26 15 rassegna stampa fisac dal 22 giu al 26 giu

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Rassegna stampa settimanale n. 26/2015 ____________________________ Dal 22 giugno 2015 Al 26 giugno 2015 A cura del Dipartimento Comunicazione (C.Hoffmann – V.Vitale)

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Rassegna stampa

settimanale

n. 26/2015 ____________________________

Dal 22 giugno 2015

Al 26 giugno 2015

A cura del Dipartimento Comunicazione (C.Hoffmann – V.Vitale)

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BANCHE

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6 CORRIERECONOMIA LUNEDÌ 22 GIUGNO 2015

Banche & RiassettiIl toto-nomine in Toscana

Finanza

Storie Lo scenario dopo le dimissioni del presidente. In comune i due manager hanno gli studi, una carriera in Unicredit e un maestro: Rondelli

Montepaschi Altro che Palioa Siena si corre la staffettaModiano tra i possibili successori di Profumo: un ritorno alle originiE se invece puntasse a sindaco di Milano s’incrocerebbe con PasseraDI FABIO TAMBURINI

Ex Credito Italiano Pietro Modiano, presidente del gruppo Sea, e, alle spalle, Alessandro Profumo, presidente del Monte dei Paschi di Siena

La volata, secondo leprevisioni, è lunga.Alessandro Profumo,il presidente attuale

del Monte dei Paschi, presen-terà i conti semestrali all’iniziodi agosto. E, poco dopo, uffi-cializzerà le dimissioni uscen-do di scena. Poi verrà convoca-ta l’assemblea degli azionisti,sovrana sulla nomina, che de-ciderà in settembre. In realtàc’è un altro scenario possibile,con una rapida accelerazionedei tempi.

Nel toto candidati, a parte lacandidatura di Claudio Costa-magna, tramontata perché l’exbanchiere di Goldman Sachssta veleggiando verso la presi-denza della Cassa depositi eprestiti (vedere riquadro), spicca il nome di Pietro Mo-diano, presidente della Sea, lasocietà a cui fanno capo gli ae-roporti di Milano Linate e Mal-pensa, in passato al vertice delCredito italiano, dell’IstitutoSan Paolo di Torino e di IntesaSanpaolo.

Il percorso comuneLa staffetta tra Profumo

(classe 1957) e Modiano (clas-se 1951) è quasi un segno deldestino perché i due hannoavuto, fin dai tempi della scuo-la, un percorso parallelo. Siformano come studenti alManzoni di Milano, che con-tende al Berchet e al Parini laleadership dei licei classici cit-tadini, e all’Università Bocco-ni, pur con un corso di studidiverso. Profumo è laureato inEconomia aziendale, Modianoin Economia politica. Per en-trambi, nel mondo bancario, ilpunto di riferimento è stato ilnumero uno del Credito Italia-no, Lucio Rondelli, che ha gui-

dato l’istituto da banca dell’Irifino alla privatizzazione, sem-pre con un tocco di stile e per-fino d’indipendenza per quan-to possibile in una situazioneche vedeva la Mediobanca diEnrico Cuccia scegliersi i ban-chieri alla guida degli istituti acui faceva capo (Banca com-merciale e Banco di Roma, ol-tre al Credito italiano).

Quando Profumo venne as-

sunto, nel 1994, proprio incoincidenza con la privatizza-zione, Modiano aveva già 17anni di esperienza alla corte diRondelli, prima presso l’ufficioStudi economici e pianifica-zione, poi come responsabiledell’ufficio studi. Profumo feceuna carriera fulminante diven-tando in un paio d’anni condi-rettore centrale, direttore ge-nerale, amministratore dele-

gato. Modiano diventò il suoprimo collaboratore. Hanno incomune l’essere banchieri vici-ni all’attuale Partito democra-tico, mogli di convinzioni ana-loghe e temperamenti forti,super bonus e liquidazioni mi-lionarie, nonché le frequenta-zioni della Trilateral, la com-missione di tecnocrati fondatanel 1973 da David Rockefeller.

I rapporti con PisapiaIl passaggio delle consegne,

se l’offerta a Modiano verràdavvero formalizzata, richie-derà che il presidente della Seadecida di chiudere l’esperienzaprofessionale avviata un paiodi anni fa e ancora da portare acompimento. Una scelta nonfacile né scontata sia perché Modiano considera l’incaricoin Sea «un impegno preso conla città», sia per via degli im-pegni presi e dei rapporti per-

sonali consolidati con il sinda-co Giuliano Pisapia (il Comu-ne di Milano controlla oltre il54% del capitale).

Lo stesso Pisapia, tuttavia, èarrivato a fine mandato e haannunciato la scelta di non ri-presentarsi. In più, a compli-care il quadro, vanno registra-te le indiscrezioni sulla possi-bile candidatura a sindacoproprio di Modiano come lea-der del centrosinistra.

Sarebbe divertente perchétra gli sfidanti c’è un altro exbanchiere, Corrado Passera,amministratore delegato di In-tesa Sanpaolo quando Modia-no era direttore generale vica-rio, alla terza tappa importan-te della carriera di banchiere.Nel 2004, infatti, Modiano la-sciò Unicredit e venne nomi-nato direttore generale del-l’Istituto San Paolo di Torino,un passaggio certamente age-volato dalla rete di relazionicon il mondo della sinistra lai-ca, molto forte in CompagniaSan Paolo, la fondazione che controllava la banca.

Modiano è sempre stato inrapporti eccellenti con il verti-ce dell’ex Pci, a partire da Mas-simo D’Alema. Esattamentecome la moglie Barbara Polla-strini, oggi segretaria del Pdalla Camera, nei nuovi equili-bri considerata tra i fedelissi-mi di Gianni Cuperlo.

Negli anni del San Paolo èmaturato uno dei rapportichiave su cui può contare Mo-diano, quello con RomanoProdi, all’epoca presidente delconsiglio, che gli fu presentatonel 2006 da un amico di en-trambi: Alberto Forchielli,consulente, manager e fonda-tore di Mandarin capital part-ners, il più importante fondodi private equity tra l’Europa ela Cina, di cui il San Paolo di-

ventò azionista. Grazie a Prodil’amministratore delegato del-la banca torinese, Alfonso Ioz-zo, venne nominato presidentedella Cassa depositi e prestiti,facendo di Modiano il rappre-sentante di maggior peso delSan Paolo nella fusione con In-tesa, da lui peraltro osteggiata.

Non servì a farne il secondoamministratore delegato afianco di Passera, che riuscì adevitarlo lasciando a Modianola direzione generale, fino aquando se ne liberò definitiva-mente.

Il premio di consolazioneper l’uscita da Intesa Sanpaolofu una doppia presidenza: No-misma (la società di ricerchelegata a Prodi) e la Tassara, ca-pofila delle attività di RomainZaleski (il finanziere legato aGiovanni Bazoli, presidentedel consiglio di sorveglianzad’Intesa Sanpaolo). Più recen-temente, un paio di anni fa, èarrivata la nomina in Sea.

Unica macchia, nel curri-culum, i derivati venduti a pic-cole e medie imprese negli an-ni di Unicredit, che arricchiro-no la banca, ma rovinarono undiscreto numero d’imprendi-tori. Modiano, però, ne è usci-to bene, senza responsabilitàpenali e ammettendo per pri-mo, pubblicamente, che eranostati fatti «errori».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Così in Borsa

Fonte: Borsa Italiana

Ago Ott Dic Feb Apr Giu

8.702

6.962

5.221

3.481

1074

0

L’andamento del titolo Mps

2014 2015

1,829-2,19%

SNAPSHOT

I l nome che aveva riscosso maggior credito, fino a po-che settimane fa, è stato quello di Claudio Costama-

gna, presidente di Salini Impregilo e banchiere cresciu-to alla scuola di Goldman Sachs insieme con un altrocollega che ha fatto strada: l’attuale presidente dellaBanca centrale europea, Mario Draghi. Costamagna,oltre all’incarico al vertice del gruppo di costruzioni, se-gue come battitore libero un numero ristretto ma quali-ficato di dossier a livello internazionale e veniva ritenu-to la persona giusta per sostituire Alessandro Profumoalla presidenza del Monte dei Paschi. Poi la scelta dellapresidenza del consiglio è stata di volerlo nell’incaricodi numero uno della Cassa depositi e prestiti, al posto diFranco Bassanini. Così la candidatura di Costamagnaalla guida di Mps è tramontata, lasciando posto a unaconvergenza piuttosto ampia su Pietro Modiano, l’exbanchiere che attualmente guida Sea, la società a cuifanno capo gli aeroporti di Milano Linate e Malpensa.Ipunti fermi intorno a cui ruota la scelta del candidato al

vertice del gruppo bancario senese sono tre. Prima ditutto un dato anagrafico perché, per statuto, il presi-dente non può avere più di 70 anni (Modiano ne ha 64).Poi è condizione necessaria che accetti di avere buonirapporti con Fabrizio Viola, l’amministratore delegato diMps. L’accoppiata con Profumo ha funzionato e la qua-lità del lavoro fatto è riconosciuta da tutti i maggioriazionisti. Di qui la sua conferma e il vincolo di ricono-scerne il ruolo che verrà posto al nuovo presidente. Sucui, in terzo luogo, pende una spada di Damocle: l’opi-nione diffusa è che Mps dovrà andare a una fusione, non avendo i numeri per farcela da sola ad uscire dallacrisi. Operazione che rimetterà in gioco gli incarichi. Conla possibilità che la nomina alla presidenza della bancasenese sia temporanea. Non è detto, perciò, che a Mo-diano convenga lasciare l’incarico in Sea dove ha pianiambiziosi. A partire dalla quotazione in Borsa.

F. TA.© RIPRODUZIONE RISERVATA

L’intervento

Lasciate che i fondi vengano (finalmente) a noiIl private equity globale ha 280 miliardi da investire. Piacciono le small e mid cap. Una specialità italiana...

La crisi finanziaria glo-bale ha creato uno de-gli scenari più impe-

gnativi degli ultimi centoanni, modificando profon-damente il settore del priva-te equity.

L a n u ova a t t iv i t à d ibuyout è a livelli storica-mente bassi e rappresentameno del 5% del mercatoglobale del merger and ac-quisition. I fondi, inoltre,hanno dovuto far fronte albasso tasso di sviluppo eu-ropeo, attraverso investi-menti in asset orientati allacrescita nel lungo periodo ealla ricerca di partecipazioniin società con un’esposizio-ne e una strategia di espan-sione in ambito internazio-nale.

Ora che le economie eu-ropee stanno per tornare ailivelli pre-crisi, i buyoutstanno riguadagnando la ri-

La più grande sfida per ilprivate equity, oggi, è la pos-sibilità di investire il capita-le. Questa situazione è do-vuta alla mancanza di gran-di operazioni sul mercatoprimario e soprattutto dallefonti di capitale alternativerappresentate da mercatiazionari, imprese e nuovi compratori, alcuni dei quali

con un costo del capitale si-gnificativamente più basso euna visione differente sullastrategia e sull’espansioneinternazionale.

A nostro avviso oggi inEuropa ci sono opportunitàsignificative per la rinascitadei leveraged buyout, stimo-lata dal ritorno alla crescitaeconomica, in particolare

nei paesi dell’area meridio-nale, compresa l’Italia.

Allo stesso tempo, il mag-giore livello di operazionistrategiche di m&a è desti-nato a guidare le fusionicross-border delle grandimultinazionali che, a lorovolta, creano opportunitàper il private equity. Infine,le nuove tecnologie rappre-sentano un’importante op-portunità di investimentoper i prossimi anni, dal mo-mento che l’uscita dellestart-up dalla fase embrio-nale richiede capitale per lacrescita.

Anche se la liquidità suimercati del credito è attual-mente abbondante e a buonmercato, vi è un conflitto trala necessità di investire e, al-lo stesso tempo, di non pa-gare più del dovuto. Se daun lato l’impiego efficientedella liquidità è più di una

sfida, dall’altro lo scenariosempre più competitivo peri buyout sta guidando alrialzo i prezzi.

OrizzontiD’ora in avanti, una ripre-

sa dell’attività di buyout ri-chiederà un sostanziale mi-glioramento delle aspettati-ve economiche future o unacorrezione delle valutazionidel mercato azionario. Nelfrattempo, le fasi di analisi,strutturazione e perfeziona-mento delle operazioni sa-ranno le leve fondamentalidelle performance. In parti-colare, le società di private

equity europee hanno biso-gno di concentrarsi su setto-ri specifici o in operazioni susmall e mid cap.

In linea con la necessità dispecializzarsi, una recenteanalisi mostra che i settorifarmaceutico e sanitario(49%), i beni di consumo(48%), la tecnologia e i me-dia (46%) sono i più attivi intermini di operazioni. Allostesso tempo, la stragrandemaggioranza del campione(86%) si aspetta che gli inve-stimenti saranno destinati alsegmento small e mid-capdel mercato. In realtà la co-noscenza del settore, la sele-zione del target, le capacitàdi execution dell’operazionee di muoversi in anticipo sa-ranno i fattori chiave di suc-cesso per ottenere rendi-menti in linea con le aspetta-tive degli investitori. La con-correnza è elevata, ma leopportunità di investimentonon mancano.

MASSIMO DELLA RAGIONE(Co-head

di Goldman Sachs Italia)STEFANO GATTI

(Università Bocconi)© RIPRODUZIONE RISERVATA

Università BocconiStefano Gatti

Ma all’orizzonte la fusione già si intravvede

Goldman SachsMassimo della Ragione

balta, con un 58% di investi-tori istituzionali globali diprivate equity che sta piani-ficando nel 2015 operazioniin area euro.

RecordOggi c’è abbondanza di

capitale: il debito e i mercatiazionari sono molto liquidi,gli spread sono ai minimi ele valutazioni azionarie sonosuperiori ai livelli pre-crisi. Iprezzi delle azioni europeesono saliti dell’85,3% dal2008 e il price earning (rap-porto prezzo utili) in sei an-ni è passato da 10,9 volte a21,2 volte.

Nel corso degli ultimi treanni i private equity hannoraccolto nuove risorse peroltre 280 miliardi di dollari alivello globale, un ammonta-re mai registrato prima innessun triennio nei trent’an-ni di storia del settore.

Forte ritorno dei buy out. Nel mirino media, tecnologia, beni di consumo

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CORRIERECONOMIA LUNEDÌ 22 GIUGNO 2015 7

M eno di un anno fa laBanca Popolare di Vi-

cenza aprì il libro soci con unaarticolata operazione di au-mento di capitale che, in vistadell’entrata in vigore del-l’Unione bancaria europea (4novembre 2014) e delle an-nunciate verifiche sui requisitipatrimoniali degli istituti dicredito, avrebbe portato nellecasse della banca presiedutada Gianni Zonin (nella foto),circa un miliardo di finanzafresca e un buon numero dinuovi soci.

L’operazione era divisa indue parti, una riservata ai vec-chi soci per un importo com-plessivo di 607,8 milioni dieuro (9,7 milioni di azioni), acui era legata anche una partedi prestito obbligazionario euna dedicata ai newcomers,gli aspiranti soci della popola-re berica, a cui veniva riservatauna tranche di 300 milioni.Addirittura, per facilitare l’am-pliamento della base aziona-ria, la Popolare di Vicenza pro-pose finanziamenti a tassiestremamente contenuti (at-torno all’1 per cento). Entram-be le operazioni, quella riser-vata ai vecchi soci e quella de-dicata ai nuovi soci, raggiun-sero l’obiettivo e la Vicenza l’8agosto 2014 chiuse i forziericon una rinnovata liquidità acui si aggiunse successiva-mente quella portata dai nuo-vi soci (le operazioni avevano

diverso arco temporale).Ma in un anno, si sa, molte

cose possono cambiare. A Vi-cenza, ad esempio, è cambiatonon solo l’amministratore de-legato, ma anche il sentimentdi molti piccoli azionisti, vecchie nuovi. È successo infatti chequelle azioni sottoscritte a62,5 euro l’una (le banchepopolari non quotate emetto-no azioni in aumento di capi-tale senza considerare scontoalcuno, contro una media trale quotate che va dal 10 al 40per cento) sono state nelloscorso febbraio «svalutate» dicirca il 23 per cento e oggivalgono 48 euro.

Così è montato il malumoree diversi piccoli soci stannomeditando azioni di rivalsa neiconfronti dell’istituto. La sva-lutazione, che secondo alcuniè ancora insufficiente per alli-neare il valore della banca aquello dei concorrenti, ha inun attimo annullato anche ilpremio del 25% riservato aquei soci che avrebbero man-tenuto la titolarità delle azioniper tre anni, ottenendo al ter-mine del periodo un nuovo ti-tolo ogni quattro posseduti.

Alcuni soci lamentano ilcambio delle prospettive e c’èchi ragiona sul chiudere lapartita in anticipo: incassare laperdita subito, rinunciando aititoli azionari e non dandocorso al rimborso del finan-ziamento ottenuto per l’acqui-sto dei titoli. Un atteggiamen-to che potrebbe aprire, a Vi-cenza, un vuoto largo meno di300 milioni, ma ugualmenteda non sottovalutare.

S. RIG.© RIPRODUZIONE RISERVATA

Banche & RiassettiI protagonisti del consolidamento

Finanza

1 PopVicenza

Quei piccoli sociche pensano di cambiare idea

Imag

oeco

nom

ica

Strategie Sileoni (Fabi): «Non c’è spazio per ulteriori manovre». Il nodo di chi condurrà le trattative in casa dell’Abi

Banche Non bastano (altri) 20 mila esuberiCon quelle previste nei piani industriali si superano le 46 mila uscite. E poi ci sarebbero le fusioni...DI STEFANO RIGHI

Nei numerosi dossierche riguardano laprossima mano di ri-siko bancario, ovvero

il processo di consolidamentodel settore che dovrebbe pren-dere il via nella seconda metàdell’anno, interessando nonsolo le banche popolari dimaggior dimensione, c’è unconvitato di pietra con il qualetutte le parti sono chiamate afare i conti: il numero dei di-pendenti coinvolti.

CambiamentiIl lavoro bancario ha subito

negli ultimi anni profondicambiamenti, indotti in specialmodo dalla digitalizzazionedel sistema, ma la categoriaitaliana rimane la più sindaca-lizzata d’Europa. Nonostantequesto – e in forza soprattuttodel finanziamento del Fondoesuberi da parte delle aziendedi credito, quindi senza nullatoccare delle risorse pubbliche– nei cinque anni che sono tra-scorsi tra il 2009 e il 2014 han-no lasciato il lavoro in banca26.754 dipendenti. Il totale èinfatti passato da 330.458 a303.704, con punte di signifi-cativi tagli in Lombardia (da82.205 a 75.186 = -7.037), To-scana (da 28.486 a 24.578=-3.908) e Piemonte (da31.248 a 27.879 =-3.405). Matutto questo è alle spalle: un ci-

clo concluso. Davanti ci sonoinvece i piani industriali cheporteranno i 14 maggiori isti-tuti bancari italiani da qui al2018 e in alcuni casi al 2020 eche prevedono – a questo mo-mento – ulteriori eccedenzeper un totale di 19.700 lavora-tori. Una cifra che porterebbeil totale, nel decennio, a quota46.454 posti di lavoro in menoe al superamento della sogliapsicologica dei 300 mila lavo-ratori impiegati nel settore.

Nuovi parametriEppure tutto ciò non baste-

rebbe, perché tutte queste ci-fre sono al netto dei processiaggregativi allo studio, chebasano il loro appeal propriosulla capacità di ridurre inmaniera significativa i costifissi, di cui i dipendenti sonouna delle voci più consistenti.«Dal nostro punto di vista –dice Lando Maria Sileoni, lea-der del sindacato Fabi, la piùnumerosa organizzazione dei

razione di ostilità». Sileoni ar-ma le truppe, anche perchédopo l’estate il confronto siannuncia particolarmente se-vero e denso di incognite. Unadi questa riguarda la contro-parte. Alessandro Profumonon dovrebbe più rappresen-tare l’Abi, ovvero le banche,nelle trattative. Le regole deldopo Mussari prevedono ladecadenza immediata dagliincarichi associativi in presen-za delle dimissioni in aziendae Profumo ha annunciato chelascerà la presidenza del Mon-te dei Paschi nelprossimo ago-sto. Chi lo sosti-tuirà alla guidadel Comitato af-far i s indacal idell’Abi? Il can-didato più accre-ditato, al mo-mento, è ElianoOmar Lodesani,chief operatingofficer di Intesa Sanpaolo dal1° giugno 2014, quando sosti-tuì Francesco Micheli, che asua volta era a capo del Cas dell’Abi.

La scelta di Lodesani im-patterebbe anche sui verticidell’Associazione bancaria. Seil presidente Antonio Patuelli,al netto dei regolamenti, appa-re disponibile a una riconfer-ma, si sta comunque forman-do una rosa di alternative, rap-presentate da Gian Maria

Gros-Pietro di Intesa (su que-sto impatterebbe la nomina diLodesani), Luigi Abete (Bnl-BnpParibas) e Roberto Nica-stro (Unicredit). Chi farà iconti sugli esuberi?

Partita «on line»Un accordo, sulla base delle

procedure note, non appare almomento possibile tanto piùche su tutto il mondo dei lavo-ratori del credito incombe l’in-cognita della banca online. Fi-nora, pochi si sono mossi suquesto sentiero.

Secondo leforze sinda-cali il barile ègià stato ra-schiato. Re-sterebbero,secondo alcu-ni, le piccole emedie ban-c h e d a l l equali talunisuppongono

di poter trarre efficientamentinell’ordine delle 4-5 mila posi-zioni di lavoro. Sarà lì che siabbatterà la tagliola della ra-zionalizzazione? Di sicuro an-che le piccole e piccolissimeBcc, le banche di credito coo-perativo, non sono escluse daquesti processi e una parte dei35 mila dipendenti del settorepotrebbe essere prossima-mente messa in discussione.

@Righist© RIPRODUZIONE RISERVATA

Regioni Posti di lavoro

519153809408130

1.0101.361

4497.0371.637

Abruzzo

Basilicata

Calabria

Campania

Emilia Romagna

Friuli Venezia Giulia

Lazio

Liguria

Lombardia

Marche

Regioni Posti di lavoro

373.4051.429

5701.5953.908

649386

621.200

Molise

Piemonte

Puglia

Sardegna

Sicilia

Toscana

Trentino Alto Adige

Umbria

Valle D’Aosta

Veneto

La differenza

Posti di lavoro persi dal 2009 al 2014 nelle banche italiane, per regione

2009

330.458

303.704

Totaledipendenti

2014

aSa

SicS c

oTTo

TreTTre

UmmUm

-26.754Differenza

Authority Lo stop alla vendita di Bim

I guardiani della Bcefanno chiarezza sui partnerdi Veneto Banca

Se a qualcuno, magari di-stratto dalle retoriche sulterritorio, ancora non

fosse chiaro il grado di atten-zione che la Bce, anche per iltramite della Banca d’Italia,dedica agli istituti protagonistidell’Unione bancaria conti-nentale, il caso di Veneto Ban-ca della scorsa settimana puòrisultare utile.

È successo che gli organi-smi di Francoforte hanno chie-sto chiarimenti sulla vicendadella cessione di una quota pa-ri al 51,4 per cento di Bim, la

quotata Banca intermobiliare.È il primo caso di interventodiretto della Bce in materia dioperazioni bancarie in Italia,che trova legittimazione nel re-golamento 486/2014 e, proba-bilmente, non sarà l’ultimo…La cessione di Bim si è resa ne-cessaria per Veneto Banca perporre rimedio alle esigenze dibilancio. Ad acquisire la quotaveneta della banca torinese –storicamente il salotto buonodella finanza sotto la Mole, re-gno incontrastato della fami-glia Segre e molto vicina a Car-lo De Benedetti – una cordatadi cui fan parte proprio i Segre,De Benedetti, Luca Cordero diMontezemolo, la famiglia Gio-

vannone e Duet Bim, un fondodi private equity riconducibileall’Irlanda. A coordinare que-sta squadra di prim' ordine èPietro D’Aguì, già timonieredella Bim prima della cessionealla Veneto Banca targata Vin-cenzo Consoli e Fabio Trinca,la coppia di vertice che ha gui-dato l’istituto fino all’aprile 2014. Ebbene, cos’ha da dire laBce sull’operazione? La Bce hachiesto un supplemento infor-mativo per dare il via libera al-l’operazione perché ritiene visia stato il mancato rispetto deirequisiti di onorabilità previstidalla direttiva Crd IV. L’opera-zione insomma è stata messain forse – con ricadute sui contidel venditore – per una vicen-da di onorabilità che sembrainteressare proprio D’Aguì,che è stato amministratore de-legato di Bim dal 1998 al 2013(quindi anche per il primo bi-ennio della proprietà VenetoBanca). Sotto la lente sono tor-nate alcune ormai lontane vi-cende che riguardavano lacontrollata Ipi e, in particolare,i rapporti con l’immobiliaristaDanilo Coppola che all’epocaebbero D’Aguì, GianclaudioGiovannone e Massimo Segre.Tanto è bastato alla Bce per ti-rare un colpo al freno. Le con-troproposte – sembra che l’au-torità europea abbia chiestoun passo indietro nella gover-nance e una minor esposizio-ne nel capitale – sono già statepresentate, ora si attende la ri-sposta. Ma il segnale è chiaro,per tutti.

S. RIG.© RIPRODUZIONE RISERVATA

51,4%La quota di Bim messa in vendita da Veneto Banca. Controvalore: 289 milioni

lavoratori bancari in Italia –non ci sono spazi per ulterioriesuberi. La legge Fornero haristretto i sentieri praticabili eal momento non ci sono stru-menti per pensare a riduzionidella popolazione bancaria,oltre alle operazioni già an-nunciate, concordate e finan-ziate dal fondo esuberi. E segli istituti di credito pensano sia praticabile la via dei pre-pensionamenti obbligatori,questo equivarrà a una dichia-

19.700USCITEIndicate da qui al 2020 dai piani industriali delle prime 14 banche italiane

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CORRIERECONOMIA LUNEDÌ 22 GIUGNO 2015 7

M eno di un anno fa laBanca Popolare di Vi-

cenza aprì il libro soci con unaarticolata operazione di au-mento di capitale che, in vistadell’entrata in vigore del-l’Unione bancaria europea (4novembre 2014) e delle an-nunciate verifiche sui requisitipatrimoniali degli istituti dicredito, avrebbe portato nellecasse della banca presiedutada Gianni Zonin (nella foto),circa un miliardo di finanzafresca e un buon numero dinuovi soci.

L’operazione era divisa indue parti, una riservata ai vec-chi soci per un importo com-plessivo di 607,8 milioni dieuro (9,7 milioni di azioni), acui era legata anche una partedi prestito obbligazionario euna dedicata ai newcomers,gli aspiranti soci della popola-re berica, a cui veniva riservatauna tranche di 300 milioni.Addirittura, per facilitare l’am-pliamento della base aziona-ria, la Popolare di Vicenza pro-pose finanziamenti a tassiestremamente contenuti (at-torno all’1 per cento). Entram-be le operazioni, quella riser-vata ai vecchi soci e quella de-dicata ai nuovi soci, raggiun-sero l’obiettivo e la Vicenza l’8agosto 2014 chiuse i forziericon una rinnovata liquidità acui si aggiunse successiva-mente quella portata dai nuo-vi soci (le operazioni avevano

diverso arco temporale).Ma in un anno, si sa, molte

cose possono cambiare. A Vi-cenza, ad esempio, è cambiatonon solo l’amministratore de-legato, ma anche il sentimentdi molti piccoli azionisti, vecchie nuovi. È successo infatti chequelle azioni sottoscritte a62,5 euro l’una (le banchepopolari non quotate emetto-no azioni in aumento di capi-tale senza considerare scontoalcuno, contro una media trale quotate che va dal 10 al 40per cento) sono state nelloscorso febbraio «svalutate» dicirca il 23 per cento e oggivalgono 48 euro.

Così è montato il malumoree diversi piccoli soci stannomeditando azioni di rivalsa neiconfronti dell’istituto. La sva-lutazione, che secondo alcuniè ancora insufficiente per alli-neare il valore della banca aquello dei concorrenti, ha inun attimo annullato anche ilpremio del 25% riservato aquei soci che avrebbero man-tenuto la titolarità delle azioniper tre anni, ottenendo al ter-mine del periodo un nuovo ti-tolo ogni quattro posseduti.

Alcuni soci lamentano ilcambio delle prospettive e c’èchi ragiona sul chiudere lapartita in anticipo: incassare laperdita subito, rinunciando aititoli azionari e non dandocorso al rimborso del finan-ziamento ottenuto per l’acqui-sto dei titoli. Un atteggiamen-to che potrebbe aprire, a Vi-cenza, un vuoto largo meno di300 milioni, ma ugualmenteda non sottovalutare.

S. RIG.© RIPRODUZIONE RISERVATA

Banche & RiassettiI protagonisti del consolidamento

Finanza

1 PopVicenza

Quei piccoli sociche pensano di cambiare idea

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Strategie Sileoni (Fabi): «Non c’è spazio per ulteriori manovre». Il nodo di chi condurrà le trattative in casa dell’Abi

Banche Non bastano (altri) 20 mila esuberiCon quelle previste nei piani industriali si superano le 46 mila uscite. E poi ci sarebbero le fusioni...DI STEFANO RIGHI

Nei numerosi dossierche riguardano laprossima mano di ri-siko bancario, ovvero

il processo di consolidamentodel settore che dovrebbe pren-dere il via nella seconda metàdell’anno, interessando nonsolo le banche popolari dimaggior dimensione, c’è unconvitato di pietra con il qualetutte le parti sono chiamate afare i conti: il numero dei di-pendenti coinvolti.

CambiamentiIl lavoro bancario ha subito

negli ultimi anni profondicambiamenti, indotti in specialmodo dalla digitalizzazionedel sistema, ma la categoriaitaliana rimane la più sindaca-lizzata d’Europa. Nonostantequesto – e in forza soprattuttodel finanziamento del Fondoesuberi da parte delle aziendedi credito, quindi senza nullatoccare delle risorse pubbliche– nei cinque anni che sono tra-scorsi tra il 2009 e il 2014 han-no lasciato il lavoro in banca26.754 dipendenti. Il totale èinfatti passato da 330.458 a303.704, con punte di signifi-cativi tagli in Lombardia (da82.205 a 75.186 = -7.037), To-scana (da 28.486 a 24.578=-3.908) e Piemonte (da31.248 a 27.879 =-3.405). Matutto questo è alle spalle: un ci-

clo concluso. Davanti ci sonoinvece i piani industriali cheporteranno i 14 maggiori isti-tuti bancari italiani da qui al2018 e in alcuni casi al 2020 eche prevedono – a questo mo-mento – ulteriori eccedenzeper un totale di 19.700 lavora-tori. Una cifra che porterebbeil totale, nel decennio, a quota46.454 posti di lavoro in menoe al superamento della sogliapsicologica dei 300 mila lavo-ratori impiegati nel settore.

Nuovi parametriEppure tutto ciò non baste-

rebbe, perché tutte queste ci-fre sono al netto dei processiaggregativi allo studio, chebasano il loro appeal propriosulla capacità di ridurre inmaniera significativa i costifissi, di cui i dipendenti sonouna delle voci più consistenti.«Dal nostro punto di vista –dice Lando Maria Sileoni, lea-der del sindacato Fabi, la piùnumerosa organizzazione dei

razione di ostilità». Sileoni ar-ma le truppe, anche perchédopo l’estate il confronto siannuncia particolarmente se-vero e denso di incognite. Unadi questa riguarda la contro-parte. Alessandro Profumonon dovrebbe più rappresen-tare l’Abi, ovvero le banche,nelle trattative. Le regole deldopo Mussari prevedono ladecadenza immediata dagliincarichi associativi in presen-za delle dimissioni in aziendae Profumo ha annunciato chelascerà la presidenza del Mon-te dei Paschi nelprossimo ago-sto. Chi lo sosti-tuirà alla guidadel Comitato af-far i s indacal idell’Abi? Il can-didato più accre-ditato, al mo-mento, è ElianoOmar Lodesani,chief operatingofficer di Intesa Sanpaolo dal1° giugno 2014, quando sosti-tuì Francesco Micheli, che asua volta era a capo del Cas dell’Abi.

La scelta di Lodesani im-patterebbe anche sui verticidell’Associazione bancaria. Seil presidente Antonio Patuelli,al netto dei regolamenti, appa-re disponibile a una riconfer-ma, si sta comunque forman-do una rosa di alternative, rap-presentate da Gian Maria

Gros-Pietro di Intesa (su que-sto impatterebbe la nomina diLodesani), Luigi Abete (Bnl-BnpParibas) e Roberto Nica-stro (Unicredit). Chi farà iconti sugli esuberi?

Partita «on line»Un accordo, sulla base delle

procedure note, non appare almomento possibile tanto piùche su tutto il mondo dei lavo-ratori del credito incombe l’in-cognita della banca online. Fi-nora, pochi si sono mossi suquesto sentiero.

Secondo leforze sinda-cali il barile ègià stato ra-schiato. Re-sterebbero,secondo alcu-ni, le piccole emedie ban-c h e d a l l equali talunisuppongono

di poter trarre efficientamentinell’ordine delle 4-5 mila posi-zioni di lavoro. Sarà lì che siabbatterà la tagliola della ra-zionalizzazione? Di sicuro an-che le piccole e piccolissimeBcc, le banche di credito coo-perativo, non sono escluse daquesti processi e una parte dei35 mila dipendenti del settorepotrebbe essere prossima-mente messa in discussione.

@Righist© RIPRODUZIONE RISERVATA

Regioni Posti di lavoro

519153809408130

1.0101.361

4497.0371.637

Abruzzo

Basilicata

Calabria

Campania

Emilia Romagna

Friuli Venezia Giulia

Lazio

Liguria

Lombardia

Marche

Regioni Posti di lavoro

373.4051.429

5701.5953.908

649386

621.200

Molise

Piemonte

Puglia

Sardegna

Sicilia

Toscana

Trentino Alto Adige

Umbria

Valle D’Aosta

Veneto

La differenza

Posti di lavoro persi dal 2009 al 2014 nelle banche italiane, per regione

2009

330.458

303.704

Totaledipendenti

2014

aSa

SicS c

oTTo

TreTTre

UmmUm

-26.754Differenza

Authority Lo stop alla vendita di Bim

I guardiani della Bcefanno chiarezza sui partnerdi Veneto Banca

Se a qualcuno, magari di-stratto dalle retoriche sulterritorio, ancora non

fosse chiaro il grado di atten-zione che la Bce, anche per iltramite della Banca d’Italia,dedica agli istituti protagonistidell’Unione bancaria conti-nentale, il caso di Veneto Ban-ca della scorsa settimana puòrisultare utile.

È successo che gli organi-smi di Francoforte hanno chie-sto chiarimenti sulla vicendadella cessione di una quota pa-ri al 51,4 per cento di Bim, la

quotata Banca intermobiliare.È il primo caso di interventodiretto della Bce in materia dioperazioni bancarie in Italia,che trova legittimazione nel re-golamento 486/2014 e, proba-bilmente, non sarà l’ultimo…La cessione di Bim si è resa ne-cessaria per Veneto Banca perporre rimedio alle esigenze dibilancio. Ad acquisire la quotaveneta della banca torinese –storicamente il salotto buonodella finanza sotto la Mole, re-gno incontrastato della fami-glia Segre e molto vicina a Car-lo De Benedetti – una cordatadi cui fan parte proprio i Segre,De Benedetti, Luca Cordero diMontezemolo, la famiglia Gio-

vannone e Duet Bim, un fondodi private equity riconducibileall’Irlanda. A coordinare que-sta squadra di prim' ordine èPietro D’Aguì, già timonieredella Bim prima della cessionealla Veneto Banca targata Vin-cenzo Consoli e Fabio Trinca,la coppia di vertice che ha gui-dato l’istituto fino all’aprile 2014. Ebbene, cos’ha da dire laBce sull’operazione? La Bce hachiesto un supplemento infor-mativo per dare il via libera al-l’operazione perché ritiene visia stato il mancato rispetto deirequisiti di onorabilità previstidalla direttiva Crd IV. L’opera-zione insomma è stata messain forse – con ricadute sui contidel venditore – per una vicen-da di onorabilità che sembrainteressare proprio D’Aguì,che è stato amministratore de-legato di Bim dal 1998 al 2013(quindi anche per il primo bi-ennio della proprietà VenetoBanca). Sotto la lente sono tor-nate alcune ormai lontane vi-cende che riguardavano lacontrollata Ipi e, in particolare,i rapporti con l’immobiliaristaDanilo Coppola che all’epocaebbero D’Aguì, GianclaudioGiovannone e Massimo Segre.Tanto è bastato alla Bce per ti-rare un colpo al freno. Le con-troproposte – sembra che l’au-torità europea abbia chiestoun passo indietro nella gover-nance e una minor esposizio-ne nel capitale – sono già statepresentate, ora si attende la ri-sposta. Ma il segnale è chiaro,per tutti.

S. RIG.© RIPRODUZIONE RISERVATA

51,4%La quota di Bim messa in vendita da Veneto Banca. Controvalore: 289 milioni

lavoratori bancari in Italia –non ci sono spazi per ulterioriesuberi. La legge Fornero haristretto i sentieri praticabili eal momento non ci sono stru-menti per pensare a riduzionidella popolazione bancaria,oltre alle operazioni già an-nunciate, concordate e finan-ziate dal fondo esuberi. E segli istituti di credito pensano sia praticabile la via dei pre-pensionamenti obbligatori,questo equivarrà a una dichia-

19.700USCITEIndicate da qui al 2020 dai piani industriali delle prime 14 banche italiane

Page 6: 26 15 rassegna stampa fisac dal 22 giu al 26 giu

CORRIERECONOMIA LUNEDÌ 22 GIUGNO 2015 7

M eno di un anno fa laBanca Popolare di Vi-

cenza aprì il libro soci con unaarticolata operazione di au-mento di capitale che, in vistadell’entrata in vigore del-l’Unione bancaria europea (4novembre 2014) e delle an-nunciate verifiche sui requisitipatrimoniali degli istituti dicredito, avrebbe portato nellecasse della banca presiedutada Gianni Zonin (nella foto),circa un miliardo di finanzafresca e un buon numero dinuovi soci.

L’operazione era divisa indue parti, una riservata ai vec-chi soci per un importo com-plessivo di 607,8 milioni dieuro (9,7 milioni di azioni), acui era legata anche una partedi prestito obbligazionario euna dedicata ai newcomers,gli aspiranti soci della popola-re berica, a cui veniva riservatauna tranche di 300 milioni.Addirittura, per facilitare l’am-pliamento della base aziona-ria, la Popolare di Vicenza pro-pose finanziamenti a tassiestremamente contenuti (at-torno all’1 per cento). Entram-be le operazioni, quella riser-vata ai vecchi soci e quella de-dicata ai nuovi soci, raggiun-sero l’obiettivo e la Vicenza l’8agosto 2014 chiuse i forziericon una rinnovata liquidità acui si aggiunse successiva-mente quella portata dai nuo-vi soci (le operazioni avevano

diverso arco temporale).Ma in un anno, si sa, molte

cose possono cambiare. A Vi-cenza, ad esempio, è cambiatonon solo l’amministratore de-legato, ma anche il sentimentdi molti piccoli azionisti, vecchie nuovi. È successo infatti chequelle azioni sottoscritte a62,5 euro l’una (le banchepopolari non quotate emetto-no azioni in aumento di capi-tale senza considerare scontoalcuno, contro una media trale quotate che va dal 10 al 40per cento) sono state nelloscorso febbraio «svalutate» dicirca il 23 per cento e oggivalgono 48 euro.

Così è montato il malumoree diversi piccoli soci stannomeditando azioni di rivalsa neiconfronti dell’istituto. La sva-lutazione, che secondo alcuniè ancora insufficiente per alli-neare il valore della banca aquello dei concorrenti, ha inun attimo annullato anche ilpremio del 25% riservato aquei soci che avrebbero man-tenuto la titolarità delle azioniper tre anni, ottenendo al ter-mine del periodo un nuovo ti-tolo ogni quattro posseduti.

Alcuni soci lamentano ilcambio delle prospettive e c’èchi ragiona sul chiudere lapartita in anticipo: incassare laperdita subito, rinunciando aititoli azionari e non dandocorso al rimborso del finan-ziamento ottenuto per l’acqui-sto dei titoli. Un atteggiamen-to che potrebbe aprire, a Vi-cenza, un vuoto largo meno di300 milioni, ma ugualmenteda non sottovalutare.

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Banche & RiassettiI protagonisti del consolidamento

Finanza

1 PopVicenza

Quei piccoli sociche pensano di cambiare idea

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Strategie Sileoni (Fabi): «Non c’è spazio per ulteriori manovre». Il nodo di chi condurrà le trattative in casa dell’Abi

Banche Non bastano (altri) 20 mila esuberiCon quelle previste nei piani industriali si superano le 46 mila uscite. E poi ci sarebbero le fusioni...DI STEFANO RIGHI

Nei numerosi dossierche riguardano laprossima mano di ri-siko bancario, ovvero

il processo di consolidamentodel settore che dovrebbe pren-dere il via nella seconda metàdell’anno, interessando nonsolo le banche popolari dimaggior dimensione, c’è unconvitato di pietra con il qualetutte le parti sono chiamate afare i conti: il numero dei di-pendenti coinvolti.

CambiamentiIl lavoro bancario ha subito

negli ultimi anni profondicambiamenti, indotti in specialmodo dalla digitalizzazionedel sistema, ma la categoriaitaliana rimane la più sindaca-lizzata d’Europa. Nonostantequesto – e in forza soprattuttodel finanziamento del Fondoesuberi da parte delle aziendedi credito, quindi senza nullatoccare delle risorse pubbliche– nei cinque anni che sono tra-scorsi tra il 2009 e il 2014 han-no lasciato il lavoro in banca26.754 dipendenti. Il totale èinfatti passato da 330.458 a303.704, con punte di signifi-cativi tagli in Lombardia (da82.205 a 75.186 = -7.037), To-scana (da 28.486 a 24.578=-3.908) e Piemonte (da31.248 a 27.879 =-3.405). Matutto questo è alle spalle: un ci-

clo concluso. Davanti ci sonoinvece i piani industriali cheporteranno i 14 maggiori isti-tuti bancari italiani da qui al2018 e in alcuni casi al 2020 eche prevedono – a questo mo-mento – ulteriori eccedenzeper un totale di 19.700 lavora-tori. Una cifra che porterebbeil totale, nel decennio, a quota46.454 posti di lavoro in menoe al superamento della sogliapsicologica dei 300 mila lavo-ratori impiegati nel settore.

Nuovi parametriEppure tutto ciò non baste-

rebbe, perché tutte queste ci-fre sono al netto dei processiaggregativi allo studio, chebasano il loro appeal propriosulla capacità di ridurre inmaniera significativa i costifissi, di cui i dipendenti sonouna delle voci più consistenti.«Dal nostro punto di vista –dice Lando Maria Sileoni, lea-der del sindacato Fabi, la piùnumerosa organizzazione dei

razione di ostilità». Sileoni ar-ma le truppe, anche perchédopo l’estate il confronto siannuncia particolarmente se-vero e denso di incognite. Unadi questa riguarda la contro-parte. Alessandro Profumonon dovrebbe più rappresen-tare l’Abi, ovvero le banche,nelle trattative. Le regole deldopo Mussari prevedono ladecadenza immediata dagliincarichi associativi in presen-za delle dimissioni in aziendae Profumo ha annunciato chelascerà la presidenza del Mon-te dei Paschi nelprossimo ago-sto. Chi lo sosti-tuirà alla guidadel Comitato af-far i s indacal idell’Abi? Il can-didato più accre-ditato, al mo-mento, è ElianoOmar Lodesani,chief operatingofficer di Intesa Sanpaolo dal1° giugno 2014, quando sosti-tuì Francesco Micheli, che asua volta era a capo del Cas dell’Abi.

