di comportamento.Se tramite l’istruzione gli individui formano le proprie competenze, l’informazione finanziaria invece veicola i dati sui prodotti e i servizi finanziari, offrendo agli inve-stitori la possibilità di conoscere le opportunità offerti da questi, ma anche i rischi ad essi connessi. Le scelte com-portamentali, infine, riguardano le capacità dei singoli di gestione dei propri investimenti e programmazione per le esigenze future.L’ICF va da 0 (conoscenza nulla) a 10 (ottima conoscenza dei concetti finanziari di base) e per il 2010 si assesta a un livello medio tra le tre componenti pari a 4,3; in crescita ri-spetto al 2008 quando tale valore era pari a 3,5. Nonostan-te tale aumento, il valore medio di conoscenza finanziaria

“L’EDUCAZIONE FINANZIARIA AIUTA A COMPRENDERE IL VALAA ORELL

DEL DENARO E L’IMPORTANZADELL’INVESTIMENTO ”

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Capitolo 2

appare ancora al di sotto del livello di sufficienza.In linea con le indagini di Banca d’Italia, si evidenzia poi come i residenti nel Centro e Nord Italia abbiano una co-noscenza finanziaria media più elevata di chi vive al Sud. Inoltre, mentre fra i giovani si registra un certo disinteres-se per le questioni finanziarie, il livello di alfabetizzazione cresce nell’età lavorativa, per tornare a decrescere per i pensionati. Infine, chi ha un titolo di studio di livello più elevato vanta in genere maggiori conoscenze finanziarie. Questi dati sono particolarmente preoccupanti se si pensa che sono proprio le classi potenzialmente più vulnerabili ad avere le conoscenze finanziarie più basse e di conse-guenza a commettere più errori. Il rischio è quello che gli individui più svantaggiati da un punto di vista socio-de-mografico non riescano a progredire e invece peggiorino la propria posizione economico-sociale. È infatti noto il lega-me diretto tra un livello di cultura finanziaria più elevato e una maggiore ricchezza.Una nota a parte merita l’evidenza che sottolinea come chi ha maturato un’esperienza diretta sul campo ottiene pun-teggi di ICF più elevati rispetto a chi invece si è preparato solo a livello teorico. Se tale evidenza può nascondere una relazione causale inversa (chi possiede una cultura finan-ziaria superiore diventa anche finanziariamente più atti-vo), essa potrebbe anche confermare il fatto che le espe-rienze vissute direttamente fanno sì che l’apprendimento, e quindi il processo di correzione degli errori, sia migliore.In generale, come confermano anche le indagini di cui sopra, il grado di conoscenza finanziaria varia a seconda della complessità del tema investigato. Se circa due terzi dei rispondenti alle indagini Banca d’Italia, ad esempio, affermano di poter leggere con facilità un estratto con-to o di conoscere le numerose tipologie di mutuo offerte dalle banche, ma anche la differente rischiosità del tasso fisso rispetto a quello variabile, le evidenze mostrano in-vece come molti individui abbiano sbagliato la scelta tra mutuo a tasso fisso e variabile, decidendo per quello fisso dopo un periodo di forti incrementi nei tassi, come quello terminato nel 2008. A prescindere dal forte abbassamen-to dei tassi deciso dalla Banca Centrale Europea a seguito dello scoppio della recente crisi finanziaria, a seguito di un periodo di forti rialzi nei tassi era prevedibile una loro di-scesa. La paura di ulteriori aumenti ha invece spinto molte persone a optare per un mutuo a tasso fisso, vincolandosi

tuttavia a un livello alquanto elevato.Sempre dall’indagine Banca d’Italia risulta poi che meno della metà degli intervistati capisce il concetto di diversifi-cazione di portafoglio e solo un terzo comprende appieno il grado di rischio insito in un investimento obbligazionario a confronto con uno azionario.Per quanto riguarda i temi pensionistici, infine, gli italia-ni sembrano possedere una conoscenza ancor più limi-tata delle caratteristiche dei piani di previdenza comple-mentare a disposizione, con una conoscenza media tra il 20% e il 30%. Tale evidenza non sorprende se si pensa che è necessario possedere alcune conoscenze tecniche di base per poter comprendere questi piani previdenziali. Solo attraverso un’adeguata conoscenza dei concetti fi-nanziari di base è infatti possibile pianificare opportuna-mente per la pensione.

Esiste ormai una molteplicità di studi sugli effetti di pro-grammi finalizzati all’investor education, anche se i risul-tati in termini di efficacia non sono sempre incoraggianti. L’efficacia di ogni programma di educazione finanziaria può infatti scontrarsi coi problemi cognitivi degli individui a cui è indirizzato. È dunque essenziale incorporare quan-to prescritto dalla finanza comportamentale per essere certi che le conoscenze trasmesse agli individui vengano da essi percepite, capite ed elaborate in maniera corretta.Il problema della bassa cultura finanziaria potrebbe es-sere risolto se ci si affidasse a consulenti, o comunque a esperti. Tuttavia, il ricorso degli investitori individuali a queste figure professionali risulta essere ancora limitato. Soprattutto gli individui in condizioni meno agiate o con basso livello di istruzione tendono piuttosto ad affidarsi ad amici o familiari e spesso ne seguono i consigli, confi-dando nelle loro conoscenze finanziarie che tuttavia non sono in grado di verificare.I programmi di educazione finanziaria possono essere implementati a diversi livelli, ma tipicamente richiedo-

“LALL CONOSCENZA DEGLGG ILLINVESTITORI ITALAA IANILL SUI TEMIPENSIONISTICI È SCARSA ”

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no la collaborazione di autorità di regolamentazione e supervisione finanziaria, del sistema scolastico e di asso-ciazioni in difesa dei consumatori. Queste ultime cercano di aiutare i risparmiatori, soprattutto quelli che hanno minori possibilità, ma spesso i mezzi a loro disposizione non sono sufficienti.In conclusione: l’educazione finanziaria da sola non è suf-ficiente, ma è necessario che sia accompagnata da un’a-deguata protezione degli investitori e da regole che ga-rantiscono il comportamento corretto degli intermediari finanziari nei confronti dei loro clienti.

2.4.3 LA DISCLOSURE SULLE CARATTERISTICHE DEI PRODOTTI FINANZIARI

Alla luce di quanto sopra esposto, appare chiaro come non sia più sufficiente prevedere la mera trasmissione di una quantità di informazioni più elevata per gli investitori, in quanto essa causarebbe solo un sovraccarico di dati da gestire per l’individuo.

Tale sovraccarico spingerebbe infatti a un maggiore uti-lizzo delle euristiche decisionali con una conseguente maggiore probabilità di commettere errori. Inoltre, alcuni recenti studi sui trader online in Italia, hanno dimostrato che una maggiore quantità di informazioni può aumen-tare l’illusione di conoscenza e far aumentare il grado di overconfidence.Per garantire un’adeguata disclosure dei prodotti finanzia-ri a tutela del risparmiatore è allora necessario strutturare le regole di trasparenza informativa secondo le prescrizio-ni fornite dalla finanza comportamentale.Incorporare l’approccio comportamentale in ambito di regolamentazione, oltre ad aumentare l’efficacia della di-sclosure finanziaria attraverso idonee modalità di presen-tazione, sfavorisce quelle situazioni in cui gli operatori di

mercato possono sfruttare a loro vantaggio comportamen-ti non pienamente razionali degli investitori.È dunque fondamentale non solo il compito dei regolatori, ma anche delle autorità di supervisione finanziaria, al fine di vigilare contro possibili comportamenti opportunistici degli intermediari.A tale proposito, è interessante notare come una recentis-sima analisi dell’Ufficio studi Consob metta in evidenza le lezioni dell’approccio comportamentale alla vigilanza. In questo studio si citano ad esempio gli studi sul pre-sentational impression management, ossia il modo con cui è possibile gestire le modalità di presentazione di un prodotto o servizio finanziario enfatizzando gli aspetti che possano impressionare gli investitori, attirando la loro attenzione. Diversi studi in questo filone di ricerca mostrano ad esempio che variando la veste grafica con la quale si presenta il prodotto si è in grado di far focalizzare gli investitori solo sugli aspetti di forza dello stesso, non facendo trasparire quelli di debolezza. Al contrario, que-ste tecniche dovrebbero essere utilizzate dai regolatori per assicurare un’adeguata comprensione da parte degli investitori delle informazioni contenute ad esempio nei prospetti informativi.Un prospetto informativo di decine di pagine tende di per “LALL FINANZA COMPORTAMENTALAA ELL

