Dossier di Progetto Lavoro LA CRISI Dossier/1 - dicembre 2011 … · 2019-12-06 · volatilità dei...

39
Giancarlo Saccoman COME ORIENTARSI IN TEMA DI CRISI, DEBITO PUBBLICO, “AUSTERITÀ”, CRESCITA Da una recessione verso l’altra. Camminando sul- l’orlo del baratro Negli ultimi mesi si è verificato un nuovo brusco rallen- tamento dell’economia mondiale, particolarmente accentuato nei paesi avanzati, a causa delle tensioni ancora presenti nei mercati finanziari mondiali, che vedono un sistema bancario ancora infarcito di titoli tos- sici, vecchi e nuovi, e della persistente debolezza dei mercati immobiliari e del lavoro. L’OCSE prevede una nuova recessione per fine anno, evidenziato dal rapido degrado degli indicatori, mentre la BCE parla di una “dolce recessione” e il FMI di un “decennio perduto” da parte dell’Unione Europea per via della depressione, caratterizzato da un iperdebito, da una crescita negativa, da tagli permanenti della spesa sociale, dagli effetti deflattivi delle politiche di rientro dal debito pubblico. Per di più il ritorno alla normalità sembra sempre più lontano. Ma anche nei paesi emergenti, Cina compresa, che vedono la loro crescita moderata da una stretta cre- ditizia che intende mitigare il surriscaldamento dell’eco- nomia, in presenza di un’elevata inflazione, si avvertono problemi di stabilità dei mercati immobiliari e del credi- to. La stagnazione dell’economia produttiva, favorisce la crescita della speculazione finanziaria, che ha già rag- giunto e superato i livelli ante-crisi nella ricerca di rendi- menti elevati, con una crescita dei derivati OTC (over the counter, fuori dai mercati regolamentati), che hanno raggiunto i 708.000 miliardi di dollari, circa 14 volte il PIL mondiale, con un aumento impetuoso, pari al 18%, nel solo primo semestre del 2011. Ne deriva un’altissima volatilità dei mercati finanziari, che cercano continua- mente occasioni di guadagno, spostano il cerino acceso dal debito privato a quello pubblico, dalle banche ai debi- ti sovrani, dai mercati valutari alle materie prime, accen- tuandone l’instabilità e riducendo ulteriormente le pro- spettive di ripresa economica. Anche le agenzie di rating LA CRISI GLOBALE, EUROPEA, ITALIANA INDICE Giancarlo Saccoman Come orientarsi in tema di crisi, debito pubblico, “austerità”, crescita Luigi Vinci Interessi materiali e rappresentazioni di classe Massimo Florio Crisi infinita Domenico Moro Le cause del debito europeo Luigi Vinci Le agenzie di rating. Come Paperon de’ Paperoni e Archimede Pitagorico cooperano al saccheggio del mondo Giancarlo Saccoman Crisi e rincari di quel che un tempo costava poco Massimo Florio Privatizzazioni ergo scambio tra rendite politiche e rendite finanziarie Stefano Squarcina Il monetarismo dei vertici UE sta fallendo, aprendo possibilità disastrose Giancarlo Saccoman Il “ripudio del debito”: dalla padella nella brace? Gian Paolo Patta, Luigi Vinci Italia: situazione complicata, come muoversi Dossier di Progetto Lavoro Dossier/1 - dicembre 2011

Transcript of Dossier di Progetto Lavoro LA CRISI Dossier/1 - dicembre 2011 … · 2019-12-06 · volatilità dei...

Page 1: Dossier di Progetto Lavoro LA CRISI Dossier/1 - dicembre 2011 … · 2019-12-06 · volatilità dei mercati finanziari, che cercano continua-mente occasioni di guadagno, spostano

Giancarlo Saccoman

COME ORIENTARSI IN TEMA DI CRISI,DEBITO PUBBLICO, “AUSTERITÀ”,

CRESCITA

Da una recessione verso l’altra. Camminando sul-l’orlo del baratro

Negli ultimi mesi si è verificato un nuovo brusco rallen-tamento dell’economia mondiale, particolarmenteaccentuato nei paesi avanzati, a causa delle tensioniancora presenti nei mercati finanziari mondiali, chevedono un sistema bancario ancora infarcito di titoli tos-sici, vecchi e nuovi, e della persistente debolezza deimercati immobiliari e del lavoro. L’OCSE prevede unanuova recessione per fine anno, evidenziato dal rapidodegrado degli indicatori, mentre la BCE parla di una“dolce recessione” e il FMI di un “decennio perduto” daparte dell’Unione Europea per via della depressione,caratterizzato da un iperdebito, da una crescita negativa,da tagli permanenti della spesa sociale, dagli effettideflattivi delle politiche di rientro dal debito pubblico.Per di più il ritorno alla normalità sembra sempre piùlontano. Ma anche nei paesi emergenti, Cina compresa,che vedono la loro crescita moderata da una stretta cre-ditizia che intende mitigare il surriscaldamento dell’eco-nomia, in presenza di un’elevata inflazione, si avvertonoproblemi di stabilità dei mercati immobiliari e del credi-to. La stagnazione dell’economia produttiva, favorisce lacrescita della speculazione finanziaria, che ha già rag-giunto e superato i livelli ante-crisi nella ricerca di rendi-menti elevati, con una crescita dei derivati OTC (overthe counter, fuori dai mercati regolamentati), che hannoraggiunto i 708.000 miliardi di dollari, circa 14 volte ilPIL mondiale, con un aumento impetuoso, pari al 18%,nel solo primo semestre del 2011. Ne deriva un’altissimavolatilità dei mercati finanziari, che cercano continua-mente occasioni di guadagno, spostano il cerino accesodal debito privato a quello pubblico, dalle banche ai debi-ti sovrani, dai mercati valutari alle materie prime, accen-tuandone l’instabilità e riducendo ulteriormente le pro-spettive di ripresa economica. Anche le agenzie di rating

L A C R I S IGLOBALE, EUROPEA, ITALIANA

INDICE

Giancarlo SaccomanCome orientarsi in tema di crisi, debito pubblico, “austerità”, crescita

Luigi VinciInteressi materiali e rappresentazioni di classe

Massimo FlorioCrisi infinita

Domenico MoroLe cause del debito europeo

Luigi VinciLe agenzie di rating. Come Paperon de’ Paperoni e Archimede Pitagorico cooperano al saccheggio del mondo

Giancarlo SaccomanCrisi e rincari di quel che un tempo costava poco

Massimo FlorioPrivatizzazioni ergo scambio tra rendite politiche e rendite finanziarie

Stefano SquarcinaIl monetarismo dei vertici UE sta fallendo, aprendo possibilità disastrose

Giancarlo SaccomanIl “ripudio del debito”: dalla padella nella brace?

Gian Paolo Patta, Luigi VinciItalia: situazione complicata, come muoversi

Dossier di Progetto Lavoro

Dossier/1 - dicembre 2011

Page 2: Dossier di Progetto Lavoro LA CRISI Dossier/1 - dicembre 2011 … · 2019-12-06 · volatilità dei mercati finanziari, che cercano continua-mente occasioni di guadagno, spostano

dossier crisi

2

contribuiscono a tale instabilità, aumentando il premiodi rischio (spread), indirizzando le pressioni speculative,rendendo il mercato mondiale sempre più ingovernabi-le. “Stiamo vivendo il rischio di un collasso globale”(Gordon Brown). Dopo quattro anni dallo scoppio dellacrisi finanziaria nessuna delle cause che l’hanno deter-minata o che ne hanno amplificato gli effetti ha trovatoancora una soluzione. D’altra parte il grande capitalefinanziario resta stabile sul ponte di comando, conti-nuando a impedire ogni tentativo di regolazione daparte politica, come la separazione fra banche e finanza,la limitazione del ruolo delle agenzie di rating, la messafuori legge delle “banche ombra” (che hanno 16.000miliardi di attivo), l’isolamento dei paradisi fiscali, letransazioni fuori dai circuiti ufficiali (che sono la mag-gioranza), le scommesse finanziarie (short selling, deri-vati nudi, fondi avvoltoio, ecc.).

Lo scenario tendenziale dell’economia mondiale saràcaratterizzato perciò da una complessiva riduzione del-l’interscambio e da uno scivolamento verso una nuovafase recessiva (il cosiddetto “double dip”) che accentue-rà ulteriormente gli attuali squilibri, produrrà più disoc-cupazione e peggiorerà ancora le condizioni di vita dellepopolazioni.

Nonostante il suo fallimento economico il neoliberismoresta in Occidente l’ideologia dominante. