Dott. Marko Zotic: Res gestae, historia rerum gestarum e il precorrimento nell'attualismo di Gentile
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Transcript of Dott. Marko Zotic: Res gestae, historia rerum gestarum e il precorrimento nell'attualismo di Gentile
RES GESTAE, HISTORIA RERUM GESTARUM
E IL “PRECORRIMENTO”
NELL’ ATTUALISMO DI GENTILE
di MARKO ZOTIC
A Nonna Ondina e Nonno Bepìn
3
INDICE
Introduzione ................................................................................................................5
1. PARTE I: Semi e sviluppi dell’attualismo .................................................................... 7
1.1. I periodi della speculazione gentiliana................................................................................... 7
1.2. Il fondamento teorico dell’attualismo .................................................................................. 12
1.2.1. Introduzione .............................................................................................................................. 12
1.2.2. Pensiero astratto ........................................................................................................................ 14
1.2.3. Logo astratto.............................................................................................................................. 17
1.2.4. L’errore e l'impensabile............................................................................................................. 19
1.2.5. L’analisi..................................................................................................................................... 22
1.2.6. Logo concreto............................................................................................................................ 23
1.2.7. Dialetticità del pensiero pensante: dialetticità dell’Io e quindi del Reale.................................. 25
2. PARTE II: Corollari..................................................................................................... 30
2.1. Introduzione e puntualità dell’attualismo............................................................................. 30
2.2. Unità di essere e non essere: la negazione del presupposto e l’affermazione dell’autoctisi 31
2.2.1. L’essere o natura: il presupposto ............................................................................................... 33
2.2.2. Essere o sostanza: la negazione dell’autoctisi ........................................................................... 36
2.3. Unità di particolare e universale .......................................................................................... 37
2.4. Unità di uno / molteplice...................................................................................................... 39
2.5. Spazio e tempo..................................................................................................................... 40
2.6. Immediato e mediazione ...................................................................................................... 42
2.7. Astrattezza dell’intuizione ................................................................................................... 44
2.8. La questione del soggetto..................................................................................................... 47
2.8.1. Io empirico ed Io trascendentale................................................................................................ 47
2.8.2. L’io è il Noi e l’universalità del pensiero .................................................................................. 50
2.9. L’autoreferenzialità.............................................................................................................. 59
4
2.10. Uguaglianza di teoria e prassi e nuova gnoseologia ............................................................ 60
2.11. Autoctisi e Atto Puro ........................................................................................................... 62
3. PARTE III: Il problema della storia........................................................................... 65
3.1. Introduzione ......................................................................................................................... 65
3.2. Il concetto di progresso, contemporaneità ed eternità della storia ....................................... 66
3.3. L’identità attuale tra le “res gestae” e l’ “historia rerum gestarum” .................................... 73
3.3.1. Identità di storia e storiografia................................................................................................... 74
3.3.2. Identità tra storia e filosofia....................................................................................................... 76
3.3.3. La piccola storia nella grande storia: il soggetto empirico come persona e l’errore dello
storicismo................................................................................................................................................... 79
3.3.4. Distinzione tra passato e passato ............................................................................................... 84
3.4. Storia e “precorrimento” ...................................................................................................... 86
4. PARTE IV: Il “precorrimento” e la critica di Paolo Rossi....................................... 93
4.1. Introduzione ......................................................................................................................... 93
4.2. Spaventa e la teoria della “Circolazione del pensiero” ........................................................ 94
4.3. La critica di Eugenio Garin.................................................................................................. 98
4.4. La critica di Paolo Rossi .................................................................................................... 100
4.4.1. Il metodo storiografico attualistico.......................................................................................... 103
4.5. Gli studi sul Rinascimento ............................................................................................. 111
5. CONSIDERAZIONI FINALI.................................................................................... 116
6. BIBLIOGRAFIA......................................................................................................... 121
6.1. Testi.................................................................................................................................... 121
6.2. Studi ................................................................................................................................... 125
5
Introduzione
L'obiettivo principale dell'attualismo di Gentile, inteso come
riforma della dialettica hegeliana, era di eliminare gli ultimi residui della
trascendenza sopravvissuti nell’idealismo. L'obiettivo era dunque
raggiungere l'immanenza assoluta, e la storia della filosofia non sarebbe altro
che il cammino verso la conquista di essa. Noi ci chiediamo se in campo
storico, non in quello teorico, questa immanenza assoluta sia effettivamente
stata raggiunta, e questo sarà il filo conduttore della tesi, la quale si divide in
quattro parti tutte accompagnate da un’introduzione. Le prime due mirano a
chiarire i fondamenti dell'attualismo, mentre la terza parte espone la
problematica gentiliana della storia. Nella quarta e ultima parte, troveremo la
critica di Paolo Rossi, e soprattutto saranno esposti i punti deboli della
posizione gentiliana. Ma anche alcuni punti forti, anche se a dire il vero,
sembrano quasi un'eccezione, o un frutto di un'eterogenesi dei fini, mi
riferisco agli studi sul Rinascimento, dove si parlò di una felice divergenza
tra posizioni teoretiche e risultati storiografici (ma fu veramente una
divergenza?).
La caratteristica principale della tesi è quella di tentare un
approccio all’attualismo che parta dall’interno dello stesso, convinti che ciò
possa giovare ad una più piena comprensione delle relative problematiche.
Dunque critica interna, che ci consentirà di utilizzare e anche, per un certo
periodo, a far nostre le posizioni gentiliane; con l'obiettivo di trovare e di
6
illustrare i loro nodi problematici, il tutto accompagnato dalle opere critiche
e dalla critica esterna. Questi nodi problematici, per quanto riguarda il
problema della storia, sono principalmente il rapporto tra le “res gestae” con
l’ “historia rerum gestarum”, e in particolar modo il problema del
“precorrimento”. Ci chiediamo se la presenza dei precorrimenti possa
conciliarsi con l'identità tra storia e storiografia, e più in generale con l'idea
di immanenza assoluta, o se non nasconda anche essa, usando sempre la
terminologia attualistica, qualche forma di trascendenza. Se così fosse, si
giungerebbe ad una conseguenza inaccettabile in campo storico, perché
giustificherebbe e leggittimerebbe forzature ed esclusioni, che, ed è questo
che si vuole sottolineare, a rigor di termini attualistici non sarebbero
nemmeno tali, come ad esempio, non si escluderebbe il Cattaneo dalla storia
della filosofia, perché semplicemente non fu un filosofo.
7
1. PARTE I : SEMI E SVILUPPI DELL’ATTUALISMO
1.1. I periodi della speculazione gentiliana
Bisogna risalire al lontano 1896, a quell’ informe opuscoletto dal
titolo Arte Sociale1 per scorgere i semi della filosofia attualistica che si
possono sintetizzare in due punti: il primo, “L’arte in atto”, in quanto arte
sociale che non riesce a ridursi a mera arte teorica; il secondo punto è lo
spirito inteso attualisticamente come sintesi di soggetto e oggetto, sintesi di
contenuto e di forma, due concetti che in realtà sono un concetto solo: lo
spirito produttivo attuale come unità della dualità, che come vedremo è la
tesi fondamentale dell’attualismo, già nella sua più matura espressione. La
svolta del pensiero di Gentile avviene nel periodo tra il 1897 ed il 1903 sotto
l’influenza del suo maestro Donato Jaja, che lo pone nell’orizzonte
dell’hegelismo italiano. L’influenza dello Jaja e del pensiero spaventiano, è
così chiara e forte che basterà citare Ugo Spirito: “Da Spaventa a Jaja, a
Gentile, il passaggio è chiarissimo storicamente e speculativamente.”2
Questo è il periodo della cosiddetta “Polemica hegeliana” o meglio, la presa
di coscienza da parte di Gentile del punto cruciale della sua filosofia, ovvero
l’inconsistenza del principio di non-contraddizione. L’apice di codesta
polemica avviene nel 1902, ovvero quando Gentile replica al professor
Varisco, che solamente negando questo fondamentale principio della logica
classica, sia possibile a termini dell’idealismo attuale superarla; ovvero
superare quella logica formale già altrove definita come logica dell’astratto.
1 G.Gentile, Arte Sociale, in “Helios”, 1 novembre 1896, n. 3, a. 1. 2 U.Spirito, Gentile e Croce, (Lettera aperta a B. Croce), in G.G. La Vita e il Pensiero, vol. V,
Firenze 1951, p.64.
8
Con il 1903 inizia un secondo periodo dell’attività di Gentile, ed è quello che
lo consacra non solo come filosofo, ma anche a nuove e variegate alternative,
dove la filosofia e l’interesse filosofico si amalgamano con gli studi critici e
letterari e soprattutto, per quel che riguarda questa tesi, con gli interessi
storici. Questo è l’anno in cui Croce fonda la famosa rivista di stampo
antipositivista, “La Critica”, alla quale aderì anche Gentile. Questo è un
momento cruciale per tutto il neoidealismo italiano, è il momento in cui
Gentile si lancia e si propone a un vasto pubblico di intellettuali, il momento
in cui il filosofo siciliano inizia in modo indefesso a occuparsi di temi non
prettamente filosofici, ponendo le basi di quella influenza che riguarderà tutti
i livelli della cultura italiana di allora, è il momento in cui viene in definitiva
consacrato il neoidealismo italiano, perché la venuta di Gentile alla corte
della “Critica”, comporta indiscutibilmente un ritorno di Croce a Hegel,
comporta l’eliminazione di quella “forma mentis di idealista desanctissiano
in estetica, di herbartiano nella morale e in genere nella concezione dei
valori, di antihegeliano e antimetafisico nella teoria della storia e nella
concezione del mondo, di naturalista e intellettualista nella gnoseologia.”3
Dunque inizia dal 1903 un intenso lavoro non propriamente
filosofico da parte di Gentile, l’intensità del quale lo porterà a trascurare
momentaneamente le opere di tipo sistematico. Questo periodo durerà fino
all’anno dell’ “uscita allo scoperto” dell’attualismo, ossia il 1911; fino ad
allora, ovvero tra il 1903 e il 1911, la maggiore attenzione sarà soprattutto
rivolta ai problemi speculativi riguardanti la storia. Possiamo citare gli
esempi più importanti: nel 1903 il lavoro Dal Genovesi al Galluppi, sempre
in questo anno lo studio su Giambattista Vico, nel 1904 abbiamo La filosofia
3 B.Croce, Contributo alla critica di me stesso, Bari 1945, p.42.
9
in Italia dopo il 1850, nel 1906 Le varie redazioni del “De sensu rerum” di
T. Campanella, nel 1907 gli studi sul Bruno, nel 1909 Il circolo della
filosofia e della storia della filosofia, nel 1911 gli studi sulla Scolastica, su
Telesio, sull’Umanesimo e Rinascimento. Potrebbero sembrare un eccezione
le riflessioni sul Regno dello Spirito apparse sul “Modernismo” del 1909,
riguardanti l’essenza e le forme dell’idealismo attuale, in realtà non è così.
Nell’avvertenza si può leggere che Gentile raccoglie “in questo volume
alcuni saggi … pubblicati dal 1903 in qua “come” contributi allo studio del
concetto di filosofia.”4 Si notano non solo gli interessi per la storia in senso
lato, ma più specificamente gli interessi per il Rinascimento italiano, fino a
far diventare il Gentile un vero e proprio “interprete del Rinascimento.”5 Se
si vuole fare una divisione anti-attualistica tra teoria e preassi, possiamo
affermare che il primo Gentile ha già in mente in maniera molto chiara i
prodromi a livello teorico dell’attualismo, i quali poi trovano applicazione
nel problematica della storia, ossia li mette in pratica occupandosi più
specificamente del Rinascimento italiano. Il periodo successivo è quello
della svolta filosofica logicamente completa e definitiva. Questo periodo va
dal 1911 al 1923, coincide con la nascita vera e propria dell’attualismo e con
la sua sistematizzazione. Di questo periodo parlerò in seguito. Dopo di che,
inizia l’ultima fase della speculazione gentiliana che durerà fino alla sua
morte avvenuta nel 1944, nel periodo in cui si stava dedicando all’ ultimo
4 G.Gentile, Il Modernismo e i rapporti tra religione e filosofia, Bari 1921 (Ia ed. Bari 1909),
Avvertenza. 5 Su Gentile interprete del Rinascimento si vedano gli interventi più recenti di E.Garin,
Introduzione a G.Gentile, Giordano Bruno e il pensiero del Rinascimento, Firenze 1991;
C.Vasoli, Gentile e la filosofia del Rinascimento, in Croce e Gentile fra tradizione nazionale e
filosofia europea, a cura di M.Ciliberto, Roma 1993, pp.287-307; G.Sasso, Le due Italie di
Giovanni Gentile, Bologna 1998, pp. 95 sgg.
10
lavoro pubblicato postumo, in perfetta sintonia alle tragiche vicende di Salò e
alla guerra civile: “Questo libro è stato scritto a sollievo dell’animo in giorni
angosciosi per ogni Italiano e per adempiere un dovere civile, poiché altro
non ne vedevo innanzi a me pensando a quella Italia futura per cui ho
lavorato tutta la vita.”6 Quest’ultima fase, che va come già detto dal ’23 al
’44, è la fase delle accese conferenze, delle ristampe, di sviluppi solo
trasversali di certe questioni, con la pubblicazione di articoli di stampo
politico riguardanti i temi della dottrina del fascismo e lo stato etico: qui
appare evidente il tentativo di dare una sistemazione teorica al fascismo
incentrandolo, come pensa Lo Schiavo, sull’essenza religiosa/unitaria della
vita di cui il fascismo si farebbe interprete nella collettività nazionale, sul
valore dello stato come realtà etica assoluta, sul collegamento dell’esperienza
fascista alla tradizione spiritualistica risorgimentale. Ma in generale è il
periodo dell’Apologetica attualistica, eccezion fatta dall’ultimo lavoro
Genesi e struttura della società pubblicato postumo, in cui lo stesso Gentile
avverte: “In esso il lettore troverà l’eco di molte cose esposte in precedenti
volumi. […] Ma ciò che non è nuovo se l’è tirato dietro il nuovo, e non era
stato mai detto, né da me né da altri; e non mi pare privo di importanza.”7 Ma
questo tema, la Società trascendentale, che forse avrebbe potuto sancire
l’inizio di una eventuale nuova fase, non verrà più sviluppato. Il libro finisce
affrontando la questione della morte e dell’immortalità, forse una
premunizione, un presagio non propriamente vago di ciò che gli sarebbe
accaduto di lì a poco. Ad ogni modo, anche se vengono trattati i problemi
dell’arte, dello stato, del diritto o della Società trascendentale, del rapporto
6 G.Gentile, Genesi e struttura della società, Firenze 2003 (Ia ed. Firenze 1946, pubblicato
postumo), Avvertenza. 7 Ibidem.
11
con il cristianesimo, con la scienza ecc., l’attualismo, e per attualismo
intendo quello maturato con il secondo volume del Sistema di logica uscito
nel 1922, non muta di una virgola a differenza di come pensa Lo Schiavo
nella sua Introduzione a Gentile8, che vede nell’opera La filosofia dell’arte
del 1931, la chiusura del cerchio speculativo attualistico, in cui anche
l’irrazionale verrebbe assorbito nell’atto del pensiero. È vero che qui
abbiamo il concetto di arte come inattuale, ma è altrettanto vero che
l’attualismo prima di svilupparsi sistematicamente, parte dall’arte come
testimoniano anche i primi scritti; ed in più, l’arte è sempre stata intesa come
sentimento, come a-momento della sintesi, momento già superato
(assolutamente superato, non dialetticamente come il logo astratto)
dall’/nell’atto del pensiero, dunque l’arte e quindi l’irrazionale, erano già
stati ampiamente inglobati dall’attualismo.9 L’arte anche se non potrà mai
concrettizzarsi, può essere intesa come irrazionalità, come sentimento, ma
anche come puro essere o pura soggettività o immediatezza, ecc., questioni
già affrontate entro il ’22 e risolte tutte in egual modo. Il concetto di
inattualità dell’arte è un corollario di un sistema precedentemente definito e
completato: non è logo astratto, A = A, non è grado o momento dello spirito,
non è e basta, perché si esplica come un A irrelativo, non A = A (anche se è
in relazione con se stesso, è sempre una relazione e quindi circolo o
riflessione), e di conseguenza non può essere negata dialetticamente, e quindi
non può rientrare nella concretezza del pensiero (a differenza dell’ “opera
d’arte”, la quale rientra in A = A, nel pensato, e quindi della storia).
8 A.Lo Schiavo, Introduzione a Gentile, Bari 2005, pp.136-143. 9 Personalmente credo che l’opera sia stata fatta con lo scopo di precisare una posizione
comunque più che prevedibile, magari con un fine secondario (forse più primario) di fare un
affronto a Croce, che come sappiamo, non la prese tanto di buon grado.
12
1.2. Il fondamento teorico dell’attualismo
1.2.1. Introduzione
Se si dovesse dare una data o un periodo in cui si possa affermare
la svolta filosofica e sistemazione logicamente completa dell’attualismo,
penso che unanimemente si concorderebbe a far partire il tutto da quell’
inverno del 1911, quando giunsero una serie di comunicazioni alla Biblioteca
filosofica di Palermo.10 Ed invero, basterebbero questi diciannove paragrafi
compresi in poche pagine a spiegare in modo esaustivo questa filosofia
presentatasi come riforma della hegeliana dialettica11, a riassumerla e
definirne l’indirizzo e il carattere, ma come dice lo stesso Gentile nella
prefazione alla seconda edizione della Teoria generale scritta a Pisa
nell’ottobre del 1917: “Il libro (il concetto dell’atto spirituale) rimane sempre
un abbozzo, più adatto a suscitare difficoltà e servire di pungolo al pensiero,
che a fornire soluzioni evidenti e dimostrate.”12 Quasi contemporaneamente
esce il primo volume del Sistema di logica,13 come precisato più sotto: “E
questo concetto,[…] sarà da me esposto sistematicamente in trattati
speciali.”14 Ma la seconda parte del Sistema di logica è uscita appena nel
10 G.Gentile, L’atto del pensare come atto puro, in La riforma della dialettica hegeliana,
Firenze 1954, pp.183-195 (Ia ed. in Annuario della Biblioteca filosofica di Palermo, 1912, vol.
I, pp.27-42). 11 G.Gentile, La riforma della dialettica hegeliana, Firenze 1954 (Ia ed. Messina 1913). 12 G.Gentile, Teoria generale dello spirito come atto puro, Firenze 2003, p.VI, parentesi mie
(Ia ed. Pisa 1916). 13 G.Gentile, Sistema di logica come teoria del conoscere, Firenze 1940, vol. I (Ia ed. Pisa
1917). 14 G.Gentile, Teoria generale dello spirito come atto puro, Firenze 2003, p.VI.
13
1922, suscitando molte polemiche,15 l’attributo di “trattato speciale” usato
dal Gentile nella prefazione della Teoria Generale, quantomeno ha avuto il
carattere della premunizione. Nonostante le poche righe con le quali si è
presentato, e la sconcertante semplicità e coerenza espositive dei propri
contenuti, l’attualismo dopo le comunicazioni del 1911, ha scatenato una
vera e propria reazione a catena, o meglio, nascita a catena di problemi e
problematiche via via da chiarire, da specificare, a volte da difendere,
facendo apparire a Gentile e non solo, le sue opere non esaudienti, di volta in
volta bisognose di nuove delucidazioni e approfondimenti. Così, dopo la
Riforma della dialettica hegeliana del 1913, arrivò alle stampe la Teoria
generale nel 1916, l’anno dopo la prima parte del Sistema di logica e nel
1922, la seconda parte. Ma ciò, come già precisato, ha fatto nascere più
problemi che soluzioni nel mondo d’utenza filosofica italiana, anzi, per
alcuni ha bloccato lo svolgersi di alcune discipline come ad esempio la
storiografia, sviluppandone una filosofica legata ai presupposti teoretici che
vedremo di seguito. Questo periodo, alla luce di studi più recenti, è
caratterizzato da ulteriori sottoinsiemi: la speculazione teoretica avrebbe due
parti diverse tra loro, la prima corrisponderebbe al concetto di pensiero
pensante (rinvenibile nella Riforma della dialettica hegeliana del 1913), la
seconda al concetto di pensiero come logo concreto (che troverebbe la sua
migliore espressione nei due volumi del Sistema di logica del 1917 e del
1922), la Teoria generale del 1916 invece, si troverebbe a metà delle due
15 Lo stesso Gentile afferma che la Teoria generale e il Sistema di logica: “Sono due facce della
stessa filosofia: una delle quali guarda al negativo, e l’altra al positivo.” In Sistema di logica
come teoria del conoscere, Firenze 1942, vol. II (Ia ed. Bari 1922), p.369, Epilogo.
14
vie.16 Il tutto attraversato dal “cuore e l’acme della storia gentiliana [...] che
dà un’impronta decisiva a tutto il quadro della filosofia italiana”:17 è il
periodo degli studi sul Rinascimento, scritti tra il ’12 e il ’19 (preceduti a
loro volta da altri studi rinascimentali tra il ‘6 e il ’12, di ciò ci occuperemo
più avanti nel capitolo IV). Ad ogni modo, questi undici anni che vanno dal
1911 al 1922, segnano e contrassegnano la nascita e lo sviluppo completo e
definitivo dell’attualismo, e sono il cuore di ogni sua speculazione filosofica
e non filosofica (dopo il ’22 Gentile si è occupato dello sviluppo trasversale
di certi punti, di questioni riguardanti la politica e l’Apologetica del suo
attualismo) che però, prendendo per vero il presupposto attualistico che la
filosofia è il pensiero in atto inteso aprioristicamente come sintesi o relazione
degli opposti, è sempre filosofica. Di questo periodo in cui nasce, sviluppa e
completa la sistemazione teorica che va sotto il nome appunto di attualismo o
spiritualismo assoluto, ricordiamo per completezza anche I fondamenti della
filosofia del diritto del 1916 e La riforma dell’educazione del 1920.
1.2.2. Pensiero astratto
Da Hegel Gentile deriva che: “la realtà è lo stesso pensiero, e il
vero, il solo reale concetto è lo stesso concepire.”18 Il pensiero è inteso come
unica categoria, sia di tipo logico, sia di tipo metafisico; nel quale si risolve
tutta la realtà. Nulla insomma trascende il pensiero che è assoluta immanenza
16 Su questo tema si veda G.Sasso, La questione dell’astratto e del concreto fra il 1912 e il
1917, in “Giornale Critico della Filosofia Italiana”, 1994, pp.353-400. 17 A.Savorelli, “Gentile storico della filosofia italiana”, in “Giornale Critico della Filosofia
Italiana”, 1999, p.21. 18 G.Gentile, La riforma della dialettica hegeliana, Firenze 1954, p.8.
15
e che l’intera esperienza riporta nel suo processo. La definizione è espressa
dalla formula A = non A : questa tipologia di pensiero è denominata come
pensiero concreto. “Il pensiero, […] il solo pensiero di cui si possa affermare
la verità, poiché infatti è il solo pensiero che realmente sia pensiero, non è il
pensiero astratto, ma il pensiero concreto.”19 Di contro, abbiamo il pensiero
astratto, inteso propriamente nella sua astratta oggettività, ossia A � non A. I
due momenti antitetici non sono in relazione e dunque siamo di fronte non al
pensiero inteso come soggetto di pensiero ma al pensiero come oggetto di
pensiero. La conseguenza di ciò è che la logica basata sul principio di
identità A = A è una logica dell’oggetto assoluto alla quale è preclusa la
possibilità del divenire logico, in quanto tutto già logicamente attuato,
completato e realizzato20. “Il principio di identità (o di contraddizione) A =
A enuncia una necessità relativa a quello che si è detto pensiero astratto, cioè
alla natura; che per definizione, è la negazione del pensiero e non può
ammettere perciò in sé legge logica di sorta.”21 Il pensiero come oggetto
attuato non è nient’altro che il concetto o idea. Ogni realizzazione e dunque
oggettivazione del pensiero diventa concetto. Dunque, questo concetto o idea
o logo astratto è la definizione vera di tutto ciò che può essere oggettivato.
Se il soggetto fosse definitivamente definibile allora il logo astratto sarebbe
logo concreto. Ma se il soggetto si caratterizza anche come resistenza a
19 G.Gentile, L’atto del pensare come atto puro, in La riforma della dialettica hegeliana,
Firenze 1954, p.183. 20 Ma è comunque A = A, astratto, ma pensiero che fu in atto, e rientra necessariamente nel
processo dialettico del pensiero attuale. Questo è da distinguere dal pensiero solo come A,
quest’ultimo non fu mai attuale, ma sempre eternamente è e sarà inattuale, perché non essendo
in relazione con niente, neppure con se stesso, non può essere negato, e quindi non può
rientrare nel magistero della verità e della concretezza. 21 G.Gentile, L’atto del pensare come atto puro, in La riforma della dialettica hegeliana,
Firenze 1954, p.187.
16
rientrare definitivamente nell’oggetto noi concluderemo che la logica del
logo astratto, pur presentandosi con le caratteristiche dell’autoevidenza e
dell’universalità, esclude sempre una porzione di verità: “L’errore, dunque, è
astratto; soltanto la verità è concreta.”22 Ogni determinismo, naturalismo e
positivismo o in generale intellettualismo, che prendono spunto e si
esauriscono in questo tipo di logica, all’interno delle loro verità contengono
necessariamente l’errore. Il Gentile afferma nel Sistema di logica che anche
nella logica del logo astratto si trova un motivo di verità: “il nocciolo
sostanziale di pensiero che si cela in fondo alla dottrina della verità
trascendente (logo astratto), da mettere in luce e a profitto, è il momento
dell’oggettività del pensiero, in cui […] si risolve, si attua e vale la verità.”23
La questione è che qualunque momento antitetico, sia quello oggettivo che
quello soggettivo, sono momenti astratti se presi singolarmente, quando
invece sono concreti nella loro relazione. Se il soggetto rimarrà sempre
almeno parzialmente fuori dal logo astratto, ogni concetto porterà con sé
necessariamente una verità relativa, e dunque l’universalità (sempre se di
universalità si può parlare) sarà raggiunta relativamente ai campi d’indagine
particolari. La necessità dell’errore del concetto salva il soggetto come tale,
ossia inteso come concetto non ancora realizzato, ossia come concetto in
atto, di conseguenza come logo concreto.
Invero, quando parliamo di pensiero e non di logo, come ci avverte
Sasso, dovremmo distinguerli: la differenza sostanziale tra i due termini è il
rapporto che hanno nei confronti del momento astratto. Il pensiero pensante
supera il pensiero pensato, mentre il logo astratto sarebbe un grado del logo
22 G.Gentile, L’atto del pensare come atto puro, in La riforma della dialettica hegeliana,
Firenze 1954, p.187. 23 G.Gentile, Sistema di logica come teoria del conoscere, Firenze 1940, vol. I, p.140.
17
concreto: ossia il pensiero astratto sarebbe superato dal pensiero concreto,
mentre il logo astratto (che ha in sè i germogli dell’autosuperamento)
rappresenterebbe un grado dell’attività inverante del logo concreto.24
1.2.3. Logo astratto
Gentile non si limita a spiegare le caratteristiche generali del logo
astratto e del logo concreto, ma ne delinea anche il percorso storico in tutte le
sue opere più importanti, non scindendo mai i concetti dalla storia, anzi ciò
che si ottiene è una storia di concetti la quale dipende da un metodo, che a
sua volta dipende da una logica che è quella dei precorrimenti, del logo
concreto; e dei superamenti, in questo caso del logo astratto e quindi di tutte
le sue derivanti: dalla trascendenza, all’intelletualismo, dal naturalismo
all’empirismo ecc.: “Tale concetto per altro non può riuscir chiaro, se non
viene illustrato il processo pel quale il pensiero umano è pervenuto al
concetto del puro conoscere (ossia del logo concreto, della progressiva e
razionale eliminazione del logo astratto, in definitiva dell’attualismo).”25
Indubbiamente su questo risultato si vedono le influenze hegeliane, e più che
mai quelle di Spaventa, il quale lo celebra come l’eredità e “il gran
significato del kantismo”26, in opera dove si vede trionfare questo metodo
fatto proprio dal Gentile.