MOSTRA COME DOVREBBEROESSERE PRESENTATE LELLINFORMAZIONI AGLGG ILL INVESTITORI ”

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Capitolo 2

sè a scoraggiarne la lettura. Se poi contiene una descri-zione troppo dettagliata, prolissa o ridondante dei detta-gli tecnici del prodotto, senza utilizzare una vesta grafica appropriata volta a enfatizzare chiaramente i vantaggi e gli svantaggi, allora sortirà il solo effetto di distogliere l’attenzione dell’investitore, non di fornire un’adeguata in-formazione sul prodotto presentato. In alcuni casi limite, purtroppo, sembra che sia stato proprio questo l’obiettivo perseguito: riempire i prospetti di dettagli inutili per sco-raggiare la vera comprensione del prodotto proposto.Volendo invece perseguire una migliore comprensione da parte degli investitori, è necessario rendere più efficace la trasmissione delle informazioni, utilizzando ad esempio tabelle riassuntive e grafici che spingono a concentrarsi sugli aspetti veramente rilevanti. Ovviamente, enfatizzando alcuni aspetti, le tabelle e i grafici possono essere utilizzati per manipolare e guidare l’attenzione degli investitori. Sarà dunque fondamentale non solo porre in essere regole ben precise al riguardo, ma soprattutto vigilare su potenziali violazioni di una ancora più importante norma non scritta secondo la quale la veste grafica deve aiutare la corretta comprensione del prodotto e non tradursi in una visione distorta che enfatizzi solo gli aspetti positivi, celando quelli negativi.

Le parole utilizzate, o l’enfasi data nelle tabelle o nei gra-fici, focalizzando l’attenzione di volta in volta sugli aspetti positivi, piuttosto che su quelli negativi possono arrivare a indurre l’investitore ad atteggiamenti, rispettivamente, di avversione o propensione al rischio, come osservato nella teoria del prospetto. Recenti studi dimostrano che i grafici hanno generalmente un impatto ancor maggiore nell’indirizzare le scelte degli individui. A tale proposito, non solo la scelta dei contenu-ti dei grafici è importante, ma anche la loro modalità di presentazione. La scelta di un grafico a torta, o a linee di trend, oppure a istogrammi è in grado di influenzare il pro-cesso decisionale. Si ricordi infatti che le diverse tipologie di rappresentazione grafica sono nate appositamente per trasmettere diverse informazioni.Se l’utilizzo di grafici può aiutare la comprensione da parte degli investitori, occorre dunque porre estrema attenzione al tipo di grafico utilizzato. Una possibile soluzione è quella di fornire all’investitore diverse alternative grafiche. Tutta-via, questa scelta potrebbe far percepire una ridondanza di informazioni che si rivelarebbe controproducente ai fini della comprensione da parte dell’investitore.Un altro problema collegato alle rappresentazioni, e agli effetti di framing che da esse ne derivano, riguarda il modo in cui vengono riportate le performance passate di un certo prodotto finanziario. La disponibilità, la rappre-sentatività e l’ancoraggio spingono infatti gli investitori a dare eccessiva importanza ai risultati precedentemente ottenuti da un certo investimento finanziario. È chiaro che le performance passate non assicurano che gli stessi ren-dimenti saranno ottenuti anche in futuro, ma le euristiche sopra menzionate portano a pensare che invece lo siano.Infine, ma non in ordine di importanza, un problema più generale riguarda il modo con il quale viene rappresentata la relazione rischio-rendimento. Come si è visto, molti in-dividui tendono a percepire questa relazione come positi-va, credendo che anche titoli pochi rischiosi, rappresenta-tivi di aziende percepite come buone, siano anche in grado

“ I GRAFICI HANNO UN IMPATTOMAGGIGG ORE NELL’INDIRIRR ZZAREIILE SCELTE DEGLILL INVESTITT TORII IRR ”

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di fornire rendimenti attesi elevati.A questa errata percezione, dovuta alle euristiche della rappresentatività e della familiarità, si può aggiungere la naturale tendenza degli individui a focalizzare l’at-tenzione sull’aspetto positivo di questo binomio, ossia sul guadagno potenziale, e non tanto a quello ritenuto negativo, il rischio. Un esempio può aiutare a chiarire il concetto. Le obbligazioni ad alto rischio, sotto il livel-lo di investment grade, sono state a lungo denominate junk bonds (obbligazioni “spazzatura”), enfatizzando dunque la connotazione positiva del rischio ad esse associato. Le stesse obbligazioni, più recentemente, sono state ribattezzate high yield (ad alto rendimento), a sottolineaneare i potenziali alti guadagni derivanti dall’elevata rischiosità delle stesse. Un investitore non sofisticato potrebbe essere tratto in inganno dalla di-versa denominazione ed essere portato a investire nel caso gli vengano presentate come obbligazioni ad alto rendimento, piuttosto che sotto la denominazione di titoli spazzatura.In finanza, il concetto di rischio ha natura bidirezionale, ossia afferma la possibilità di incorrere in risultati sia ne-gativi che positivi. Una misura di rischio come la volatili-tà mostra infatti quali deviazioni ci si dovrà attendere, in media, rispetto al rendimento atteso dell’investimento. Gli individui, al contrario, tendono a percepire il rischio solamente come “rischio negativo”. La teoria del prospet-to, tuttavia, insegna che percepire il rischio in termini di potenziali perdite invece che di possibili minori guadagni implica un diverso atteggiamento degli individui.Se l’approccio comportamentale aiuta a trovare soluzioni per eliminare o quanto meno ridurre gli effetti negativi derivanti dall’utilizzo delle euristiche decisionali o dagli errori cognitivi cognitivi (bias) in generale, al tempo stes-so apre nuove problematiche come quelle appena espo-ste legate alle modalità di disclosure. Al tempo stesso, le prescrizioni della finanza comportamentale non sono utili solo in ambito di educazione finanziaria e trasparenza in-formativa, ma anche per la consulenza finanziaria. Come si accennava, il ruolo dei consulenti è assolutamente rilevan-te per aiutare i propri clienti non solo nell’educarli finan-ziariamente, ma anche nella corretta interpretazione delle informazioni ad essi destinate, anche perchè previste dalle regole sulla disclosure.

L’investitore può infatti usufruire dell’interazione col con-sulente per dirimere i suoi dubbi, mentre in assenza di questa possibilità si troverà da solo a dovere gestire tutti i dati e le informazioni che gli vengono riversate addosso, aumentando la probabilità di rimanere vittima dei propri errori comportamentali.

2.5 LA CONSULENZA FINANZIARIA

Negli ultimi anni la consulenza finanziaria è stata og-getto di un riesame da parte di regolatori e intermedia-ri in seguito al recepimento della Direttiva MiFID, che ha ricondotto la consulenza in materia d’investimenti nell’ambito dei servizi d’investimento. Da un punto di vista normativo la consulenza si qualifica come un servi-zio d’investimento quando è personalizzata, vale a dire è proposta a una persona nella sua qualità d’investitore. La consulenza in materia d’investimenti deve riferirsi a uno o più specifici strumenti finanziari: se il suo oggetto si li-mita alle “classi” di strumenti finanziari, come nel caso della semplice asset allocation, si parlerà di “consulenza generica”. La consulenza generica, pur non essendo un servizio d’investimento, è disciplinata in via indiretta dal-la MiFID laddove la Direttiva precisa che se la consulenza generica rientra in un’attività preparatoria e strumentale alla prestazione del servizio di consulenza in materia d’in-vestimenti, essa deve essere considerata parte integrante del servizio d’investimento.La finanza comportamentale, dimostrando che il com-portamento degli investitori tende a divergere sistemati-camente dalle logiche ottimali prefigurate dalla finanza classica, fornisce un importante supporto al principio che la consulenza può essere un servizio a reale valore aggiun-to per gli investitori, in cui il ruolo del consulente è essen-ziale e non può essere sostituito dall’automatizzazione del processo. Se, infatti, le scelte degli investitori divergessero da quelle ottimali suggerite dalla teoria finanziaria sem-plicemente perché essi non dispongono di informazioni, conoscenze tecniche e tempo necessari per elaborare le politiche d’investimento, sarebbe sufficiente fornire pro-poste d’investimento adeguate per il profilo dell’investito-re. Al più si tratterebbe di spiegarle in modo comprensibile alla luce della cultura finanziaria dell’investitore. Tuttavia,