La scelta di Lodesani im-patterebbe anche sui verticidell’Associazione bancaria. Seil presidente Antonio Patuelli,al netto dei regolamenti, appa-re disponibile a una riconfer-ma, si sta comunque forman-do una rosa di alternative, rap-presentate da Gian Maria

Gros-Pietro di Intesa (su que-sto impatterebbe la nomina diLodesani), Luigi Abete (Bnl-BnpParibas) e Roberto Nica-stro (Unicredit). Chi farà iconti sugli esuberi?

Partita «on line»Un accordo, sulla base delle

procedure note, non appare almomento possibile tanto piùche su tutto il mondo dei lavo-ratori del credito incombe l’in-cognita della banca online. Fi-nora, pochi si sono mossi suquesto sentiero.

Secondo leforze sinda-cali il barile ègià stato ra-schiato. Re-sterebbero,secondo alcu-ni, le piccole emedie ban-c h e d a l l equali talunisuppongono

di poter trarre efficientamentinell’ordine delle 4-5 mila posi-zioni di lavoro. Sarà lì che siabbatterà la tagliola della ra-zionalizzazione? Di sicuro an-che le piccole e piccolissimeBcc, le banche di credito coo-perativo, non sono escluse daquesti processi e una parte dei35 mila dipendenti del settorepotrebbe essere prossima-mente messa in discussione.

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Regioni Posti di lavoro

519153809408130

1.0101.361

4497.0371.637

Abruzzo

Basilicata

Calabria

Campania

Emilia Romagna

Friuli Venezia Giulia

Lazio

Liguria

Lombardia

Marche

Regioni Posti di lavoro

373.4051.429

5701.5953.908

649386

621.200

Molise

Piemonte

Puglia

Sardegna

Sicilia

Toscana

Trentino Alto Adige

Umbria

Valle D’Aosta

Veneto

La differenza

Posti di lavoro persi dal 2009 al 2014 nelle banche italiane, per regione

2009

330.458

303.704

Totaledipendenti

2014

aSa

SicS c

oTTo

TreTTre

UmmUm

-26.754Differenza

Authority Lo stop alla vendita di Bim

I guardiani della Bcefanno chiarezza sui partnerdi Veneto Banca

Se a qualcuno, magari di-stratto dalle retoriche sulterritorio, ancora non

fosse chiaro il grado di atten-zione che la Bce, anche per iltramite della Banca d’Italia,dedica agli istituti protagonistidell’Unione bancaria conti-nentale, il caso di Veneto Ban-ca della scorsa settimana puòrisultare utile.

È successo che gli organi-smi di Francoforte hanno chie-sto chiarimenti sulla vicendadella cessione di una quota pa-ri al 51,4 per cento di Bim, la

quotata Banca intermobiliare.È il primo caso di interventodiretto della Bce in materia dioperazioni bancarie in Italia,che trova legittimazione nel re-golamento 486/2014 e, proba-bilmente, non sarà l’ultimo…La cessione di Bim si è resa ne-cessaria per Veneto Banca perporre rimedio alle esigenze dibilancio. Ad acquisire la quotaveneta della banca torinese –storicamente il salotto buonodella finanza sotto la Mole, re-gno incontrastato della fami-glia Segre e molto vicina a Car-lo De Benedetti – una cordatadi cui fan parte proprio i Segre,De Benedetti, Luca Cordero diMontezemolo, la famiglia Gio-

vannone e Duet Bim, un fondodi private equity riconducibileall’Irlanda. A coordinare que-sta squadra di prim' ordine èPietro D’Aguì, già timonieredella Bim prima della cessionealla Veneto Banca targata Vin-cenzo Consoli e Fabio Trinca,la coppia di vertice che ha gui-dato l’istituto fino all’aprile 2014. Ebbene, cos’ha da dire laBce sull’operazione? La Bce hachiesto un supplemento infor-mativo per dare il via libera al-l’operazione perché ritiene visia stato il mancato rispetto deirequisiti di onorabilità previstidalla direttiva Crd IV. L’opera-zione insomma è stata messain forse – con ricadute sui contidel venditore – per una vicen-da di onorabilità che sembrainteressare proprio D’Aguì,che è stato amministratore de-legato di Bim dal 1998 al 2013(quindi anche per il primo bi-ennio della proprietà VenetoBanca). Sotto la lente sono tor-nate alcune ormai lontane vi-cende che riguardavano lacontrollata Ipi e, in particolare,i rapporti con l’immobiliaristaDanilo Coppola che all’epocaebbero D’Aguì, GianclaudioGiovannone e Massimo Segre.Tanto è bastato alla Bce per ti-rare un colpo al freno. Le con-troproposte – sembra che l’au-torità europea abbia chiestoun passo indietro nella gover-nance e una minor esposizio-ne nel capitale – sono già statepresentate, ora si attende la ri-sposta. Ma il segnale è chiaro,per tutti.

S. RIG.© RIPRODUZIONE RISERVATA

51,4%La quota di Bim messa in vendita da Veneto Banca. Controvalore: 289 milioni

lavoratori bancari in Italia –non ci sono spazi per ulterioriesuberi. La legge Fornero haristretto i sentieri praticabili eal momento non ci sono stru-menti per pensare a riduzionidella popolazione bancaria,oltre alle operazioni già an-nunciate, concordate e finan-ziate dal fondo esuberi. E segli istituti di credito pensano sia praticabile la via dei pre-pensionamenti obbligatori,questo equivarrà a una dichia-

19.700USCITEIndicate da qui al 2020 dai piani industriali delle prime 14 banche italiane

Page 7: 26 15 rassegna stampa fisac dal 22 giu al 26 giu

MF

Numero 122, pag. 2 del 24/06/2015

PRIMO PIANO

Ok alla deducibilità delle perdite su crediti in un solo anno anziché in cinque

Dal governo via libera al dl banchePassano anche le misure per velocizzare il recupero crediti. Previsto il voto a maggioranza per gli accordi diristrutturazione dei debiti. Introdotti i piani concorrenti per i concordati. Slittano invece i decreti fiscali

di Mauro Romano

Tra il tasto dolente della fiducia da mettere o no sulla riforma della scuola al Senato, la linea da tenere sulla

mozione di sfiducia sul sottosegretario Udc Giuseppe Castiglione (bocciata ieri dalla Camera) e un pacchetto

di decreti legge e decreti legislativi da votare, alla fine il Consiglio dei ministri di ieri ha deciso di limitare la

discussione al solo provvedimento urgente di modifica delle procedure fallimentari. Provvedimento nel quale,

a sorpresa, è stata inserita anche la misura che prevede la possibilità per le banche

di dedurre in un solo anno invece che in cinque le perdite registrate sui crediti. Tale

intervento, secondo indiscrezioni, avrebbe un costo di circa 3 miliardi l'anno per il

2016 e il 2017, un po' meno per l'anno in corso, ma il ministro dell'Economia Pier

Carlo Padoan ha assicurato che non saranno necessari esborsi e che anzi potrebbe

addirittura portare dei piccoli benefici al bilancio pubblico. In passato indiscrezioni

riportavano la possibilità di finanziare i mancati introiti con un'anticipo Ires per gli

istituti di credito, ma il ministro non si è sbilanciato in merito e per capire il

meccanismo escogitato bisognerà aspettare di leggere il testo decreto.

Per quanto riguarda invece le norme per tagliare i tempi di recupero dei crediti, che

nelle intenzioni del governo dovrebbero sveltire le procedure di almeno una paio d'anni portandole dagli

attuali sette-otto a cinque al massimo, come anticipato da MF-Milano Finanza dello scorso 11 giugno, il

provvedimento dovrebbe dare facoltà ai creditori e anche a soggetti terzi di proporre piani di ristrutturazione

della società alternativi a quelli dell'imprenditore-debitore. Ma anche introdurre, come in altri Paesi europei,

gli accordi di ristrutturazione del debito a maggioranza. In pratica, per evitare le

lungaggini che spesso derivano dall'opposizione di qualche istituto meno esposto, il

decreto prevede che, nel caso non si raggiunga l'unanimità sull'ok al piano di

ristrutturazione dei debiti, sia possibile vincolare comunque tutte le banche, se

sull'accordo si esprime positivamente la maggioranza degli istituti coinvolti. Infine,

sempre in tema di banche, Padoan ha assicurato che le discussioni con la

Commissione Ue sulle garanzie sui crediti non performing vanno avanti, anche se le

misure adottate con il decreto approvato ieri in Cdm saranno già in grado di dare

un'importante spinta al mercato degli npl.

Un rinvio c'è stato invece sul decreto sulla banda ultralarga (si veda altro articolo in

Pagina 1 di 2Dal governo via libera al dl banche - MilanoFinanza.it

24/06/2015http://www.milanofinanza.it/giornali/stampa-articolo?id=1997573&access=AB

Page 8: 26 15 rassegna stampa fisac dal 22 giu al 26 giu

pagina). Renzi infatti teme che si possa creare un ingorgo di decreti in scadenza subito dopo Ferragosto,

visto che i decreti legge vanno approvati entro 60 giorni, il che vuol dire che i testi che hanno avuto il via

libera ieri dovranno essere convertiti dalle Camere entro il 23 agosto e ciò, considerando le vacanze, significa

che il voto definitivo dovrebbe essere incardinato nei primi dieci di giorni di agosto. Insomma il rischio era

quello di una maratona estiva sui dl.

A slittare, ma solo di qualche giorno, cioè fino al prossimo Consiglio de ministri in calendario per venerdì,

sono stati anche i cinque decreti legislativi di applicazione della riforma fiscale, che riguardano stima e

monitoraggio dell'evasione fiscale; revisione del sistema sanzionatorio; interpello e contenzioso; riscossione;

riorganizzazione delle agenzie fiscali. Questi erano stati inseriti nell'ordine del giorno della riunione di ieri e

sono poi stati rinviati, mentre nel pacchetto non c'era fin dall'inizio il sesto decreto, quello più delicato,

riguardante la riforma del Catasto. Renzi in conferenza stampa ha spiegato che il rinvio sul catasto è stato

dovuto dalla volontà di introdurre le novità insieme alla nuova local tax, per evitare sgradite sorprese ai

contribuenti, mentre per gli altri decreti, rinviati di pochi giorni, il premier ha assicurato che sono necessarie

solo piccole limature e che lo slittamento sarebbe dovuto alla volontà di evitare scivoloni come quello dello

scorso dicembre sulla norma del 3%. (riproduzione riservata)

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Pagina 2 di 2Dal governo via libera al dl banche - MilanoFinanza.it

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Page 9: 26 15 rassegna stampa fisac dal 22 giu al 26 giu

MF

Numero 122, pag. 3 del 24/06/2015

PRIMO PIANO

Al convegno annuale dell'associazione bancaria sulle regole per gli istituti

Abi: ora una vera Unione bancaria

Il dg Sabatini: oggi c'è una cappa di incertezza che ostacola la pianificazione su liquidità e capitale Barbagallo (Bankitalia): complessità, equità e proporzionalità sono le nuove sfide della Vigilanza

di Francesco Ninfole

Una delle maggiori sfide per l'Unione bancaria europee sarà trovare il giusto equilibrio tra uniformità e

proporzionalità delle regole. È quanto emerso ieri nella prima giornata dell'appuntamento annuale Abi su

Unione bancaria e Basilea 3. «L'anno che ci lasciamo alle spalle ha segnato progressi considerevoli sul

fronte dell'Unione bancaria europea», ha osservato Giovanni Sabatini, dg dell'Abi. «Questa trasformazione

epocale, per essere completa, ha bisogno di altri passi decisivi che rispondano all'esigenza di un Testo Unico

bancario europeo, alla realizzazione di un linguaggio comune e alla omogeneizzazione della legislazione

tributaria». Sulla materia la linea dell'Abi è condivisa da Banca d'Italia: «Occorre assicurare un terreno di

gioco uniforme, evitando di percorrere la più comoda strada

dell'applicazione di regole meccanicistiche», ha detto Carmelo

Barbagallo, capo della Vigilanza di Via Nazionale.

Il supervisore di Bankitalia ha indicato quattro sfide per l'Unione bancaria

e il Meccanismo di Vigilanza Unico (Mvu): quella del cambiamento («che

richiede forte capacità di adattamento»), della complessità («che impone

chiarezza nell'esercizio dei poteri di controllo»), della proporzionalità e

dell'equità. In particolare, riguardo alla creazione di un piano di gioco

livellato, che si estenda anche in ambito fiscale, civilistico e penale, «è utopistico pensare che accada in

breve tempo; in attesa che ciò avvenga è importante che le autorità di Vigilanza operino congiuntamente per

rimuovere - quando necessario, con l'opportuna gradualità - le differenze regolamentari e nelle prassi di

vigilanza», ha sottolineato Barbagallo. Tra gli aspetti da migliorare per una maggiore uniformità delle regole, il

responsabile della vigilanza ha indicato gli «impropri arbitraggi

regolamentari» oggi a favore delle banche d'investimento, l'uso

eterogeneo dei modelli interni di valutazione del rischio (da cui

dipendono i minimi patrimoniali) e l'impiego di differenti principi

contabili nei Paesi Ue.

La ricerca di una maggiore omogeneità non è però l'unico obiettivo

dell'Unione bancaria. La proporzionalità è un altro dei cardini del

Mvu, sancito dai regolamenti europei: «Va preservata la varietà del

sistema bancario, una risorsa importante anche nel nostro Paese»,

Pagina 1 di 2Abi: ora una vera Unione bancaria - MilanoFinanza.it

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Page 10: 26 15 rassegna stampa fisac dal 22 giu al 26 giu

ha sottolineato Barbagallo. «I controlli e le azioni di intervento vanno proporzionati ai rischi e alla

complessità» della banca.

Barbagallo ha poi evidenziato le possibili sovrapposizioni tra le molte autorità bancarie che oggi hanno

compiti di regolamentazione sulle banche. «L'individuazione di autorità differenti, pur a fronte di compiti

riguardanti i medesimi soggetti (le banche), era probabilmente inevitabile a livello europeo. La

concentrazione in un'unica entità avrebbe dato luogo a un 'ircocervo' difficilmente gestibile». Secondo il

responsabile di Bankitalia, tuttavia, oggi possibili duplicazioni riguardano la definizione delle regole, la

supervisione micro e macroprudenziale, gli stress test e la risoluzione delle crisi.

Nei prossimi anni, secondo Sabatini, sarà necessario «valutare l'interpretazione, troppo spesso effettuata

nella maniera più restrittiva possibile, delle regole ed evitare misure che possano danneggiare la ripresa

economica e, di conseguenza, la possibilità di erogare credito». Allo stesso modo, per il direttore generale

dell'Abi, occorrerà eliminare «la cappa di incertezza che grava sulle banche e non consente loro una

adeguata pianificazione su raccolta, liquidità e, soprattutto capitale».

Al convegno hanno partecipato ieri anche Mario Nava (Ue) e Concetta Brescia Morra (Bce). I lavori andranno

avanti oggi e si concluderanno con una tavola rotonda a cui parteciperanno, tra gli altri, Stefano De Polis

(Bankitalia), Sebastiano Laviola (Rappresentanza italiana presso l'Ue), Gianfranco Torriero (Abi) e Rainer

Masera (Università Marconi di Roma). (riproduzione riservata)

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MF

Numero 122, pag. 5 del 24/06/2015

PRIMO PIANO

Ieri i dati assogestioni sulla raccolta a maggio. allo sportello le masse sono 1.742 mld

Record delle gestioni in bancaIl 48% delle risorse fa capo ai fondi. Dopo il rosso di aprile tornano positivi i flussi verso gli azionari Frenano gli obbligazionari per il recente aumento dei rendimenti. Prosegue il periodo d'oro dei flessibili

di Paola Valentini

Con altri 16,4 miliardi a maggio, in aumento rispetto ai 15,8 di aprile, nei primi cinque mesi del 2015 l'industria

del risparmio gestito ha messo a segno una raccolta netta di 87,7 miliardi a fronte dei 133,7 miliardi ottenuti

in tutto il 2014. Le masse gestite dal sistema hanno sfiorato 1.742 miliardi di euro, massimo storico. Il 47,9%

degli asset gestiti (835 miliardi) è allocato nei fondi, contro il 52,1% (906,7 miliardi) investito nei mandati. La

parte del leone nei flussi, secondo la mappa mensile di Assogestioni, la fanno sempre i fondi aperti, con 11,5

miliardi (3 miliardi nei comparti italiani e 8,5 miliardi negli esteri), dato stabile rispetto ad aprile (11,6 miliardi),

portando il totale da inizio anno a 61,8 miliardi rispetto ai 91,4 dell'intero 2014. Le gestioni di portafoglio

hanno ottenuto invece 4,9 miliardi, in leggero aumento rispetto ai 4,2 miliardi di aprile, pari a 25,7 miliardi da

inizio anno. Quanto alle singole categorie di fondi, malgrado le turbolenze sui listini a maggio, gli azionari

sono tornati a una raccolta positiva: 537 milioni dai -299 milioni di aprile, con 5,4 miliardi raccolti da gennaio.

A riprova del fatto che gli investitori guardare ancora con fiducia alle borse dopo i buoni risultati degli ultimi

mesi, mentre il mercato dei bond si fa sempre più difficile da affrontare con i fondi tradizionali. Non a caso la

raccolta di questi ultimi a maggio ha frenato a 1,7 miliardi contro i 4,5 di aprile, per un totale da inizio anno di

18,5 miliardi. Intanto prosegue il periodo d'oro dei flessibili, che comprendono prodotti di caratteristiche molto

diverse, anche nel controllo dei rischi, ma accomunati dal fatto di dare libertà al gestore di spaziare tra varie

asset class, comprese le alternative, oggi sempre più richieste da consulenti finanziari alle prese con la

necessità di adeguare i portafogli al rialzo dei tassi di interesse in Europa e in vista di possibili movimenti

analoghi negli Usa. I flessibili hanno incassato a maggio 6 miliardi dai 5,5 di aprile, 27 miliardi da gennaio.

Dal canto loro i bilanciati continuano a intercettare l'interesse di chi vuole investire in borsa senza troppi

rischi, e hanno chiuso maggio con flussi per 1,2 miliardi da 1,9 in aprile, ovvero 9,6 miliardi in cinque mesi.

Nel frattempo i fondi monetari rialzano la testa e incamerano 2 miliardi di euro, portando così la raccolta da

inizio anno in attivo (1,4 miliardi), forse per effetto del rialzo dei rendimenti. Quanto alle singole società, in

testa è Intesa Sanpaolo con 6 miliardi raccolti (di cui 5,1 relativi a Eurizon), seguita da Pioneer (2,4 miliardi) e

Generali (1,3 miliardi). Tra i gruppi quotati, Anima Holding ha raccolto 806 milioni, Mediolanum 287 milioni e

Azimut 263. Tra i big esteri, Franklin Templeton chiude maggio in rosso (-271 milioni) restando però, con 26

miliardi a fine maggio, il primo gruppo estero per masse gestite in Italia. Ma i rivali si avvicinano. Jp Morgan

Am con 203 milioni raccolti a maggio ha portato il patrimonio gestito in Italia a 24,5 miliardi. Prosegue la

crescita anche Deutsche Asset and Wealth Management (Deutsche Bank) con 668 milioni raccolti e masse

salite a 22,3 miliardi. E Invesco, grazie ai 408 milioni raccolti a fine maggio, gestiva 21,1 miliardi.

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MF

Numero 122, pag. 6 del 24/06/2015

DENARO & POLITICA

Il 10 luglio l'assemblea dell'associazione farà il punto sulla riforma renzi-padoan

Partita nomine per AssopopolariMentre i big vanno verso la spa, gli istituti medio-piccoli potrebbero ottenere maggior peso nella governancedell'associazione, aggiudicandosi la presidenza. In pole i vice, ma anche Stacca e Cartia

di Luca Gualtieri

La trasformazione in spa delle dieci maggiori banche popolari italiane è un processo ancora tutto da definire.

Mentre advisor e avvocati d'affari sono al lavoro per definire tempistiche e modalità del percorso, i presidenti

degli istituti stanno ragionando anche su come la riforma modificherà gli equilibri nel settore.

Il primo momento di confronto allargato su questi temi sarà l'assemblea di Assopopolari, prevista per venerdì

10 luglio. L'associazione presieduta da Ettore Caselli (che è anche numero uno della Banca Popolare

dell'Emilia Romagna) è da sempre cinghia di trasmissione e

punto di sintesi degli umori della categoria. Nei mesi scorsi,

durante il confronto con Governo Renzi e Parlamento,

Assopopolari ha gestito la delicata mediazione ed è riuscita a

addolcire gli aspetti più indigesti del provvedimento. Passata

quella fase, oggi i vertici delle popolari si stanno interrogando

su quale potrebbe essere il nuovo ruolo istituzionale

dell'associazione, dando ovviamente per scontato che

continuerà a giocare un ruolo importante nelle vicende

bancarie italiane. In vista della trasformazione in spa delle dieci big, per esempio, gli istituti medio-piccoli

potrebbero assumere un peso maggiore nella governance, aggiudicandosi anche la presidenza. Sebbene

Caselli sia stato nominato soltanto lo scorso anno, si sa che la sua Bper è una delle popolari destinate a

diventare spa. Ecco perché nei fitti conciliaboli di questi giorni si è affacciata l'ipotesi di una staffetta che

favorisca le banche escluse dalla riforma. Tra i papabili per il ruolo di presidente ci sono i due attuali

vicepresidenti dell'associazione, cioè Vito Primiceri (Banca Popolare Pugliese) e Luigi Sartoni (Banca

Popolare Valconca). Del resto, assieme al consigliere delegato della Popolare di Sondrio Mario Pedranzini,

proprio Primiceri e Sartoni sono stati finora i rappresentanti delle tre categorie delle banche associate, cioè le

grandi, le medie e le piccole. Senza dimenticare che, ove mai si decidesse per la staffetta, ci sarebbero altri

due nomi capaci di catalizzare il consenso dei banchieri popolari: quelli di Michele Stacca, attuale presidente

della Banca Popolare di Puglia e Basilicata di Altamura (Bari) dopo una carriera che, tra gli altri incarichi, lo

ha portato alla guida di CartaSi, e di Giovanni Cartia, storico numero uno della Banca Agricola Popolare di

Ragusa. Il banchiere, ragusano doc, classe 1928, siede alla presidenza dell'istituto dal 2001 dopo quasi

mezzo secolo in banca e come pochi saprebbe rappresentare lo spirito e la tradizione delle banche popolari.

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Al momento comunque si tratta soltanto di ipotesi che si affacciano nelle conversazioni di questi giorni. È

ovvio che qualunque ipotesi di staffetta andrà condivisa prima di tutto con il presidente Caselli, il cui lavoro è

stato finora assai apprezzato dai colleghi. Senza dimenticare che il banchiere di Maranello potrebbe anche

decidere di conservare il proprio incarico almeno fino a quando la Bper resterà una popolare a tutti gli effetti.

Cioè almeno fino alla prossima primavera, come annunciato recentemente dall'amministratore delegato

dell'istituto modenese, Alessandro Vandelli. «Dall'assemblea per l'approvazione del bilancio 2015 in poi

sarebbe il momento ideale», ha spiegato il banchiere. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 122, pag. 12 del 24/06/2015

MERCATI

La messa a punto incentrata su contenimento dei costi e spinta su nuovi ricavi

Unicredit rivede il piano al 2018L'aggiornamento del business plan sarà pronto entro la fine dell'anno Intanto Moody's alza il rating a Baa1

di Andrea Di Biase

Il management di Unicredit è a lavoro per rivedere il piano industriale al 2018. In un incontro con la stampa

estera ieri a Milano l'ad della banca, Federico Ghizzoni, ha annunciato che l'aggiornamento del business plan

sarà pronto entro fine anno e che l'istituto «sta valutando come affrontare un nuovo scenario

macroeconomico, con bassi tassi di interesse a partire dal 2015 in poi». Ghizzoni ha sottolineato che si tratta

«solo di una messa punto» incentrata su «misure per il contenimento dei costi e il

rilancio sul fronte dei ricavi». Nel dettaglio, l'istituto, secondo quanto riportato dal Wall

Street Journal, potrebbe cercare di compensare la ridotta marginalità delle attività di

erogazione prestiti riducendo i costi, rendendo più snella la struttura organizzativa in

alcuna aree e generando maggiori ricavi da provvigioni e commissioni. Nel piano

strategico quinquennale, presentato a marzo dello scorso anno, la banca ha fissato un

obiettivo di 6,6 miliardi di utile netto per il 2018, con un rendimento del patrimonio

netto tangibile del 13%. Previsti anche investimenti per 4,5 miliardi e 1,3 miliardi di

risparmi su costi, anche attraverso al riduzione dell'organico. Nei primo trimestre del 2015 Unicredit ha

registrato un utile netto di 512 milioni, a fronte dei 712 milioni dello stesso periodo del 2014. Lo scorso anno

l'utile netto si è attestato a 2 miliardi, centrando i target. Nel frattempo Piazza Gae Aulenti punta a crescere

anche fuori dall'Europa rafforzandosi in particolare in Cina, Medio Oriente,

Centro e Sud America. La crescita avverrà «non con acquisizioni ma attraverso

alleanze con istituti locali». Ghizzoni ha parlato anche della Turchia, ribadendo

che si tratta di un mercato interessante per investimenti di medio termine e

confermando il piano della banca incentrato sugli investimenti in

digitalizzazione. Sempre in relazione alle attività estere, il manager ha ricordato

che il Centro Est Europa sta andando «molto bene, sopra il budget» e che la

Russia dà ottimi risultati superiori alle attese. Tra i temi trattati poi l'accordo sul

veicolo sui crediti ristrutturati che Unicredit ha messo in piedi assieme a Kkr,

Intesa Sanpaolo e Alvarez & Marsal e che sarà chiuso entro pochi giorni. Quanto invece alle questioni

macroeconomiche, Ghizzoni ha indicato come gestibile un eventuale default della Grecia, destinato a

influenzare, secondo il manager, cambi e tassi dei Paesi periferici solo per un breve periodo.

Ieri intanto l'agenzia di rating Moody's ha rivisto al rialzo da Baa2 a Baa1 il rating di lungo termine di Unicredit

sui depositi e sul debito senior unsecured e ha confermato a Prime-2 quello a breve termine. (riproduzione

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Numero 122, pag. 12 del 24/06/2015

MERCATI

Il Montepaschi alza il velo sul restyling delle filiali

di Gualtiero Lugli

Un nuovo modo di servire il cliente. Con l'inaugurazione della filiale in largo Cairoli a Milano Mps avvia il

riassetto della rete. Open space e più tecnologie le novità per rilanciare i servizi bancari. «Inauguriamo un

nuovo modello di banca», commenta con soddisfazione Marco Bragadin, responsabile direzione Retail e

Rete del Monte dei Paschi di Siena. «L'elemento fondamentale è il grande utilizzo di dispositivi elettronici,

soprattutto nelle operazioni di self banking. Introduciamo il modello della cosiddetta cassa ibrida, in base al

quale il cliente svolge in autonomia le proprie operazioni ma c'è sempre personale a

disposizione in caso di problemi». Il riassetto prevede anche un nuovo utilizzo degli spazi.

«Abbiamo realizzato una struttura aperta e trasparente», aggiunge Bragadin, «che si basa su

open space ma anche su salottini per garantire all'occorrenza la privacy dei clienti. Queste

novità portano un'evoluzione delle modalità di distribuzione che replicheremo in tutte le filiali

sul territorio». Cambia di conseguenza la figura professionale all'interno della banca. «Siamo consapevoli che

alle normali competenze tecniche dobbiamo essere in grado di aggiungere la capacità di ascolto del cliente;

si tratta di un percorso che iniziamo contestualmente al rinnovo della struttura fisica delle filiali», spiega

Bragadin. Il quale si sofferma anche sul nuovo rapporto che Mps vuole instaurare con la clientela.

«L'elemento di forte necessità è essere vicini al territorio; perciò lanciamo il modello

distributivo ''hub and spoke'', con centri retail e filiali satellite che avvicinano la filiera

di gestione al cliente. Le esigenze del cliente sono sempre più sofisticate, dunque

bisogna puntare su multicanalità e offerta integrata». La riconfigurazione, secondo il

piano industriale, riguarderà tutte le filiali in Italia. «Questa sede milanese

rappresenta una sorta di prototipo», spiega il direttore Retail e Rete del Monte dei

Paschi di Siena. «I tempi del riassetto comunque non saranno rapidi; considerando

che parliamo di 2.200 filiali, il processo non potrà essere completato per fine anno»,

conclude Bragadin. All'avanguardia da un punto di vista della sostenibilità

ambientale, la nuova filiale milanese di largo Cairoli è dotata di un giardino verticale e al suo interno è stata

organizzata anche l'esposizione di una selezione di opere d'arte. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 122, pag. 13 del 24/06/2015

MERCATI

Nel pacchetto quasi 135 mila posizioni di credito al consumo e prestiti personali

Mps vende 1,3 miliardi di nplComprano Banca Ifis e il fondo Cerberus. Lo stock viene principalmente dalla controllata Consum.it È l'operazione più importante dell'anno nel comparto sofferenze. Annunciate altre due cessioni

di Luca Gualtieri

Banca Ifis suona la sveglia al mercato italiano dei non performing loan. L'istituto veneziano guidato

dall'amministratore delegato, Giovanni Bossi, ha comprato crediti per un valore nominale di 883 milioni, che

corrispondono a circa 100 mila posizioni. Nello stock la parte del leone la fa il Monte dei Paschi che ha

messo sul mercato un portafoglio di 1,3 miliardi nominali originato dalla ex controllata Consum.it (prestiti

personali, carte di credito e prestiti finalizzati) con un taglio medio di n9 mila euro. L'operazione, realizzata in

tandem con il fondo americano Cerberus Capital Management, è la maggiore

conclusa sul mercato italiano degli npl nell'arco del 2015. Nel dettaglio, Banca Ifis ha

acquisito 650 milioni dell'intero portafoglio e Cerberus i restanti 650 milioni. Per Mps

(che ha in pancia quasi 24 miliardi di sofferenze) si tratta di un passo importante, che

fa seguito all'esternalizzazione della gestione operativa dei crediti in sofferenza non

core, formalizzata all'inizio dell'anno. Sempre ieri Banca Ifis ha annunciato al mercato

altre due compravendite: quella di un portafoglio di crediti al consumo da 200 milioni

ceduto da un «primario player bancario internazionale» e quella di uno stock da 33

milioni che riguarda crediti non performing unsecured generati da Banca Sella. Al termine delle tre

operazioni, il portafoglio di Banca Ifis vanta in totale 908 mila posizioni per un valore complessivo di 6,8

miliardi. Per il momento il gruppo veneziano resta concentrato sul settore dei crediti non garantiti (unsecured)

dove è diventato il principale player nazionale con

incoraggianti segnali di miglioramento anche sulle procedure

di recupero. Tali procedure vengono seguite quasi

interamente dalle strutture interne di Banca Ifis, attraverso il

call center, la rete agenti e la legal factory. Nell'arco del 2015

l'istituto dovrebbe partecipare a una cinquantina di gare,

anche se al momento è difficile fare una stima di quanti deal

saranno chiusi. Il mercato in ogni caso ha accolto

positivamente l'annuncio di ieri come dimostra l'andamento

del titolo Banca Ifis a Piazza Affari (+2,49% a 19,34 euro). «La notizia è sicuramente positiva e in prospettiva

andrà a crescere la redditività del gruppo», ha spiegato un analista contattato dall'agenzia MF-DowJones,

sottolineando che «il rialzo del titolo è anche legato al buon andamento del mercato grazie al fattore Grecia».

Di sicuro le operazioni annunciate da Banca Ifis e Cerberus sono i primi deal significativi nel settore degli npl.

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Per gli istituti permane infatti il nodo delle valutazioni: di solito l'operazione va in porto solo se il valore di

carico degli asset è realistico, cioè se le banche, prima di cedere i crediti, li hanno svalutati in misura

significativa, quindi bruciando patrimonio. Per questa ragione finora è stato difficile incrociare domanda e

offerta, anche se le misure allo studio del governo potrebbero sbloccare la partita. L'unica operazione chiusa

negli ultimi mesi è stata la cessione di un portafoglio di circa 17 mila posizioni per un valore nominale di 210

milioni di euro. (riproduzione riservata)

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Numero 122, pag. 20 del 24/06/2015

COMMENTI & ANALISI

Contrarian

Perché la nuova legge fallimentare spingerà ancora le banche minori

«Anche se le piccole banche italiane hanno già fatto meglio del settore bancario europeo del 17% dall'inizio

dell'anno, crediamo che le imminenti modifiche in materia di diritto fallimentare in Italia potrebbero guidare un

ulteriore re-rating». Queste le parole degli analisti di Barclays, che vedono le modifiche alla legge sul

processo fallimentare, attese nei prossimi mesi, come una buona opportunità per il settore bancario italiano

di ridurre i tempi necessari a portare a termine la vendita degli asset a garanzia dei crediti in sofferenza.

Tempi che attualmente possono arrivare a 7 anni e mezzo (la media in Italia è cinque

anni e mezzo). Il tempo necessario alla vendita delle garanzie rientra tra le quattro

variabili che Barclays individua tra quelle che principalmente influiscono sul flusso di

cassa atteso dai crediti in sofferenza. Gli altri tre sono: la presenza di garanzie a

fronte del credito, il valore del collaterale, e le coperture di bilancio per i crediti senza

garanzie. Nello specifico, il beneficio che gli istituti di credito otterranno sarà

direttamente proporzionale alla percentuale di crediti deteriorati coperti da garanzie,

che rappresentano il 76% nel caso di Ubi Banca, il 67% per il Banco Popolare, il 58%

per la Banca Popolare di Milano e, infine, il 48% per Monte dei Paschi e inversamente proporzionale al

rapporto tra crediti deteriorati e l'ammontare delle coperture liquide fornite dall'istituto. È interessante notare,

sotto questo aspetto, che Ubi Banca riporta garanzie liquide pari al 28% a fronte del 15% di crediti in

sofferenza, e Bpm evidenzia il 38% di garanzie liquide a fronte del 17% di crediti in sofferenza. I risultati della

ricerca condotta da Barclays, che quantifica la possibile riduzione dei tempi di

recupero in un anno e mezzo (la metà di quanto stimato dal ministero della Giustizia),

il che a sua volta porterebbe la media da cinque anni e mezzo a quattro anni e mezzo,

vedono aggiungere 94 punti base al Common Equity Tier 1 ratio del Banco Popolare e

Monte dei Paschi, 50bp a Ubi Banca e 30-40 punti base per le altre banche oggetto

d'indagine, tra cui Banca Popolare di Milano. «Siamo convinti», aggiungono gli esperti

riguardo al cambio di normativa, «che un ulteriore effetto sarà quello di produrre una

richiesta inferiore di riserve, aumentando i coefficienti patrimoniali degli istituti di

credito e riducendo il costo del rischio». Ubi e Bpm risultano essere gli istituti con il piazzamento migliore,

tanto che gli esperti di Barclays si aspettano un potenziale upside in borsa rispettivamente del 32 e del 17%

sulla base dei nuovi target price.

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PRIMO PIANO 24 GIUGNO 2015Il Sole 24 Ore

L’EFFETTO DOMINO

La flessione degli impieghi dal 2010 a oggi è andata di pari passo con un crollo del 20% degli investimenti medi

Credito e congiuntura. Le stime di Boston Consulting sulle ricadute positive per l’economia in due-tre anni

Dalle sofferenze dimezzate una spinta al Pil del

2%

Tra i tanti i motori che fanno girare l’economia, quello del credito è uno dei più semplici (è basato sulla fiducia) e al tempo stesso complessi: ci sono di mezzo i risparmiatori con i loro depositi, aziende e famiglie con i loro debiti, le banche che fanno da intermediari e tutte le autorità, da quelle di vigilanza fino alle banche centrali che decidono i tassi di interesse di riferimento. Basta poco perché un ingranaggio si inceppi, e rimetterlo in moto non è facile. Ma gli effetti possono essere quasi immediati: fino a due punti di Pil in più nell’arco di due o tre anni al massimo, nel caso in cui l’Italia riesca a dimezzare lo stock di quasi 200 miliardi di sofferenze, secondo i calcoli effettuati da Boston Consulting group per Il Sole 24 Ore.Gli esperti del team milanese guidato da Gennaro Casale hanno effettuato la stima ribaltando quanto è accaduto in Italia dal 2011 a oggi. Dal 2010 la recessione ha causato il raddoppio dello stock complessivo delle sofferenze, la zavorra dei crediti malati - insieme a un mix esplosivo di altri elementi, che vanno dalla contrazione della domanda fino ai nuovi requisiti patrimoniali richiesti alle banche - a sua volta ha originato una contrazione del 13,9% rispetto al 2010 dell’ammontare complessivo degli impieghi, cioè del denaro dato a prestito a famiglie e imprese italiane. Meno credito, uguale meno fiducia: è così che la flessione degli impieghi dal 2010 a oggi è andata di pari passo con un crollo del 20% degli investimenti medi, che erano pari a 80 miliardi a trimestre nel 2010 e a fine 2014 sono scesi a quota 64. Le conseguenze sul Pil sono quelle che conosciamo: 9 punti percentuali in meno rispetto al 2007. Un vero e proprio circolo vizioso che ha ingoiato l’Italia, che però – con un alleggerimento della zavorra delle sofferenze – potrebbe cambiare segno e trasformarsi in un circolo virtuoso, e ridare all’Italia almeno una parte della crescita perduta in questi anni. Meno sofferenze, e quindi meno rischi prospettici faciliterebbero la nuova erogazione di credito sbloccherebbero subito più credito, che a sua volta favorirebbe gli investimenti che quindi impatterebbero sul Pil: «Tra un punto e mezzo e due punti percentuali, secondo una stima che possiamo definire conservativa», dice Garabet Ayvazian, project leader di Bcg presso l'ufficio di Milano. Non è un caso d’altronde, che poco più di un mese fa gli economisti del Fondo monetario internazionale, nella pagella dedicata all’Italia nell’ambito delle periodiche missioni volte a fotografare lo stato di salute dell’economia dei vari Paesi abbiano individuato nel credito, e in particolare nell’immenso stock dei crediti malati, uno dei punti chiave per la ripresa. Perché? Perché oggi chi riceve credito a condizioni competitive è, nella maggior parte dei casi, chi non ne ha necessità: aziende liquide, ben capitalizzate, con linee già assegnate e solo in parte utilizzate. Accanto a esse, però, «c’è un’altra vasta parte dell’economia, sana, che paga il prezzo dei crediti malati che non ha contribuito a generare: le banche, appesantite dalle sofferenze, sono disposte a concedere crediti a prezzi o condizioni troppo onerose». È proprio qui che si genererebbe quella crescita aggiuntiva di cui si parlava prima, in una stima che per di più «non tiene conto dell’effetto-fiducia». Sì, perché con la ripartenza del credito - ragiona Garabet Ayvazian - anche il contributo in equity è destinato a salire, da parte degli imprenditori e degli investitori esterni. Dotando le aziende di una nuova spinta, in più, per gli investimenti e quindi la crescita». Riusciranno a innescare tutto questo le nuove misure approvate ieri dal Consiglio dei ministri??Per valutarne gli effetti, ci vorrà del tempo. Non a caso, il team Finance di Bcg - guidato da Gennaro Casale – stima un tempo di due-tre anni prima di apprezzare gli effetti sul Pil. Certo è, si osserva, che in particolare il pacchetto sul recupero crediti potrebbe produrre un altro effetto positivo sul Pil, contribuendo a “scongelare” almeno parte delle migliaia di imprese e famiglie fuori dal circuito del credito perché coinvolte

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direttamente o indirettamente nei 350 miliardi di crediti deteriorati. .@marcoferrando77© RIPRODUZIONE RISERVATAMarco Ferrando

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PRIMO PIANO 24 GIUGNO 2015Il Sole 24 Ore

INTERESSI

OMOGENEI Se i crediti degli istituti sono il 75% della categoria il debitore può chiedere l’estensione ai creditori non aderenti di identica posizione

Gestione delle crisi. L’accordo è possibile quando l’esposizione verso le banche è pari o superiore al 50% dell’indebitamento complessivo

Ristrutturazione del debito a misura di

intermediari

Milano Un accordo di ristrutturazione del debito a misura di banche e intermediari. È questo uno degli elementi di novità previsto dallo schema di decreto legge approvato ieri sera dal Consiglio dei ministri.L’accordo, in realtà dalla fisionomia più simile a un miniconcordato preventivo, vista la falcidie di una quota di creditori dissenzienti, è possibile solo quando l’esposizione nei confronti degli istituti di credito è pari o superiore al 50% dell’indebitamento complessivo.Sulla base di questo presupposto, l’accordo di ristrutturazione dei debiti previsto dall’articolo 182-bis può individuare una o più categorie tra i creditori che abbiano fra loro posizione giuridica e interessi economici omogenei.In questo caso, il debitore può chiedere che gli effetti dell’accordo vengano estesi anche ai creditori non aderenti che appartengano alla medesima categoria, quando tutti i creditori della categoria siano stati informati dell’avvio delle trattative e siano stati messi in condizione di parteciparvi in buona fede e i crediti delle banche e degli intermediari finanziari aderenti rappresentino il settantacinque per cento dei crediti della categoria. Una banca o un intermediario finanziario può essere titolare di crediti inseriti in più di una categoria. Il debitore, oltre ai consueti adempimenti pubblicitari già previsti, deve notificare la domanda alle banche e agli intermediari finanziari ai quali chiede di estendere gli effetti dell’accordo. Per loro il termine per proporre opposizione parte dalla data di notificazione del ricorso.Il tribunale procede all’omologazione, dopo avere verificato che le trattative si sono svolte in buona fede e che le banche e gli intermediari finanziari ai quali il debitore chiede di estendere gli effetti dell’accordo:hanno posizione giuridica e interessi economici omogenei rispetto a quelli delle banche e degli intermediari finanziari aderenti; hanno ricevuto complete ed aggiornate informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria del debitore, sull’accordo e sui suoi effetti, e sono stati messi in condizione di partecipare alle trattative; possono risultare soddisfatti, in base all’accordo, in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili. Stessa la logica che sta alla base anche dell’ultima parte del nuovo articolo 182 septies della Legge fallimentare. Si prevede, infatti, che quando fra l’impresa debitrice e una o più banche o intermediari finanziari viene stipulata una convenzione indirizzata a disciplinare in via provvisoria gli effetti della crisi attraverso una moratoria temporanea dei crediti nei confronti di una o più banche o intermediari finanziari ed è raggiunta la maggioranza del 75% dei crediti, la moratoria stessa produce effetti anche nei confronti delle banche e degli intermediari finanziari non aderenti se sono stati informati dell’avvio delle trattative e siano stati messi in condizione di parteciparvi in buona fede, e un professionista attesta l’omogeneità della posizione giuridica e degli interessi economici fra i creditori interessati dalla moratoria.© RIPRODUZIONE RISERVATAGiovanni Negri

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FINANZA & MERCATI 24 GIUGNO 2015Il Sole 24 Ore

L’AUDIZIONE Angeloni (Bce) al Senato ha ribadito la necessità di una rapida approvazione della direttiva su risanamento e risoluzione delle banche

Regole. Ieri si è aperto il seminario dell’associazione sull’Unione bancaria - Barbagallo (Banca d'Italia): «Rimuovere le differenze tra Paesi»

L’Abi spinge per il testo unico europeo di

settoreRoma«L'anno che ci lasciamo alle spalle ha segnato progressi considerevoli sul fronte dell’Unione Bancaria europea. Questa trasformazione epocale per essere completa ha bisogno di altri passi decisivi che rispondano all'esigenza di un Testo Unico bancario europeo, alla realizzazione di un linguaggio comune e alla omogeneizzazione della legislazione tributaria come primo passo verso l’Unione Fiscale». È quanto ha dichiarato il direttore generale dell'Abi, Giovanni Sabatini, aprendo i lavori del Convegno annuale ’Unione Bancaria e Basilea3’, la due giorni che l'Associazione bancaria dedica ai temi della Vigilanza Europea e dell'implementazione nel diritto nazionale delle novità regolamentari della Vigilanza prudenziale. «Abbiamo un'Unione bancaria ma non abbiamo un testo unico bancario, abbiamo un mercato finanziario europeo, ma non un diritto penale dell’economia che garantisca regole chiare e uguali per tutti» ha rimarcato Sabatini. «Non abbiamo dubbi sul fatto che l'ampio pacchetto riformatore post-crisi finanziaria, le decisive risposte all'andamento ciclico arrivate dalla Banca Centrale Europea con le forti dosi di politiche monetarie non convenzionali e il rafforzamento patrimoniale creeranno un settore bancario più forte. Tuttavia - ha commentato Sabatini - occorre prestare attenzione alla lunga fase di transizione che durerà ancora molti anni e dunque valutare l’interpretazione, troppo spesso effettuata nella maniera più restrittiva possibile, delle regole ed evitare misure che possano danneggiare la ripresa economica e, di conseguenza, la possibilità di erogare credito» . Anche per il responsabile della vigilanza della Banca d’Italia, Carmelo Barbagallo,la credibilità dell'intero disegno europeo si gioca sull'equità, vale a dire «la capacità di assicurare, tra le banche vigilate dell'Ue e dell'area euro, un piano di gioco quanto più possibile livellato». E la possibilità di giocare ad armi pari «richiederebbe che gli ordinamenti nazionali nei quali le banche operano non fossero così diversi sul piano delle rispettive normative fiscali, civilistiche, penali».Tuttavia, ha aggiunto il dirigente di via Nazionale «é utopistico pensare che questo accada in breve tempo». E’ comunque essenziale, ha sostenuto, che «le autorità di vigilanza operino congiuntamente per rimuovere, quando necessario con l'opportuna gradualità, le differenze regolamentari e quelle delle prassi di vigilanza che ostacolano il dispiegamento» di un level playing field. Sempre ieri intanto, è stato ascoltato in audizione, presso la commissione Finanze del Senato, Ignazio Angeloni, membro del Consiglio di vigilanza della Bce. Il quale, come aveva del resto già fatto nei mesi scorsi lo stesso governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, ha colto l’occasione per sollecitare l’approvazione “quanto prima” della direttiva europea sul risanamento e la risoluzione delle banche,che consente di far fronte ai dissesti bancari e accedere al fondo di risoluzione. © RIPRODUZIONE RISERVATAR.Boc.