24 Per approfondimenti sulla questione si veda sempre G.Sasso, La questione dell’astratto e del
concreto fra il 1912 e il 1917, in “Giornale Critico della Filosofia Italiana”, 1994, pp.353-400. 25 G.Gentile, Sistema di logica come teoria del conoscere, Firenze 1940, vol. I, p.19, parentesi
mie. 26 B.Spaventa, La filosofia italiana nelle sue relazioni con quella europea, Bari 1909 (è la
Prolusione e Introduzione alle Lezioni di filosofia nella Università di Napoli, 23 novembre – 23
dicembre 1861, Napoli 1862, ristampata dal Gentile), p.84.
18
Nel Sistema di logica, Gentile attribuisce la paternità del logo
astratto a due pensatori del passato, Parmenide e Platone: “Il fondatore, si
può dire, della logica dell’astratto, come quegli che primo cominciò a
intendere in tutto il suo rigore il concetto del logo quale presupposto del
pensiero, è Parmenide.”27 E in più “Platone, il vero creatore del logo astratto
con la sua teoria delle idee [...].”28 Il principio di identità parmenideo non
può non ammettere se non solo per la doxa, che l’essere non può non essere.
Di conseguenza, il pensiero si identificherebbe con l’essere stesso
diventando la stessa cosa di cui è pensiero: “Si ricordi la favola esopiana
delle due bisacce imposte da Giove all’uomo. Il soggetto che non vede altro
che l’oggetto non arriva alla pienezza dell’autocoscienza (tantae molis erat
se ipsam cognoscere mentem! dice giustamente Hegel alla fine della sua
Storia della filosofia); quindi fa anche di sé un oggetto.”29 “Il logo astratto
nella sua identità o circolarità, cioè nella sua oggettività, fissato nella sua
astrattezza, è una verità perfetta, nella quale il pensiero una volta entrato
posa e rimane irremovibile: vi si immedesima esso stesso [...]. È l’ideale
della beatitudine trascendente. È l’ideale platonico della contemplazione
sinottica dell’intero mondo delle idee, ed è anche l’ideale o l’apparente
ideale della scienza esatta, una sorta di circolo d’Orbilio.”30
27 G.Gentile, Sistema di logica come teoria del conoscere, Firenze 1940, vol. I, p.153. 28 G.Gentile, Sistema di logica come teoria del conoscere, Firenze 1942, vol. II p.15. 29 G.Gentile, Sistema di logica come teoria del conoscere, Firenze 1940, vol. I, p.129. 30 G.Gentile, Sistema di logica come teoria del conoscere, Firenze 1942, vol. II p.25.
19
1.2.4. L’errore e l'impensabile
Nella Riforma della dialettica hegeliana e nella Teoria generale, A
= A è la definizione del logo astratto se non specificata la relatività della
definizione (dunque la sua specificità) ma intesa come legge universale: “A
= A è la legge dell’errore nella sua astrattezza. E però, checché si pensasse
secondo tal legge, sarebbe per ciò stesso errore. Infatti non c’è pensiero che
si risolva in A = A.”31 L’autoevidenza e l’universalità immobile e
immutabile di questa legge sono il germe appunto dell’errore: “...e non può
liberamente determinarsi in nuove manifestazioni imprevedibili, ossia non
derivanti da quella che costituisce già il contenuto della loro natura, e quivi
non implicitamente esistenti. Sono processi di realtà logicamente esauriti,
quantunque non ancora del tutto attuati nel tempo.”32 Ed è pensiero
impensabile, in quanto il soggetto non è mai definitivamente
concettualizzabile, è impensabile e dunque inconcretizzabile un oggetto
senza il soggetto: “Il soggetto è sempre soggetto di un oggetto, in quanto si
costituisce soggetto del suo atto rispettivo.”33 Nel Sistema di logica l'errore,
sarebbe il confondere il pensiero concreto con quello astratto, ossia far
esaurire completamente ciò che per definizione è inesauribile: per questo
motivo è impensabile un concetto simile, dove per impensabile si intende il
trasformare il divenire nell'essere, che equivale a trasformarlo nel non essere
ossia in uno dei due loghi astratti: “Sottraete il logo astratto al suo nesso col
logo concreto, e avrete l'antica logica dell'essere, che non è spirito.
31 G.Gentile, L’atto del pensare come atto puro, in La riforma della dialettica hegeliana,
Firenze 1954, p.187. 32 G.Gentile, Teoria generale dello Spirito come Atto puro, Firenze 2003, p.23. 33 Ivi, p.22.
20
Rannodate il primo logo al secondo, e avrete una logica assoluta, che non
nega né l’astratto pel concreto, né il concreto per l'astratto; ed è perciò la
logica del vero concreto, lo spirito.”34 Al contrario, la base ontologica è il
divenire, dove per divenire si intende il pensiero in atto, l'essere e il non
essere sono in sintesi a priori e il comprendere la realtà sotto una di queste
categorie non può che portare all'errore. L'essere e il non essere non sono il
trascendentale, ma al contrario, lo è la loro sintesi attuale. I due momenti
antitetici però sono collegati tra di loro in modo necessario, dunque in
definitiva, non è impensabile solamente l'errore inteso come il confondere
uno dei due momenti antitetici con la sintesi, ma definiremo impensabile
anche la sintesi senza i momenti antitetici, perché altrimenti siccome la
sintesi è anche una relazione, in queste condizioni in cui i momenti relativi
mancano la relazione perde il suo significato. In poche parole, è impensabile
un pensiero in atto senza un pensiero fatto, ovvero un pensiero senza idee. Se
così fosse, ci ritroveremmo di nuovo di fronte alla trascendenza: la necessità
dell'errore comporta la necessità delle idee, il pensiero in atto è legato
necessariamente a questa regola, l'attualismo non elimina la necessità ma la
interiorizza. Ma il logo astratto nel Sistema di logica è anch’esso circolo e
riflessione con inizio e fine, e contiene in sè il germe del superamento, è
bensì riflessione ma chiusa: “Questo logo (astratto), tutto solo e infinito, si
riflette su se stesso, e nella riflessione è logo. Si riflette da se stesso, e non
per azione altrui. Ma questa libera riflessione, che è il segreto del logo
astratto, è pure il principio del suo superamento e la radice della sua
dissoluzione eterna. Chi dice infatti libera riflessione dice soggettività, ossia
non più pensiero pensato, ma pensiero pensante. Questo il destino del
34 G.Gentile, Sistema di logica come teoria del conoscere, Firenze 1942, vol. II, p. 27.
21
pensato, di non poter dire di aver escluso assolutamente da sé il pensare, se
non quando è diventato esso stesso pensare, di non potersi mai sequestrare
nella sua solitudine infinita, se non quando abbia assorbito in sé il suo
nemico, di cui vuole disfarsi, il pensante.”35 “Ma non è possibile che si
arresti al logo astratto una logica che abbia acquistato coscienza del principio
vivente che s'asconde e si agita dentro allo stesso logo astratto, non più
confuso con la natura impensabile. Scoperto nel pensato il pensiero, la logica
sente che si lascerebbe il meglio dello stesso pensato se non si rendesse
conto del pensiero.”36 Nel Sistema di logica la logica dell’astratto viene
anche intesa come “grado” alla logica del concreto. Come accutamente ci
rileva Sasso fra le due logiche non c’è più opposizione per contraddizione
(come avveniva nelle opere precedenti), l’opposizione vera c’è invece tra la
logica astratta dell’astratto e la logica concreta dello stesso astratto.37 In
conclusione, l'idea o logo astratto ha in sé il principio di autocritica o
autosuperamento, logo astratto che però sarà sempre necessariamente
collegato al logo concreto, ma come già detto gli ci si trova all'interno.
L'errore dunque, ha queste caratteristiche, di esistere necessariamente
all'interno dello spirito ma è un'esistenza effimera, momentanea o meglio
astratta, autosuperante. È una visione ottimistica della realtà, in cui se il logo
astratto che viene inteso come il male, ha sempre i germogli del bene, il male
diventerà bene, il falso diventerà vero, il peggio diventerà il meglio, e così da
Platone ad Aristotele, da Sant'Agostino a San Tommaso, da Bruno a
35 G.Gentile, Sistema di logica come teoria del conoscere, Firenze 1942, vol. II, p.19, parentesi
mie. 36 Ivi, pp.24-25. 37 Vedi G.Sasso, La questione dell’astratto e del concreto fra il 1912 e il 1917, in “Giornale
Critico della Filosofia Italiana”, 1994, p.369.
22
Spinoza, fino a Vico, e infine dall'idealismo tedesco a Gentile. A noi invece,
per quel che ci riguarda ci basterà constatare che il pensiero in atto per poter
essere tale, ha bisogno del pensiero fatto, ossia dell'idea astratta e quindi
dell'errore: altrimenti la sua attualità non potrebbe concretizzarsi.
1.2.5. L’analisi
Ad ogni modo “dentro la sintesi del pensiero, come dentro ogni
sintesi, noi possiamo portare l'analisi. Ma in che modo? L'analisi, bisogna
sempre rammentarsene, è l'analisi della sintesi. Cioè il soggetto per analisi è
soggetto, ma il soggetto di una certa sintesi, che è un certo pensiero: e
soltanto in questa sintesi si può vedere, studiare e conoscere per quel che è. E
per effetto dell'analisi, noi possiamo guardare tutta la storia unica, unitaria e
compatta dello spirito - quel frammento di storia, a cui si limita in nostro
orizzonte, che è perciò dilatarvi le sempre - dal punto di vista del puro
soggetto; e vedere in ogni opera dello spirito un'opera d'arte, in tutta la sua
opera, che è la stessa storia, egualmente, un'opera d'arte. Ma si può anche
mutare il punto di vista; e guardare dentro alla storia o l'astratto oggetto, nel
suo aspetto extrasoggettivo e cioè trascendente e religioso; ovvero, che è
l'ufficio definitivo dello storico, la sintesi, il pensiero, nella sua libertà
infinita onde l'oggetto si viene all'infinito adeguando al soggetto. La materia
è sempre la stessa; cambia la prospettiva.”38 L’analisi è possibile solo come
analisi di una sintesi: quando si scompone e si analizza il pensiero nelle sue
fasi o nei suoi momenti e datazioni, esso va sempre inteso come un unicum.
Si può scomporre in periodi il pensiero di Leopardi, parlare della prima fase,
38 G.Gentile, La filosofia dell'arte, Firenze 1931, p.217.
23
ossia quella del pessimismo nei confronti della civiltà umana, ma non nei
confronti della natura; e si può descrivere la seconda fase, quella del
pessimismo cosmico. Ma in realtà questi momenti sono un solo momento, la
vita concreta, sofferta e sempre commossa, che è il battito del cuore del
Poeta, è lui stesso. E se si bada a quest’unità, si vedrà che queste distinzioni
valgono fino a un certo punto.
1.2.6. Logo concreto
Il logo concreto “è la critica perentoria del carattere mitico della
verità trascendente”39, mentre il logo astratto è destinato a dissolversi nel
concreto: “dissoluzione storica e dissoluzione ideale, che ci fa intendere
quella storica, e in fondo è tutt'uno con essa.”40 La formula è A = non A,
coincide con l’atto del pensiero nella sua attualità e quindi concretezza.
Si intende pensiero concreto il concettualizzarsi, l’oggettivarsi del
pensiero in atto. L’impensabilità dell’errore è la sua stessa definizione. In
concreto non può esistere un puro oggetto, di conseguenza la sua porzione
indefinibile in quanto soggetto di quell’oggetto lo concretizza, lo pone in atto
e quindi in essere. In concreto l’oggetto esiste come oggetto\soggetto, ossia
come sintesi a priori o apercezione originaria. I momenti antitetici sono in
relazione A = non A: “Infatti ogni atto di pensiero è negazione di un atto di
pensiero: un presente in cui muore il passato; è quindi unità di questi due
momenti”41, una relazione hic et nunc. Solo come relazione in atto si può
39 G.Gentile, Sistema di logica come teoria del conoscere, Firenze 1942, vol. II, p.35. 40 Ivi, p.36. 41 G.Gentile, L’atto del pensare come atto puro, in La riforma della dialettica hegeliana,
Firenze 1954, p.188.
24
intendere la suddetta formula, così il logo astratto diventa concreto e l’errore
verità: viene garantita l’esigenza del soggetto a non rientrare completamente
in un concetto, e allo stesso tempo a non uscirne completamente. Tutta la
realtà si risolve, o meglio è il logo concreto, ossia pensiero, ma pensiero in
atto in quanto solo se inteso come tale si comprende la relazione
uguaglianza\disugualianza dei momenti antitetici. Soggetto che si
oggettivizza, oggetto che si soggettivizza, che dir si voglia soggetto e oggetto
vengono mantenuti, come vengono mantenute le loro definibilità e
indefinibilità.
Tutte le difficoltà delle filosofie precedenti all'attualismo, provano
che “la sintesi a priori non s'è fatta valere in tutto il suo vigore, e il logo
concreto, in cui essa vive si è lasciato avviluppare nella rete del logo
astratto.”42 “Poiché a chi mi ha seguito fin qui deve essere chiaro, che se il
logo astratto è illegittimamente pensato soltanto se si pensa astrattamente;
avulso dal concreto, con cui è congiunto invece da un nesso vitale, anche il
logo concreto, che è il dialettismo del pensiero pensante, è astrattamente
pensato, se non si vede in questo nesso, anche per lui vitale col logo
astratto.”43 Soltanto la logica del concreto, che nega “ogni condizione del
pensiero attuale, e identificando il logo con lo stesso atto di pensiero,
portando la verità nel ritmo flagrante di questo atto, mette la prima volta
quest'atto, dallo stesso punto di vista logico, in una condizione identica a
quella dello spirito che è in procinto di agire: restituendogli intera quella
libertà che, distinguendo intellettualisticamente sapere e agire, la filosofia
42 G.Gentile, Sistema di logica come teoria del conoscere, Firenze 1942, vol. II, p.129. 43 Ivi, p.130.
25
precedente gli aveva sottratto rispetto al sapere.”44 Dunque, dice bene
Visentin: “Per Gentile, come è noto, l’astratto è tale in quanto posto dal
concreto. La logica antica, come logica, ossia come attività del pensare “in
atto”, era e non poteva essere altro che concreta. Ma il suo oggetto era
l’astratto. Essa era, perciò, una logica dell’astratto, ma di un astratto posto
appunto dal concreto e attraverso il concreto. In altre parole, in quanto non
concepiva l’astratto come astratto, essa era, a sua volta, astratta; ma in
quanto, comunque, lo concepiva, era concreta. La logica attualistuca
dell’astratto è, perciò, intesa ad esibire e a fare emergere appunto questa
concretezza.”45
1.2.7. Dialetticità del pensiero pensante: dialetticità dell’Io
e quindi del Reale
Il pensiero pensante trova la propria possibilità di esistenza nel
pensare qualcosa, di conseguenza è necessaria l’esistenza del logo astratto e
dunque dell’errore. In caso contrario, il pensiero pensante non penserebbe
nulla, l’assenza del logo astratto comporterebbe l’assenza dei suoi concetti di
specie, in definitiva non ci sarebbe un momento della sintesi. Venendo a
mancare un momento, viene a mancare anche la sintesi e se la sintesi è il
pensiero in atto, non ci sarebbe nessun pensiero. Per cogliere la natura del
pensiero pensante “non bisogna né prevenire né inseguire l’atto del
44 G.Gentile, Sistema di logica come teoria del conoscere, Firenze 1942, vol. II, p.311. 45
Visentin M., Attualismo e Filosofia della storia, in “Giornale Critico della Filosofia
Italiana”, 1999, p.41.
26
pensiero”46, ma in definitiva basta solo pensare, svolgere l’atto di chi pensa:
“lì è il pensare; ma lì è pure ciò che si pensa, il pensiero pensato; e se questo
non ci fosse, non ci sarebbe pensare; e però neanche il pensante. Il quale c’è,
poiché appunto pensiamo: e c’è dunque il pensato, e non se ne può fare a
meno. Non c’è dialettica che possa cancellarlo.”47 Dunque per Gentile non è
assolutamente accettabile che l’atto del pensiero possa esistere senza il
corrispettivo fatto, il rapporto dunque tra il trascendentale e l’empirico è un
rapporto necessario, chi volesse rintracciare un qualcosa di alternativo
relativamente a questo argomento nell’attualismo di Gentile, uscirebbe di
certo fuori strada. Non è ammissibile che il rapporto tra logo concreto e logo
astratto venga inteso come un rapporto solamente possibile, altrimenti tutto
l’impianto gentiliano crollerebbe e non si reggerebbe in piedi. Gentile
dunque ribadisce la necessità del momento del logo astratto, il quale però
non è presupposto al logo concreto, ma viceversa è il logo concreto inteso
sempre come sintesi a priori in atto ad esserne presupposto. Il logo astratto è
necessario ma non presupposto, l’immobilità come momento è necessaria,
ma ciò che può venir presupposto è solo ed unicamente l’attualità. Dunque la
dialetticità del pensiero pensante si articola in questa maniera, ovvero nella
relazione pensato \ pensare, si tratta di una relazione necessaria ed il pensato
non può mai venir presupposto, ma sarà il pensato a presupporre il pensare:
quest’ultimo “genera dal suo seno il pensato, e vive in questa sua
generazione, fuori della quale cesserebbe perciò di essere quell’attività che
esso è. E basta questa eterna immanente generazione del pensato dal pensare
per costringerci a convenire che una logica del pensiero non può fare a meno
46 G.Gentile, Sistema di logica come teoria del conoscere, Firenze 1942, vol. II , p.9. 47 Ibidem.
27
di una logica del pensato.”48 E dunque: “Per noi il pensiero pensato suppone
il pensiero pensante; e la vita e verità di quello sta nell’atto di questo.”49
L’Io (il soggetto) si costituisce attraverso un riflessione o circolo
che è: “uscire da sé per tornare a sé, perdersi [...] per ritrovarsi: e quindi
circolare.”50 Un concetto di questo tipo, dove il soggetto è interpretato come
circolo, lo ritroviamo in Hegel, che intende lo spirito come: “coscienza,
libertà, per il fatto che in esso principio e fine coincidono. Lo spirito è in
possesso di sé nel suo altro. Lo spirito è sdoppiamento, estraniamento, ma
soltanto per poter trovare se stesso, per venire a se stesso.”51 L’atto puro, e
quindi il vero Io è per Gentile un’autorelazione come relazione all'altro;
ovvero come “relazione di sé con se stesso attraverso l'altro.”52 Dunque si
può affermare la famosa formula “pensare è essere Io come non-Io.”53 È
fondamentale intendere questa formula come negazione assoluta
dell'immediatezza, l’Io non è immediatamente Io, ma si fa Io attraverso e nel
non-Io. Quindi con questa regola Io = Io, non si vuole assolutamente
esprimere l'identità dell'identico, ma l'identità del diverso: “L’Io dirà: “Io o
sono Io o sono non-Io”, trovandosi nella curiosa alternativa di affermarsi
negandosi (come non-Io) o di negandosi affermandosi (come Io). Se l’Io è Io
si afferma: ma non è più Io per questa sua vuota identità, che è la negazione
dell'essenza processuale dell'Io, la quale importa un differenziamento.
Viceversa, se è non-Io, esso si nega., ma appunto negandosi riesce ad attuare
la sua essenza. Qui dunque l'affermazione pura e semplice, o affermazione
48 G.Gentile, Sistema di logica come teoria del conoscere, Firenze 1942, vol. II, p.10. 49 G.Gentile, Teoria generale dello Spirito come Atto puro, Firenze 2003, p.44. 50 G.Gentile, Sistema di logica come teoria del conoscere, Firenze 1942, vol. II, p.41. 51 G.W.F.Hegel, Lezioni sulla storia della filosofia, Firenze 1930, vol. I, p.33. 52 G.Gentile, Sistema di logica come teoria del conoscere, Firenze 1942, vol. II , p.150. 53 Ivi, p.101.
28
dell'identico, è negazione: e la vera affermazione efficace e positiva si opera
attraverso la negazione.”54
Questa identità in cui Io è Io concreto (Io = Io) non si deve dunque
confondere con l'identità del logo astratto A = A: “dove il secondo termine
ripete il primo. La nuova identità è differenziamento di ciò che soltanto
alternandosi e realizzando il differente si riconosce ed è identico a sé.”55 E
adesso una citazione fondamentale che rispecchia in pieno il cuore
dell'attualismo: “Ma tra la sintesi dei termini di un concetto (A = A) e la
sintesi dei termini in cui si spiega e concentra l'atto del logo concreto (Io =
non-Io) c'è una radicale differenza, poiché l'una è essenzialmente il pensiero
come fatto, l'altra il pensiero come atto. […] L'atto invece è il processo del
fatto. Quella che pare una sintesi immediata è il prodotto dell'atto del
pensare; il quale è esso stesso sintesi, ma non come fatto, bensì come farsi.
La sintesi del logo astratto è una sintesi statica, risultato dell'atto sintetico del
logo concreto. […] il dinamismo di questa sintesi del concreto, che importa
la posizione della sintesi dell'astratto, a questa sintesi perviene in quanto la
pone ponendo se stessa. Io = non-Io vuol dire che il pensiero si attua
realizzandosi attraverso un'identità di termini che è pure differenza: identità e
differenza, che nascono ad un patto pel generarsi di quell'unica e
immoltiplicabile realtà che è l'Io. Il quale a questo patto è Io: in quanto ex se
oritur, identico e differente seco stesso. Il suo essere non è né semplice
identità, nè semplice differenza, né semplice unità d'identità e di differenza;
ma questa unità in quanto creativa di sé: autoctisi. Sintesi in quanto
54 G.Gentile, Sistema di logica come teoria del conoscere, Firenze 1942, vol. II , pp.100-101. 55 Ivi, p.65.
29
autosintesi: sintesi che pone i suoi termini nel loro rapporto sintetico.”56
Dunque, si può concludere che, nell’autosintesi attuale (intesa come atto in
atto) Io = Io equivale a Io = non-Io.
56 G.Gentile, Sistema di logica come teoria del conoscere, Firenze 1942, vol. II, p.81.
30
2. PARTE II: COROLLARI
2.1. Introduzione e puntualità dell’attualismo
Tutta la realtà viene risolta nell’atto del pensiero, atto del pensiero
che dunque è trascendentale. La triade hegeliana posizione / negazione /
negazione della negazione è intesa puntualmente, ovvero come monotriade.
“L’unità dello spirito è immoltiplicabile perché, qualunque sia la psicologia
con cui ci sforziamo di analizzare la realtà spirituale, non è possibile mai
pensare che questa realtà si scomponga in parti, ciascuna delle quali sia
concepibile per sè, come unità chiusa irrelativa alle altre.”57 La sintesi è a
priori, mentre l’opposizione irriducibile dei due momenti antitetici è a
posteriori a livello empirico o astratto. Dobbiamo però intendere la sintesi a
priori come sintesi in atto, perché solo in questo verso viene
contemporaneamente mantenuta come sintesi compiuta e come sintesi non
compiuta. La sintesi è in atto, cioè si sta facendo e in qualche misura è già
stata fatta. Solo l’idea di atto riesce a sostenere A = non A, e per l’attualismo
è l’unica possibile, ossia l’unica idea che logicamente può venire
presupposta senza cadere nel naturalismo, intellettualismo o qualunque altra
forma di trascendenza, perché lega il soggetto all’oggetto e dunque non li
separa, ma non può essere considerata un misticismo, perché a differenza del
misticismo mantiene l’esigenza di apertura del soggetto non richiudendolo
così in coercizioni deterministiche: “Lo spirito invece si sottrae, nella sua
attualità, a ogni legge prestabilita, e non può essere definito come essere
stretto a una natura determinata, in cui si esaurisca e conchiuda il processo
57 G.Gentile, Teoria generale dello spirito come atto puro, Firenze 2003, p.30.
31
della sua vita, senza perdere il suo carattere di realtà spirituale, e confondersi
con tutte le altre cose, alle quali egli deve invece contrapporsi; e in quanto
spirito, infatti si contrappone.”58 In conclusione non ci può essere niente al di
fuori del pensiero in atto, e in questa monotriade attuale si riduce tutta la
realtà, e il problema della storia non fa eccezioni. Di seguito e di
conseguenza, illustrerò alcuni corollari di ciò fin qui esposto.
2.2. Unità di essere e non essere: la negazione del
presupposto e l’affermazione dell’autoctisi
A questa logica del concreto di certo non possono sfuggire l’essere
e il non essere: sono momenti del pensiero in atto e la loro separazione
riguarda la logica dell’astratto. Essere e non essere sono sintesi a priori intesa
come relazione in atto: “Esso né fu in principio, né sarà alla fine, perché non
è mai: diviene. Il suo essere consiste appunto nel suo divenire, che non può
avere né un antecedente né un conseguente, senza cessar di divenire.”59 La
loro relazione rende possibile la loro astratta irriducibilità. La logica
dell’astratto afferma il presupposto, ovvero la realtà antecedente al pensiero,
ma allo stesso tempo nega l’autoctisi proprio perché se afferma l’esistenza
del presupposto del pensiero, la conoscenza non può che essere intesa
classicamente come un’ adequatio intellectus et rei, e non come un’
autoproduzione. Invece, la nuova logica dell’attualismo non lega questi due
concetti, ma uno esclude l'altro, ossia, il concetto di autoproduzione non
58 G.Gentile, Teoria generale dello Spirito come Atto puro, Firenze 2003, pp.23-24. 59 Ivi, p.42.
32
ammette e non può ammettere alcun presupposto. Se così fosse, non ci
sarebbe autoproduzione ed il rapporto di causa ed effetto sarebbe relativo ai
due concetti e dunque non autoproduzione ma produzione. È ovvio, che se il
concetto di presupposto fosse concreto, ossia reale, il concetto di
autoproduzione non avrebbe nessun fondamento, verrebbe a mancare
l'autoreferenzialità. Il Gentile propone dunque una logica o teoria della
conoscenza (che per lui sono la stessa cosa), intesa non come adeguazione
del pensiero alle cose poiché, siccome la sua filosofia non ammette
l'esistenza del presupposto del pensiero, quest'ultimo per esplicare la sua
logica e per giungere ad una conoscenza non può che riferirsi a se stesso.
Dunque il rapporto di causa ed effetto va inteso come un rapporto tra due
concetti non separati uno dall'altro, e la loro differenza esiste a patto che
possa avere realtà ontologica il concetto di presupposto, l'unico presupposto
al pensiero che possa esistere è la stessa attività pensante. Gentile in fondo
non elimina l'idea del fatto che non possa esistere nessun presupposto,
perché ne ammette uno che è il pensiero in atto: “Sicchè la sola materia, che
nell'atto spirituale ci sia, è la stessa forma, come attività.”60 Dunque il
pensiero in atto è un concetto speciale, diverso da tutti gli altri concetti,
perché si può permettere di essere inteso come presupposto. Questo significa,
in conclusione, che la filosofia di Gentile è l'unica filosofia completa, è lo
stesso Gentile e non solo lui (discepoli e non, anche altri pensatori
concordano che: “ l'attualismo di Giovanni Gentile [...] è certo la forma di
idealismo più matura e coerente sinora apparsa.”61 E ancora, “noi possiamo
benissimo affermare che le critiche rivolte all'idealismo attualistico a
60 G.Gentile, Teoria generale dello Spirito come Atto puro, Firenze 2003, p.232. 61 A.Galvano, Il problema teologico in Giovanni Gentile, in G.G. La Vita e il Pensiero, Firenze
1951, vol. V, p.166.
33
maggior ragione si debbono intendere rivolte a tutti gli altri sistemi
immanentistici in genere.”62 A far convergere la storia del pensiero
nell'attualismo, e nel tentativo di trovare un filo logico della storia della
filosofia contesta ai pensatori del passato come mancanze le conquiste
teoriche dell'attualismo. Questo modo di fare storiografia, che è quello dei
precorrimenti, può essere pericoloso, perché c'è sempre il rischio che oltre
all'atto del pensiero si possa inserire come presupposto qualcos'altro,
qualcosa per esempio della quale non ci si rende conto e nella quale ci si è
immersi da sempre.
2.2.1. L’essere o natura: il presupposto
L’essere inteso come natura per l’attualismo non può che essere
interpretato come “quell'essere oscuro, inattingibile che ogni uomo vede nel
fondo del proprio animo, e che si dice senso, o temperamento, o natura: quel
che egli è originariamente; o più esattamente quello che egli pensando sente
di essere.”63 L’essere si può intendere in due maniere, una legata al
sentimento e all’arte, e l’altra al pensiero e alla mediazione. Il primo essere
non è neppure A = A, non è logo astratto, si può dire che sia soltanto A: non
circola, non ha riflessione alcuna, l’attualismo lo fa rientrare nel concetto di
inattualità, non è in relazione né con se stesso, né tanto meno, con il suo
opposto. Ma l’essere inteso come presupposto, quindi come pensato, e
dunque A = A, rientra (anche se rientra come astrazione) nell’attualità e
concretezza dello spirito. Noi di seguito ci occuperemo di quest’ultimo. Il
62 G.Bianca, La filosofia morale nei sistemi immanentistici, Padova 1950, p.26. 63 G.Gentile, Sistema di logica come teoria del conoscere, Firenze 1942, vol. II, p.63.
34
pensiero attuale però è un qualcosa (ammesso e non concesso che possa
trattarsi di una cosa) di superiore, ontologicamente fondamentale anche a
codesto essere: “io non sarei nulla se non intervenisse l'azione del mio
pensiero a negare il mio essere naturale, per realizzarmi nella mia idealità.”64
Per metterci in condizione di poter conoscere il logo astratto,
l'essere nella sua infinità e immutabilità, dovremmo essere in grado di
pensare ciò che per l'attualismo è in definitiva impensabile: “Come per
intendere chi soffre dobbiamo partecipare alla sua sofferenza, così per
conoscere l'essere naturale, nella sua assoluta immutabilità, dovremmo
ridurci anche noi allo stato assolutamente naturale e chiuderci in un certo
essere, come il suo, affatto immutabile; e cioè dovremmo rinunziare del tutto
a pensare, che è mutare, passare da un'idea all'altra. Sicché l'essere naturale
conosciuto come tale è quello che si può conoscere senza pensare: il
niente.”65
“Se la pietra dice: “Io sono”, essa , in quanto pietra, è già prima di
parlare e definirsi. E però essa non parla, in verità e non si definisce.
Quando noi nella sfera del logo astratto, parliamo in sua vece, e diciamo che
essa è, essa da pietra diventa pensiero della pietra, e sta innanzi a noi al pari
della pietra a cui si riferisce, come un antecedente dello stesso pensiero
attraverso il quale essa si muove logicamente per tornare a sé medesima tutta
pensata e logicamente sottratta alla sua primitiva immediatezza. [...] E se la
pietra è pietra in una sintesi risultante dall’atto autentico dell’Io, la logicità
della pietra non si appoggia, come fantastica il realismo volgare e quello
scientifico o filosofico, sulla presunta realtà naturale immediata, più facile ad
64 G.Gentile, Sistema di logica come teoria del conoscere, Firenze 1942, vol. II, p.62. 65 Ivi, p.63.
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immaginare che a pensare, ma ben piuttosto sulla realtà dell’Io: di questo
Principio unico, immoltiplicabile, infinito, assoluto, che è l’essere
realissimo.”66 Dunque, la natura o l’essere non può esistere senza l’attività
pensante, attività pensante intesa però come puro Spirito dove per tale si
intende l’indefessa attività sintetica apriori effettuata dall’io trascendentale.
Altrimenti si ricadrebbe nel soggettivismo, il classico soggettivismo sofista
dove non esiste la verità. L’essere puro viene inteso come natura = concetto
di natura, dunque non spiritualizzabile: “Natura sive error!”67, “nel senso che
è error quella natura che si vuol concepire come antecedente allo spirito,
esistente fuori dallo spirito, pura molteplicità non risoluta nel processo del
pensiero pensante.”68 Niente è più assurdo dell’essere puro, inteso come il
tautòn di Parmenide perché permane costantemente nell’ inconoscibilità,
inconoscibilità ovviamente dell’attività pensante dello spirito, dunque
irrilevante: “questo preteso essere, così, immediato, esterno al pensiero, è
impensabile; e se si è presunto e si continua e continuerà a presumere non è
stato mai, né sarà mai pensato.”69 Gentile non può concepire l’essere o la
natura come due concetti a sé stanti non più modificabili dal soggetto,
proprio perché la filosofia attualistica si basa sulla concezione contraria nella
quale l’essere e la natura sono in sintesi con l’attività pensante, e partecipano
a quest’attività. L’essere puro è in definitiva il logo astratto, esiste dunque
come astrazione e viene trattato dall’attualismo alla stregua di quest’ultima.
E in definitiva, non ci può essere nessun antecedente al pensiero, ma è
66 G.Gentile, Sistema di logica come teoria del conoscere, Firenze 1942, vol. II, pp.99-100. 67 G.Gentile, L’atto del pensare come atto puro, in La riforma della dialettica hegeliana,
Firenze 1954, p.186. 68 V.Fazio Allmayer, La riforma della dialettica hegeliana, in G.G. La Vita e il Pensiero,
Firenze 1948, vol. I, p.183. 69 G.Gentile, Sistema di logica come teoria del conoscere, Firenze 1940, vol. I, p.100.
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sempre il contrario, il pensiero puro non può avere presupposti di nessun
genere o forma, a parte l’attività sintetica di sé medesimo.
2.2.2. Essere o sostanza: la negazione dell’autoctisi
Il Radetti afferma: “come per Hegel per il Gentile
“philosophieren” si può a patto di essere passati attraverso lo spinozismo, di
aver incominciato con lo “spinozieren”, con l’affermazione dell’unità del
principio assoluto e la riduzione a questa unità della molteplicità
dell’esperienza immediata.”70 In parte è vero, la filosofia di Gentile è
assolutamente monistico/immanentistica, dunque indubbiamente il concetto
spinoziano di Sostanza gioca un ruolo fondamentale nell’attualismo. Ma è
anche vero, che il concetto di immanenza assoluta se non chiarito nel suo
aspetto fondamentale, ossia il rapporto tra il concetto di sostanza e l’attività
pensante, finisce di tradire le sue ambizioni immanentistiche. In poche
parole, se l’essenza della sostanza non può venir spiritualizzata, ossia
modificata e dunque fatta propria dal soggetto, non si può realizzare
l’immanenza, manca il concetto vichiano del verum factum. Dunque in
Spinoza c’è l’idea dell’immanenza la quale però non viene completamente
realizzata, ed è solo quest’idea, questa intenzione che influenza il Gentile, la
quale però non la vede solo in Spinoza, ma anche in Bruno, in Vico, in
Berkeley ecc. Ed è questo il punto di questa tesi: la storia è interpretata come
un cammino verso la conquista del concetto di immanenza
nell’autocoscienza, cammino fatto di tappe sempre più razionali, la
successiva sempre migliore rispetto alla precedente la quale rappresenta il
70 G. Radetti, Gentile e Spinoza, in G.G. La Vita e il Pensiero, Firenze 1948, vol. I, p.287.
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suo precorrimento in un circolo che collega l’Italia al pensiero europeo e
viceversa. Il concetto di immanenza di Spinoza è migliore rispetto a quello
del Bruno, che tuttavia rappresenta il suo precorrimento, ma rispetto a Vico è
carente del concetto di verum factum non risolvendo così l’immanenza. A
sua volta però Spinoza precorre Vico e così via fino a Hegel, e in definitiva a
Gentile. In campo filosofico, pur con qualche riserva, si può dar ragione al
Radetti, perché Spinoza anche se non realizzandola, ha tirato fuori l’idea di
immanenza assoluta risolvendo il dualismo cartesiano tra res cogitans e res
extensa , e questa idea sicuramente è fondamentale per l’attualismo. In
campo storico e storiografico invece, direi che Spinoza non centri (anche se
avrebbe dovuto), ma centrano di più Hegel e Spaventa.
In definitiva, il concetto di sostanza va inteso come essere puro,
ossia come natura; c’è sì l’idea dell’immanenza assoluta ma rimane non
completamente realizzata; il fatto che manchi l’idea che niente è
indipendente dall’attività pensante, fa rimanere il concetto di sostanza
all’interno del naturalismo e della trascendenza.
2.3. Unità di particolare e universale
Nel Sistema di logica la questione del rapporto tra il particolare e
l’universale si presenta già nel primo capitolo, dove Gentile analizza in quali
modalità la logica filosofica sia universale, universalità che non esclude la
particolarità, ma è in relazione con essa. Se l’universalità escludesse la
particolarità, sarebbe particolarità anch’essa. Qui poi Gentile parla ad ogni
modo di differenza tra il particolare e l’universale, differenza di tipo
qualitativo: ma bisogna badar bene, Gentile intende l’universale come sintesi
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a priori tra universale e particolare: “Ma la differenza tra il particolare e
universale è qualitativa, e non quantitativa, come può parere a chi si fermi al
primo significato del particolare. Giacché il particolare è certamente, in
primo luogo, parte del tutto; ma, in quanto parte, esso non solo è il resto del
tutto, ma non è né anche se stesso. Si consideri invero che, per esser parte,
esso deve essere in relazione (per lo meno di reciproca esclusione) col resto,
come elemento costitutivo, ancorché in modo negativo, del proprio essere.”71
Dunque, la parte, il pensiero particolare o astratto, viene necessariamente
superato dal pensiero in atto, perché è impossibile che abbia realtà concreta
in quanto già in relazione con un’alterità per via dell’a priorità della
relazione stessa, che è la sua condizione di possibilità di esistenza come
astrazione. Come tale, il sapere particolare, il dato, inteso come oggetto privo
di relazione con altri oggetti, e inteso come presupposto del pensiero: “non
ha né razionalità, né certezza.”72 Il difetto che si tratta di correggere è
l’immediatezza dell’oggetto, ma non basterebbe che “la parte si barattasse
con il tutto; perché anche questo al pari della parte astratta, per la mente
sarebbe solo perché sarebbe; né ci sarebbe modo di rappresentarselo in un
sistema, in cui fosse la sua mediazione, la sua necessità razionale, e da cui
scaturisse quindi la certezza della mente rispetto ad esso.”73 Ma si parla di
un’universalità diversa da quella concepita naturalisticamente:
“L’universalità, dunque, che sola può sanare il vizio della conoscenza
particolare, non è l’astratta universalità del tutto indifferenziato, ma quella
universalità concreta che è unità di parte e tutto: la parte nel tutto, e il tutto
nella parte. E si può anche dire: la differenza dell’identico, e l’identità del
71 G.Gentile, Sistema di logica come teoria del conoscere, Firenze 1940, vol. I, pp.6-7. 72 Ivi, p.9. 73 Ibidem.
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differente. Manchi l’identico o manchi il differente, si ricasca nel particolare,
e si esce dalla filosofia. Il che a rigore non può mai accadere in modo
assoluto.”74
2.4. Unità di uno / molteplice
Non c’è distinzione se non astratta di unità e molteplicità, i due
termini sono attualmente in relazione: “Che è la vita, non come unità astratta
sì come organismo, e cioè armonia, fusione, sintesi di vari elementi; in guisa
che né l’unità è senza la molteplicità, nè questa senza di quella. Né l’unità ci
può dare la molteplicità, come pretendeva l’antica fisiologia, né la
molteplicità ci può dare l’unità, come pretende la nuova; per questa semplice
ragione: che tanto quell’unità quanto questa molteplicità non sono principii
reali, ma semplici astrazioni, dalle quali convien tornare all’unità vera e alla
vera molteplicità. Le quali, lungi dall’essere l’una fuori dell’altra, sono la
stessa cosa, lo svolgimento della vita.”75 A = non A garantisce la relazione
dell’unità con la molteplicità. Entrambe non possono essere considerate
separate senza ricadere nell’astrazione e dunque in una verità relativa a
condizioni limitate, determinate, estratte o meglio astratte come momenti del
pensiero. È sempre il concetto di atto a svolgere il ruolo determinante: “Ed è
quel modo che non lascia concepire l’unità se non attraverso la molteplicità,
e viceversa: quello, che nella molteplicità mostra la realtà e la vita dell’unità.
La quale, appunto perciò, non è, ma diviene, si forma: non è, come abbiamo
detto, una sostanza, un’entità fissa e definita, ma un processo costruttivo, uno
74 G.Gentile, Sistema di logica come teoria del conoscere, Firenze 1940, vol. I, p.10. 75 G.Gentile, Teoria generale dello Spirito come Atto puro, Firenze 2003, p.41.
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svolgimento.”76 I due momenti antitetici non possono avere realtà concreta,
non può esistere una pura unità, né viceversa una pura molteplicità. In
concreto esiste solo l’unità, ma quella speciale unità attualisticamente intesa:
“Già una pura molteplicità non solo è inconoscibile, ma impensabile. I molti
sono sempre un insieme; e se ciascuno non fosse cogli altri, sarebbe uno, non
come parte, ma come tutto: unità assoluta: quell’unità che l’atomismo nega
(o intellettualismo, o naturalismo, che dir si voglia). E c’è dell’altro. Data la
molteplicità a, b, c, d…, a non deve essere b, né c, né d ecc. E così b, c, d,
ecc. Ma che una cosa non sia l’altra non è possibile, assolutamente, se non si
nega ogni relazione tra le due, poiché relazione importa certa identità.”77
Dunque ci deve essere una relazione dei momenti antitetici, una relazione
speciale, che coniuga unità e molteplicità, universalità e particolarità, che è
unità e universalità che non esclude però nessun momento antitetico. Unità,
universalità vanno intese secondo quella relazione speciale che è il pensiero
nella sua forma attuale. “Dunque, la molteplicità reca con sé necessariamente
l’irrelatività assoluta dei molti, che ne fanno parte. Di modo che a non solo
non deve essere b, ma non dev’essere né anche relativo a b. E questo è
assurdo, perché chi dice “non essere”, dice esclusione reciproca, e quindi
relazione.”78
2.5. Spazio e tempo
Lo spazio e il tempo non sono intesi naturalisticamente come
insiemi nei quali dimorano gli individui e la molteplicità. Attualisticamente,
76 G.Gentile, Teoria generale dello Spirito come Atto puro, Firenze 2003, p.41. 77 Ivi, p.110. 78 Ibidem.
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lo spazio non è la mera estensione vuota e illimitata nella quale si
immaginano immersi gli enti geometrici solidi e nella quale sono collocati
gli oggetti reali, e il tempo non è il mero ente fisico nel quale è possibile
stabilire la successione degli eventi o misurare la durata di un evento. “Uno
spazio possibile o ideale è un nonsenso, quantunque sia stato qualche volta
affermato. Il pensiero non è spaziale; e l’Iperuranio di cui ragiona Platone,
non ha nulla da vedere con quello spazio vero e proprio, la ����, di cui egli
stesso parla del Timeo (pp. 52 a d), come di ricettacolo delle forme, senza il
quale le idee rimarrebbero idee e non avrebbero dove e come realizzarsi.”79.
Lo spazio assoluto, il cosiddetto spazio puro non è nient’altro che il logo
astratto, e lo stesso vale per il tempo. Spazio e tempo devono essere
considerati in rapporto dialettico, di quella dialettica monotriadica, base
dell’attualismo. Cioè, spazio e tempo sono in relazione a priori, in sintesi
attuale, non ci può essere, se non per via di astrazione, la separazione dei due
momenti antitetici, come abbiamo più volte affermato. Anche spazio e tempo
hanno il loro fondamento nella loro relazione, ciò viene bene espresso dalla
locuzione latina Hic et nunc: “Pensare la natura come una – l’Uno di
Parmenide o quel tutto sferico e identico in tutte le parti, che immaginò
Senofane – e pensarla fuori del tempo in un’eternità immobile, è non pensar
niente: proprio come pare abbia intuito Gorgia. L’oggetto è molteplice
spazialmente; e perché assolutamente tale, molteplice anche
temporalmente.”80 Spazio e tempo sono coesistenti e compresenti
nell’attività sintetica del pensiero, lo spazio va inteso come uno spazializzare
e il tempo come un temporalizzare. Spazializzare e temporalizzare sono le
79 G.Gentile, Teoria generale dello Spirito come Atto puro, Firenze 2003, pp.113-114. 80 Ivi, p.116.
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due facce (in astratto) di una stessa medaglia (in concreto): “Spazio e tempo
senza coesistenza e compresenza, evidentemente, non c’è; l’uno e l’altro
quindi non sono intelligibili, se si vogliono intendere appunto come spazio e
come tempo nella loro molteplicità positiva, se non ad un patto: che lo spazio
sia spazialità del punto non spaziale e il tempo sia temporalità del presente
non temporale.”81 Vediamo chiaramente come appare assurdo questo tipo di
concezione astratta dello spazio e del tempo nell’attualismo. Invece i due
termini possono essere considerati come concreti solo all’interno della
sintesi, la quale non è un tertium quid, che incombe e risolve l’opposizione
unificando i termini. La sintesi deve intendersi come originaria, non ci può
essere tesi senza antitesi, né antitesi senza tesi: “e non v’è opposizione che
non sia opporsi dell’uno a se stesso, come diverso e come identico.”82
L’antiteticità dei termini, la loro differenza, la loro reciproca esclusione: “è
presa come dualità che non sia unità da un’analisi astratta, che si esercita sul
vivo del processo spirituale unico, dove la tesi è antitesi, e l’antitesi è tesi.”83
2.6. Immediato e mediazione
Tutto ciò che si definisce come autonomo e irriducibile alla sintesi
a priori ricade nell’immediato. Ad esempio l’essere e il non essere se presi
singolarmente ricadono nell’immediato. La loro mediazione però è intesa a
priori, l’immediato esiste in realtà solo come momento della mediazione, non
ha realtà autonoma. Idea come “unità di essere e essenza, come dire di
81 G.Gentile, Teoria generale dello Spirito come Atto puro, Firenze 2003, p.126. 82 Ivi, p.127. 83 Ibidem.
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soggetto (immediato) e di predicato (mediazione): cioè appunto categoria
produttiva del giudizio sintetico a priori, in cui Kant aveva mostrato che si
risolve ogni atto reale di pensiero. E ogni sforzo di Hegel è rivolto a
penetrare nell’intimo processo per cui si realizza quest’unità dell’idea, che è
la vita del pensiero: non, ripeto, come pensato, ma come pensare, o
categoria. Questo intimo processo dell’idea deve abbracciare in sé, come
suoi momenti o momenti de’ suoi momenti, tutti i concetti costitutivi del
pensiero come pensare: tutte le categorie.”84 Dunque, solo ciò che ha realtà
autonoma può considerarsi concreto: di conseguenza l'immediato non può
che essere un'astrazione perché viene sempre limitato da un altro immediato i
quali si limitano a vicenda e dunque non possono costituire una realtà
autonoma. Non solo sono tutti in relazione tra di loro, ma soprattutto sono in
relazione con il pensiero (inteso sempre come mediazione). Anzi,
l'immediato è sempre all'interno del pensiero e dunque sempre all'interno
della mediazione: la mediazione è la realtà concreta perché si concretizza
sempre, mentre l'immediato essendo già concretizzato non esiste più: se
esiste è perché viene riesumato dall'attività del pensiero, e se esiste, esiste
sempre come mediazione. Non è possibile affermare il contrario, se lo si fa
bisogna per gioco di forza postulare qualche forma di dualismo, di
trascendenza, naturalismo, insomma qualunque specie di intellettualismo che
presuppone uno dei due momenti della sintesi (non è importante quale dei
due momenti venga presupposto senza il concetto attualistico di pensiero
come atto puro. E a questo punto si può dare ragione al Fichte: non c'è
nessuna differenza tra il primo e il secondo momento della sintesi, entrambi
senza l'unità sintetica ricadono nell'insignificanza e nell'irrilevanza): se si
84 G.Gentile, La riforma della dialettica hegeliana, Firenze 1954, pp.8-9.
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afferma il contrario di ciò, si afferma l'esistenza di un qualcosa che non può
essere pensato, ma che esiste. Questo ovviamente per l'attualismo non è
possibile, perché nel momento in cui si afferma l'esistenza di un qualcosa (di
qualunque cosa ) di esterno all'attività pensante, questa cosa viene
inevitabilmente pensata e non può non far parte di questa attività sintetica. Se
c'è qualcosa effettivamente esterna al pensiero, questo qualcosa non potrà
mai essere pensato e quindi privo di significato, di rilevanza e di esistenza.
Questo qualcosa che esiste non può che essere il nulla, ed esiste ma non
esternamente (perché non potrebbe esistere) ma internamente, interno al
pensiero che pensando il nulla lo fa diventare inevitabilmente qualcosa.
L'immediato che preso singolarmente sarebbe il nulla, acquista valore
all'interno della mediazione e può farlo solamente all'interno di essa. Gentile
è il filosofo del divenire, e lo definisce in maniera radicale: è la base di tutto,
ogni cosa che esiste, esiste per mantenere questo concetto metafisico; viene
affermato come attualità pura che non può dunque né venir presupposta, né
tanto meno limitata da un principio esterno. È un concetto speciale però,
perché contemporaneamente (in base alla dialetticità del pensiero pensante) è
un concetto e non lo è: è la sintesi costante, costante mediazione pura tra
concetto non concetto.
2.7. Astrattezza dell’intuizione
L’intuizione intesa come immediata autocoscienza non ha
fondamento logico né realtà autonoma. L’intuizione deve venir intesa come
continua mediazione autocosciente. Il pensiero in atto non può essere mai
inteso come un'intuizione, perché essa è legata all'immediato mentre il
45
pensiero in atto è esso stesso mediazione: “non è intuizione e immediata
scoperta di sé. È processo, il che vuol dire che si cammina sempre e perciò si
arriva sempre e non si arriva mai. Si è in quanto non si è; e si soffre. E il
mondo si popola di fantasmi paurosi, ostili; e ad ogni passo ecco muraglie
che paiono insormontabili.”85 Gentile come abbiamo notato in precedenza,
vede la dialettica dell'atto come uno vero e proprio sforzo che si fa nel
tentativo di rimanere in divenire, di rimanere ontologicamente validi, ossia
concreti. Ciò nonostante sia impossibile che le cose non vadano in questo
modo, il pensiero non può che essere sempre in atto, sempre in divenire: è la
necessità dello sforzo e della fatica che emerge da questa concezione. È pur
vero che non ci è concessa l'uscita dallo spirito, dalla sua assoluta
immanenza, ma Gentile collega a ciò il fatto psicologico della fatica, delle
paure e delle nevrosi: inconsistenti perché momentanee e destinate ad essere
superate mercé un loro principio interno, ma necessarie. L'intuizione, o
immediata scoperta di sé, presupporrebbe come attuale e concreto il sé
immediato, ossia come un fatto o dato, appunto da intuire o scoprire: però il
sé immediato, come ogni immediatezza, è momento del processo
dell'autocoscienza, e dunque è un sé che si nega e si risolve in questo
processo o mediazione, in cui è la sua vita effettiva, ossia come essere
mediato o l'essere che è non essendo, e però divenendo, in questo processo
cioè che, negandolo come essere negativo (essere che, in quanto immediato,
è negativo dell'essenza dello spirito o autocoscienza o Io, che è atto o
processo) lo afferma e fa vivere come concetto di se stesso o autoconcetto.
L'intuizione pura non esiste. Essendo la mediazione intesa come atto puro
l'unico presupposto possibile, è dunque inconcretizzabile su questo terreno
85 G.Gentile, La filosofia dell'arte, Firenze 1931, pp.295-296.
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ogni cosa che per definizione si aliena da ciò. L'intuizione dunque è
intuizione e altro. Solamente il pensiero è puro, tutto il resto è mediato: non
che il pensiero non lo sia, ma qui si parla di automediazione, e invece lì si
parla di mediazione. Il pensiero è autonomo, l'intuizione dipende dal
pensiero. Se il pensiero è mediazione, l'intuizione non può che essere un’
astrazione, è pura e concreta solo in astratto. L'intuizione che come
sappiamo è il primo grado della conoscenza e della coscienza, non può
esistere concretamente perché questo primo grado è già presente a priori, è
già in atto perché altrimenti non potrebbe esistere il concetto (anche se
astratto, ma come in definitiva lo sono tutti tranne la teoria generale) di
intuizione: siamo tutti già immersi nell'autocoscienza ma ciò non toglie,
siccome il concetto di pensiero in atto presuppone la sintesi ma al contempo
afferma il costante sforzo eternamente presente di mantenerla, il fatto che
siamo chiamati da essa che è la nostra stessa voce, e soprattutto non implica
nessuna forma di quietismo né tantomeno di solipsismo. L'autocoscienza
deve essere intesa non come intuizione ma come mediazione continua e
costante. Tutto ciò che rientra nell'intuizione nega l'autocoscienza, ma negare
l'autocoscienza è inevitabilmente al contempo affermarla: non si esce dall’
autocoscienza, non si esce allo spirito, non si esce dal pensiero.
47
2.8. La questione del soggetto
2.8.1. Io empirico ed Io trascendentale
Nel momento in cui si parla di soggetto bisogna specificare bene di
quale soggetto si parla. Questa chiarificazione è fondamentale per concepire
tutto l’attualismo, non solo relativamente al problema della storia e del
soggetto della storia, che rientrano più specificamente nella trattazione di
questa tesi. La Teoria generale parte proprio dal rapporto tra queste due
tipologie di soggetto, la risoluzione di questo problema sarà il fondamento
della pedagogia gentiliana, della sua filosofia del diritto, della concezione
dello stato e del soggetto della storia. In generale però, considerando la
puntualità dell’attualismo, il rapporto tra io empirico ed Io trascendentale
può considerarsi la base di tutto l’attualismo, perché solo se il soggetto di cui
si parla è inteso in senso trascendentale il discorso sta in piedi, viceversa si
cadrebbe in un soggettivismo assurdo, di cui lo stesso Gentile ne è ben
consapevole: “Ma questa proposizione, che il mondo spirituale è concepibile
soltanto come la realtà stessa della mia realtà spirituale, sarebbe
evidentemente assurda se non si tenesse ben ferma la distinzione […] tra Io
trascendentale ed io empirico; e non si tenesse egualmente ben fermo il
concetto, che la realtà del primo è la realtà fondamentale, fuori della quale
non è possibile pensare la realtà del secondo.”86 Così quando si annuncia la
soggettività del reale, la si deve intendere in questo senso specifico, si parla
di una soggettività diversa da come la concepisce il senso comune. Quando
si parla di soggetto, non si intende quel soggetto empirico, che può pensare
86 G.Gentile, Teoria generale dello Spirito come Atto puro, Firenze 2003, p.17.
48
oppure no, che si trova in un determinato spazio e tempo, naturalisticamente
concepito come cosa in sé, separata dal resto e dagli altri soggetti, da tutto e
da tutti, o da qualcosa e da qualcuno, dalla maggior parte delle cose o dalla
maggior parte dei soggetti: ”Empiricamente, io sono un individuo non solo
contrapposto a tutte le cose materiali, ma a tutti egualmente gli individui a
cui attribuisco valore spirituale: poiché tutti gli oggetti dell’esperienza, quale
sia il loro valore, sono non pure distinti, ma separati tra loro, in modo che
ognuno di essi esclude assolutamente da sé, a causa della sua particolarità,
tutti gli altri.”87 E di questo soggetto empirico possiamo affermare che la
terra che ha sotto i piedi è altra cosa dai suoi piedi, che la materia di cui è
fatta una pietra è diversa dalla materia di cui sono composte le sue meningi,
che la lingua che si parla da un’altra parte del globo non lo influenzi affatto e
che la lingua di cui è in possesso non abbia niente a che fare con quella. “Il
punto di vista nuovo, infatti, a cui conviene collocarsi, è questo dell’
attualità dell’Io, per cui non è possibile mai che si concepisca l’Io come
oggetto di se medesimo. Ogni tentativo che si faccia, si può avvertirlo fin da
ora, di oggettivare l’Io, il pensare […] è un tentativo destinato a fallire.”88
No! Non è questo il soggetto di cui l’attualismo s’intende, o meglio, non
solo di questo soggetto; perché questo è momento di quello,
necessariamente, ma momento. Il Gentile fa suo il concetto di Io
trascendentale partorito dal Criticismo kantiano: “in ogni atto del nostro
pensiero, e in generale nel nostro pensiero, noi dobbiamo distinguere due
cose: da una parte, quello che pensiamo; e dall’altra parte, noi che pensiamo
87 G.Gentile, Teoria generale dello Spirito come Atto puro, Firenze 2003, p.17. 88 Ivi, p.8.
49
quello che pensiamo, e che non siamo oggetto ma soggetto di pensiero.”89
L’Io trascendentale kantiano coincide con l’atto del pensiero: “Il punto di
vista trascendentale è quello che si coglie nella realtà del nostro pensiero
quando il pensiero si consideri non come atto compiuto, ma, per così dire,
quasi atto in atto. Atto, che non si può assolutamente trascendere, poiché
esso è la nostra stessa soggettività, cioè noi stessi; atto che non si può mai e
in nessun modo oggettivare.”90 Gentile quindi come già notato riprende
Kant, ma allo stesso tempo compie una modifica decisiva del concetto di Io
trascendentale. Come sappiamo, la teoria della conoscenza di Kant riguarda
esclusivamente il concetto di fenomeno, mentre viene escluso di principio il
noumeno: questo vuol dire che l'Io trascendentale kantiano è in realtà come
una specie di filtro, ciò che vi riesce a entrare è solamente come si mostra la
cosa in sé o noumeno, ma però alla ragion pura è preclusa la cosa in sé,
ovvero la conoscenza del noumeno. Dal punto di vista dell'attualismo questa
concezione viene interpretata in base al rapporto tra soggetto conoscente, in
questo caso il pensiero trascendentale in atto, e l'oggetto conosciuto che in
questo caso sarebbe l'empirico. Come abbiamo già visto, il rapporto tra
pensiero in atto e pensiero fatto, dunque tra attività pensante e le sue relative
idee, dall’ attualismo viene pensato come un rapporto di necessità: tra le
varie cose che ciò comporta, a noi interessa il fatto che comporti
l'impossibilità che alcuna idea possa esistere non in relazione, e quindi
staccata e a sé stante dal pensiero inteso come atto puro. Invece Kant, sempre
dal punto di vista attualistico, interpreterebbe questo rapporto come un
rapporto di possibilità: ciò comporta che possa esistere un luogo al di fuori
89 G.Gentile, Teoria generale dello Spirito come Atto puro, Firenze 2003, p.7. 90 Ivi, p.8.
50
dell'attività pensante, nel quale abbia possibilità concreta di esistenza non
una qualunque forma di idea (che già per attualismo sarebbe impossibile),
ma proprio l'idea fondamentale, la cosa in sé o se vogliamo la cosiddetta
quidditas. Kant quindi, mantiene ancora in questo modo una sorta di
naturalismo, o meglio mantiene ancora la trascendenza. Gentile al contrario,
legando necessariamente l'oggetto conosciuto con l'attività pensante non
ammette che possa esistere qualcosa di esterno all'attività pensante stessa:
con la conseguenza più drastica, la cancellazione (come quasi per mano di un
matematico mentre compie un trucco aritmetico) del noumeno, la cosa in sé
appartiene al soggetto.
In conclusione, l’Io trascendentale va inteso come la sintesi a priori
di io empirico e altri io empirici, come la loro relazione originaria, ma
relazione come relazione in atto. La trascendentalità dell’Io è l’attualità
dell’a priorità della sintesi.
2.8.2. L’io è il Noi e l’universalità del pensiero
“L’atto del pensiero, adunque, per cui sono, mi pone come
individuo universalmente: come, in generale, pone universalmente ogni
pensiero o, se si vuole, ogni verità.”91 Dunque l’atto del pensiero è universale
nel senso che, in quanto necessario, si pone come pensiero, non di un
pensante particolare, dal quale possano divergere altri pensanti anch’essi
particolari, sebbene come pensiero che pensa per tutti: “Il noi soggetto del
nostro pensiero non è Io che ha di contro a sé il non-Io (altro) o altri Io
91 G.Gentile, Teoria generale dello spirito come Atto puro, Firenze 2003, p.100.
51
(altri); e però non è l’Io empirico, quale apparisce all’osservazione
psicologica: uno tra molti; ma l’Io assoluto, l’Uno come Io.”92 Quindi il
pensiero in atto va inteso come pensiero universale, se i vari pensieri
empirici naturalisticamente possono essere divisi e differenziati,
attualisticamente i pensieri empirici e dunque i vari soggetti individuali,
possono essere considerati come un solo pensiero, come un solo soggetto
universale. Questo significa che i soggetti empirici si differenziano in base ai
contenuti del loro pensiero o dei loro pensieri, sostanzialmente si
differenziano in base alle loro idee, concezioni e tutto ciò che rientra
nell'idea di concetto inteso come contenuto del pensiero e quindi come
astrazione: cioè tutto ciò che ha una base compiuta, definita, non
ulteriormente realizzabile, le scelte del passato, la visione del mondo e delle
cose circondanti, eccetera. Invece, se noi guardiamo i soggetti empirici o
individuali non nelle loro idee o concezioni, non nei loro concetti e
contenuti, ma nella forma: se vari pensieri empirici sono tutti (o per la
maggior parte) diversi, al contrario sono tutti uguali se visti dal punto di vista
dell'atto dal pensiero, le idee finite sono diverse, ma in atto sono le stesse.
Bisogna prendere questa nuova prospettiva che è quella dell'attualità del
pensiero, che riesce a unire tutti i soggetti empirici: se le idee sono diverse,
l’ideare è uno. Questa forma è lo Spirito attualisticamente concepito, ed è
Spirito puro perché realizza fino in fondo e in maniera totale l’immanenza,
eliminando la trascendenza non attribuendole alcuna esistenza concreta, ma
solo astratta, non verità ma effetto di essa. Effetto necessario, ma
assolutamente inconcretizzabile. E questo pensiero che pensa per tutti è in
92 G.Gentile, L’atto del pensare come atto puro, in La riforma della dialettica hegeliana,
Firenze 1954, p.190.
52
realtà un Noi, ed è anche Io, questo pensiero unifica senza distruggere, ha la
capacità di cancellare definitivamente la trascendenza senza però cancellarla
perché così non varrebbe cancellata. Perché la base di tutto è il rapporto
dialettico del pensiero pensante con il pensiero pensato, l'astrazione viene
sconfitta ma viene mantenuta come necessaria: è la vera sconfitta
dell’astrazione, perché se venisse completamente negata in realtà verrebbe
riconfermata. È questa la chiave dell'attualismo, l'identità in atto tra
differenza e identità, questa prima identità attuale è l'Io assoluto ma è anche
il Noi che quindi non elimina il non-Io o qualunque altra forma di alterità.
Questa chiave non può che essere vista come paradossale alla luce di uno
sguardo logico, perché la logica non può permettersi il lusso di non essere
logica dell'astratto, e quindi non affermare o proporre una qualunque forma
di trascendenza.
L’Io esiste come relazione al non-Io, i quali sono intesi come
uno/molteplice. Il valore dei vari Io è dovuto alla relazione con gli altri Io
che essi non sono: dunque il Noi. Io e non-Io sono momenti astratti del Noi,
il Noi si identifica con la sintesi a priori della logica attualistica.
L'atto puro non ha solamente risolto l'opposizione degli opposti,
perché altrimenti ci ritroveremmo di nuovo di fronte alla trascendenza,
dualismo, naturalismo o qualunque altra forma di intellettualismo e quindi in
realtà non avrebbe risolto nulla; ma l'opposizione dei momenti antitetici
come già detto non solo è risolta ma soprattutto viene risolta. Il concetto di
divenire assoluto presuppone contemporaneamente il fatto che l'opposizione
è già risolta ed il fatto che deve venire risolta e che quindi non è ancora
risolta. Ancora una volta la sintesi è l'unità in atto degli opposti, è Unruhe
dialettica, atto vivo; infatti, non lascia la tesi e l'antitesi a fronteggiarsi
53
eternamente nella loro reciproca immediata repulsiva opposizione, ma lavora
a risolvere gli opposti, mediandoli in una “medesimezza fondamentale”, che
è appunto l’ Io (Io e non-Io, soggetto e oggetto in sintesi, assimilati e
trasparenti). La sintesi tende alla “negazione della pura oggettività
dell'oggetto coincidente col superamento della pura soggettività del soggetto;
in quanto puro soggetto e puro oggetto, nella loro immediatezza, sono due
astratti, e la loro concretezza è nella sintesi, nell'atto costitutivo dell'Io.”93
Quindi questa sintesi che è atto puro, è l’Io trascendentale, quel soggetto del
pensiero in atto puro che come tale pensa, vuole, crea e produce. Dunque è
questo che viene prima di tutto, l'unica cosa che può essere presupposta, la
sintesi o unità sintetica che è mediazione, viene logicamente prima
dell'analisi e la rende possibile. La sintesi deve però essere intesa sempre
come atto puro del pensiero pensante. E dunque si può continuare ancora:
“l’Io non è né Io immediato, nè immediato non-Io, che nella loro
immediatezza si equivalgono, e sono nulla. E chi spera che dall'immediato
possa venire immediato, può trovare il principio sì nel soggetto e sì
nell'oggetto. Aprioristi ed empiristi si incontrano su questo terreno comune:
di ritenere che sia possibile di muovere dall'immediato. Che è invece una
semplice astrazione. Il concreto è nella mediazione della sintesi; per cui il
soggetto è soggetto in quanto unità dei due termini; e così pure l'oggetto. E il
soggetto pone sì l’oggetto; ma non come astratto soggetto immediato, ma
come unità della sintesi (o unità sintetica). La quale non è dopo del soggetto
e dell'oggetto: ma prima. Prima è l'atto, unità sintetica a priori. Pertanto si
dice bensì che l'Io pone il non-Io; ma questo Io, capace di tanto, non è puro e
vuoto soggetto, malato discriminante positivo di soggetto e oggetto. Se nella
93 G.Gentile, Genesi e struttura della società, Firenze 2003, p.33.
54
sintesi si distingue e distacca Io e non-Io, l’Io che si ottiene non è Io (e
perciò esso non pone il non-Io); ne è non-Io il non-Io. L'uno diventa Io
attraverso la sintesi in cui pone il non-Io, e diventa perciò non-Io, perché
porre il non-Io significa porsi come non-Io. E viceversa, nella sintesi il non-
Io opponendosi realmente all’Io, diventa Io: perché sintesi significa
opposizione, ma significa pure identità degli opposti. Solo l'identità rende
ragione della necessaria e intrinseca relazione dei due termini della sintesi, la
quale richiede che il concetto di un termine contenga pure il concetto
dell'altro.”94 Molto importante è citare il seguente passo: “senza l'identità di
Io e non-Io (soggetto e oggetto) l'oggetto sarebbe cosa, semplice cosa,
impenetrabile al soggetto e perciò inconoscibile; e il soggetto sequestrato in
se stesso, di fronte alla cosa, ne sarebbe limitato e meccanicamente
contrapposto ad essa: egli stesso una cosa. Per salire al di sopra di questo
meccanismo delle cose sino alla realtà spirituale, bisogna tener fermo a
questo concetto della sintesi creatrice che pone gli opposti e ne risolve
l'opposizione in una medesimezza fondamentale. L’Io si fa Io in quanto si fa
non-Io; il quale è veramente tale in quanto non solo opposto, ma anche
identico all’Io.”95 Dunque la conoscenza vera è possibile solamente grazie
all’ identità di Io e non-Io, altrimenti non sarebbe possibile in nessuna
maniera il conoscere, l'oggetto conosciuto sarebbe di principio precluso al
soggetto conoscente. E non solo, ma non sarebbe possibile neppure alcuna
comunicazione di sorta, se l'altro o l'alterità non fosse in relazione a priori,
quindi in sintesi con l’Io e fosse in estrema opposizione con l’Io.
94 G.Gentile, Genesi e struttura della società, Firenze 2003, p.33-34. 95 Ivi,, pp.34-35.
55
“L’opposizione però, se restasse tale e non si risolvesse nell'unità
di una sintesi che abbracci gli opposti, non sarebbe neppure opposizione. I
due termini sarebbero sempre un termine solo; perché dall’ uno di essi,
mancando ogni relazione, non ci sarebbe modo di passare all'altro, e avere
quindi, invece di uno, due termini. La dualità richiede l'unità, e l'opposizione
accenna già alla medesimezza. È la relazione, significativa di una
fondamentale unità, qui è presente nella ragione stessa della dualità; in cui
l'oggetto si oppone al soggetto per la realizzazione della stessa
autocoscienza. E questa non è nell'immediato soggetto, punto di partenza del
processo della realtà, ma non ancora realtà in atto. Nella quale il soggetto
entra a un tratto con l'oggetto, come termine correlativo d'un termine opposto
nel seno della relazione in cui egli si realizza. Perciò attraverso la coscienza
dell'oggetto il soggetto attua la coscienza di sé, fuori della quale il soggetto
non è nulla. Tanto più si oggettiva, tanto più esso è quel soggetto che può
essere.[…] Oggettivarsi è il termine medio della reale attuazione del soggetto
che si fa coscienza di sé; autolimitarsi è il solo modo d’infinitizzarsi. Non
perché l'infinito provenga dal limite, ma perché mediante limite l'infinito
reale, il vero infinito, si libera dalla falsa infinità, che è un'infinità presunta e
non dimostrata. E si può dire falsa in quanto non risponde ancora all'essenza
piena e perfetta dell'atto spirituale, che solo è infinito”96. Quindi anche per il
concetto di limite vale lo stesso discorso dialettico. Il limite non ha realtà
concreta, perché l'atto puro essendo tale non può che essere illimitato, perché
altrimenti non sarebbe puro. Il limite quindi non è un limite esterno, ma
limite interno ovvero autolimite che ha valore solamente astratto cioè
momentaneo: il concetto di limite è necessario che sia sempre presente, ma
96 G.Gentile, La filosofia dell'arte, Firenze 1931, pp.81-82.
56
sempre come un momento da superare. Il soggetto non è (non è già, o di
fatto), ma tende al proprio essere; e questa tendenza attua, si aliena da sé e si
oggettiva; il soggetto quindi l’Io, si trova in rapporto con il non-Io (oggetto,
o alterità, altro da sé): “il quale è bensì identico al soggetto, ma comincia da
prima ad essergli opposto, contrapposto, estraneo; o cosa, che limita
l'originaria infinità di quello; o persona, che lo fronteggia e gli fa sentire che
non c'è solo lui, c'è altro, ed egli non è tutto. E risolvere questa opposizione e
limitazione, riconquistarsi come soggetto illimitato e vero soggetto, è amare
altro oltre se stesso; ma altro in quanto tutto uno con lui. Ed ecco le cose che
io dirò mie, mia proprietà, quasi ampliamento della mia persona; cose mobili
e cose immobili, la terra in cui mi accampo e che prendo a difendere come la
mia testa e il mio petto da ogni aggressione eventuale; e a cui lego
siffattamente l'esser mio, onde io vivo, che la perdita della mia proprietà mi
parrebbe come la fine della mia vita. Ed ecco la persona, che diventa il mio
complemento necessario della mia, o perché sentendo sessualmente il difetto
della mia sento nell'altra l'essere che mi manca è m’abbisogna e con me si
unisce in unità che nel mio sentire trova la sua base e la sua garanzia; o
perché comunque quest'altra persona aggiunge un figlio di cui sento il
bisogno allo stame della mia vita.”97
L’autorelazione dell’Io al non-Io, dovuta alla sintesi attuale a priori
dei momenti antitetici (e dunque anche l'interpretazione del soggetto, come
abbiamo visto, viene esplicata attraverso questa regola fondamentale che è la
dialetticità del pensiero pensante) comporta l'impossibilità, da un punto di
vista ontologico, di esistenza concreta di un soggetto o Io particolare
assolutamente autonomo, atomico, identico a sé e chiuso in sé. Al contrario,
97 G.Gentile, La filosofia dell'arte, Firenze 1931, pp.211-212.
57
l’Io e la sua alterità sono in relazione a priori, e sono il vero soggetto del
quale ci parla Gentile (qui il termine vero non intende eliminare il contenuto
del concetto falso, il rapporto tra vero e falso deve essere sempre inteso come
rapporto dialettico nel senso attualistico: identità tra identità e differenza
spiegabile esclusivamente dal concetto di spiritualismo attuale. Viene sempre
affermata la necessità del falso, che è vero nel suo atto, che è falso nel suo
fatto: ma fatto è un momento necessario dell'atto che senza di quello non può
concretizzarsi e rimarrebbe astratto, o meglio dove per “senza di quello” non
si intende solamente il fatto, ma la relazione attuale tra fatto e atto che
sempre si risolve ed è risolta nell'atto): “superando l'opposizione tra sé e il
resto, non cercando più sé senza il resto, e non guardando più con
indifferenza il resto quasi non lo toccasse e fosse affatto fuori di lui:
slargando perciò quell’ attaccamento a sé, che è la stessa sintesi onde egli si
attua, e che riscalda l'uomo con l’amor di se stesso che è primitivo,
fondamentale e insopprimibile, a tutte le cose, a tutti gli uomini e a Dio.”98 Il
Paci invece afferma nel suo lavoro Tempo e relazione, che il soggetto di
Gentile si trova in una situazione di solitudine estrema e senza nessun tipo di
relazione con il tempo, con lo spazio e con la storia in generale: “l’Io,
identico e solo, in nessuna relazione con l'esperienza storica temporale e
spaziale.”99 Questo Io in realtà non è l’Io di Gentile, ma è quello criticato da
quest'ultimo. L'attualismo afferma un qualcosa di diverso, ovvero l’Io esiste
proprio perché esiste a priori la relazione tra Io e non-Io. E questa relazione,
attuale, è in realtà il vero Io, ossia quello menzionato da Gentile. Dunque, il
soggetto dell'attualismo è questa relazione attuale a priori, il trascendentale
98 G.Gentile, Genesi e struttura della società, Firenze 2003, p.45. 99 E.Paci, Tempo e relazione, Torino 1954, p.36.
58
che rende possibile la realtà. L’Io è “la realtà spirituale: identità di sé con sé;
ma non identità immediatamente posta, sibbene identità che si pone.”100
Quindi il soggetto è quest'identità in atto tra i due momenti antitetici: l’Io
dunque non è solo, la solitudine è un sentimento o situazione che possono
venir riscontrati nei io particolari intesi in senso empirico, dove gli individui
vengono presi in sé e per sé, separati dagli altri in un tempo e spazio
determinati. L’Io attuale invece non può considerarsi solo, la solitudine lo
riguarda esattamente come tutti gli altri concetti intellettualistici, come
momento, come passato o come eventuale futuro, una sua astrazione e non
realtà concreta: perché in concreto, l’Io attuale è identità di Io e non-Io:
differenziamento di ciò che soltanto alternandosi e realizzando il differente si
riconosce ed è identico a sé. Il Paci non riesce a cogliere in questa citazione
ciò che l'attualismo propone, non riesce a cogliere ciò che non potrà farlo
mai neanche la logica classica, ovvero il principio dialettico del pensiero
pensante: dove per pensiero pensante si intende l'attività del pensiero, unione
attuale dei momenti antitetici ossia, identità in atto (e quindi sempre in
conquista e da conquistare) tra identità e differenza. Quest'attività è l'unico
presupposto possibile del Reale grazie al quale non si finisce nel
dogmatismo. Quindi l'aggettivo di “solo” attribuito all’Io dal Paci
nell'interpretare l'attualismo, è un aggettivo che può essere attribuito all’Io
dell'identità immediatamente posta che è quella del logo astratto; dove
invece l’Io del Gentile è l'identità mediatamente autoponente, e se questo
aggettivo gli dovesse appartenere, gli apparterrà anche l'aggettivo contrario,
perché come già detto, questo è un momento di quello. Il rapporto dell'Io con
la storia, che è la seconda parte della citazione, lo affronteremo nel capitolo
100 G.Gentile, Teoria generale dello Spirito come Atto puro, Firenze 2003, p.238.
59
dedicato appunto al problema della storia. Concludiamo, “la citata critica
all’Io attualistico nasce dunque dal confondere il termine Io (significante il
concreto come relazione e sintesi degli opposti, Io e non-Io) con il termine Io
significante la tesi (la posizione, dunque il primo momento) della sintesi
dialettica, cioè il mero, immediato soggetto, da cui il pensiero (sintesi) si
aliena e che è inattuale quanto lo è il mero, immediato non-Io, od oggetto, o
antitesi.”101
2.9. L’autoreferenzialità
Per evitare ogni forma di intellettualismo la filosofia deve essere
conoscenza del soggetto non opposto al pensiero che lo concepisce, bensì
dello stesso pensiero concepente: e se dunque niente trascende il pensiero ci
troviamo di fronte all’immanentismo assoluto ed il concetto dunque deve
essere considerato come autoconcetto. L’atto puro dunque è autoreferenziale,
e se ogni forma di trascendenza viene negata, tutte i momenti dell’atto puro
sono suoi momenti. Lo spazio è il suo spazio che è lui stesso che si
spazializza , il tempo è il suo tempo che è lui stesso che si temporalizza, il
limite è autolimite, la sintesi è autosintesi, la volontà è autocondizionata e
quindi libera. L’atto del pensiero è libero da condizionamenti esterni, tutto
ciò che sta fuori in realtà si trova all’interno, e sta fuori solo astrattamente e
momentaneamente pronto a essere conosciuto, riscoperto, ricreato, ritrovato
sotto casa.
101 V.A.Bellezza, La problematica gentiliana della storia, Roma 1983, p.39.
60
2.10. Uguaglianza di teoria e prassi e nuova gnoseologia
Come già spiegato, nel pensiero in atto ogni opposizione
irriducibile dei momenti antitetici ricade nel logo astratto. Teoria e prassi non
possono essere staccate, nessuna trascendenza è ammessa. “La critica della
pura soggettività (sempre come critica determinata di una determinata
soggettività) è l'intelligenza della soggettività stessa; come la critica della
pura oggettività sono, si può dire, il soggetto e l'oggetto superficialmente
intesi, e però non realizzati veramente.”102 Il concetto di autoctisi è il
concetto fondamentale dell'attualismo, grazie al quale si riescono a sciogliere
nodi sembrati ormai da tempo insolubili. Il dualismo di teoria e prassi viene
risolto: “È sempre lo spirito che crea se stesso. Arte, religione, scienza,
economia, filosofia, tutto è autoctisi.”103 Dividere la teoria dalla prassi,
equivale di nuovo a voler ripristinare la trascendenza, ovvero il noumeno di
Kant, pensare il soggetto che sta di fronte all'oggetto senza alcuna possibilità
di parteciparvisi: ed ecco la metafora dello spettacolo teatrale, gli attori non
siamo noi ma l'oggetto del conoscere (la natura, il mondo empirico, gli altri,
Dio, la trascendenza, eccetera), mentre noi che siamo il soggetto del
conoscere siamo gli spettatori paganti. Il concetto di autoctisi quindi lega il
soggetto all'oggetto, la teoria alla prassi in modo che il primo sia in relazione
al secondo: ciò significa che noi non siamo gli spettatori paganti, ma
partecipiamo attivamente allo spettacolo. Teoria e prassi sono due momenti
della loro unità, e questo comporta una sorta di responsabilità nei confronti
dello scenario. L'oggetto dipende da noi, la conoscenza di esso dipende da
noi, la conoscenza di esso però non può essere intesa come una scoperta di
102 G.Gentile, Sommario di pedagogia, Bari 1925, vol. II, p.52. 103 G.Gentile, Genesi e struttura della società, Firenze 2003, p.7.
61
un qualcosa che non si conosceva: la vecchia maniera di intendere la
conoscenza dell'innatismo e razionalismo da una parte, come tutto
l'empirismo, dall'altra, che partendo da Parmenide per venti secoli si
contrasta nella storia del pensiero, muovono sempre da quest'idea di un
conoscere, in cui non solo una parte, ma il tutto spetti all'oggetto, e il
pensiero non sia se non passività o contemplazione di quest’ultimo. Non
quindi adeguazione o assimilazione dell’oggetto, perché altrimenti ci
ritroveremmo di nuovo di fronte a una concezione dualistica; solamente se
la conoscenza va intesa come creazione (in questo caso autocreazione e
quindi autoctisi, perché nulla può trascendere lo spirito e quindi la sua
autoreferenzialità) allora il dualismo tra teoria e prassi viene e può venire
risolto. “Tutto infatti quello che si può produrre, tutto quello per ciò che può
essere, viene ad essere in virtù della potenza creatrice di cotale pensiero. Il
quale non sarà il pensiero dei profeti disarmati e dei filosofi senza braccia;
ma il pensiero dell'uomo che ha braccia e ha stomaco, e sta sulla terra che
coltivata dà allo stomaco il pane quotidiano; […] affrontando sempre più
rischiosi cimenti, ma realizzando una forma di umanità sempre più spirituale
e perciò più potente.”104 Gentile oltre al progressismo, cerca di far trasparire
la fatica del conoscere che è inteso come attività autocreatrice, e sembra
trasparire pure anche una sorta di rischio (ma questo rischio, una teoria del
genere oltre che a nominarlo, può effettivamente permetterselo?) del
conoscere. E ancora, “è da dire che non c'è bisogno di agire oltre di
conoscere, né c'è una pratica oltre la teoria, perché l'agire è conoscere, e il
conoscere è agire, e ogni pratica è teoria, perché la teoria, in quanto tale, è
104 G.Gentile, La filosofia dell'arte, Firenze 1931, p.309.
62
essenzialmente pratica.”105 Il concetto di autoctisi cancella dunque ogni sorta
di trascendenza e realizza l'unità assoluta: “Nel logo concreto bensì quella
verità si palesa come quella unità di essere e di pensiero, in cui la moderna
critica ha scoperto il principio d’ogni certezza: l'unità onde l'essere non è più
da raggiungere dal pensiero, perché questo lo ha già in sé e lo produce, e lo
pensa producendolo, come lo produce pensandolo.”106 L'unione tra teoria e
prassi dovuta dal concetto di autoctisi porta definitivamente all'immanenza
assoluta e totale. Ciò significa, che il pensiero in atto oltre a essere dotato di
responsabilità come abbiamo visto poco fa, è anche libero; perché essendosi
realizzata l'immanenza assoluta, ogni limite esterno viene a mancare e i
limiti sono sempre limiti interni, autolimiti: esigenze effimere, momentanee,
metafisiche, astratte ma necessarie, ad ogni modo sue, di sua proprietà
ovvero di nostra proprietà. “Il pensiero è un'affermazione teorica e pratica
della libertà: teorica, perché pensare il pensiero è pensare le libertà; pratica,
perché questo pensiero noi lo pensiamo non presupponendolo, ma
realizzandolo.”107
2.11. Autoctisi e Atto Puro
Tra le varie critiche che sono state fatte al Gentile, c'è anche quella
che afferma che l'attualismo da una parte nega l'immediato, e dunque il
presupposto; e dall'altra ponendosi come teoria generale si afferma proprio
con quelle caratteristiche che nega. Nega le teorie generali presupposte al
105 G.Gentile, Sommario di pedagogia, Bari 1923, vol. I, p.78. 106 G.Gentile, Introduzione alla Filosofia, Milano-Roma 1933, p.227. 107 G.Gentile, Discorsi di religione, Firenze 1920, p.34.