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anche qualora si pensi di avere individuato un portafoglio ottimale per un investitore, non è assolutamente sconta-to che l’investitore apprezzi la proposta e ne capisca real-mente le implicazioni prospettiche in termini di rischio e rendimento. Solo l’intervento e la mediazione di un con-sulente preparato, capace di cogliere la ricchezza delle sfumature psicologiche e del vissuto dell’investitore, possono aiutare l’investitore a ridurre la discrepanza tra le scelte “ottime” e quelle verso cui è più naturalmente predisposto. Con queste premesse, la consulenza si con-figura come un’attività “prescrittiva”, in contrapposi-zione a due approcci alternativi, che potremmo definire “normativo” e “descrittivo”.Se il consulente sposa l’impostazione normativa, cerche-rà di convincere l’investitore ad adattare le sue preferen-ze a quelle razionali che portano a definire il portafoglio ottimale. Se, invece, il consulente adotta un’impostazio-

ne descrittiva, tenderà ad assecondare il più possibile le preferenze dell’investitore. Il consulente che adotta l’impostazione prescrittiva cerca, per quanto possibi-le, di contemperare gli aspetti divergenti di queste due prospettive estreme, tenendo presente che ciò richiede di capire su quali meccanismi psicologici e percettivi si può agire per ridurre gli errori nei quali l’investitore so-litamente incorre.Le divergenze tra il comportamento effettivo e quello ra-zionale possono essere riconducibili a due fattori:

- errori cognitivi o euristiche: derivano dai limiti co-gnitivi della nostra mente, che affronta i problemi semplificandoli, filtrandoli ed elaborandoli in modo imperfetto;

- effetti di framing: derivano dalla struttura delle prefe-renze che non coincide con quanto ipotizzato nella teo-ria finanziaria classica.

Gli errori cognitivi possono essere corretti o attenuati dal consulente usando argomentazioni “oggettive” fondate sull’evidenza empirica. Ad esempio, a un investitore che considera di fatto impossibili eventi rari, il consulente può rispondere predisponendo un elenco di eventi che si sono verificati pur essendo stati trascurati o sottovalutati anche dagli operatori più qualificati.È invece più difficile correggere gli errori di preferenza perché meno sensibili sia al ragionamento astratto che all’evidenza empirica. Un investitore che manifesta una forte avversione alle perdite troverà tendenzialmente poco plausibile una misura di rischio basata sulla volatilità dei rendimenti attesi, che è sottesa alla maggior parte dei mo-delli finanziari.Da queste considerazioni si può trarre una prima indica-zione da seguire per attuare l’approccio prescrittivo alla consulenza finanziaria:

- quando la divergenza tra le preferenze del cliente e l’in-vestimento ottimale è attribuibile soprattutto a errori cognitivi, il consulente deve cercare di correggere gli errori in modo da spingere l’investitore verso il porta-foglio ottimale;

- quando prevalgono gli errori di preferenza, il consulen-te deve tendenzialmente adattare le proposte alle pre-ferenze del cliente.

L’attività del consulente deve tenere conto anche del fatto che la soddisfazione dell’investitore non dipende sempli-cemente dall’entità del suo patrimonio ma, come è dimo-strato dalla teoria del prospetto, dai guadagni o perdite rispetto a un punto di riferimento che dipende dalle aspi-razioni e dagli obiettivi dell’investitore. È utile al riguar-do introdurre il concetto di status, inteso come punto di riferimento non solo economico finanziario, ma anche di prestigio personale e sociale che un investitore si pone. Si può sostenere che un cliente è soddisfatto dei suoi investi-menti se percepisce che lo aiutano a migliorare o almeno a preservare lo status che si è dato. Il consulente dovrebbe pertanto spingere l’investitore verso investimenti che faci-litino il conseguimento dei suoi obiettivi di status. In certe circostanze, tuttavia, l’investitore può manifestare bisogni di status che sono in contrasto con le prospettive del mer-

“UNUU BRAVO CONSULENTEUU PUÒUUFORNIRE UNUU AIUTOUU FONDAMENTALEPER EVITARE GLI ERRORI NELPROCESSO D’INVESTIMENTO ”

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Capitolo 2

cato e le sue caratteristiche personali. Ad esempio, un inve-stitore che vuole inseguire i fasti e i successi di un amico o un parente potrebbe essere indotto a effettuare investimenti rischiosi per spirito di emulazione. Ciò è pericoloso soprat-tutto quando la sua posizione patrimoniale non è partico-larmente solida. Il consulente non deve però dimenticare che, poiché gli investitori sono sensibili ai guadagni e alle perdite rispetto a un punto di riferimento (che corrisponde allo status desiderato), gli investitori facoltosi possono su-bire pesanti contraccolpi psicologici anche quando l’entità delle perdite non erode in modo significativo il patrimonio.Gli atti di un processo che ha coinvolto Larry Ellison, fon-datore e amministratore delegato di Oracle, forniscono un esempio illuminante di tale principio. Larry Ellison è uno degli uomini più ricchi del mondo, con un patrimonio personale stimato quasi 30 miliardi di dollari. Nel corso di un processo promosso contro Ellison all’inizio degli anni Duemila è emerso, da un lato, il suo stile di vita molto di-spendioso, potenzialmente in grado di minare la solidità patrimoniale dell’imprenditore se le sue fortune industriali si fossero incrinate. Dall’altro, sono emerse un’attenzione e una preoccupazione per le sorti dei propri investimenti finanziari che, sebbene corrette in linea di principio, sono apparse sproporzionate per l’enfasi emotiva che richia-mavano, alla luce del patrimonio e delle faraoniche spese personali dell’imprenditore. Il suo consulente finanziario, ad esempio, gli scriveva: “Io so che questa e-mail ti de-primerà. Comunque, io credo che il mio lavoro consista nell’affrontare problemi che tu preferiresti evitare. Anni fa mi hai detto che per te era corretto discutere insieme tri-mestralmente la “questione della diversificazione”. Bene, è quello che sto facendo ora. Considera questa e-mail come una chiamata alle armi”.Queste considerazioni permettono di individuare le fasi es-senziali di un’attività di consulenza che cerchi di applicare l’approccio prescrittivo delineato dalla finanza compor-tamentale. In primo luogo il consulente deve passare al vaglio di una “verifica di status” che esamina le caratteri-stiche che l’investimento finanziario dovrebbe possedere per assicurare all’investitore lo status desiderato. Lo status riassume sia obiettivi strettamente economico-finanziari, che di prestigio e di autostima. Se lo status desiderato non è coerente con prospettive ragionevoli dei mercati, il consulente deve cercare di agire sulle aspirazioni dell’inve-

stitore, evitando di assecondarle pedissequamente. Non è raro che le aspirazioni siano irragionevoli in conseguenza di errori studiati dalla finanza comportamentale, quali: iper-ottimismo, overconfidence, euristica della rappresen-tatività. In questi casi un’azione capace di correggere que-sti errori dovrebbe riportare le aspirazioni dell’investitore in un ambito di maggiore ragionevolezza. Viceversa, se il consulente non riuscisse a ripristinare la coerenza tra sta-tus e scenario finanziario, dovrebbe, se non abbandonare il cliente, quantomeno esporre chiaramente e senza mezzi termini le proprie perplessità.In secondo luogo il consulente deve tenere presente che la maggiore parte degli investitori non è naturalmente pro-pensa a sposare spontaneamente le scelte ottimali suggeri-te dai modelli finanziari: egli deve capire quali sarebbero le conseguenze del disallineamento tra le naturali preferenze dell’investitore (che definiscono il portafoglio preferito) e le indicazioni fornite dai modelli finanziari (che definisco-no il portafoglio ottimale).