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NORME E TRIBUTI 24 GIUGNO 2015Il Sole 24 Ore

RECESSO DEL SOCIO

L’introduzione del limite al rimborso potrà essere approvato dall’organo di supervisione strategica senza obbligo di assemblea

Riforme. In vigore il 27 giugno le disposizioni di Bankitalia: entro 15 giorni il controllo della soglia

di 8 miliardi

Popolari, l’attivo è la prima verifica

Le indicazioni sulle modifiche statutarie necessarie o facoltative

Le norme di attuazione della riforma delle banche popolari, emanate dalla Banca

d’Italia il 9 giugno scorso, entreranno in vigore il 27 giugno 2015.

Entro il 27 dicembre 2016, quindi, in base alla riforma contenuta nel Dl 3/2015

(convertito dalla legge 33/2015), le banche popolari di maggiori dimensioni, cioè

quelle con attivo superiore a 8 miliardi, dovranno abbandonare la forma cooperativa e

assumere quella di società per azioni. Il decreto legge 3/2015, infatti, ha prescritto che

devono trasformarsi entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore delle disposizioni

attuative emanate dalla Banca d’Italia (si veda anche il Sole 24 Ore del 13 giugno

scorso).

L’entrata in vigore delle norme emanate dalla Banca d’Italia, a sua volta, è stata

correlata all’entrata in vigore - sempre il 27 giugno - del dlgs di recepimento della

direttiva 2013/36/Ue «Crd IV», che introduce norme sul rimborso del socio in caso di

recesso dalle banche di credito cooperativo e in caso di morte del socio.

Nelle nuove norme regolamentari, la Banca d’Italia ha fornito indicazioni da un lato

sull’iter di verifica del rispetto del limite dell’attivo da parte delle banche popolari e,

dall’altro, sulle modifiche statutarie (necessarie o facoltative) che si rendono

occorrenti o opportune.

La Vigilanza ha prescritto innanzitutto che la prima verifica del valore dell’attivo sia

effettuata entro 15 giorni dall’entrata in vigore delle nuove disposizioni dall’organo

con funzione di supervisione strategica (anziché dall’organo con funzione di gestione,

come dovrà avvenire ordinariamente per il futuro), facendo riferimento alle

segnalazioni di vigilanza al 31 dicembre 2014.

Lo stesso organo (vale a dire il Cda nel sistema di governance tradizionale, il

Consiglio di sorveglianza dotato di poteri strategici nel sistema dualistico oppure il

Consiglio di gestione nel sistema dualistico con Consiglio di sorveglianza privo di

poteri strategici), una volta constatato il superamento della soglia di 8 miliardi di euro,

entro 90 giorni dovrà formalizzare un piano che preveda le iniziative necessarie

(compresa la convocazione dell’assemblea dei soci) affinché siano adottate dagli

organi competenti le conseguenti deliberazioni (e, in sostanza, la trasformazione in

Spa) e trasmetterlo alla Banca d’Italia.

Con riguardo al piano di trasformazione societaria, via Nazionale ha precisato che

nell’ambito dei poteri a essa spettanti vigilerà sul rispetto sostanziale delle nuove

disposizioni, e cioè la finalità di assicurare che l’attività bancaria di dimensioni

rilevanti (ossia con attivo superiore a 8 miliardi di euro) sia esercitata in forme idonee

a consentire un’adeguata ricapitalizzazione dei soggetti vigilati.

In tale prospettiva, la Banca d’Italia ha già “avvertito” che non saranno ritenute in

linea con la riforma operazioni da cui risulti la detenzione, da parte della società

holding riveniente da un eventuale spin-off dell’azienda bancaria dalla ex “popolare”,

di una partecipazione totalitaria o maggioritaria nella Spa bancaria o, comunque, tale

da rendere possibile l’esercizio del controllo nella forma dell’influenza dominante.

Sulle modifiche che, in relazione a queste nuove disposizioni, potranno interessare gli

statuti delle banche popolari (ovvero delle Spa rivenienti dalla loro trasformazione) la

Banca d’Italia ha precisato che l’introduzione del limite al rimborso nei casi di recesso

del socio potrà essere approvato dall’organo di supervisione strategica senza necessità

di passare per l’assemblea, con la precisazione che tale modifica statutaria dovrà

essere adottata anche dalle banche di credito cooperativo.

Ai soci, invece, dovranno essere sottoposte le modifiche in tema di numero massimo

di deleghe che possono essere conferite a un socio (non superiore a 20), salvo che si

proceda al mero adeguamento al numero minimo di deleghe (pari a 10) previsto dalla

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legge: in questo caso potrà essere invece adottata la procedura di modifica

semplificata (e cioè senza il passaggio in assemblea).

Dovranno essere approvate in assemblea le variazioni facoltative, in quanto esse

riguardano opzioni rese ora possibili per le banche popolari: rientrano in questa

casistica, per esempio, l’emissione di strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali

o anche di diritti amministrativi, escluso il voto nell’assemblea generale degli azionisti

o l’attribuzione ai soci cooperatori persone giuridiche di più voti, ma non oltre 5, in

relazione all’ammontare della quota oppure al numero dei loro membri.

Naturalmente anche l’eventuale introduzione di un tetto del 5% al diritto di voto del

singolo azionista nelle Spa bancarie risultanti dalla trasformazione di banche popolari,

essendo meramente facoltativa, rientra nella competenza dell’assemblea straordinaria.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Pagina a cura di

Angelo Busani

Lorenzo Lampiano

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MF

Numero 123, pag. 3 del 25/06/2015

PRIMO PIANO

Nel provvedimento inserito un meccanismo di salvaguardia per i conti pubblici

Dl banche senza effetti sul gettitoLa riduzione a un anno del periodo di deducibilità delle perdite sui crediti varrà solo per i nuovi non performing loans. Lo stock pregresso sarà invece spalmato percentualmente su 10 esercizi

di Antonio Satta

All'Abi non nascondono la soddisfazione per l'approvazione in Consiglio dei ministri del decreto che permette

di dedurre le perdite sui crediti in un solo anno, al posto dei cinque della precedente normativa. Eppure il

vantaggio fiscale per quest'anno non ci sarà per effetto di un meccanismo di compensazione introdotto dal

governo, allo scopo di evitare problemi di gettito a fine anno. Il nuovo regime, infatti, vale solo per i non

performing loan che saranno portati in

svalutazione da ora in poi. Lo stock

preesistente, formato dalle rate

annuali delle precedenti svalutazioni,

sarà spalmato su dieci anni.

Attualmente, infatti, ogni anno le

banche portano in detrazione una rata

delle sofferenze già svalutate,

secondo i meccanismi in vigore negli

anni passati (fino al 2013, per effetto della regola voluta da Giulio Tremonti, le perdite dovevano essere

distribuite su 18 anni; da fine 2013 la rateizzazione è stata invece suddivisa in cinque esercizi). Ora l'intero

stock, a prescindere dalle vecchie scadenze, verrà diluito in dieci rate annuali. Un riscadenzamento che

compensa il minor gettito che potrebbe crearsi già da quest'anno. Tanto che, presentando il provvedimento, il

ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, ha detto che per il 2015 potrebbe addirittura esserci un piccolo

beneficio per i conti pubblici. Quello che è certo è che non ci sarà alcun vantaggio immediato per i conti delle

banche, che però, come già detto, festeggiano. «Una delle principali penalizzazioni fiscali che ci

discriminavano in Europa è stata rimossa, e questo è un passo avanti notevole», sottolineano all'Abi, «ma

questa misura va considerata anche in connessione con le altre norme introdotte al fine di rendere più celere

il recupero dei crediti. Tutte insieme rappresentano il primo passo per creare un vero mercato dei non

performing loan». Il decreto cambia vari aspetti delle attuali procedure fallimentari, rendendo il percorso non

solo più celere (l'obiettivo è quello di far calare a cinque anni la durata media, che ora si avvicina agli otto),

ma anche più efficiente, introducendo la concorrenza nel concordato preventivo. I commissari, per esempio,

qualora non fossero convinti di una manifestazione d'interesse ricevuta per gli asset in liquidazione, potranno

aprire un asta per la presentazione di offerte irrevocabili. Non solo. Sia i creditori che altri soggetti terzi

potranno presentare offerte alternative al piano di ristrutturazione o al concordato proposto dall'imprenditore

debitore. Tempi più stringenti, inoltre, saranno previsti per la chiusura delle procedure. Ma la novità più

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importante, forse, riguarda i casi, sempre più frequenti, di crisi d'impresa in cui oltre la metà del debito è nei

confronti di banche e altri intermediari finanziari. Sarà possibile, come in altri Paesi europei, che gli accordi di

ristrutturazione del debito siano presi a maggioranza. Saranno quindi evitate le lungaggini che si creano

quando un istituto, magari fra quelli meno esposti, si oppone all'accordo di ristrutturazione del debito. Il

decreto prevede che, nel caso non si raggiunga l'unanimità, l'intesa presa a maggioranza avrà effetti pure per

gli istituti che non l'avranno sottoscritta. Questi, comunque, avranno a disposizione un mese di tempo per

presentare al giudice le loro ragioni. Sarà quindi quest'ultimo a decidere se il piano avrà o no effetti anche su

chi si oppone, che in ogni caso non avrà più un diritto di veto.

Decisamente soddisfatto il ministro Padoan, secondo il quale queste misure «ci avvicinano e allineano ai

migliori standard internazionali». I provvedimenti, ha proseguito, «avranno una valenza positiva non solo

sulle banche ma anche sul rapporto tra creditori e debitori. Aiuteranno le banche a recuperare i crediti

incagliati e faciliteranno l'accesso al credito alle imprese e consentiranno l'intervento di altri soggetti»,

Valutazioni positive sono arrivate anche da Bankitalia. Carmelo Barbagallo, capo dipartimento della Vigilanza

bancaria e finanziaria, dopo aver premesso che bisogna attendere il testo definitivo del decreto, ha aggiunto

che «se ci saranno i due contenuti attesi, e cioè lo snellimento delle procedure esecutive e la riduzione da 5

anni a uno del periodo di deducibilità fiscale delle perdite su crediti, si tratterà di interventi importanti, che

potranno dare una mano alla crescita dell'economia», attraverso un aumento del credito. Mentre pollice verso

al decreto è arrivato dalla senatrice del M5S e vicepresidente della Commissione Bilancio, Barbara Lezzi.

«Ripulendo i bilanci bancari senza alcuna attenzione alla domanda interna si sposa il modello neoliberista,

proiettato sulla selvaggia riduzione dei salari e le esportazioni a tutti i costi, e si materializza il pericolo di

nuove bolle finanziarie. Le banche cadono sempre in piedi: quando soffrono per i loro errori arriva il governo

Renzi a ripulire le sofferenze, e la giostra riparte». (riproduzione riservata)

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MF

Numero 123, pag. 3 del 25/06/2015

PRIMO PIANO

Ma il decreto rischia addirittura di peggiorare la qualità dei crediti

di Guido Salerno Aletta

Il recentissimo decreto legge che consente alle banche di dedurre fiscalmente in un solo esercizio le perdite

derivanti dalla svalutazione dei crediti rappresenta una decisione fondamentale per accelerare la pulizia dei

loro bilanci. Non è un regalo per le banche, anzi: il Fisco si trova a pagare il costo della recessione

economica determinata dagli errori di previsione sottostanti alle manovre di bilancio adottate in questi anni.

Le perdite sui crediti e le svalutazione sui cespiti messi a garanzia non rappresentano altro che la continua

emersione dei danni subiti dal sistema economico nel suo complesso. Venendo finalmente meno il

disincentivo fiscale a disfarsi dei crediti ammalorati, le banche saranno indotte ad accelerarne la cessione, in

uno con le garanzie che li accompagnano.

Nel decreto c'è poi una serie di altre disposizioni volte ad accelerare l'incasso dei crediti bancari e le

procedure concorsuali: la prospettiva di un'esecuzione forzata più rapida in danno del debitore dovrebbe

elevare il valore attribuito dal mercato al credito che viene ceduto. Ciò è sicuramente vero a livello

microeconomico e in condizioni di normalità: viceversa, considerando l'ammontare complessivo delle

sofferenze bancarie lorde accumulate per via della crisi, c'è il rischio opposto. A livello macroeconomico c'è

una persistente debolezza sistemica di interi comparti produttivi, primo tra tutti quello immobiliare, per cui si

può verificare un duplice fenomeno negativo: in primo luogo, una volta venuto meno il sostegno del credito

bancario, ceduto a un operatore specializzato nel suo recupero forzoso, le aziende potrebbero trovarsi con le

spalle al muro, con l'unica prospettiva del fallimento. Anche perché a quel punto le alternative rappresentate

dalla ristrutturazione del credito bancario e dagli accordi bonari con i fornitori, attraverso le procedure di

concordato in bianco finalizzate alla prosecuzione della attività aziendale, saranno state sicuramente già

perseguite. In pratica, la crisi economica, da cui sembra che stiamo finalmente uscendo, potrebbe

nuovamente aggravarsi. In secondo luogo, la mole eccezionalmente elevata di asset offerti sul mercato

potrebbe portare a un risultato opposto rispetto alla valorizzazione dei crediti in sofferenza: massicce vendite

forzate di abitazione, di magazzini e di capannoni industriali farebbero crollare il prezzo di riferimento. Si

perseguirebbe, per le stesse banche, un rimedio peggiore del male, perché dovrebbero svalutare tutti gli

asset in garanzia, anche se riferiti a crediti in bonis.

La ratio del decreto legge è ineccepibile e, per quanto riguarda il sistema bancario, condivisibile. Anche

l'accelerazione delle procedure giudiziarie e paragiudiziarie volte all'escussione dei crediti ha un suo

fondamento, ma solo in via astratta. Ancora una volta, manca una simulazione macrofinanziaria e

macroeconomica degli effetti del provvedimento: le uniche previsioni si riferiscono agli effetti diretti sulle

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entrate dello Stato, come se fosse questa la verifica dell'unica razionalità ammessa per un legislatore che

interviene su fenomeni sistemici. Ci sono in ballo, come tutti sanno, crediti e asset per un centinaio di miliardi

di euro, con ripercussioni che vanno al di là dei bilanci bancari. È dunque una decisione pericolosamente

monca, e non tanto per quanto riguarda la mancata istituzione di una bad bank di sistema.

Va dunque sfruttato il tempo a disposizione per la conversione in legge del decreto per mettere a punto una

serie di misure volte a evitare che per il sistema economico e finanziario si determinino conseguenze di gran

lunga peggiori rispetto alla situazione attuale. Servono incentivi immediati, chiari e prospetticamente

convincenti, sia per l'acquisto delle abitazioni da parte dei cittadini, sia per i fondi di gestione immobiliare, sia

per i patrimoni immobiliari aziendali. Troppo facile tornare indietro con la memoria, alla legge Tupini del

secondo dopoguerra, ai decreti Goria per agevolare l'acquisto della prima casa da parte delle giovani coppie,

alla normativa sulla riconversione industriale e la ristrutturazione di settore. Non basta limitarsi al lavoro

copiato dai report degli analisti e dei consulenti sullo smobilizzo delle sofferenze bancarie: sono compiti a

casa troppo facili da svolgere, financo banali. Danno un senso di finta sicurezza. Ci fanno sentire sulla buona

strada, mentre siamo invece nella fase più pericolosa di una politica economica, quella che si focalizza sulla

pars destruens. Prima di prendere in mano il piccone per buttare giù quanto rimane di molte imprese travolte

dalla crisi, bisogna anche indicare dove e come iniziare subito a ricostruire. Per evitare di rimanere tutti

travolti dalle macerie. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 123, pag. 8 del 25/06/2015

MERCATI

Oggi chiude l'aumento da 850 mln che, dopo un avvio piatto, ha messo il turbo

Carige verso il tutto esauritoA ricapitalizzazione chiusa partirà il dialogo tra Malacalza e gli altri soci (non solo Volpi). Con Bpce scesa sotto al 2%, gli azionisti forti potrebbero voler più spazio in cda. L'ente chiude i conti col passato

di Claudia Cervini

Oggi Banca Carige termina la cura ricostituente da 850 milioni di euro cui è stata sottoposta per irrobustire il

patrimonio dopo la pagella Bce su asset quality review e stress test. Il mercato è sereno circa l'esito della

ricapitalizzazione che pare procedere a passo spedito e, comunque, sarà garantita integralmente da un

consorzio di banche capeggiato da Mediobanca. «Se il primo periodo dell'aumento (partito l'8 giugno, ndr) ha

risentito della diffidenza degli investitori retail, scottati dalla precedente ricapitalizzazione, nella seconda fase

il mercato è stato rassicurato dall'interesse dei grandi soci a crescere nel capitale», commenta a MF-Milano

Finanza un analista. «Gli azionisti hanno aspettato che i diritti scendessero per fare incetta». Grande festa

quindi? «Non è di per sé una buona notizia, tutto sta nell'identificare chi ha comprato».

L'aumento ha riservato anche qualche sorpresa, come l'ingresso di Generali, che ora

detiene il 5,122% di Carige. La partecipazione è detenuta tramite Generali

Investments Sicav, in proprietà diretta ed «è riferita al capitale sociale di Banca Carige

senza tener conto dell'aumento di capitale in corso». La posizione è di puro asset

management, ha spiegato nei giorni scorsi Generali. Secondo alcuni analisti

contattati, l'aumento a forte sconto e la forte pressione sui diritti hanno richiamato

l'attenzione di colossi come Generali, i quali hanno intravisto un'opportunità di trading. Nulla di più. Al di là di

queste prime considerazioni va ricordato che per i numeri ufficiali bisognerà

attendere la serata di oggi, mentre la composizione precisa dell'azionariato non

verrà svelata prima di domani (come da obblighi Consob). Intanto i soci si scaldano

per dare forma alla nuova Carige. Da domani inizierà, presumibilmente, il valzer

delle alleanze. Malacalza ha sempre detto di essere aperto al dialogo e sia le

Coop, insieme alle fondazioni pattiste, sia gli altri azionisti come l'imprenditore

Gabriele Volpi, hanno interesse ad aprire un canale di comunicazione. Ieri il

presidente Cesare Castelbarco Albani ha affermato che il cda, in merito alla

cessione di Banca Cesare Ponti, deciderà il 30 giugno. Su Creditis, per la quale è

in corso una trattativa con Apollo Capital Management, invece, si deciderà più avanti. Castelbarco non ha

aggiunto null'altro sulle strategie di Carige. Nelle prossime settimane potrebbe registrarsi qualche colpo di

scena in merito al board. Il cda dell'istituto ligure scadrà infatti il prossimo aprile. E sebbene qualche nuovo

ingresso si sia già verificato (tre consiglieri sono stati cooptati) un rimpasto non è da escludere. Soprattutto

dopo che i francesi di Bpce, che contano attualmente quattro consiglieri (Jérôme Gaston Raymond Bonnet,

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Philippe Marie Michel Gaursuault e Philippe Wattecamps e Guido Pescione), sono scesi sotto al 2%. Questo,

per ora, è un ragionamento. Bisognerà infatti capire quante quote saranno in possesso della banca francese

a fine aumento e anche che cosa chiederanno i soci forti.

La Fondazione Carige che è rimasta nella governance della banca grazie a un patto parasociale stretto con

Malacalza, si appresta invece a chiudere i conti coi fantasmi del passato. Secondo quanto risulta a MF-

Milano Finanza è in dirittura d'arrivo la due diligence circa la passata gestione dell'ente e, il dossier, verrà

presto esaminato dal cda. I membri si stanno confrontando sulla convocazione del board che si terrà prima

dell'estate e dirà la sua sulla passata gestione. Si fa quindi più concreta un'azione di responsabilità nel caso

di irregolarità. Intanto ieri il titolo Carige ha vissuto un'altra giornata di passione chiudendo a 1,72 euro, in

calo del 5,39%. L'azione era in buona compagnia visto che il Ftse Italia banche ha chiuso in terreno negativo

(-0,79%) sulla scia dell'incubo Grecia. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 123, pag. 9 del 25/06/2015

MERCATI

Bankitalia e bce potrebbero esprimersi in tempi rapidi sulla bozza di statuto

Ubi in volata per diventare spaIl documento fissa i paletti della trasformazione, ma l'attuale struttura di governo sarà mantenuta Sul tavolo del cds il rompicapo del recesso. E si ipotizza una norma-ponte per gli amministratori

di Luca Gualtieri

Potrebbe procedere velocemente la trasformazione in spa di Ubi Banca, la prima popolare ad allinearsi alla

legge Renzi-Padoan. Dopo l'ok dei board la bozza di statuto sarebbe ora all'esame delle autorità di vigilanza

(Banca d'Italia e Bce) per il processo autorizzativo che potrebbe concludersi prima dei 60 giorni canonici.

Nel dettaglio, il documento fisserebbe i paletti della nuova governance, in linea con la riforma e con il

regolamento attuativo pubblicato da Bankitalia e destinato a entrare in vigore sabato 27 giugno. Nulla invece

dovrebbe cambiare per l'architettura di Ubi e per il suo sistema di governance duale,

tanto più che proprio nell'ultima assemblea il numero di deleghe è stato alzato a dieci,

mentre le indicazioni contenute nella circolare 285 possono considerarsi già recepite

dallo statuto attuale. Una volta concluso l'iter autorizzativo la banca dovrà poi

affrontare il tema del recesso che molti giuristi ritengono l'aspetto più spinoso della

trasformazione. Il regolamento attuativo attribuisce tale incombenza «all'organo con

funzione di supervisione strategica», cioè nel caso di Ubi al consiglio di sorveglianza,

e per la cornice normativa fa esplicitamente riferimento al regolamento europeo Crr,

che ha introdotto gli standard di Basilea negli Stati membri della Ue. Nel fissare i paletti del rimborso il cds

dovrà tenere conto della «situazione prudenziale della banca» e, in particolare, del rispetto dei coefficienti

minimi di capitale. All'interno di questa cornice normativa (che peraltro non contempla il caso della

trasformazione in spa di una cooperativa) l'asticella dovrà

essere fissata a discrezione del board con modalità ancora

tutte da definire. Non sarà una scelta facile per gli

amministratori, visto che paletti troppo stretti potrebbero

contrariare i soci recedenti e aumentare il rischio di vertenze

legali, soprattutto perché il recesso è un diritto riconosciuto

dal codice civile. Tanto più che ad oggi non è chiaro quanti

azionisti decideranno di chiedere il rimborso. Molto dipenderà

dall'andamento del titolo nei mesi che precederanno

l'assemblea: se infatti il trend rialzista si interrompesse, recedere diventerebbe una mossa conveniente per

chi volesse monetizzare.

Altra questione interessante sarà quella relativa alla continuità degli attuali vertici. Dal punto di vista formale

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nulla obbliga gli amministratori a fare un passo indietro dopo la trasformazione in spa, ma inevitabilmente il

passaggio alla spa depotenzierà la squadra di vertice. Ecco perché all'assemblea potrebbe essere

presentata una norma transitoria che di fatto confermi i consiglieri nel loro ruolo fino alla naturale scadenza

del 2016. Va da sé che il provvedimento non è strettamente necessario, perché i soci avrebbero comunque

la facoltà di chiedere una nuova assemblea e il rinnovo dei vertici. Decidere di non farlo sarebbe una

manifestazione implicita di fiducia.

Sullo sfondo restano poi le ipotesi di aggregazione che potrebbero prendere forma dopo la trasformazione.

Dopo i contatti assai informali dei mesi scorsi, sembra che il dossier Mps si sia raffreddato mentre sul

mercato si torna a speculare su un'integrazione con il Banco Popolare. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 123, pag. 10 del 25/06/2015

MERCATI

Sul mercato mezzo miliardo di crediti deteriorati. closing previsto entro l'estate

Bcc, via alla gara sulle sofferenzeNel pacchetto figurano posizioni chirografarie e ipotecarie di 50 banche. In pista 15 operatori specializzatiitaliani ed esteri. Presto le offerte non vincolanti. Il nodo dei prezzi

di Luca Gualtieri

Mentre Iccrea è alla ricerca di nuovi assetti di governance che permettano di superare l'attuale

frammentazione, nel sistema delle oltre 400 banche credito cooperativo italiane ha preso forma la prima,

grande azione coordinata in materia di gestione di non performing loans. Come anticipato da MF-Milano

Finanza a fine aprile, Iccrea si è posta l'obiettivo di cedere un robusto pacchetto di crediti deteriorati,

probabilmente uno dei più consistenti arrivati sul mercato negli ultimi mesi. La raccolta delle adesioni si

sarebbe chiusa proprio in questi giorni con una cinquantina di istituti disposti a partecipare al progetto e uno

stock iniziale dal valore nominale di circa 500 milioni. Adesso la palla passa ai 15 soggetti finanziari che

hanno messo nel mirino l'operazione, un nutrito gruppo che comprende soggetti italiani ed esteri con diversi

specializzazioni, dal real estate all'unsecured. I potenziali compratori si esprimeranno nelle prossime

settimane, formulando un'offerta non vincolante con un relativo range di prezzo. Le banche decideranno a

quel punto se le condizioni economiche dell'operazione saranno convenienti e se, come auspicato dai vertici

di Iccrea, si potrà arrivare al closing entro l'estate. Come spesso accade in operazioni ad ampio raggio, i

portafogli sul tavolo hanno composizione assai variegata con crediti sia chirografari che ipotecari, anche se

quest'ultimi fanno comunque la parte del leone visto che rappresentano oltre la metà dello stock complessivo.

In pista, poi, potrebbero esserci anche altre iniziative analoghe. Secondo quanto si apprende in ambienti

finanziari, Cassa Centrale Banca (partecipata al 25% da Dz Bank) potrebbe coordinare una nuova cessione

di npl per conto delle bcc trentine in base a uno schema già impostato lo scorso anno con una primaria

banca d'investimento. Anche in questo caso si starebbe ragionando su uno stock per nominali 400-500

milioni, superiore insomma a quello finito sul mercato nel novembre 2014.

Sicuramente l'operazione messa in pista da Iccrea potrebbe dare un segnale importante al sistema, così

come ha fatto la cessione da 1,3 miliardi annunciata martedì 23 dal Monte dei Paschi. In quel caso la banca

senese ha venduto a Banca Ifis e a fondo americano Cerberus Capital Management un portafoglio originato

dalla ex controllata Consum.it (prestiti personali, carte di credito e prestiti finalizzati). Per Mps (che ha in

pancia quasi 24 miliardi di sofferenze) si è trattato certamente di un passo importante, che ha fatto seguito

all'esternalizzazione della gestione operativa dei crediti in sofferenza non core, formalizzata all'inizio

dell'anno. Sempre nell'ambito dei prestito non assistiti da garanzie immobiliari, è di una settimana

l'operazione da 210 milioni annunciata dal Banco Popolare che ha visto come controparte Hoist Finance,

l'operatore specializzato svedese quotato al Nasdaq di Stoccolma. L'auspicio degli operatori è insomma che il

mercato possa finalmente mettersi in moto dopo la gelata degli ultimi anni. Ma è bene non farsi troppe

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illusioni. Senza interventi normativi, per gli istituti permane il nodo delle valutazioni: di solito l'operazione va in

porto solo se il valore di carico degli asset è realistico, cioè se le banche, prima di cedere i crediti, li hanno

svalutati in misura significativa, quindi bruciando patrimonio. Per questa ragione finora è stato difficile

incrociare domanda e offerta, anche se le misure allo studio del governo potrebbero sbloccare la partita.

(riproduzione riservata)

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MF

Numero 124, pag. 10 del 26/06/2015

MERCATI

Nel 2014 numeri in crescita per quaestio, la sgr cui si sono affidati cariplo e mps

Fondazioni, così cresce il tesorettoLa gestione ha reso l'8,31%, ben più del benchmark. Nel 2015 nuovi prodotti e clienti in crescita. Altre fondazioni potrebbero farsi avanti dopo il recente protocollo Acri-Mef

di Luca Gualtieri

Il protocollo Acri-Tesoro cambierà profondamente le strategie di investimento delle fondazioni italiane,

soprattutto di quelle sovraesposte su un singolo investimento bancario. Se molti enti non hanno ancora

deciso che strada seguire, c'è chi può ritenersi soddisfatto delle scelte finanziarie fatte negli ultimi anni e

proporsi come modello per il sistema. È il caso della Fondazione Cariplo che lo scorso anno ha conferito

l'intera partecipazione in Intesa Sanpaolo (pari al 4,95% del capitale) a Quaestio Capital Management Sgr.

Alla società milanese guidata dall'amministratore delegato

Paolo Petrignani e partecipata indirettamente dalla stessa

Cariplo (che detiene il 37,65% dalla lussemburghese

Quaestio Holding) si è recentemente affidata anche la

Fondazione Monte dei Paschi, come annunciato dal

presidente Marcello Clarich. Dopo le dismissioni compiute nel

2014, l'ente senese ha infatti bisogno di valorizzare una

liquidità di oltre 400 milioni e per questo a inizio anno ha

deciso di bussare a Quaestio Capital Management. I numeri

del bilancio 2014 della sgr (chiuso con un utile di 3,1 milioni

rispetto gli 1,6 milioni dell'esercizio precedente) danno ragione alla scelta compiuta da Guzzetti e da Clarich e

potrebbero persuadere qualche altro presidente a contattare la società milanese. La gestione del comparto

Fund One (in cui è investita la parte prevalente del patrimonio della Cariplo, pari a 5,4 miliardi) ha registrato

una performance assoluta dell'8,31%, superando il benchmark di riferimento. Anche altri prodotti gestiti

hanno avuto performance positive con rendimenti variabili a seconda della tipologia di investimento, battendo

in alcuni casi i rispettivi benchmark. Soddisfatti i clienti, ma soddisfatti anche i gestori visto che

complessivamente sono state generate performance fee per 2,56 milioni di euro rispetto agli 1,9 milioni

maturati nel 2013. Più in generale l'anno scorso le management fees nette sono salite da 4,9 a 6,7 milioni di

euro.

La relazione di bilancio, consultata da MF-Milano Finanza, spiega che nel 2014 Quaestio Capital

Management ha rafforzato la propria struttura organizzativa con l'assunzione nell'area investimenti di tre

nuovi gestori dedicati alla gestione del settore obbligazionario e dei portafogli costituiti da fondi. Anche la

piattaforma prodotti è stata ampliata con l'istituzione del nuovo fondo Quaestio European Equity Fund,

mentre per il Quaestio Capital Fund è stato attivato il cosiddetto dynamic pooling, un sistema che permette

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l'allocazione dinamica dei mandati affidati ai gestori terzi a tutti i comparti del fondo. È stato inoltre presentato

il piano commerciale strategico triennale 2015-2017 che prevede, «con l'allargamento dell'offerta dei prodotti

e il pieno sviluppo dell'attività, un incremento significativo delle masse in gestione con la tradizionale clientela

istituzionale, sviluppando anche il segmento retail con la distribuzione tramite i canali del private banking».

Per il 2015, spiega la relazione di bilancio, «prevediamo un miglioramento dei risultati di gestione rispetto al

2014, dovuto alla migliore efficienza gestionale derivante dall'introduzione del dynamic pooling e

all'espandersi dell'attività commerciale verso nuovi clienti favorita dai risultati positivi e dalle caratteristiche

innovative dei prodotti gestiti», spiega il documento, che conclude: «I risultati della società dovrebbero

beneficiare anche del lancio di nuovi prodotti gestiti internamente». La relazione dà anche notizia di

un'ispezione della Banca d'Italia che si sarebbe conclusa a inizio anno con esito positivo. «Dal rapporto

ispettivo», spiega il bilancio, «non sono emerse particolari criticità sul lato operativo, mentre vengono

suggeriti taluni interventi di miglioramento, una parte dei quali sono già stati realizzati». (riproduzione

riservata)

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MF

Numero 124, pag. 10 del 26/06/2015

MERCATI

Al via la piattaforma Kkr con Unicredit e Intesa

di Andrea Di Biase

Intesa Sanpaolo, Unicredit e Kkr Credit (parte di Kkr & Co, una delle principali società internazionali di

investimento) hanno raggiunto un accordo in base al quale, al soddisfacimento di alcune condizioni, le due

maggiori banche italiane trasferiranno la loro esposizione in crediti ed equity relativi a un selezionato numero

di imprese in ristrutturazione in un veicolo gestito dalla piattaforma italiana lanciata da Kkr Credit. La

piattaforma, che sarà guidata da Andrea Giovanelli e si avvarrà di Alvarez&Marsal

come preferred service provider, ha lo scopo di fornire ad alcune società industriali

medio-grandi (le aziende che saranno incluse nel portafoglio iniziale sono: Alfa Park,

Burgo, Comital Saiag, Lindberg, Manucor e Orsero) nuovi capitali e competenze

operative, supportando così le banche nella gestione dei propri asset. La piattaforma,

che è aperta anche ad altre banche e imprese, ha l'obiettivo di consentire alla società

di ritrovare l'equilibrio finanziario, di tornare a crescere e a creare valore a beneficio

di tutti gli stakeholders, inclusi gli attuali azionisti delle società stesse e le banche,

che condivideranno i ritorni positivi conseguenti alla ripresa delle performance delle

società e del valore dei relativi asset iscritti a bilancio. Per Carlo Messina, consigliere delegato e ceo di Intesa

Sanpaolo, «le condizioni attuali dei mercati e i nuovi contesti regolatori impongono alle banche una gestione

sempre più innovativa e professionale dei crediti deteriorati». Federico Ghizzoni, ceo di Unicredit, ha

commentato: «Sono particolarmente orgoglioso di questa iniziativa, una struttura altamente innovativa

sviluppata da noi in collaborazione con Kkr e Intesa e che potrebbe essere replicata anche in altri contesti in

Europa». (riproduzione riservata)

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FINANZA & MERCATI 26 GIUGNO 2015Il Sole 24 Ore

Banche. Nel veicolo attivi per un miliardo di euro

UniCredit e Intesa, c’è l’accordo con Kkr sui

crediti ristrutturati

Come anticipato domenica da Il Sole 24 Ore, dopo un anno e mezzo di trattative è stato firmato ieri l’accordo tra Kkr,Intesa Sanpaolo e UniCredit per la gestione congiunta di alcuni crediti relativi a imprese in fase di restrutturazione: si parte con crediti e nuova finanza per un importo pari a circa un miliardo, mentre le prime sei aziende coinvolte - secondo quanto risulta a Il Sole - sarebbero Comital, Alfa Park, Orsero, Burgo, Lediberg e Manucor.A ognuna di esse la piattaforma potrà fornire «nuovi capitali e competenze operative, supportando così le banche nella gestione dei propri asset», si legge in una nota congiunta diffusa ieri. L’operazione ha infatti l’obiettivo di «consentire alla società di ritrovare l’equilibrio finanziario, di tornare a crescere e a creare valore a beneficio di tutti gli stakeholder, inclusi gli attuali azionisti delle società stesse e le banche, che condivideranno i ritorni positivi conseguenti alla ripresa delle performance delle società e del valore dei relativi asset iscritti a bilancio». L’operazione, come noto, sarà interamente finanziata da capitali privati, e vedrà anche il coinvolgimento di Alvarez&Marsal nel ruolo di preferred service provider (e non di co-finanziatore come sembrava inizialmente, per evitare potenziali conflitti d’interessi). «È la prima iniziativa in larga scala in Italia e in Europa ed è la prima operazione della piattaforma paneuropea lanciata da Kkr Credit», commenta Johannes P. Huth, Responsabile di Kkr Europe, Africa e Middle East. Nel dettaglio, saranno costituite due newco. Una Spa, partecipata al 100% da Kkr, che a sua volta controllerà un Veicolo 130, al quale saranno conferite - in cambio di obbligazioni - le esposizioni di Intesa, UniCredit e di altre banche, nel caso in cui ci siano altri creditori e siano interessati a partecipare. Ceo del Veicolo 130 sarà Andrea Giovanelli, fino a ieri head of restructuring large files di UniCredit. Ad accomunare le aziende coinvolte, diverse per dimensioni e settore, il fatto di avere serie possibilità di rilancio ma i propri crediti in ristrutturazione, situazione di semi-paralisi che di norma impedisce l'erogazione di altre risorse nelle vie tradizionali. Folta la pattuglia degli advisor: Paul Hastings ha assistito Kkr nella strutturazione della innovativa struttura contrattuale, ma gli americani sono stati inoltre assistiti da Tremonti Vitali Romagnoli Piccardi e Associati per gli aspetti fiscali dell’operazione. UniCredit e IntesaSanpaolo sono state assistite da D’Urso, Gatti e Bianchi, da Gianni Origoni, Grippo, Cappelli & Partners per gli aspetti inerenti alla cartolarizzazione e da Di Tanno e Associati per gli aspetti fiscali.© RIPRODUZIONE RISERVATAMa.Fe.

Pagina 1 di 1Il Sole 24 Ore

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ASSICURAZIONI

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MF

Numero 122, pag. 9 del 24/06/2015

DENARO & POLITICA

Nel 2014 le italiane hanno raccolto 150 miliardi, meglio della media continentale

Compagnie campioni d'EuropaLe assicurazioni hanno raggiunto un roe del 9,3% e non sembrano preoccupate neppure da tassi bassi e da Solvency II. Ora devono investire in economia reale, con un potenziale di 60 miliardi

di Anna Messia

Sono in buona salute le compagnie assicurative italiane e per certi aspetti sono messe anche meglio di alcuni

competitor europei. Il quadro delineato ieri dal presidente Ivass, Salvatore Rossi, durante la relazione

annuale dell'istituto di controllo, è confortante. La crisi del biennio 2010-2011, che aveva imposto alle imprese

perdite cumulate per circa 4,4 miliardi, è ormai definitivamente alle spalle. Nei tre anni successivi sono tornati

i profitti, dell'ordine di 5-6 miliardi l'anno. «Tutti i rami di attività hanno contribuito al buon risultato», ha

dichiarato Rossi, e le imprese italiane in questi anni hanno migliorato la redditività, recuperando terreno

rispetto al resto d'Europa. L'anno scorso «il roe complessivo per l'industria assicurativa italiane è salito al

9,3%, rispetto all'8,2% del 2013, allineandosi a quello medio europeo», si legge nella relazione. Se si guarda

la raccolta premi, le compagnie assicurative italiane nel 2014 hanno poi ottenuto un risultato decisamente

migliore di quello medio europeo con un circa 150 miliardi rastrellati, il 20% in più del 2013 che era già stato

un anno in crescita. Tanto che oggi l'industria assicurativa rappresenta circa il 9% del pil e gli investimenti

delle compagnie di assicurazione hanno raggiunto 630 miliardi, quasi il 12% in più rispetto a fine 2013. Una

crescita spinta tutta dal comparto Vita, mentre le polizze Danni, in particolare quelle Rc Auto, sono in una

fase discendente e la cronica sottoassicurazione degli italiani negli altri rami Danni non accenna a mutare.

In ogni caso le imprese italiane hanno le spalle larghe anche di fronte all'imminente arrivo della rivoluzione

Solvency II, che da gennaio prossimo cambierà le regole di valutazione del rischio e di assorbimento di

capitale. Stime puntuali degli effetti sul capitale sono ancora premature, perché le imprese sono «ancora in

mezzo al guado», come ha dichiarato Rossi, ma dalle prime segnalazioni di vigilanza coerenti con Solvency

II, riferite al 31 dicembre 2014, sono emerse indicazioni complessivamente tranquillizzanti: i fondi propri

ammissibili a copertura dell'indice di solvibilità «si commisurano per l'intero sistema a più di 2 volte il requisito

regolamentare», si legge nella relazione. In pratica in media il sistema avrebbe il doppio del capitale richiesto

e le imprese che necessiterebbero di aumenti di capitale rappresentano appena il 3% del mercato in termini

di raccolta.

Certo, restano da definire dettagli non trascurabili. Le imprese stanno mettendo a punto i propri modelli

(scegliendo tra la formula standard prevista di default da Solvency II o prevedendo corretti e modelli interni) e

resta anche da chiarire come bisognerà considerare il rischio sovrano nei modelli stessi. Un nodo rilevante

per le assicurazioni italiane, che in pancia hanno più di 250 miliardi di euro di titoli di Stato italiani e che

potrebbero essere costrette a cambiare scelte d'investimento qualora si decidesse per la stretta. Lo scorso

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aprile, come noto, l'Eiopa ha suggerito di considerare rischiosi i titoli di Stato, ma con il voto contrario

dell'Ivass, e il dibattito è ancora aperto. In ogni caso, a prescindere da quale sarà l'orientamento europeo

definitivo, l'autorità guidata da Rossi ha già chiesto alle imprese italiane di prendere in considerazione il

rischio sovrano «valutandone caso per caso le eventuali implicazioni, anche in termini di coefficienti

patrimoniali».

