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Dottor Roberto Pagnanelli

LA DEPRESSIONE

Come affrontarla, come curarla

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IndiceL’autore 6Ringraziamenti 7

Il caso di Sara 8Vorrei dirle tante cose… 11Sara inizia la terapia 12

Definizione: cos’è la depressione? 13Incidenza: quali sono i numeri della depressione 18

Come si manifesta la sindrome depressiva? 21I sintomi del paziente depresso 21I sintomi del paziente maniacale 30

La depressione nelle varie età della vita 33La depressione in gravidanza 33La depressione post-partum 35La depressione nel bambino 39La depressione nell’anziano 49

C’era una volta la melancolia, un tuffo all’indietronella cura della depressione 54

Perché ci si ammala? 64

L’approccio farmacologico alla depressione 81

L’approccio complementare alla depressione 86Depressione e fitoterapia 88Le piante attive sulla depressione ansiosa 90Le piante che agiscono sulla depressione inibita 92L’omeopatia nella terapia della depressione 99Depressione e fiori di Bach 105Ayurveda e depressione 117

La lettura analogica dei sintomi della depressione 133Simboli e depressione 133La lettura analogica dei sintomi 140

L’approccio psicoterapeutico alla depressione 147

Gli esercizi per la mente 157Gli esercizi contro la depressione 157

La depressione in pillole 182

La vera storia di Sara 195

Bibliografia 205

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Il caso di SaraSara entra nel mio ambulatorio unamattina di novembre. Fuori fa freddoe il vento sparpaglia per il vialetto lefoglie secche e ingiallite, che sembra-no quasi crepitare sotto i piedi.

Sara mi aspetta già. È arrivata pri-

ma. “Sono abituata così”, mi dice sul-la porta. È vestita di nero (il nero è uncolore importante per la depressione,lo vedremo) e sembra annuvolarsicome il cielo d’autunno, che porta lapioggia e la bora.

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Il suo umore è cupo, lo si intuisce. Salei gradini dietro di me, lentamente, pia-no piano, uno a uno.

È una donna esile, sulla quaranti-na, ma forse è più giovane di quelloche sembra. Ha un fisico slanciato emagro, molto magro, fin troppo. Sitoglie l’impermeabile e, una volta en-trati, appoggia l’ombrello nell’ombrel-liera con malcelata lentezza. La fra-granza del suo profumo si diffondetutt’attorno. “Posso accendermi unasigaretta?”. “Certo, faccia pure” (an-che se in ambulatorio non si dovreb-

be, in certi casi è bene permettere cheil paziente si senta a proprio agio).

Si trascina fino alla sedia e si sie-de, di fronte a me. Si affloscia, comeun sacco vuoto. Ha uno sguardo scu-ro, gli occhi cerchiati e scuri sembra-no due grandi occhiali neri.

“Di cosa soffre, signora?”, le chie-do anche se penso d’intuirlo.

“Di depressione, dottore, sono tan-ti anni e lei è l’ultima speranza, l’ulti-ma ancora di salvezza…”.

Un’ancora.Essere paragonato a un’ancora fa

già capire come si vede il paziente: unabarchetta in balia delle onde.

Ora Sara è una barchetta alla deri-va. Ha la bocca secca… “Da quantotempo non beve? Da quanto temponon si abbevera alla fonte della calmache, forse, una volta aveva dentro disé? Da quanto tempo non vedi più laluce, Sara?”, penso fra me e me.

La mia storia… mio marito… i fi-gli… la separazione… il dolore.

“Dio mio, a cosa può portare ladepressione?”, mi chiedo. “A cosa puòportare la sofferenza? E perché?”.

Lei mi vede come un uomo su unaspiaggia. La mia ancora vacilla, trasci-nata sul fondale, costretta a scavareun greve solco sulla sabbia. “Doveposso portarla?”, mi chiedo. “Versoquale lido? Il mio? O il suo?”.

Tante idee balenano nella mia men-te: “Cosa posso fare per lei?”. “Come

… il cuore di Saraè un cuore in tempesta …

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posso aiutarla?”. La guardo e mi parespenta. Forse non crede più a nulla,nemmeno a me.

Forse qualcosa che può aiutarla c’è,esiste. Pesco nella mia memoria, nellemie esperienze di psichiatra che, pri-ma di essere un medico, è anche uomo.“Qualcosa che può aiutarla c’è… cideve essere… ne sono sicuro”. Rias-setto le idee, rimescolo le carte…

“Ma sì, ci proviamo, Sara!”. E unaluce riaccende la mia coscienza…bloccando l’ancora sul fondo. Sì, ilfondale è roccioso, ora, solido. C’ètutto quello che andrò a spiegare a voi,attenti lettori, con il contributo dellacollega Cristina Orel coautrice di que-sto volume.