63
pensiero ma al contempo si afferma come tale. Invece bisogna correggere
dicendo che l'attualismo in realtà si pone come teoria generale, ma è una
teoria generale speciale, nega i presupposti del pensiero ma afferma l'attività
del pensiero come presupposto: ciò non significa essere in contraddizione, i
presupposti vengono sempre eliminati ma non viene eliminato del tutto il
concetto di presupposto il quale però deve essere inteso come una specie di
monoposto: c'è spazio solo per l'attività e per nient’altro. Dicendo quindi che
niente presuppone il pensiero se non la sua attività non significa affermare un
presupposto, ma si afferma un presupposto \ non-presupposto; affermando la
teoria generale dell’ attualismo si afferma il trascendentale, il pensiero come
atto: che ripeto, non è né un concetto e neppure una concezione, ma
dialettica pura.
Se il pensiero è autoconcetto, e se è valida l’identificazione tra
teoria e prassi, ogni atto di pensiero è un autocreazione. E questo si basa su
di uno scandalo, che è “Lo scandalo del senso comune.”108 “È questo senso
che, giustamente, si ripete che l'attualismo e la posizione estrema e più
compiuta dell'idealismo post-kantiano. L'Atto come Autoctisi, come unità
sintetica dialettica, nell'attuare spiritualizzandolo e concretamente
realizzando ogni possibile contenuto, che è in sé e per sé un astratto, risulta
senza possibilità di equivoco forma schietta.”109 con questo concetto, si
evitano le conseguenze dualistiche della speculazione neoplatonica, si
rovescia la posizione di Schelling dell'antecedenza della natura rispetto allo
spirito: il presupposto non è originario, e neppure formato, bensì posto e
risolto, diventando: “Non il positivo in quanto posto, […] ma il positivo in
108 G. Gentile, Lo scandalo dell'Autoctisi, in “ Giornale Critico della Filosofia Italiana”, 1943,
pp.313-316. 109 C.A. Sachelli, Atto e Valore, Firenze 1938, p.130.
64
quanto si pone; la forma stessa.”110 L'atto puro di Gentile non è la sintesi che
presuppone i termini da sintetizzare, ma è sintesi trascendentale ovvero sono
i termini da sintetizzare che presuppongono la sintesi. “L’autoctisi gentiliana
è molto più la trasformazione dell'essere di Rosmini e Gioberti in atto
creativo puro, che non l'accettazione dell'essenza sintetica dell'antitesi di
Hegel o di Fichte. Questi non sentono la creazione di me ma solo quella del
mondo e perciò la pongono come sintesi, anziché come quell'atto, nel quale e
per il quale io penso, cioè sono spirito, cioè mi risolvo nell'attività di
coscienza che sono io, non come sintetica cosa del mondo, ma come atto
puro.”111
110 G.Gentile, Teoria generale dello Spirito come Atto puro, Firenze 2003, p.232. 111 P.Carabellese, Cattolicità dell'attualismo, in G.G La Vita e il Pensiero, Firenze 1948, voll.I,
pp.133-134.
65
3. PARTE III: IL PROBLEMA DELLA STORIA
3.1. Introduzione
“La storia del pensiero pertanto nella nuova dialettica diventa il
processo del reale, e il processo del reale non è più concepibile se non come
la storia del pensiero.”112
“La concezione della storia è certo questione centrale nel pensiero
di Gentile. E dai suoi primi fino ai suoi ultimi scritti egli non cessa mai di
ritornarci su, per ribadirne le linee fondamentali, che sono le basi stesse del
suo attualismo.”113 La questione della storia è certamente la parte più
feconda e produttiva di tutta l'opera gentiliana. “Da Giovanni Gentile
abbiamo imparato che dobbiamo imparare il senso storico, la visione storica
dei problemi, le diverse posizioni che problemi hanno assunto e vanno
assumendone lo svolgimento dello spirito, sempre diversamente atteggiato,
sia che a farci dubbi o proponga soluzioni.”114 All'interno di questo problema
si possono distinguere tre aspetti essenziali che ne costituiscono la dottrina: il
primo è il concetto di progresso come svolgimento dell'attività spirituale; il
secondo è l’ identità di filosofia e storia; e terzo, la persona nella storia. I
primi due aspetti li ritroviamo sostanzialmente nelle opere teoretiche più
importanti come la Riforma della dialettica Hegeliana, la Teoria generale e
il Sistema di logica i quali, vengono nuovamente svolti nella successiva
112 G.Gentile, La riforma della dialettica hegeliana, Firenze 1954, p.7. 113 G.Chiavacci, L'attualismo e la storia in “Rivista critica di storia della filosofia”, 1954,
p.588. 114 E.Chiocchetti, La filosofia di Giovanni Gentile, Milano 1925, p.472-473.
66
Filosofia dell'arte. Il terzo aspetto è quello dell'ultimo Gentile (quello
dell'eventuale svolta), ovvero quello di Storicismo e storicismo e dell'opera
pubblicata postuma Genesi e struttura della società115
, ma possiamo
facilmente ritrovarne i prodromi nelle opere precedenti.
3.2. Il concetto di progresso, contemporaneità ed
eternità della storia
“Se noi andiamo a cercare il pensiero nelle forme in cui esso si
viene realizzando - uno Stato, una vittoria, un trattato di pace o un'alleanza,
un istituto, una parola, un poema, un sistema, un quadro, una statua, un
edificio - noi ritroveremo sempre un uomo che pensa: ha un problema, e lo
risolve in quanto realizza un'autocoscienza nella sintesi di un soggetto (che è
il soggetto) con un oggetto (che è l'oggetto del soggetto).116 A quanto pare ci
sarebbe una costante e graduale conquista dello spirito (che ovviamente
conquista se stesso grazie al principio dell'immanenza assoluta e quindi della
negazione della trascendenza) che compie e non può farlo altrimenti se non
dialetticamente e questo eterno svolgimento viene visto anche, ed io direi
soprattutto, come un progresso perché è continuazione del passato nel
presente: il presente è infatti ciò che una volta era presente nel passato, da
seme è diventato frutto, ma il frutto contiene in sé anche il seme oppure se
vogliamo l'adulto ha in sé il fanciullo che una volta era. Dunque possiamo
dire: “La storia è il processo per cui tutta la realtà si mantiene attuale nello
spirito.”117 Ma ciò che è molto importante, questo processo viene visto
115 Vedi la divisione dei periodi in Gentile in “Parte I”. 116 G.Gentile, La filosofia dell'arte, Firenze 1931, pag. 216. 117 M.Casotti, Saggio di una concezione idealistica della storia, Firenze 1920, pag.266.
67
dall'attualismo come progresso: “lo svolgimento dello spirito (che è la storia)
non può non essere progresso, perché lo spirito si sviluppa realizzando la
propria natura, che è la sua finalità immanente, quali che possano essere i
fini particolari variamente proposti dagli uomini secondo la loro determinata
formazione spirituale.”118 “Chi dice fatto spirituale, dice spirito: e dire spirito
e dire sempre individualità concreta, storica: soggetto che non è pensato
come tale ma attuato come tale. Non dunque spirito e fatto spirituale è la
realtà spirituale, oggetto del nostro conoscere; ma puramente è
semplicemente spirito, come soggetto. E come tale essa è conosciuta… in
quanto la sua soggettività si risolve nell'attività reale del soggetto che la
conosce.”119 Dunque, è vero che il pensiero è da intendere come atto puro,
però questa sua attività eterna esiste grazie al suo opposto, ovvero il fatto.
Non bisogna mai dimenticare che ci troviamo di fronte a una dialettica, o
forse di fronte alla dialettica per eccellenza. Ad ogni modo lo spirito
eternamente attuale nel suo svolgersi procede per gradi, il grado successivo è
migliore di quello precedente a patto che il grado successivo sia attuale. La
questione del limite illustra questa situazione: innanzitutto il limite è
necessario, ma come già affermato non è esterno ma interno e quindi si può
anche dire autolimite e ciò comporta che lo spirito, dunque il pensiero in atto
gode, come già detto in precedenza, di assoluta libertà. Libertà la quale per
poter esistere ha bisogno dell'esistenza del suo opposto e quindi del limite.
Quindi in perfetto stile dialettico libertà e limite coincidono e sono
coesistenti. Il concetto di limite può essere espresso in più concetti, come
limite fisico, oppure come limite teoretico, o logico oppure come limite
118 G.Gentile, Il concetto del progresso, in La riforma della dialettica hegeliana, Firenze 1954,
pp.179-180. 119 G.Gentile, Teoria generale dello Spirito come Atto puro, Firenze 2003, p.16.
68
sociale e così via. Nel momento in cui si pensa il limite (momento
inevitabile) in quell’ istante preciso già lo si supera, ad esempio: nel
momento in cui penso ad uno limite fisico, la mia impossibilità di vedere le
persone care a causa dell'eccessiva distanza chilometrica, pensando a loro è
come se la distanza venisse superata; oppure un limite logico, se penso al
nulla esso viene superato nel mio pensar qualcosa che non è nulla; se penso
alla storia, ad un evento storico ecco che esso rivive in me e la distanza o le
distanze e i limiti di tutti tipi vengono a mancare. Il limite quindi è destinato
a essere superato per quel fondamentale principio dialettico-attualistico dove
il logo astratto ha già in sé da sempre la spinta del superamento. “L'eternità
dello spirito, sottratto ai limiti delle cose empiriche da cui è universalmente
supposto, significa l'eternità del suo divenire, cioè del suo essere
indivisibilmente congiunto col suo non-essere: quindi l'eternità del suo limite
(non-essere del suo essere) ed eternità della sintesi del suo essere e del suo
non-essere: superamento del limite, autocoscienza, pensiero, soluzione del
problema.”120 E quindi è l'autosuperamento intrinseco al logo astratto che fa
sì che il pensiero sia sempre in atto e che di conseguenza il logo sia concreto
e che mantenga il divenire. La conclusione di questo ragionamento è dunque
che il divenire puro secondo l'attualismo è collegato al concetto di progresso
mercé la fondamentale importanza del concetto di autosuperamento. Dunque
il limite è destinato a superarsi, ma è un superamento in atto mai fatto
definitivamente, e così il limite viene superato ma anche mantenuto: e in
questo modo il fanciullo vive nell'adulto. Abbiamo detto che il limite può
essere inteso anche in senso teoretico, così anche lo spirito ha i suoi limiti
come gradi. Lo spirito dunque si concretizza nella storia ed è storia, si può
120 G.Gentile, La filosofia dell'arte, Firenze 1931, pp.83-84.
69
dire che ciò è avvenuto attraverso uno svolgimento di gradi tutti connessi tra
loro (perché nulla trascende lo spirito) i quali esattamente come per il limite
non possono che rappresentare l’uno il superamento dell'altro. Il passato
all'epoca rappresentava il presente di un passato precedente, e così via: ogni
passato, e quindi ogni evento storico è momento dello spirito attuale che ne
rappresenta il superamento. Il divenire non si realizza fra essere ed essere,
ma fra il non-essere e l’ essere, non fra fenomeno e fenomeno, ma fra il
fenomeno e il noumeno: è un processo che conduce dal non-essere all'essere,
dall'indeterminato al determinato, processo in cui si opera la sintesi attiva di
essere e di non-essere che costituisce il mondo dell'esperienza spirituale. La
realtà spirituale non è conoscibile nel suo essere definitivo, ma “a grado a
grado nel suo svolgimento. Tutto ciò che costituisce la realtà dello spirito va
risolto nella nostra attività spirituale; ma a grado a grado, instaurando quella
medesimezza unità, in cui la cognizione consiste. Distruggete i gradi dello
svolgimento e avrete distrutto lo svolgimento, ossia la stessa realtà che si
tratta di realizzare, ed intendere.”121 Non c'è nel divenire come già più volte
affermato il puro essere e il puro non-essere, se non come momenti astratti. Il
divenire consiste nel passaggio da un essere meno determinato ad essere più
determinato: quindi parliamo di una successione di eventi o momenti,
ognuno dei quali è il superamento del precedente, e quindi il progresso.
Ognuno di questi momenti può essere inteso dunque come nulla o limite se
considerato rispetto al successivo (dunque grado minore della realtà); ma può
essere inteso anche come l'essere se lo consideriamo rispetto al suo
antecedente, compimento del grado inferiore e meno alienato. “Lo stesso
passaggio dal non-essere all'essere, così inteso, non è emersione dal caos e
121 G.Gentile, Teoria generale dello Spirito come Atto puro, Firenze 2003, pp.20-21.
70
dal nulla della realtà assoluta, ma sviluppo della realtà è sua progressiva
affermazione attraverso forme sempre più progredite e perfette.”122 “Gli
uomini prima sentono senza avvertire, dappoi avvertiscono con l'animo
perturbato e commosso, finalmente riflettono con mente pura.”123 Con questa
degnità il Vico intendeva affermare il concetto del divenire storico come
svolgimento da un minimo ad un massimo di coscienza, fino alla ragione e al
pensiero, il quale, come diceva lo Spaventa, è insieme il principio delle sue
particolari determinazioni e il termine; il supremo ed assoluto grado di
esplicazione. La dialettica per cui lo spirito va sempre più determinandosi è
la stessa per cui esso si afferma e si svolge in quanto pensiero che si libera
dall'errore e dal falso. “Si prenda qualunque errore, e si dimostri bene che è
tale; e si vedrà che non ci sarà mai nessuno che voglia assumerne la paternità
e sostenerlo. L'errore, cioè, è errore in quanto è superato: in quanto in altri
termini sta dirimpetto al concetto nostro, come suo non-essere. Esso è
pertanto, come il dolore, non una realtà che si opponga a quella che è spirito
(conceptus sui) ma è la stessa realtà di qua dalla sua realizzazione: in un suo
momento ideale.”124 La storia è in poche parole fenomenologia dello spirito,
che però non va interpretata esclusivamente come passaggio da una forma
all'altra, da un grado all'altro, ma anche come superamento del grado
precedente a quello successivo e anche come distinzione-unificazione
dialettica delle forme dei gradi come genesi dal presente del passato. Nella
storia non è il presente che deriva dal passato, ma il passato deriva dal
presente, dal pensiero attuale concreto il quale opera la distinzione tra
presente e passato e ne dà la definizione. Siccome non c'è un puro limite, un
122 M.Casotti, Saggio di una concezione idealistica della storia, Firenze 1920, p.171. 123 G.B.Vico, La Scienza nuova prima, Bari 1931, degn. LIII. 124 G.Gentile, Teoria generale dello Spirito come Atto puro, Firenze 2003, pp.234-235.
71
puro non-essere, non si può essere neanche un puro passato e ciò significa
che i momenti della storia non possono essere intesi separatamente assestati
ma tutti collegati come in una catena in cui ognuno è l’antecedente del
susseguente. Gentile non può che confermare la tesi del Croce secondo cui:
”ogni storia è contemporanea, perché si riferisce sempre al presente;”125 ed è
soggettiva, dove per soggetto ovviamente si intende quell’ Io trascendentale
attualistico precedentemente spiegato: “La vera storia non è quella che si
spiega nel tempo, ma quella che si raccoglie nell'eterno dell'atto del pensare,
in cui infatti si realizza.”126 Dove per eterno si intende “quel presente che
non si distende né nell'ultimo secolo, né nell’ultimo cinquantennio, né
nell’ultimo quarto di secolo, né nell'ultimo lustro, e neanche nell’ultimo
anno, o mese o giorno o ora: ma si ritrae, raduna, unifica, consolidandosi
nella unità attuale del presente eterno, fuori del tempo, là dove si attua il
pensiero.”127 “Giustamente perciò è stato detto che ogni storia è
contemporanea perché si riferisce sempre al presente. A un presente, si badi,
da intendere col massimo rigore. […] è il presente, che abbiamo detto di non
confondere con quel presente che media tra passato e futuro: e che è presente
ora, ma fu già futuro, e sarà passato: un presente cioè per sua natura scisso e
però scindibile dall’atto del soggetto, per cui è presente. Il nostro presente
assoluto, che non tramonta e non precipita nel suo opposto: è l'eterno, come
esso riduce nell'atto dello spirito che lo crea, nell'atto del pensiero che pensa,
e penso il vero e nel vero la verità storica degli avvenimenti che proietta nel
tempo dietro al momento attuale. Di conseguenza il pensiero attuale, o
meglio l'attività sintetica a priori è assoluta ed eterna, sovratemporale.
125 B. Croce, Teoria e storia della storiografia, Bari 1920, p.4. 126 G.Gentile, Teoria generale dello Spirito come Atto puro, Firenze 2003, p.265. 127 G.Gentile, Sistema di logica come teoria del conoscere, Firenze 1942, vol. II, p.284.
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Dunque nel divenire dello spirito ogni evento storico non può essere
preesistente o esistente al di fuori di esso, ma è lo stesso spirito che all'epoca
otteneva quelle determinazioni: ciò significa che il fatto storico racchiude in
sé tutta la storia e la sua universalità e quando il fatto diventa atto viene
elevato al piano extra-spaziale ed extra-temporale, di conseguenza nell'atto
del pensiero vive e si concretizza tutta la storia universale passata e futura
nel presente. Lo spirito dunque si manifesta come una fenomenologia di
gradi che vanno da una minima ad una massima consapevolezza in cui ogni
singolo forma grado rappresentano il falso rispetto ad una forma grado
superiore o successivo e inverano la forma o il grado inferiore (antecedente).
Questo processo dialettico non può che essere un processo progressivo, il
Gentile lo fa suo prelevandolo dall’hegelismo e soprattutto dallo Spaventa:
“Chi dice sviluppo dice gradi, stazioni, funzioni, forme diverse di attività.
Così quando si dice: “lo spirito è senso, rappresentazione (immaginazione),
pensiero”, ciascuna forma è tutto lo spirito (il pensiero) in un suo grado di
esplicazione; e il pensiero è il supremo grado, il vero Spirito.”128 La realtà si
manifesta come questo processo dialettico per cui ogni suo momento è
negato e superato da un momento ulteriore; e dunque è inutile dire che con il
progresso dialettico della realtà coincide il progresso dialettico della storia:
“Quando si sia inteso che il sentimento sensibile (che si intende per tutto il
pensabile), il solo sensibile che ci sia, non è fuori, ma dentro di noi e che da
quel sensibile traggono origine vita le cose tutte le persone, in mezzo alle
quali si vive la nostra vita con tutti i nostri interessi e tutte le nostre passioni,
allora ogni passo innanzi nel pensiero, attraverso il quale si viene sempre più
intensamente realizzando la sintesi, che è pure la vita del sentire, è chiaro che
128 B.Spaventa, La filosofia italiana nelle sue relazioni con quella europea, Bari 1909, p.125.
73
non può essere se non un progresso in quel mondo vivo, appassionante e
capace di avviare, scuotere a far vibrare la nostra sensibilità che una volta si
credeva limitato alle cosiddette creazioni dell'immaginazione.”129 Al
concetto del divenire come atto puro dello spirito, cioè come perenne attuarsi
e superarsi, Gentile è pervenuto, nell’ opera la Riforma della dialettica
hegeliana, interpretando la realtà non come arbitrario susseguirsi di stati
d'animo, ma come continuo sforzo di conquista, che per lui vuol dire
elevazione, ascesa dell'umanità verso fini sempre superiori.
3.3. L’identità attuale tra le “res gestae” e l’ “historia
rerum gestarum”
“Quindi, se la natura è natura in quanto precede il pensiero della
natura, la storia invece è storia in quanto coincide con lo stesso pensiero
dello stroico.”130 Il concetto della contemporaneità della storia ci porta al
concetto di identità tra le “res gestae” e l’ “historia rerum gestarum”, ovvero
l'identità tra evento storico e storiografia. Tutto si risolve nella
contemporaneità dell'atto pensante. L'atto storiografico mediante il quale si
deducono le epoche della storia, i suoi momenti nelle sue forme, è lo stesso
atto con cui il pensiero pensante dialettizzante si mantiene attuale il proprio
passato; al di fuori di questo atto non c'è storia così come non c'è filosofia,
così come non c'è nulla. Dunque le “res gestae” non preesistono all’ “historia
rerum gestarum”, in quanto il reale fatto storico non si incontra fuori
129 G.Gentile, La filosofia dell'arte, Firenze 1931, p.223. 130 G.Gentile, Teoria generale dello Spirito come Atto puro, Firenze 2003, p.51.
74
dell’atto del pensiero che gli dà vita. Non ci può essere differenza valida e
concreta tra storia e storiografia, per oggetto e soggetto dell'attività
storiografica. Gentile pone due modi possibili di concepire la storia: il primo
è quello dei storicisti, che non vedono altro che il fatto storico, nella sua
molteplicità, degradandolo e naturalizzandolo per poi affermare la
trascendenza basata sulla ostinata visione empirica della realtà (e quindi
dualista) che divide il fatto storico dall'atto storiografico. L'altro modo, che
ovviamente è quello dell'attualismo, l’atto storiografico si pone come atto
puro dello spirito che tutto riassume in sé, riaffermando nuovamente il suo
concetto di pensiero come atto puro: “La storia dello storicista è la storia
ipostatizzata e privata della sua dialettica; poiché la dialettica consiste per
l'appunto nell’ attualità della molteplicità come unità.”131
3.3.1. Identità di storia e storiografia
Per arrivare a questa unificazione il Gentile parte dalla Scienza
Nuova del Vico richiamandosi al concetto della filosofia come storia
concreta, alla famosa formula del verum et factum convertuntur: “Vero è
quel che si fa: il vero della natura è secondo il Vico, per l’intelligenza divina
che è creatrice della natura stessa; e il vero per l’uomo non può essere quello
della natura, che non è fatta da noi, e nei cui segreti perciò non è dato a noi
penetrare […]. Così nella Scienza Nuova (1725) lo stesso Vico dirà che può
la mente umana conoscere la legge dell’eterno processo storico (ossia dello
svolgimento dello spirito); perché nella mente umana è la causa e la prima
131 G.Gentile, Teoria generale dello Spirito come Atto puro, Firenze 2003, p.198.
75
origine di tutti gli avvenimenti storici.”132 Sostanzialmente, la storia è
concreta solo nell’atto di chi la pensa, fuori da codesto pensiero non è storia
ma natura. Il concetto della storia come storia attuale, soggettiva,
contemporanea, conduce all’identificazione tra storia e storiografia, ovvero
ciò comporta l’identificazione tra le res gestae e l’historia rerum gestarum.
L’atto mediante il quale si produce una storiografia è quello stesso atto con
cui il pensiero mantiene attuale il proprio passato, al di fuori del quale non vi
è posto per alcuna filosofia nè storia. Non c’è una storia pensata che abbia
dinanzi a sé una storia realizzata, ma neppure viceversa: le res gestae non
preesistono all’historia rerum gestarum, ma neppure quest’ultima a quelle. In
definitiva, non c’è alcuna distinzione valida tra storia e storiografia, tra
soggetto e oggetto dell’attività storiografica. “Immanenza per noi
ineccepibile dal momento che si conviene, come s’è convenuto, che il
pensiero non può pensare mai altro che se stesso. Ma essa non cade sotto la
predetta censura se non per coloro che presuppongono - ed è un presupposto
arbitrario, e dimostrato ormai assurdo - che non si possa concepire
oggettività e necessità di conoscenza se non predeterminata rispetto all'atto
in cui la rispettiva conoscenza si realizza. Predeterminazione smentita dalla
storia della storiografia.”133 La quale, che è intesa come l’empirica
metodologia storica, si distingue tra “euristica e critica: la prima rivolta alla
scoperta delle fonti e la seconda alle interpretazioni delle fonti; onde lo
storico s’induce a credere che un punto di partenza, obiettivo, comune,
identico per tutti gli storici ci sia.”134 Ciò comporta queste conseguenze: la
prima, la relatività delle distinzioni e degli usi delle fonti che dipende
132 G.Gentile, Teoria generale dello Spirito come Atto puro, Firenze 2003, p.19. 133 G.Gentile, La filosofia dell'arte, Firenze 1931, pp.101-102. 134 Ivi, p.102.
76
dall'attività storiografica: “La distinzione tra fonti e uso delle fonti ha un
valore relativo ed è soggetta a variazioni continue in funzione dello
svolgimento della storiografia.”135 La seconda è che tutti risultati della
storiografia non possono essere altro che “ragioni ben definite e controllate
con assidua vigilanza del pensiero, […] costituiscono la solida struttura del
pensare storico, e ne generano quella benintesa obiettività che si oppone
all'arbitrio soggettivo di chi afferma e nega leggermente non proprio senza
ragioni di sorta, ma con ragioni superficiali inconsistenti, di cui Tizio si
contenta perché di facile contentatura e infermo di acrisia. Poiché anche qui
c'è chi ragiona sodo, e chi ragiona a vanvera e procede e corre e vola senza
riflessione; ma l'errore non può essere scoperto e sanato se non da quello
stesso pensiero che quandoque dormitat.”136 La terza ovviamente non può
che essere l'affermazione del pensiero pensante del soggetto che: “È la stessa
mente che valuta il documento e pesa le ragioni con cui si scopre la falsità
della cronaca.”137 Pensiero pensante che ha in sé l'errore, il logo astratto: il
quale come già affermato prima, contiene il germe dell’ autosuperamento.
3.3.2. Identità tra storia e filosofia
Come dice bene il Casotti: “La storia tutta è fondamento del
pensiero filosofico. Il quale a sua volta […] è il principio motore non della
sola storia della metafisica, ma di tutta la storia in generale, anche nelle sue
forme apparentemente meno filosofiche. Che, in sostanza, esistono e sono
135 G.Gentile, La filosofia dell'arte, Firenze 1931, p.103. 136 Ivi, pp.103-104. 137 Ivi, p.103.
77
pensabili solo in quanto si possono integrare con quel concreto sistema di
pensiero che, volta a volta, le determina le realizza. Cioè con la filosofia.”138
A questa identificazione il Gentile perviene ancora una volta attraverso la
riforma della dialettica di Hegel, definendola come dialettica del pensiero
pensato opponendola alla dialettica del pensiero pensante che non
presuppone alcuna realtà preesistente alla conoscenza “poiché sa, come ha
dimostrato Kant, che tutto ciò che si può pensare dalla realtà (il pensabile, i
concetti dell'esperienza) presuppone l'atto stesso del pensare. In questo atto
vede perciò la radice di tutto.”139 Ma per spiegarci meglio, ancora una volta
dobbiamo richiamare il Vico e il suo concetto di filosofia come storia
concreta. Questo come sappiamo, è per Gentile il punto di partenza della sua
concezione filosofica che porta all'identità tra l'attività spirituale e il processo
storico. “Quando dunque diciamo “processo storico”, non dobbiamo
rappresentarci i gradi di questo processo come serie spaziale e temporale,
secondo il modo comune di rappresentarsi, astrattamente, lo spazio e il
tempo: quasi linea che nella successione dei suoi punti stia di fronte a noi che
l’intuiamo. Il progresso consiste piuttosto, si può dire, nell'intuizione della
linea: intuizione che costruisce la linea stessa, essendo sempre non essendo
mai se medesima, cioè quell'intuizione compiuta che vuole essere. Il
processo è del soggetto; perché è un soggetto in sé non può essere altrimenti
che statico; e all'oggetto il processo si attribuisce correttamente solo in
quanto esso attualisticamente si risolve nella vita del soggetto.”140 La
conseguenza è che tutto il mondo spazio-temporale si risolve nell'atto del
pensiero, al di là della spazio-temporalità; il processo storico per l'attualismo
138 M.Casotti, Saggio di una concezione idealistica della storia, Firenze 1920, p.143. 139 G.Gentile, La riforma della dialettica hegeliana, Firenze 1954, p.6. 140 G.Gentile, Teoria generale dello Spirito come Atto puro, Firenze 2003, p.198.
78
non può che essere processo filosofico, dove per processo filosofico non si
può intendere nient'altro che il pensiero come sintesi a priori attuale. Dunque
questa filosofia si identifica con la storia, ma è la solita identificazione
dialettica, la stessa che lega il logo concreto con il logo astratto. È
un'identificazione in atto, quindi a priori identici ma allo stesso tempo si
tratta di un'identità da conquistare e costruire. E allora il processo storico è
processo filosofico, la filosofia si identifica con la storia: e non soltanto “a
parte obiecti”, come aveva affermato Hegel, bensì “a parte subiecti”, in
quanto la storia sfocia nella mente dello storico, diventa attuale e quindi
filosofia. La storia dunque è concreta soltanto nell'atto di chi la pensa.
Questo però non va a negare la validità di un ragionamento filosofico situato
storicamente, c'è sempre il principio dialettico del pensiero pensante: “non è
concepibile filosofia che non si fondi sulla storia della filosofia, né storia
della filosofia che non poggi sulla filosofia, poiché la filosofia e la sua storia
sono tutt'uno col processo dello spirito; in cui sarà empiricamente possibile
distinguere una trattazione storica da una trattazione sistematica della
filosofia, e pensare che ciascuno dei termini presupponga l'altro poiché
speculativamente l’uno è proprio l'altro, quantunque in forma diversa, come
diversi sono sempre i vari gradi del processo spirituale astrattamente
considerati.”141 Si può dunque affermare parallelamente alla circolarità del
pensiero pensante, che è quella che coinvolge il logo astratto con il logo
concreto, la circolarità di filosofia e storia: storia della filosofia = filosofia =
storia. “Se il processo della realtà, quella dialettica infinita ed eterna che è il
pensiero, è storia, la filosofia è storia ed è superamento della storia nel
pensamento di essa: è storia viva nel pensiero della storia: pensiero, si badi,
141 G.Gentile, Teoria generale dello Spirito come Atto puro, Firenze 2003, p.202-203.
79
sempre come puro atto, e quindi non limitabile mai con le determinazioni
empiriche della storia frantumata nello spazio e nel tempo: pensiero nostro,
ma assolutamente nostro, perché assolutamente attuale.”142 Di fronte alla
storia intesa come storia dello spirito ci può essere una storia temporale; tutta
la storia e tutta la realtà sono racchiuse nell'atto del pensiero che è eterno
presente.
3.3.3. La piccola storia nella grande storia: il soggetto
empirico come persona e l’errore dello storicismo
Dopo aver spiegato in precedenza il rapporto tra io empirico ed io
trascendentale, vediamo in che modo il soggetto empirico si rapporta con la
storia e come viene sviluppato il relativo concetto di persona. Sappiamo già
che l’Io trascendentale va interpretato come un Noi, e quest'ultimo non nega
gli io empirici ma si trova nell'ormai collaudato concetto di identità attuale (e
quindi dialettica, ossia identità tra identità e differenza) tra io empirico e se
stesso. Tra le tante critiche mosse all’ attualismo c'è anche quella in cui
l'individuo, inteso come “storia piccola”, viene completamente assorbito e
disperso nella “grande storia.”143 “Non c'è dubbio, vi ha pur una storia
generale, una storia che è l'unità di tutte le storie speciali […]; e che è
propriamente la storia avente per oggetto la produttività dello spirito in
142 G.Gentile, L’atto del pensare come atto puro, in La riforma della dialettica hegeliana,
Firenze 1954, p.195. 143 E.Chiocchetti, La filosofia di Giovanni Gentile, Milano 1925, p.219: “Questa storia, dalla
quale noi, come individui particolari, siamo assorbiti, nella quale nulla valiamo a nulla siamo,
la si chiama: “la celebrazione dell'uomo”. Ed è, in realtà, la radicale celebrazione della morte
dell'uomo, della sua eliminazione del teatro della storia della verità”.
80
generale: la storia universale bene intesa, che rappresenta il progresso
dell'umanità nel tempo. Difficilissima storia per certo; ma pur quella che sola
può giustificare ogni storia è ogni ricerca storica particolare.”144 Ma la storia
è l’ individuale che si afferma come tale, come valore, solamente quando si
universalizza., quando cioè diviene qualche cosa che riassume in sé le altre
individualità. Il fatto storico si risolve in atto quando l'individuale che lo ha
determinato non è più semplicemente l'individuale ma è diventato un
universale. Dunque è nell'universalizzazione dell'individuale, il percorso dal
logo astratto al logo concreto, che troviamo il senso della “storia piccola” nel
concetto di persona. Qui possiamo citare in parte G.M. Pozzo: “Lo spirito in
Gentile arriva fin sul punto di sommergere l'individuo, di assorbire tutte le
determinazioni, ma si arresta in tempo. Tanto è vero che richiede all'uomo,
per essere morale, di realizzare un atto che sia il superamento e
l'annullamento di quella primordiale natura in cui egli si trova: nell'atto di
autosintesi l'individuo acquista il “suo” valore e si inserisce nella storia, che
è la positività del presente nel suo atto eterno. Il valore è dell’atto spirituale,
non della natura singola in sé; c'è valore solo nello sforzo che l’io empirico
compie per elevarsi all'io assoluto: ma in questo sforzo il valore c'è, ed è il
solo valore possibile che segna il passaggio dall'essere (natura) al dover
essere (spirito). E questo passaggio altro non è che l’ affermata dialettica del
pensare.145 Il Pozzo coglie in pieno ciò che il Gentile intende come concetto
di persona, allo stesso tempo però afferma (ed è la tesi fondamentale
dell'opera citata) che questo concetto viene successivamente rielaborato,
144 G.Gentile, Il concetto della storia della filosofia, in La riforma della dialettica hegeliana,
Firenze 1954, p.118. 145 G.M.Pozzo, Introduzione alla filosofia della storia di Giovanni Gentile, Padova 1984,
pp.32-33.
81
approfondito e migliorato in Storicismo e storicismo e in Genesi e struttura
della società. Non è questo il luogo per tali discussioni, il tema della tesi è
esclusivamente il rapporto tra alcuni aspetti della problematica gentiliana
della storia e per il momento, la questione del concetto di persona modificato
non viene qui esaminata. Possiamo finire con la citazione: “L'uomo, l'uomo
vivo, e non quello a cui si guarda al di fuori, l'uomo che pensa, che vuole, è
personalità in atto, non soggiace mai ad una natura non sua. Pensate non il
piccolo uomo che vedete chiuso in un metro quadrato nell'istante; ma l'uomo
che ha fatto e fa tutte le belle cose di cui vivete, all'umanità, allo spirito; alla
sua potenza che è pensiero e lavoro (ma lavoro sempre in quanto
pensiero).”146
Possiamo affermare che lo stesso principio che garantisce il
superamento del limite e quindi la validità del concetto di progresso, è quello
che garantisce il concetto di persona come un costante processo di
universalizzazione. La filosofia della storia di Gentile rientra dunque nelle
fila delle filosofie della storia progressiste, anche se il concetto di
autosuperamento del logo astratto riesce a spiegare fino a un certo punto la
circolarità tra storia, filosofia e storia della filosofia: per questo ci pensa la
monotriade attuale intesa sempre come dialetticità assoluta.
“…noi conosciamo due uomini: uno, che è spirito,
l'incondizionato, condizione d'ogni condizionato, atto che pone il tempo e
tutte le cose temporali; l'altro che è esso stesso una realtà condizionata da’
suoi antecedenti. Un uomo eterno e un uomo storico.”147 Ma come concepire
l'eternità nella storia? Il principio fondamentale dello storicismo è “il
146 G.Gentile, La riforma dell'educazione, Milano 1928, p.209. 147 G.Gentile, Teoria generale dello Spirito come Atto puro, Firenze 2003, p.194.
82
concetto della verità di fatto, che si distingue dalla verità di ragione
precisamente per ciò, che questa seconda è conforme alla natura del
pensiero, e il pensiero, quindi, sotto forma di evidenza se la trova dentro;
laddove l'altra gli è esterna, ed esso perciò non riuscirebbe mai a conoscerla
senza uscire da sé. La verità di fatto postula un che di esterno al pensiero, gli
è un antecedente, ne è un presupposto.”148 La posizione degli storicisti nega
ogni valore assoluto eterno nella storia. Però “la storia non è temporale, ma
eterna, senza nulla perdere di tutte le sue determinazioni particolari e
concrete.”149 E così distinguendo tra “res gestae e historia rerum gestarum
[…]; tra historia rerum gestarum già scritta, e il pensiero che la studii e
l’apprenda”150, questo storicismo ci parla di un passato che è tutto, dal quale
il nostro presente dipende: “di una tradizione, che è più reale di noi che
abbiamo bisogno d’innestarvi il fragile stelo della nostra vita individuale.”151
Chi dunque tiene fermo che il fatto storico esiste indipendentemente e
autonomamente dall'atto storiografico, afferma un sistema precostituito, già
realizzato naturalisticamente, un complesso fantastico che obbliga la
storiografia a sprofondare “a capoffitto nei vortici del meccanismo, cercando
la realtà nel passato, nei sepolcri.”152 Chi dunque afferma questo dualismo
non può che distruggere il presente, il quale diventa un prodotto condizionato
dal passato: e quest'ultimo come la pura molteplicità, pura immediatezza si
perde nell'irrilevanza e nell'astrattezza. “Praeterit figura huius mundi; il
traboccare incessante nel presente del passato e lo sparire di tutto quello che
148 G.Gentile, Il superamento del tempo nella storia, in Memorie Italiane, Firenze 1936, p.309. 149 G.Gentile, Introduzione alla Filosofia, Milano-Roma 1933, p.126. 150 G.Gentile, Il superamento del tempo nella storia, in Memorie Italiane, Firenze 1936,
pp.307-308. 151 G.Gentile, Sistema di logica come teoria del conoscere, Firenze 1942, vol. II, p.281. 152 G.Gentile, Il superamento del tempo nella storia, in Memorie Italiane, Firenze 1936, p.308.
83
il pensiero prova ad affermare quale contenuto della realtà. Il mondo viene
ad essere una flagrante evanescenza di tutto il pensabile”153, nell'istante in
cui, pretendendo l'autonomia delle “res gestae”, si vuole percepirlo nella sua
oggettività: “un’angosciosa antinomia: Il passato è tutto; il passato non è
nulla.”154 “Perché una volta entrati su questo terreno in cui il pensiero ha
storicamente un presupposto, una volta che esso stesso entri nel tempo, la
stessa verità di ragione diventa una verità di fatto, perché l'eterno condiziona
esso stesso il temporaneo; non essendo possibile escludere l'eterno dalla
realtà comunque presupposta al pensiero che ne è condizionato.”155 È questo
l'errore dello storicismo “che sorge appunto sul concetto che la storiografia
abbia per presupposto la storia. Concetto assurdo come tutti i concetti delle
altre metafisiche; ma fecondo di peggiori conseguenze com’è sempre più
pericoloso ogni nemico che sia riuscito a penetrarci in casa e
nascondervisi.”156 Ancora una volta c'è da considerare il rapporto tra il logo
astratto ed il logo concreto: “In astratto c'è la molteplicità, il più e il meno, la
storia in tempo, il progresso dal meno al più: ma in concreto c'è l'unità che fa
tutto questo e dà tutto questo.”157 Dunque per la storia non ci possono essere
condizioni di spazio e tempo astrattamente intese. “Il che non vuol dire che
la storia si debba fare senza cronologia e senza geografia. Vuol dire soltanto
che tutte le determinazioni particolari appartengono all'aspetto astratto della
storia: a quella raffigurazione esteriore che la storia assume in quanto
l'artefice interno, che ne è il soggetto, gliela fa assumere, realizzando
153 G.Gentile, Il superamento del tempo nella storia, in Memorie Italiane, Firenze 1936, p.309. 154 Ibidem. 155 Ivi, p.310. 156 Ivi, p.308, corsivo mio. 157 G.Gentile, Introduzione alla Filosofia, Milano-Roma 1933, p.132.
84
eternamente sè stesso nel ricco e complesso quadro degli elementi molteplici
onde consta e si organizza la realtà storica. […] può dirsi che la storia in
tempo sia la parte e che la storia eterna sia il tutto poiché l'astratto non è
fuori dal concreto, anzi ne è il contenuto.”158 Dunque la dialettica dell'atto
puro non può che portare queste conseguenze, che il passato e il presente
sono identici, ma identici allo stesso modo dell'identità attuale tra identità e
differenza: come lo spazio e il tempo, come soggetto e l'oggetto, come l’ Io e
il non-io, come il logo astratto ed il logo concreto; il presente e passato sono
identità che si attua e quindi a priori identici, e contemporaneamente identità
da conquistare. “In verità, che cosa è il passato? Il pensiero si attua,
acquistando coscienza di sé, realizzandosi come autocoscienza, o Io.
Nell’atto dell’autocoscienza egli si pone come soggetto di sé, e come
oggetto. […] Questa opposizione o reciproca negazione immanente all'atto
del pensiero è la creazione simultanea dei due termini, entro i quali si
svilupperà tutto il mondo del pensiero. Uno il soggetto, molti l'oggetto,
libero il soggetto, necessario l'oggetto, presente soggetto e passato
l'oggetto.”159
3.3.4. Distinzione tra passato e passato
Ci sono due tipi di passato, e dunque due tipi di storicismo: “il
concetto concreto del passato inattuale, che è contenuto nel presente (che
perciò non gli succede, e non è da confondere col presente che media tra
158 G.Gentile, Introduzione alla Filosofia, Milano-Roma 1933, p.133. 159 G.Gentile, Il superamento del tempo nella storia, in Memorie Italiane, Firenze 1936, p.310.
85
passato e futuro); e il concetto astratto del passato, che si ritiene attuale nello
stesso piano del presente (momento storiografico).”160 Tutto ruota attorno
all'interpretazione del rapporto tra le “res gestae” e l’“historia rerum
gestarum”, due possibili interpretazioni, due tipi di storicismo. Per coloro i
quali le prime hanno una realtà a sé stante, esse si reggono sull’affermazione
delle categorie presupposte e quindi pseudostoriche, inventandosi rapporti tra
concetti di vario genere, come ad esempio: ”il concetto, in primo luogo, di
natura umana, con i concetti subordinati di religione naturale e così via; poi
concetto di costume, quasi secondo natura, legge, istituzione; poi ancora, il
concetto de’ fattori o delle cause storiche (clima, razza, ambiente); il
concetto di società staticamente concepita; il concetto di legge storica; e
tanti altri concetti connessi con questo, dominanti nella metafisica o nella
scienza della storia; la quale nella sua spiritualità e attualità non è materia di
metafisica, né propriamente di scienza.”161 Tutto ciò che trascende l’attività
pensante o la categoria autosintesi in realtà non si può affermare come
evento storico, ma noi sappiamo che questo è impossibile e dunque: “Tutte le
categorie sono pseudostoriche fuori dell'unica categoria attuale in cui si
devono risolvere: tutte sono legittimamente storiche, in quanto sboccano
nell’ autosintesi dell'atto spirituale, sola vera categoria concreta della realtà
che realmente si pensa.”162 Dunque tutto dipende dall’attività sintetica del
pensiero attuale, nel momento che parlo di un fatto storico lo faccio rivivere
e quell’evento non può non essere reinterpretato e condizionato dalla mia
forma mentis attuale. Il passato lo si conosce sempre come presente: questo
vale non soltanto per me, ma per ogni storico che si cimenta nel suo lavoro,
160 G.Gentile, Sistema di logica come teoria del conoscere, Firenze 1942, vol. II, p.282. 161 Ivi, p.297. 162 Ivi, p.300-301.
86
anche per quelli vecchio stampo che non possono e non potranno mai per
alcuna ragione al mondo riconoscere l’identità tra fatto storico e atto
storiografico. “La concezione dialettica della storia è possibile soltanto a
condizione che in essa non si vegga un passato, ma lo stesso presente: che lo
storico cioè non si stacchi dalla sua materia, e non faccia delle res gestae
l’antecedente perfetto e consumato dalla historia rerum gestarum.”163
3.4. Storia e “precorrimento”
La filosofia italiana della prima metà del Novecento è
profondamente condizionata da questa particolare teoria presentatasi come
teoria generale, nata a sua volta dalla hegeliana dialettica con il fine di
rimuovere definitivamente i residui intellettualistici ereditati dal passato, dai
quali il filosofo di Stoccarda non riuscì completamente a liberarsi. Questi
residui portano diversi nomi come trascendenza, naturalismo,
intellettualismo e via dicendo, a seconda della prospettiva da cui si guarda.
Questa teoria generale, come abbiamo visto, pone l’attualità del pensiero
come unico fondamento possibile della realtà universalmente concepita,
pensiero sovratemporale che nel tempo si presenta e lo dirige. La storia
dunque è guidata da un principio trascendentale e non è altro che l’attuazione
di esso. Il cammino del pensiero è il cammino della storia. Possiamo dire
però, che l’opera di Giovanni Gentile trova la sua degna collocazione nel
panorama europeo dell’epoca, il quale guidato dallo Jaja, avviò un intenso e
costante processo di sprovincializzazione della filosofia italiana alla luce e
sotto l’influenza dello Spaventa, ossia mirò a ricostruire l’asse storico della
163 G.Gentile, Teoria generale dello Spirito come Atto puo, Firenze 2003, p.51.
87
tradizione filosofica italiana dell’Ottocento ponendola in rapporto con la
filosofia tedesca da Kant a Hegel e rivendicandone l’originalità nel
progressivo compimento di un circolo filosofico che da Galluppi conduce a
Gioberti come da Kant aveva condotto a Hegel. Gentile dunque parte
dall’hegelismo di Spaventa e dalle ricerche sulla storia della filosofia
italiana, le quali proseguiranno fino ad arrivare a designarne un quadro
generale compiuto dall’aristotelismo della Scolastica medievale al pensiero
rinascimentale, con speciale riferimento a Vico e a Bruno, ma più in generale
al positivismo di fine Ottocento. La storia dunque è intesa spaventianamente
dal Gentile come circolo il quale a sua volta è costituito da precorrimenti. La
domanda che sorge è se l’attualismo, in campo storico e storiografico (ma
anche in generale essendo una teoria della totalità), possa effettivamente
sostenere una logica dei precorrimenti, e se quest’ultimi non siano in realtà
essi stessi un residuo intellettualistico irriducibile come da principio
all’attualismo stesso, ossia presupposti all’attività pensante?
Il principio fondamentale della storia è rappresentato dalla
riduzione dell’intero universo all’atto puro del pensiero e ogni realtà è
condotta alla risoluzione nella presente storia dello spirito. La storia è il
contenuto necessario del logo concreto, che ne è la forma, è A = A, è il
prodotto dello spirito. Il metodo pricipale della storiografia attualistica, il
metodo dell’immanenza, sta nel fatto di intendere concretamente questo logo
astratto. Lo spirito si manifesta come una fenomenologia di forme e gradi
che vanno da una minima a una massima consapevolezza (come abbiamo
visto in precedenza lo spirito è inteso come autocoscienza) e in ogni singola
forma o grado rappresentano il falso (l’errore, il logo astratto) rispetto ad una
forma o grado superiore e successivo, inverando la forma o grado inferiore
88
precedente: “Chi dice sviluppo dice gradi, stazioni, funzioni, forme diverse
di attività. Ora quel che si sviluppa è il principio stesso universale della
esplicazione, de’ varii gradi o funzioni. Questo principio – Psiche, Anima,
Mente, Ragione, Pensiero, Spirito – dà a se stesso, appunto in queste
funzioni o forme, una realtà determinata; e allora ha finito la sua
esplicazione, quando è arrivato o meglio ritornato a se stesso, cioè quando si
è attuato in una forma adeguata alla sua universalità o idealità. […] Così
quando si dice: “lo spirito è senso, rappresentazione (immaginazione),
pensiero”, ciascuna forma è tutto lo spirito (il pensiero) in un suo grado di
esplicazione; e il pensiero è il supremo grado, il vero Spirito.”164 La realtà si
manifesta come processo dialettico, per il quale ogni momento dialettico è
negato e superato da un momento ulteriore e con ciò coincide il
precorrimento nella storia ed il suo progresso dialettico inteso come
progressus ad infinitum.
La base del discorso resta sempre il concetto di dialetticità del
pensiero pensante il quale è l'unico a poter essere considerato come
categoria, unica categoria della realtà. Il concetto dunque di pensiero come
atto puro è l'unico concetto che può venir presupposto, categoria
autosintetica come abbiamo più volte accennato. Ma “sono possibili tre
diversi concetti della categoria che rappresentano anche le tre forme storiche
della logica: 1. La categoria-predicato; 2. La categoria-funzione; 3. La
categoria-autosintesi.”165
La prima categoria ovviamente si lega alla logica antica, in primis
ad Aristotele che come presupposto all'attività pensante veniva posta la
164 B.Spaventa, La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea, Bari 1909,
p.125. 165 G.Gentile, Sistema di logica come teoria del conoscere, Firenze 1942, vol. II, p.115.
89
teoria analitica del giudizio: “quell'analisi senza sintesi, per cui il predicato si
stacca dal soggetto.”166 Ossia quella teoria logica, che mentre tratta il logo
come logo astratto, assume nel logo astratto tutte le possibili determinazioni
che appartengono soltanto al logo concreto, supponendo una “molteplicità di
concetti, ciascuno dei quali separabile dagli altri, a cominciare dai due
termini del giudizio, scambiati per due concetti, ossia per due noemi
autonomi e per sé stanti.”167 Questo tipo di categoria analitica avrebbe
dominato incontrastata fino alla filosofia moderna che avrebbe scoperto due
nuove logiche contrarie all'aristotelismo nate dallo stesso bisogno comune:
“sempre per lo stesso bisogno di sottrarsi all'astrattezza di un immediato, che
è essere e non è pensiero.”168 Una è quella che si situa a metà tra la
categoria-predicato e la categoria-funzione, che è quella di Bacone che
riprende l'induzione socratica; l'altra chiaramente è la categoria-funzione o
logica della sintesi a priori di Kant. La logica dell'induzione “finita prima di
Kant nello scetticismo di Hume, è risorta nel secolo XIX con l'empirio-
criticismo, che anacronisticamente tentò rinnovare, dopo l'idealismo
trascendentale, il concetto astratto dell'esperienza mal battezzandola per
esperienza pura, a cui si era ispirato l'empirismo inglese: esperienza intesa
come funzione costitutiva del sapere: non come posizione del soggetto e
dell'oggetto, anzi come sola possibile rivelazione della realtà trascendente
dell'uno o dell'altro.”169 A questo punto si arriva alla categoria-funzione la
quale svolgendosi da Kant ad Hegel “si mette sulla via regia dello
spiritualismo, risolvendo l'astrattezza del logo, poiché immedesima l'essere
166 G.Gentile, Sistema di logica come teoria del conoscere, Firenze 1942, vol. II, p.115. 167 Ivi, p.116. 168 G.Gentile, Sistema di logica come teoria del conoscere, Firenze 1940, vol. I, p.170. 169 Ivi, p.170-171.
90
col pensiero e capovolge finalmente la posizione parmenidea: com'era
possibile solo negando ogni presupposto del pensiero.”170 Questa nuova
logica “poneva il problema delle categorie del logo concreto, e cominciava a
crollare l'antica fede nella sufficienza del logo astratto.”171 Il cammino verso
il raggiungimento della categoria-autosintesi passa poi per l'idealismo
tedesco: “la via per cui chi mette dopo Kant la logica trascendentale, dalla
Dottrina della scienza di Fichte alla Scienza della logica di Hegel. Nella
quale l'idealismo trascendentale è diventato idealismo assoluto: il
fenomenismo, acquistato più matura coscienza di sé, vuol essere
fenomenismo assoluto (senza noumeno).”172 Ma anche esso “è un
antecedente ideale del pensiero umano o attuale, al quale non perviene se
non per la mediazione della natura. […] Il pensiero, perciò, come pensiero
attuale, non può che adeguarsi al logo; nel quale ha una legge che lo
trascende, e a cui deve obbedire. Sicché la logica che dà norma al pensare,
anche per Hegel, è quella che è di là dal pensiero attuale, ed è, rispetto a
questo, immediatamente, naturalmente.”173 La volontà di Hegel era di
raggiungere il concetto che “la realtà è lo stesso pensiero, e il vero, il solo
reale concetto, è lo stesso concepire: o, come egli dice nella Fenomenologia,
che tutto il sapere si risolve nel sapere assoluto, cioè nell'idea, come sistema
delle categorie, nel senso kantiano: che è appunto il principio della nuova
dialettica.”174 La sua filosofia è in realtà “sistema chiuso di categorie, che si
ponga esso stesso immediatamente innanzi al soggetto. Pericolo cui non
170 G.Gentile, Sistema di logica come teoria del conoscere, Firenze 1940, vol. I, p.172. 171 G.Gentile, Sistema di logica come teoria del conoscere, Firenze 1942, vol. II, p.119. 172 Ivi, p.125. 173 Ivi, p.310. 174 G.Gentile, La riforma della dialettica hegeliana, Firenze 1954, p.8.
91
sfugì [...]. Nè invero è possibile (a queste condizioni) sfuggirvi.”175 Riduce
tutta la realtà ad una triade, che non è quella attualisticamente intesa come
“una triade sola (essere, essenza e concetto), il cui terzo termine è l’unità dei
primi due; e ciascuno si articola e riarticola in categorie subordinate, ma tutte
congiunte e organizzate e unificate sempre secondo lo stesso sistema,
fondato sopra il numero tre, che, [...] non è propriamente numero nella sua
funzione logica”176, bensì principio d'azione creatrice o volontà pensante. E
si arriva dunque alla categoria-autosintesi la quale “categoria non è predicato
che assorba in sé il soggetto, come accade nella logica aristotelica, né
funzione, che, pur volendo essere sintesi a priori, cacci fuori di sé la materia,
l'esperienza e quindi la realtà (che è soggetto del giudizio), come accade
nella logica trascendentale, la quale invece di risolvere il logo astratto nel
concreto, finisce col risolvere il logo concreto nell'astratto.”177 E di seguito il
compimento della storia dello spirito nell’attualismo di Gentile: il cammino
del pensiero e quindi della storia confluisce “nella logica del concreto, che è
l'unica logica in cui il pensiero pensa la verità, la categoria è autosintesi; e
come tale non è solo funzione, come si volle dalla logica trascendentale, sì
anche predicato, come si disse dalla vecchia logica analitica.”178 Poiché, se
correttamente concepita, la sintesi è a priori in modo che nel suo
autoprodursi, si attui come quell'atto che è unico e duplice ad un tempo, una
relazione e due termini distinguibili, anzi distinti tra loro, ma con un'analisi
che non si sottragga l'azione immanente della sintesi. La categoria-
175 G.Gentile, Sistema di logica come teoria del conoscere, Firenze 1940, vol. I, p.172,
parentesi mie. 176 G.Gentile, Sistema di logica come teoria del conoscere, Firenze 1942, vol. II, p.126. 177 Ivi, pp.129-130. 178 Ivi, p.130.
92
autosintesi è infatti l'unità della categoria-predicato e della categoria-
funzione: della prima come pensamento dell'astratto logo astratto, e della
seconda come pensamento dell'astratto logo concreto. Dunque la conclusione
di tutto il discorso è che la categoria-autosintesi è l'identità attuale delle due
categorie precedenti: “non solo funzione, come si volle dalla logica
trascendentale, se anche predicato, come si disse dalla vecchia logica
analitica. La categoria-autosintesi è infatti l'unità della categoria-predicato e
della categoria-funzione: di quella come pensamento dell'astratto logo
astratto, e di questa come pensamento dell'astratto logo concreto.”179
Abbiamo appena assistito a come nel Sistema di logica la storia della
filosofia viene ridotta alla storia della gnoseologia, ad una catena di concetti
teoretici.
179 G.Gentile, Sistema di logica come teoria del conoscere, Firenze 1942, vol. II, p.361.
93
4. PARTE IV: IL “PRECORRIMENTO” E LA CRITICA DI
PAOLO ROSSI
4.1. Introduzione
Come abbiamo visto il cammino della storia coincide con il
cammino del pensiero, il quale nella storia si manifesta come un processo
formato da gradi via via sempre più immanenti. Il vecchio storicismo che
afferma la realtà concreta delle res gestae (il dato postulato) si pone dalla
parte della metafisica positivista, invece “Il nuovo idealismo italiano, quello
che si riallaccia al pensiero del De Sanctis e dello Spaventa - e quindi
all'idealismo moderno che procede da Kant a Hegel - e che ha i suoi
esponenti maggiori nel Croce e nel Gentile, si presenta nel suo motivo
dominante come il più deciso contrapposto del positivismo che aveva tenuto
il campo, quasi senza contrasti, nella seconda metà del secolo XIX. Il
positivismo ha rappresentato la metafisica dello scienziato, e cioè
l'espressione più rigorosa dell'atteggiamento intellettualistico di fronte alla
natura postulata come il dato da conoscere.”180 Il cammino del pensiero si
esplica nei tentativi di liberazione dal positivismo, dall'intellettualismo o da
ogni forma di trascendenza; e culmina come abbiamo visto nell'attualismo di
Gentile: “il quale è giunto in Italia all'eliminazione radicale di ogni residuo
naturalistico, e all'affermazione dell'assoluta immanenza del reale nell'atto
spirituale. Immanenza che si contrappone a tutte le forme possibili di
trascendenza, e quindi non solo a quella più propriamente realistica
180 U. Spirito, L'idealismo italiano e i suoi critici, Firenze 1974, p.17.
94
dell'oggetto in confronto del soggetto, ma anche quella della pluralità dei
soggetti monadisticamente concepiti.”181 E ancora, sempre secondo Ugo
Spirito che “precisava nel suo volume Il nuovo idealismo italiano del 1923:
“il processo del pensiero italiano” è un processo che va “dal positivismo
all'idealismo, dalla trascendenza all'immanenza, dalla scienza alla
filosofia.”182
Dunque, siamo di fronte ad una filosofia della storia progressiva,
la quale è caratterizzata dalla riduzione di ogni evento storico all'attività del
pensiero puro contro ogni forma di positivismo. I fatti storici sono concetti
dell'Io trascendentale, i quali sono tutti concatenati in un circolo teoretico di
precorrimenti, e acquistano il significato in base alla posizione che hanno
all'interno della catena.
4.2. Spaventa e la teoria della “Circolazione del
pensiero”
Il Tessitore riporta che “aprendo gli Studii sopra la filosofia di
Hegel, Spaventa lamentava che “sono molti ancora in Italia, i quali tacciono
di astratta ed oscura la filosofia alemanna, e reputandola contraria alla natura
speculativa dell'ingegno italiano, si contentano di una maniera di sapere, che
non ha nessuna connessione con la nostra tradizione filosofica, è un perpetuo
oltraggio alla memoria dei nostri sommi ed infelici pensatori, e la principale
cagione del decadimento della scienza tra noi.” Al contrario, per lui “non i
nostri filosofi degli ultimi duecento anni, ma Spinoza, Kant, Fichte,
Schelling ed Hegel, sono stati i veri discepoli di Bruno, di Vanini, di
181 U.Spirito, L'idealismo italiano e i suoi critici, Firenze 1974, p.18. 182 Pietro Rossi, Gli obiettivi polemici e il rapporto con l'idealismo classico, in AA.VV., Il
neoidealismo italiano, a cura di P.Di Giovanni, Roma-Bari 1988, pp. 214-15.
95
Campanella, di Vico”. “La storia della filosofia italiana è continuata nella
storia della filosofia germanica” e perciò “noi dobbiamo continuare la nostra
tradizione filosofica dal punto a cui essa è giunta sviluppandosi nel
movimento speculativo degli intelletti in Germania.”183 Questo è stato, come
è noto, uno dei motivi principali, se non proprio il motivo principale, della
storiografia di Spaventa e del Fiorentino anche se non nato con loro, basta
ricordare il Gioberti e il suo Del primato morale e civile degli Italiani del
1843, oppure il Cuoco e il suo Platone in Italia del 1806, o addirittura il De
antiquissima italorum sapientia di Vico del 1710. Gentile prende spunto
dallo Spaventa per elaborare la propria filosofia della storia. In particolare si
riferisce alla Prolusione e introduzione alle lezioni di filosofia nella
università di Napoli, 23 novembre - 23 dicembre 1861.184 Qui lo Spaventa
formulava la sua teoria della “circolazione del pensiero italiano”185
fondamentale per Gentile, il quale afferma che questa teoria scorge “quasi
intera l’immagine del nostro pensiero intrecciato col moto generale della
speculazione europea: donde quella formola della circolazione del pensiero
italiano, che designa uno dei risultati maggiori e delle più incontestabili
benemerenze degli studi di lui.”186 La quale aveva “due parti essenzialmente
183 F.Tessitore, Il neoidealismo italiano, ovvero il circolo della filosofia italiana con la filosofia
tedesca, in Il neoidealismo italiano, Roma-Bari 1988, p.4.
Su Spaventa vedi pure P.Casini, L’antica sapienza italica. Cronistoria di un mito, Bologna
1998, pp.272-276 e pp.297-308. 184 Che successivamente è stata ripubblicata da Gentile con note e appendice di documenti, col
titolo: La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea, Bari, 1909. 185 Opera scritta in risposta ai giobertiani (ovvero al prof. Palmieri, suo immediato predecessore
sulla cattedra di Logica e metafisica all'Università di Napoli), i quali sostenevano che Spaventa
avesse tradito la tradizione filosofica nazionale per una filosofia straniera, in questo caso per
l'idealismo di Hegel. 186 G.Gentile in B.Spaventa, La filosofia italiana nelle sue relazioni con quella europea, Bari
1909, p.XIII.
96
distinte”: la “critica dei nostri filosofi del Risorgimento, in quanto
precorrono la filosofia moderna”; e la “critica del Galluppi, del Rosmini e
del Gioberti, in quanto il loro pensiero rinverga coi risultati più importanti
del pensiero speculativo europeo.”187 Come ci ricorda bene il Bellezza188,
Gentile non si limita a copiare la teoria dello Spaventa, ma la rielabora nella
serie del lungo saggio su La filosofia in Italia dopo il 1850.189 Noi sopra
abbiamo però affermato che Gentile prende soltanto spunto da quest'idea, e
se di diverso tra le due teorie c'è il concetto di nazione (come ci riferisce
sempre il Bellezza), comunque rimane, e questo è di importanza cruciale, il
concetto di “circolazione” e quindi di precorrimento. Dunque non si può
parlare di “Circolazione del pensiero italiano”, perché il concetto di nazione
italiana, come ogni concetto di nazione, è inficiato di naturalismo, estraneo
alla dialetticità del pensiero pensante: “è un concetto non sostenibile né
storicamente, né filosoficamente, fondato su una rappresentazione fantastica
della nazione, come qualche cosa di esistente in sé […] La nazione non può
più chiudersi in se stessa: perché dire spirito è lo stesso che dire universale.
[…] Né quindi è possibile concepire né pur (ad esempio ) la Cina ristretta in
se medesima, e spiegarne la storia prescindendo dal movimento universale
dello spirito.”190 Quindi, la differenza sostanziale tra Gentile e Spaventa è
che lo Spaventa pensava alla “circolazione del pensiero italiano” in Europa,
187 F.Tessitore, Il neoidealismo italiano, ovvero il circolo della filosofia italiana con la
filosofia tedesca, in AA.VV. Il neoidealismo italiano, a cura di P.Di Giovanni, Roma-Bari
1988, p.13. 188 V.A.Bellezza, La problematica gentiliana della storia, Roma 1983, pp.289-291. 189 Uscito nella “Critica” nel 1903-1914, poi pubblicata in volume in Le origini della filosofia
contemporanea in Italia, 4 voll., Messina 1917-1923. 190 G.Gentile, Le Origini della Filosofia contemporanea in Italia, Messina 1923, vol. III, parte
2, p.127, parentesi mie.
97
mentre Gentile lo intendeva come “circolazione del pensiero universale”:
“La nostra filosofia del Rinascimento è bensì italiana, ma è europea, e non
soltanto europea. […]. La filosofia moderna, se pur era partita una volta
dall'Italia, c'era già tornata a più riprese prima che vi riapparisse con Kant nel
Galluppi. E la circolazione era stata continua: perché se Telesio influì su
Bacone ed è indubbio che Cartesio abbia preso qualche cosa da Bruno e da
Campanella, Spinoza per certo che debba non poco a Bruno, e Leibniz, più
tardi, confessa di dovere qualche cosa a Campanella, e insomma si ritorna
sempre a rifarsi del pensiero italiano.”191 Quindi, con la teoria della
circolazione del pensiero in senso universale, il Gentile riesce a trovare la
continuità del processo del pensiero italiano, dal Rinascimento al Vico e da
questo al Gioberti, cosa che non riuscì fare Spaventa perché la sua idea di
circolazione era legata al concetto di nazione e dunque a un fatto
naturalistico. Questo, in breve sono le differenze tra i due192, ma rimane
l'idea di fondo della circolazione, della concatenazione e dei precorrimenti
concettuali, spostati da un livello, possiamo dire particolare, ad un livello
universale.
191 G.Gentile, Le Origini della Filosofia contemporanea in Italia, Messina 1923, vol. III, parte
2, p.129. 192 Come ci ricorda il Bellezza.
98
4.3. La critica di Eugenio Garin193
Per Garin, l'idealismo di Gentile rappresenta un tipo di
storicizzazione che “interpretando in modo deteriore Hegel, esaspera
l'aspetto astratto e speculativo della filosofia, e narra una storia di idee che
nascono da altri concetti, muovendosi perennemente sul circolo di una falsa
autonomia dello spirito.”194 Mentre ci sarebbe un altro tipo di
storicizzazione, la quale invece “accerta e indaga la matrice biologica e
culturale di idee e concetti e narra, attraverso le idee e i concetti, la storia
reale, dell'uomo come ente che vive nella natura e nella società condizionato
anche se non determinato dalle situazioni biologiche, economiche,
psicologiche e culturali.”195 Che è in realtà, quest'ultima (sempre secondo
Garin), una storiografia anch'essa erede di Hegel, quello che ha ribadito
l'impossibilità di staccare le concezioni e le idee dal mondo che lo esprime. Il
Bellezza, il quale riporta queste citazioni, critica le posizioni di Garin ritiene
di dimostrarne la loro insostenibilità. Ma, a mio modesto modo di vedere, lo
fa solo da un punto di vista teorico. Quindi, dal punto di vista attualistico è
facile dimostrare che la filosofia non può essere astratta, e che lo spirito non
può essere condizionato se non da se stesso. E in più, essendo l'attualismo
una filosofia che si basa sulla dialetticità del pensiero pensante, sempre
secondo il Bellezza, il Garin sbaglia a intenderlo come “mera interiorità
senza esteriorità, ossia […] come autosufficienza dello spirito, fuori della
193 Per un approfondimento sull’argomento, vedi le ricerche più recenti di M.Ciliberto, Figure
in chiaro – scuro, in Filosofia e storiografia del Novecento, Roma 2001, pp.35-38; e di C.Cesa,
E.Garin tra Croce e Gentile, in “Giornale Critico della Filosofia Italiana”, 2009, pp.299-328. 194 V.A.Bellezza, La problematica gentiliana della storia, Roma 1983, p.295. 195 Ibidem.
99
natura e della storia, fuori della realtà, vuoto della realtà, bensì come
risoluzione della realtà tutta (natura e storia) nello spirito.”196 Dunque, non è
vero che l'attualismo non indaga e non accerta la matrice biologica e
culturale dei concetti, dell'uomo come essere vivente della società,
condizionato da tutto e da tutti, ma al contrario, siccome c'è l'uguaglianza
attuale dei momenti antitetici, tra particolare e universale, tra uno e molti, tra
l'individuo e la società, quindi non può mancare l'uguaglianza attuale tra
questi due storicismi. L'attualismo, come dice il Bellezza, non distrugge
questo tipo di storicismo, ma è da qui che parte e si fonda. Di conseguenza,
la tesi di Garin, secondo Bellezza non è sostenibile. Tutto si basa sul
rapporto tra il logo astratto e il logo concreto, un rapporto particolare, che è
presupposto al pensiero, ma contemporaneamente non lo è, è una differenza
in divenire (come dice più avanti lo stesso Bellezza) e non differenza statica.
Sulla scia di queste considerazioni e di questi presupposti, potrebbe anche
aver ragione Bellezza: lo spirito in realtà è autonomo alla fin dei conti, in
quanto è impossibile pensare un qualcosa al di fuori dell'attività pensante. I
limiti e i condizionamenti sono tutti interni, pensati erroneamente come
esterni, anche se bisogna ammettere la necessità dell'errore per poter
mantenere in atto il pensiero. La critica di Garin però, andrebbe inserita su di
un altro piano: è indubbio che da un punto di vista logico (dove per logica
s'intende la dialettica attualistica) la tesi di Garin non può stare in piedi, ma
cosa succederebbe se si cambiasse la prospettiva? Tutto vero, fin qua, solo
l'attualismo può permettersi il lusso di avere un presupposto al pensiero,
perché il concetto di atto è, e contemporaneamente non è (perché ha da farsi)
un concetto. Ovvero, l'unico presupposto al pensiero è l'atto del pensiero.
196 V.A.Bellezza, La problematica gentiliana della storia, Roma 1983, pp.296-297.
100
Cosa succederebbe se a questo presupposto/non presupposto si aggiungesse
un qualcosa che ha ancora un legame con la trascendenza? Quello che
voglio segnalare, prendendo spunto dalla critica di Garin, è un pericolo: il
pericolo di cadere in una tentazione; siccome l’attualista, che si occupa delle
cose più svariate tra cui anche del problema della storia, ha il diritto di porre
il presupposto, magari ci aggiunge ancora un qualcosa che porta con sé
residui intellettualistici. Il pericolo di aggiungere, in maniera più o meno
inconsapevole, qualche impurità accanto all'atto puro. Cosa che
effettivamente è avvenuta, portandosi dietro alcune conseguenze che siamo
in procinto di analizzare.
4.4. La critica di Paolo Rossi
Per prima cosa andiamo a vedere qual'è il significato di
precorrimento: “si verifica quando una qualunque dottrina filosofica - talora
per ragioni “pratiche”, talora per convincimento teoretico - legittima, o
ritiene di poter così legittimare se stessa, ponendosi come terminus ad quem
del processo di pensiero - cioè dalla “tradizione” - da cui è stata preceduta. In
questo caso, quella che viene indicata come tradizione filosofica è spesso, se
non sempre, la ricostruzione storiografica (che, va da sé, non significa né
arbitrarietà, né falsificazione) del passato, tanto prossimo che remoto, non
per intenderlo, ma per usarlo, appunto, come legittimazione di una
filosofia.”197 C'è una sorta di prepotenza filosofica dell'attualismo gentiliano
la quale ha avuto ripercussioni notevoli sulla storiografia filosofica italiana
197 G.Cotroneo, Il neoidealismo nella tradizione filosofica italiana, in AA.VV., Il neoidealismo
italiano, a cura di P.Di Giovanni, Roma-Bari 1988, p.23, corsivo mio.
101
fino alla metà degli anni quaranta. Influenza non positiva, secondo il Rossi:
“lo storicismo idealistico appare infatti singolarmente infecondo di opere di
storiografia filosofica, infecondo (si intende da un punto di vista qualitativo)
anche di fronte a quella storiografia di origine neokantiana o positivista nella
quale il rispetto per la complessità del passato, l'abito di serietà e di sobrietà
scientifica davano luogo talvolta, al di là dei presupposti teoretici […] a
colloqui più fecondi e più apprezzabili risultati.”198 I punti deboli
dell'attualismo in campo storiografico si possono sintetizzare nella
superiorità della filosofia sulla storia (come abbiamo visto nel capitolo 3.4, la
storia è storia del pensiero, è storia della gnoseologia), nella dottrina del
superamento e nei precorrimenti dove l'attualismo costituisce il punto
d'approdo e lo sbocco necessario di tutto il processo della filosofia moderna.
L'attualismo che combatte ogni forma di presupposto al pensiero, tranne la
sua (ma ricordiamo sempre che il presupposto attualistico è
contemporaneamente un presupposto/non presupposto), in realtà accanto a sè
ne inserisce altre di forme, ovvero i precorrimenti e quindi il concetto di
circolarità del pensiero universale, e il fatto che ci debba per forza essere il
superamento dei momenti antitetici. Accanto a questo, per il Rossi ci sono
anche insufficienze metodologiche, mentre per quanto riguarda i risultati non
tutto viene buttato (ricordiamo la nuova spinta data dal Gentile ai studi sul
Rinascimento, e che lo stesso Rossi riconosce)199: “Questa debolezza appare
198 Paolo Rossi, La storiografia filosofica dell'idealismo italiano, in Storia e filosofia: saggi
sulla storiografia filosofica, Torino 1975, p.18. 199 Il rilievo delle insufficienze e dei limiti - e si trattò senza dubbio dei grossi limiti - presenti
nella storiografia gentiliana e soprattutto negli atteggiamenti assunti da Gentile verso la
storiografia, non deve infatti condurre a trascurare i risultati della sua intensa, anche se assai
breve, attività di storico: dalla pubblicazione dei testi del Landino, del Pomponazzi, del Bruno,
del Campanella, agli studi su Galilei, al grande impulso dato agli studi sull'Umanesimo, ai
102
invece legata alla insufficienza di alcune impostazioni gentiliane e alla
povertà degli strumenti metodologici offerti dall'attualismo alle effettive
ricerche di storiografia filosofica. […] Le ricerche di storiografia filosofica
appaiono in tal modo fortemente condizionate dal clima attualistico: il
“modo” gentiliano di concepire il lavoro storico in filosofia dominò la scena
culturale italiana fino agli anni immediatamente precedenti alla seconda
guerra mondiale.”200 Questo modo gentiliano di fare storiografia, questo vero
e proprio modello culturale, che per il Rossi ha letteralmente dato alla testa a
più di qualcuno, finirebbe simbolicamente nel 1945 (data pacificamente
accettata ormai, da tutti): “Questa impostazione non era priva di riflessi
notevoli: dette a molti il senso di essere collocati al centro e al cuore della
storia del mondo. E ciò accade in un'epoca nella quale si tendeva, in sede
politica, a rafforzare in ogni cittadino questa grande e davvero malefica
illusione. […] ma anche nei filosofi (o meglio nella grande maggioranza di
essi) è caduta, con la simbolica data del 1945, l'illusione di essere “gli
uomini del destino”, collocati al centro della storia del mondo.”201 Come
anche Pietro Rossi conferma: “rispetto a questo modello culturale il 1945 ha
rappresentato indubbiamente, al di là delle sopravvivenze, una frattura, un
precisi contributi su Pico, sul Bruno, sul carattere non pagano della cultura del Rinascimento,
sul tema della centralità dell'uomo nell’ Umanesimo. Con questi e con altri lavori, Gentile dette
un decisivo contributo alla storiografia sul Rinascimento e contribuì ad aprire la via alle
successive ricerche italiane sull'argomento [Paolo Rossi, La storiografia filosofica
dell'idealismo italiano, in Storia e filosofia: saggi sulla storiografia filosofica, Torino 1975,
p.37]. 200 Paolo Rossi, La storiografia filosofica dell'idealismo italiano, in Storia e filosofia: saggi
sulla storiografia filosofica, Torino 1975, p.18. 201 Paolo Rossi, Paradigmi dominanti, in AA.VV., Il neoidealismo italiano, a cura di P.Di
Giovanni, Roma-Bari 1988, p.224.
103
mutamento radicale.”202 Questa è una prova del legame stretto tra
l'attualismo (o anche più in generale, il neoidealismo italiano) e la storia tout
court.
La superiorità del pensiero pensante sul pensiero pensato, condusse
il Gentile a considerare ogni forma della vita culturale come astrazione la
quale andava sempre di volta in volta integrata nella filosofia. Quindi di
fronte a temi specifici come i problemi “nascenti nell'ambito dell'attività
artistica, scientifica, storiografica, pedagogica, giuridica, l'attualismo
gentiliano non aveva in realtà nessuna possibilità di discorso: poteva
soltanto insistere sul astrattezza di quegli specifici problemi, affermare la
necessità di una loro risoluzione nella filosofia, ripetere la tesi, valida in
ogni circostanza e di fronte ad ogni problema, della superiorità del pensante
sul pensato e dell'atto sul dato.”203 Dunque sono questi gli argomenti del
Rossi che lo portano ad affermare che l'attualismo ha dato poco alla
storiografia in senso qualitativo. Ridurre la storia a storia del pensiero porta
ad una costruzione di catene di concetti, a un rapporto di tipo sovratemporale
fra i vari anelli della catena, e i nessi vengono certificati solo da un punto di
vista logico (come abbiamo visto nei capitoli precedenti).
4.4.1. Il metodo storiografico attualistico
Ci sono sostanzialmente due tesi fondamentali. La prima tesi è
quella di tipo gnoseologico-metafisico, ovvero la contemporaneità della
202 Pietro Rossi, Il modello culturale idealistico e il suo abbandono, in Il neoidealismo
italiano, op. cit., p.229. 203 Paolo Rossi, La storiografia filosofica dell'idealismo italiano, in Storia e filosofia: saggi
sulla storiografia filosofica, Torino 1975, pp.30-31, corsivo mio.
104
storia. Dunque viene criticata l'identità tra le res gestae e historia rerum
gestarum. La storia viene negata come processo temporale, la storia che è un
vero presente “estratemporale, eterno, e recante nel proprio seno, come
contenuto, tutto il tempo con la sua falsa infinità”204, non può essere
considerata come realtà autonoma, e come alterità appare al Gentile astratta e
inesistente. Quindi, la conseguenza di questo discorso porta ad un processo
di “ interiorizzazione della storia.”205 Come può confermare anche il Garin:
La storia per l'attualismo è “ una metafisica della mente confinante con una
sorta di retorica mistica dello Spirito.”206 Ma a questa tesi viene unita l'altra
nota tesi gentiliana della circolarità del pensiero europeo. Per il Rossi, in
questo caso Gentile porta all'esasperazione il discorso di Spaventa, ovvero
una “storiografia fatta di precorrimenti che procede al rovescio dal presente
al passato, ritrovando nel passato la povertà sempre maggiore e interpretando
il presente come lo sbocco fatale e necessario di tutta la storia umana.”207 E
sempre secondo il Rossi (ma ne siamo stati testimoni leggendo i capitoli
precedenti) tutta la storia del pensiero filosofico appare convergere verso
l'idealismo, o verso quella “forma di idealismo gnoseologico alla quale
Gentile aveva ricondotto la grande tradizione dell'idealismo tedesco. […]
Tutta la storia della filosofia si riduce a una specie di marcia verso la
conquista del concetto di immanenza, a una continua lotta fra trascendenza
e immanenza e questo schema viene applicato anche a periodi, come quello
204 G.Gentile, L’esperienza pura e la realtà storica, in La riforma della dialettica hegeliana,
Firenze 1954, p.254. 205 G.Gentile, La Filosofia Italiana contemporanea, Firenze 1941, p.18 e p.20. 206 Paolo Rossi, Paradigmi dominanti, in AA.VV., Il neoidealismo italiano, a cura di P.Di
Giovanni, Roma-Bari 1988, p. 220. 207 Paolo Rossi, La storiografia filosofica dell'idealismo italiano, in Storia e filosofia: saggi
sulla storiografia filosofica, Torino 1975, p.34.
105
medievale, che meno si prestano a questa riduzione.”208 Di qui la
prepotenza, viene citato lo stesso Gentile: “ogni filosofo, tollerante a parole,
diventa storico intollerante con i fatti, perché i fatti all'impero della logica
non si possono sottrarre e la logica è intollerante per natura.”209 Dunque lo
storico aveva un solo compito, quello di: “ricondurre le molteplici filosofie
all'unica filosofia, riportare le molteplici esigenze presenti nei pensatori del
passato all'unica esigenza che essi avevano il compito e la funzione di
esprimere.”210 E quindi, la storia della filosofia da Platone ad Aristotele, da
Cartesio a Kant, a Hegel, non riguarda la storia dei singoli individui
determinati nello spazio nel tempo, ma la storia dello spirito che in essi va
conquistando una più profonda autocoscienza. Per il Rossi, questo è
letteralmente: “la distruzione, pura è semplice, di ogni interesse storico.”211
“L’idealismo si era presentato alla cultura italiana come la fase più matura
dello sviluppo storico della storia, come la conclusione della filosofia
moderna. Ciascuna delle filosofie del passato diventava da questo punto di
vista un momento di quel processo dialettico che conduceva alla tesi
dell'immanenza della realtà nell'autocoscienza. Il senso di quelle filosofie era
determinato solo ed esclusivamente dal posto che esse occupavano in quel
processo. Ponendosi come l'unica filosofia storicamente legittima in quella
determinata fase dello sviluppo storico, l'idealismo poteva da un lato
giustificare il suo atteggiamento di rifiuto delle varie correnti del pensiero
contemporaneo e dall'altro il suo scarso interesse e la sua insufficiente
208 Paolo Rossi, La storiografia filosofica dell'idealismo italiano, in Storia e filosofia: saggi
sulla storiografia filosofica, Torino 1975, pp. 34-35, corsivo mio. 209 Ivi, p.35. 210 Ibidem. 211 Ivi, p.36.
106
informazione su ogni lavoro storiografico che veniva svolto sulla base di
differenti principi. […] La dura polemica combattuta contro le filosofie
positivistiche aveva senza dubbio colpito gli aspetti negativi di tali posizioni
e aveva contribuito a un deciso rinnovamento della cultura nazionale. Questo
atteggiamento polemico rischierà tuttavia di dar luogo, nei successivi
sviluppi del pensiero idealistico, ad un atteggiamento liquidatorio della
miglior eredità del positivismo.”212 Questo portò prima al rifiuto del
filologismo, e poi al rifiuto della filologia: “Il documento, per se stesso, non
è la storia.”213 Al rifiuto delle regole, delle tecniche, e degli strumenti della
filologia: “Molti filosofi, idealisti e non, furono ben lieti di sentirsi “
scaricati” dalle difficoltà e dai problemi dell'approccio filologico ai testi e
richiamandosi alle supreme autorità della filosofia italiana (o credendo di
richiamarsi ad esse) identificarono l'opera storiografica con una specie di
appiattimento in funzione teoretica del processo storico e attribuirono agli
storici della filosofia il compito principale di attribuire qualifiche di “merito”
o di “demerito” ai pensatori del passato214: “il merito di Suarez come di
Bellarmino consiste in ciò, nell'aver messo in rilievo inconsapevolmente una
parte notevole di questo contenuto (il contenuto unico assoluto del Spirito) e
nell'aver affrettato il processo finale dello Spirito che si traduce nella fede in
se stesso.”215 E ancora, l'applicazione del concetto di circolarità del pensiero
europeo ha prodotto come risultato delle forzature sotto la forma di
212 Paolo Rossi, La storiografia filosofica dell'idealismo italiano, in Storia e filosofia: saggi
sulla storiografia filosofica, Torino 1975, p.39, corsivo mio. 213 G.Gentile, La filosofia dell’arte, Milano 1931, p.287. 214 Qui il Rossi si riferisce a G.Saitta, La scolastica nel secolo quindicesimo e la politica dei
gesuiti, Torino 1911, p.201. 215 Paolo Rossi, La storiografia filosofica dell'idealismo italiano, in Storia e filosofia: saggi
sulla storiografia filosofica, Torino 1975, p.41.
107
precorrimenti, e questi veri e propri loghi astratti, come tali escludono
sempre, per definizione, una porzione di verità: ad esempio l'allontanamento
totale di Kant dall'illuminismo, oppure, pensatori come il Cattaneo vengono
tagliati fuori dalla tradizione della filosofia italiana. Basta ricordare la pagina
di apertura del capitolo dedicato a Cattaneo ne Le origini della filosofia
contemporanea in Italia , dove a partire dal 1852 lo scrittore lombardo andò
“straniandosi sempre di più dalla politica del suo paese, che correva per una
via assai diversa da quella da lui vagheggiata.”216 Ma poi, sempre la stessa
pagina Gentile dice: “Negli studi linguistici e negli economici stampò orme
profonde; negli scritti storici […] diede prova di una penetrazione realistica,
di un vigore di sintesi, di un'efficacia di rappresentazione, mirabili. Egli […]
è l'iniziatore di cui si può gloriare il positivismo italiano. Ma, anch'egli fu un
filosofo?”217 “L’interesse prevalente del Cattaneo era insomma economico e
sociale, come si dice, e non speculativo.”218 E si tratta di un vero e proprio
metodo liquidatorio, di meccanismi di esclusione: “Ciò che principalmente
colpisce […] è la particolare tecnica di esclusione dalla filosofia che fu
adottata in riferimento moltissimi pensatori, fra i quali (solo a titolo di
esempio) Carlo Cattaneo, Federigo Enriques, Giovanni Vailati. Quella
tecnica costituisce davvero una sorta di “terreno comune” ed ebbe diffusione
larghissima. Essa prende le mosse da iniziali, ampi riconoscimenti: si tratta
di personaggi di grande intelligenza, di vasta curiosità e di notevole agilità
intellettuale, che hanno però il difetto di occuparsi di faccende e di problemi
che non hanno nulla a che fare con la filosofia. Cattaneo, Enriques, Vailati
(ma, ripeto, sono solo tre esempi all'interno di una schiera oltremodo
216 G.Gentile, Le Origini della Filosofia contemporanea in Italia, Messina 1921, vol. II, p.2. 217 Ibidem. 218 Ivi, p.9.
108
numerosa) non hanno capito la cosa che è davvero centrale e fondamentale
per ogni filosofo: non sanno che cosa è e che cosa deve essere la filosofia.
Ne hanno una falsa immagine. Lo scambiano con l'economia, la matematica
o con questione di linguaggio. La confondono illegittimamente con le
scienze. Non sono cattivi filosofi o buoni filosofi che dicono cose sbagliate:
puramente e semplicemente non sono filosofi e, come tali, vanno espunti
dalla comunità filosofica o dalla tradizione filosofica. Dato che si occupano
di cose diverse da quelle delle quali la filosofia deve occuparsi, dato che
scambiano la filosofia con altro, con essi non va neppure avviata una
discussione, contro di essi non vanno elaborati argomenti.”219 Quindi “un
atteggiamento di condanna verso l'empirismo e l’illuminismo, un'esaltazione
del miracolo vichiano con annesso accostamento Vico-Kant e violento
allontanamento del pensiero kantiano dalla cultura illuministica; insistenza
su una grande tradizione filosofica italiana che si riallaccerebbe a Galluppi
Rosmini Gioberti e la conseguente connessione di questi tre pensatori con la
filosofia classica tedesca invece che con il tradizionalismo romantico
francese. […] La filiazione Romagnosi-Cattaneo-Ardigò consentiva d'altra
parte di coinvolgere i primi due nella polemica contro il terzo; pensatori
come il Cattaneo risultavano tagliati fuori dalla “grande tradizione” della
filosofia italiana.”220 La storiografia nell'ambito dell'attualismo fu soltanto il
tentativo di trovare in tutta la storia dell'umanità la conferma di una filosofia,
“lo sforzo di liberare del tutto la storia umana dalla fastidiosa presenza dei
219 Paolo Rossi, Paradigmi dominanti, in AA.VV., Il neoidealismo italiano, a cura di P.Di
Giovanni, Roma-Bari 1988, p. 222, corsivo mio. 220 Paolo Rossi, La storiografia filosofica dell'idealismo italiano, in Storia e filosofia: saggi
sulla storiografia filosofica, Torino 1975, pp.41-42.
109
non-precursori.”221 Non a caso restavano preclusi al panorama italiano i
grandi maestri dello storicismo critico da Dilthey a Weber, e ancor più i
grandi maestri dello storicismo filologico da Schleiermacher a Niebuhr, da
Humbolt a Ranke, da Wolf a Boeckh.222 Queste posizioni anti-positivistiche,
o avverse contro qualunque forma culturale distante dall'idealismo, Gentile
le aveva già espresse nella già citata prolusione alle lezioni di Spaventa da
lui pubblicate: “in un solo punto forse (Spaventa) non s’ appone alla verità,
[…] dove ritiene che la ragione del “vuoto” rimasto nella filosofia italiana tra
Campanella e Vico, e poi tra Vico e Galluppi, - vuoto da riempire con la
storia della filosofia europea, - sia da cercare nella mancanza di libertà degli
italiani, oppressi dalla Chiesa cattolica che avevano in casa. “Non ci hanno
lasciato fare” egli dice. Ragione inesatta o, almeno, insufficiente; perché la
condanna di Galileo non impedì che questi si lasciasse dietro anche in Italia,
nella scienza naturale, una scuola fiorente lungo il sec. XVII e il
seguente.”223 E prosegue che la paura della chiesa, anche se incontestabile,
non bloccò Cartesio, né Spinoza e neppure Vico, e neanche il neoguelfo
Gioberti, convertitotosi all’assoluto razionalismo. Invece, la verità secondo il
Gentile era “che il movimento internazionale della cultura nei secoli XVII e
XVIII deviò la maggior parte degli ingegni italiani dai problemi filosofici.
Furono le scienze naturali, furono le matematiche, furono gli studi storici che
attrassero le maggiori intelligenze. Per la filosofia della cultura generale e dei
professori dei piccoli scrittori bastavano, ed eran d’avanzo, le celebrate
221 Paolo Rossi, La storiografia filosofica dell'idealismo italiano, in Storia e filosofia: saggi
sulla storiografia filosofica, Torino 1975, p.48. 222 Per un approfondimento, F.Tessitore, Filosofia e storiografia, Napoli 1985, pp.309-29. 223 G.Gentile in B.Spaventa, La filosofia italiana nelle sue relazioni con quella europea, Bari
1909, p. XVIII e p. XIX.
110
novità oltremontane o le onorate tradizioni scolastiche non mai interrotte
nelle nostre università lungo tutti interi quei secoli.”224 Un vero e proprio
anti-positivismo che deborda nella più radicale anti-scienza; dunque
possiamo ancora citare: “nel saggio La rinascita dell'idealismo, Gentile
denuncia per la prima volta in maniera esplicita la propria polemica contro il
“naturalismo trasformistico”. […] il termine di riferimento principale della
polemica […] è l'evoluzionismo spenceriano; ma il suo rifiuto si estende al
“positivismo storico” alla Taine, accusato di vedere nello spirito “il riflesso
fatale del fatto fisico ambiente”. Sulla scia della polemica anti-positivistica
Gentile perviene ad affermare il “fallimento della scienza”, giustificando
questa asserzione in base all'impossibilità di ridurre i “problemi intorno
all'origine e destino dell'uomo” a una “ spiegazione meccanica.”225 “La storia
dunque doveva presentarsi come un processo assolutamente omogeneo,
coerente e unitario, dotato di un carattere di continuità e svolgentesi secondo
le leggi di un processo necessario.”226 La conseguenza di questo
ragionamento è che ogni filosofia particolare viene ridotta a momento
astratto di un processo che tende a realizzare l'attualismo, e ogni filosofia che
non accetta o non può rientrare nel momento astratto del pensiero, viene
qualificata come non-filosofia. “Il disinteresse per la matrice storica dei
problemi e delle teorie, per gli sviluppi delle altre forme del sapere (della
scienza della tecnica, degli ideali politici, della cultura letteraria), nel periodo
preso in esame appare anche legato al fatto che la storia della filosofia non
224 G.Gentile in B.Spaventa, La filosofia italiana nelle sue relazioni con quella europea, Bari
1909, p. XX. 225 Pietro Rossi, Gli obiettivi polemici e il rapporto con l'idealismo classico, in AA.VV., Il
neoidealismo italiano, a cura di P.Di Giovanni, Roma-Bari 1988, p.215, corsivo mio. 226 Paolo Rossi, La storiografia filosofica dell'idealismo italiano, in Storia e filosofia: saggi
sulla storiografia filosofica, Torino 1975, p.48.
111
veniva presentata come la storia di una attività umana o di una determinata
forma di cultura, ma come la storia dell'essenziale. Dunque, il “grande
discorso”, la “monografia d’insieme” prendono il posto agli “studi che
recano un effettivo contributo allo “stato” di un determinato problema,
ponendo gli studiosi in presenza di nuovi dati di fatto o prospettando nuove
connessioni.”227 E ancora: “La temporalità non va vanificata o addomesticata
al servizio di una qualche unità sovratemporale; le “epoche” storiche sono
realtà solo apparentemente unitarie entro le quali sono presenti contrasti e
difficoltà, crisi è tentativi di superare la crisi; la storia dei vinti o delle
filosofie minoritarie è importante quanto la storia dei vincitori o dei
costruttori di egemonie e di paradigmi dominanti.”228 Tutto ciò, per
concludere, non solo ha bloccato un certo tipo di storiografia in Italia, ma
anche isolato la storiografia italiana sul piano internazionale. La prepotenza
filosofica interna si è tradotta anche come mancanza di dialogo e quindi
isolamento, nei confronti del lavoro storiografico che si andava svolgendo in
Europa e nel resto del mondo.
4.5. Gli studi sul Rinascimento
Come premessa, dobbiamo dire che Gentile, al di là delle edizioni
e dei commenti (le edizioni di Kant, dell'Etica di Spinoza, gli studi su Marx e
su Hegel) sui filosofi stranieri, fu praticamente uno storico della filosofia
227 Paolo Rossi, La storiografia filosofica dell'idealismo italiano, in Storia e filosofia: saggi
sulla storiografia filosofica, Torino 1975, p.49. 228 Paolo Rossi, Il clima milanese del dopoguerra, in AA.VV., Il neoidealismo italiano, a cura
di P.Di Giovanni, Roma-Bari 1988, pp.231-232.
112
italiana;229 con gli obiettivi ben noti: dal carattere univoco della filosofia
italiana, ai temi tipici della tradizione ottocentesca, di formazione di una
coscienza nazionale e del rapporto tra filosofie nazionali e pensiero
universale. Dopo di che possiamo affermare che la critica di Paolo Rossi va
inserita nel quadro delle opere teoretiche di Gentile, come aveva già ben
visto Corsano: “Nell'opera stessa del Gentile mi pare visibile un notevole
divario di atteggiamento tra scritti di prevalente interesse storico, condotti
col rigoroso metodo della buona vecchia scuola D’Anconiana (si potrebbero
citare come modello: Dal Genovesi al Galluppi, gli Studi Vichiani, il
commento all'Etica spinoziana, gli studi sull'Umanesimo e il Rinascimento),
e quei curiosi excursus [dei quali abbiamo una certa dimestichezza mercé le
mie lunghe citazioni nei capitoli precedenti] disseminati nelle opere
propriamente speculative, in cui la storia è come scarnificata e ischeletrita in
aride costruzioni dialettiche, ridotta alla funzione ancillare di momento, or
attuale or inattuale del processo autonoetico, a corpus vile da disseccare e
martoriare nella ostinazione inflessibile di ritrovarsi e ripetersi.”230 Su queste
opere di carattere storico, nelle quali si vede più l'influenza del D’Ancona
(ma anche del Fiorentino e del Tocco) che dello Spaventa, ci soffermeremo
per fare alcune considerazioni. Pare che proprio l'allontanamento dallo
schema spaventiano abbia coinciso con i migliori risultati ottenuti dal Gentile
in campo storico. Tra l'altro, ciò è avvenuto proprio nel momento in cui
l'attualismo stava mettendo le proprie basi teoretiche fondamentali e
definitive (mi sto riferendo soprattutto al terzo periodo, come abbiamo visto
229 G.Gentile, Il pensiero italiano del Rinascimento, Firenze 1940 (Ia ed. Giordano Bruno e il
pensiero italiano del Rinascimento, Firenze 1920). 230 A.Corsano, Storia della filosofia e Idealismo attualistico, in “Nuova rivista storica”, 1932,
p.439, parentesi quadre mie.
113
nei capitoli precedenti, si estende dal 1912 al 1922), di cui si è parlato
addirittura di una “felice incongruenza”231, o come riscontrava Piovani, di un
Gentile “acuto storico della filosofia nonostante le sue teorie sulla storia
della filosofia.”232 Diversamente da come dice Corsano nella citazione,
tenderei ad escludere il lavoro Dal Genovesi al Galluppi dal gruppo di opere
prettamente d’influenza D’Anconiana, anzi, qui Gentile è largamente
debitore a Spaventa, cui si richiama esplicitamente nella struttura dell'opera:
ci sono capitoli interessanti suo Delfico, su Borrelli, su Colecchi, altri magari
più deludenti, ma tutti sono inseriti nel discorso di colmare i vuoti a ritroso
del programma di Spaventa.233 Questa dunque, non è una storia della
filosofia napoletana, manca l'ultima Napoli del Settecento, mi riferisco a
pensatori come il Filangieri; e non è neppure una storia della filosofia
italiana tra illuminismo e restaurazione perché vi sono troppe lacune,
soprattutto mancano regioni importanti come la Lombardia. È il solito
schema di una storia della gnoseologia, in questo caso napoletana, che passa
dai superstiti prima citati, a un risveglio che precorre l'idealismo: è il
“completamento regionale della circolazione spaventiana e del lungo sonno
(il famoso “vuoto”) che essa postulava tra Vico e Galluppi.”234 In quest'altro
gruppo di opere, ossia quelle meno dipendenti da presupposti teoretici, in cui
Gentile dà qualcosa alla storiografia in senso qualitativo, rientrano gli studi
231 E.Garin, Gentile storico della filosofia, in “Giornale Critico della Filosofia Italiana”, 1975,
pp.338-339. 232 P.Piovani, Gentile e la storia della filosofia italiana da genovesi a maturi, in “Giornale
Critico della Filosofia Italiana”, 1960, p. 437. 233 Come nota bene A.Savorelli in Gentile storico della filosofia italiana, “Giornale Critico
della Filosofia Italiana”, 1999, p.20. 234 A.Savorelli, Gentile storico della filosofia italiana, in “Giornale Critico della Filosofia
Italiana”, 1999, p.21, parentesi mie.
114
sull'Umanesimo e Rinascimento,235 i quali a loro volta rientrano nel periodo
tra il 1912 e il 1919 (da notare che il primo volume del Sistema dei logica
uscì nel ‘17). Possiamo citarne alcuni, i più importanti: il saggio sul Concetto
dell'uomo nel Rinascimento,236, i sopracitati Studi Vichiani, i saggi su
Leonardo237, le lezioni sul Carattere del Rinascimento, le edizioni di testi di
Landino e Pomponazzi (da non scordare gli interventi tra il 1906 e il 1912 su
Campanella, Telesio e Bruno,238 su quest'ultimo la famosa edizione dei
Dialoghi che si usa ancora oggi, ovviamente aggiornata). In questi lavori
salta lo schema spaventiano, si segue qualcosa di nuovo accompagnato da
una consapevolezza filologica e raffinata aderenza ai testi. Non si tratta più
solamente di riempire i vuoti (comunque il disegno teoretico rimane sullo
sfondo, ma la sua influenza rispetto alle opere teoretiche è molto ridotta):
innanzitutto c'è il tema inseguito della dignitas homini, ripercorso da
Campanella a Ficino e a Pico, da Bruno all’Alberti e al Manetti; ma la novità
fondamentale è la ricerca delle origini del Rinascimento nel platonismo del
Quattrocento, il risultato di ciò è la negazione che il Rinascimento maturo sia
il padre della filosofia italiana, l'inizio di essa viene spostato nell’
Umanesimo. Per essere giunto a questi risultati Gentile deve molto agli studi
del Fiorentino, e di conseguenza le parti salienti della critica di Paolo Rossi
in questi lavori non possono essere rintracciate. In primo luogo la questione
dei precorrimenti, sono d'accordo con Savorelli che dice: “Gentile
ricostruisce temi e percorsi di idee che sboccano nelle grandi sintesi
235 Anche Paolo Rossi ne riconosce il valore. 236 G.Gentile, Il concetto dell'uomo nel Rinascimento, in “Giornale storico della letteratura
italiana”, 1916, pp.17-75. 237 G.Gentile, Leonardo filosofo, in “Nuova Antologia”, 1 giugno 1919, pp.232-250. 238 Non mancarono però anche le critiche a questi lavori, si veda ad esempio A.Tilgher, Lo
spaccio del Bestione trionfante, Torino 1925.
115
metafisiche cinque-seicentesche: ma senza che tutto ciò prefiguri astratti
giochi di precorrimenti e superamenti.”239 E in secondo luogo, la questione
che Gentile si limiti a dare soltanto una “visione dell'essenziale” della storia,
trascurandone le parti marginali: “Il tutto è intessuto di cronaca, di autentica
erudizione: e del resto, a proposito degli inizi dell’ umanesimo, Gentile
aveva precisato di ripercorrere una “parte aneddota” della storia della
filosofia, “ma appunto perciò più importante”: siamo insomma ben lontani
dal riflesso nel tempo di un puro processo logico.”240 Ma qui ci dobbiamo
fermare, Gentile non riuscì a dar forma a un lavoro d'insieme sul
Rinascimento, ma diede una ricostruzione sistematica della storia della
filosofia italiana dal medioevo al Quattrocento e da Vico all'Ottocento. Non
staremo qui a indagare su quali siano i motivi per cui Gentile non riuscì a
dare un assetto organico al Rinascimento; a noi basta segnalare che nel
momento in cui si è allontanato da Spaventa o dalle teorie sui precorrimenti
almeno a livello metodologico, che però non tarderanno a ripresentarsi con
forza, Gentile ha ottenuto i risultati più rilevanti in campo storiografico.
Sono stati proprio gli studi sul Rinascimento interpretato in un certo modo, e
quindi il trasferimento dell'attenzione sui nessi tra Umanesimo e
Rinascimento a dare i frutti migliori della lavoro storiografico gentiliano.
239 A.Savorelli, Gentile storico della filosofia italiana, in “Giornale Critico della Filosofia
Italiana”, 1999, p.22, corsivo mio. 240 Ibidem, corsivo mio.
116
5. CONSIDERAZIONI FINALI
La base teorica dell'attualismo è il concetto della dialetticità del
pensiero pensante. Il pensiero che è atto in atto, idea fondamentale
presupposto della realtà. Questo neoidealismo è completamente diverso da
quello classico, perché l'idea è e non è idea, ossia in una certa misura è
sintesi a priori ma, la sintesi a priori deve ancora farsi. Solo il concetto di
atto in atto può sostenere una tesi del genere, quindi il pensiero come atto
puro risolve l'immanenza assoluta: questa dialetticità di base, queste sintesi
in atto dei momenti antitetici, vengono applicati a tutti i livelli della realtà,
riducendola così nella puntualità propria dell'attualismo. Abbiamo segnalato
non tanto l'infondatezza di questa concezzione, ma il pericolo che si può
portare dietro, soprattutto se il livello della realtà analizzato è quello storico.
Se all'atto puro (che è l'unico concetto che può venir presupposto, proprio
perché è un concetto/non-concetto) che è il logo concreto, viene affiancato il
logo astratto (per motivi che ci accingeremo ad analizzare), si ottiene come
risultato, e lo si giustifica, che il logo astratto diventa presupposto della realtà
(della storia in questo caso) e quindi l'attualismo diventa storicismo. Se è
vero (e ciò non lo posso confutare) che c’è l'identità attuale tra le “res gestae”
e l’“historia rerum gestarum”, e quindi tra storia e storiografia, non è
possibile il discorso dei precorrimenti (che Gentile mutua da Spaventa):
perché altrimenti non avremmo l'uguaglianza attuale tra storia e storiografia,
ma tra storia e una storiografia specifica, e quindi logo astratto: la teoria
della circolazione del pensiero ha tutte le caratteristiche del logo astratto e
dell’errore (su questi temi già affrontati vedi i capitoli 1.2.3. e 1.2.4.). È
astratta perché si estrae dal tempo, è astratta perché come il logo astratto
117
esclude porzioni di verità (anche se sono piccole e minoritarie) come
abbiamo visto in Paolo Rossi, ma soprattutto è logicamente consumata,
ovvero ha un inizio ed una fine, parte da Parmenide o Platone e termina con
l'attualismo. Parte dalla trascendenza e si conclude nell’ immanenza. Questa
caratteristica della compiutezza, come abbiamo potuto apprezzare nei
capitoli dedicati all’errore e al logo astratto, è propria della teoria dei circoli
e dei precorrimenti. L'attualismo di Gentile, alla luce di queste
considerazioni, si è concretizzato come uno storicismo (a parte gli studi
rinascimentali), proprio quel storicismo contro il quale il Gentile ha
combattuto. Le conseguenze che si possono facilmente avere nello scambiare
il logo concreto con quello astratto, le abbiamo già notate: la prepotenza,
l'isolamento, l'esclusione, l'assenza di dialogo.
Ma ora ci chiediamo quali siano stati i motivi da un punto di vista
storico, per cui l'attualismo di Gentile scambiò il logo concreto con quello
astratto nella problematica della storia. Innanzitutto dobbiamo chiederci
come: “il modo in cui da Spaventa, appunto, a Gentile la storiografia
filosofica italiana ha “letto” la nostra tradizione culturale, nella quale forse
ha cercato soltanto di ritrovare se stessa, sia la radice delle proprie
conclusioni speculative. Può darsi, anzi è certo, che nel farlo abbia operato
più di una forzatura, e anche qualche arbitraria esclusione: rimane tuttavia da
chiedersi se essa aveva davvero torto nell'individuare nella tradizione
filosofica italiana alcuni caratteri costanti, di cui il neoidealismo (ricordo
ancora che mi riferisco a Gentile, non a Croce) non sarebbe stato altro che la
manifestazione più compiuta e consapevole.”241 Il Cotroneo si chiede se “il
241 G.Cotroneo, Il neoidealismo nella tradizione filosofica italiana, in AA.VV., Il neoidealismo
italiano, a cura di P.Di Giovanni, Roma-Bari 1988, p.24, corsivo mio.
118
fatto che le posizioni non-idealistiche - indipendentemente dalla svalutazione
teoretica che ne faceva conseguire, o, se si preferisce, che ne costituiva la
premessa - giudicando affatto estranee alla nostra tradizione culturale, anche
se storicamente, di fatto, spesso presenti al suo interno, tutte le forme di
sapere empirico, “positivo”, nel vedere congeniali, distintive del nostro
carattere nazionale soltanto le filosofie “idealistiche”; se in queste sue
convinzioni, dunque, Gentile non avesse per caso […] una parte di
ragione.242 La domanda che si pone Cotroneo e che ci poniamo anche noi in
realtà è retorica. Gentile non aveva torto, anzi in buonissima parte aveva
ragione, ma non del tutto (come pretendeva). Ma il metodo storiografico
gentiliano non ha dato molto in senso qualitativo alla storiografia, a parte gli
studi sul Rinascimento che, non a caso sono quelli che si allontanano di più
dalle posizioni di Spaventa e dall'impianto teoretico attualistico.
Un motivo per cui l'attualismo confonde il logo astratto con quello
concreto in campo storico, è il fatto che il suo nemico principale, il
positivismo italiano, sia stato un “povero” positivismo. Del Cattaneo “si
rileva la vastità degli interessi e l'apertura mentale, ma non si sottolineano le
sue chiusure, tra cui, particolarmente grave, è quella che va verso tutta la
tradizione del razionalismo scientifico”; chiusura che era poi il limite non
soltanto di Cattaneo, ma di tutto il movimento di pensiero “che faceva capo a
Romagnosi”, al nostro illuminismo “povero”.”243 Il declino del positivismo
non era soltanto motivato dall'insorgere dell’idealismo. Si trattava, piuttosto,
delle conseguenze del fatto che la “cultura filosofica italiana non aveva
saputo sfruttare, fino in fondo, “tutte le conseguenze delle istanze
242 G.Cotroneo, Il neoidealismo nella tradizione filosofica italiana, in AA.VV., Il neoidealismo
italiano, a cura di P.Di Giovanni, Roma-Bari 1988, p.32, corsivo mio. 243 Ivi, p.33.
119
positivistiche. Proprio l'apertura al dibattito sulle scienze sociali, i nuovi
percorsi della filosofia della scienza, i nuovi e originali passi del
pragmatismo italiano, mostrano, come osserva Piovani, “le cose che ancora
avrebbero potuto essere e che non sono state, nel declino della nostra cultura
positivistica. Se quel declino si tramutò, più che in crollo, in allarmante e
precipitoso disarmo, non fu per il concluso compimento dell'esperienza
filosofica del positivismo, fu per la fragilità delle sue prime basi, che non
consentiva nessun ammodernamento di strutture speculative da un lato,
nessuna solida resistenza dall'altro.”244 Molto più radicale la posizione, ad
esempio di Bobbio, per il quale il positivismo italiano “era morto prima di
nascere”, per cui la reazione contro di esso sarebbe stata “una grande bufera
scatenata per abbattere un fuscello.”245
Quindi in buona parte Gentile aveva ragione, la tradizione italiana
e quindi quella idealistica è sempre stata grosso modo di tipo umanistico-
letterario. Ma ciò non toglie l'errore di aver confuso il logo concreto con il
logo astratto, mentre è stata sottolineata da Paolo Rossi l'importanza delle
filosofie minoritarie. Fatto sta che l'errore rimane, anche se la porzione di
verità esclusa è minima, essendo l'attualismo uno spiritualismo assoluto,
l'esclusione non può essere tollerata.
Un'altra causa dell'impostazione gentiliana, oltre alla povertà del
positivismo italiano, è il terreno sul quale nasce il neoidealismo italiano (e
qui dico neoidealismo in generale, nel quale non rientra soltanto Gentile),
che è costituito dalla cultura ottocentesca, in particolare dalla problematica
risorgimentale. Questo tipo di mentalità si caratterizza, per il fatto di avere
244 P.Piovani, Il pensiero idealistico, in Storia d'Italia, Torino 1973, V, I documenti, vol. II,
p.1566, corsivo mio. 245 N.Bobbio, Profilo ideologico del Novecento italiano, Torino 1986, p.7.
120
come esigenza la difesa della patria e del sentimento nazionale, come una
mentalità quantomeno sospettosa nei confronti di scambi interculturali
esterofili. Mi trovo d'accordo con Viano che dice: “Da quelle radici è
derivato all'idealismo italiano una concezione unitaria della cultura. […]
Questo lavoro si è esercitato bandendo programmaticamente ogni forma di
pluralismo, organizzando un'accurata difesa nei confronti delle culture
straniere dalle quali potevano giungere suggerimenti pericolosi, selezionando
le elaborazioni nostrane in base a progetti precisi.”246
In conclusione possiamo riprendere il tema (anche se è già
chiarito) se l'attualismo sia stato o meno uno storicismo. L'attualismo ha
insegnato che la dialettica è il fondamento di tutto, e per mantenerla c'è
sempre il bisogno della presenza dei momenti antitetici: e la loro sintesi
attuale rappresenta la verità concreta. Il concetto della circolarità del
pensiero avrebbe dovuto avere il suo opposto, ovvero il concetto di staticità
del pensiero, e invece per il concetto di circolarità vale la regola di A = A.
Alla domanda dunque, se l'attualismo sia stato o meno uno storicismo, il
Chiavacci risponde bene: “Se, dopo questa nostra discussione sull’
attualismo, torniamo a considerare il suo rapporto col problema della storia,
dobbiamo riconoscere che l'attualismo è e non è riducibile a storicismo.”247
O almeno, avrebbe dovuto esserlo.
246 C.A.Viano, Uno sguardo da lontano, in AA.VV., Il neoidealismo italiano, a cura di P.Di
Giovanni, Roma-Bari 1988, Conclusione, pp. 240-241. 247 G.Chiavacci, L'attualismo e la storia in “Rivista critica di storia della filosofia”, 1954,
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121
6. BIBLIOGRAFIA
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