Confortanti sono intanto anche i risultati arrivati dallo stress test lanciato dall'Eiopa lo scorso anno e che

prevedeva due scenari. Uno shock sugli spread da una parte e uno scenario di persistenti bassi tassi

d'interesse dall'altra. Il secondo «è nel frattempo quasi realtà», ha sottolineato Rossi, riducendo lo scarto tra

rendimenti ottenuti e garanzie finanziarie promesse ai detentori delle polizze Vita tradizionali. In Italia questo

scarto, nello scenario di stress, era però ancora positivo, cioè 55 punti base. In pratica non c'era problema

per le coperture degli impegni presi nei confronti degli assicurati, a differenza di Germania e Francia, dove lo

scarto era invece negativo rispettivamente per 43 e 56 punti. A rendere più problematica la situazione dei

sistemi assicurativi francesi e tedeschi era poi anche il disallineamento tra attivi e passivi, inesistente in Italia.

Le sfide per il sistema assicurativo italiano però non mancano. Anche le compagnie sono alle prese con la

rivoluzione tecnologica che sta investendo il mondo della finanza e devono ancora crescere molto per

recuperare il divario con il mondo bancario. Nell'area dell'euro, in media, le banche pesavano lo scorso anno

quattro volte e mezza più delle assicurazioni in termini di raccolta dell'attivo. Nel Regno Unito sei volte e in

Italia il divario è ancora più marcato, pari a sei volte e mezza. Le compagnie italiane stanno poi cercando di

riequilibrare la composizione dei loro portafogli, sia per ridurre il rischio di concentrazione (in Btp) sia per

cercare rendimenti più alti. Il decreto competitività ha consentito alle assicurazioni di investire in minibond,

cartolarizzazioni o di erogare credito diretto, liberando un potenziale di 60 miliardi di investimenti, che però,

come emerso dalla relazione Ivass, non è stato ancora usato dalle compagnie. Ma qualcosa di sta

muovendo, come sottolineato ieri dal presidente dell'Ania, Aldo Minucci, che ha parlato di 12 miliardi già

investiti dalle assicurazioni in pmi. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 122, pag. 9 del 24/06/2015

DENARO & POLITICA

Rossi: sui prezzi Rc Auto il gap con l'Ue si stachiudendo

di Janina Landau

Domanda. Presidente Rossi, che fotografia emerge dalla relazione annuale dell'Ivass da lei presentata?

Risposta. Il 2014 è stato un buon anno per le assicurazioni italiane; la raccolta premi è molto aumentata e le

compagnie hanno avuto una buona redditività. Il miglioramento del business è stato addirittura superiore a

quello registrato in media negli altri Paesi europei.

D. In Italia banche e assicurazioni sempre più allineate?

R. Banche e assicurazioni sono istituzioni finanziarie molto diverse, anche se hanno una

vasta area di sovrapposizione che probabilmente nei prossimi anni aumenterà e quest'area

ha molto a che fare con il risparmio a lungo termine e con la previdenza.

D. Sul fronte dei prezzi delle polizze Rc Auto il gap con il resto d'Europa resta ampio.

R. È un problema antico, presente da decenni, alla cui soluzione l'Ivass negli ultimi due o tre anni ha dedicato

molte risorse: noi però possiamo fornire contributi tecnici, ma sono governo e Parlamento che devono

riformare l'ordinamento in modo di favorire la soluzione del problema. Comunque negli ultimi due anni i prezzi

sono scesi, quindi siamo vicini a una possibile soluzione e ora in Parlamento sono in discussione norme che

potrebbero risolvere il problema.

D. Molte compagnie guardano a investimenti alternativi; come monitorate tale situazione?

R. La guardiamo con molta attenzione; è un tema emerso l'anno scorso in tutta Europa, Italia compresa. Il

decreto Competitività, convertito poi in legge, ha introdotto la possibilità per le

compagnie assicurative italiane, con alcuni limiti il cui presidio è stato affidato

all'Ivass, di avventurarsi con tutta la cautela necessaria nel terreno del credito, in

particolare alle pmi. Questa opportunità apparentemente non è stata colta dalle

compagnie italiane, come ho evidenziato nella mia relazione, forse perché i prodotti

che le compagnie hanno trovato sul mercato, in particolare i crediti cartoralizzati, non

erano sufficientemente attraenti.

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D. La Grecia e l'instabilità dei mercati quanto peseranno sul comparto assicurativo?

R. Ormai da anni siamo abituati a convivere con l'instabilità dei mercati. In realtà sulle compagnie

assicurative sta pesando il fatto che i tassi di interesse, quindi i rendimenti dei loro investimenti, sono molto

bassi da molto tempo. Questo è il vero problema per i conti delle assicurazioni italiane. (riproduzione

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Economia

Banche, Fisac: oggi a Trento manifestazione contro contratto truffa appalto assicurativoBanche, Fisac: oggi a Trento manifestazione contro contratto truffa appalto assicurativo

Manifestazione nazionale, e prima in assoluto, dei lavoratori e delle lavoratrici

assicurativi in appalto oggi a Trento. Oltre mille lavoratori provenienti da tutta Italia si

sono ritrovati nella città capoluogo del Trentino Alto Adige per manifestare contro il

contratto truffa al quale sono sottoposti. Lì infatti risiede e opera Claudio Demozzi, il

presidente dello Sna, il sindacato nazionale agenti di assicurazione, l'associazione

datoriale che ha sottoscritto circa nove mesi fa “un contratto di lavoro 'truffa', con la

compiacenza dei sindacati Fesica e Fisals, che non possiedono alcuna

rappresentanza nel settore assicurativo, cancellando invece il contratto legittimo

sottoscritto da Cgil Cisl Uil di categoria con Unapass”, fa sapere il segretario generale

della Fisac Cgil, Agostino Megale, oggi in piazza a Trento. “Stiamo parlano di un

settore che coinvolge 40 mila addetti, il 90 per cento dei quali donne impegnate in

piccole agenzie”, aggiunge Megale spiegando come “il contratto truffa viene applica

ad una parte minoritaria, un contratto sottoscritto circa nove mesi fa e che cancella tre

anni di difficile negoziato che abbiamo svolto per raggiungere un contratto tra noi e

Unapass, l'associazione datoriale che rappresenta il grosso degli agenti. Ora Sna e

sindacati gialli hanno firmato un contratto truffa per i lavoratori assicurativi dell'appalto

totalmente peggiorativo, con un salario inferiore del 20 per cento, la riduzione di

diversi diritti, l'abolizione della previdenza integrativa e altro ancora”.

Per questo oggi i sindacati 'rappresentativi' hanno promosso a Trento una

manifestazione nazionale, con il sostegno dei lavoratori 'più tutelati', “per sconfiggere

il contratto truffa e farne ritirare la sua applicazione”, spiega ancora Megale, che

aggiunge: “Molti dei lavoratori 'colpiti' da questo contratto hanno dovuto descrivere le

loro condizioni attraverso la voce di quelli più tutelati, per paura del ricatto, per

denunciare le loro condizioni. Lavoratori costretti al silenzio, la voce degli invisibili”.

Nel corso della manifestazione, fa sapere sempre il leader della Fisac, “l'agenzia del

di com/mpi - 23 giugno 2015 16:38

fonte ilVelino/AGV NEWSRoma

Pagina 1 di 2Banche, Fisac: oggi a Trento manifestazione contro contratto truffa appalto assicurat...

24/06/2015http://www.ilvelino.it/it/article/2015/06/23/banche-fisac-oggi-a-trento-manifestazione...

Page 48: 26 15 rassegna stampa fisac dal 22 giu al 26 giu

il Velino.it presidente dallo Sna, sotto il quale si manifestava, è stata costretta a chiudere. Oggi -

aggiunge il numero uno della Fisac - siamo scesi in piazza, con tutto l'impegno della

categoria e la solidarietà trasversale di tutti i lavoratori del settore, con l'obiettivo di

sconfiggere questo contratto truffa e farne ritirare la sua applicazione. Il tutto mentre i

lavoratori del credito hanno appena approvato il loro contratto con un consenso del

96 per cento che non ha precedenti nella storia. No al dumping contrattuale, per

questo siamo impegnati e chiediamo anche che Ania che si impegni a non applicare

tale contratto. Il governo faccia inoltre la sua parte, nel solco, come ho ricordato dal

palco di Trento, di quanto assunto dal sottosegretario al Lavoro, Teresa Bellanova,

con la presa di posizione assunta dal ministero del Lavoro il 24 marzo, che con nostro

grande apprezzamento ha affermato come il contratto di riferimento di questo settore

è quello sottoscritto da noi, che siamo i sindacati più rappresentativi”, conclude

Megale.

Pagina 2 di 2Banche, Fisac: oggi a Trento manifestazione contro contratto truffa appalto assicurat...

24/06/2015http://www.ilvelino.it/it/article/2015/06/23/banche-fisac-oggi-a-trento-manifestazione...

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Manifestazione dipendenti Assicurazioni a Trento, Allegri: «Siamo qui in difesa del contratto» Manifestazione a Trento per i dipendenti di agenzia di assicurazione aderenti a Fisac Cgil, First-Cisl, Uilca e Fna. A Trento anche una delegazione della Fisac Cgil di Piacenza con il segretario Giordano Allegri

Redazione 23 giugno 2015

Page 50: 26 15 rassegna stampa fisac dal 22 giu al 26 giu

Manifestazione a Trento per i dipendenti di agenzia di assicurazione aderenti a Fisac Cgil, First-Cisl, Uilca e

Fna. A Trento anche una delegazione della Fisac Cgil di Piacenza con il segretario Giordano Allegri.

Qui risiede ed opera il presidente del Sindacato Nazionale Agenti di assicurazione, associazione datoriale

che ha sottoscritto un contratto di lavoro con la compiacenza dei sindacati Fesica e Fisals, che non

possiedono alcuna rappresentanza nel settore assicurativo. La manifestazione nazionale intende sostenere

la vertenza per l’applicazione, a tutti i dipendenti delle agenzie di assicurazione, del CCNL di riferimento,

sottoscritto il 20/11/2014 dalle OO.SS. dei lavoratori maggiormente rappresentative della categoria, così

come indicato anche dalla nota specifica del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.

La giornata di mobilitazione e di protesta vuole dare voce a tantissime lavoratrici e lavoratori dipendenti delle

agenzie di assicurazione che sono costretti, per non rischiare il licenziamento, a subire la sottrazione di circa

7.000 euro di arretrati che coprono sei anni di vuoto contrattuale voluto da Sna, il quale nel proprio accordo

stabilisce, fino al 2017, tabelle economiche inferiori al dovuto, perché non tengono conto dell’aumento del

costo della vita registrato a partire dal 2009.

Il 23 giugno sarà una tappa fondamentale per riaffermare il diritto di tutti i dipendenti delle agenzie ad avere

un contratto collettivo di lavoro che possa e sappia tutelarli.

Le iniziative sindacali, tuttora in corso anche sul piano legale, continueranno fino a quando non sarà

totalmente sconfitto il disegno dello Sna e di Fesica – Fisals, diretto a danneggiare irreparabilmente i diritti

del personale che in tutti questi anni ha operato con professionalità e dedizione nelle agenzie, accrescendo

l’importanza del sistema distributivo agenziale e fornendo un servizio altamente qualificato a milioni di

assicurati italiani.

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News

CCNL dipendenti, manifestazione

delle OO.SS. firmatarie con ANAPA

–UNAPASS il 23 giugno a Trento12/06/2015

Le Segreterie Nazionali di First Cisl, Fisac Cgil, Fna e Uilca hanno indetto per il prossimo

23 giugno a Trento una manifestazione nazionale di sostegno alla vertenza per

l’applicazione, a tutti i dipendenti delle agenzie di assicurazione, del CCNL di categoria

sottoscritto dalle stesse organizzazioni sindacali il 20 novembre 2014 con le associazioni

datoriali ANAPA e UNAPASS Rete Impresagenzia.

Come sede della manifestazione è stata scelta Trento poiché si tratta della città nella

quale – si legge in una nota congiunta – “risiede ed opera il presidente del Sindacato

Nazionale Agenti di assicurazione (Claudio Demozzi, ndIMC), associazione datoriale

che ha sottoscritto un contratto di lavoro con la compiacenza dei sindacati Fesica e

Fisals”.

La giornata di mobilitazione e di protesta – prosegue la nota delle OO.SS. – “vuole dare

voce a tantissime lavoratrici e lavoratori dipendenti delle agenzie di assicurazione che sono

costretti, per non rischiare il licenziamento, a subire la sottrazione di circa 7.000 euro di

arretrati che coprono sei anni di vuoto contrattuale voluto da Sna, il quale nel proprio

accordo stabilisce, fino al 2017, tabelle economiche inferiori al dovuto, perché non tengono

conto dell’aumento del costo della vita registrato a partire dal 2009”.

Pagina 1 di 2CCNL dipendenti, manifestazione delle OO.SS. firmatarie con ANAPA–UNAPASS...

24/06/2015http://www.intermediachannel.it/ccnl-dipendenti-manifestazione-delle-oo-ss-firmatari...

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Secondo le rappresentanze sindacali firmatarie del CCNL dipendenti con ANAPA e

UNAPASS il 23 giugno sarà quindi “una tappa fondamentale per riaffermare il diritto di tutti i

dipendenti delle agenzie ad avere un contratto collettivo di lavoro che possa e sappia

tutelarli”.

Intermedia Channel

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Pagina 2 di 2CCNL dipendenti, manifestazione delle OO.SS. firmatarie con ANAPA–UNAPASS...

24/06/2015http://www.intermediachannel.it/ccnl-dipendenti-manifestazione-delle-oo-ss-firmatari...

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SINDACATI PROTESTA ASSICURAZIONI

23 giugno 2015

La protesta in piazza Dante

TRENTO. Una manifestazione per dire no all'accordo di comodo che Sna, il

sindacato nazionale agenti, con il suo Presidente Claudio Demozzi ha

sottoscritto con due associazioni, Fesica e Fisals, che non si occupano delle

agenzie assicurative in gestione libera e che non rappresentano i dipendenti

del settore. Questa mattina sono scesi in piazza a Trento i sindacati del credito

e delle assicurazioni,Fisac Cgil, First Cisl, Fna e Uilca, per contestare "un

accordo che riduce le tutele di circa 35mila addetti che operano in Italia nelle

agenzie di assicurazione". Per la manifestazione sono arrivate in città

delegazioni sindacali da tutta Italia, il corteo ha preso avvio da via Verdi per

muoversi nelle vie del capoluogo per raggiungere piazza Dante dove si è

tenuto il comizio conclusivo, con interventi di lavoratrici, lavoratori e

sindacalisti. La manifestazione è stata chiusa dall'intervento del segretario

generale nazionale della Fisac Cgil, Agostino Megale.Secondo i sindacati,

Sna, scegliendosi interlocutori compiacenti e di nessuna rilevanza

rappresentativa nel settore, determina una situazione inaccettabile rispetto

alle regole della contrattazione che per i sindacati

deve essere respinta in modo netto e senza

indugio. «Con questa iniziativa nazionale - dicono i

sindacati - vogliamo difendere i diritti dei dipendenti

TRENTO > CRONACA > I LAVORATORI DELLE ASSICURAZIONI...

LA MANIFESTAZIONE

I lavoratori delle assicurazioni protestano in piazza I sindacati: "No a un accordo che riduce le tutele"

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SINDACATI PROTESTA ASSICURAZIONI

23 giugno 2015

dell'appalto assicurativo, un settore con altissima

presenza di donne, nel quale si opera in condizioni

lavorative alquanto difficili».

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CCNL SNA 2014, clamoroso flop a Trento della manifestazione della Triplice contro il Sindacato Nazionale Agenti

I PARTECIPANTI ALLA MANIFESTAZIONE CONTRO LO SNA A TRENTO

MILANO - Un manipolo di manifestanti ha preso parte alla manifestazione organizzata dai sindacati

della triplice, a Trento per protestare contro il CCNL SNA 2014. Dopo aver tuonato per mesi con

comunicati roboanti e minacce di improbabili ritorsioni ed interventi apocalittici, nel momento culminante

della loro manifestazione nazionale organizzata in una città accuratamente scelta in quanto residenza e

sede di lavoro del Presidente Nazionale SNA, si sono ritrovati appena in una trentina (la fotografia ne è

la prova spietata, ndr), a difendere un inesistente diritto all'esclusiva nella rappresentanza sindacale dei

lavoratori delle agenzie. E neppure risulta che fossero presenti lavoratori delle agenzie, giacché le

Page 58: 26 15 rassegna stampa fisac dal 22 giu al 26 giu

rappresentanze di Fiba, Fisac, Uilca sono saldamente controllate da dipendenti di banche ed Imprese

di assicurazioni.

Così, ingloriosamente, finisce la protesta delle rappresentanze aderenti alla triplice, alla quale gli stessi

lavoratori delle agenzie hanno fatto mancare il sostegno della loro presenza. E' auspicabile che le

OO.SS. prendano finalmente atto dell'inutilità di un'azione che più che per la tutela dei dipendenti è

stata promossa per un disperato tentativo di recuperare una credibilità che le stesse OO.SS. hanno

gettato a mare insieme all'opportunità di rinnovare, insieme a SNA, un CCNL che tenesse conto dei

profondi cambiamenti intervenuti negli anni nel settore della distribuzione assicurativa e della stringente

crisi di redditività delle agenzie.

Raggiunto in treno al ritorno dall'Assemblea annuale dell'Ivass, il Presidente Nazionale SNA, Claudio

Demozzi, ha così commentato: "Il nostro CCNL ad oggi è applicato ad oltre 30.000 dipendenti agenziali

(numero certificato, prodotto al Ministero del Lavoro, ndr), su un totale di circa 35.000 lavoratori del

settore, per cui rappresenta senza alcun dubbio il contratto leader del settore. Non ci facciamo certo

intimidire - ha proseguito Demozzi - da qualche decina di sindacalisti, molti dei quali, tra l'altro, neppure

appartenenti al settore, ma funzionari di Compagnie e dipendenti bancari, che rivendicano un'esclusiva

nella rappresentanza negoziale dei nostri dipendenti; rappresentanza che non hanno mai avuto e che i

numeri stessi non attribuiscono loro. Andiamo avanti con il nostro lavoro, pur disponibili, come sempre,

a confrontarci su qualsiasi cosa con chiunque".

Mario Alberti

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FINANZA & MERCATI 24 GIUGNO 2015Il Sole 24 Ore

PIÙ CONCORRENZA I prezzi effettivi dell’Rc Auto hanno mostrato mediamente un calo di quasi l’8% lo scorso anno, proseguendo una tendenza discendente

Assicurazioni. La relazione annuale dell’Istituto di vigilanza

Ivass: compagnie pronte a Solvency II

ROMA

La crisi che aveva colpito le compagnie assicurative nel biennio 2010-2011 è

definitivamente superata e l’era dei tassi d’interesse molto bassi non fa paura alle

compagnie italiane, che hanno saputo bilanciare le durate finanziarie dell’attivo e del

passivo molto meglio delle consorelle tedesche e francesi, come si desume dagli stress

test condotti dall’Eiopa.Non mancano le buone notizie nella relazione annuale

dell’Ivass, presentata ieri dal suo presidente, Salvatore Rossi. Nei tre anni successivi

alla crisi , ha spiegato il responsabile dell’organismo di controllo «sono tornati i

profitti, dell’ordine dei 5-6 miliardi l’anno. Contribuiscono al buon risultato tutti i

rami di attività».Infatti «il Roe complessivo per l’industria assicurativa italiana è salito

al 9,3% (8,2% nel 2013) allineandosi a quello medio europeo». Nel biennio di crisi le

compagnie italiane avevano registrato perdite cumulate per 4,4 miliardi; quest’anno,

invece, la raccolta premi è aumentata del 20% (quasi 150 miliardi di euro in più)

sfiorando il 9% del pil ma l’aumento è tutto nel ramo vita(le polizze Rc auto restano

su una tendenza discendente mentre nei rami danni “ non automobilistici” «la cronica

sottoassicurazione degli italiani non accenna a diminuire» .

Continua pagina 27 Rossella Bocciarelli

Roma

Continua da pagina 23 Anche sotto il profilo della capitalizzazione le indicazioni

appaiono nel complesso positive : per l’intero sistema i fondi propri sono pari a più di

due volte il requisito regolamentare chiesto dal regime Solvency 2 che entrerà in

vigore il primo gennaio 2016 e le imprese assicurative che necessiterebbero di aumenti

di capitale rappresentano il 3% del sistema . Rossi ha ricordato che nelle sede

internazionali si discute sul trattamento prudenziale dei titoli di Stato, finora

considerati attività prive di rischio. L’Ivass ha votato contro l’opinione espressa

dall’Eiopa, che vorrebbe fosse introdotta obbligatoriamente nei modelli interni delle

compagnie una ponderazione per il rischio dell’investimento in titoli di stato. Ma

intanto «a marzo scorso l’Ivass ha comunque chiesto alle compagnie di valutare il

rischio sovrano nel loro schema di autovalutazione dei rischi».Dalla relazione annuale

emerge che alla fine dello scorso anno i titoli di Stato quotati e non quotati nel

portafolgio delle compagnie erano pari a 292,6 miliardi con un incremento del 10%

rispetto al 2013. L'incidenza sul totale delle attività scende al 61,4% dal 62,5%

dell'anno precedente. Nei rami vita i titoli di Stato sono il 74,8% dei titoli di debito.Il

presidente dell’Ivass, in ogni caso, ha formulato alcune sollecitazioni nei confronti del

sistema assicurativo. La prima riguarda «l’opportunità finora non colta» offerta dalla

nuova nomrativa , di contribuire al finanziamento delle imprese investendo in mini-

bonds e in prestiti bancari cartolarizzati o erogando direttamente credito(il potenziale

di investimento è pari a oltre 60 miliardi, è stato ricordato). La seconda sollecitazione

riguarda la necessità di non perdere di vista, sull’onda di una ricerca di maggiore

redditività in questa epoca di bassi rendimenti che ha portato al raddoppio delle

polizze unit linked rispetto al 2014 nei primi quattro mesi dell’anno, le finalità più

tipicamente previdenziali . Rossi ha spezzato una lancia a favore di un’incentivazione

fiscale per assicurazioni da quarta età, come il rischio di perdita dell’autosufficienza in

età avanzata.Infine, ma non certo come tema minore, l’Ivass mantiene un faro acceso

sulle performance dell’Rc auto:i dati di mercato «mostrano ora progressi

considerevoli» e «poco mancherebbe a una vera e propria svolta”. Resta però il fatto

che quello italiano è ormai un “caso”. «Che si tratti di un caso- ha detto infatti Rossi -

è più che noto: da molti anni l'Italia è il paese dalle tariffe più alte nel confronto

internazionale». I prezzi effettivi rilevati dall'Autorità di vigilanza hanno mostrato

mediamente un calo di quasi l’8% lo scorso anno, proseguendo una tendenza

discendente già iniziata l'anno prima.Le tariffe scendono perché diminuiscono

CORRELATI

Rc auto: tariffe giù ma sono le più alte in Europa. Chi cambia compagnia risparmia fino al 22%

Rossi: «Rivedere le norme di vigilanza sul settore assicurativo»

La Bce è il vero bancomat della Grecia

Pagina 1 di 2Il Sole 24 Ore

24/06/2015http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/vetrina/edicola24web/edicola24web.html?test...

Page 60: 26 15 rassegna stampa fisac dal 22 giu al 26 giu

incidenti e costo deirisarcimenti e “si sono fatti progressi anche sul terreno della

concorrenza e della diversificazione dei prodotti offerti”. Così, la concentrazione del

mercato si è ridotta del 15% rispetto al 2013 ed è aumentata la mobilità dei clienti fra

una compagnia el'altra, cosa che favorisce una pressione forte al ribasso dei prezzi. Lo

scorso anno un assicurato su sei ha cambiato compagnia, spuntando una riduzione di

prezzopari in media al 22% rispetto al contratto precedente, mentre chi è rimasto

fedele alla sia compagnia ha beneficiato, sì, di una riduzione di prezzo , ma solo del

5%.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Rossella Bocciarelli

Banche, perdite sui crediti deducibili entro l'anno

Dalle sofferenze dimezzate una spinta al Pil del 2%

Pagina 2 di 2Il Sole 24 Ore

24/06/2015http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/vetrina/edicola24web/edicola24web.html?test...

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BANCA D ’ITALIA

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FINANZA & MERCATI 25 GIUGNO 2015Il Sole 24 Ore

VIGILANZA

BANCARIA Positiva la riduzione da 5 a 1 anno della deducibilità delle perdite su crediti «consentirà di allineare il nostro a molti altri Paesi europei»

Riforme. La posizione di Barbagallo

Bankitalia valuta gli effetti del recupero delle

garanzie

ROMA«Vedremo concretamente cosa ci sarà nel decreto, una volta pubblicato. Se ci saranno i due contenuti attesi, e cioè l’efficientamento delle procedure esecutive e la riduzione della deducibilità fiscale da 5 a 1 anno delle perdite su crediti, si tratterà di interventi importanti, che potranno dare una mano alla crescita dell’economia», attraverso un aumento del credito. Carmelo Barbagallo, capo dipartimento Vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d’Italia, a margine di un seminario, promuove i provvedimenti approvati ieri dal consiglio dei Ministri. In particolare, osserva l’alto dirigente di via Nazionale, a margine di un seminario,l’intervento sulle procedure esecutive «incide sui tempi di recupero delle garanzie. In Italia», spiega, «i tempi medi di recupero oggi sono tra 7 e 8 anni, a fronte di 1-2 anni in molti altri paesi europei. Ciò impedisce che i prestiti in sofferenza si possano collocare sul mercato, accumulandosi di anno in anno sui bilanci, fino a raggiungere un’incidenza molto elevata sui prestiti totali (oggi il totale dei prestiti anomali - metà dei quali sono in sofferenza - è pari quasi al 18% dei crediti complessivi). Questo vuol dire che sul mercato europeo le banche italiane partono svantaggiate, in quanto hanno, in media, più crediti anomali in bilancio». Il rischio di credito, afferma Barbagallo, «ha molta importanza nella valutazione delle banche commerciali, quali sono le banche italiane. A fronte di tale rischio la Vigilanza chiede un più elevato presidio patrimoniale, che si può ottenere in due modi: aumentando il capitale o erogando meno credito. È per questo motivo che é lecito attendersi che la riduzione dei tempi di recupero delle garanzie consenta di erogare più credito all'economia». In altri termini, con una cospicua riduzione del rischio di credito legata al taglio dei tempi del recupero, si evita la necessità di fare deleveraging da parte delle banche . In ambito bancario è stato del resto calcolato che ogni anno in meno nei tempi medi necessari per recuperare un credito non andato a buon fine può comportare un beneficio del tre per cento sul totale del credito erogato. Il perchè è presto detto: quando una banca porta in bilancio il valore di un credito deve attualizzare il valore di una garanzia concessa. Se il tempo medio dell’escussione di una garanzia è pari a 8 anni, il valore attualizzato può scendere anche del 20-30 per cento. Pertanto, l’effetto per l’economia derivante da queste misure è cospicuo. Altrettanto importante la riduzione da 5 a 1 anno della deducibilità delle perdite su crediti. Secondo Barbagallo «consentirà di allineare il nostro a molti altri Paesi europei e incentiverà l'erogazione del credito da parte delle banche.Questo perché, se sarà possibile dedurre subito (anziché in 5 anni) tutte le perdite su crediti, le banche avranno meno remore a finanziare clienti maggiormente rischiosi ma comunque meritevoli», conclude il capo della Vigilanza di Palazzo Koch.R.R.

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MF

Numero 124, pag. 5 del 26/06/2015

PRIMO PIANO

Bankitalia scende nel Fondo Strategico

Banca d'Italia, azionista del Fondo Strategico Italiano con una quota del 20%, ha receduto dal capitale dello

stesso Fondo per la parte corrispondente alle azioni privilegiate in suo possesso, pari al 13%. Resterà nella

compagine sociale ordinaria del Fsi con una quota del 7%. L'operazione è legata al processo di dismissione

della partecipazione di Via Nazionale in Generali. La quota del 4,5% era stata conferita nel dicembre 2012 al

Fsi che si era impegnato a venderla entro quest'anno. Tra giugno e luglio 2014, il Fondo aveva ceduto a

termine un primo 2,5% e poi collocato sul mercato la restante parte. In cambio del pacchetto di Generali,

Bankitalia aveva ricevuto il 20% complessivo del Fsi con l'impegno che, completata la vendita delle azioni

della compagnia triestina, il Fondo avrebbe rimborsato le sole azioni privilegiate. L'operazione conclude

quindi, come previsto e nei tempi indicati, il processo di dismissione della partecipazione in Generali a suo

tempo detenuta da Banca d'Italia.

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CASSA DEPOSITI E PRESTITI

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2 CORRIERECONOMIA LUNEDÌ 22 GIUGNO 2015

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La mappa

Matteo Renzi, presidente del Consiglio: ha voluto cambiare i vertici di CdpFranco Bassanini, presidente Cdp e Giovanni Gorno Tempini, amministratore delegato Cdp: insieme hanno rafforzato il gruppo (patrimonio raddoppiato in due anni); Claudio Costamagna, presidente Salini: sostituisce Bassanini

I protagonisti (da sinistra a destra)

Cdp Investimenti sgrFsi (Fondo strategico italiano)F2i (Fondo italiano per le infrastrutture) Fii (Fondo italiano d’investimento)Fondo Investimenti per l’AbitareFondo Ppp ItaliaFondo FoF Private DebtFondo FoF Venture Capital Istituto per il credito sportivoFondo Immobiliare di LombardiaFondo MargueriteFondo Inframed European Energy Efficiency FundFiv PlusFiv Extra

70%80%

8,14% e 19,90%20,83%49,31%14,58%

100%100%

2,21%4,71%

14,08%38,93%12,64%

100%100%

(4)

(6)

(6)

15 Finanziarie e Fondi

8 aziende

Gli i

nvestimenti di Cdp diretti ...

EniTernaSnamSaceFintecnaFincantieriSimest Cdp Immobiliare

25,76%17,6%17,7%100%100%

72,5%76%

100%

(1)

(2)

(3)

Il gruppo nel 2014

Totale occupati32.769 Aziende partecipate166424 comprese le 258 di Simest

(1) 29,9% attraverso Cdp Reti di cui Cdp ha il 59,10%; (2) 30% attraverso Cdp Reti 59,10%; (3) attraverso Fintecna; (4) primo e secondo fondo; in F2i sgr Cdp ha il 16,52%; (5) in Fii sgr Cdp ha il 12,5%; 6) Quota A, più 1,99% Quota B

(Valorizzazione immobiliare)(Valorizzazione immobiliare)

Attivo consolidato401,7 miliardi di euro

) g p

Cassa depositi e prestiti Quanto vale. Attivi per 402 miliardi. Un terzo della raccolta dagli investitori

Cdp Nel forziere di Stato 424 aziendeEcco perché c’è la corsa per aprirloPatrimonio di gruppo raddoppiato in due anni. Alle fondazioni 826 milioni di dividendiÈ l’effetto di una gestione con equilibri delicati. Che finora ha tenuto conto del mercato

DI ALESSANDRA PUATO

Il commento

Purché non diventiun Bancomatdi StatoDI NICOLA SALDUTTI

Comunque vadaa finire il con-f r o n t o t r a l e

fondazioni e il gover-no segnerà un cambiodi passo per la Cassadepositi e prestiti. Finoa q u e s to m o m e n tol’istituto nato nel 1850è stato chiamato di vol-ta in volta ad interveni-re in situazioni delicatecome Ilva e Alitalia. Ilsuo scudo è stato lostatuto, in base al qualela Cassa non può ope-rare interventi di salva-taggio. È probabile chein questa nuova fase ilgoverno sarà molto at-tento ad evitarlo, macon la decisione di az-zerare i vertici, senzadubbio l’intenzione saràdi attivare in altro modole potenzialità dellacassa stessa.

Passaggio decisivosarà il nuovo equili-brio dei rapporti, e deipoteri tra il governo ele fondazioni, soci diminoranza che chie-dono di avere un ruolopiù rilevante per quel-lo che riguarda la tu-tela della capacitàdella Cassa di non es-sere utilizzata comeun nuovo bancomat diStato. La tentazione èmolto forte, ma sa-rebbe un errore. E uncosto per i contri-buenti.

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L’analisi

Quei 5 vantaggi della quotazione in BorsaCosì può diventare una vera banca di sviluppo. Evitando il ritorno all’Iri

La Cassa depositi e pre-stiti è stata oggettocontinuo di attenzione

sia per le innovazioni adottatesia per la disponibilità di ri-sorse finanziarie che spessosono state invocate nell’am-bito delle operazioni più sva-riate. In questi giorni, la Cassaè di nuovo al centro del dibat-tito. Se ci saranno nuovi verti-ci, la sfida a cui saranno chia-mati è solo quella di conti-nuare sulla strada intrapresao di una più generale trasfor-mazione?

Qualsiasi esercizio sul fu-

turo della Cassa deve tenereconto di due aspetti: quanto èfatto fino ad oggi; la presenzadi un portafoglio diversificatodi attività. Nel primo caso, nonpuò passare in secondo pianoil percorso eccellente guidatodall’attuale gruppo di vertice,caratterizzato da ottimi risul-tati di bilancio e da operazionidi grande portata come ilFondo strategico o gli inter-venti a sostegno delle Pmi edello sviluppo, in una fase di recessione del Paese e di in-capacità del mercato di offrirealtrettante soluzioni. Questi

esempi di cooperazione pub-blico-privato sono un patri-monio che deve essere ulte-riormente valorizzato.

Nel secondo caso, il siste-ma della Cassa è oggi unacombinazione eterogenea dielementi strategici del siste-ma Paese: la raccolta postale(parte consistente del rispar-mio degli italiani); un portafo-glio di partecipazioni in azien-de-chiave per importanza eruolo, spesso con rendimentiimportanti; il finanziamentodella pubblica amministra-zione; la forza d’intervento dei

grandi fondi di investimento.L’Osservatorio MP3 dell’Uni-versità Bocconi ha condottosu questi temi molte riflessio-ni utili al dibattito.

La scelta per il futuro puòessere rafforzare il ruolo disoggetto a favore dello svi-luppo del sistema Italia, in unmomento in cui la crescita èun tema urgente. Ciò significaevitare decisioni di retroguar-dia (il spesso citato «ritornoall’Iri») o di dismissioni senzabenefici (il rendimento di ta-lune partecipazioni in quotateè infatti superiore al costo del

debito pubblico che si an-drebbe a cancellare), per con-centrarsi su un progetto com-plessivo che possieda il Dnadelle banche di sviluppo.

Questo può passare attra-verso innanzitutto una sceltadi governance. L’opzione di unaquotazione in Borsa dellaCassa, per realizzare una verae propria banca di sviluppo,permetterebbe di allentare ilrapporto fra il soggetto pub-blico (il Tesoro) e la missionedella Cassa stessa. E consen-tirebbe l’ingresso di quei ca-pitali esteri spesso invocati

caso per caso secondo inveceuna logica organica di «inve-stimento in Italia»; al Tesorostesso (e alla fondazioni ban-carie) di ridurre la propriaesposizione, monetizzandolanel modo migliore (l’Ipo); el’ingresso di consiglieri indi-pendenti, sganciati dalla poli-tica.

Inoltre, il portafoglio delleattività potrebbe essere ac-corpato e razionalizzato se-condo quattro aree di interes-se: la gestione delle parteci-pazioni strategiche, che van-no dalle aziende quotate, a

quelle non quotate e ai fondi,per concentrarsi su un ruolodi azionista e promotore dellosviluppo o della privatizzazio-ne delle aziende stesse (quin-di, non la nuova Iri ma unaholding che detenga il brand«Italia»); il consolidamentodel finanziamento all’interna-zionalizzazione, razionaliz-zando le strutture oggi dedi-cate all’export; il finanzia-mento delle infrastrutture edella Pa, diffondendo le logi-che di partnership pubblico-privato; l‘attenzione al socialee al territorio, da realizzaresecondo una logica diimpactinvesting, che concili gli obiet-tivi degli investitori con il ri-torno per la comunità.Così l’esercizio sarà utile al Paese.

*ProrettoreUniversità Bocconi

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di STEFANO CASELLI*

L’economia italiana,secondo una battu-ta di Franco Bassa-n i n i , è co m e u n

cammello: beve se gli si dà del-l’acqua. Negli ultimi cinque an-ni, con la Cassa depositi e pre-stiti presieduta dall’uscente Bassanini, gli assetati sono statipiù che dissetati, anche grazieal contributo del mercato cheormai pesa per quasi un terzosulla raccolta di Cdp, il triplodel 2010. È un dettaglio di cuidovrà tenere conto il governoRenzi che ha voluto il cambiodei vertici di Cassa argomen-tando venerdì 19, per bocca delconsigliere economico AndreaGuerra, che «la remunerazionesui tassi non funziona più». LaCdp che Claudio Costamagna,presidente entrante, eredita èun forziere che tanto contiene,quasi a prova di default, con unpiede in 424 aziende. È lievitatae diversa per volumi e valori dacinque anni fa, quando Bassani-ni s’insediò con Giovanni GornoTempini, amministratore dele-gato, anch’egli in uscita. Fa gola.

Ma è il risultato di equili-bri complessi ciò che ha per-messo al Tesoro e 64 fonda-zioni bancarie, soci all’80,1%e 18,4% (il resto sono azioniproprie), d’incassare fior didividendi, e a imprese ed en-ti locali d’essere finanziati atassi accettabili mentre le banche chiudevano la borsa.

In cinque anni Cdp ha stac-cato cedole per 3,776 miliardi,dei quali 2,95 miliardi sono an-dati al Tesoro e 826 milioni allefondazioni alle quali spetta lanomina del presidente. L’annoscorso le fondazioni hanno avu-to da Cdp dividendi per 159 mi-lioni, il ministero dell’Economiaper 693 milioni con un rendi-mento per chi vi ha investito del24,4% (dividendo su capitalesociale). Nel 2010 questo rendi-mento era più basso, il 20%.

Non stupisce che GiuseppeGuzzetti, presidente dell’Acriche riunisce le fondazioni, ab-bia detto giovedì 18 giugno aLucca, al congresso annualedell’associazione, a proposito diCdp: «I dividendi sono per noiuna condizione inderogabile»,

ponendo come prioritaria nonla poltrona, ma la gestione. «Sela volontà del governo è il rilan-cio della Cassa — ha sottolinea-to — noi collaboreremo positi-vamente come in passato, affin-ché la Cdp sia un centro di pro-p u l s i o n e e d i s o s t e g n odell’economia del Paese, mal’obiettivo dei conti in ordine èpremessa irrinunciabile».

Il «prezzo»Perché in questi cinque anni

di super-cedole il patrimonio diCdp si è rafforzato e non era af-fatto scontato. Se la Cassa fossemessa sul mercato ora e per va-lutarla si prendesse l’indicatoredel patrimonio netto di gruppo— ipotesi legittima, nei calcolidell’Università Bocconi per Cor-

riere Economia — varrebbe35,15 miliardi (bilancio 2014):era di 16,83 miliardi il patrimo-nio nel 2012, è più che raddop-piato in due anni.

Se le fondazioni, per ipotesi,vendessero il loro 18,4% potreb-bero così chiedere oggi 6 miliar-di e mezzo. E l’80,1% del Tesorovarrebbe più di 28 miliardi.

Restringendo il campo allasola Cdp spa, la capogruppo hamobilitato finanziamenti per19,3 miliardi l’anno scorso (29miliardi tutto il gruppo), controgli 11,6 miliardi del 2010, quan-do entrò il tandem Bassanini-Gorno Tempini: +66%, con di-screto equilibrio fra prestiti aglienti locali (9,4 miliardi) e alleimprese (7,6). In cinque anni gliimpieghi sono stati di 73 miliar-di, le imprese finanziate attra-verso Cdp sono aumentate da12 mila a 93 mila. Dal 2010 laraccolta totale è salita del 41% a325,3 miliardi, quella postaledel 22% a 252 miliardi, il patri-

monio netto (sempre della spa)del 43% a 19,6 miliardi, i divi-dendi del 22% a 853 milioni, idipendenti del 41% a 597 perso-ne. L’utile d’esercizio è sceso,ma resta sopra i 2 miliardi (2,2contro 2,7).

Oggi il gruppo Cdp, con401,7 miliardi di attivo consoli-dato, è una portaerei che con-trolla o partecipa 166 aziende,in Italia e all’estero, con quasi33 mila occupati (32.769). Leimprese partecipate salgono a424 se si contano le 258 nellequali ha una quota Simest (cheCassa controlla al 76% — manel consolidato queste aziendenon rientrano tra le partecipate,bensì tra i crediti). Con impro-prio paragone, nel 1983 leaziende dell’Iri, banche com-prese, erano 541: poco di più.

Che cosa c’è in questo im-menso paniere di Cdp (vedigrafico)? Investimenti diretti in

otto aziende industriali, dall’Enia Terna e Fincantieri (eranoquattro nel 2012) e in 15 tra fi-nanziarie e fondi di privateequity (da 11). E poi gli indiretti:le 9 aziende del Fondo strategi-co, le 10 del Fondo Marguerite ele 4 di Inframed che investonoall’estero e a cui Bassanini tiene.Poi le 16 aziende di F2i che ècondomino di Fsi in Metrowebe la scorsa settimana ha acqui-sito i parchi solari di Cogi-power; le 28 del Fondo italianopresieduto da Innocenzo Cipol-letta che propose di quotare laCdp in Borsa; le 18 del FondoPpp che in novembre ha rifatto

l’ospedale di Este come ungrand hotel. Nel cesto di Cdp c’èdi tutto, banda larga e hambur-ger, alberghi e megaturbine coni cinesi, aeroporti in Croazia epale eoliche in Germania, auto-strade in Irlanda e la CascinaTriulza dell’Expo, navi da cro-ciera e yacht, acquedotti e Mal-pensa, edilizia sociale e ospeda-li, valvole e marmellate. Trop-po?

Bce e agenzie di ratingSi è detto, forse è vero. Ma i

conti finora sono tornati, il ri-sparmio postale non è statomesso a rischio e un po’ di meri-

249

92

19

231

207

14

2,7

700

424

Partecipazioni e titoli

Totale raccolta

Raccolta postale

Patrimonio netto

Utile di esercizio

Dipendenti (numero)

Totale attivo

Crediti verso clientelae banche

274

99

20

254

218

15

1,6

371

486

305

101

31

282

234

17

2,9

999

512

315

103

33

292

242

18

2,3

853

544

350

103

30

325

252

20

2,2

853

597

Cinque anni di crescita di Cdp spaMiliardi di euro

7$

$

2010 2011 2012 2013 2014

(milioni di euro)Dividendi

Fonte: elaborazione CorrierEconomia su bilanci Cdp Pparra

La crescita delle cedole Milioni di euro

Utile netto

Dividendi

Rendimento(rapporto dividendo/capitale

sociale)

2.743 1.612 2.853 2.349 2.170

700 371 999 853 853

di cui Mef* 490 260 812 693 693

210 111 187 159 159

10,6% 28,5% 24,4% 24,4%

di cui Fondazioni

2010 2011 2012 2013 2014

$

$

$

€€

€€€

€€€€

20%

Fonte: elaborazione CorrierEconomia su bilanci Cdp *Ministero dell'Economia e delle Finanze

Ppar

ra

Se fosse messa in vendita ora, potrebbe essere pagata 35 miliardi

IMPRESE & FINANZAUomini, storiee strategie

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CORRIERECONOMIA LUNEDÌ 22 GIUGNO 2015 3

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...e quelli indiretti

Enti pubblici e territorio InfrastruttureImprese

Tot. 2010 11,6

5,8

1,64,3

2010

Tot. 2014 19,39,4

2,3

7,6

2014

73 miliardi di euro

10

4

Energie rinnovabili, autostrade, aeroporti

Energie rinnovabili,raffinerie, porti, energie a gas

Francia, Spagna, Belgio, Germania, Irlanda, Polonia, Romania, Croazia

Giordania, Egitto, Turchia

16 Reti gas, rinnovabili, acquedotti, aeroporti, banda larga, sistemi di pagamento, autostrade,porti, terminal ferroviari, termovalorizzatori, software

Italia

28 Meccanica, intrattenimento, smaltimento rifiuti, biomedicale, alimentare, automotive, calzature, vigilanza, elettronica, nautica, tessile

Italia

Energie rinnovabili, trasporti, ospedali, biotech, centri sportivi,infrastrutture sociali

18 Italia

SettoriAziende Paesi

Con Fondo Marguerite

Con Fondo Inframed

Con F2i

Con Fii

Con Fondo PPP Italia

Risorse mobilitate da Cdp spa dal 2010 al 2014

Font

e: e

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Corr

iere

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nom

ia s

u da

ti e

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nci C

dp

ValvitaliaSiaMetrowebAnsaldo EnergiaInalcaKedrionRocco Forte HotelTrevi

49,5%49%

46,2%44,84%

28,4%23,2%

23%16,9%

ValvoleReti e sistemi di pagamentoBanda largaMegaturbineAlimentare (Cremonini)BiomedicaleAlberghiperforazioni, ingegneria sottosuolo

Con Fondo Strategico Italiano: 9 aziende

$

$

Ppar

ra

L’intervista Parla il presidente della Fondazione Sicilia, socia di Unicredit

Puglisi «I nostri investimentisono a garanzia dei territori»Le condizioni delle fondazioni: redditività e «no» a un nuovo IriDI STEFANO RIGHI

Rettore dello Iulm,presidente della Fon-dazione Sicilia e dellaCommissione nazio-

nale per l’Unesco, Giovanni Pu-glisi, 70 anni oggi, è una dellevoci più autonome e originalinel panorama delle fondazionidi origine bancaria, a dispetto –come ha spiegato sabato scorsoal presidente della Repubblica,Sergio Mattarella – della «doseomeopatica» di azioni Unicre-dit che la Fondazione Sicilia hain portafoglio.

Presidente, nell’epoca del-l’Unione bancaria europea,hanno ancora un senso le fon-dazioni?

«Le fondazioni sono uno deipochi punti di riferimento ri-masti a livello territoriale. Svol-gono un ruolo indiscusso e in-discutibile, perché intervengo-no con le loro risorse a sostegnodelle politiche di coesione, svi-luppo e innovazione. Sono un punto di riferimento morale nelsistema Paese, momento di sin-tesi di una operatività tra pub-blico e privato che ha fatto dellastabilità del proprio operareuna delle caratteristiche più ri-conoscibili. Sono il pivot del-l’agire comune tra settore pub-blico e privato all’interno deiterritori».

Già, i territori. Un terminespesso abusato per coprire al-tri interessi.

«Nella stragrande maggio-ranza dei casi questo non è av-venuto e i territori sono real-mente il punto di riferimento

del nostro agire come fondazio-ni. La posizione di Piero Fassi-no, che al Congresso dell’Acridella scorsa settimana a Luccaha proposto un accordo di pro-gramma tra l’Acri e l’Anci, ov-vero i comuni italiani, va pro-prio in questa direzione, che èquella dell’attenzione al terzosettore, all’associazionismo e al-la formazione che hanno reso lefondazioni momento di autore-vole riferimento territoriale».

Veniamo alla Cdp. Dopoanni il patto implicito trapubblico e privato sembramutare riferimenti..

«Dopo un lungo percorso èarrivato il momento di pigiare il

pedale del freno: è sorto un pro-blema tecnico. Però in questianni da azionisti della CassaDepositi e Prestiti la presenzadelle 64 fondazioni non è statameramente quantitativa. È veroche siamo titolari di una quotadi minoranza, ma è stata pro-prio quella quota che ha con-cesso di trasformare la Cdp inuna Spa non pubblica. È stata lanostra presenza, ancorché inminoranza, che ha consentitoalla Cdp di non venire conside-rata, agli occhi dell’Europa, unasocietà pubblica. In caso con-trario gli interventi della Cdp inquesto arco di tempo si sareb-bero configurati come aiuti diStato…».

Ora tutto cambia.«In questi anni il ruolo di

noi fondazioni è andato oltre lapercentuale partecipativa so-cietaria e se oggi siamo giunti almomento di valutare l’allarga-mento della raggiera degli inte-ressi della Cdp non si può giun-gere a questo non considerandopienamente la nostra presenza:non basta un voto di maggio-ranza per superare un proble-ma che ha evidenti ragioni poli-tiche».

Cosa chiedete al governo?«Almeno due contropartite.

La prima è la redditività degliinvestimenti della Cdp che vagarantita per tutelare i territoridi riferimento. Non è un banalerapporto tra investimento eredditività, in ballo c’è molto dipiù e deve essere chiaro: c’è il ri-schio di un danno sociale chenessuno può ignorare».

La seconda contropartita?

«Il governo deve vigilare af-finché la Cdp mantenga i contiin ordine. Se la Cdp diviene unnuovo Iri, o una novella Cassadel Mezzogiorno non si saràfatto un buon servizio alla co-munità nazionale».

Quindi?«È necessario condividere le

strategie, ma sopra ogni cosa ènecessario che si mantenga labarra ferma sui risultati delleaziende e sulla redditività deinostri investimenti».

Quanto è rimasto alla Fon-dazione Sicilia del capitale diUnicredit?

«Negli anni siamo scesi. Og-gi siamo a livelli di prefisso tele-fonico brianzolo: 0,3… Sono do-si omeopatiche, come spesso ri-peto, ma va bene così, è nellospirito di rispetto della leggeistitutiva. Ciò non toglie che ilvalore morale della nostra pre-senza in Unicredit è molto piùalto e prescinde dalla percen-tuale azionaria. L’eredità mora-le del Banco di Sicilia ha valoriche non si possono ridurre auna percentuale».

In cosa sono investiti gli at-tivi di Fondazione Sicilia?

«In una pluralità di stru-menti, sia quotati che non quo-tati. Da Banca Impresa alla Po-polare di Vicenza, all’Enel».

Prospettive? «Credo a un ruolo di sup-

porto e di dialettico sostegnoallo sviluppo delle politiche sussidiarie verso il terzo setto-re, l’istruzione, le politiche digenere, la formazione. Argo-menti che non sempre ricado-no, in prima battuta, nel cuoredelle politiche governative.Penso all’housing sociale, aigiovani, la ricerca. Penso agliimmigrati e alle politiche di in-tervento nei luoghi di prove-nienza che le fondazioni primadi tutti gli altri soggetti, hannorealizzato».

L’alzata di scudi del presi-dente dell’Acri, Guzzetti?

«Condivido pienamente ilsenso del suo colpo di freno».

Vede pericoli?«Pericoli no, ma c’è preoccu-

pazione. Il cambio di direzionenon può essere compiuto daCdp in forza di un semplice vo-to di maggioranza».

@Righist© RIPRODUZIONE RISERVATA

Si profilail rischio di undanno socialemolto grave

to è del Signor No, Gorno Tem-pini, la cui opposizione a opera-zioni straordinarie — peresempio il salvataggio direttodell’Ilva — era fondata su unpiano industriale di delicatoequilibrio, com’è per questi enti.Con almeno cinque fattori.

Primo, la Cdp è fuori dal pe-rimetro della pubblica ammini-strazione, quindi esposta al va-glio Ue-Eurostat. Secondo, è delTesoro, ma si muove come unoperatore di mercato: è sottopo-sta alla vigilanza della Bancacentrale europea. Terzo, se periperbole fallisse non sarebbecoperta dalla garanzia dello

Stato, diversamente dalle omo-loghe Caisse des Dépots e Kfw,che hanno garanzie totali (inCdp è solo sul risparmio posta-le). Quarto, deve dunque teme-re i giudizi delle agenzie di ra-ting, perché quasi un terzo dellasua raccolta non viene dal ri-sparmio postale, ma ormai da-gli investitori e non può perder-ne la fiducia. Quinto, generautili e distribuisce dividendi,ma rafforzando il patrimonio.

Se salta uno di questi fattori,saltano tutti. È questo l’architra-ve sul quale si è poggiato finorail successo di Cdp, market ope-rator, e ha per perno il patrimo-

nio: se non fosse stato così forteCassa non avrebbe potuto fi-nanziare le aziende, garantendole banche sui prestiti. E se su-bisse un declassamento del ra-ting sarebbe faticoso collocareobbligazioni.

Perciò Telecom potrà ancheessere fra i dossier del governo,sempre che voglia entrarvi conCdp per accelerare sulla bandalarga. E può anche darsi che orasi chieda a Cassa d’intervenirenelle aziende in crisi, cambian-do lo statuto. Ma attenzione anon forzare il forziere, è il mes-saggio di questi cinque anni.

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Maramotti

La stanza dei bottoni a cura di Carlo Cinelli e Federico De Rosa

De Albertis ospita la Milano del futuroGli inviti di Terracciano al Business club Italia. Gussalli Beretta e Sironi all’Expo

Gran gala mercoledì al-l’Ambasciata d’Italiaa Londra per i 20 anni

del Business club Italia. Pa-squale Terracciano, presi-dente d’onore del club, apri-rà le porte al 14 di ThreeKings Yard ai consiglieri delsodalizio guidato da Gio-vanni Sanfelice di Monte-forte. L’invito è arrivato an-che agli ospiti che in questi20 anni hanno animato ilbreakfast del Business club,inaugurati con Emma Mar-cegaglia e poi proseguiticon Mario Monti, Claudio

Costamagna, FrancescoCaio, Gabriele Galateri emolti altri.

***Come sarà la Milano del

futuro? Per tracciare le lineeguida questa sera alla Trien-nale Pietro Tatafiore e Pie-tro Paganini, animatori delthink tank Ego e compete-re.eu, metteranno attorno altavolo politici e imprese. Do-dici ospiti, per due tavole ro-tonde. Nella prima si con-fronteranno Andrea Chiesidella Chiesi Farmaceutici,Claudia Parzani, partner di

Linklaters e presidente Valo-reD, Enrico Sisti, partnerdello studio Rucellai e Raffa-elli, Marco Ceresa, ceo diRanstad, Franco Gaudenti,managing Partner di EnVente Carlo Liotti vicepresidentdi American Express. Poitoccherà alla politica con ilconsigliere regionale, Um-berto Ambrosoli, il segre-tario lombardo del Pd, Ales-sandro Alfieri, l’assessorecon delega all’Expo, Fabri-zio Sala, quello al Bilancio,Massimo Garavaglia e ilsottosegretario regionale,

Giulio Gallera, che parle-ranno di Milano con il presi-dente della Triennale Clau-dio De Albertis.

***Trasferta all’Expo 2015

per l’industria bresciana. Lamanifattura della città dellaLeonessa sfilerà giovedì aRho, sotto le insegne di Si-stema Brescia. La rappre-sentanza è piuttosto varie-gata: si va da Franco Gus-salli Beretta, presidentedella Fabbrica d’Armi PietroBeretta, al patron della Lo-nati, Ettore Lonati, dal te-am principal della Ferrari,Maurizio Arrivabene a XuXinyu, presidente di Wei-chai Group, proprietaria diFerretti Yacht e quindi deimotoscafi Riva. A guidare lapattuglia sarà il presidentedella Camera di Commercio

di Brescia, Giuseppe Am-brosi.

***Anche per la Bocconi

Alumni Association di Pari-gi è tempo di Expo 2015. In-sieme agli anciens élèves diHec, la scuola di commercioparigina, i bocconiani d’Ol-tralpe e il loro presidenteAndrea Goldstein visite-ranno per tre giorni l’Espo-sizione universale, con ungala al Museo Diocesano,venerdì 26. Tra gli ospiti l’expresidente di Carrefour Da-niel Bernard, il console Oli-vier Brochet, EmmanuelChain produttore del filmcon cui Parigi si candida al-l’Expo 2025, Andrea Illy, ilrettore Andrea Sironi, Ric-cardo Monti e Guido Ro-berto Vitale.

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Volti Emma Marcegaglia. A si-nistra: Claudia Parzani e (sotto) Andrea Goldstein

Ansa

Fondazione SiciliaIl presidenteGiuseppe Puglisi

IMPRESE & FINANZAI protagonisti

Uomini, storiee strategie

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MF

Numero 123, pag. 14 del 25/06/2015

COMMENTI & ANALISI

Contrarian

La Cdp-story conferma che si è fatta poca strada sulle nomine pubbliche

Oggi si dovrebbe mettere in moto, con la formalizzazione delle dimissioni di Franco Bassanini dal vertice di

Cassa Depositi e Prestiti, la procedura che porterà alla nomina di Claudio Costamagna nella carica di

presidente e di Fabio Gallia in quella di ad, in sostituzione di Giovanni Gorno Tempini, con il quale il Tesoro

avrà dovuto definire gli aspetti contrattuali connessi alla sua sostituzione anticipata di un anno, come del

resto quella del presidente. L'avvicendamento comporterà modifiche statutarie in funzione sia dell'accordo di

governance tra governo e fondazioni, socie della Cdp al 18% circa, le quali designeranno

non più il presidente, ma il vice e altri due componenti del cda, oltre ad avere ottenuto

dall'esecutivo una serie di impegni su strategie e dividendi, sia della necessità di

modificare o annullare la clausola cosiddetta etica che impedisce a chi è rinviato a

giudizio di ricoprire cariche nella Cdp, condizione in cui si trova Gallia. La soppressione di

questa clausola segue decisioni analoghe già prese per altre aziende a partecipazione

pubblica. È una scelta del governo, il quale ha assunto l'indirizzo, anche per altre cariche,

di attendere per i procedimenti in corso la sentenza passata in giudicato ai fini

dell'adozione delle conseguenti misure, a meno che esse, nel caso degli incarichi pubblici, non siano imposte

dalla legge Severino. Bisognerebbe comunque distinguere, ove ricorrano misure dell'autorità giudiziaria, tra

cariche che già si ricoprono e incarichi a cui si può essere chiamati da un organo pubblico, ai fini di eventuali

condizioni etiche. Detto ciò è evidente che si affronta la materia delle nomine solo per eliminare quanto

introdotto in precedenza, magari in fretta, dal precedente governo e non anche per cogliere l'occasione di

fissare in modo oggettivo e trasparente i criteri cui le nomine pubbliche devono uniformarsi. Al di là del lavoro

di Fabrizio Saccomanni nel governo Letta, nulla finora è cambiato in questo campo. Per lunghi anni ha

imperato la lottizzazione partitica delle cariche pubbliche, specie di quelle bancarie. Sul metodo spartitorio e

sul manuale Cencelli della lottizzazione, seguito per decenni nella Prima Repubblica, si sono versati fiumi

d'inchiostro, mentre si affermava lo spoils system. Venuta meno la banca pubblica, l'argomento è passato in

secondo piano, ma periodicamente ritornano voci e critiche su nomine di corrente in imprese pubbliche, o su

nepotismi, fidelizzazioni o adiacenze territoriali. Al di là di ciò, è la decisione in sé di affidare simili incarichi

che deve obbedire a criteri predefiniti, alla luce dei quali si possano valutare le decisioni di nomina assunte

da un organo pubblico e l'operare degli esponenti nominati in base a un mandato che dovrebbe essere

pubblico. La carenza di tale norma è emersa per le nuove nomine alla Cdp. Né è stata sostituita da una

trasparente e rigorosa informazione al pubblico, non essendo ancora stato chiarito il motivo

dell'avvicendamento anticipato di manager che a detta dello stesso governo hanno bene operato. Il tutto nella

totale opacità sul mandato conferito ai nuovi vertici e prima ancora sulla missione della Cassa. Farebbe bene

il governo a promuovere un'organica normativa su criteri e requisiti per le nomine in questione, a maggior

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ragione perché ci si avvia verso un sistema di forte impronta maggioritaria, più esposto a scelte partitiche

leonine, soprattutto quando non siano equilibrate da una specifica e vincolante legge. Per non parlare di

scelte che, oltre a obbedire ad arcana imperii, fanno capo ad attribuzioni conferite a consulenti.

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FINANZA & MERCATI 25 GIUGNO 2015Il Sole 24 Ore

Nomine. Il board odierno dovrebbe convocare le assemblee ordinaria e straordinaria anche per le

modifiche allo statuto

Cdp, il riassetto entra nel vivo: il cda avvia

l’iter per il rinnovo

ROMA

Il riassetto al vertice di Cdp, voluto dall’esecutivo, entra nel vivo.?Oggi, in mattinata,

è in programma il board della Cassa che dovrà avviare l’iter per l’avvicendamento alla

guida della spa di Via Goito: alla presidenza, finora occupata da Franco Bassanini, è

stato indicato Claudio Costamagna, mentre Fabio Gallia dovrebbe prendere l posto

dell’attuale ad, Giovanni?Gorno Tempini.

«Non faccio commenti, domani (oggi, ndr) c’è il cda», ha tagliato corto ieri il ministro

dell’Economia,?Pier Carlo Padoan, interpellato dai cronisti sulle eventuali dimissioni

dei consiglieri indicati dal Tesoro nel cda di oggi. All’ordine del giorno della riunione,

figurava, almeno fino a ieri sera, solo la convocazione dell’assemblea per

l’approvazione delle modifiche statutarie condivise dai due azionisti. Ma il cda

odierno dovrebbe fissare anche l’assise ordinaria per il rinnovo del consiglio. I tempi

sono quelli dettati dallo statuto che indica in almeno 8 giorni - la prima data utile

sarebbe quindi il prossimo 3 luglio - la deadline per la comunicazione ai soci

dell’avviso di convocazione. E sarà in quell’occasione, ma il condizionale è d’obbligo,

che si dovrebbe arrivare alle dimissioni formali di tutti i componenti del board, incluso

l’attuale numero uno impegnato a negoziare la sua partita economica prima dell’addio.

Quanto alle modifiche statutarie, ora al vaglio dell’Economia, il quadro dovrebbe

essere il seguente. La prima correzione riguarderà la cosiddetta “clausola etica” in

modo da render possibile la nomina di Gallia al timone di?Cdp. Sul numero uno di

Bnl-Bnp Paribas pende infatti una citazione in giudizio della procura di?Trani che al

momento sbarrerebbe la strada alla sua designazione. Per sciogliere il nodo, lo statuto

della Cassa sarà modificato, come anticipato dal Sole 24?Ore (si veda l’edizione del

17 giugno), secondo la direzione già adottata dall’Enel, con l’ok del Mef, all’ultima

assemblea dei soci: sarà cioè abrogata la norma che farebbe scattare l’ineleggibilità di

Gallia, come pure quella che stabilisce altresì il passaggio in assemblea nel caso in cui

un amministratore in carica sia raggiunto da un decreto che dispone il giudizio o il

giudizio immediato o da una sentenza di condanna definitiva per danno erariale.

Mentre sarà salvaguardata l’applicazione della clausola qualora venga emessa una

sentenza di condanna non definitiva per alcune tipologie di reati o una condanna

definitiva per danno erariale.

La seconda modifica dovrebbe poi investire la governance. La vicepresidenza, che

sarà ora espressa dalle fondazioni, è già prevista dallo?statuto (comma 1 dell’articolo

16), come ha ricordato nei giorni scorsi anche il numero uno dell’Acri, Giuseppe

Guzzetti. «Finora non l’abbiamo mai chiesta, ma ora che il presidente viene indicato

dal ministero dell’Economia, la vicepresidenza ci sta». Tuttavia, per formalizzare il

cambio sulla presidenza, sarà probabilmente necessario ritoccare il comma 11

dell’articolo 15 laddove stabilisce che «il presidente della società è il primo della lista

che risulta seconda per numero di voti», cioè quella dei soci di minoranza. Nello

statuto, infine, dovrebbero poi trovare spazio le modifiche necessarie per assicurare

alle fondazioni la garanzia richiesta sulla distribuzione degli utili e la possibilità di una

way out in caso di mancata distribuzione degli stessi per due anni.

Il cambio della guardia, dunque, è partito. E ieri, quasi a sancire il passaggio di

consegne, il presidente uscente Bassanini e quello designato Costamagna, secondo

quanto riportato dall’Adnkronos, sarebbero stati ricevuti al ministero dell’Economia

da Roberto Garofoli, capo di gabinetto di Via XX?Settembre.

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Celestina Dominelli

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PRIMA PAGINA 26 GIUGNO 2015Il Sole 24 Ore

Tesoro. Al via il ricambio anticipato del board - Fondazioni azioniste verso l’intesa sulla

vicepresidenza

Cdp convoca i soci per il riassetto

Assemblea il 10 luglio per «l’adozione di decisioni sugli amministratori»

Via libera al riassetto di Cdp voluto dal governo Renzi. Ieri il cda della Cassa, in agenda da tempo per deliberare

l’erogazione di alcuni finanziamenti (puntualmente arrivata e pari a 1,9 miliardi di euro di risorse), ha infatti deciso

la convocazione dell’assemblea straordinaria e ordinaria per procedere alle modifiche statutarie concordate dai soci

(Mef e fondazioni) e per l’adozione di decisioni sugli amministratori.?Una formula volutamente generica dietro cui

si cela il rinnovo dei vertici, il cui iter è però ancora tutto da costruire. Anche perché è la prima volta, nella storia

recente della Cassa, da quando cioè è stata trasformata in spa (2003), che va in scena un ricambio anticipato del

board.

Non a caso, i tecnici dell’Economia, supportati dai legali di?Cdp, stanno studiando con attenzione la vicenda per

capire come dovranno articolarsi le prossime tappe. La data da segnare sull’agenda è il 10 luglio, quando è stata

fissata in prima convocazione la doppia assise (il 14 luglio, invece, scatterebbe la seconda). Due settimane di

tempo, da qui all’assemblea, che torneranno utili anche alle fondazioni, alla ricerca di una quadra sul nome per la

vicepresidenza.

Continua pagina 33 Celestina Dominelli

Continua da pagina 31 In cambio del disco verde su Claudio Costamagna, indicato dall’esecutivo alla presidenza

della Cassa, ora occupata da Franco?Bassanini, le fondazioni hanno chiesto e ottenuto la vicepresidenza, ma anche

precise garanzie sui flussi dei dividendi per tre anni, al termine dei quali, chi lo vorrà, potrà avvalersi di un diritto

di recesso per giusta causa. Condizioni precise, queste ultime, che ora dovranno essere messe nero su bianco nello

statuto.

Ma andiamo per ordine. Di sicuro,l’assemblea straordinaria procederà ad allentare la cosiddetta “clausola etica”,

prevista dalla direttiva Saccomanni nel 2013 e recepita nello statuto di Cdp, per consentire la nomina di?Fabio?

Gallia, attuale ad di Bnl-Bnp Paribas, al posto di Giovanni Gorno Tempini. Sul manager pende infatti una citazione

in giudizio della procura di Trani che ne rende al momento impossibile la designazione. La strada, come anticipato

da questo giornale, sarà quella già battuta nelle scorse settimane all’Enel, con l’abrogazione di questo passaggio

della direttiva emanata due anni orsono.

Poi ci sono le modifiche relative alle condizioni spuntate dalle fondazioni. La vicepresidenza è già prevista dallo

statuto, ma negli ultimi anni è rimasta lettera morta, anche perché tale figura era stata originariamente prevista,

come contraltare alla presidenza un tempo indicata dal Mef. Poi, nel dicembre 2012, quando fu deliberata la

conversione delle azioni privilegiate di Cdp in mano alle fondazioni in titoli ordinari, gli enti ottennero, di lì a poco,

che fosse formalizzata nello statuto la previsione di riservare loro la nomina del presidente (mentre l’ad sarebbe

spettato al Mef).

Ora, però, con Costamagna avviato a diventare presidente, il ruolo di vice sarà “rivitalizzato” e probabilmente sarà

necessario ritoccare lo statuto per correggere il tiro. L’ultimo vicepresidente risale al biennio 2007-2008 e fu

proprio Bassanini, nominato poi l’anno dopo alla presidenza di Cdp. Le fondazioni sono alla ricerca di una quadra

sul candidato da proporre. In base ai “pesi” dei singoli enti nell’azionariato della Cassa, la nomina spetterebbe alla

Fondazione Banco di Sardegna (secondo azionista ormai dopo il Mef), ma è chiaro che sul nome dovrà esserci una

convergenza di tutti i soci di minoranza, visto che al vicepresidente spetterà a questo punto quel ruolo di

salvaguardia finora svolto da Bassanini.?Quanto agli altri due nomi, si dovrebbe andare verso una conferma di

Mario Nuzzo, espressione delle fondazioni più piccole, e verso la designazione di Carla Ferrari, attuale consigliere

di gestione di Intesa Sanpaolo, espressa dalla Compagnia di San?Paolo (l’uscente Marco Giovannini era stato

indicato due anni fa dalla Fondazione Crt).

Sui nomi che saranno invece proposti dall’azionista di maggioranza, non ci sono per ora certezze. Nei giorni scorsi

sono circolate indiscrezioni sul possibile ingresso in cda di Stefano Firpo, dg del Mise per la politica industriale, la

competitività e le pmi, e di Roberto Sambuco, senior advisor presso Vitale & Associati, ma quest’ultimo ha

smentito seccamente i rumors. Al di là dei nomi, si tratterà di comunque di capire quale sarà il pre-copione

dell’assemblea del 10 luglio. L’idea sarebbe quella di arrivare all’assise con le dimissioni formali di tutti i

consiglieri (incluse quelle di Gorno Tempini che sta negoziando la chiusura del suo rapporto con la Cassa) in modo

da attivare l’iter per il rinnovo. Ma è chiaro che tutto andrà definito prima di quella data visto che, da statuto, le

liste per il nuovo cda vanno depositate almeno quattro giorni prima.

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FINANZA & MERCATI 26 GIUGNO 2015Il Sole 24 Ore

I DUBBI SULLA

STRATEGIA I capitali messi sul piatto per rilevare le quote degli azionisti arrivano quasi a pareggiare i mezzi freschi iniettati a sostegno delle aziende

Bilancio. Le nove partecipazioni che la Cassa considera rilevanti per il Paese

Gli investimenti (poco) strategici della Cdp

Il Fondo strategico italiano della Cdp, fiocco azzurro del 2 agosto 2011, è iscritto al club dei fondi sovrani. Bizzarro per un Paese come l’Italia, che non ha il surplus delle risorse naturali da reinvestire. Ma non sempre è chiara neppure la strategicità degli investimenti effettuati, tanto più che i capitali messi sul piatto per rilevare le quote degli azionisti arrivano quasi a pareggiare i mezzi freschi iniettati a sostegno delle aziende: escludendo Generali, che è un caso particolare, dei 1.387 milioni investiti fino ai primi mesi del 2015, 640 milioni sono andati all’acquisto di azioni già esistenti e 747 alla sottoscrizione di titoli di nuova emissione. Dagli enunciati, Fsi investe in imprese di «rilevante interesse nazionale», che si trovino in una situazione di «stabile equilibrio economico, finanziario e patrimoniale» e presentino «adeguate prospettive di redditività e significative prospettive di sviluppo». Ma per «rilevante interesse nazionale» si intende in realtà un po’ di tutto.Continua pagina 33 Antonella Olivieri Continua da pagina 31 Oltre ai settori della difesa, della sicurezza, delle infrastrutture, dei trasporti, delle telecomunicazioni, dell’energia, della ricerca e dell’innovazione tecnologica, il fondo della Cdp considera ambito strategico anche assicurazioni, intermediazione finanziaria, pubblici servizi, turismo, agroalimentare, distribuzione, gestione dei beni culturali e artistici.In tre anni e qualche mese - i dati più aggiornati sono quelli del bilancio 2014 - gli investimenti strategici, tralasciando le quote di fondi, sono stati declinati in nove partecipazioni societarie. Una delle ultime new entry in realtà di italiano ha solo il nome: Rocco Forte Hotels, con sede a Londra. L’interesse nazionale è giustificato dall’obiettivo di sviluppare un «polo del turismo italiano». Sessanta milioni di sterline, l’equivalente di 80 milioni di euro, di fondi pubblici tricolore per sostenere la causa. A ridosso di Natale il fondo della Cdp, insieme al fondo sovrano del Qatar (joint fifty-fifty per il sub-fondo del made in Italy), è entrata nell’Inalca della famiglia Cremonini: «l’eccellenza delle carni», recita il sito dell’azienda emiliana. Ma dei 165 milioni messi sul piatto, 50 sono stati utilizzati per sostenere Cremonini Spa, holding degli imprenditori, che ha ceduto parte delle sue azioni. Non c’era ancora Fsi, ma in Parmalat - che pure era stata fatta risorgere dalle ceneri del crack Tanzi con impegno pubblico, aveva una ricca dote di liquidità ed era il fulcro della filiera del latte - Cdp non è entrata, lasciandola ai francesi di Lactalis, ai tempi ampiamente indebitati. Ancora più esplicito il sostegno all’imprenditore di Valvitalia, uno dei principali produttori mondiali di sistemi per il controllo dei flussi (leggi: valvole) per il settore oil&gas. Un milione in aumento di capitale e 150 di prestito convertibile con l’obiettivo di «stabilizzare l’azionariato per consentire la continuità azionaria dell’imprenditore fondatore e proseguire la crescita».«Stabilizzare l’azionariato», oltre che «mantenere l’integrità dell’attuale perimetro e la continuità gestionale» era anche la motivazione per l’intervento nella Sia, piattaforma tecnologica nell’ambito del sistema dei pagamenti creata all’origine da Bankitalia: la quota complessiva che fa fa capo alla Cdp sfiora il 70%, anche se il fondo prevede solo l’assunzione di partecipazioni di minoranza. Il percorso a tappe è iniziato un anno fa con l’esborso di circa 200 milioni per rilevare il 42,2% detenuto da Intesa e Unicredit.Con investimenti analoghi - 100 milioni ciascuna immessi nelle casse aziendali sottoscrivendo in questo caso solo aumenti di capitale - in portafoglio ci sono anche il 25,1% di Kedrion (leader italiano nel campo dei plasmaderivati) e il 16,9% di Trevi (macchinari per i settori delle fondazioni e dell’esplorazione petrolifera). Insieme i due investimenti equivalgono al cip messo per rilevare il 46,2% di Metroweb con il proposito di «creare il principale operatore di banda larga in Italia»: per centrare il target, non poco ambizioso, ci vorrebbero tuttavia un po’ di più dei 200 milioni

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sottoscritti.Lo sforzo maggiore è stato fatto però per Ansaldo Energia e Generali, l’uno per aiutare Finmeccanica, l’altro per aiutare Banca d’Italia. Per l’iniziale 84,55% della società che produce centrali elettriche, all’antivigilia di Natale 2013, il fondo della Cdp ha versato complessivamente 657 milioni al fondo di private equity anglosassone First Reserve (45%) e a Finmeccanica (39,55%). Scopo: «promuovere l’innovazione tecnologica di un’azienda strategica per l’economia italiana con significativi impatti sulla filiera e l’obiettivo di promuoverne la quotazione». Ciononostante, a maggio 2014, Fsi ha ceduto il 40% a Shanghai electric corporation per 400 milioni, portando a casa una plusvalenza di 72 milioni.Infine, Generali. Per dimensioni, il vero “piatto forte”, anche se la quota era limitata al 4,48% che Banca d’Italia aveva dovuto cedere all’assunzione del nuovo ruolo di vigilante assicurativo. “Parcheggio” destinato alla rapida dismissione, del valore in “natura” di 884 milioni di euro in azioni ordinarie e privilegiate del fondo (pari complessivamente al 20% del capitale di Fsi). Un’operazione congegnata appunto in modo da non danneggiare via Nazionale. A inizio anno la partecipazione è scesa sotto al 2% con l’obiettivo di azzerarla entro dicembre. Il fondo si è coperto con derivati per assicurare in ogni caso a Bankitalia una plusvalenza di 74,46 milioni, pari all’8,1%. Al completamento, via Nazionale potrà recedere dal capitale privilegiato sottoscritto al momento del conferimento della quota in Generali, a un prezzo pari al patrimonio netto per azione di Fsi, rettificato secondo la stima di un valutatore indipendente. È questo comunque l’ultimo anno in cui il braccio armato della Cdp potrà beneficiare dei dividendi del Leone: lo scorso anno dei 39,8 milioni di cedole incassate, 31,4 milioni sono arrivati da Trieste.A fine 2014, comunque il “fondo sovrano” dell’Italia aveva ancora 3,6 miliardi di liquidità in cerca di destinazione, parcheggiata per il momento in depositi della mamma Cdp e remunerati al netto intorno all’1,3%. © RIPRODUZIONE RISERVATA Antonella Olivieri

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UNIONE EUROPEA

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PRIMO PIANO 22 GIUGNO 2015Il Sole 24 Ore lunedì

Rush finale per evitare la Grexit

Oggi si riuniscono i capi di Stato e di Governo per tentare un’intesa e sbloccare gli

aiuti

«Siamo al centro di una tempesta, ma viviamo vicino al mare e non siamo spaventati».

Parlava così quattro giorni fa il premier greco Alexis Tsipras durante il suo intervento

alla sessione plenaria del Forum economico di San Pietroburgo. La riunione del

vertice del leader dell’Eurozona di stasera, convocata dopo il fallimento

dell’Eurogruppo della settimana scorsa, sarà però probabilmente l’ultima spiaggia, il

tentativo estremo di trovare un’intesa politica ed evitare il rischio concreto di un

default con la conseguenza più tragica: la Grexit, ovvero l’uscita del Paese dalla Zona

euro. Un Paese che vale l’1,9% del Pil dell’area diventa una minaccia per la sua

stabilità.

Alle riunioni di emergenza e alle maratone notturne per sbloccare l’impasse con Atene

i leader e i ministri delle Finanze dell’Eurozona sono ormai abituati. Questa volta,

però, il tempo stringe davvero perché il 30 giugno scade il prestito da 1,6 miliardi del

Fmi e il direttore generale dell’Organizzazione, Christine Lagarde, ha escluso a chiare

lettere un ulteriore rinvio. Il 20 luglio, inoltre, Atene deve rimborsare alla Bce 3,5

miliardi di titoli in scadenza. Il confronto si protrae da ben cinque mesi e un’intesa è

necessaria per sbloccare l’ultima tranche da 7,2 miliardi per garantire liquidità nelle

casse sempre più vuote del Paese. Nelle ultime settimane la distanza tra le parti è

cresciuta sempre di più: alla richiesta di Bruxelles di una riforma delle pensioni, che

valgono ben il 16% del Pil, Atene ha risposto ancora una volta con un piano di riforme

all’insegna degli investimenti. Uno dei principali motivi del contenzioso riguarda il

livello di avanzo primario greco (si veda l’articolo sotto).

«Razionalmente - sottolinea André Sapir, senior economist del think tank Bruegel,

esperto di politiche europee - un accordo è l’unica soluzione possibile, perché un

fallimento avrebbe un impatto negativo per la Grecia e per l’intera Eurozona. Sarà

però un’intesa difficile, dove ciascuno degli attori in gioco dovrà accettare una pesante

contropartita». Secondo l’economista lo spazio per un accordo in extremis c’è e va in

due direzioni: da un lato, spiega, l’unica chance per la Grecia di ottenere un

allungamento delle scadenze e delle condizioni di rimborso del debito è proprio quella

di cedere sulla riforma delle pensioni. Dall’altro «è indispensabile» la sigla di un

nuovo programma di aiuti, il terzo, dopo quelli del 2010 e del 2012, per ridare fiato al

Paese e consentirgli di rispettare gli impegni futuri, con condizioni più favorevoli.

Sono passati più di cinque anni da quando, nell’autunno 2009, l’allora ministro

socialista George Padandreou ha rivelato che le statistiche inviate a Bruxelles erano

state falsate per poter entrare nell’Eurozona. Il deficit viene rivisto al rialzo del 15% e

le agenzie di rating tagliano il giudizio sul debito a «junk», spazzatura. Per la prima

volta si apre il paracadute da 110 miliardi di Ue e Fmi in cambio di un pesante

programma di austerity sotto la regìa della troika. In cambio si chiede al Paese di

attuare un piano a base di privatizzazioni, congelamento degli stipendi pubblici, lotta

all’evasione e riforme solo in parte attuate. Nel febbraio 2012 dopo 15 ore di negoziati

l’Eurogruppo approva il secondo programma di salvataggio con condizioni più

favorevoli per Atene.

I cinque anni di crisi hanno però lasciato in eredità un conto salato: 41 miliardi di Pil

andati in fumo, una disoccupazione alle stelle a quota 26,5%, con punte oltre il 50%

per quella giovanile. I prezzi sono scesi dell’1,4% nel 2014 e secondo le stime della

Commissione Ue dovrebbero restare sotto lo zero anche quest’anno. E una montagna

del debito pubblico sempre più alta: era pari al 148,3% del Pil nel 2010 e oggi vale il

177 per cento. Il 2015 si apre con la vittoria di Syriza, il partito di sinistra radicale alle

elezioni legislative. Alexis Tsipras promette di rinegoziare gli impegni assunti con i

creditori internazionali. Oggi il Paese è allo stremo, il governo ha sospeso i pagamenti

salvo le pensioni e gli stipendi. Lo spettro della «Grexit» ha spinto i risparmiatori in

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Mercati, conto greco da 1.000 miliardi

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coda davanti ai bancomat per ritirare ben 3 miliardi di euro nell’ultima settimana. La

Bce è corsa ai ripari venerdì scorso innalzando il tetto della liquidità di emergenza per

gli istituti ellenici.

La tensione è dunque alle stelle e il governo Tsipras è a un bivio: «Siamo vicini - ha

detto senza mezzi termini il Presidente del Consiglio europeo Donald Tusk - al punto

in cui il governo greco dovrà scegliere se accettare un accordo che considero una

buona offerta per continuare gli aiuti o se dirigersi verso il fallimento. Dobbiamo

liberarci dell’illusione che ci possano essere soluzioni magiche a livello di leader».

Che cosa succederà se l’accordo non dovesse arrivare? L’economista di Bruegel non

ha dubbi: «Si produrrebbe uno choc senza precedenti e le conseguenze sarebbero

drammatiche per il sistema finanziario greco con il rischio di un controllo dei capitali,

ultimo stadio prima del default, ma questo non implicherebbe un’uscita automatica del

paese dalla Zona Euro». A quel punto, però, Atene entrerebbe in acque finora

inesplorate, con esiti imprevedibili.

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Chiara Bussi

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PRIMO PIANO 22 GIUGNO 2015Il Sole 24 Ore lunedì

La trattativa. Dopo il fallimento dei piani di rientro dal debito

Tiro alla fune con i creditori: il punto resta

l’avanzo primarioIl nodo della Grecia è l’avanzo primario. Termine tecnico come tanti altri, in questa complessa vicenda, dietro il quale si nascondono come sempre le persone: che lavorano o cercano lavoro, spendono, risparmiano, investono, si indebitano. A volte soffrono.L’avanzo primario è doloroso. È il segno dell’austerità. Con la loro attività i lavoratori e gli imprenditori generano “valore aggiunto” - la cui somma è il Prodotto interno lordo o Pil - dal quale vengono generati gli stipendi, i profitti, gli interessi da pagare alle banche, e le imposte, versate allo Stato per ottenerne servizi. Quando c’è un avanzo primario - come in molti Paesi con forte debito, tra cui l’Italia - le tasse non vengono tutte spese per stipendi, pensioni, investimenti pubblici, servizi sanitari, di polizia, giudiziari e così via. Una parte viene per così dire “risparmiata” ed è versata ai creditori, come interessi e capitali.Quando questi creditori sono stranieri, come avviene in Grecia, queste risorse escono dal Paese, per non tornarci più. Non è un regalo. La Grecia sta restituendo risorse utilizzate - male, senza dubbio - in passato. Qualsiasi debitore spende oggi i risparmi di domani, e paga un interesse per questa opportunità.L’attuale problema greco è nato con il “piano di rientro” dal debito. Non è riuscito. L’avanzo primario chiesto dai creditori come garanzia per continuare a finanziare il Paese, quella differenza tra tasse prelevate dall’economia reale e risorse a lei riversate che ha evidentemente un effetto frenante dell’attività, ha avuto un effetto multiplo di quello immaginato: il Paese era già in crisi e l’ulteriore freno è stato brusco, mentre si credeva che sarebbe stato meno traumatico.È anche vero che non tutti gli interventi programmati per rivitalizzare, per altra via, l’economia sono stati realizzati. Qualcuno forse era anche sbagliato. La recessione è stata quindi forte, e i sacrifici non pochi: la Grecia ha tagliato 255mila posti di lavoro pubblici (il 25%); le pensioni sono state tagliate e l’età pensionabile aumentata (anche se la spesa previdenziale resta la più alta in relazione al Pil).Non è bastato, e ora la Grecia vuole più tempo e più spazio di manovra - più risorse a disposizione e quindi un minore avanzo primario - per poter fare interventi che siano equi e favorevoli alla crescita. Quali siano questi interventi è proprio la materia del contendere: la visione, tra Bruxelles e Atene, è diversa.Non va dimenticato inoltre che uno Stato non è una famiglia. Le decisioni sul bilancio dello Stato sono prese da un’élite che media tra diversi interessi oltre a prendersi cura della propria rielezione (si parla di ciclo elettorale delle spese pubbliche). In un paese lacerato come la Grecia, uscito da una dittatura nel ’74, le spese pubbliche sono state anche uno strumento per tenere insieme una società divisa: l’indice Gini sulla diseguaglianza dei redditi, relativamente basso e vicino a quella della Svezia (secondo i dati Ocse) testimoniano un pesante intervento in questo senso.Nulla di tutto questo rispondeva a criteri di efficienza economica. Non può sorprendere però che gli elettori greci abbiano dato al nuovo governo il “mandato” - per così dire - di trovare un equilibrio sociale diverso da quello del passato (la maggioranza dei greci, a leggere i sondaggi, non vuole uscire dall’euro e dalla Ue) ma anche da quello chiesto da Bruxelles; e un po’ di tempo in più per la transizione.I creditori - i partner della Ue, il Fondo monetario - hanno un’altra esigenza: non vogliono creare precedenti, dando ai governi l’impressione di poter eludere l’esigenza di tenere in ordine i bilanci perché, in qualche modo, il paese sarà salvato senza troppi drammi. E il tiro alla fune tra le due esigenze si gioca tutto sul campo dell’avanzo primario.© RIPRODUZIONE RISERVATARiccardo Sorrentino

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PRIMO PIANO 22 GIUGNO 2015Il Sole 24 Ore lunedì

Salvataggio o Grexit? Ultima chiamata per

Atene

Verrebbe voglia di scommettere tutto sull’ottimismo della volontà e la logica del buon

senso, che in questo caso coincide con un esercizio di puro realismo. Scaricare la

Grecia oggi costerebbe ai suoi creditori molto di più del suo terzo salvataggio: farebbe

saltare non solo la finzione di un recupero molto lontano nel tempo dei prestiti che le

sono stati concessi ma farebbe anche crollare l’integrità dell’euro e il principio della

sua irreversibilità.

Continua pagina 5 di Adriana Cerretelli

Continua da pagina 1 Per tentare di evitarlo oggi si terrà a Bruxelles l’ennesima

riunione dei ministri finanziari dell’Eurogruppo. E in serata il vertice straordinario dei

leader dell’eurozona, un vertice di vera emergenza .

Ma quali sono le reali intenzioni del debitore in piena crisi umanitaria, con l’economia

ferma, senza più soldi in cassa e con un bisogno ormai disperato degli aiuti Ue per

evitare il default? La risposta dovrebbe essere scontata. Invece non lo è affatto, dopo 5

mesi di negoziati in bilico tra le provocazioni e la resistenza attiva alle richieste dei

partner. Tanto che è legittimo interrogarsi sugli obiettivi ultimi del premier Alexis

Tsipras, se punti davvero all’accordo o non insegua invece la rottura delle catene

europee, rovesciandone però la responsabilità sui partner inflessibili.

L’opinione pubblica greca resta profondamente ostile all’austerità, ne ha ingurgitata

troppa, ma è altrettanto profondamente convinta dei benefici della scelta europea.

Tsipras è un negoziatore spregiudicato: sa perfettamente che Grexit infliggerebbe

all’euro e all’Europa un vulnus potenzialmente letale. Quindi non esita a tirare al

massimo la corda, convinto che i suoi coriacei interlocutori alla fine saranno costretti a

cedere per evitare il peggio. Per questo si diletta a flirtare in parallelo con la Russia di

Vladimir Putin, conscio dell’importanza per l’Occidente della posizione strategica del

suo paese, che proprio per questo è un boccone molto ambito a Mosca.

A furia di tirarla, però, la corda si potrebbe spezzare. Non a caso giovedì la riunione

fallita dell’Eurogruppo a Lussemburgo ha visto crescere di prepotenza al proprio

interno il partito di Grexit, insieme alla frustrazione generale sull’esito di un negoziato

finora quasi del tutto inutile.

Eurogruppo, Bce e Fmi continuano a dirsi flessibili sulle misure di aggiustamento

fiscale e le riforme purchè credibili, effettive ed equivalenti dal punto di vista dei

risultati a quelle originariamente concordate quando fu concesso il programma di

assistenza alla Grecia. Atene finora non ha scoperto le carte pur continuando a

pretendere, contestualmente all’accordo per lo sblocco dei 7,2 miliardi di aiuti residui

da incassare, un’intesa per la ristrutturazione del suo debito (177% del Pil), ritenuto

insostenibile. Se ci fosse una sincera volontà politica di chiudere da entrambe le parti,

l’accordo sarebbe tutt’altro che impossibile. La sensazione è che invece la partita sia

inquinata da troppe carte coperte e secondi fini.

I partiti nazionalisti, anti-euro, euroscettici e anti-sistema sono in crescita dovunque

nell’Unione e minacciano la stabilità di molti Governi. Che certo non sono disposti a

fare regali alla sinistra estrema di Tsipras per favorire i propri nemici in casa. Il

braccio di ferro in corso non ha solo una valenza economico-finanziaria, dunque, ma

anche e soprattutto politica.

Per questo la strada dell’accordo appare tortuosa e piena di insidie. Per questo il tavolo

potrebbe anche saltare. Tra 8 giorni scadranno il programma di aiuti europei e la rata

da 1,6 miliardi dovuta al Fmi. «Ormai per tutti la scelta è fra la peste e il colera»,

riassume un diplomatico europeo. Allora meglio un cattivo accordo che niente

accordo. Finirà così?

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Adriana

Cerretelli

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4 CORRIERECONOMIA LUNEDÌ 22 GIUGNO 2015

La tempesta della moneta unicaAspettando l’incontro

In copertina

Conto alla rovescia Oggi un vertice dovrebbe decidere le sorti di Atene. Chi sono gli uomini-chiave che calcolano i pro e i contro degli scenari

Grecia Quanti ingegneri al lavoro sul nuovo piano BL’italiano Marco Buti studia l’impatto di Grexit per la Commissione Ue, Wieser è il rappresentante dell’Eurogruppo Masuch è l’uomo imparziale della Bce e Thomsen porta avanti la tesi dell’Fmi sul mancato rimborso dei prestiti DI FABRIZIO GORIA

Tra Commissione ed EurogruppoThomas Wieser

Fondo monetario internazionale Poul Thomsen

Banca centrale europeaKlaus Masuch

La situazione d’emer-genza in cui si trova laGrecia ha costrettopolitici e funzionari

europei agli straordinari. Col-pa della creazione di pro-grammi di contingenza percalcolare l’impatto di un falli-mento sovrano di Atene, par-ziale o totale, e della possibileuscita «accidentale» del Pae-se dall’area euro. Piani che perora rimangono chiusi a chiavenei cassetti, ma che potrebbe-ro essere presto utilizzati.

Il Brussels group compo-sto da Fondo monetario inter-nazionale (Fmi), Banca cen-trale europea (Bce), Commis-sione Ue e European stabilitymechanism (Esm) non è sta-to fermo negli ultimi mesi. «Èlegittimo essere preparati aogni scenario sfavorevole».Commenta in tal modo, di-plomatico quanto basta, unalto funzionario della Dire-zione generale per gli Affarieconomici e finanziari (DgEcfin) della Commissione Ue.Il termine Grexit, così utiliz-zato dalla stampa mondialeper etichettare l’uscita dellaGrecia dalla zona euro, non èmai utilizzato. «La terminolo-gia giornalistica è colorita,non è il caso di usarla», spie-ga al telefono il funzionario.Meglio qualcosa di più asetti-co. La sostanza, però, noncambia. Da circa due mesi si

sta lavorando, come si era fat-to nel 2012, agli scenari che sipossono aprire nel caso laGrecia non riuscisse a usciredalle sabbie mobili in cui ver-sa. Il primo piano di contigen-za arriva dalla Dg Ecfin gui-data da Marco Buti. È infattila Commissione europea cheha il compito di fornire il qua-dro previsionale dell’impattodegli scenari avversi per laGrecia. Dalle unità della DgEcfin sono state valutate leconseguenze di un’uscita del-la Grecia dall’eurozona sulfronte legale, macroeconomi-

co e finanziario. Un lavoroche ha costretto i funzionariguidati da Buti a diverse nottiin bianco nelle ultime setti-mane.

Punto di raccordoUna volta terminato il lavo-

ro della Commissione Ue, lapalla è poi passata all’Euroworking group, con a capoThomas Wieser. È proprioquest’ultimo il punto d’unio-ne fra la Commissione Ue e iministri finanziari dell’areaeuro, riuniti nell’Eurogruppo.Wieser è un economista dinazionalità austriaca nato ne-gli Usa, Bethesda, nel Mary-land, nel 1954. Dopo aver stu-diato economia a Innsbrucked economia matematica inColorado, ha lavorato al mini-stero austriaco delle Finanze per poi arrivare al vertice, nel2005, del Comitato sui merca-ti finanziari dell’Organizza-

zione per la cooperazione e losviluppo economico (Ocse).

Dopo, è diventato capo del-l’Economic and financialcommittee dell’Unione euro-pea, carica che ricopre ancora

oggi. De facto, Wieser è l’uo-mo che più conosce la situa-zione ellenica. «È una perso-na sempre sorridente, ma nel-le ultime settimane il suo vol-to si è fatto scuro e la tensionesi percepiva a distanza», diceun gestore di hedge fund chelo conosce bene. Colpa di Ate-ne e del rischio correlato allamancanza di un accordo du-raturo e sostenibile.

Altri pareriAllo stesso tempo, anche la

Bce ha cercato di quantificarecosa potrebbe succedere nelpeggiore degli scenari. Comespiega una fonte interna, ilDirettorato generale Macro-prudential policy Financialstability, guidato dall’italiano

Sergio Nicoletti-Altimari, giàvice capo del Servizio opera-zioni sui mercati della Bancad’Italia, ha preso visione deipiani della Commissione Ue eha dato il suo giudizio. L’ulti-ma parola, prima che il fasci-colo arrivasse al presidentedell’Eurotower Mario Draghi,è spettata però a Klaus Masu-ch, il rappresentante della Bceal l ’ interno del Brusselsgroup. Economista formatosiprima all’Università di Würz-burg, dove ha conseguito undottorato in economia, e poialla Bundesbank, Masuch se-gue la Grecia fin dalle primeavvisaglie di crisi e si è sem-pre mostrato imparziale neiconfronti del gossip finanzia-rio. Del resto, come sottolinea

un economista della Bce,«non è il nostro ruolo giudi-care sulle decisioni politiche,noi guardiamo verso le con-seguenze finanziarie per ga-rantire la stabilità dell’Eurosi-stema». In caso di default so-vrano della Grecia, lo ha ripe-tuto Draghi, si entrerebbe interritori ignoti. E pertanto bi-sogna verificare la solidità delle banche elleniche. Senon fossero solventi, sarebbe-ro temporaneamente chiuse.

Sebbene nessuno all’inter-no delle istituzioni europeesia favorevole a parlare del-l’insolvenza della Grecia, cosìnon è sul fronte del Fmi. A cu-rare il dossier ellenico è dinuovo Poul Thomsen, il capodel Dipartimento europeodell’istituzione di Washin-gton. Thomsen aveva lasciatola palla al più giovane, manon per questo meno esperto,specie sul fronte legale, RishiGoyal. Ma dati gli sviluppi ne-gativi nelle negoziazioni,Thomsen ha preferito affian-care Goyal nella fase più duradelle trattative. Allo stessotempo, il 60enne economistadanese ha cercato di quantifi-care l’impatto di un mancatorimborso dei prestiti erogatialla Grecia. «È un’opzione chepuò avere esiti imprevisti»,fanno sapere dal Fmi. Mitiga-re l’incertezza è fondamenta-le. Evitare di farsi cogliere im-preparati, pure.

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La proposta Una possibile soluzione di mercato

«La politica ha fallitoL’Europa si ricompriil debito di Atene»Serve uno swap sui titoli oggi in circolazionePer sostituirli con bond a 30 anni e senza interessiDI MARCELLO MINENNA

Portare il rapporto tradebito e Pil della Greciaal livello della Germa-

nia è possibile, ma il negozia-to tra il governo di Atene el’Unione europea si è arenatosui presupposti sbagliati. Sidiscute su Iva e pensioni, ali-mentando querelle di difficilesoluzione.

Aumentare le aliquote Ivaha effetti recessivi sull’econo-mia e la Grecia dal 2009 hagià perso un terzo del suoProdotto interno lordo; circal’insostenibilità del sistemapensionistico greco si può ri-conoscere qualche «generosi-tà» del passato ma è incontro-vertibile che l’abbattimentodel valore dei fondi pensioneè da ricondurre al massiccioacquisto di titoli collegati al ri-schio Grecia avviato a ridossodella crisi ed all’uso stile Ban-comat di questi fondi da partedel governo per ripagare i cre-ditori internazionali.

EsposizioniIl problema della Grecia è

il debito pubblico che fino al2010 era delle banche privatefrancesi e tedesche, mentre

ora è un problema del contri-buente europeo dato che (at-traverso i vari «aiuti» dellaTroika) è stato europeizzatonel Fondo Salva Stati (Efsf),in Bce e nei prestiti intergo-vernativi bilaterali. L’Italia èesposta per oltre 40 miliardidi euro, la Germania per qua-si 60, la Francia per oltre 50, laSpagna per oltre 25 e così via.

IdeeServono soluzioni non con-

venzionali e l’ingegneria fi-nanziaria (in grado di antici-pare o posticipare i flussi di

cassa secondo le necessità)può aiutare, ristrutturando ildebito greco in modo da por-tare ad oggi tutti i possibilibenefici finanziari e minimiz-zare l’impatto sistemico deldefault.

Semplificando un po’ edutilizzando le informazionisulla composizione dell’inde-bitamento ellenico si può direche la Grecia è impegnata ver-so i suoi creditori con un’ob-bligazione che ha un contro-valore di oltre 310 miliardi,una durata di 16 anni e unacedola annuale del 2,7% (8

miliardi di interessi l’anno).Questa obbligazione rappor-tata al Pil determina un valoredi oltre il 175% assai proble-matico per l’austero «fiscalcompact».

Se però questa obbligazio-ne dovesse essere venduta sulmercato quanto varrebbe?Oggi non siamo messi megliodel marzo 2012 — quando sifece la prima ristrutturazionedel debito con una decurta-zione effettiva di oltre il 70%— e gli spread applicati dalmercato ai pochi titoli greci incircolazione su simili scaden-

ze ne dimezzano largamente ilvalore. Si può ragionevolmen-te ipotizzare che ricomprare ildebito greco sul mercato co-sterebbe non più di 140 mi-liardi e sostituirlo (in gergo sidice «swapparlo») con nuovodebito e potrebbe portare ilrapporto debito/Pil della Gre-cia al 75% cioè in linea con laGermania. Oltre a questaoperazione di mercato si po-trebbe agevolare la Greciaprevedendo che il nuovo debi-to sia a 30 anni senza cedole.

L’anomaliaSi prenderebbe così atto

dell’altra faccia dello spread,la grave anomalia dell’Euro-zona, che se consente a qual-cuno di finanziarsi a tassi ne-gativi (la Germania) dovreb-be anche consentire a qual-cun altro, alle strette (laGrecia), di abbattere a valoridi mercato il proprio debitopubblico.

Tenuto conto che l’esposi-zione di Atene è in larga partepresso le istituzioni che rap-presentano e garantisconol’esistenza stessa dell’Euro(cioè l’Efsf e la Bce) accettarequesto scambio diviene solouna decisione politica. E se

poi il problema venisse solle-vato da soggetti sovranazio-nali come il Fondo monetariointernazionale (Fmi) che nonvolessero accettare la realtà— e cioè che il valore di mer-cato del proprio credito si èdimezzato — spetterà ancorauna volta alle istituzioni euro-pee definire eventuali surro-ghe per gestire il problema incasa.

Il valore finanziario dei ri-

schi insiti nel debito grecoverrebbe così anticipato perintero ma i creditori — invecedi subire una perdita consi-stente nel breve (come acca-drebbe con un default incon-trollato della Grecia) —avrebbero una perdita diluitanel tempo, e precisamente ri-partita in più rate in base alleesigenze di rifinanziamentodelle istituzioni europee coin-volte; magari gestita attraver-so garanzie a supporto di nuo-

ve emissioni dell’Efsf inveceche per cassa.

L’azzeramento dei circa 8miliardi di euro di interessiagevolerebbe poi la gestioneordinaria delle finanze pub-bliche elleniche e la riavvici-nerebbe alla Germania che daanni su ampie porzioni delsuo debito ha interessi negati-vi o nulli. Peraltro, la Bce (cre-ditrice per oltre 25 miliardi) siè già impegnata a restituiregli interessi ricevuti sui titoligreci acquistati nei program-mi di aiuto; ed anche l’Efsf cheha in pancia oltre 140 miliardidi debito ellenico ha già spo-stato l’inizio del pagamentodegli interessi al 2022.

Rimessa così la Grecia incarreggiata si potrebbe conforza indirizzarla verso quelleriforme che la integrino me-glio in Europa; è invece vellei-tario insistere con l’austerità recessiva degli avanzi primariirraggiungibili.

«Si può fare!» E non è lanota battuta del film Franken-stein junior di Mel Brooks.Anzi direi che se non si faràl’Europa sarà sempre più si-mile all’assemblato-monstreFrankenstein.

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Con lo scambioi creditori avrebbero perditediluite nel tempo

38miliardiQuanto serve

ad Atene entro fine

anno per rimborsare

i debiti e pagare

gli stipendi

e le pensioni

Un conto pesantissimo

2015 2018 2021 2024 2027 2030 2033 2036 2039 2042 2045 2048 2051 2054

30

25

20

15

10

5miliardidi euro

Fondo Salva Stati (EFSF)

Fondo Monetario Internazionale (FMI)

Prestiti Intergovernativi (GLF)

Banca Centrale Europea (BCE)

Settore Privato (PSI)

Titoli di Stato a breve termine

L’esposizione della Grecia verso i vari creditori

RisparmiDai bond alle azioni,

dalla liquidità a Wall Stre-et: da pagina 22 a pagina25 i consigli per gestire ilportafoglio nella crisi greca

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MF

Numero 122, pag. 3 del 24/06/2015

PRIMO PIANO

La Vigilanza europea è una vera Babele: serve un TestoUnico

di Angelo De Mattia

In un convegno svoltosi ieri all'Abi si è discusso dell'assetto istituzionale della Vigilanza bancaria in Europa e

della situazione delle banche delle diverse giurisdizioni nei confronti della normativa regolatrice e dei controlli.

La rappresentazione degli organi e dei comitati che presiedono alla funzione in questione è sufficiente a dare

l'immagine della pletoricità e complessità delle architetture, definite chiaramente per mediazioni successive

ma senza una cultura istituzionale; soprattutto senza far prevalere la capacità di progettare un sistema di

organi e di regole armonico, semplice, che immediatamente trasmetta l'immagine delle attribuzioni e delle

connesse responsabilità, disseminate invece tra Autorità bancaria europea, Comitato europeo per il rischio

sistemico, Bce, Comitato unico di risoluzione delle crisi (oltre a Commissione e Consiglio Ue), Eba, autorità

nazionali. Se non è la Babele, poco ci manca. Ed è insufficiente la giustificazione secondo cui potenziali

conflitti d'interesse tra Vigilanza e risoluzione, tra supervisione micro e macro, tra Vigilanza prudenziale e di

conformità avrebbero reso necessario un tale confuso e segmentato assetto, anche perché sui conflitti

d'interesse ci sarebbe moto da dire per disvelarne l'inconsistenza. Ma la farraginosità è evidente anche

perché nella stessa descrizione dell'architettura si evidenziano il rischio di duplicazioni, sovrapposizioni,

interpretazioni restrittive di norme, scarsa chiarezza nell'attribuzione di responsabilità, applicazione delle

discrezionalità nazionali «a fisarmonica» nei diversi Paesi, nonché la necessità di osservare il principio di

proporzionalità. In questo campo bisognerebbe invece agire per una rivisitazione che riformi questa barocca

impalcatura, fonte di atti e comportamenti che non sono certo i migliori possibili, come si sta sperimentando

in questa prima fase. Le mediazioni sono inevitabili, ma soffrono il limite della qualità del prodotto: se l'assetto

che ne risulta non è il più idoneo per l'efficienza, la trasparenza, l'accountability, allora bisogna comunque

riformarlo. A questa scomposizione di organi va poi aggiunta l'adozione, nei differenti Paesi, dei principi

contabili, il che accresce la confusione a danno della par condicio bancaria. Quanto poi alle norme, l'invito del

responsabile della Vigilanza italiana è a soddisfarsi dell'operare congiunto delle diverse autorità per

rimuovere le differenze regolamentari e delle prassi di Vigilanza che ostacolano il dispiegamento di un

necessario «level playing field», dal momento che è utopistico pensare a uniche normative fiscali, civilistiche,

penali. Tuttavia si potrebbe pensare sin d'ora, come da diverse parti viene richiesto, all'adozione di un Testo

Unico Bancario e di un Testo Unico della Finanza europei. L'idea di far precedere le normative dalla

armonizzazione degli organi non si è dimostrata sempre vincente. Ora l'adozione di una disciplina comune

sarebbe garanzia di un'applicazione corretta da parte degli organi che saranno preposti alla sua attuazione e,

soprattutto, della serietà del processo d'integrazione in questo campo, troppe volte affidato alla «intendance

suivra», con successive grandi delusioni. Naturalmente va tenuto presente che la prevenzione

dell'eventualità dell'applicazione di regole «meccanicistiche» esige non solo un'impalcatura degli organi e dei

Pagina 1 di 2La Vigilanza europea è una vera Babele: serve un Testo Unico - MilanoFinanza.it

24/06/2015http://www.milanofinanza.it/giornali/stampa-articolo?id=1997583&access=AB

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controlli meno frammentata, ma anche politiche di Vigilanza coerenti, non preda del «chiodo fisso» degli

aumenti delle dotazioni di capitale o, comunque, dell'osservanza dei parametri. Occorrerebbe un po' più di

spirito critico e porsi nella situazione di chi considera la fase della prima applicazione della Vigilanza unica

come sperimentale e dunque tale da esigere, dopo un congruo termine, una rilevante manutenzione

straordinaria, nella migliore delle ipotesi. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 122, pag. 4 del 24/06/2015

PRIMO PIANO

Oggi l'Eurogruppo potrebbe segnare la svolta per l'accordo sul debito del paese

La Grecia alla resa dei conti

Si attendono passi avanti significativi dai ministri delle Finanze dopo il vertice di lunedì. La Bce aumenta a 89miliardi la liquidità d'emergenza per Atene per far fronte al deflusso dai depositi

di Ugo Brizzo

I ministri delle Finanze dell'Eurozona si riuniranno ancora una volta oggi alle 19 per discutere delle proposte

inviate da Atene, sulle quali i tecnici ellenici e delle istituzioni stanno lavorando e che, secondo i leader

europei, rappresentano un ottimo punto di partenza per un accordo. L'incontro è stato annunciato dalla

cancelliera tedesca Angela Merkel al termine del meeting straordinario tra i vertici dell'Ue di lunedì sera a

Bruxelles, al quale hanno partecipato, oltre ai capi di Stato e di governo dei Paesi dell'Eurozona, anche il

presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker e quello dell'Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem.

Juncker si è detto certo della possibilità di raggiungere un accordo tra Atene e i

creditori internazionali entro la fine della settimana. «Le proposte greche sono un

passo importante fatto dalle autorità elleniche in direzione delle aspettative delle tre

istituzioni coinvolte nelle negoziazioni», ha spiegato Juncker. Anche secondo il

presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk, il Fmi, la Bce e la Commissione Ue

hanno notato che le «nuove proposte di Atene sono un passo positivo».

Le proposte a cui i due presidenti hanno fatto riferimento sono quelle che Atene ha

presentato ieri. Il piano comprende un aumento delle imposte e tagli alla spesa, in

modo da raggiungere i target richiesti dai creditori. In particolare sono previsti tagli

alle pensioni per un importo pari allo 0,4% del pil nel 2015 e all'1% nel 2016. Lo hanno

riferito due funzionari a Dow Jones Newswires, spiegando che le proposte sono quindi

più vicine ai target chiesti dalle istituzioni creditrici. Il Fmi, la Bce e i Paesi

dell'Eurozona, infatti, insistono su tagli alla spesa del sistema pensionistico per

almeno l'1% del pil del Paese. Tali richieste sono state sempre categoricamente

rifiutate dall'ala più estrema del governo di Syriza.

La nuova proposta avanzata dalla Grecia è «un buon punto di partenza per ulteriori

colloqui» ma «c'è ancora molto lavoro da fare e il tempo è veramente poco», ha fatto sapere invece Merkel.

La speranza è che i ministri delle Finanze dell'Eurozona siano in grado di prendere qualche decisioni

nell'incontro che si svolgerà oggi, ma, se necessario, c'è anche il summit già preventivato di domani. Per la

cancelliera tedesca qualsiasi accordo sul salvataggio di Atene deve fornire «una certa visibilità» sulle finanze

del governo ellenico per almeno un anno ed essere coerente con i fondi rimanenti dell'attuale programma di

aiuti. Infine il Parlamento greco dovrà accettare l'eventuale accordo prima che quest'ultimo sia inviato agli altri

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Paesi dell'Eurozona, ha spiegato Merkel.

Decisamente poco ottimista, dopo il summit di ieri sera, è stata Christine Lagarde, direttore del Fmi. Secondo

il numero uno dell'istituto, c'è «ancora molto lavoro da fare». Inoltre «le proposte di Atene non sono ancora

vicine» a quanto il Fondo chiede. Lagarde ha sentito telefonicamente il segretario del Tesoro americano

Jacob Lew. Dopo la conversazione il Dipartimento del Tesoro Usa ha rilasciato un comunicato nel quale si

legge che entrambi hanno «espresso la necessità per tutte le parti coinvolte di arrivare a un accordo in tempi

rapidi e su un set di riforme credibili che consentano alla Grecia di tornare a crescere all'interno

dell'Eurozona».

Ieri in mattinata fonti della Banca centrale di Atene hanno comunicato un nuovo aumento al tetto della

liquidità di emergenza alle banche elleniche (Ela) da parte della Bce portandolo, secondo alcune

indiscrezioni, a 89 miliardi di euro. Si tratta del quarto incremento in 5 giorni, l'ultimo risale a ieri e ammonta a

3,7 miliardi di euro. L'aumento al tetto della liquidità si è reso necessario visto il continuo deflusso di depositi

dalle casse delle banche elleniche. La scorsa settimana dagli istituti di credito greci è stato prelevato, in

media, circa un miliardo di euro al giorno. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 122, pag. 20 del 24/06/2015

COMMENTI & ANALISI

All'Eurogruppo di oggi non si decide solo il destino della Grecia ma anche quello dell'Ue

di Angelo De Mattia

Oggi alle 19 si riunisce in seduta straordinaria l'Eurogruppo per sentire cosa pensano le istituzioni creditrici

delle proposte greche, discutere le azioni prioritarie che il governo ellenico intende sottoporre al Parlamento,

e definire il percorso per l'ottenimento, da parte della Grecia, degli agognati 7,2 miliardi. I risultati saranno

sottoposti al summit nell'ambito del Consiglio europeo di domani. Il parere di ciascuna delle predette

istituzioni sarà fondamentale. Jean-Claude Juncker ha detto che la vicenda potrebbe concludersi in

settimana, ma ha aggiunto che vorrebbe esaminare la portata delle predette azioni prioritarie. Sarebbe

tuttavia importante che già giovedì si possa dire che un'intesa c'è, ponendo fine alle riunioni che finiscono

con la litania «c'è ancora bisogno di molti chiarimenti da parte della Grecia» e la conseguente convocazione

di altre riunioni. Sono significativi i passi avanti fatti dal governo ellenico su fisco, spesa pubblica, avanzo

primario e in prospettiva sulle pensioni. Comunque da non sottovalutare, anche se nel partito della Merkel si

afferma che il documento presentato dalla Grecia è solo un punto di partenza e Wolfgang Schaeuble, lunedì

scorso, è stato distruttivo su tale documento. D'altro canto, giovedì, quando sarà esaminato il documento dei

cinque presidenti sui progressi dell'Unione e dell'Eurozona da promuovere secondo un'articolazione in più

fasi, sarebbe paradossale che proprio in quel giorno si dovesse constatare un nuovo nulla di fatto nella

vicenda greca. Sarebbe la dimostrazione del velleitarismo di chi promuove un'iniziativa che vuole marciare,

attraverso l'unione bancaria e finanziaria, verso l'unione fiscale e poi quella politico-istituzionale, e al tempo

stesso è incapace di risolvere la crisi di un Paese che rappresenta il 2% del pil dell'Unione. Sarebbe,

insomma, il modo più efficace per accantonare il documento in questione. In sostanza, è chiaro che il

salvataggio non è solo della Grecia ma anche, e forse per primo, dell'Eurozona e dell'Ue. Il governo ellenico

ha capito ciò e ha fatto leva sul rischio di insuccesso che tocca anche e principalmente le due aree, per

resistere alle maggiori pretese dei creditori, fino a dovere, però, ricalibrare la propria posizione quando si è

accorto con Yanis Varoufakis - lo studioso della teoria dei giochi - che proprio quest'ultima consigliava un

atteggiamento un po' più cooperativo. D'altro canto, ha ragione Jean-Paul Fitoussi quando dice che la

Grecia, lottando da sola contro tutti gli altri membri delle istituzioni europee, se si giungerà a un risultato

accolto da tutte le parti, potrà avere il merito di aver contribuito al mutamento di indirizzo e strategia in

Europa. Tuttavia, nulla si può dare per scontato: le parti in causa hanno tutte interesse a non apparire

perdenti. Si va dal governo greco, che dovrà fare i conti in patria con le posizioni più estremiste e comunque

con Syriza, ad alcuni Paesi, quali Spagna, Portogallo, Irlanda, ma anche altri dell'Est, che dovranno far

passare, al proprio interno, tesi che non rinvigoriscano correnti populiste o, come nel caso dell'Irlanda, non

facciano apparire come eccessivi gli sforzi fatti sul risanamento poi conseguito, stabilendo un raffronto con il

caso della Grecia. C'è il Fmi, che deve rispondere agli associati e, in particolare, ai Paesi emergenti membri.

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In ultimo, ma non per importanza, i partner europei che incarnano la linea del rigorismo. Ognuno, però, dovrà

aver presente cosa accadrebbe se non si raggiungesse un'intesa. L'accordo dovrà essere tale da offrire a

ciascuna parte i motivi per parlare senza reazioni negative con i propri rappresentati. Ma se oggi si

continuasse nelle richiesta di chiarimenti, tale da impedire che domani l'Eurosummit e il Consiglio possano

deliberare, non si farebbe altro che diffondere sfiducia, mentre cittadini e mercati si attendono un esito

favorevole. Se il punctum dolens dovesse essere il taglio del debito - che viene posto non come

pregiudiziale, ma come tema da affrontare una volta trovata l'intesa sugli altri punti - allora il rischio sarebbe

quello di tornare in alto mare nelle trattative con le istituzioni creditrici. Tutt'altra cosa sarebbe se invece si

affrontasse la questione dell'ulteriore allungamento delle scadenze che realisticamente potrebbe essere

accordato dai creditori. Così, l'apertura di una discussione su un terzo programma di salvataggio, che

richiederebbe risorse tra 40 e 50 miliardi, rischierebbe di allungare i tempi del negoziato e per di più

inutilmente. Preferibile attestarsi su un accordo-ponte, fino a fine anno, che tenga conto dei rimborsi di prestiti

dovuti dalla Grecia nei prossimi mesi e intanto continuare il confronto, senza l'ansia delle scadenze

imminenti. Insomma, oggi resta una giornata cruciale, che potrà spianare la strada a una decisione

importante nelle riunioni di giovedì, oppure rendere tutto più difficile con effetti negativi cui nessuno potrebbe

sottrarsi. Mai come ora il tempo si è fatto breve e il ruolo della politica, in primis di Angela Merkel, dominante.

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PRIMO PIANO 24 GIUGNO 2015Il Sole 24 Ore

L’Eurogruppo più difficile

Non-stop, stanotte, per l’intesa da portare a capi di Stato e di governo

BRUXELLESSono proseguiti ieri i negoziati tecnici tra i creditori e la Grecia in vista di una nuova riunione dell’Eurogruppo questa sera qui a Bruxelles. È una ennesima corsa contro il tempo. L’obiettivo è di trovare una intesa che sblocchi nuovi prestiti ed eviti un drammatico fallimento del paese, alle prese con una fuga dei capitali. Da un accordo sulla base delle nuove proposte greche dipende anche una richiesta pressante del governo Tsipras: una qualche forma di alleggerimento del debito greco.I tempi sono strettissimi: non solo la Grecia è sull’orlo del baratro e dell’uscita dalla zona euro, ma il memorandum, da cui dipendono nuovi prestiti per 7,2 miliardi di euro, scade a fine mese. «La tempistica è chiara: prima negoziato tecnico, poi benestare politico dell’Eurogruppo domani (oggi per chi legge, ndr). Ce la faremo? Speriamo», spiega un esponente comunitario. «Bisogna mettere d’accordo sia Atene che altre 18 capitali della zona euro». Sull’accordo pesano tre incognite.Prima di tutto, i creditori sono d’accordo per dire che le nuove proposte greche, giunte a Bruxelles lunedì, sono una base di lavoro per rilanciare i negoziati, ma vi sono divari da colmare. Le misure fiscali, per esempio, non convincono. In secondo luogo, i creditori hanno posizioni diverse. La Commissione europea appare più morbida del Fondo monetario internazionale o di alcuni paesi della zona euro. Si tratta di mettere tutti d’accordo. La terza incognita, infine, riguarda l’atteggiamento greco.Alcuni funzionari europei avevano ieri la sensazione che, pur di ottenere concessioni, i greci vogliano tentare nuovamente di spostare la decisione al livello dei capi di Stato e di governo piuttosto che al livello dei ministri. A complicare le cose è la trafila tecnica. Margaritis Schinas, il portavoce della Commissione europea, ha sottolineato ieri che le proposte greche devono essere sintetizzate in «azioni prioritarie», da adottare subito perché i fondi possano essere sbloccati.Agli occhi di Atene, la partita è cruciale. In ballo non c’è solo un nuovo salvagente finanziario, ma anche un alleggerimento del debito greco. L’ipotesi è discussa dai creditori, in modo anche da venire incontro al governo del premier Alexis Tsipras che ha fatto di questo aspetto un suo cavallo di battaglia. Tuttavia, qualsiasi misura su questo fronte sarà una conseguenza nel tempo dell’accordo oggetto di trattativa, piuttosto che una condizione dell’intesa.«Non abbiamo parlato in dettaglio dell’abilità della Grecia di finanziarsi, così come della sostenibilità del suo debito – ha detto lunedì sera la cancelliera Angela Merkel – ma è chiaro che la questione del modo in cui il paese deve finanziarsi fa parte dell’accordo». Di ristrutturazione del debito greco (pari al 180% del Pil) non si parla. Ma dietro al concetto di finanziamento della Grecia si nasconde l’idea di un alleggerimento del debito, riducendo tassi d’interesse e allungando le scadenze obbligazionarie.Nel 2012, l’Eurogruppo si era detto pronto a valutare questa eventualità, una volta la Grecia avesse avuto un avanzo primario. Questo obiettivo è stato raggiunto nel 2014 (per quest’anno è in forse). «La promessa è ancora valida», ha detto Jeroen Dijsselbloem, il presidente dell’Eurogruppo. Il presidente francese François Hollande ha spiegato lunedì: «L’allungamento delle scadenze può essere fatto solo in un secondo momento. Deve essere indicato come un passo successivo».Qualsiasi alleggerimento del debito dipenderà dall’accordo di questi giorni. Quanto all’intesa, da un lato, razionalmente, dovrebbe prevalere l’ottimismo, non fosse altro perché ormai tutti – creditori e debitore – si sono impegnati nella ricerca di un compromesso. Dall’altro, le incomprensioni e i risentimenti potrebbero rivelarsi pessimi consiglieri. Ieri, intanto, la Banca centrale europea ha aumentato nuovamente i prestiti d’emergenza alle banche greche, portando il totale a 89 miliardi di euro.© RIPRODUZIONE RISERVATABeda Romano

Pagina 1 di 1Il Sole 24 Ore

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MF

Numero 123, pag. 2 del 25/06/2015

PRIMO PIANO

Sospeso e riaggiornato a oggi l'eurogruppo. restano divisioni tra atene e creditori

Tsipras riaccende l'incertezzaL'accordo torna in bilico. J'accuse del premier greco: le istituzioni continuano a respingere le misure, non era accaduto né con l'Irlanda né col Portogallo. Mercati nervosi e spread in salita

di Alberto Chimenti MF-DowJones

Tra la Grecia e i creditori internazionali restano significative divisioni sulle misure che Atene dovrà adottare

prima di poter ricevere gli aiuti finanziari. Divisioni che l'Eurogruppo, iniziato ieri e riaggiornato alle 13 di oggi

dopo una notte che si annuncia caldissima, faticherà a ricucire. In altre parole si profilano un allungamento

delle trattative e un altro rinvio, probabilmente a fine mese, come ha sottolineato ieri il

presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Anche perché il tempo stringe per Atene, visto

che il 30 giugno scade il termine per ricevere l'ultima tranche di aiuti da 7,2 miliardi di

euro da parte dei finanziatori europei. Lo stesso giorno il Paese deve al Fondo

monetario internazionale 1,6 miliardi e difficilmente riuscirà a pagare senza il sostegno

dell'Europa.

Di certo la nuova fase di stallo non ha fatto bene ai mercati: borse nervose (Milano -

0,53%) e rendimenti obbligazionari in ascesa con quello del Btp che ha raggiunto il 2,28% a fronte di uno

spread passato da 126 s 143 punti base.

Secondo quanto si apprende da un documento di cui il Wall Street Journal è entrato in possesso, i principali

punti di disaccordo riguardano la tassazione delle società, i tagli al sistema pensionistico e l'imposta sul

valore aggiunto. Le cinque pagine contengono la lista delle riforme che il Parlamento greco intende

approvare prima dell'esborso degli aiuti, a margine sono poi riportate le note dei creditori. Ad esempio la

Grecia avrebbe pianificato un aumento delle imposte sul reddito societario al 29% ma

i partner internazionali vogliono limitare l'aumento al 28%. Questo potrebbe causare

nuovi buchi nel bilancio di Atene che necessiterebbero di essere coperti con ulteriori

misure.

Il governo ellenico ha inoltre proposto di accrescere i ricavi del sistema pensionistico

principalmente aumentando i contributi sociali e limitando i pensionamenti anticipati.

Nel documento si legge dell'insistenza dei creditori per arrivare a risparmiare l'1% del

pil greco entro il prossimo anno tramite tagli alle pensioni e della richiesta di eliminare un pagamento

supplementare ai pensionati più poveri, conosciuto come Ekas, entro la fine del 2017. La proposta greca

promette di cancellare l'Ekas ma solo tra il 2018 e il 2020. I creditori vogliono inoltre ottenere risparmi pari

all'1% del pil tramite aumenti dell'Iva, la Grecia punta invece a un risparmio dello 0,74%.

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25/06/2015http://www.milanofinanza.it/giornali/stampa-articolo?id=1997919&access=AB

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I leader europei, secondo quanto riferito da fonti di Bruxelles, vorrebbero definire le questioni più spinose

nella notte per trovare la quadra già oggi al Consiglio europeo. Ma la strada è stretta e ricca di ostacoli.

Secondo alcune indiscrezioni trapelate nel pomeriggio di ieri pare che i creditori

abbiano inviato delle controproposte alla Grecia, che, però, sarebbero state a loro

volta rispedite al mittente. Sul tema sono arrivate anche le parole del premier ellenico

Alexis Tsipras che, in un tweet, ha scritto che «l'intransigenza di alcune istituzioni nel

non accettare misure equivalenti non si è mai vista. Né con l'Irlanda né con il

Portogallo. Due sono le possibilità a questo punto. O non vogliono un accordo o

stanno perseguendo propri interessi» giocando con il destino di Atene. Il primo

ministro greco ha incontrato ieri anche il numero uno della Banca centrale europea, Mario Draghi, il

presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker e il direttore generale del Fondo Monetario

Internazionale Christine Lagarde.

Resta ottimista sulla possibilità di raggiungere un accordo il ministro delle Finanze di Atene Yanis Varoufakis.

«Siamo alla stretta finale delle discussioni, sperando che siano le ultime», ha affermato. Posizione

decisamente discordante rispetto a quanto affermato dal presidente dell'Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem,

secondo il quale non è ancora stata trovata la quadra tra le proposte della Grecia e le richieste dei creditori

internazionali per sbloccare nuovi aiuti ad Atene. «C'è ancora del lavoro da fare», ha spiegato. Della stessa

opinione anche la Germania. «La nostra impressione è che ci sia ancora molta strada da fare» prima di poter

arrivare a un accordo con Atene, «abbiamo aspettative realistiche per il meeting dell'Eurogruppo di stasera

(ieri per chi legge, ndr)», ha affermato Martin Jager, portavoce del ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang

Schauble, sottolineando che i Paesi dell'Eurozona, la Bce e l'Fmi, nelle ultime proposte inviate alla Grecia,

sono stati «estremamente generosi». Qualunque accordo finale con la Grecia deve essere supportato

dall'Fmi, ha spiegato il portavoce.

Intanto la Bce ha fatto sapere di aver lasciato invariato il tetto alla liquidità di emergenza (Ela), che

attualmente si attesta a circa 89 miliardi di euro. Lo ha comunicato una fonte a Dow Jones Newswires. La

stessa fonte ha spiegato che sarebbe stata la Banca centrale di Atene a non chiedere alcun incremento.

Dopo gli aumenti all'Ela di venerdì, lunedì e martedì, questa sembra essere una notizia positiva e che

segnala come le fughe di depositi in Grecia si siano stabilizzate rispetto alla scorsa settimana. «Nel nostro

scenario di base continuiamo a ritenere che la Grecia resterà un membro dell'Eurozona. Tuttavia i limitati

progressi nelle trattative» tra Atene e i creditori «suggeriscono che un'uscita» del Paese «sia possibile»,

affermano gli analisti di Standard & Poor's in una nota, puntualizzando che un eventuale Grexit, insieme alla

perdita dei finanziamenti da parte della Bce tramite l'Ela, «potrebbe mandare in bancarotta il sistema

finanziario ellenico». Nonostante le ultime notizie sul fronte greco «abbiano rimesso un po' tutto in

discussione, l'impressione è che i mercati sperino ancora in un accordo» con i creditori «nelle prossime ore e

che non abbiano mai creduto al fallimento delle trattative dopo gli sviluppi di lunedì», sottolineano gli analisti

di IG, facendo notare che infatti le vendite sono rimaste abbastanza contenute, anche nelle fasi più critiche

della seduta. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 123, pag. 2 del 25/06/2015

PRIMO PIANO

Dopo l'accordo (se ci sarà) la strada per Atene resterà in salita

di Angelo De Mattia

Se, dopo le convulsioni e indecisioni delle ultime giornate, oggi il summit europeo consentirà la catarsi finale

della tragedia greca o quantomeno riuscirà a fissare un punto fermo nelle trattative che agevoli una

conclusione positiva in maniera ravvicinata e certa, allora, i problemi si sposteranno all'interno dei diversi

partner comunitari e dell'Fmi. I Paesi che hanno bisogno dell'approvazione parlamentare dell'accordo,

Germania in testa, dovranno vedersela con le rispettive assemblee e non è sicuro che il dibattito sarà

indolore, essendo i parlamentari di questi Stati prevalentemente sostenitori dell'austerity a tutti i costi e di

un'inflessibilità per la verità molto miope nei confronti della Grecia, in scia alla Germania. Quanto a Tsipras,

dovrà fronteggiare, da un lato, alcune posizioni estremistiche presenti in Syriza e, più in generale, nell'area

riconducibile alla sinistra che considera non corrispondente alle posizioni elettorali i risultati che si

conseguirebbero e, dall'altro, l'opposizione di centrodestra che anche strumentalmente sostiene che l'esito

che si profila a Bruxelles è sostanzialmente identico alla propria linea (contestata però dai vincitori della

campagna elettorale). La replica del governo ai due fronti non è facile, ma certamente sfrutterà il grande

consenso di cui tuttora Tsipras gode nella popolazione, il fatto che potrà dimostrare che la «linea rossa»

fissata in occasione delle elezioni non è stata valicata e che in ogni caso il risultato non è affatto quello a cui

sarebbe pervenuto il precedente esecutivo, che si inscriveva invece nel quadro del rigido rispetto

dell'austerity rigoristica, a cominciare dall'accettazione dell'obbligo di un avanzo corrente tra il 3 e il 4%.