Su quel fondale sabbioso c’eranodegli scogli, un saldo appiglio per qua-lunque ancora. C’era Ippocrate, conle sue conoscenze e quelle di chi ciha preceduto; i farmaci, gli psicofar-maci che certamente possono darciuna mano… C’è il significato del sin-tomo, che può aiutarci a comprender-ci meglio… le forme cliniche, i sinto-mi. Ci sono i farmaci naturali e gli ap-procci dolci e integrati e anche gli eser-cizi proposti alla fine del libro che,qualora Sara avesse voluto intrapren-dere la psicoterapia, avrebbero potu-to sospingerla ad approdare verso lidimigliori con la speranza di vincere ilsuo male che è poi un po’ quello ditutti noi, la depressione.

...ora Sara è una barchetta alla deriva...

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Vorrei dirle tante cose…

Sara deve comprendere pian pia-no il senso della sua disperazione.

Farsi una ragione delle proprie vi-cissitudini. Capire ed essere aiutata acambiare qualcosa dentro di sé.

Ma ora, prima, per prima cosa, deveessere aiutata a vedere un po’ d’az-zurro nel suo cielo cupo.

Deve trovare un po’ di quiete e difiducia. E gli psicofarmaci possonodargliela. Naturalmente, nel tempo,speriamo presto, mi dico, Sara potràpassare alle terapie naturali, di cui viparleremo.

E allora?Accomodatevi accanto a noi e se-

guiamo Sara nella sua evoluzione cheè poi la nostra. Accompagnateci an-che voi nel suo cammino e nelle suescoperte: l’aver dentro qualcosa diprezioso, di molto più prezioso diquello che avrebbe mai immaginato.La cosa più preziosa del mondo.

Seguiamola nel suo percorso e im-pareremo qualcosa, ci auguriamo uti-le, sulla depressione.

Vorrei dire a Sara di stare tranquilla,ma non ci riesco. È presto. Le parolenon escono. Non riesco, semplice-mente, a dirgliele. Vorrei dirle di nondisperare. Che ce la faremo... con ilsuo aiuto. Ma è presto e la razionalitàme le spinge giù. Se voglio aiutare Saradevo avere pazienza e insegnare an-che a lei ad averne.

Una cosa alla volta.Vorrei trasmetterle tutto ciò che

penso. Le cause, i sintomi, come simanifesta… che senso ha, come sipuò guarire. Cosa c’è nel suo cervel-lo, per cui ora vede le cose ‘così’. Vor-rei illustrarle le terapie omeopatichee quelle naturali. I farmaci. E i poteridella mente che andremo a scoprire,insieme.

Ma non posso. Non ha senso dir-glielo adesso. Devo tenerle per me,ora.

“Un passo alla volta” – mi dico –“Non c’è fretta. Sara ci ha messo annia venire qui. Ma ora c’è. Abbi pazien-za…” – mi suggerisco.

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Sara inizia la terapia

ricordi di bambina, quel suo correreincessantemente, quell’avere l’argen-to vivo addosso, quell’essere sempreentusiasta di tutto. “Bastava davveropoco per farmi felice… dottore… ungesto… un regalino, un bacio… unacarezza, mi creda”.

Racconta le prime amicizie a scuo-la, gli interessi, il suo carattere. “Ero ti-mida ed emotiva, se non conoscevo lepersone…”. Si ricorda di quel ragazzocapace di accendere le sue emozioni...“Ero precisa e meticolosa, come miopadre”, continua Sara. “Ogni cosa alsuo posto, come sugli scaffali dell’am-bulatorio. Ma in amore no…”.

Al cuor non si comanda.Poi, un giorno, qualcosa si rompe

in Sara.

Il primo incontro passato nel silenzioforse non l’ha spaventata più di tan-to. A volte anche il silenzio insegnaqualcosa, forse più di mille parole. Avolte dal silenzio emerge qualcosa esi può imparare tanto. Anche il silen-zio a volte sa ascoltare.

I nostri sguardi si incrociano. Fug-gono via. Schizzano. Rotolano per ter-ra e poi riprendono.

“Dottore, sono confusa” – sono lesue prime parole, quasi bisbigliate.

Prendo il mio blocco di appunti einizio a graffiarlo, timidamente, con lesue brevi frasi.

“Da un po’ di tempo mi sembra dinon essere più me stessa. Di non co-noscermi più”.

Comincio a conoscere Sara, i suoi

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La sindrome depressiva, il sole nero dei no-stri anni, come l’ha definita la Kriste-va, è qui con noi, un’eclissi di sole.

Definizione: cos’è la depressione?Già, la depressione; forse lo sappia-mo tutti che cos’è… di certo ne par-liamo, è sulla bocca di tutti. Occupa ititoli dei giornali, ne parlano le televi-sioni...

Ma sappiamo davvero cosa vuoldire questa parola?