La figura seguente riassume i diversi possibili incroci che possono verificarsi.

Coerenza tra statuse portafoglio ottimale

BASSA ALTA

Coerenza tra status e portafoglio preferito

ALTA

BASSA A B

C D

CASO AQuesto incrocio corrisponde alla premessa che è stata fatta all’attività di consulenza, descrivendo come com-

“LELL PERDITE PRODUCONO CONTRACCOLPILLPSICOLOGICILL ANCHE QUANDO NONINTACCANO SIGNIFICATIVAMENTELALL RICCHEZZA ”

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portarsi in caso di aspirazioni irragionevoli alla luce delle prospettive dei mercati.

CASO BIl portafoglio ottimale è coerente con le aspirazioni dell’in-vestitore, il quale tuttavia è propenso a preferire investimen-ti che lo allontananerebbero dalla possibilità di raggiungere i suoi obiettivi. L’investitore è vittima di errori o equivoci che gli potrebbero costare caro. Il consulente deve intervenire con decisione, al limite cercando di modificare anche errori di preferenza, perché è la situazione in cui il suo ruolo è in assoluto più importante: infatti esistono politiche d’investi-mento coerenti con il bisogno di status dell’investitore che, tuttavia, sbaglierebbe strada se lasciato da solo.

CASO CMentre il portafoglio preferito è coerente con lo status desiderato, non lo è il portafoglio ottimale. Non avreb-be senso considerare questa eventualità se gli individui si comportassero secondo i criteri di razionalità previsti

dalla teoria finanziaria classica. In questo caso infatti il portafoglio ottimo è per definizione quello che meglio soddisfa i bisogni (razionali) dell’investitore. Un esempio tipico è rappresentato dalla persona che allo stesso tem-po investe prudentemente la maggior parte del patrimo-nio e compra in via residua attività speculative: secondo la teoria classica, questa condotta sarebbe in genere non ottimale e intrinsecamente contraddittoria. A ben vedere però essa permette all’investitore di alimentare la speran-za di ottenere alti rendimenti, magari di dare una svolta radicale alla sua condizione, o più semplicemente significa semplicemente potersi cullare nella speranza di essere ba-ciati dalla fortuna. Se tutto ciò non mette a repentaglio il benessere patrimoniale dell’investitore (la quale cosa è as-sicurata della coerenza tra status e portafoglio preferito), il

consulente potrebbe assecondare un simile orientamento.

CASO DIl bisogno di status e le aspirazioni del cliente sono sod-disfatte sia dal portafoglio preferito che quello ottimale. Quest’ultimo tuttavia è definito usando modelli finanziari che ottimizzano il compromesso tra rischio e rendimento o minimizzano i costi: il consulente deve cercare di inter-venire sugli errori cognitivi più facilmente influenzabili, tenendo comunque presente che non ha senso forzare troppo gli orientamenti dell’investitore se questo mostra delle resistenze.

Sebbene la finanza comportamentale legittimi l’utilità del-la consulenza finanziaria, anche quando non promette ex-tra rendimenti rispetto al mercato, non è scontato che essa in concreto permetta di raggiungere gli obiettivi desiderati. In primo luogo non si può trascurare che gli errori di ragio-namento e di preferenza sono comuni a tutti gli individui, consulenti compresi: una maggiore cultura finanziaria e la pratica quotidiana dei mercati possono sviluppare impor-tanti antidoti verso gli errori tipici degli investitori, ma non sono una garanzia assoluta. Inoltre è documentato che i soggetti più esposti agli errori studiati dalla finanza com-portamentale sono spesso anche quelli che non ricorrono ai servizi di consulenza. Infine la struttura organizzativa e il sistema remunerativo dell’industria dei servizi d’investi-mento possono a volte determinare un disallineamento tra gli interessi del cliente e quelli del consulente, anche se si è verificato un importante passo in avanti verso una mag-giore trasparenza del rapporto in seguito al recepimento della Direttiva MiFID.In concreto le analisi empiriche che analizzano l’impat-to della consulenza sul comportamento degli investitori sono giunte a risultati non sempre univoci, che sembra-no dipendere anche dal Paese e dall’assetto regolamenta-re che si sta considerando. Mentre in alcune circostanze emerge che gli investitori seguiti da un consulente sono meno soggetti agli errori comportamentali e ottengono un migliore profilo di rischio e rendimento, un recente studio sul mercato tedesco arriva a conclusioni opposte. L’analisi del caso italiano mostra che la consulenza è positivamente legata all’entità del patrimonio e all’avversione al rischio, mentre non dipende dal livello di educazione finanziaria.

“UNUU CONSULENTEUU DEVE SAPEREINDIVIDUAREUU GLI ERRORI CHEPOSSONO INTACCARE IL FUTUU UTT ROUUBENESSERE DEL CLIENTE ”

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Capitolo 2

Gli investitori seguiti da un consulente detengono porta-fogli più diversificati tra le diverse classi d’investimento, anche se nel complesso assumono più rischi in conseguen-za soprattutto di una maggiore incidenza di prodotti del risparmio gestito e polizze a contenuto finanziario.

2.6 LA PREVIDENZA INTEGRATIVA

La pianificazione finanziaria risulta di estrema impor-tanza per riuscire a far fronte alle spese più significative che si possono prospettare nell’arco della vita, legate ad esempio alla costruzione della propria famiglia, all’ac-quisto della casa, al mantenimento dei figli, ma anche a eventi imprevisti e negativi come i problemi di salute. Solo attraverso un’adeguata programmazione si può far fronte con relativa certezza a tutte queste evenienze senza rinunciare a un adeguato tenore di vita una volta arrivati all’età della pensione.Le scelte previdenziali sono ancor più rilevanti se si pensa che il passaggio dal sistema retributivo a quello contri-butivo, il ridimensionamento della previdenza sociale e il contestuale necessario incremento del ricorso a quel-la complementare, hanno spostato nella mani (o ancora meglio nelle menti) dei singoli il compito di pianificare il proprio futuro. Questo passaggio di responsabilità dal pubblico al privato presuppone che gli individui siano in grado di decidere al meglio per sè. Mentre questa è l’ipo-tesi chiave dell’approccio tradizionale alla finanza, quello comportamentale ha ampiamente dimostrato che pur-troppo ciò non corrisponde alla realtà.Numerose indagini mostrano come gli individui non sia-no abili nel programmare il proprio futuro, o addirittura non vogliano farlo. Pianificare il proprio futuro è difficile, oltre a implicare spesso rinunce nel presente.Le evidenze che riguardano i Paesi con sistemi di previ-denza sociale limitati sono disarmanti e mostrano che molti individui non riescono a mantenere un livello di vita soddisfacente una volta in pensione, a causa di un livello di risparmio inadeguato.I motivi di questa insufficiente accumulazione a fini pre-videnziali sembrano derivare da due principali cause. La prima risiede nel fatto che gli errori cognitivi come

l’eccessivo ottimismo o l’overconfidence (eccesso di sicu-rezza) portano da un lato a sottostimare la probabilità di eventi negativi e costosi (come ad esempio le malattie) e dall’altro a sovrastimare le capacità reddituali future. La seconda è che l’utilizzo di euristiche decisionali per ge-stire la complessità delle variabili da considerare nella pianificazione pensionistica induce a commettere errori.È allora fondamentale capire come gli errori comporta-mentali impattino sulle decisioni previdenziali e come correggere tali distorsioni.A questo scopo, come sopra menzionato, è fondamen-tale il contributo dell’educazione finanziaria. Da sola, tuttavia, essa non è in grado di eliminare gli errori com-portamentali degli individui, anche se è attuata tenendo conto dei dettami della finanza comportamentale. Infatti, come spiega lo stesso approccio comportamentale, non è sufficiente conoscere i concetti necessari al debiasing (eli-minazione degli errori di comportamento), ma servono procedure e allenamento che l’investitore deve ripetere in continuazione.

