Lucrezio - De Rerum Natura

25
Lucrezio – De rerum natura Tito Lucrezio Caro visse tra il 98 e il 55 a.C., contemporaneo quindi di Cesare e Cicerone. Morì probabilmente suicida a 44 anni. Vittima secondo gli antichi di un filtro d'amore, è stato stroncato più verosimilmente da una forma depressiva della quale, a fasi alterne, aveva sempre sofferto. Della vita di Lucrezio si sa comunque molto poco: l’unica fonte è nella traduzione del “Chronicon di Eusebio” fatta da Girolamo, passibile di “cristianizzazione” delle informazioni. Lucrezio era un convinto seguace della dottrina filosofica dell'epicureismo, capace, secondo lui, di fornire una risposta adeguata alle più importanti domande dell'uomo. Il suo poema, De rerum natura (La natura delle cose), è un poema epico di intento educativo, scritto in esametri e diviso in sei libri, che si raggruppano in tre coppie. I primi due libri trattano il problema fisico, il terzo ed il quarto del problema psichico, gli ultimi due parlano del problema cosmico-antropologico. Nel De rerum natura viene spiegato il pensiero di Epicuro, al fine di trovarne nuovi seguaci. E’ dedicato al suo benefattore Gaio Memmio, influente aristocratico dell'epoca, scettico in materia, legato alla tradizionale filosofia romana. Nel corso della trattazione Lucrezio spiega come l'uomo non debba temere la morte e nemmeno l'inferno, falsa proiezione dei dolori terreni; come la conoscenza dei fenomeni fisici e delle leggi della vita possa liberarlo dalla paura degli eventi naturali e dei cambiamenti. Lucrezio intende insegnare ad usare la ragione, attraverso la quale si può raggiungere la voluptas, ossia il piacere, l'equilibrio interiore e l'armonia con ciò che circonda l'uomo. Secondo la visione del poeta il mondo è tormentato dalla culpa naturae, il difetto della natura, che perseguita l'uomo e rende estremamente difficile la sua vita sulla Terra. Per dare una risposta al male, per combattere lo smarrimento inevitabile di fronte alla potenza della natura e delle sue espressioni, l'uomo ha iniziato a rifugiarsi nella religione. Andando contro il pensiero di Epicuro (“la poesia non è adatta all’insegnamento morale e filosofico: ci vuole la prosa”), Lucrezio-1

description

saasassxscccccccccccccccccccccacacacacacacacaca

Transcript of Lucrezio - De Rerum Natura

Page 1: Lucrezio - De Rerum Natura

Lucrezio – De rerum natura

Tito Lucrezio Caro visse tra il 98 e il 55 a.C., contemporaneo quindi di Cesare e Cicerone. Morì probabilmente suicida a 44 anni. Vittima secondo gli antichi di un filtro d'amore, è stato stroncato più verosimilmente da una forma depressiva della quale, a fasi alterne, aveva sempre sofferto. Della vita di Lucrezio si sa comunque molto poco: l’unica fonte è nella traduzione del “Chronicon di Eusebio” fatta da Girolamo, passibile di “cristianizzazione” delle informazioni.

Lucrezio era un convinto seguace della dottrina filosofica dell'epicureismo, capace, secondo lui, di fornire una risposta adeguata alle più importanti domande dell'uomo.Il suo poema, De rerum natura (La natura delle cose), è un poema epico di intento educativo, scritto in esametri e diviso in sei libri, che si raggruppano in tre coppie. I primi due libri trattano il problema fisico, il terzo ed il quarto del problema psichico, gli ultimi due parlano del problema cosmico-antropologico. Nel De rerum natura viene spiegato il pensiero di Epicuro, al fine di trovarne nuovi seguaci. E’ dedicato al suo benefattore Gaio Memmio, influente aristocratico dell'epoca, scettico in materia, legato alla tradizionale filosofia romana.Nel corso della trattazione Lucrezio spiega come l'uomo non debba temere la morte e nemmeno l'inferno, falsa proiezione dei dolori terreni; come la conoscenza dei fenomeni fisici e delle leggi della vita possa liberarlo dalla paura degli eventi naturali e dei cambiamenti. Lucrezio intende insegnare ad usare la ragione, attraverso la quale si può raggiungere la voluptas, ossia il piacere, l'equilibrio interiore e l'armonia con ciò che circonda l'uomo.Secondo la visione del poeta il mondo è tormentato dalla culpa naturae, il difetto della natura, che perseguita l'uomo e rende estremamente difficile la sua vita sulla Terra. Per dare una risposta al male, per combattere lo smarrimento inevitabile di fronte alla potenza della natura e delle sue espressioni, l'uomo ha iniziato a rifugiarsi nella religione.Andando contro il pensiero di Epicuro (“la poesia non è adatta all’insegnamento morale e filosofico: ci vuole la prosa”), Lucrezio scrive in versi da lui definiti “dolce miele”, che rendono più facile accettare un messaggio spesso difficile. Non si rivolge quindi necessariamente ad un élite di studiosi, ma al dibattito culturale del suo tempo, usando comunque un lessico ricercato.

Lucrezio-1

Page 2: Lucrezio - De Rerum Natura

libro I – versi 1-43 – INNO A VENERE

L’inno a Venere (richiesta di assistenza) cerca di attrarre il lettore con le sue lusinghe di un proemio non troppo dissimile dai moduli consueti, anche se comporta una lieve infrazione alla dottrina epicurea. Epicuro infatti sosteneva che gli dei erano distaccati dagli uomini, vivevano nell’intermundia senza curarsi di cio’ che accadeva sulla Terra.

Il testo vuole essere uno strumento educativo per un pubblico specificatamente romano, del quale Lucrezio vuole assicurarsi dall’inizio il coinvolgimento emotivo e l’attenzione non ostile.Lucrezio sceglie Venere perchè incarna i valori positivi del mondo naturale: fertilità, vitalità, ma soprattutto piacere (voluptas).

Aeneadum genetrix, hominum divomque voluptas,alma Venus, caeli subter labentia signaquae mare navigerum, quae terras frugiferentisconcelebras, per te quoniam genus omne animantumconcipitur visitque exortum lumina solis:te, dea, te fugiunt venti, te nubila caeliadventumque tuum, tibi suavis daedala tellussummittit flores, tibi rident aequora pontiplacatumque nitet diffuso lumine caelum.nam simul ac species patefactast verna dieiet reserata viget genitabilis aura favoni,aëriae primum volucris te, diva, tuumquesignificant initum perculsae corda tua vi.inde ferae pecudes persultant pabula laetaet rapidos tranant amnis: ita capta leporete sequitur cupide quo quamque inducere pergis.denique per maria ac montis fluviosque rapacisfrondiferasque domos avium camposque virentisomnibus incutiens blandum per pectora amoremefficis ut cupide generatim saecla propagent.quae quoniam rerum naturam sola gubernasnec sine te quicquam dias in luminis orasexoritur neque fit laetum neque amabile quicquam,te sociam studeo scribendis versibus esse,

O progenitrice degli Eneadi, piacere degli uomini e degli dei,Venere fecondatrice, che sotto le trascorrenti costellazioni del cielo,che riempi di te il mare che regge le navi, le terre che producono messi,grazie a te ogni specie di essere viventeviene concepita e vede appena nata la luce del sole:te, dea, te fuggono i venti, te le nuvole del cieloe il tuo arrivare, a te la terra illustre fa sbocciaresoavi fiori, a te sorridono le distese del maree il cielo rasserenato risplende di luce diffusa.Infatti non appena si e’ dischiusa, l’aspetto del giorno primaverilee disserrata prende vigore il soffio vivificatore dello Zefiro.O dea, dapprima gli alati uccelli annunciano te ed il tuoavvicinarti, colpiti nel cuore dalla tua potenza;poi gli armenti imbaldanziti saltellano per i pascoli rigogliosie passano a nuoto i fiumi vorticosi: cosi’, presi dal tuo fascino,ti seguono bramosamente laddove tu ti disponi a condurli;infine attraverso i mari ed i monti, i fiumi rapidi,le frondute dimore degli uccelli e le pianure verdeggianti,incutendo a tutti attraverso i petti un blando amore,e fai si che attraverso i secoli di specie in specie generati si propaghino.Giacche’ governi da sola le cose della naturae nulla approda senza di te alle celesti distese della lucene’ alcunche’ di lieto e di amabile accade,desidero che tu sia mia alleata nello scrivere questi versi,

Aeneadum gen. sincopato (aeneades)divom gen. arcaico (divorum)alma da alo (nutrire)labentia signa rende l’efficacia del

trascorrere lento degli astri nel cielonavigerum da gero (portare) – neolog.frugiferentis da fero (produrre) –

neolog., agg. con forma participialeconcelebras celebra il vigore di venereanimatum gen. in um, poco usatote anafora, esaltazione della deasuavis riferito a floresdaedala illustre, dal Greco “ornare in

vario modo”diffuso lumine abl. di causapatefactast = patefacta estreserata da sera, sere, spranga che

chiude le porteverna (ipallage) riferito a species

oppure anche a dieifavoni da faveo, favorireferae pecudes se ferae e’ attributo “gli

armenti imbaldanziti; se uniti per asindeto (senza cong.) “le fiere e gli animali domestici”

persultant iterativo (raff.) del passivorapidos stessa radice di rapio, “tradire”quae quoniam nesso relativodias in luminis oras ispirazione dagli

Lucrezio-2

Page 3: Lucrezio - De Rerum Natura

quos ego de rerum natura pangere conorMemmiadae nostro, quem tu, dea, tempore in omniomnibus ornatum voluisti excellere rebus.quo magis aeternum da dictis, diva, leporem.effice ut interea fera moenera militiaiper maria ac terras omnis sopita quiescant;nam tu sola potes tranquilla pace iuvaremortalis, quoniam belli fera moenera Mavorsarmipotens regit, in gremium qui saepe tuum sereiicit aeterno devictus vulnere amoris,atque ita suspiciens tereti cervice repostapascit amore avidos inhians in te, dea, visuseque tuo pendet resupini spiritus ore.hunc tu, diva, tuo recubantem corpore sanctocircum fusa super, suavis ex ore loquellasfunde petens placidam Romanis, incluta, pacem;nam neque nos agere hoc patriai tempore iniquopossumus aequo animo nec Memmi clara propagotalibus in rebus communi desse saluti.

che io mi accingo a comporre sulle cose della naturaper il nostro Memmiade, che tu, o dea, hai voluto eccellesse in ogni circostanza dotato di tutte le virtu’.E per questo, o dea, dai il fascino eterno alle parole,e fai si che frattanto gli aspri travagli della guerrae per tutte le terre riposino calmati.Infatti tu sola puoi con pace serena aiutare i mortali,dacche’ Marte potente nelle armi regge gli aspri travagli della guerra, che spesso si rifugia nel tuo grembovinto dall’eterna ferita d’amore,e cosi’ contemplandoti con il collo rovesciato all’indietrosazia i suoi occhi avidi d’amore stando a bocca aperta, o dea,ed il respiro di lui che sta supino pende dalle tue labbra.Mentre lui, o dea, giace sul tuo corpo santotu, avvolgendolo dall’alto, effondi dalla bocca soavi parolechiedendo, o gloriosa, la placida pace per i Romani;E infatti noi in un iniquo tempo per la patria non possiamo fare cio’con la necessaria serenita’, ne’ la chiara fama di Memmioin tali frangenti puo’ venir meno alla salvezza comune.

Annales di Ennio (239-169)scribendis versibus dativo di finemoenera per muneramilitiai per militiaomnis per omnestereti cervice reposta ablativo assoluto

con valore temporaleamore abl. di causainhians anche anelando, estasiatoatque...ore descrizione ispirata ad

un’antica scultura vista a Roma, “morte in braccio a Venere”

libro I – versi 62-101 – RELIGIO E IFIGENIA

Questo primo elogio di Epicuro proclama il fatto storico della grandiosa e drammatica liberazione dalla religio che il filosofo ha offerto agli uomini. Questi viene presentato alla pari dell’eroe: è forte, coraggioso, astuto e dotato della virtus.

La sconfitta della religio è data dalla scoperta che la natura sottostà a leggi precise e non ai capricci degli dei.La religio ha portato gli uomini ad attribuire agli dei assurde volontà, che li hanno fatti diventare vittime (Ifigenia) o carnefici (Agamennone).

Humana ante oculos foede cum vita iaceretin terris oppressa gravi sub religione,quae caput a caeli regionibus ostendebathorribili super aspectu mortalibus instans,

Quando l’umanita’ giaceva turpemente prostrata davanti agli occhidi tutti, schiacciata sotto il peso gravoso della superstizione religiosa,che mostrava il capo dalle regioni del cielo,con il suo terribile aspetto incombendo dall'alto sui mortali,

religione posizione di rilievo in fondo al verso

Lucrezio-3

Page 4: Lucrezio - De Rerum Natura

primum Graius homo mortalis tollere contraest oculos ausus primusque obsistere contra;quem neque fama deum nec fulmina nec minitantimurmure compressit caelum, sed eo magis acreminritat animi virtutem, effringere ut artanaturae primus portarum claustra cupiret.ergo vivida vis animi pervicit et extraprocessit longe flammantia moenia mundiatque omne immensum peragravit mente animoque,unde refert nobis victor quid possit oriri,quid nequeat, finita potestas denique cuiquequa nam sit ratione atque alte terminus haerens.quare religio pedibus subiecta vicissimopteritur, nos exaequat victoria caelo.    Illud in his rebus vereor, ne forte rearisimpia te rationis inire elementa viamqueindugredi sceleris. quod contra saepius illareligio peperit scelerosa atque impia facta.Aulide quo pacto Triviai virginis aramIphianassai turparunt sanguine foedeductores Danaum delecti, prima virorum.cui simul infula virgineos circum data comptusex utraque pari malarum parte profusast,et maestum simul ante aras adstare parentemsensit et hunc propter ferrum celare ministrosaspectuque suo lacrimas effundere civis,muta metu terram genibus summissa petebat.nec miserae prodesse in tali tempore quibat,quod patrio princeps donarat nomine regem;nam sublata virum manibus tremibundaque ad arasdeductast, non ut sollemni more sacrorumperfecto posset claro comitari Hymenaeo,

per la prima volta un greco, un uomo, un mortale osò levare contro di lei gli occhi, e per primo oso’ resistere.Né le favole intorno agli dèi, né i fulmini, né il cielocol minaccioso rimbombo lo trattennero: anzi gli accesero ancora di piùil fiero valore dell'animo, cosi’ che volle, per primo,infrangere la serrata prigione delle porte della natura.Così il vivido vigore dell'animo prevalse, ed egli s'inoltrò lontano, di là dalle fiammeggianti mura del mondo,e il tutto immenso percorse con la mente e col cuore.Da là, vittorioso, riporta a noi che cosa possa nascere,che cosa non possa, infine in qual modo ciascuna cosaabbia un potere finito e un termine, profondamente confitto.Percio’ la religione calpestata sotto i piedi e’ a sua volta schiacciata, la vittoria ci eguaglia al cielo.Questo, a tale proposito, io temo: che per caso tu credad'essere iniziato ai fondamenti d'una dottrina empia e d'entrarenella via della scelleratezza. Mentre spesso fu essa, piuttosto,la religione, a generare azioni scellerate ed empie.Così in Aulide l'altare della vergine Triviamacchiarono turpemente, col sangue d'Ifianassa, gli eletti condottieri dei Danai, gli eroi degli uomini.Appena la benda avvolta attorno alla bella chioma di verginele scese lungo le guance in due liste uguali,appena si accorse che il padre stava mesto dinanzi all'altare,e accanto a lui i sacerdoti celavano il ferro,e il popolo effondeva lacrime alla sua vista,muta di terrore, piegate le ginocchia, crollava a terra.Né alla misera poteva giovare in quel momentol'aver dato per prima al re il nome di padre.Infatti, sollevata dalle mani dei guerrieri, tremante fu portata all'altare, non perché, compiuto il rito solenne,potesse essere accompagnata al celebre suono dell’imeneo,

Graius homo perifrasicontra-contra epiforairritat forma sincopata di irritavitvivida vis alliterazione di “vi”flammantia moenia mundi metaforaillud...vereor forma di trapasso molto

usata da lucrezioalte terminus haerens metafora presa

dalla vita quotidiana (terminus = pietra di confine terriera)

impia-rationis-elementa ipallage turparunt forma sincopata di turpaverunt

ductores Danaum delecti allitterazione di “d”

maestum-parentem iperbatoferrum sineddoche (sta a significare il

pugnale)muta metu allitterazione di “m”

Lucrezio-4

Page 5: Lucrezio - De Rerum Natura

sed casta inceste nubendi tempore in ipsohostia concideret mactatu maesta parentis,exitus ut classi felix faustusque daretur.tantum religio potuit suadere malorum.

ma perché pura impuramente, nel tempo stesso delle nozze,cadesse vittima mesta immolata per mano del padre,affinche’ fosse data una partenza felice e favorevole alla flotta.A tali misfatti poté indurre la religione.

casta inceste ossimoro/antitesi hostia-maesta iperbatotantum-malorum iperbato

libro II – versi 1-19 – L’ATARASSIA

Il proemio del libro II è un inno alla saggezza, all’ideale epicureo dell’atarassia, ossia alla capacità di chi è interiormente sereno e non è toccato dalle vicende del mondo esterno). Lucrezio opera una imposrtante distinzione tra i piaceri necessari e quelli superflui.

Il saggio sa vedere le cose, a differenza della massa disorientata e cieca, che tende unicamente a fuggire il dolore.

Suave, mari magno turbantibus aequora ventise terra magnum alterius spectare laborem;non quia vexari quemquamst iucunda voluptas,sed quibus ipse malis careas quia cernere suavest.suave etiam belli certamina magna tueriper campos instructa tua sine parte pericli;sed nihil dulcius est, bene quam munita tenereedita doctrina sapientum templa serena,despicere unde queas alios passimque videreerrare atque viam palantis quaerere vitae,certare ingenio, contendere nobilitate,noctes atque dies niti praestante laboread summas emergere opes rerumque potiri.o miseras hominum mentes, o pectora caeca!qualibus in tenebris vitae quantisque periclisdegitur hoc aevi quod cumquest! nonne viderenihil aliud sibi naturam latrare, nisi ut quicorpore seiunctus dolor absit, mente fruaturiucundo sensu cura semota metuque?

È’ dolce, mentre nel grande mare i venti sconvolgono le acque,guardare dalla terra la grande fatica di un altro;non perché il tormento di qualcuno sia un giocondo piacere,ma perché è dolce vedere da quali mali tu stesso sia immune.Dolce è anche contemplare grandi contese di guerraapprestate nei campi senza che tu partecipi al pericolo.Ma nulla è più piacevole che star saldo sulle serene regionielevate, ben fortificate dalla dottrina dei sapienti,donde tu possa volgere lo sguardo laggiù, verso gli altri,e vederli errare qua e là e cercare, andando alla ventura,la via della vita, gareggiare d'ingegno, rivaleggiare di nobiltà,sforzarsi notte e giorno con ininterrotta faticaper assurgere a piu’ alta ricchezza e impadronirsi del potere.O misere menti degli uomini, o animi ciechi!In che tenebre di vita e tra quanto grandi pericolisi consuma questa esistenza, quale che sia! E come non vedereche nient'altro la natura latrando reclama, se non che il doloresia rimosso e sia assente dal corpo, e nella mente essa godadi un senso giocondo, libera da affanno e timore?

mari ablativo di stato in luogo (senza “in”)

turbantibus...ventis ablativo assoluto con valore temporale

non... sed... proposizioni causalitua sine anastrofevidere vedere in profondita’despicere de (movimento dall’altro

verso) + specio (senso di superiorita’)

Lucrezio-5

Page 6: Lucrezio - De Rerum Natura

libro II – versi 352-356 – LA GIOVENCA ED IL VITELLO PERDUTO

Lucrezio esprime la singolarità degli esseri viventi attraverso l’episodio della giovenca e del vitello. Oltre alla polemica contro la superstizione religiosa è importante anche il dolore della madre per il figlio, che

diventa un inno al valore dell’individuo, alla grandezza irripetibile ed insostituibile di ogni singolo essere vivente.

Nam saepe ante deum vitulus delubra decoraturicremas propter mactatus concidit arassanguinis expirans calidum de pectore flumen;at mater viridis saltus orbata peragransnovit humi pedibus vestigia pressa bisulcis,omnia convisens oculis loca, si queat usquamconspicere amissum fetum, completque querellisfrondiferum nemus adsistens et crebra revisitad stabulum desiderio perfixa iuvenci,nec tenerae salices atque herbae rore vigentesfluminaque ulla queunt summis labentia ripisoblectare animum subitamque avertere curam,nec vitulorum aliae species per pabula laetaderivare queunt animum curaque levare;usque adeo quiddam proprium notumque requirit.

Così, spesso davanti agli splendidi templi degli dèi un vitellocade immolato presso gli altari su cui brucia l'incenso,esalando dal petto un caldo fiume di sangue.E la madre orbata, vagando per verdi pascoli,cerca sul terreno le orme impresse dai piedi bisulchi,fruga con gli occhi ogni luogo, per vedere se possain qualche parte scorgere la creatura che ha perduta; e riempiedi lamenti il bosco frondoso, sostando; e sovente ritornaalla stalla, trafitta dal rimpianto del giovenco;e i teneri salici e le erbe rinverdite dalla rugiadae quelle sue acque, scorrenti a fior delle rive, non possonodar diletto al suo animo e sviare l'affanno che l'ha presa,né la vista di altri vitelli per i pascoli in rigogliopuò distrarre il suo animo e alleviarne l'affanno:tanto essa ricerca qualcosa che è sua propria e che le è nota.

deum sincopata di deorumturicre-propter anastrofede pectore ablativo di provenienzaat congiunzione non avversativaviridis per viridesperagrans participio con valore

temporalehumi complemento locativoquerellis ablativo strumentale

libro III – versi 1-30 – ELOGIO AD EPICURO

Il prologo del III libro è un vero e proprio inno al maestro, cui il discepolo si rivolge con epiteti altrimenti usati per le divinità. Qui Epicuro diventa il tremite della vera pietas, che consiste nel contemplare

le sedi degli dei e nell’essere liberi dal timore della morte, grazie alla religione della ragione che ha fatto capire all’uomo la verità delle cose.

E tenebris tantis tam clarum extollere lumenqui primus potuisti inlustrans commoda vitae,te sequor, o Graiae gentis decus, inque tuis nuncficta pedum pono pressis vestigia signis,

O tu, che in mezzo a tenebre così profonde potestilevare una luce tanto fulgida, illuminando le gioie della vita,per primo seguo te, o gloria del popolo greco, e nelle ormeda te tracciate ora pongo ben salde le impronte dei miei piedi,

allitterazione di ttenebris sta per ignoranza

propter amorem complemento di

Lucrezio-6

Page 7: Lucrezio - De Rerum Natura

non ita certandi cupidus quam propter amoremquod te imitari aveo; quid enim contendat hirundocycnis, aut quid nam tremulis facere artubus haediconsimile in cursu possint et fortis equi vis?tu, pater, es rerum inventor, tu patria nobissuppeditas praecepta, tuisque ex, inclute, chartis,floriferis ut apes in saltibus omnia libant,omnia nos itidem depascimur aurea dicta,aurea, perpetua semper dignissima vita.nam simul ac ratio tua coepit vociferarinaturam rerum divina mente coortadiffugiunt animi terrores, moenia mundidiscedunt. totum video per inane geri res.apparet divum numen sedesque quietae,quas neque concutiunt venti nec nubila nimbisaspergunt neque nix acri concreta pruinacana cadens violat semper[que] innubilus aetherintegit et large diffuso lumine ridet:omnia suppeditat porro natura neque ullares animi pacem delibat tempore in ullo.at contra nusquam apparent Acherusia templa,nec tellus obstat quin omnia dispiciantur,sub pedibus quae cumque infra per inane geruntur.his ibi me rebus quaedam divina voluptaspercipit atque horror, quod sic natura tua vitam manifesta patens ex omni parte retecta est.

non tanto perché io voglia gareggiare con te, quanto perché desideroimitarti per amore. Come potrebbe infatti contendere la rondinecoi cigni? O come potrebbero mai i capretti dalle zampemalferme emulare nella corsa l'impeto di un forte cavallo?Tu, padre, sei scopritore del vero; tu ci prodighi paterni precetti, e, come le api nei pascoli fioritisuggono per ogni dove, così noi nei tuoi scritti,o glorioso, ci pasciamo di tutti gli aurei detti,aurei, sempre degnissimi di vita perpetua.Infatti, appena la tua dottrina comincia a svelare a gran vocela natura quale è sorta dalla tua mente divina,fuggon via i terrori dell'animo, le mura del mondosi disserrano, vedo le cose svolgersi attraverso tutto il vuoto.Appaiono la potenza degli dèi e le sedi quiete,che né venti scuotono, né nuvole cospargonodi piogge, né neve vìola, condensata da gelo acuto,candida cadendo; ‹ma› un etere sempre senza nubile ricopre, e ride di luce largamente diffusa.E tutto fornisce la natura, né alcunacosa in alcun tempo intacca la pace dell'animo.Ma per contro in nessun luogo appaiono le regioni acherontee,né la terra impedisce che si discerna tutto quantosi svolge sotto i miei piedi, laggiù, attraverso il vuoto.Per queste cose mi prende allora un certo divino piaceree un brivido, perché così per la potenza della tua mente la natura,tanto manifestamente dischiudendosi, in ogni parte è stata rivelata.

causaquod rafforzativocycnis simbolo dell’ispirazione

poeticatremulis ablativo di qualita’

Lucrezio-7

Page 8: Lucrezio - De Rerum Natura

libro III – versi 1053-1075 – LA NOIA E LA MORTE

Dopo aver considerato che l’uomo teme terribilmente la morte, Lucrezio parla della noia, del tedium vitae, una macigno malefico che affligge l’uomo. Sebbene questi tenti inutilmente di evaderla, la noia è interna all’uomo, è un’angoscia esistenziale che lo tortura senza che ne capisca la ragione.

Secondo Lucrezio l’unico rimedio alla noia consiste nell’indagine razionale della natura, perchè solo chiarendo a noi stessi il nostro essere ed il nostro rapporto con il mondo che ci circonda, potremo raggioungere l’atarassia ed essere immuni dalle angoscie della vita e della morte.

Si possent homines, proinde ac sentire videnturpondus inesse animo, quod se gravitate fatiget,e quibus id fiat causis quoque noscere et undetanta mali tam quam moles in pectore constet,haut ita vitam agerent, ut nunc plerumque videmusquid sibi quisque velit nescire et quaerere semper,commutare locum, quasi onus deponere possit.exit saepe foras magnis ex aedibus ille,esse domi quem pertaesumst, subitoque <revertit>,quippe foris nihilo melius qui sentiat esse.currit agens mannos ad villam praecipitanterauxilium tectis quasi ferre ardentibus instans;oscitat extemplo, tetigit cum limina villae,aut abit in somnum gravis atque oblivia quaerit,aut etiam properans urbem petit atque revisit.hoc se quisque modo fugit, at quem scilicet, ut fit,effugere haut potis est: ingratius haeret et oditpropterea, morbi quia causam non tenet aeger;quam bene si videat, iam rebus quisque relictisnaturam primum studeat cognoscere rerum,temporis aeterni quoniam, non unius horae,ambigitur status, in quo sit mortalibus omnisaetas, post mortem quae restat cumque manenda.

Se gli uomini potessero, così come è evidente che sentono di avere un peso in fondo all'animo, che con il suo gravare li affatica, anche conoscere da quali cause ciò provenga e perchéun così grande macigno, per così dire, di male alberghi nel loro animo,non condurrebbero così la loro vita, come per lo più li vediamo ora:ognuno non sa che cosa voglia per sè e cerca sempredi mutar luogo, quasi potesse deporre il suo peso.Esce spesso fuori dal sontuoso palazzo coluiche lo stare in casa ha tediato, e subito ‹ritorna›,poiché sente che fuori non si sta per niente meglio.Corre alla villa, sferzando i puledri, precipitosamente,come se avesse fretta di prestare soccorso alla casa in fiamme;sbadiglia immediatamente, appena ha toccato la soglia della villa, o greve si sprofonda nel sonno e cerca l'oblio,o anche parte in fretta e furia per la città e torna a vederla.Così ciascuno fugge sé stesso, ma, a quel suo 'io', naturalmente,come accade, non potendo sfuggire, malvolentieri gli resta attaccato,e lo odia, perché è malato e non comprende la causa del male;se la scorgesse bene, ciascuno, lasciata ormai ogni altra cosa,mirerebbe prima di tutto a conoscere la natura delle cose,giacché è in questione non la condizione di un'ora sola,ma quella del tempo senza fine, in cui i mortali devono aspettarsiche si trovi tutta l'età che resta dopo la morte, qualunque essa sia.

Si ... videmus periodo ipotetico della realtà

sentire – noscere forte differenza tra i significati

animo ablativo, stato in luogogravitate ablativo strumentalequoque congiunzione, sottolinea la

necessità di conoscere la propria angoscia

exit enfatico a inizio fraseforas avverbio antico da fore,

forarum (la porta)domi locativonihilo abl. arcaico di misuracurrit enfatico a inizio frasepraecipitanter neologismo, usato solo

qui in tutta la letteratura latinatectis sineddoche (per casa)tetigit cum iperbatose ironia (fuggire se stessi)

Lucrezio-8

Page 9: Lucrezio - De Rerum Natura

libro V – versi 195-234 – IL MONDO E L’UOMO

Questo passo è il canto dell’Universo, considerato il risultato di una combinazione di atomi destinato a morire, privo di Provvidenza divina.Lucrezio considera la natura crudele, matrigna più che madre dell’uomo. All’uomo la terra, riarsa dalla torrida “lampada” del Sole o coperta da nevi e ghiacci, è negata: gli rimane solo una piccola parte perchè la coltivi e ne tragga il suo sostentamento. Ma quando da poche zolle l’uomo ottiene frutti e messi, basta un soffio della potenza naturale per

distruggere tutto.La natura, matrigna anche con gli animali, li ha creati negativi rispetto al genere umano: essi sono predatori o vettori di malattie. Lucrezio volge lo sguardo al figlio dell’uomo, un naufrago sbattuto dalle onde su di un lido sconosciuto ed inospitale.Il poeta si fa interprete del dolore del mondo e della solitudine dell’uomo, abbandonando timidamente l’atarassia.

Quod <si> iam rerum ignorem primordia quae sint ,hoc tamen ex ipsis caeli rationibus ausimconfirmare aliisque ex rebus reddere multis,nequaquam nobis divinitus esse paratamnaturam rerum: tanta stat praedita culpa.principio quantum caeli tegit impetus ingens,inde avidam partem montes silvaeque ferarumpossedere, tenent rupes vastaeque paludeset mare, quod late terrarum distinet oras.inde duas porro prope partis fervidus ardoradsiduusque geli casus mortalibus aufert.quod super est arvi, tamen id natura sua visentibus obducat, ni vis humana resistatvitai causa valido consueta bidentiingemere et terram pressis proscindere aratris.si non fecundas vertentes vomere glebasterraique solum subigentes cimus ad ortus.sponte sua nequeant liquidas existere in auras.et tamen inter dum magno quaesita laborecum iam per terras frondent atque omnia florent,aut nimiis torret fervoribus aetherius solaut subiti peremunt imbris gelidaeque pruine,

E quand'anche ignorassi quali siano i primi elementi delle cose,questo tuttavia oserei affermare in base agli stessi fenomenidel cielo e comprovare in forza di molte altre cose:che la natura del mondo non è stata per nulla dispostadal volere divino per noi: di così grande difetto essa è dotata.In primo luogo, di quanto copre l'ampia distesa del cielo,una grande parte è occupata da monti e selvedominio di belve, la posseggono rupi e deserte paludie il mare che vastamente disgiunge le rive delle terre.Inoltre, quasi due terzi il bruciante caloree l'assiduo cadere del gelo li tolgono ai mortali.Ciò che resta di terra coltivabile, la natura con la propria forzalo coprirebbe tuttavia di rovi, se non le resistesse la forza dell'uomo,per i bisogni della vita avvezzo a gemere sul robustobidente e a solcare la terra cacciandovi a fondo l'aratro.Se, rivoltando col vomere le glebe feconde e domandoil suolo della terra, non le stimolassimo al nascere,spontaneamente le piante non potrebbero sorgere nell'aria pura;e nondimeno, talora, procurate con grande fatica,quando già per i campi frondeggiano e tutte fioriscono,o le brucia con eccessivi calori l'etereo soleo le distruggono improvvise piogge e gelide brine,

Quod si formula di trapasso (dopo aver cantato Epicuro il poeta afferma che il mondo, poichè formato da atomi, è destinato a morire

Quod ... sint proposizione interrogativa indiretta

ausim forma arcaica di perfetto congiuntivo (da audeo)

nequaquam avv. per congiunzione, molto forte

nobis dativo di interesseinde moto da luogopossedere forma sincopata di

possederuntpartis sta per partesni sta per nisivitai genitivo arcaico, sta per viteterrai genitivo arcaico, sta per terresolum pleonasmo (ripetizione inutile,

rafforzativo)magno labore ablativo strumentale

Lucrezio-9

Page 10: Lucrezio - De Rerum Natura

flabraque ventorum violento turbine vexant.praeterea genus horriferum natura ferarumhumanae genti infestum terraque mariquecur alit atque auget? cur anni tempora morbosadportant? quare mors inmatura vagatur?tum porro puer, ut saevis proiectus ab undisnavita, nudus humi iacet infans indigus omnivitali auxilio, cum primum in luminis orasnixibus ex alvo matris natura profudit,vagituque locum lugubri complet, ut aequumstcui tantum in vita restet transire malorum.at variae crescunt pecudes armenta feraequenec crepitacillis opus est nec cuiquam adhibendastalmae nutricis blanda atque infracta loquellanec varias quaerunt vestes pro tempore caeli,denique non armis opus est, non moenibus altis,qui sua tutentur, quando omnibus omnia largetellus ipsa parit naturaque daedala rerum.

e le devasta con violento turbine il soffiare dei venti.E poi, la razza orrenda delle fiere, nemicadel genere umano, perché la natura in terra e in marela alimenta e la accresce? Perché le stagioni apportanomalattie? Perché la morte prematura s'aggira qua e là?E inoltre, il bimbo, come un navigante gettato sulla rivada onde furiose, giace a terra nudo, incapace di parlare,bisognoso d'ogni aiuto per vivere, appena la natura lo fa uscirecon sforzi fuori dal ventre della madre alle rive della luce,e riempie il luogo di un lugubre vagito, come è giustoper uno che nella vita dovrà passare per tanti mali.Ma crescono i vari animali domestici, gli armenti e le fiere,né c'è bisogno di sonaglini, per nessuno occorrela carezzevole e balbettante voce dell'amorevole nutrice,né essi richiedono vesti diverse secondo le stagioni;infine, non hanno bisogno di armi, né di alte mura,per proteggere i propri averi, giacché per tutti tuttolargamente producono la terra stessa e la natura artefice.

ventorum violento vexant allitterazione di v

serie di interrogative per introdurre il discorso sul figlio dell’uomo

humi locativoinfans composto da in (negativo) +

for, faris, fatus sum, fari (parlare) = incapace di parlare

cum ... profundit proposizione temporale

vagitu lugubri ablativo strumentalecrepitacillis neologismo, sta per

crepitaculum (vezzeggiativo)almae dativo d’agente, da alo

(nutrire)

libro VI – versi 1138-1181 – LA PESTE DI ATENE

In questo passo Lucrezio si allontana dal suo obiettivo: condurre l’uomo all’atarassia affrancandolo dai timori della superstizione religiosa e della morte, guardando il mondo con uno spirito gioioso. Lucrezio, nel narrare la peste di Atene del 430 a.C. che scoppia durante l’ultima fase della guerra del Peloponneso, offre uno spettacolo desolante, dove l’umanità perde ogni valore, annientata dalla malattia. Il poeta attraverso una descrizione particolareggiata dei sintomi fisici e

degli effetti nefasti a livello morale, vede nell’epidemia un totale crollo della moralità. Nel passo cè una drammatica atmosfera di disperazione, tanto per il forte ed amaro realismo quanto per il lessico eccezionale, coniato o scelto. Sorprende una chiusura del poema così tetra, perchè fa pensare ad un cambiamento dell’atteggiamento di Lucrezio dinnanzi alla sua vita, così provata, lasciando aperta la possibilità che la morte prematura dell’autore abbia negato una revisione.

Haec ratio quondam morborum et mortifer aestusfinibus in Cecropis funestos reddidit agrosvastavitque vias, exhausit civibus urbem.

Tale causa di malattie e mortifero flusso, un tempo,nel paese di Cecrope, rese funerei i campie spopolò le strade, svuotò di cittadini la città.

Cecropis il fondatore di Atene (sta per Attica)

quandam si riferisce alla peste del 430 a.c. di cui parla Tucidide

Lucrezio-10

Page 11: Lucrezio - De Rerum Natura

nam penitus veniens Aegypti finibus ortus,aeëra permensus multum camposque natantis,incubuit tandem populo Pandionis omni.inde catervatim morbo mortique dabantur.principio caput incensum fervore gerebantet duplicis oculos suffusa luce rubentes.sudabant etiam fauces intrinsecus atraesanguine et ulceribus vocis via saepta coibatatque animi interpres manabat lingua cruoredebilitata malis, motu gravis, aspera tactu.inde ubi per fauces pectus complerat et ipsummorbida vis in cor maestum confluxerat aegris,omnia tum vero vitai claustra lababant.spiritus ore foras taetrum volvebat odorem,rancida quo perolent proiecta cadavera ritu.atque animi prorsum [tum] vires totius, omnelanguebat corpus leti iam limine in ipso.intolerabilibusque malis erat anxius angoradsidue comes et gemitu commixta querella,singultusque frequens noctem per saepe diemquecorripere adsidue nervos et membra coactansdissoluebat eos, defessos ante, fatigans.nec nimio cuiquam posses ardore tuericorporis in summo summam fervescere partem,sed potius tepidum manibus proponere tactumet simul ulceribus quasi inustis omne ruberecorpus, ut est per membra sacer dum diditur ignis.intima pars hominum vero flagrabat ad ossa,flagrabat stomacho flamma ut fornacibus intus.nil adeo posses cuiquam leve tenveque membrisvertere in utilitatem, at ventum et frigora semper.in fluvios partim gelidos ardentia morbo

Venendo infatti dal fondo della terra d'Egitto, ove era nato,dopo aver percorso molta aria e distese fluttuanti,piombò alfine su tutto il popolo di Pandione.In conseguenza di ciò, a mucchi eran preda della malattia e della morte.Dapprima avevano il capo ardente per il caloreed ambedue gli occhi arrossati per una luce diffusa.La gola, inoltre, nell'interno nera, sudava sangue,e occluso dalle ulcere la laringe si serrava,e l'interprete dell'animo, la lingua, stillava gocce di sangue,infiacchita dal male, pesante al movimento, scabra al tatto.Poi, quando attraverso la gola la forza della malattiaaveva invaso il petto ed era affluita fin dentro il cuore afflittodei malati, allora davvero vacillavano tutte le barriere della vita.Il fiato che usciva dalla bocca spargeva un puzzo ributtante,simile al fetore che mandano i putridi cadaveri abbandonati.Poi le forze dell'animo intero ‹e› tutto il corpolanguivano, già sul limitare stesso della morte.E agli intollerabili mali erano assidui compagniun'ansiosa angoscia e un lamentarsi commisto con sospiri.E un singhiozzo frequente, che spesso li costringeva notte e giornoa contrarre assiduamente i nervi e le membra, li struggevaaggiungendo travaglio a quello che già prima li aveva spossati.Né avresti notato che per troppo ardore in alcunobruciasse alla superficie del corpo la parte più esterna,ma questa piuttosto offriva alle mani un tiepido contatto,e insieme tutto il corpo era rosso d'ulcere quasi impresse a fuoco,come accade quando per le membra si diffonde il fuoco sacro.Ma la parte più interna in quegli uomini ardeva fino alle ossa,nello stomaco ardeva una fiamma, come dentro fornaci.Sicché non c'era cosa, benché lieve e tenue, con cui potessi giovarealle membra di alcuno, ma vento e frescura cercavano sempre.Alcuni immergevano nei gelidi fiumi le membra ardenti

civibus ablativo di privazionenatantis sta per natantesPandionis leggendario re dell’Attica

(sta per Atene)soffusa luce ablativo di causasudabant e sanguine enfatici ad inizio

fraseulceribus ablativo strumentalevocis via metafora ardita ma efficacetactu ablativo di limitazioneprincipio...inde... climaxcomplerat sta per compleveratvero vitai allitterazione (molto

efficace)vitai genitivo arcaicoquerella molto usato da lucrezionoctem per anastrofe (sta per “per

noctem”)coactans intensivo da cogoulceribus complemento di causaintima pars avversativo, in

contrapposizione con summam partem

stomacho stato in luogo (senza in)in...undas ripreso dalla narrazione di

Tucidide

Lucrezio-11

Page 12: Lucrezio - De Rerum Natura

membra dabant nudum iacientes corpus in undas.multi praecipites nymphis putealibus alteinciderunt ipso venientes ore patente:insedabiliter sitis arida corpora mersansaequabat multum parvis umoribus imbrem.nec requies erat ulla mali: defessa iacebantcorpora. mussabat tacito medicina timore,quippe patentia cum totiens ardentia morbislumina versarent oculorum expertia somno.

per la malattia, gettando dentro le onde il corpo nudo.Molti caddero a capofitto nelle acque di pozzi profondi,mentre accorrevano protendendo la bocca spalancata.La sete che li riardeva inestinguibilmente e faceva immergerei corpi, rendeva pari a poche gocce molta acqua.E il male non dava requie: i corpi giacevanostremati. La medicina balbettava in un muto sgomento,mentre quelli tante volte rotavano gli occhi spalancati,ardenti per la malattia, privi di sonno.

praecipites a capofitto, prae + cipites (testa all’ingiù)

insediabiliter avverbio lungo per rallentare, neologismo, usato solo qui, in (negazione) + sedo (placare)

medicina sta per medicisomno ablativo di privazione

Lucrezio-12