Sara è depressa, lo vediamo, macosa significa essere depressi?

“Lo vuol sapere, Sara?”.“Sì, dottore… Me lo dica…”.“Il termine depressione contiene in

sé un concetto importante: l’esseregiù di morale, triste, prostrata, a ter-ra”.

“Esso contiene il prefisso de cheindica mancanza, insufficienza e il suf-fisso pressione, unità di misura che infisica indica forza”.1

Nel termine che qualifica la nostrapatologia avremo così, implicitamen-

1 Il termine pressione indica l’entità di una forza esercitata su una superficie. Alcuni di voiricorderanno, dai tempi della scuola, la formula F/S cioè una forza che preme su un’unità disuperficie (Forza/Superficie). Quanto più grande è la forza tanto maggiore sarà la pressione.

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te, un richiamo al concetto di forza,alla dynamis cara agli antichi Greci,quell’energia psichica e fisica che pro-rompe da noi e che nella fattispecie,parlando di depressione, è carentecome l’acqua di un ruscello di monta-gna dopo un periodo di siccità.

Non ci sono più energia, entusiasmo,non c’è più quell’impulso alla vita ealla progettualità che ci spinge a scor-rere, a muoverci verso un obiettivo ead essere noi stessi. Nel depresso tut-to ciò è deficitario. Il suo corso si èseccato e nell’alveo compaiono solole pietre.

Pensandoci bene, ognuno di noipossiede, in se stesso, una certa quan-tità di energia. Ognuno di noi appenaalzato, mentre si fa la barba o si truc-ca davanti allo specchio, deve posse-dere una certa quantità di ottimismoper pensare alla giornata che gli stadavanti. Ciascuno nota con tristezza isegni che la notte gli ha lasciato sullafaccia, ma deve possedere un bel po’di ‘coraggio’ per guardarsi dentro,mettersi sotto la doccia e ripartire ‘pie-no di entusiasmo’ e con nuove pro-spettive per la giornata.

Ecco, quella che noi percepiamo almattino come una spinta vitale quasiirrefrenabile è la nostra quantità dienergia personale. Ognuno ha la pro-pria. Qualcuno sarà felice di andare alavorare, qualcuno molto triste, manon per questo depresso. Un po’ didepressione fa parte della vita. Statetranquilli: l’acqua fredda della docciaci aiuta a risvegliare il corpo e a scac-ciare i brutti pensieri e i segni dellanostra stanchezza, donandoci lo sprintnecessario per affrontare una nuovagiornata con grinta.

Nel caso della depressione succe-de qualcosa di diverso, qualcosa diineluttabile, di indecifrabile: quellaquantità di energia manca in misura deltutto evidente!2.

Non la troviamo più, neanche sot-

2 Il ruscello si è seccato. Siamo aridi, freddi, secchi come rami d’una pianta ormai priva d’acqua.

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to il cuscino! Non abbiamo più voglia.La quantità di energia è insufficiente.Siamo scarichi, stanchi. La notte nonci ha rigenerato a sufficienza, comedovrebbe essere.

“Mi sento come se dovessi andarea dormire…”. “Eppure ieri andava cosìbene… Cos’è successo?”.

“Empty, empty”, grida il nostro displaymentale. Il serbatoio è vuoto, “Atten-zione!”. Siamo spenti, ci manca la for-za di alzarci, ma in maniera eccessiva,più del ‘normale’, più del ‘comprensi-bile’. In una parola è carente, scarsa,insufficiente, a volte persino inesisten-te la voglia di vivere.

LA DEFINIZIONEPIÙ SEMPLICE:

LA DEPRESSIONE ÈLA MANCANZA D’ENERGIA

Siamo prigionieri di noi stessi.La giornata procede con lentezza

e malcelata insoddisfazione. Tutto èun peso. Se abbiamo poche forze,ogni cosa ci appare di dimensioni co-lossali. Anche la più piccola fatica ap-pare come un macigno degno dellaforza di Ercole per essere spostato, unsupplizio come quello di Sisifo, il mi-

tico eroe greco, costretto a spingerefin sulla vetta di un monte una pesan-te pietra che, durante la notte, roto-lava giù.

… il depresso fa le fatiche di Sisifoper portare avanti un peso

più grande di lui…

Forse il depresso si sente così… Ètutto inutile… è tutto maledettamen-te pesante.

Qualche volta queste sensazioni leabbiamo provate tutti. Chi di noi non

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si è sentito, a volte, inutile, sfortuna-to e pieno di sconforto?

Ma che cosa significa, in medicina,essere depressi? Quando possiamo con-siderare il calo dell’umore un eventonormale e fisiologico e quando diven-ta, invece, una patologia?

In medicina e in psicologia, si leg-ge sui trattati, il termine depressionepuò indicare una notevole quantità dimanifestazioni molto diverse fra loroe variegate. Può stare, ad esempio, perun generico stato di tristezza (quandoad esempio ci viene in mente di dire aun amico: “Ehi, Gino, sono triste oggi,mi sento giù, stamattina… non car-buro bene, ci andiamo a prendere unbuon caffè?”) oppure divenirel’espressione di uno stato più profon-do, di angoscia, uno stato di ma-lessere permanente e cupo.

“È un periodo brutto, triste, buio:mi sveglio e non sono più io… sonodepresso da un po’ e non so più chefare… Gino, mi consigli una visita dauno specialista?”; e quando diciamocosì certamente si tratta di uno statodiverso dal precedente e, forse, già diun campanello d’allarme.

Abbiamo proposto due situazionimolto differenti l’una dall’altra, perqualità e quantità.

Nel primo caso la generica espres-sione di tristezza è del tutto compren-sibile, motivata e decisamente fre-quente, tanto da poter essere consi-

derata perfettamente normale.Nel caso successivo, invece, il sin-

tomo ci appare più subdolo, più inva-lidante, insinuante, strisciante, poten-do a volte embricarsi ad altre manife-stazioni, come l’insonnia, ad esempio,o la difficoltà ad alimentarsi, le soffe-renze profonde e così via.

È questo secondo caso che ci av-vicina di più alla sindrome depressiva, al-meno per come la intendiamo noi psi-cologi e psichiatri; già, proprio la sin-drome depressiva di cui si occupa ilnostro volume, quella a cui abbiamodedicato la nostra opera.

Sindrome… Sindrome… “Parlate disindrome depressiva, ma cos’è unasindrome? Come possiamo definirla?”,immaginiamo già le vostre domande.“E che differenza c’è fra una sindromee un sintomo?”.

Seguiteci in silenzio e apriamo in-sieme un libro di medicina:

“Nelle scienze mediche una sindro-me è definita come un insieme di segni esintomi”. Va bene... ma vediamo di spie-garci un po’ meglio.

Un segno in medicina è ciò che il me-dico obiettiva, ciò che è sotto gli occhidi tutti nudo e crudo e visibile a ognu-no, come nel caso di una ferita san-guinante. Il sintomo invece è qualcosadi più complesso, di non immediata-mente percepibile. Viene definitocome qualcosa che avviene all’interno delpaziente e che egli avverte dentro di sé ma

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che non è obiettivabile, che non è vi-sibile a occhio nudo. È qualcosa chenasce in lui, che egli riferisce a se stes-so, come un malessere interno, sog-gettivo e invisibile.

Ma, se non è percepibile, come puòessere quantificato un sintomo? Comesi può far capire a un medico? Spessoil paziente lo descrive facendo appel-lo a delle metafore, cioè a immaginidotate di un senso facilmente com-prensibile.3

Come potete immaginare la de-pressione fa parte di queste manife-stazioni subdole e alquanto sfumatee per questo difficili da spiegare e dafar comprendere a chi non le ha maiprovate. La depressione non può es-sere quantificata con la facilità con cuisi misura l’estensione di un eczema

cutaneo, di una piaga o di un’ulceragastrica che sono, com’è noto, misu-rabili nelle loro dimensioni. Il sintomoè qualcosa di diverso, non è visibilese non per le sue manifestazioni so-matiche e, a volte, neanche per quel-le. E questo è un problema.

Il sostantivo “depressione” può cosìdiventare sinonimo di sintomo quandolo stato d’animo che lo configura èpresente da solo e in misura contenu-ta e comprensibile (“sono solo un po’triste, non ti preoccupare, Gino, pas-sa subito”) o di una sindrome quandocompare assieme ad altre manifesta-zioni (cefalea, vertigini, insonnia, tre-mori, preoccupazioni, astenia, crisi dipianto e angoscia vitale). È questa lasindrome depressiva, proprio quella di cuistiamo parlando.

3 Avete mai “visto” un mal di testa? Molte volte, per definire ciò che avviene dentro di noi eche pertanto non è ben descrivibile, ricorriamo a delle vere e proprie metafore, cioè a im-magini analogiche che traggono lo spunto da situazioni reali. Quante volte diciamo: “Houna cefalea così forte che mi sembra che la testa mi si spacchi in due”, “ho un chiodoconficcato nella testa” o “ho un tale fischio nelle orecchie che mi sembra di sentire untreno” o ancora “ho un topo che mi rode lo stomaco” (per un paziente sofferente di ulcera)?Sono chiare immagini mentali che ci permettono di farci capire e che esprimono un nostromalessere (anche se proprio per questo difficili da obiettivare per un medico). Spesso, infat-ti, noi medici e psicologi possiamo capire cos’è un mal di testa feroce solo perché l’abbia-mo provato noi stessi.