Spesso, nella realtà, gli individui non hanno sufficiente forza di volontà per operare scelte che potrebbero eli-minare o almeno limitare gli effetti negativi degli errori comportamentali, ma che sono costose. Uno dei problemi che spingono gli individui a non risparmiare abbastanza risiede nel fatto che le persone tendono a dare maggiore importanza ai consumi correnti rispetto a quelli futuri. Una possibile causa di questo atteggiamento potrebbe essere la mancanza di auto-controllo. È dunque possibile che non si tratti tanto di non sapere quanto dover accon-tonare per avere una pensione dignitosa, ma piuttosto che il risparmiare di più impone di consumare di meno oggi. Anche sapendo quale sarebbe il giusto ammontare da accantonare, la mancanza di volontà spinge a posti-cipare la decisione del risparmio a favore del consumo corrente, che ha il vantaggio di fornire una gratificazione

“GLI INVESTITORI NON SONOABILI NEL PROGRAMMAREIL PROPRIO FUTURO ”

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immediata. Si tratta dunque di un errore cognitivo che riguarda la percezione del valore dei consumi nel tempo che si acuisce più vicina è la gratificazione.Le scelte previdenziali sono soggette allo status quo bias in quanto caratterizzate da diversi elementi di comples-sità tecnica, ma anche dal fatto che riguardano un futuro molto lontano e dunque incerto. L’inerzia si estrinseca dunque nel fatto che le persone tendono a posticipare l’a-desione a piani di previdenza complementare.La procrastinazione porta dunque all’inazione, a una forma di inerzia nota come status quo bias la quale sem-bra essere causata dell’avversione alle perdite. Si prefe-risce dunque non abbandonare la condizione attuale per paura delle possibili conseguenze negative associate al cambiamento.La paura del cambiamento aumenta con l’incertezza e, di conseguenza, la forza dello status quo bias cresce quando vi sono più alternative tra cui scegliere. Questo

fenomeno si configura come un sovraccarico di scelte possibili al pari di quello che gli individui affrontano davanti a troppa informazione. La conseguenza è che, avendo troppe opzioni a disposizione, si tende a sceglie-re quella più comprensibile, anche se non necessaria-mente migliore. Addirittura, questo eccesso di opzioni ha spinto alcuni lavoratori statunitensi alle prese con troppi linee di investimento previdenziale tra cui opta-re, non solo a non scegliere, ma addirittura a decidere di non partecipare a tali piani. Anche l’operare delle euristiche decisionali è causa di inerzia. In contesti complessi, l’euristica più semplice per decidere è quella di non fare nulla, di non decidere, di ac-cettare la scelta che è stata fatta da qualcun altro. L’ancorarsi allo status quo ha effetti in molteplici situa-zioni in ambito finanziario. Ad esempio, anche nel caso le condizioni applicate sul conto corrente o sul portafoglio titoli peggiorino, risulta particolarmente difficile cam-

biare banca. Ciò può incentivare gli intermediari a sfrut-tare questa inerzia a loro vantaggio, offrendo condizioni particolarmente vantaggiose, ma per un tempo limitato. Gli investitori saranno inizialmente attratti, ma successi-vamente non riusciranno a chiudere la posizione, anche quando le condizioni saranno peggiorate.L’inerzia decisionale può essere anche utilizzata per aiu-tare gli investitori, a condizione che si scelga un’opzione di base che vada nel loro interesse. Se si ritiene ad esem-pio che, dato che in generale le persone non risparmiano a sufficienza per la pensione, sia nel loro interesse iscri-versi a un piano di previdenza privato e integrativo, al-lora si potrà istituire per legge l’adesione automatica dei lavoratori a questi piani, lasciando ovviamente la possibi-lità di decidere altrimenti e di abbandonare il piano, ma tramite un’azione esplicita. Il fatto di dovere attivarsi per abbandonare la scelta di default tipicamente fa sì che le persone, per inerzia, non lo facciano e rimangano all’in-terno del piano di previdenza complementare.Si istituisce dunque un’iscrizione automatica, con un meccanismo di silenzio assenso. Tipicamente, i sistemi di iscrizione automatica aumentano sensibilmente il tasso di adesione ai piani di previdenza complementare. Tutta-via, la previsione di un’opzione di base per tutti gli iscritti non sempre sortisce effetti positivi. Ad esempio, con riferimento ai piani previdenziali pri-vati statunitensi, si è purtroppo constatato che l’opzione di default creava problemi riguardo il tasso di contri-buzione, ossia quanto si accantonava nel piano stesso. Ovviamente, da questa decisione dipende in larga mi-sura quale sarà il benessere in futuro del lavoratore. Nei piani previdenziali considerati, il tasso di contribuzione previsto era pari al 3%, un tasso abbastanza basso. Tale previsione nasceva dalla considerazione che i lavoratori con gli stipendi più bassi avrebbero potuto avere diffi-coltà nel contribuire maggiormente. Tuttavia, la scelta del 3% non era ottimale: sarebbe infatti stato raziona-le per il lavoratore un tasso di contribuzione doppio in quanto fino al 6% il datore di lavoro era tenuto a versare esattamente quanto versato dal lavoratore, andando a incrementare i fondi nel piano previdenziale. Se cioè il lavoratore versava il 3% e l’azienda la stessa percentuale, il tasso di contribuzione complessivo sarebbe risultato il 6%. Se invece il lavoratore avesse deciso di versare il

“L’INERZIA INDUCE LELL PERSONEA POSTICIPARE L’ADESIONE’ A PIANIDI PREVIDENZA COMPLPP EMENTARELL ”

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Capitolo 2

6%, dato che l’azienda avrebbe dovuto fare lo stesso, il tasso di contribuzione complessivo sarebbe salito al 12%. Complessivamente, dunque, se il lavoratore avesse au-mentato il suo tasso di contribuzione di un ammontare pari al 3% (dal 3% previsto nell’opzione di base al 6%), quello complessivo sarebbe aumentato del 6% (dal 6% al 12%). Tuttavia, l’evidenza ha mostrato che, a causa dello status quo bias, la maggioranza dei lavoratori rimaneva ancorata al 3%, ossia all’opzione predeterminata.La differenza nel livello di contribuzione iniziale è assolu-tamente rilevante se si pensa che l’ammontare investito viene capitalizzato per un numero di anni molto elevato. La mancata percezione da parte degli individui dell’effet-to della capitalizzazione dei rendimenti nel tempo contri-buisce sicuramente a minimizzare la differenza tra i tassi di contribuzione iniziali.Se da un lato dunque lo status quo bias spiega il successo dell’iscrizione automatica ai piani di previdenza comple-mentare, esso rappresenta anche la causa del basso livello di contribuzione. Il problema assume più rilevanza se si pensa alle conseguenze sistemiche. Se infatti da un lato i programmi di iscrizione automatica riescono ad “arruo-lare” quei lavoratori che probabilmente non avrebbero adottato un piano di previdenza complementare (a causa ad esempio del basso livello di reddito), dall’altro abbas-sano il livello di risparmio di chi invece si sarebbe co-munque iscritto a questi piani, ma che per inerzia rimane ancorato al tasso di contribuzione troppo conservativo previsto dall’opzione di default. Il problema legato al tasso di contribuzione, purtroppo, non è il solo collegato allo status quo bias. Sempre con riferimento ai piani previdenziali statunitensi, si è ri-scontrato che, una volta iscritti, i lavoratori tendevano a mantenere l’asset allocation decisa inizialmente, anche a distanza di anni e a seguito del mutare delle condizioni di mercato. Tale allocazione, a causa dell’inerzia sopra descritta, spesso coincideva con quella proposta dall’op-zione di default che prevedeva l’investimento in titoli del mercato monetario per limitare la rischiosità degli investimenti e “tutelare” i lavoratori. Tuttavia, questa non necessariamente è la scelta migliore. Un’asset allo-cation troppo conservativa può, infatti, danneggiare il lavoratore negli anni di rialzo del mercato azionario. È vero che, al contrario, potrebbe proteggerlo in quelli al

ribasso, ma data l’evidenza storica per la quale gli anni al rialzo sono in media i due terzi del totale, avendo a disposizione un orizzonte di investimento medio-lungo sarebbe auspicabile prevedere una quota azionaria con-sistente per ottenere un maggiore rendimento in futuro. Non tutti i lavoratori che entrano in un piano di previ-denza integrativa hanno un orizzonte così lungo, alcuni al contrario potrebbero essere vicini alla pensione o entrare in un momento in cui le prospettive dei mercati azionari non sono delle più rosee. In questo caso, sarebbe sicura-mente saggio prevedere un’asset allocation più prudente. A maggior ragione, dunque, il lavoratore che entra in un piano previdenziale complementare non deve accettare in maniera incondizionata quanto previsto dall’opzione di default. In questa direzione vanno ad esempio i piani previdenziali cosiddetti lifecycle (ciclo di vita), nei quali la quota azionaria descresce man mano che ci si avvicina alla pensione.

Oltre allo status quo bias, la scelta di non alterare l’asset allocation prevista nell’opzione di base del piano previ-denziale potrebbe essere dettata, soprattutto per i lavo-ratori con minor cultura finanziaria, dalla tendenza a credere che quanto previsto a livello collettivo sia la scelta migliore possibile. Inoltre, si potrebbero innescare com-portamenti imitativi per i quali si tende a seguire quello che fanno gli altri. Se la maggioranza dei lavoratori, tut-tavia, non ha un grado sufficiente di conoscenze finanzia-rie, potrebbe accadere che molti si adeguino alla massa e risparmino troppo poco a fini previdenziali.Inoltre, questi individui difficilmente modificheranno il tasso di contribuzione nel tempo, anche se troppo basso, a causa dell’inerzia già descritta. Se questo problema vale in generale, la procrastinazione e l’avversione al cambia-mento possono essere pericolose anche in una situazione diametralmente opposta.

“ I PIANII INN PREVIVV DENZIZZ ALII ILL LILL FECYCLEAIAA UTANO GLILL INVESTITT TORII IRRAD ADEGUARE L’ASSET’ ALLOCATITT ONAL CAMBIAMENTOII DI ETÀ ”

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“GLI INVESTITORI SONO POCOPROPENSI AL RISPARMIOPREVIDENZIALE PERCHÉSOTTOVALUTANO I CONSUMI FUTURI”

Si pensi ad esempio a un lavoratore che invece avesse de-ciso un’asset allocation più aggressiva perchè entrato in un momento di mercati azionari in forte rialzo. Il perico-lo è che egli, per inerzia, non riduca la quota investita in azioni anche a seguito di un’inversione dei mercati.Nelle scelte sulle possibili riallocazioni di portafoglio agi-sce inoltre l’errore di “ancoraggio”, che fa sì che si decida prendendo l’allocazione iniziale come punto di riferi-mento. Se questa è l’ancora mentale rispetto alla quale si prendono le decisioni, è allora possibile che l’effetto di disposizione spinga a mantenere l’allocazione iniziale, anche se più rischiosa, per evitare di incassare perdite.Un’evidenza simile si è riscontrata a seguito della recente crisi finanziaria e ha suscitato accese polemiche sui fondi pensione complementari che avevano adottato linee di gestione più aggressive. Si ricordi, tuttavia, che è pos-sibile passare da una linea di gestione all’altra con costi di switch tipicamente molto contenuti. È dunque spesso colpa del singolo lavoratore il mancato passaggio a linee di investimento più prudenti. Tuttavia, un basso livello di educazione finanziaria associato agli errori cognitivi so-pra descritti fa sì che il singolo individuo, se lasciato solo, commetta errori nella gestione del proprio risparmio.Ad esempio, sempre con riferimento all’asset allocation scelta all’interno dei piani di previdenza integrativa, le evidenze statunitensi sopra menzionate segnalano che gli individui tendono a diversificare il portafoglio titoli in maniera che non corrisponde ai dettami della finan-za classica. In particolare, dato un certo numero di linee d’investimento proposte dal piano, molti lavoratori ten-devano a suddividere equamente i loro fondi tra queste alternative. Questo è un tipico esempio di un’euristica de-cisionale nota come “1/n” o “diversificazione naive” per la quale, in condizioni di incertezza causata da molteplici scelte, nel dubbio si opta per considerarle in quote uguali.È ormai nota la posizione di Harry Markowitz, premio Nobel per l’economia e padre della moderna teoria di portafoglio, che nel prendere la sua scelta previdenziale aveva seguito esattamente questa euristica investendo metà in azioni e metà in obbligazioni, al fine di minimiz-zare il suo rammarico futuro. Se avesse infatti investito al 100% in azioni e i mercati azionari avessero subito forti ribassi avrebbe rimpianto di non aver investito in obbli-gazioni e viceversa in caso di decisione opposta e mercati

al ribasso. Non è solo il potenziale rammarico a far sì che i lavoratori diversifichino in modo naive, ma anche gli ef-fetti di framing (la cornice nella quale si inquadra la deci-sione), ossia il numero di linee di investimento proposte nel piano previdenziale. Non è dunque la propensione al rischio del singolo lavoratore a decidere l’allocazione di portafoglio, bensì la modalità di presentazione delle diverse opzioni.Un’altra evidenza molto riscontrata nella pratica fa ri-ferimento al già citato home bias, ossia alla tendenza a investire nei titoli maggiormente conosciuti o familiari. Con riferimento ai piani previdenziali, molti lavorato-ri inseriscono all’interno del proprio portafoglio i titoli dell’azienda per cui lavorano. Occorre sottolineare come sia possibile che questi titoli facciano parte di pacchetti remunerativi e che dunque la loro inclusione nel portafo-glio dei lavoratori non sia una scelta del lavoratore stesso.

Inoltre, dato che alcune aziende contribuiscono ai piani previdenziali dei loro lavoratori tramite azioni proprie, si potrebbe essere portati a pensare che questo tipo di investimento sia profittevole e dunque essere tentati di riprodurlo (endorsement effect).A volte, invece, è il lavoratore stesso a preferire i titoli della propria azienda per ragioni affettive. Altre volte, è invece l’euristica della familiarità a portare a investire nel titolo che si conosce (o si pensa di conoscere) meglio, pensando di poterne in qualche modo “controllare” l’an-damento. Tuttavia, questa “illusione del controllo” accen-tua i meccanismi che portano all’overconfidence e risulta costosa nella misura in cui il lavoratore che investe nella propria azienda aumenta il grado di sotto-diversificazio-ne dovuto al fatto che da essa riceve il proprio stipendio e che in essa investe il proprio capitale umano. Come molti crac societari hanno purtroppo dimostrato, questo atteg-giamento può risultare estremamente pericoloso.

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Capitolo 2

I problemi appena citati sono dovuti ai agli errori (bias) cognitivi e alle euristiche che gli individui utilizzano nel prendere decisioni. Tuttavia, i loro effetti più deleteri sono legati a come viene strutturata l’opzione di default. È allora fondamentale il lavoro di chi è proposto a dise-gnare lo schema dei piani previdenziali, al fine di avvan-taggiarne gli iscritti.Un esempio interessante a tal riguardo è rappresenta-to dai cosiddetti piani SMART, acronimo di Save More Tomorrow (risparmiare di più domani) e gioco di parole (smart in inglese significa “intelligente”) per segnalare la bontà dei piani in questione. Questi piani prevedono sempre l’iscrizione automatica con la possibilità di uscire con decisione volontaria ed esplicita, ma anche altri mec-canismi che cercano di sfruttare gli errori commessi dai singoli a vantaggio degli stessi. In particolare, chi entra in un piano SMART tipicamente lo fa con un tasso di con-tribuzione relativamente basso che però cresce automati-camente in concomitanza di futuri aumenti di stipendio. Questa previsione deriva dal fatto che occorre non fare percepire ai lavoratori i maggiori contributi previdenziali come una perdita. Se questi invece sono sincronizzati con gli aumenti salariali, il lavoratore non vedrà alcuna ridu-zione nello stipendio netto. Oltre a evitare le conseguenze negative dell’avversione alla perdita, questo meccanismo permette di aggirare la miopia tipica degli investitori e la loro preferenza per il consumo corrente rispetto a quel-lo futuro. Se gli individui sono dunque poco propensi al risparmio perchè sottovalutano i consumi futuri, al tem-po stesso tenderanno a sottostimare altre decisioni che riguardano il futuro, compresi i vincoli autoimposti. È al-lora possibile sfruttare questo atteggiamento per spinge-re i lavoratori a concordare maggiori contributi in futuro purchè corrispondenti ad aumenti di stipendio. In altri termini, il vincolarsi a qualche “sacrificio” in futuro pesa meno perchè permette un livello di contribuzione iniziale basso e dunque meno rinunce.È tuttavia importante che la strategia del piano sia chiara al lavoratore, come devono essere chiare le linee di inve-stimento proposte e quale sia la migliore per ottenere gli obiettivi previdenziali che si vuole raggiungere.Le evidenze a disposizione sui piani SMART sono inco-raggianti in quanto sembrano in grado di risolvere i pro-blemi collegati all’iscrizione automatica e all’ancoraggio

a opzioni di default troppo conservative sia da un punto di vista del tasso di contribuzione che da quello dell’asset allocation iniziale.Questo tipo di piano permette infine di evitare soluzioni drastiche come l’imposizione di piani pensionistici ob-bligatori che non prevedano la possibilità di uscita. Que-ste scelte, apparentemente risolutive, in passato hanno fatto registrare una diminuzione generalizzata del tasso di risparmio dedicato a fini pensionistici e sono dunque sconsigliabili.I piani SMART sono solo una delle possibili scelte ope-rabili nella pratica, ma forniscono un ottimo esempio di come è possibile strutturare le opzioni previdenziali per favorire i partecipanti al piano stesso. Ovviamente, se tut-ti gli individui decidessero di sottoscrivere piani di questo tipo, il risultato sarebbe quello di aumentare il risparmio dedicato ai fini previdenziali non solo a livello individua-le, ma sistemico con effetti positivi per i mercati finanzia-ri e l’economia nel suo complesso.Per questa ragione è importante chiedersi che ruolo deb-bano avere lo stato o i decisori pubblici in generale nell’a-iutare gli investitori nelle loro scelte. Negli ultimi anni si sta sviluppando una corrente di pen-siero denominata “paternalismo libertario”, la quale so-stiene che si dovrebbe in qualche modo “guidare” i rispar-miatori affinchè essi operino le scelte ottimali che da soli non sarebbero in grado di perseguire.La denominazione discende dal fatto che la definizione delle opzioni di default è prerogativa del decisore pubbli-co, ma al tempo stesso si lascia agli individui la libertà di scegliere, garantendo in ogni caso la possibilità di abbon-danare l’opzione di base prevista e adottarne un’altra, ma sempre con una scelta esplicita.Questa posizione appare interessante perchè rappresenta una via di mezzo tra l’approccio liberista supportato dal-la finanza tradizionale, ma smentito dai fatti, e quello di paternalismo autoritario che prevede un intervento mas-siccio dello Stato e che ha fallito in più occasioni. Secon-do questo approccio si dovrebbe dare all’investitore una “spinta” (nudge) nella direzione giusta, senza costringerlo o vincolarlo a una determinata soluzione, ma neanche la-sciandolo solo di fronte a decisioni spesso troppo com-plesse. Ciò spiega il successo di iniziative di paternalismo libertario, soprattutto in ambito previdenziale, come quel-

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le adottate recentemente in Nuova Zelanda, Regno Unito e Stati Uniti. Sembra dunque giunta anche per l’Italia l’ora di considerare questa nuova impostazione in ambito pre-videnziale, soprattutto in seguito alle modifiche legislative che hanno cercato di spingere, negli ultimi anni, verso un maggior utilizzo della previdenza complementare.

2.7 IL RISPARMIO GESTITO

Si può essere indotti a ritenere che, poiché nel risparmio gestito l’investitore delega la gestione a un intermedia-rio, i tipici errori studiati dalla finanza comportamentale siano meno insidiosi. Ciò è vero solo in parte, perché nel processo di scelta del prodotto e del gestore si ripresen-tano i tipici problemi che caratterizzano in generale le decisioni d’investimento.I tre principali obiettivi che possono animare l’investitore che si avvale del risparmio gestito sono:

- ottenere un livello di diversificazione che sarebbe molto difficile raggiungere attraverso l’investimento diretto. In questo senso il risparmio gestito permet-te sicuramente di depotenziare le conseguenze della scarsa diversificazione, che è uno degli errori d’inve-stimento più frequenti e pericolosi. Anche se limitasse a un solo fondo d’investimento, l’investitore otterreb-be una diversificazione migliore della maggior parte dei portafogli investiti direttamente in titoli;

- avvalersi di competenze professionali per migliorare le decisioni d’investimento, nella consapevolezza di non avere il tempo, la preparazione e le informazioni necessarie per gestire direttamente il portafoglio;

- avvalersi di competenze professionali per ottenere extra rendimenti positivi rispetto al mercato.

La ricerca empirica sul comportamento degli investitori in fondi comuni e prodotti similari ha documentato che ricorrono alcuni errori sistematici. Il primo problema riguarda i costi: gli investitori pre-stano più attenzione agli oneri che pagano direttamente rispetto a quelli che gravano sul fondo. Tra questi ultimi,

inoltre, ricevono maggiore attenzione le commissioni di gestione rispetto alle altre spese operative. Ciò porta ad alcune conseguenze in palese contrasto con l’ipotesi di efficienza allocativa del mercato:

- la relazione negativa tra commissioni d’ingresso e rac-colta dei fondi si rovescia quando si considerano tutti i costi operativi, probabilmente perché alcuni di questi costi sono connessi a efficaci campagne distributive e di comunicazione;

- gli investitori potrebbero ragionevolmente pensa-re che i costi siano positivamente legati anche alla qualità della gestione del fondo. Se si considerano tuttavia fondi indicizzati a benchmark dovrebbe es-sere chiaro che l’investitore dovrebbe puntare alla minimizzazione dei costi a suo carico, direttamente o indirettamente. L’esempio dei fondi americani in-dicizzati al benchmark S&P 500, smentisce questa supposizione. I costi dei fondi indicizzati sono me-diamente bassi (i costi totali medi sono lo 0,444% del patrimonio), ma le disparità tra i fondi sono consistenti. Il fondo con le spese minori, ad esem-pio, si assesta sullo 0,06%, mentre quello con le spese maggiori raggiunge l’1,35%. La performance rispetto al benchmark dei fondi indicizzati è facil-mente prevedibile e condizionata soprattutto dai costi: cionondimeno la relazione tra la raccolta e i costi dei fondi indicizzati è statisticamente de-bole, dimostrando che molti investitori impiegano nuove risorse in fondi che a causa della struttura di costo pesante sono stati poco soddisfacenti in passato e che, con ogni probabilità, lo saranno an-che in futuro.

L’atteggiamento degli investitori verso i costi del rispar-mio gestito può essere spiegato dall’avversione alle perdi-te. L’investitore percepisce le commissioni d’ingresso che paga subito come dei costi, mentre percepisce le commis-sioni di gestione e gli altri costi a carico del fondo come dei minori guadagni: questo inquadramento è, inoltre, favori-to dal fatto che le commissioni di gestione e gli altri oneri a carico del fondo sono dedotti dal valore della quota, che è sempre espresso al valore netto, e non sono sottratti dalla

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Capitolo 2

somma sottoscritta o rimborsata. Poiché l’impatto psico-logico dei costi è maggiore di quello dei minori guadagni, l’investitore finisce per dare relativamente poca importan-za alla commissione di gestione e, di fatto, trascurare gli altri oneri a carico del fondo.Il secondo aspetto problematico riguarda la ricerca dei fondi con la migliore performance: gli investitori cercano i fondi che possano garantire le migliori performance ag-giustate per il rischio. Ciò è non solo legittimo, ma anche auspicabile per il mantenimento di una vitale concorren-za nel settore. Tuttavia, mentre è documentata la tenden-za degli investitori a dirigersi verso i fondi con la perfor-mance recente più elevata, non vi sono evidenze solide che dimostrino che gli investitori riescano a selezionare i fondi che in via prospettica ottengono le migliori perfor-mance. Inoltre, la raccolta netta positiva verso i fondi con la migliore performance recente è più elevata del deflusso di risorse in uscita dai fondi peggiori: l’impatto della per-formance storica sulle scelte degli investitori è asimme-trico. Un’analisi approfondita del fenomeno mostra che, mentre vi è una minoranza d’investitori che movimenta

i propri investimenti in modo simmetrico rispetto alla performance recente dei fondi, la maggioranza si caratte-rizza per un comportamento asimmetrico che può essere riconducibile all’effetto di disposizione e alla riluttanza a realizzare le perdite. Alcune ricerche basate su questiona-ri contribuiscono a spiegare questo fenomeno: gli inve-stitori sovrastimano la performance storica dei fondi che possiedono, probabilmente per trovare una conferma alla propria volontà di rimanere nel fondo e ridurre il ramma-rico causato da eventuali scelte poco felici. In questo caso, l’ottimismo degli investitori sarebbe riconducibile a una forma di dissonanza cognitiva: gli individui modificano e adattano i propri convincimenti ai risultati delle azioni e delle scelte intraprese, in modo da ridurre il dispiacere.Il terzo aspetto riguarda lo spostamento tra diverse cate-gorie d’investimento. È documentato che tra gli investitori tendono a formarsi opinioni condivise circa la profittabili-tà prospettica delle diverse categorie d’investimento, dan-do luogo al cosiddetto sentiment che influenza significa-tivamente i flussi netti di raccolta tra le diverse categorie di fondi. Vi sono diverse evidenze a favore dell’ipotesi che

50,00%

40,00%

30,00%

20,00%

10,00%

0,00%

-10,00%

-20,00%

-30,00%

-40,00%

Raccolta netta fondi

Rendimenti MSCI World

1984

1985

1986

1987

1988

1989

1990

1991

1992

1993

1994

1995

1996

1997

1998

1999

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

La relazione tra l’andamento dei mercati e la raccolta dei fondi comuni

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il sentiment degli investitori individuali sia legato più alla moda del momento o alla tendenza a seguire il gregge piut-tosto che ai fondamentali dell’economia: sovente gli inve-stitori investono nelle diverse classi d’investimento quan-do i rally positivi stanno finendo, mentre le abbandonano quando il peggio è passato, ottenendo pertanto rendimenti decisamente inferiori rispetto a quelli possibili con politi-che d’investimento meno umorali. È stato dimostrato, ad esempio, che il rendimento medio annuo ottenuto dall’in-vestitore in fondi americano nel periodo 1986-2005 è stato il 3,9%, mentre nello stesso periodo il rendimento dell’in-dice S&P 500 è stato l’11,9%. Anche i dati sul mercato italiano mostrano confermano l’incapacità del sentiment di anticipare i rendimenti di mercato: il grafico seguente mostra visivamente che i flussi di raccolta e l’andamento di mercato sono spesso sfasati.

Una semplice analisi quantitativa basata sulla correlazio-ne chiarisce il punto:

- la correlazione tra la raccolta e l’andamento del merca-to nello stesso anno è + 0,28;

- la correlazione tra la raccolta e l’andamento del merca-to nell’anno precedente è + 0,57;

- la correlazione tra la raccolta e l’andamento del merca-to nell’anno successivo è + 0,02.

Emerge con chiarezza che i flussi di raccolta netta non anti-cipano i rendimenti di mercato ma li seguono, dimostrando che contrastare l’inclinazione a seguire le mode può essere uno dei migliori e meno complicati mezzi per migliorare la performance degli investimenti. Ciò contribuisce ad avva-lorare l’utilità di politiche d’investimento che ricorrono ai

Piani di Accumulo (PAC). Da un punto di vista teorico non si può dimostrare la superiorità di un PAC rispetto agli investi-menti in un’unica soluzione. Tuttavia, se si tengono presenti gli errori e le debolezze che così frequentemente connotano le decisioni degli investitori, il PAC si dimostra una politica d’investimento capace di ridurne l’impatto proteggendo l’in-vestitore dalle conseguenze indesiderate. In primo luogo il PAC abbassa il prezzo medio di carico delle quote sottoscritte che, secondo la teoria del prospetto, è il punto di riferimento rispetto cui sono calcolati gli utili e le perdite e da cui dipende il piacere/dispiacere che si ricava. In termini probabilistici ciò non significa che è più probabile ottenere un rendimen-to più elevato investendo con un PAC invece che in un’unica soluzione: vi possono essere, infatti, sia scenari di mercato più favorevoli alla prima che alla seconda soluzione. È vero, invece, che il PAC impone una regola d’investimento decisa a priori e introduce una disciplina d’investimento da segui-re a prescindere dagli umori del momento. Di conseguenza è come se l’investitore si liberasse dalla responsabilità delle sue decisioni, con l’effetto di ridurre il rammarico. Se i rendi-menti saranno insoddisfacenti o negativi, sarà colpa dell’an-damento avverso del mercato, che tra l’altro colpisce tutti gli investitori, e non dell’investitore che ha deciso di investire tutto il suo patrimonio nel momento sbagliato. Un ultimo aspetto da considerare riguarda la capacità degli investito-ri di valutare appropriatamente le caratteristiche dei fondi, evitando di farsi influenzare da elementi formali piuttosto che sostanziali. Numerose ricerche empiriche mostrano, infatti, che gli investimenti in comunicazione e pubblicità agiscono favorevolmente sulla raccolta anche quando non contengono le informazioni che un investitore razionale dovrebbe richiedere per la scelta consapevole del prodotto. Una ricerca che ha esaminato il caso di fondi azionari ameri-cani che hanno cambiato il proprio nome, scegliendone uno che si rifaceva agli stili di gestione più in voga nel momento, ha mostrato che:

- i fondi più propensi a cambiare nome erano quelli che venivano da un periodo di raccolta netta e performance scadenti;

- il cambio di nome ha favorito in media un incremento del-la raccolta del 20%, indipendemente dal fatto che i fondi abbiano o no cambiato realmente lo stile di gestione.

“ IL SENTITT MENT DEGLILL INVESTITT TORII IRRÈ CONDIZII IZZ ONATO DAIAA RENDIMENTITTPASSATITT E NON ANTITT CIPAI RENDIMENTITT FUTURIRR ”

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Il lavoro contenuto nel capitolo 2 della pubblicazioneè frutto di un impegno comune tra i due autori.I singoli paragrafi sono attribuibili come segue:

par. 2.2.1, 2.2.2, 2.4.1, 2.4.2, 2.4.3, 2.6 Enrico Maria Cervellati;par. 2.3.1, 2.3.2, 2.4.4, 2.5, 2.7 Ugo Rigoni.

UGO RIGONIProfessore Associatodi Economia degli intermediari finanziariUniversità Ca’ Foscari Veneziae Scuola di Studi Avanzati Venezia

ENRICO MARIA CERVELLATIProfessore Aggregato di Finanza AziendaleUniversità degli Studi di Bolognae Luiss Guido Carli di Roma

La presente pubblicazione preparata in occasione del Salone del Risparmio ha carattere puramente informativo e non rappresenta né un’offerta �"��������� ������������������ ���������������� #���������������������������������$��%� ������&�������������'��(��)������*�����+��������,��*����������-��������������8���9�;;�-� �������� �����������������<���#�������� �����������������������������������������)�������������$����������%� ������&������������==�� �������������������>���������������������==�� �����������in una sua parte, senza la preventiva autorizzazione scritta di Brown Editore S.p.a. Qualsiasi informazione, opinione, valutazione e previsione �������������������%� ������&��������������� ?��'��(��)�����������������=������������ ��� ����������� ��������"�����������"��������'����$������$��*���������@����������>���������������������=�����"�������������������������=���D�� ��������� ����������������������� ��������������� ?������==����������������������������������������������$��� ?��'����$�����$%)����HJ���J���*J�@��*�%�K���$'��$%)K��'$�Q��=��� ���T������V$'��%%���)����HJ����W��Q���� ��X$*��'����-�������)Y��HJ���$-����� ?"������ ?����������� �����������������?������=��#������������������D����'����$����*������$���� ?���VJ*)�&�����������D�����������*� W�)Y?������ ������V��� ���J���������������&�����������VJ*)�$���������������������� �����$��� ?�������������������������==�� �����������������������������������&��������� ���������������� ������ ��������� ����������� ��D�����������

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Italian Certificate Awards 2010

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Presidenza del Consigliodei Ministri

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