Ma tutto ciò non sarà facile; dopo la catarsi brussellese, se vi sarà, sopravverrà dunque un seguito

abbastanza duro, che richiederà tutta l'abilità e la capacità chiarificatrice di Tsipras. Qualcuno torna a

evocare l'ipotesi di un referendum sull'accordo quando sarà raggiunto definitivamente; qualche altro ipotizza

addirittura le elezioni anticipate, che però non sarebbero nell'interesse di nessuno, nemmeno nell'Unione e

nell'Eurozona. Lo stesso voto potrebbe slittare verso un implicito referendum anti euro. Un forte aiuto

potrebbe venire dalla promessa, che sarebbe stata fatta da Jean-Claude Juncker, di un piano di investimenti

per un ammontare cospicuo per la Grecia, intorno cioè a 30 miliardi, se l'intesa sarà stata conseguita su tutti i

punti in discussione; sarebbe anche il modo per compensare l'impatto restrittivo che potrebbe scaturire da

un'operazione molto concentrata sull'aumento delle imposte, come prospettata dal governo ellenico, e sulla

quale il Fmi manifesta forti perplessità. Ugualmente avrebbe un indiscutibile valore se si potesse cominciare

a discutere in prospettiva, anche senza misure immediate, sul taglio del debito, oltreché sull'allungamento

delle scadenze. Come sempre, il diavolo sta nei dettagli. Dunque oggi si vedrà se si tratterà di una catarsi o

no. Un accordo equilibrato renderebbe tutte le parti più solide e meglio in grado di rispondere alle critiche nei

rispettivi ambiti. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 123, pag. 14 del 25/06/2015

COMMENTI & ANALISI

Sulla bad bank il governo italiano deve alzare la voce contro i burocrati di Bruxelles...

di Angelo De Mattia

Erano attesi da tempo i due decreti deliberati dal Consiglio dei ministri di martedì scorso, riguardanti

rispettivamente l'accelerazione delle procedure vigenti per il recupero dei crediti, mirata principalmente a

superare i casi di opposizione dei creditori di minoranza, e la possibilità della deduzione fiscale nell'anno

(anziché in cinque anni) delle perdite. Quest'ultimo, addirittura, era sollecitato anche dalla Commissione

europea per ragioni di par condicio concorrenziale delle banche italiane nei confronti degli istituti di altri Paesi

dell'Unione. Sono però due misure che andranno attentamente analizzate, anche per la loro complessità

tecnica e per i loro impatti, quello del primo provvedimento sulla legge fallimentare, quello del secondo sui

conti pubblici, previsto significati vo in un primo momento – tanto che si ipotizzava di introdurre una

compensazione aumentando oltre il 100% l'acconto Ires a carico delle banche – e ora, per bocca del ministro

Pier Carlo Padoan, considerato inesistente. Anzi sarebbe possibile che il Fisco ne tragga qualche vantaggio.

Poiché il ministro non può certo fare de albo nigrum et de quadrato rotundum, allora è da ritenere che il costo

zero al quale Padoan si riferisce probabilmente deriva da una diversa articolazione della quota di deduzioni

ancora possibili per le previgenti normative (i 18 anni della prima disciplina e gli accennati 5 anni della

seconda) o dalla loro sostituzione per una determinata parte con la nuova facoltà di deduzione, non

potendosi verosimilmente dedurre in blocco il pregresso e la parte di competenza dell'anno. Insomma, si

vedrà, esclusa la possibilità di annullare i costi per magia, il meccanismo con il quale si è arrivati a escludere

aggravi per l'erario e benefici per le banche: una combinazione difficile, vigendo sempre il principio secondo il

quale non esistono pasti gratis. Ciò fornisce l'occasione per sottolineare l'importanza della comunicazione

pubblica, da parte del governo, perché sia più chiara e precisa su queste materie. In generale si abbonda con

la logorrea; invece, laddove sarebbero necessari maggiori elementi, si decide verosimilmente di essere

vaghi, alimentando i sospetti di operazioni cosmetiche. È fondamentale comunque che si tratti di un

miglioramento effettivo per le banche, in funzione della necessità di sostenere l'attività di concessione dei

prestiti, attraverso la riduzione del peso delle perdite e, dunque, la minore predisposizione di accantonamenti.

Ovviamente, gli effetti di una tale misura dovranno essere attentamente tenuti sotto controllo, anche per

evitare che si introducano innovazioni – se così risulterà – senza che poi si conseguano i risultati sperati,

alimentando così la vulgata dei regali alle banche.

Misure di vigilanza sarebbero pur sempre disponibili per l'eventualità che provvedimenti della specie si

traducano in un esclusivo vantaggio per le banche e non per famiglie e imprese, e quindi per l'economia

reale. Come si è accennato, anche il decreto sul recupero dei crediti, per i rapporti che instaura tra i diversi

tipi di creditori, andrà valutato approfonditamente per evitare che la maggiore forza di alcuni si traduca in una

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sottovalutazione dei diritti degli altri. Naturalmente, per affrontare completamente la materia, interventi

ulteriori sono necessari in campo amministrativo e in quello della giustizia civile, nonché della legalità e

sicurezza del territorio. Comunque, un passo è stato compiuto, sia pure con tutto il beneficio d'inventario,

ovviamente.

Queste due misure sono collegate, per formare una efficace triade, all'altra, fondamentale, della istituzione di

una bad bank con garanzie pubbliche, per la quale da molti mesi sono in corso discussioni tra il Tesoro ed

esponenti della Commissione Ue, che non approdano a conclusioni. È venuto, allora, il momento per una

scelta finale. Non può continuare ulteriormente un confronto dai tempi biblici, a maggior ragione se si spiega

il grave ritardo non con l'opposizione alla bad bank dei competenti Commissari Ue, il cui orientamento invece

non sarebbe negativo, ma con le strutture burocratiche della Commissione, che porrebbero invece invalicabili

ostacoli. Si tratta di una divaricazione non più tollerabile, l'opposizione alla quale il governo italiano dovrebbe

sollevare al massimo livello e con urgenza. È allora il momento di dimostrare che non sono solo chiacchiere

gratuite le frequenti considerazioni contro le degenerazioni burocratiche della Commissione. Se non lo si fa, è

ovvia una totale perdita di credibilità quando il contrasto ai burocratismi, che finirà con il diventare un

ritornello senza effetti, sarà ripetuto al verificarsi di un prossimo caso. (riproduzione riservata)

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Pagina 2 di 2Sulla bad bank il governo italiano deve alzare la voce contro i burocrati di Bruxelles...

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PRIMO PIANO 25 GIUGNO 2015Il Sole 24 Ore

IL COMMENTO

Un negoziato dove manca la fiducia reciproca

Lo spettro della Grexit ha il merito di avere acceso un dibattito ampio sul destino politico ed economico dell’Europa. Siamo usciti a fatica dalle secche di una controversia tra specialisti sui pro e i contro delle politiche di austerità fiscale e sulla misura dei moltiplicatori della spesa pubblica. Il dibattito è sterile perché non tiene conto della situazione concreta in cui si trova la Grecia e l’Europa. Non si può ragionevolmente pensare che le politiche di rientro da un disavanzo (fiscale e commerciale) eccessivo possano avere effetti positivi sul Pil del paese, ma è altrettanto vero che una politica espansiva avrebbe l’effetto di riportare a livelli insostenibili il disavanzo commerciale e il debito pubblico greco, riaccendendo la speculazione contro i debiti sovrani. Secondo il gergo corrente, la Grecia non ha «spazio fiscale»: ogni euro di spesa pubblica in più va cercato fuori dal mercato, cioè presso i contribuenti europei ed è, di fatto, un finanziamento a fondo perduto. La crisi economica della Grecia non si risolverà in tempi brevi e qualunque accordo con l’Europa sarà solo un progresso temporaneo.Data questa necessaria premessa, quali insegnamenti possiamo trarre dal dramma greco? Secondo un’opinione comune, la vicenda dimostra che l’Europa ha bisogno di istituire meccanismi più robusti di solidarietà e aumentare il bilancio federale per consentire maggiori aiuti ai paesi in difficoltà. Secondo altri, la vicenda dimostra che l’Europa ha finora scelto di difendere i creditori e le banche a discapito dei popoli e della democrazia. A me sembra che queste tesi siano, in buona parte, infondate. In primo luogo, vale ricordare che, dal 2010, la Grecia ha ricevuto dalle istituzioni internazionali risorse ingenti (in rapporto a qualunque esperienza passata di crisi dei debiti sovrani), e che essa è tuttora ampiamente sussidiata tramite tassi d’interesse artificiosamente bassi, liquidità emergenziale della Bce, fondi strutturali e ulteriori promesse di allungamento delle scadenze. Il fatto che tutto ciò non sia bastato ha molto a che fare con i problemi strutturali dell’economia greca, la cui soluzione richiede tempi lunghi e sacrifici. Non si capisce, inoltre, perché, come spesso si dice, la vicenda sia il sintomo di un “deficit democratico”. Se le politiche proposte dal governo greco si basano sul denaro dei contribuenti degli altri paesi europei, è logico che questi ultimi abbiano voce in capitolo. A scanso di equivoci, non intendo negare che l’Europa abbia bisogno di meccanismi di assicurazione più estesi per risolvere crisi nazionali. Questi ultimi sono necessari per fronteggiare problemi di natura temporanea e crisi di liquidità, ma non sono risolutivi di fronte a problemi fiscali di carattere strutturale, cioè legati a difetti istituzionali e di lunga durata (evasione fiscale, squilibri nel sistema previdenziale, bassa partecipazione al lavoro, ecc.) e all’indisponibilità dei governi di fare scelte politicamente costose. Se anche avessimo un bilancio federale ampio e gli strumenti adatti per correggere le crisi di liquidità degli Stati, il dramma della Grexit sarebbe esattamente dov’è ora (come ha sostenuto recentemente su questo giornale Franco Debenedetti). È paradossale che chi sostiene le ragioni del governo greco sia anche sostenitore di una maggiore integrazione federale. Le federazioni sopravvivono solo se riescono a risolvere il rischio morale legato alla coesistenza di garanzie a livello centrale e decentramento del potere di spesa a livello sub-nazionale (che Rodden ha definito “il paradosso di Hamilton”). Per risolvere tale problema c’è bisogno di maggiore (e non minore) disciplina fiscale e più vincoli sulle deliberazioni democratiche a livello locale. D’altra parte, l’inopportunità della disciplina fiscale è proprio il primo punto del programma elettorale di Syriza, secondo cui l’austerità è l’origine di tutti i mali. È vero che l’austerità fiscale non aiuta a uscire dalla crisi, ma l’idea che i debiti si ripagano da soli è una strada che porta all’uscita dall’euro. D’altra parte, nessun meccanismo istituzionale può risolvere completamente il paradosso di Hamilton. Serve una forte reciproca fiducia tra gli stati membri, una visione comune ragionevolmente condivisa e la necessità che i governi nazionali siano parzialmente

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vincolati alle promesse dei governi precedenti. Il caso greco ha molto da insegnare su questo piano. Syriza ha vinto le elezioni anche perché ha promesso di rinnegare gli accordi sottoscritti dal governo Samaras e rinegoziare gli accordi con la Troika minacciando l’uscita dall’Euro. Il fatto che una rinegoziazione fosse opportuna o che il governo Samaras fosse incapace non cancella la natura del problema politico: chi garantisce che un eventuale accordo europeo con Syriza non possa essere rinnegato nel futuro? Ora una parte di Syriza preferisce andare alle elezioni anticipate piuttosto che accettare un compromesso che verrebbe votato dai partiti moderati del parlamento greco. Il costo di perdere la credibilità politica è maggiore del vantaggio di salvare il paese? Com’è stato detto giustamente da alcuni commentatori, la ragione per cui il negoziato è così difficile è che l’Eurogruppo e il Fmi non hanno fiducia nei confronti del governo greco. Forse è un atteggiamento sbagliato, ma senza questa fiducia la costruzione di un’Europa integrata non potrà andare avanti.© RIPRODUZIONE RISERVATA PietroReichlin

Pagina 2 di 2Il Sole 24 Ore

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PRIMO PIANO 25 GIUGNO 2015Il Sole 24 Ore

Le cause. Deficit istituzionale e un mercato «chiuso» di beni e servizi

Perché Atene non è ripartita come Spagna e

PortogalloE poi? Atene e Bruxelles potrebbero raggiungere presto un accordo. Questi almeno sono gli auspici, dopo l’ultima proposta presentata dal Governo ellenico. Il paese riceverà quindi la nuova tranche di aiuti e potrà andare avanti. La domanda è: verso dove? Il nodo della sostenibilità del debito va ancora risolto, e non è cosa facile: la Grecia deve tornare a crescere, dopo un primo tentativo fallito.Sono in molti a pensare che, prima o poi, il debito greco dovrà essere ridimensionato. È una questione politica: il 70% almeno dell’esposizione di Atene è nelle mani dei paesi partner e del Fondo monetario internazionale. Rinunciare a una parte di questi crediti significa farne ricadere il peso su bilanci pubblici, ed eventualmente sui contribuenti. Le dimensioni – relative – del debito greco sono tali però da richiedere un altro tassello per garantirne la sostenibilità: la crescita economica. Solo un aumento sostenuto del pil può permettere al governo di trovare le risorse necessarie per pagare capitale e interessi.«Il principale problema, in Grecia, non è l’austerità, ma il fatto che non ha un modello di crescita», spiega Stephen L. Jen di Slj MacroPartners. Una frase che, pur perentoria, racconta solo una parte della verità. Perché la Grecia ha già adottato nel 2010, sotto la guida del Fondo monetario internazionale, un piano per stimolare la crescita, che ha clamorosamente fallito.Non è stato solo un problema di cattiva applicazione del programma: su questo punto le opinioni divergono e non mancano economisti che ritengono le “pagelle” della Grecia, sotto questo aspetto, paragonabili a quelle del Portogallo. Il punto è che qualcosa non ha proprio funzionato. Il costo del lavoro è calato, e bruscamente, ed è quindi sceso il tasso di cambio effettivo reale: in un’Unione monetaria, la flessione di salari e prezzi può funzionare “come” una svalutazione. Il risultato – come ha recentemente dimostrato in una conferenza ad Atene Zsolt Darvas della Breugel – è stato che le esportazioni sono state deboli: la Grecia ha avuto le peggiori performance in Eurolandia, mentre i paesi con un analogo deprezzamento del cambio effettivo reale (Spagna e Portogallo) sono stati i migliori, con un miglioramento della bilancia commerciale paragonabile a quello della Germania.Trasporto marittimo e turismo, due settori in cui il paese ha un vantaggio competitivo, non sono riusciti a fare la differenza: sono stati infatti i servizi a crescere molto poco, mentre le esportazioni di beni sono aumentate, sia pure a un ritmo più basso di quanto ci si sarebbe aspettato. Secondo uno studio di Uver Böwer, Vasiliki Michou e Christopher Ungerer del direttorato generale degli Affari economici e finanziari dell’Unione europea, le esportazioni greche sono risultate di un terzo più basse rispetto alle attese e la differenza è tutta legata alla qualità delle istituzioni: è la competitività non basata sui costi che va migliorata. Darvas sottolinea che il paese pone barriere agli investimenti diretti esteri e al commercio internazionale, impone un trattamento differenziato a fornitori domestici e stranieri, non garantisce il rispetto dei contratti.Ha naturalmente anche pesato un errore di progettazione. Il piano della Troika del 2010 era disegnato in modo tale che di fronte al peggioramento dell’andamento del pil – peraltro legato alla debole ripresa di Eurolandia - imponeva alla Grecia di aumentare la pressione fiscale e quindi di peggiorare la situazione. L’incertezza sul destino del paese, mai venuta meno – aggiunge Darvas – ha inoltre disincentivato consumi e investimenti, generato una flessione delle quotazioni degli assets finanziari e incentivato un deflusso di capitali. Se il nodo sono le istituzioni, saranno le istituzioni a dover essere riformate, adesso. Compito non facile, dal momento che l’accordo con Bruxelles, un evidente compromesso, potrebbe comunque creare una maggiore instabilità politica ad Atene. Ridurre la corruzione, l’evasione fiscale, il peso

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dell’economia sommersa, l’eccesso di regolamentazione e di burocrazia, i vincoli alla concorrenza, ma anche banalmente il miglioramento della pianificazione territoriale ai fini economici, della giustizia civile e dell’istruzione pubblica sembrano essere le misure fondamentali, insieme a una rivisitazione di tutti i provvedimenti che disincentivano la partecipazione al mercato del lavoro.© RIPRODUZIONE RISERVATARiccardo Sorrentino

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PRIMO PIANO 25 GIUGNO 2015Il Sole 24 Ore

Muro contro muro su tasse e pensioni

Brevissimo Eurogruppo, incontro rinviato a oggi - La ex troika respinge le

proposte greche

BRUXELLESÈ fallita ieri sera la terza riunione in una setttimana dei ministri delle Finanze della zona euro, impegnati nel salvataggio della Grecia sull’orlo del precipizio finanziario. In assenza di una pre-intesa tra le istituzioni creditizie e il Paese mediterraneo, l’Eurogruppo ha avuto una lunga, ma inconcludente discussione. I ministri torneranno a riunirsi questo pomeriggio, nella speranza che nel frattempo il negoziato tecnico abbia fatto passi avanti significativi.«Non abbiamo ancora raggiunto un accordo – ha detto alla fine della riunione il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem -. Siamo però determinati a continuare il nostro lavoro per fare il necessario». Strette tra l’urgenza di ottenere una intesa e la paura di provocare reazioni negative nelle proprie opinioni pubbliche, da giorni le parti sono alla ricerca di un incerto compromesso. I motivi dei ripetuti insuccessi non sono solo politici. C’è ormai risentimento e sfiducia su entrambi i fronti.Oggetto di questo specifico round di trattative sono le misure proposte dal governo Tsipras lunedì, e ritenute dai creditori «una buona base di discussione». In questi ultimi due giorni le istituzioni creditizie (Commissione europea, Fondo monetario internazionale e Banca centrale europea) hanno analizzato le proposte, verificato i conti, stilato una lista di misure che Atene dovrebbe adottare subito per sbloccare nuovi aiuti. Fin da martedì, ad alcuni negoziatori la partita è parsa più difficile del previsto.A confermare le difficoltà è stato ieri lo stesso premier greco Alexis Tsipras. Polemicamente, ha accusato «alcuni» creditori di avere obiettivi reconditi: «Questo atteggiamento curioso sembra indicare che, delle due l’una: non c’è interesse in un accordo o c’è il sostegno di particolari interessi». A molti è sembrato che l’accusa fosse rivolta in particolare all’Fmi. Secondo numerosi osservatori il Fondo ha avuto in queste ore un atteggiamento particolarmente esigente, insieme ad alcuni governi.Il premier greco ha trascorso il pomeriggio di ieri riunito con i principali interlocutori della Grecia: il presidente dell’Eurogruppo Dijsselbloem, il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, il presidente della Bce Mario Draghi, il direttore generale dell’Fmi Christine Lagarde. La discussione non ha sortito risultati, tanto che l’Eurogruppo è iniziato in ritardo ieri sera senza che potesse esaminare un accordo. Una nuova riunione tra Tsipras e le istituzioni creditizie era prevista nella notte.Prima dell’inizio dei lavori dell’Eurogruppo, il ministro delle Finanze finlandese Alexander Stubb ha precisato che valuterà l’eventuale intesa anche sulla base della necessità di chiedere il benestare del parlamento finlandese. La precisazione non è banale. L’intesa è difficile non solo perché i greci vogliono concessioni, ma anche perché i creditori devono poter strappare un compromesso accettabile in patria. In ballo ci sono 7,2 miliardi di euro legati a un memorandum in scadenza alla fine del mese.I nodi dell’accordo sono la tassazione e le pensioni. Sul primo fronte, i creditori vorrebbero che l’Iva fosse del 23% per i ristoranti, mentre il governo Tsipras insiste per una aliquota del 13%. Inoltre, le istituzioni creditizie respingono l’idea di una tassa del 12% sui profitti societari superiori a 500mila di euro. «Non si può basare un programma solo sulla promessa di nuovo gettito fiscale - ha detto alla rivista Challenges la signora Lagarde -. È stato fatto negli ultimi cinque anni, con pochi risultati».Sul versante pensionistico, i creditori insistono per un taglio delle pensioni più generose, anziché un aumento dei contributi come previsto dal governo Tsipras per fare quadrare i conti. Vogliono inoltre un aumento dell’età pensionabile da 62 a 67

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anni fin dal 2022 e la soppressione delle pensioni anticipate. Per il premier greco si tratta di trovare un doppio compromesso, con i suoi creditori e con il suo partito, che ad Atene appare sempre più diviso all’idea di accettare misure economiche troppo impopolari.© RIPRODUZIONE RISERVATABeda Romano

Pagina 2 di 2Il Sole 24 Ore

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MF

Numero 124, pag. 2 del 26/06/2015

PRIMO PIANO

La riunione dell'eurogruppo di ieri si è chiusa con un nulla di fatto ma c'è ottimismo

Nuova fumata nera sulla Grecia

La cancelliera Merkel chiede che l'accordo si chiuda entro lunedì. Il negoziato prosegue in attesa del nuovo vertice di domani. Tsipras si dice fiducioso sulla possibilità di raggiungere un'intesa

di Andrea Di Biase

Niente accordo a Bruxelles tra la Grecia e i suoi creditori: il quarto nulla di fatto in una settimana arriva al

termine di una nuova riunione dei ministri economici dei Paesi dell'Euro in cui le posizioni sono rimaste

distanti. Anche se nella notte sono proseguiti gli incontri tra il premier greco, Alexis Tsipras, con Fmi, Bce e

Ue, e un nuovo vertice dell'Eurogruppo è in programma per domani. La volontà di cercare un'intesa sembra

esserci, la cancelliera tedesca, Angela Merkel chiede che l'accordo si chiuda entro

lunedì, prima dell'apertura delle borse. I mercati sembrano credere all'accordo, anche

se ieri hanno chiuso deboli sulle notizie arrivate da Bruxelles. Il vero timore è quello di

un lunedì nero senza un ok definitivo nel fine settimana. La trattativa per l'esborso

dell'ultima tranche da 7,2 miliardi del piano di aiuti internazionali ad Atene che scade a

fine mese si è mossa per tutta la giornata sulle montagne russe, con la Grecia in

versione rassicurante e i creditori e i partner decisamente più cauti.

Secondo quanto riferito dalle istituzioni, Ue, Bce e Fondo monetario hanno messo sul tavolo una proposta

non lontana da quella greca di lunedì scorso. Ma, secondo le stesse fonti, non ci sarebbe stata «alcuna

risposta da parte greca». Sul tavolo, secondo quanto si apprende, ci sono due documenti in discussione: i

greci avrebbero riproposto la lista messa a punto nei giorni scorsi, considerata ancora insufficiente dalle

istituzioni, che a loro volta hanno messo sul tavolo la loro controproposta, rifiutata nelle scorse ore da Atene.

Il tentativo è quello di trovare dei punti di compromesso per integrare le due proposte.

Le divergenze (i punti più controversi sono quelli relativi alle pensioni ed all'aumento

dell'Iva) non sarebbero tali da impedire un accordo, sostiene una fonte ufficiale del

governo greco. Le prossime ore appaiono quindi cruciali per lo sblocco della

situazione. Intanto il direttivo della Bce ha mantenuto stabile il tetto della liquidità di

emergenza per le banche greche (Ela), il fondo attualmente è intorno agli 89 miliardi

di euro.

Il primo ministro greco, al suo arrivo a Bruxelles si è detto «fiducioso» che Atene troverà un accordo con i

creditori che le consentirà di scongiurare il default. «La storia europea è piena di disaccordi, negoziati e

compromessi», ha detto, «dopo le esaurienti proposte greche, sono fiducioso che raggiungeremo un

compromesso che aiuterà l'Eurozona e la Grecia a superare la crisi». Ma le differenze e le distanze restano:

«Non abbiamo fatto progressi», ha detto il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang

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Schaeuble, che, anzi, ha aggiunto: «Atene ha fatto passi indietro anziché fare passi

avanti». «Non ci sono ancora abbastanza progressi», sibila il presidente dell'Eurogruppo, Jeroen

Dijsselbloem, prima della riunione. E infatti dopo poche ore l'incontro si conclude senza accordo, con

l'impegno delle parti a cercare una soluzione entro il fine settimana per evitare un crollo dei mercati lunedì

mattina. La stessa Christine Lagarde, numero uno del Fmi, che ha molto irrigidito le sue posizioni nelle ultime

ore, sottolinea che le istituzioni creditrici «sono unite e continuano a lavorare per una soluzione». Una

soluzione che secondo Matteo Renzi, sarà trovata «in queste ore» ma «non a questo Consiglio europeo».

Intanto i mercati sono rimasti guardinghi: il rendimento del Bund decennale ha chiuso la seduta poco mosso

allo 0,86%, mentre quello del Btp è al 2,14% con spread a 128 punti base; il costo di finanziamento del

biennale ellenico è al 22,44% e quello del decennale all'11%; poco mossi i mercati azionari europei con

l'unica eccezione dell'Italia (Ftse Mib +0,85%).

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MF

Numero 124, pag. 4 del 26/06/2015

PRIMO PIANO

Lo ha comunicato la numero uno della supervisione bancaria al parlamento Ue

Bce: nuovo stress test nel 2016

Dopo un anno di pausa tornano gli esami per le banche. Nouy insiste: bisogna introdurre un tetto all'esposizione degli istituti verso i titoli di Stato. Le priorità della Vigilanza? Le Dta, non i derivati

di Francesco Ninfole

Gli stress test delle banche dell'Eurozona torneranno nel 2016, dopo un anno di pausa. Lo ha comunicato ieri

Danièle Nouy, presidente del Consiglio di Vigilanza della Bce. «Siamo impegnati a fare la nostra parte nello

stress test Eba; è previsto che l'esercizio sia nel 2016», ha detto in audizione al Parlamento Ue. L'esame

stavolta potrebbe riguardare solo una parte delle 130 banche

dell'Eurozona che oggi fanno parte del Meccanismo di

vigilanza unico. Nouy non ha fornito ieri ulteriori dettagli sulla

prova, tuttavia ha ribadito alcuni principi generali che saranno

alla base della supervisione Bce e con ogni probabilità anche

degli stress test.

Tra gli ambiti di maggiore impatto sulle banche italiane, Nouy

è tornata ancora sulla questione dei titoli di Stato: «I bond sovrani non sono privi di rischio e ci dovrebbe

essere un qualche tipo di limite alle esposizioni». In passato il capo della vigilanza Bce era stata più esplicita,

proponendo un tetto per i titoli di Stato pari al 25% del capitale (si veda MF-Milano Finanza del 1° aprile). Una

soglia molto bassa, se si tiene conto che l'esposizione delle banche italiane ai bond governativi supera il

175% del patrimonio. Se il tetto fosse confermato, gli istituti di credito dovrebbero vendere decine di miliardi

di euro di Bot e Btp, causando un problema significativo per il Tesoro, con conseguenze rilevanti per la

volatilità dei mercati del debito sovrano (il problema riguarderebbe molti Paesi contemporaneamente).

Riguardo alla stretta sui titoli di Stato, Bankitalia ha da tempo una posizione contraria a quella oggi

maggioritaria nel Consiglio Bce e molto diffusa in Europa anche in ambito assicurativo. Salvatore Rossi, dg di

Bankitalia e presidente Ivass, nei giorni scorsi ha fatto capire con chiarezza qual è l'attuale scenario

regolamentare sui bond sovrani, ricordando l'opposizione dell'Italia a un'indicazione dell'Eiopa (l'autorità Ue

delle assicurazioni), che ha invitato compagnie e autorità nazionali a non considerare i titoli sovrani come

privi di rischio. Nonostante il no di Italia e di altri Stati, l'opinione è stata comunque approvata a maggioranza

dal consiglio dell'Eiopa. «Abbiamo votato contro non per un'impropria difesa di interessi nazionali, ma perché

credevamo che l'assunto fosse discutibile sul piano della correttezza analitica», ha spiegato Rossi nella

relazione annuale dell'Ivass. «La volatilità del valore dei titoli pubblici di alcuni Paesi dell'area dell'euro che si

è manifestata in occasione della crisi dei debiti sovrani ha riflesso in grande misura generali timori di rottura

dell'euro. Un evento la cui probabilità è stata sovrastimata dai mercati». Queste considerazioni generali sono

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valide anche per le banche, come ha sottolineato Rossi: «In campo bancario si sta svolgendo un'analoga

discussione nelle sedi ufficiali europee; il rischio macro-prudenziale di vendite improvvise e massicce di titoli

per non incorrere in maggiori assorbimenti di capitale è oggetto di preoccupazione». Nel Consiglio di

Vigilanza Ue, oltre a Nouy, si sono detti in più occasioni favorevoli a una stretta anche l'italiano Ignazio

Angeloni e la vicepresidente tedesca Sabine Lautenschlaeger (ex vicepresidente della Bundesbank, l'organo

che più di ogni altro spinge per requisiti e limiti sui bond pubblici). Le decisioni finali saranno raggiunte a

livello internazionale (ci sta lavorando il Comitato di Basilea) e in tempi non brevi, ma di fatto nulla impedisce

alla Bce di adottare fin da subito un approccio severo sui bond sovrani nelle procedure di vigilanza Srep o nei

prossimi stress test, come del resto è già avvenuto nel precedente esame (nel comprehensive assessment

sono stati eliminati i filtri prudenziali sui titoli di Stato, unica regola nazionale non applicata nell'esame).

Nouy non ha fatto ieri riferimenti espliciti a derivati, titoli illiquidi e attività di finanza strutturata nel discorso al

Parlamento Ue sui principali ambiti di intervento della vigilanza Bce. Il supervisore ha invece indicato tra le

priorità i «requisiti Tlac» sulla capacità di assorbimento delle perdite delle banche, giudicati da molti prociclici,

e «la qualità del capitale delle banche, con riferimento in particolare alle imposte differite attive», asset diffusi

tra le banche italiane a causa della deducibilità in molti anni delle perdite su credito (una materia su cui ora

sta intervenendo il governo italiano). Obiettivi invece condivisi dagli istituti italiani sono la rimozione delle

discrezionalità nazionali sul capitale (a patto che non sia asimmetrica come negli stress test) e la revisione

dei modelli interni di valutazione del rischio, che oggi consentono vantaggi patrimoniali significativi alle

banche d'investimento (soprattutto tedesche e francesi) rispetto a quelle commerciali. Al momento è però

difficile prevedere gli esiti concreti di queste revisioni, che avranno durata pluriennale. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 124, pag. 4 del 26/06/2015

PRIMO PIANO

L'integrazione europea resta zoppa se manca la fiducia tra Paesi

di Angelo De Mattia

Intervenendo ieri al convegno internazionale di Villa Mondragone, il governatore della Banca d'Italia, Ignazio

Visco, ha svolto a braccio alcune considerazioni sull'Europa e sull'Italia che dovrebbero fare riflettere. Visco

ha ricordato che solo alla fine di quest'anno l'Europa tornerà ai livelli produttivi del 2008, mentre l'Italia è

ancora lontana: saranno necessari diversi anni per tornare alla situazione dell'inizio della crisi. In Europa c'è

un ristagno, ma, soprattutto, è molto grave il segnale di mancanza di fiducia che si avverte in questo periodo

fra i Paesi dell'Eurozona e ciò sta a dimostrare che dal lato politico il progresso è ancora lontano. A questo

punto, si potrebbe osservare che se questo è il quadro, ci si deve chiedere come ci si possa incamminare

verso una successiva fase di integrazione, secondo quanto prevede il documento predisposto dai cinque

presidenti europei, senza prima promuovere un chiarimento profondo e la revisione delle norme, delle

istituzioni e dei meccanismi funzionali europei.

Abbiamo già scritto sulle incongruenze delle tappe che dovrebbero portare, secondo il paper anzidetto,

partendo da un controllo sui rapporti tra competitività, produttività e salari nei diversi Paesi, al completamento

dell'Unione bancaria, alla realizzazione dell'Unione finanziaria e, poi, di quella fiscale, per arrivare, infine, alla

piena integrazione politico-istituzionale. Ma si vorrebbe fare questo cammino muovendo dalla molto grave

mancanza di fiducia? Dalla constatazione della lontananza del progresso dell'integrazione dal lato politico?

Da una situazione in cui le colpe sono dei Paesi debitori, ma anche dei creditori, come Visco ha sottolineato,

rilevando, con implicito riferimento alla Germania, che un Paese che ha un'economia basata sulle

esportazioni, sul surplus di bilancia dei pagamenti che continua a crescere, e su di una posizione creditoria

nei confronti del resto del mondo molto elevata ha almeno altrettante colpe del Paese che fa l'opposto?

Insomma, si vorrebbe procedere ora per una più stretta integrazione, dopo aver constatato le profonde

asimmetrie accennate e gli effetti di accordi, quali il Fiscal compact, che violano i Trattati fondativi? Per non

parlare, poi, dei contrasti sul delicatissimo tema dei migranti. Il cammino dovrebbe avere, di per sé, una

funzione taumaturgica? Quando si parla di cessione di sovranità non si fa un ragionamento ozioso come

superficialmente qualcuno asserisce, ma si calano i progetti nella realtà e se ne vede la profonda

divaricazione oggi, se non si compie una netta rivisitazione dell'architettura, delle norme e delle impostazioni

strategiche. L'obiettivo della messa in comune di ulteriori aspetti di sovranità richiede un lavoro ponderato,

capace di vedere, per molti punti, il re nudo. Un riesame profondo, quanto meno del quindicennio di moneta

unica, per poi passare alle regole dell'Unione costituirebbe una base solida per verificare se e come andare

avanti.

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Visco, poi, a proposito dell'Italia ha detto che se restiamo fermi, finiamo con l'andare indietro. Ha quindi

precisato che non vi sono forti rischi per le attività finanziarie che vengano causati dalla protratta fase di

politica monetaria accomodante; ma la deflazione, che è sempre cattiva, va combattuta, come la Bce sta

facendo dall'estate scorsa. Naturalmente, il tema delle riforme richiama la necessità di come raccordare il

medio-lungo termine nel quale queste esplicano i propri effetti con il breve termine nel quale sarebbe

necessario un impulso ben superiore alla domanda. Il ristagno di cui Visco ha parlato dice che non possiamo

stare fermi. Vale per l'Eurozona. E vale per l'Italia. (riproduzione riservata)

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PRIMO PIANO 26 GIUGNO 2015Il Sole 24 Ore

IL?DUBBIO

L’intervento dovrebbe essere una fonte temporanea per banche solide ma per Atene è

diventato ormai l’unica fonte di finanziamento

Bce, sale la fronda contro i fondi alle banche

greche

Per il secondo giorno consecutivo, la Banca centrale europea ha lasciato invariato, a circa 89 miliardi di euro, il tetto alla liquidità di emergenza (Ela) che la Banca centrale greca fornisce alle banche elleniche, ma la continua fornitura di liquidità è stata duramente criticata dal presidente della Bundesbank, Jens Weidmann.Continua pagina 2 di Alessandro Merli

Continua da pagina 1 Anche se non c’è per ora nel consiglio della Bce (che ormai si riunisce quotidianamente in teleconferenza per approvare l’Ela) la maggioranza di due terzi per sospendere la liquidità o per renderne più stringenti i requisiti, è difficile ipotizzare che l’Ela possa continuare senza un accordo fra la Grecia e i suoi creditori nel fine settimana, o comunque una volta che scada il precedente programma, martedì prossimo. L’imposizione di limiti ai prelievi e controlli sui capitali diverrebbe allora pressoché inevitabile, anche se finora la Bce ha evitato di fare la prima mossa in assenza di una decisione politica. Per ora, il consiglio continua a ritenere che le banche greche dispongano dei due requisiti per ricevere l’Ela, e cioè siano solvibili e abbiano sufficienti titoli da offrire in garanzia. Un punto ribadito ieri dal governatore della Banca centrale belga, Jan Smets. Ma, in un intervento all’associazione globale dei banchieri, l’Institute of International Finance a Francoforte, Weidmann ha espresso le sue più pesanti critiche alla prosecuzione dell’Ela. Questa, ha ricordato, è stata ideata come fonte temporanea di liquidità per banche finanziariamente solide e che dispongono di buon collaterale, ma nel caso della Grecia è stata fornita per un periodo di tempo prolungato ed è divenuta l’unica fonte di finanziamento delle banche.«Questo solleva dei dubbi - ha affermato il presidente della Bundesbank – sulla loro solidità finanziaria. Questa è minata in modo particolare dalle decisioni del Governo greco che hanno provocato fughe di capitali e prelievi di contante su vasta scala». Secondo Weidmann, «le banche che ricevono l’Ela dovrebbero esser sollecitate a migliorare la propria situazione di liquidità e dovrebbe esser loro proibito di peggiorarla ulteriormente rinnovando titoli pubblici del proprio Stato». Nel negoziato, Atene aveva anzi proposto che venga consentito alle banche di aumentare gli acquisti di debito pubblico a breve. «L’Eurosistema delle banche centrali non deve fornire finanziamenti ponte alla Grecia anche in anticipazione di successivi esborsi», ha sostenuto il banchiere centrale tedesco, bocciando un’altra ipotesi emersa nel corso della trattativa. «Quando banche senza accesso ai mercati comprano debito di uno Stato che è anch’esso fuori dai mercati, fa ricorso all’Ela solleva serie preoccupazioni di finanziamento monetario», il che è proibito dai Trattati. Il rispetto dei principi base dell’unione monetaria non è, ha sostenuto il capo della Bundesbank, una questione di «testardaggine dogmatica tedesca», ma una condizione chiave per la prosperità di lungo termine dell’area euro e per mantenere il sostegno popolare all’integrazione europea.Il caso Grecia è stato ovviamente al centro delle discussioni fra i banchieri riuniti dall’Iif. Anche se molte banche hanno ormai eliminato l’esposizione verso la Grecia, restano le preoccupazioni del mondo della finanza per il pericolo di contagio. Nel negoziato fra Atene e i suoi creditori «può succedere di tutto», ha detto la presidente del Banco Santander, Ana Botin, rilevando il clima di incertezza e volatilità per gli investitori. Botin ha però notato che l’Eurozona è più preparata che negli anni scorsi ad affrontare la situazione. Il presidente di Commerzbank, Martin Blessing, ha ricordato gli «sforzi enormi» compiuti da altri Paesi per superare la crisi. «È difficile spiegare perché si debba concedere alla Grecia un accordo a condizioni migliori», ha detto Blessing.

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«Il popolo greco – ha rilevato l’economista greca, Miranda Xafa, già rappresentante del suo Paese nel consiglio del Fondo monetario, intervenuta a sua volta alla riunione dell’Iif – ha votato per due obiettivi incompatibili, la permanenza nell’euro e il programma elettorale di Syriza. Ma il premier Alexis Tsipras ha fatto male i suoi conti pensando che l’Eurozona abbia bisogno della Grecia come la Grecia ha bisogno dell’Eurozona e che quindi i creditori avrebbero capitolato alle sue richieste». Il piano di Atene, fatto soprattutto di aumenti di tasse, è recessivo, secondo Xafa, ma i tagli alla spesa pubblica, che è composta all’80% di salari e pensioni, sarebbero impopolari con i sostenitori di Tsipras e quindi politicamente difficili da vendere. «Ecco perché siamo in questo stallo», ha detto l’economista.© RIPRODUZIONE RISERVATAAlessandro Merli

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PRIMO PIANO 26 GIUGNO 2015Il Sole 24 Ore

Domande & Risposte. Tutti i passaggi tecnici e politici (e relative conseguenze) dal momento in cui

l’esecutivo ellenico dovesse decidere di non rispettare la scadenza di un pagamento all’Fmi

Cosa accade se il governo greco va in defaultUn percorso pieno

di trabocchetti

La Grecia deve ripagare 1,6 miliardi di euro entro la fine di giugno all'Fmi. Se il governo di Alexis Tsipras non

dovesse ripagare il debito dell'Fmi, Atene andrebbe in default.

Dal mancato pagamento inizia il ticchettio dell'orologio. C'è un periodo di grazia di 30 giorni. Due settimane dopo

la data di scadenza iniziale parte un sollecito da Washington per il pagamento immediato; poi il fondo invia un'altra

comunicazione sottolineando la “gravità del mancato rispetto degli obblighi” e ancora una volta sollecita una rapida

composizione. Due settimane dopo, il direttore generale comunica al comitato esecutivo che un pagamento è in

ritardo.

Per la Grecia, in quel momento scattano le prime gravi conseguenze. Queste sono conosciute come cross-default e

cross-acceleration.

Il mancato pagamento dell'Fmi dà diritto ad alcuni degli altri creditori della Grecia, tra cui il fondo di salvataggio

europeo, a dichiarare un default. Avrebbero a quel punto la possibilità di richiedere il rimborso immediato di tutti i

loro prestiti, un processo noto come l'accelerazione. Altri creditori potrebbero seguire l'esempio ma ogni creditore

decide da solo.

Che succede a quel punto?

A quel punto la Bce potrebbe interrompere i prestiti di emergenza (Ela) alle banche greche che farebbe innescare

una corsa agli sportelli bancari, costringendo l'imposizione di controlli sui capitali. Ma se le cose dovessero

peggiorare l'esecutivo potrebbe emettere i cosiddetti Iou, “I owe you” o “Io ti devo” per far fronte alle scadenze di

cassa inderogabili come stipendi pubblici e pensioni, ed evitare le proteste di massa. Si tratta di promesse di

pagamento fatte ai dipendenti statali e ai pensionati per una certa somma e entro una data prestabilita. Questo

escamotage consentirebbe di pagare stipendi e salari in Iou. Il problema è che se dovesse continuare la fuga di

depositi dalle banche, a aprile giunti a 142,7 miliardi di euro rispetto ai 160 miliardi di dicembre, i “pagherò” si

trasformerebbero nell'anticamera della dracma, cioè di una valuta parallela che perderebbe, secondo stime di

economisti, il 40% del suo valore rispetto all'euro.

Che avviene ai credit default swap?

L'International Swaps & Derivatives Association, l'associazione di categoria che amministra i contratti derivati,

emette una decisione vincolante se si è verificato un “credit event”, che può far scattare i contratti. Oggi ci sono

622 contratti aperti, che coprono una rete di 592 milioni dollari, secondo Depository Trust & Clearing Corporation.

Cosa succede alle banche?

Questo dipende dall'atteggiamento della Bce. Oggi gli istituti di credito ellenici, esclusi dall'accesso ordinario al

credito, sono tenuti in piedi dalla liquidità di emergenza fornita dalla Banca di Grecia attraverso i finanziamenti

della Bce. Il presidente della Bce Mario Draghi ha indicato recentemente che ELA continuerà fino a quando i

creditori sono solventi e ad avere adeguate garanzie. Il mancato rimborso alla Bce in luglio e agosto probabilmente

comporterà la sospensione di ELA, secondo Chris Attfield, analista presso HSBC Holdings a Londra.

Cosa succede alle imprese?

Sarebbe un disastro. Un default sovrano sarebbe probabilmente seguito da insolvenze societarie. Oltre ai controlli

sui capitali probabilmente essere accompagnate da altre misure, come gli ordini per le aziende di rimpatriare euro

detenuti all'estero e divieti sui pagamenti di dividendi. Il governo greco nel 2010 ad esempio ha tagliato il prezzo

che avrebbe pagato ai fornitori di farmaci e poi li ha pagati con delle obbligazioni.

Potrebbe la Grecia dopo un default rimanere nell'euro?

Teoricamente sì. Uscire dall'euro sarebbe possibile solo se la Grecia decidesse di lasciare anche l'Ue, secondo

Yannis Manuelides presso Allen & Overy sentito da Bloomberg. Un intricato panorama legislativo causato dal

fatto che l'ingresso nell'euro è visto dai Trattati come un passo irreversibile.

Quanto debito ha la Grecia?

Il governo greco ha 320 miliardi di euro di debito in circolazione, la maggioranza dovuto dopo il 2021. Se si

aggiungono le imprese e le banche il totale è più vicino al mezzo trilione cioè 500 miliardi. A questi miliardi si

devono aggiungere i saldi di Target 2, oggi pari a un deficit greco di 96 miliardi di euro. Il totale del default greco

arriverebbe quindi all’astronomica cifra di 600 miliardi di euro.

Cosa sono gli Iou?

L'esecutivo potrebbe emettere i cosiddetti Iou, letteralmente “I owe you” o “Io ti devo” per far fronte alle scadenze

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di cassa inderogabili come stipendi pubblici e pensioni, ed evitare le proteste di massa. Si tratta di forme di

pagherò, cioè di promesse di pagamento fatte ai dipendenti statali e ai pensionati per una certa somma e entro una

data prestabilita. Il dipendente o il pensionato che vuole incassare va in banca dove sconta la cambiale pagando una

commissione se vuole incassarla prima della scadenza.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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PRIMO PIANO 26 GIUGNO 2015Il Sole 24 Ore

PRIMA?IL?VOTO Il Parlamento di Atene potrebbe votare un’eventuale intesa domenica e solo dopo i governi Ue darebbero il via libera all’esborso di fondi

Non si sblocca il negoziato con la Grecia

Pensioni e tasse, due proposte sul tavolo: quella del governo greco e quella di Bce,

Commissione e Fmi

BRUXELLES

Sono trattative infinite quelle che i creditori della Grecia hanno intavolato con il Paese

mediterraneo, mentre Atene oscilla spericolatamente sull’orlo del precipizio

finanziario. Ieri la quarta riunione dei ministri delle Finanze della zona euro in una

settimana è terminata con un fallimento. I negoziati tra le parti continueranno tra oggi

e domenica, per evitare, se possibile, un crollo dei mercati lunedì, in mancanza di un

accordo che deve servire a sborsare urgenti aiuti economici.

I ministri delle Finanze si sono trovati sul tavolo ieri pomeriggio qui a Bruxelles il

testo di due possibili accordi con la Grecia: il primo messo a punto dal governo greco,

ma considerato insufficiente dalla Commissione europea, il Fondo monetario

internazionale e la Banca centrale europea; il secondo preparato dalle tre istituzioni

creditici ma ritenuto inaccettabile dal premier Alexis Tsipras, a Bruxelles in questi

giorni per partecipare a un Consiglio europeo previsto da tempo.

In un comunicato, il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem ha spiegato che

le tre istituzioni sono state chiamate nelle prossime ore a valutare l’ennesima nuova

proposta greca di accordo, arrivata solo ieri pomeriggio. L’uomo politico olandese ha

precisato che secondo la Commissione europea, il Fondo monetario internazionale e la

Banca centrale europea vi sono ancora «numerose questioni» sulle quali il divario è

ancora «ampio».

Nel contempo, l’Eurogruppo ha spiegato che «la porta è ancora aperta perché le

autorità greche accettino le proposte dei creditori». Dijsselbloem ha riferito della

situazione ai capi di Stato e di governo, riuniti da ieri qui a Bruxelles per un vertice di

due giorni fissato da tempo. L’obiettivo dei Ventotto è di evitare di discutere della

crisi greca, lasciando la questione ai ministri delle Finanze. Il tema, però, si è

inevitabilmente imposto nel programma dei leader.

Una nuova riunione dell’Eurogruppo si terrà probabilmente sabato, nella speranza che

da qui ad allora il negoziato tecnico avrà fatto passi avanti. Il clima tra le parti rimane

teso. Ieri il ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis ha sostenuto che «alcuni

colleghi si sono mostrati in disaccordo e hanno criticato la proposta delle istituzioni».

Non era chiaro se le cose siano veramente andate in questo modo. Così dicendo,

tuttavia, il ministro ha contribuito ad avvelenare i rapporti già segnati dal risentimento.

La proposta delle istituzioni è «un buon passo avanti», secondo un funzionario

governativo italiano citato dalle agenzie di stampa. Il problema, ha aggiunto questa

persona, «non è sui numeri, che sono vicini». Quello che non si riesce a valutare è «se

il governo prenderà le misure necessarie a raggiungere i risultati. Non ci sono bozze e

non c’è un programma di attuazione da parte di Atene. In altre parole, sembra che

manchi la fiducia fra le parti».

Intanto, entrando nel merito dei negoziati, i nodi tra le parti sono sempre gli stessi:

pensioni e tassazione. L’obiettivo è di trovare un accordo entro lunedì, prima

dell’apertura dei mercati, avrebbe detto la cancelliere Angela Merkel in una riunione

del Partito popolare europeo, secondo Reuters. Il 30 giugno scade sia l’attuale

memorandum greco con i creditori, sia un prestito da 1,6 miliardi di euro da

rimborsare all’Fmi. L’urgenza di nuovi aiuti, mentre i rischi di una crisi di liquidità si

toccano con mano, è evidente.

Secondo un programma tutto da confermare, e che dipende dal raggiungimento

domani di un accordo, il parlamento greco sarebbe chiamato ad approvare una serie di

misure domenica. Solo dopo questo voto, i governi darebbero il loro benestare

all’esborso di nuovo denaro. In Germania, Finlandia, Estonia e Olanda c’è bisogno di

un voto parlamentare. Il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz si è detto

certo che Tsipras tirerà la corda fino «all’ultimo secondo» pur di ottenere concessioni.

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Beda Romano

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PRIMO PIANO 26 GIUGNO 2015Il Sole 24 Ore

I?PUBBLICI?

DIPENDENTI I pensionati statali in Grecia l’anno scorso erano a quota 468.422, costano ogni anno 6 miliardi e negli ultimi cinque anni sono aumentati di 55.176 unità

Confronti. I dati Eurostat parlano di uscite previdenziali della Grecia pari al 17% del Pil nel 2012

rispetto al 12,2% della Germania, con una pensione media di 1.030 euro contro i 1.100 euro tedeschi

Tra Syriza e Fmi è duello sulle pensioniLe pensioni greche sono considerate dai creditori internazionali una pesante anomalia

che va al più presto sanata. La Grecia ha usato il momento dei bassi tassi di interesse

creato dall’entrata nell’euro per portare le pensioni a livelli tedeschi o francesi. Una

pensione media è di 1.100 euro al mese, appena 70 euro in meno che in Germania,

dove però i salari sono il doppio di quelli ellenici. Non solo. Secondo i creditori

internzionale un tedesco va in pensione con il 40% dell’ultimo stipendio, mentre un

greco si ritira con l’85 percento dell’ultimo salario.

Per di più, i greci vanno in pensione in media sei anni prima di quanto avvenga per un

tedesco grazie a una serie di finestre ancora aperte che consentono i prepensionamenti.

Senza contare che il sistema previdenziale ellenico, come avviene sul fronte del

recupero delle entrate fiscali, non è molto efficiente nel raccogliere i contributi

previdenziali.

Anche i deficit sono eccessivi: le uscite del sistema pensionistico di Berlino

corrispondono al 125% delle entrate, mentre per quello greco il disavanzo vola al

175%: il deficit viene ripianato dalla fiscalità generale, mina nei conti pubblici.

Secondo l’economista Manos Schizas, la somma che lo Stato trasferisce agli enti

previdenziali per rimpinguare le loro casse è di 13 miliardi di euro all'anno, cifra

equivalente al 15% delle entrate di Atene. Ed è moltopiù alta di tutti i soldi, 8 miliardi

di euro nel 2014, spesi in appalti e forniture per la pubblica amministrazione.

Gli interlocutori di Atene non riescono a comprendere perché un Governo di sinistra

voglia difendere le pensioni più elevate, che vanno a beneficio della parte più ricca

della popolazione.

La prima voragine nelle casse statali sono infatti le pensioni che, secondo gli ultimi

dati Eurostat disponibili relativi al 2012, pesavano per il 17% del Pil, rispetto

all'12,2% della Germania mentre la spesa sociale complessiva, dati Ocse 2014, pesa

per il 24% del Pil rispetto al 22% della ricca Norvegia. Per i disoccupati, al 26,5%

della popolazione, la Grecia versa in indennità appena l'1,1% del Pil, contro lo 0,8%

dell’Italia. Un welfare sbilanciato sul le prestazioni previdenziali e poco su quelle

assistenziali.

Ma il problema della previdenza greca è che per anni ci sono stati abusi di massa,

complici medici compiacenti, conti in rosso cronici e investimenti internazionali

sbagliati dei fondi pensione delle casse di previdenza speciali.

Operazioni spericolate che hanno pesato sulle casse pubbliche e fatto lievitare il debito

statale che è al 180% del Pil.

I fondi pensione ellenici hanno subito forti perdite per circa 10 miliardi di euro nel

2012, come conseguenza del coinvolgimento del settore privato nel salvataggio della

Grecia (Psi).

Poco è valsa l’opera di recupero, su pressione della troika, di 10 miliardi di dollari

iniziata qualche anno fa dall’Istituto delle assicurazioni sociali (Ika), che gestisce le

pensioni per oltre 5,5 milioni di persone.

I pensionati statali in Grecia lo scorso anno hanno raggiunto la cifra complessiva di

468.422, costano ogni anno allo Stato circa sei miliardi di euro e negli ultimi cinque

anni sono aumentati di 55.176 unità. Queste le ultime cifre fornite dalla Ragioneria

generale ellenica e presentate il 22 giugno scorso in Parlamento dal vice ministro delle

Finanze Dimitris Mardas in risposta ad una richiesta in proposito fatta dal deputato di

Nea Dimokratia Evangelos Basiakos.

I tre governi che si sono succeduti dal 2009, Papandreou, Papademos e Samaras,

hanno stretto per ben tre volte la spesa previdenziale, aumentando l'età pensionabile e

riducendone la generosità delle prestazioni, passando dal sistema contributivo a quello

retributivo.

Ma lo scorso agosto lo scontro tra l'ex premier conservatore, Antonis Samaras, e la

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troika si consumò proprio sul rifiuto dell'ex primo ministro di sforbiciare ancora le

numerose esenzioni che ancora esistono in materia pensionistica, distorsioni

inaccettabili in un momento in cui è stata abolita la tredicesima mensilità per tutti i

pensionati.

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Vittorio Da Rold

Pagina 2 di 2Il Sole 24 Ore

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VARIE

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NORME E TRIBUTI 22 GIUGNO 2015Il Sole 24 Ore lunedì

Riposo e crisi aziendali. L’incidenza degli ammortizzatori

I piani di solidarietà e la Cig parziale non

bloccano le ferie

Lo smaltimento minimo deve essere garantito

Le contrazioni o le sospensioni dell’attività lavorativa possono incidere sulla gestione delle ferie, non solo sulla maturazione dei ratei ma anche sul godimento dei periodi feriali previsti per i lavoratori.I datori che sono interessati da situazioni di crisi, dunque, devono fare i conti con una gestione specifica dei giorni di ferie (il ministero del Lavoro ha fornito istruzioni ad

hoc nell’interpello 19/2011). Vediamo, quindi, quali sono le regole da osservare. La sospensione dell’attività

Con la sospensione totale dell’attività lavorativa, nell’attuazione di programmi di Cigo, Cigs o Cigd, in pratica, si verifica una sorta di “congelamento” del rapporto di lavoro e, pertanto, non c’è la necessità di consentire al lavoratore il recupero delle energie psicofisiche: l’esercizio del diritto al godimento delle ferie maturate e di quelle in corso di maturazione può - in questi casi - essere posticipato al momento della cessazione dell’evento sospensivo coincidente con la ripresa dell’attività lavorativa.Non è invece giustificabile un eventuale differimento di concessione delle ferie (residue e infra-annuali) se si verifica una contrazione dell’attività lavorativa, con ricorso a procedure di Cig parziale o contratti di solidarietà: in questo caso, dovrà comunque essere garantito lo smaltimento “minimo” delle ferie, secondo le disposizioni di legge, per garantire al lavoratore il ristoro psico-fisico legato all’attività svolta, anche se in misura ridotta.Infine, per quanto riguarda la maturazione delle ferie in costanza di ammortizzatori sociali, pur non esistendo previsioni normative ad hoc, il comportamento più consono da tenere è il seguente: nell’ipotesi di sospensione dell’attività, i ratei di ferie non maturano; durante le riduzioni dell’orario di lavoro o in presenza di sistemi di sospensione «a rotazione», invece, i ratei normalmente maturano secondo il criterio delle frazioni uguali o superiori a 15 giorni. È sempre obbligatorio verificare la disciplina dettata dal Ccnl o prevedere direttamente le regole sulla maturazione dei ratei in occasione dell’esame congiunto e dell’accordo riferiti all’uso dell’ammortizzatore.L’elaborazione del piano ferie

A parte i casi esaminati, la determinazione del periodo di ferie - in mancanza di disciplina contrattuale - è lasciata al datore di lavoro, come espressione del suo potere organizzativo dell’azienda, con il solo dovere di comunicazione preventiva al lavoratore.Nell’elaborare il piano ferie, il datore deve però rispettare gli obblighi previsti dal Dlgs 66/2003, che individua tre periodi diversi di godimento delle ferie annuali maturate:il primo, di almeno due settimane, da fruire in modo ininterrotto (su richiesta del lavoratore) nel corso dell’anno di maturazione; il secondo, sempre di due settimane, da usare anche in modo frazionato, ma entro 18 mesi dal termine dell’anno di maturazione, salvi i più ampi periodi di differimento stabiliti dalla contrattazione collettiva; il terzo periodo (se il Ccnl prevede più di quattro settimane di ferie annuali) può essere fruito anche in modo frazionato, ma entro il termine stabilito dall’autonomia privata, dal momento della maturazione. Lo stop collettivo

Una gestione particolare è riservata alle cosiddette ferie collettive, il periodo di riposo che comporta una parziale o totale chiusura dell’attività lavorativa: il datore è tenuto a pagare la retribuzione per i soli giorni maturati ai dipendenti che hanno un residuo di

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Pagina 1 di 2Il Sole 24 Ore del Lunedì

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giorni sufficiente a coprire l’intero periodo di chiusura aziendale, potendo comunque retribuire anche il periodo eccedente, anticipando le ferie che matureranno nei mesi successivi.Durante le ferie collettive si può ottenere il differimento del termine del pagamento dei contributi Inps: il datore di lavoro deve presentare la domanda entro il 31 maggio di ogni anno.L’Inps può autorizzare lo spostamento degli adempimenti di un solo mese, anche se il periodo feriale è fruito a cavallo di due mesi: la concessione presuppone l’esistenza di vere e proprie ferie collettive per le quali ci sia l’impossibilità materiale di effettuare gli adempimenti contributivi nei termini di legge.© RIPRODUZIONE RISERVATAOrnella LacquaAlessandro Rota Porta

Pagina 2 di 2Il Sole 24 Ore del Lunedì

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laRepubblica -6/&%¹ �� (*6(/0 ���� ��

ROMA. Annamaria Furlan, se-gretario generale della Cisl, di-ce sì alla richiesta della collegadellaCgil, SusannaCamusso, diriaprire il cantiere per l’unitàsindacale, ma avverte: «Le no-stre divisioni non sono politi-che, riguardano ilmerito sinda-cale. Possiamo dare il nostrocontributo per far uscire il Pae-se dalla crisi aggiornando ilmo-dello contrattuale, rafforzandola contrattazione di secondo li-vellocollegataallaproduttività.Questaè laverasfidacheabbia-modi fronte».

Condivide l’analisi della Ca-musso sulla crisi del sindaca-toe il rischio chediventi inin-fluentesenzaunità?«Non c’è dubbio che le azioni

unitarie sianomolto più efficacidiquellesingole.Nonèunanovi-tà, è sempre stato così. Invecedell’analisi della Camusso noncondividoil fattodiattribuireal-la politica la causa delle nostredivisioni. Per quel che riguardala Cisl le differenze non hannomai riguardato il rapporto conla politica, sono sempre statequestioni squisitamente sinda-cali. Penso all’intesa separatacon la Confindustria sul model-lo contrattuale nel 2009, pensoalgiudiziosulJobsact,pensoso-prattuttoallo scioperogeneraleproclamato dalla Cgil insiemealla Uil. Certo, decisione legitti-ma che ciascuna organizzazio-neha la facoltà di prendere,maindubbiamente un ostacolo inpiù».

Nonpotrà negare che ci sonostate anche divisioni politi-che.«Per quel che riguarda la Cisl

no. Nessuno, per esempio, po-trà mai convincere un’organiz-zazione come la Cisl che le age-volazionifiscalia favoredelleas-sunzioni a tempo indetermina-to siano una cosa sbagliata. È laprima volta che costa menoun’assunzionea tempo indeter-minato rispetto a una a termi-ne.Mispiace,maquestapermeèunacosaassolutamentepositi-va. Com’èpositivoperungiova-ne precario poter essere assun-to con un contratto a tutele cre-scenti anziché con una collabo-razione. Queste sono questionisindacali, hanno a che fare conil nostro mestiere. La politicanonc’entranulla».

Sta dicendo no alla Camus-so?«Cimancherebbe!Nonècosì.

Noto semplicemente che riu-sciamo ad essere uniti soloquandodenunciamolecose chenon vanno bene e che fanno glialtri. Un esempio è quello dellascuola.Facciamo invece faticaadefinire una strategia generalecomune.Abbiamoperòdavantiuna opportunità: da più parti cichiedonodidare ilnostrocontri-buto alla ripresa del Paese pun-tando sulla contrattazioneaziendale: questa è la sfida pertutto il sindacatoconfederale».

Comedovrebbero cambiare icontratti, secondo laCisl?«Rafforzando molto il livello

decentrato, aziendale o territo-riale. Chiediamo al governo didefiscalizzare gli aumenti diproduttività».

Resterà il contratto naziona-le?«Sì, con il compito di tutelare

ilpotered’acquistodei lavorato-ri mentre tutto ciò che ha a chefare con la produttività, l’orga-nizzazionedel lavoro, la flessibi-lità deve essere contrattato neiluoghidi lavoro».

Lei pensa che su questo laCgilnonci stia?«Miaugurochesi riescaatro-

vare una posizione unitaria. Bi-sognaevitaregli sconfinamentidella politica nel campo del so-ciale».

Il governo, infatti, vi è venu-to incontro:hacongelato l’in-troduzione del salario mini-mo legale, previsto dal Jobsact, inattesapropriodiunac-cordo tra le parti sociali suicontratti.«Ed è stata una scelta assolu-

tamente positiva. A strettissi-mo giro, non anni, dobbiamotrovare una soluzione. La con-trattazione è il cuore dell’attivi-tàsindacale».

Non ritiene che la Fiom diLandini, che non ha condivi-soil testosullarappresentan-za,possacostituireunproble-manelpercorsounitario?«Purtroppoil fulcrodelledivi-

sioni sono stati proprio i metal-meccanici della Cgil. QuandoLandini lancia l’ideadella Coali-zione sociale sembra essere or-fano del partito che non c’è, dàl’impressione di avere una con-cezione ancillare del sindacatorispetto alla politica. Mentre ilsindacato deve stare sullo stes-so piano della politica, questa èl’autonomia».

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MF

Numero 122, pag. 4 del 24/06/2015

PRIMO PIANO

I disoccupati sono quelli che pagano per tutti

di Paolo Savona

Il momento più elevato della civiltà umana è stato raggiunto quando - sotto la spinta delle analisi dei grandi

filosofi e della rivolta popolare - è stato riconosciuto che la sovranità appartiene al popolo, ossia a ciascun

individuo. La disoccupazione viola questo sacrosanto principio perché discrimina tra cittadini nel godimento

del diritto ad avere un lavoro; in Italia questo diritto è scritto a chiare lettere nell'articolo 1 della Costituzione.

L'idea che alcuni individui possano essere involontariamente disoccupati senza che vi sia un'adeguata

politica per debellare questa piaga sociale è una grave omissione dei gruppi dirigenti, direi anzi un vero e

proprio reato. Sostenere, come si va facendo, che la disoccupazione è la punizione di un popolo per aver

vissuto o perché vuole vivere al di sopra delle proprie risorse, invece di ammettere che sono le politiche a

essere sbagliate, non è solo un'eresia democratica, ma anche un modo per far pagare il costo degli

aggiustamenti a una minoranza di poveri cristi. Riconoscere sussidi alla disoccupazione invece di garantire

un posto di lavoro è un'offesa alla dignità dell'uomo; i sussidi andrebbero dati solo a chi fisicamente è

impossibilitato a lavorare. Se domani e dopodomani i capi di Stato e di governo europei non decideranno che

il loro principale obiettivo è riassorbire la disoccupazione, prendendo adeguate decisioni comuni, non

adempiranno al compito cui sono stati delegati e confermerebbero che l'Ue è un assetto istituzionale che non

merita rispetto. Non si può accettare che più di un cittadino europeo su dieci, per l'esattezza l'11,1%, sia

disoccupato, con una distribuzione alterata all'interno dell'area euro, che va dal 5,7% dell'Austria al 22,7%

della Spagna (e al 25,6% della Grecia), venga discriminato nel godimento del suo diritto alla giustizia sociale

previsto dall'articolo 2 del Trattato di Lisbona, che così si esprime: l'Unione poggia «su un'economia sociale

di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale... Essa promuove

il progresso scientifico e tecnologico... combatte l'esclusione sociale e le discriminazioni e promuove la

giustizia e la protezione sociali, la parità tra donne e uomini, la solidarietà tra le generazioni e la tutela dei

diritti del minore. Essa promuove la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli Stati

membri».

Abbiamo firmato un impegno o un mare di chiacchiere? La disoccupazione attuale ha quattro componenti

che, secondo le regole della politica economica, richiedono l'attivazione di almeno quattro appositi strumenti

che qui ricordiamo. Esiste una disoccupazione ciclica dovuta all'assenza di una gestione corretta della

domanda aggregata, che si combatte aumentando la spesa pubblica o riducendo le tasse, soprattutto se

esiste risparmio in eccesso, che nell'area euro è circa 300 miliardi (di cui 270 della sola Germania e

paradossalmente 43 dell'Italia). Ne esiste una seconda legata alle diversità marcate del costo del lavoro

nascenti dall'assenza o quasi di rete sociale e di protezione ambientale dei Paesi emergenti, che, generando

convenienza a importare, spiazzano le produzioni locali a basso valore aggiunto e ad alta incidenza dei

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salari; questa si combatte, da un lato, inducendo i Paesi che muovono concorrenza in social dumping ad

avere un'adeguata rete sociale e protezione ambientale invece di costringere chi già l'ha a rinunciarvi;

dall'altro, spostando le risorse verso attività a elevato valore aggiunto e bassa incidenza salariale, attivando il

sostegno scientifico previsto dal citato articolo 2 del Trattato di Lisbona e incentivi fiscali alle innovazioni

tecnologiche. Ne esiste inoltre una terza nascente dalla delocalizzazione degli investimenti, che, esportando

le esportazioni di un paese per produrle all'estero, disloca anche la domanda di forza lavoro; questa

disoccupazione si combatte parificando i trattamenti burocratici e la tassazione a quelli vigenti nei Paesi

concorrenti. Ne esiste infine un'ultima, la più grave, dovuta allo sviluppo dei robot e della cibernetica, che non

richiedono più lavoro umano; questa sollecita una diversa organizzazione sociale che garantisca a tutti un

salario, una pensione o un sussidio se si impegnano a prestare un servizio tra i tanti necessari.

Questo è il problema di cui i capi di Stato europei devono discutere, lasciando ai tecnici la soluzione degli altri

pur importanti problemi sul tappeto. È inutile definire una politica comune rispetto all'emigrazione, all'Ucraina,

all'Isis e al Nord Africa e un più stretto coordinamento fiscale, se l'Ue non ha futuro a causa della

disoccupazione; ciascuno Stato provvederà da sé a trovare una soluzione, come va facendo. Invece di

prendere di petto queste quattro disoccupazioni, la Ue e i Paesi che al loro interno registrano condizioni più

gravi avanzano la tesi che si debba adeguare l'operatività del mercato del lavoro alle condizioni esistenti

altrove; ossia si esce dalla crisi dell'occupazione abbassando il nostro livello di civiltà perché «si sono

incrinati gli standard di vita che avevamo»; dobbiamo cioè accettare di vivere più modestamente. È il de

profundis della cultura dello sviluppo che ha permesso all'area occidentale di sconfiggere quella sovietica e

reso un Paese come l'Italia la quinta potenza mondiale. Mi spiace che la tesi sia stata enunciata dal

governatore di Bankitalia, ma è noto che è condivisa dai gruppi dirigenti italiani ed europei e, ahimè, da molti

economisti protoneoclassici ed europeisti confusionari. Queste politiche generano un circolo vizioso dove

l'accettazione del sacrificio degli standard di vita perpetua e accentua la crisi. Se si riducono i salari si

comprime la domanda e si aumentano i profitti senza imprimere un impulso agli investimenti e usando le

capacità imprenditoriali all'estero. Si riduce così la base imponibile e lo Stato incassa meno tasse, facendo

entrare in crisi il deficit di bilancio pubblico e il sistema pensionistico. Se si aumenta la pressione fiscale per

ovviare al deficit pubblico e pensionistico così creato, il moto del circolo vizioso si accentua. Se per reagire

alla crisi si annullano i tassi d'interesse, come attualmente in atto, il risparmio perde ogni remunerazione e

crea minor reddito da spendere; la maggiore offerta di moneta finisce nelle mani della speculazione, che

guadagna non usando lavoro, ma computer, e reinveste gli utili nel sistema finanziario; entrano in crisi i fondi

assicurativi e pensionistici privati aumentando i problemi per tutti. Si può continuare, ma credo che basti per

farsi un'idea di ciò che sta accadendo all'Italia in Europa a causa di una dirigenza politica non all'altezza della

situazione. Si apre così la strada alle proteste e alla confusione politica che, attraverso gli spread sul debito

pubblico e l'aumento del rischio in generale, rafforzano ulteriormente il moto del circolo vizioso. Solo così

l'euro sarà irreversibile, come Draghi comincia a comprendere che debba essere con adeguati

comportamenti, mentre finora ha sostenuto che l'euro già lo fosse per sua stessa natura. (riproduzione

riservata)

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NORME E TRIBUTI 24 GIUGNO 2015Il Sole 24 Ore

Jobs act. Il lavoro supplementare, per singole giornate o periodi più lunghi, può essere richiesto a

prescindere dall’assenso del lavoratore

Part time, extra orario senza Ccnl

Rifiuto opponibile per ragioni familiari, di salute o per altra occupazione

Il codice dei contratti, nella versione disponibile a oggi, apporta poche ma

significative modifiche alla disciplina del part time. Dal giorno successivo alla

pubblicazione - probabilmente oggi - del decreto sulla «Gazzetta Ufficiale», cambiano

alcune regole per il lavoro supplementare, cioè il periodo svolto in aggiunta rispetto

all’orario ridotto eventualmente concordato tra le parti. La riforma conferma la regola

generale secondo cui il lavoro supplementare può essere richiesto dal datore di

lavoro, nel rispetto dei limiti e delle condizioni fissate dai contratti collettivi (di

qualsiasi livello), anche senza il consenso del lavoratore.

Questa regola viene tuttavia innovata in più parti. In primo luogo, si precisa che la

richiesta può riguardare non solo singole giornate, ma anche settimane o mesi. Inoltre

viene regolamenta l’ipotesi di assenza di una disciplina collettiva. In queste situazioni,

il datore di lavoro può comunque chiedere al dipendente di svolgere una prestazione

aggiuntiva rispetto all’orario ridotto, in misura variabile fino al 25% delle ore di

lavoro settimanale concordate (nella normativa precedente, in assenza di disciplina

collettiva il ricorso al lavoro supplementare era ammesso solo previo consenso del

lavoratore).

Pur non essendo richiesto il consenso individuale, il lavoratore può comunque rifiutare

di svolgere il lavoro supplementare in alcune situazioni specifiche: se dimostra

l’esistenza di comprovate esigenze lavorative (per esempio un’altra occupazione), di

salute, familiari oppure di formazione professionale.

Le ore di lavoro supplementare devono essere compensate con una una maggiorazione

retributiva, pari al 15% della retribuzione globale di fatto normalmente spettante al

lavoratore su base oraria (nella base di computo rientrano anche gli istituti retributivi

indiretti e differiti).

La legge conferma, inoltre, che nel part time è consentito lo svolgimento di lavoro

straordinario e rientrano in questa nozione le ore svolte oltre l’orario normale pieno

applicabile al rapporto di lavoro.

Un’altra innovazione importante riguarda la disciplina delle clausole elastiche. Si

tratta di quegli accordi, sottoscritti dal lavoratore, che consentono al datore di lavoro

di cambiare l’orario del dipendente, allungando la sua durata oppure spostando la

collocazione della prestazione.

Una prima innovazione è di carattere lessicale: la precedente disciplina distingueva tra

clausole “elastiche” e “flessibili”, quella attuale accorpa tutte le fattispecie nella

definizione di clausole “elastiche”. Tali clausole sono sempre negoziate a livello

individuale, devono essere stipulate in forma scritta e devono rispettare gli eventuali

limiti previsti dai contratti collettivi di qualsiasi livello applicabili al rapporto.

La vecchia disciplina non consentiva la firma delle clausole in assenza di regole

collettive; la nuova, invece, consente di stipulare le clausole elastiche anche nei casi in

cui non esiste un contratto collettivo. In questo caso le clausole possono essere

sottoscritte (nel rispetto di alcuni limiti fissati dalla legge) dalle parti presso le

commissioni di certificazione, con facoltà del lavoratore di farsi assistere da un

rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce (oppure un avvocato o da un

consulente del lavoro).

Una volta sottoscritta la clausola elastica, il datore di lavoro non deve chiedere ogni

volta il consenso del dipendente per allungare o spostare la prestazione, ma deve

rispettare un termine di preavviso minimo di due giorni lavorativi e deve riconoscere

specifiche compensazioni (maggiorazioni economiche o riposi), nella misura ovvero

nelle forme determinate eventualmente dai contratti collettivi.

Il datore di lavoro che utilizza le clausole elastiche, come per il lavoro supplementare,

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deve compensare il lavoro aggiuntivo svolto con una maggiorazione del 15%,

calcolata con i criteri già visti per il lavoro supplementare. Innovazioni importanti

riguardano anche il diritto alla priorità per la trasformazione in part time per i parenti

di persone affette da patologie oncologiche e la possibilità di convertire il congedo

parentale in part time per un periodo corrispondente.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Giampiero Falasca

Pagina 2 di 2Il Sole 24 Ore

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MF

Numero 123, pag. 4 del 25/06/2015

DENARO & POLITICA

Contratti Pa, blocco illegittimo ma non per il passato

di Andrea Pira

Illegittimo, ma non per il passato. La sentenza della Corte Costituzionale sul blocco dei contratti degli statali

salva i conti pubblici e disinnesca un bomba che avrebbe creato un buco di bilancio da 35 miliardi, come

calcolato dall'Avvocatura di Stato. Allo stesso tempo è stata accolta positivamente dai sindacati che parlano

di decisione «giusta e sacrosanta» e chiedono la riapertura del tavolo di contrattazione dopo il blocco degli

ultimi sei anni, deciso nel 2009 e rinnovato nelle successive leggi di Stabilità. Come si legge nel comunicato

della Corte, i giudici hanno dichiarato: «con decorrenza dalla pubblicazione della sentenza l'illegittimità

costituzionale sopravvenuta del regime del blocco della contrattazione collettiva per il lavoro pubblico, quale

risultante dalle norme impugnate e da quelle che lo hanno prorogato. La Corte ha respinto le restanti censure

proposte». La Consulta ha quindi tenuto conto delle richieste avanzate dall'Avvocato dello Stato, Vincenzo

Rago, che aveva richiamato l'attenzione su quanto previsto dall'articolo 81 della Costituzione in merito

all'equilibro di bilancio. La sentenza infatti è la terza a toccare da vicino la stabilità dei conti pubblici. Qualche

settimana fa l'efficacia retroattiva della pronuncia sull'illegittimità costituzionale della mancata perequazione

delle pensioni per il 2012-2013, decisa dal governo Monti, aveva costretto l'esecutivo a concedere un

indennizzo ai pensionati. A febbraio fu invece la volta della Robin Hood Tax, la tassa sui petrolieri introdotta

dall'ultimo esecutivo Berlusconi e poi confermata. Anche in quel caso la Consulta aveva stabilito l'illegittimità

dell'imposta, ma non per il passato. (riproduzione riservata)

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PRIMO PIANO 25 GIUGNO 2015Il Sole 24 Ore

VIA?IL?TAGLIO?

LINEARE Per il sottosegretario Enrico Zanetti bocciata un’ingiusta scappatoia: «Ora la sfida vera è la spending review anche sul costo del personale»

Consulta: stop al blocco contratti Pa

«Illegittimo, ma non per il passato» - Evitata la «mina» da 35 miliardi sui conti

pubblici

ROMA

Il blocco dei contratti dei dipendenti pubblici è illegittimo. Ma solo dal momento della

pubblicazione della sentenza con cui ieri la Consulta ha dichiarato «l’illegittimità

costituzionale sopravvenuta» (come si afferma in un comunicato ufficiale della stessa

Corte) del congelamento degli stipendi nel pubblico impiego deciso nel 2010 per il

triennio 2011-2013 dall’esecutivo Berlusconi e poi prorogato dai governi successivi.

Nessun effetto retroattivo della bocciatura, dunque, anche perché la norma cancellata in

origine era legittima ma illegittimo è stato protrarla per troppi anni (quì la differenza

rispetto al pronunciamento sulla Robin tax di febbraio). Il risultato è che nei conti

pubblici non si aprirà il temuto buco da 35 miliardi stimato nella sua memoria difensiva

dall’Avvocatura generale dello Stato nel caso il blocco fosse stato dichiarato illegittimo

fino dal momento della sua entrata in vigore con il decreto legge 78/2010 (la manovra

correttiva targata Tremonti). Anche se il Governo dovrà provvedere alla riapertura della

fase negoziale con i sindacati per sbloccare i contratti. Senza considerare che si pone il

problema dell’indennità di vacanza contrattuale che, almeno in via teorica, dovrebbe

essere prevista per quest’anno nel periodo compreso dalla pubblicazione della pronuncia

della Corte, attesa per luglio) fino al 31 dicembre. Il punto di partenza da cui calcolare

la nuova maggiore spesa (si veda altro articolo in pagina) è di 1,7 miliardi nel 2016, per

arrivare a un cumulato di 6,6 nel 2018 stando all’esercizio di stima a politiche invariate

contenuto nel Def 2015, che tiene conto anche degli andamenti occupazionali del

pubblico impiego, in prospettiva alleggeriti dallo stop del turn over. Ma come tutte le

sentenze “pro futuro” non comporta oneri immediati o automatici sui saldi: le scelte da

assumere ora toccano al Governo con la legge di Stabilità.

I sindacati accolgono con favore, anche se con sfumature diverse, la pronuncia della

Corte e chiedono al Governo di aprire subito la trattativa sui rinnovi. Sono trascorsi

quasi sei anni (oltre 2mila giorni) dall’ultimo rinnovo nel pubblico impiego. Il pressing

di Cgil, Cisl e Uil è immediato, anche se proprio la Uil sostiene che quella della Corte

costituzionale «è una sentenza politica» che «salva il governo Renzi dall’ennesima

batosta dopo quella sulle pensioni». La pronuncia della Consulta arriva, infatti, subito

dopo quella sulla Robin tax (dove anche in quel caso non sono stati previste effetti

retroattivi) e sul blocco delle indicizzazioni delle pensioni deciso dall’esecutivo Monti

dichiarato illegittimo dalla Corte (qui invece con effetti retroattivi che hanno fatto

scattare un decreto di rimborso da 2,18 miliardi in pagamento il primo agosto e un onere

aggiuntivo da mezzo miliardo dal 2016 in poi).

La Corte costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi sul blocco dei contratti da due

distinte ordinanze presentate da una serie di sigle sindacali del pubblico impiego (la

prima da Flp, Fialp, Gilda-Unams, Confedir e Cse e la seconda Confsal-Unsa) contro le

norme previste da due decreti (articolo 9 dl 78/2010 e articolo 16 dl 98/2011) che per

fronteggiare l’emergenza finanziaria hanno sospeso i rinnovi contrattuali. Le misure

finite nel mirino dei sindacati erano, oltre al blocco dei contratti, lo stop ai trattamenti

accessori, le progressioni di carriera e la vacanza contrattuale. In particolare la

contestazione riguardava la lunghezza del periodo di blocco, che è superiore al biennio,

un intervallo che in passato era stato giudicato “congruo” dalla Corte. Che nel suo

comunicato ufficiale dichiara «l’illegittimità costituzionale sopravvenuta del regime del

blocco della contrattazione collettiva nel pubblico impiego, quale risultante» non solo

«dalle norme impugnate», ma anche «da quello che lo hanno prorogato».

Il Governo ieri non ha commentato la sentenza. Solo il sottosegretario all’Economia,

Enrico Zanetti (Scelta civica) ha detto la sua: «Il blocco degli stipendi nella pubblica

amministrazione era una norma che non ci è mai piaciuta, perché è un taglio lineare per

eccellenza». «Ora che la Corte ha tolto questa facile e ingiusta scappatoia - ha aggiunto

- tutta la politica e non solo Scelta Civica, che lo ha sempre predicato, dovrà accettare di

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Pagina 1 di 2Il Sole 24 Ore

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Page 127: 26 15 rassegna stampa fisac dal 22 giu al 26 giu

confrontarsi con la sfida di una vera spending review che riguardi anche i costi del

personale, garantendo scatti salariali a chi fa il suo dovere e smettendo di attribuire

retribuzioni variabili di risultato a pioggia».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Davide Colombo

Marco Rogari

Pagina 2 di 2Il Sole 24 Ore

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PRIMO PIANO 25 GIUGNO 2015Il Sole 24 Ore

APPRENDISTATO

Segno positivo per l’apprendistato e per altre tipologie come i contratti di inserimento o il lavoro intermittente

Nuovi contratti: +178mila, solo 31mila fissi

A maggio rallenta l’aumento del tempo indeterminato: quasi tutte «trasformazioni»

ROMA

Maggio si chiude con un saldo occupazionale positivo pari a 178.176 contratti. Per la

gran parte si tratta di contratti a tempo determinato - il saldo tra attivazioni e cessazioni

è di 145.901 -, mentre il differenziale per i contratti a tempo indeterminato è positivo

solo per 1.610 nuovi contratti, ai quali vanno aggiunte 29.934 trasformazioni, portando

così a 31.544 il numero complessivo di contratti stabili. Segno positivo anche per

l’apprendistato (+6.496 contratti) e per altre tipologie come i contratti inserimento o il

lavoro intermittente (+3.390), mentre calano le collaborazioni (-9.155).

Sono questi i numeri che emergono dalla lettura dei dati delle comunicazioni

obbligatorie pubblicate dal ministero del Lavoro, relative ai contratti stipulati per lavoro

dipendente e parasubordinato, con esclusione della pubblica amministrazione e del

lavoro domestico. Il dato complessivo è di 780.351 attivazioni di nuovi contratti, a

fronte di 602.175 cessazioni, in confronto con maggio 2014 quando le attivazioni erano

state 738.242 e le cessazioni 571.962, mentre le trasformazioni di rapporti di lavoro a

tempo determinato in rapporti a tempo indeterminato sono state 29.934 rispetto alle

20.535 dell’anno precedente (e le 35.883 di aprile).

Tra le attivazioni di nuovi rapporti di lavoro, predomina il tempo determinato che con

518.778 contratti pesa per il 66,5% sul totale (era 67,9% a maggio del 2014), segue il

tempo indeterminato con 153.633 incidendo per il 19,7% (era 14,7%), le 33.280

collaborazioni per il 4,3% (erano il 6,4%), i 19.694 contratti d’apprendistato per il 2,5%

(erano il 3,3%), i 54.966 “altri contratti” per il 7% (7,7%). Quanto alle 602.175

cessazioni, oltre la metà sono di contratti a tempo determinato, pari a 342.943 (57%),

seguite dal tempo indeterminato che raggiungono il picco delle 152.023 - arrivando

molto vicino al numero di attivazioni- dalle collaborazioni (42.435, pari al 7%) e

apprendistato (13.198 pari al 2,2%).

Per Serena Sorrentino (Cgil) siamo in presenza di un «nuovo rallentamento dei contratti

a tempo indeterminato, mentre cresce l’incidenza del contratto a termine sul totale delle

attivazioni e aumentano le cessazioni», a dimostrazione che «il mercato del lavoro è

tutt’altro che stabilizzato e risente dell’assenza di politiche di sostegno alla domanda», e

che «incentivi e deregolazione non bastano». Diversa la lettura dei dati fatta da Gigi

Petteni (Cisl): «Premesso che le regole non creano da sole posti di lavoro, comunque si

tratta di buone regole, perché avere un contratto a tempo indeterminato meno costoso è

vantaggioso per tutti - sostiene -. Lo strumento dunque resta valido, anche se a maggio

gli effetti occupazionali sono più contenuti probabilmente per fattori congiunturali,

legati alla stagionalità». Anche Guglielmo Loy: (Uil) sottolinea «il rallentamento

significativo delle stabilizzazioni di contratti temporanei ed il calo della percentuale di

lavoro stabile», invita a riflettere se «si stia attenuando l’effetto metadonico dello

sgravio totale inserito con la legge di stabilità», preoccupato dal «rialzo delle cessazioni

di contratti stabili».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Giorgio Pogliotti

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PRIMO PIANO 26 GIUGNO 2015Il Sole 24 Ore

Il rapporto Inps-Istat. L’analisi dei dati 2013

Ogni 100 occupati i pensionati sono 72

romaNello stesso giorno in cui dalla Corte dei conti arriva l’ennesimo rilievo sulla «forte rigidità» della spesa pensionistica che cresce a un ritmo sostenibile ma anche «continuo ed elevato», come ha detto Enrica Laterza nella relazione per il giudizio sul rendiconto dello Stato, Inps e Istat sfornano il consueto report sui trattamenti previdenziali (sull’anno 2013) che mette a fuoco la distribuzione di quella spesa. Essa oscilla attorno al 16,8% del Pil, media nazionale tra il 20-21% di Sud e Isole e il 15% del Nord. Con quella spesa due anni fa son state erogate 23,3 milioni di prestazioni a 16,4 milioni di pensionati con le donne in lieve maggioranza sugli uomini (52,9% pari a 8,7 milioni). Nel Nord-ovest risiede oltre un quarto dei pensionati(circa il 28%) e prevalgono gli assegni di anzianità e vecchiaia mentre i record di pensioni di invalidità sono al Sud (7-8% contro il 3% del Nord). Fin qui una fotografia piuttosto nota, come è noto il fatto che gli assegni delle donne sono in media molto più bassi di quelli dei maschi, protagonisti di carriere lavorative e contributive meno idiscontinue. Nel 2013, in particolare, oltre la metà delle donne (50,5%) ha ricevuto meno di mille euro al mese, contro un terzo (31%) degli uomini. Ma attenzione alle fasce più ricche: il numero di uomini (178 mila) con un reddito pensionistico mensile pari o superiore a 5mila euro è stato di cinque volte superiore a quello delle donne (35 mila).Le cifre che più colpiscono del focus Inps-Istat girano però attorno al cosiddetto “rapporto di dipendenza”, ovvero il rapporto tra il numero dei pensionati e quello degli occupati: siamo al 71,9% . Anche qui lo svantaggio delle donne è maggiore: 91 pensionate ogni 100 lavoratrici, a fronte di 58,2 uomini ogni 100 lavoratori. Sono cifre quasi in linea con quelle di dieci anni prima, per prendere un anno di riferimento (nel 2003 erano 72 i pensionati ogni 100 occupati mentre nel 1997 erano 78). È anche a causa di questa quasi-invarianza, generata da vari fattori, che la spesa pensionistica come dice la Corte continua a crescere. Con quali costi? Dietro quel 16% sul Pil c’è una spesa pensionistica equivalente a 12.224 euro annui per occupato (media nazionale) con picchi fino a 15.674 euro in regioni come la Liguria. Con un sistema contributivo finanziato con il criterio della ripartizione, meglio sarebbero tassi di occupazione più elevati e conseguenti rapporti di dipendenza più bassi..@columbus63© RIPRODUZIONE RISERVATAD.Col.

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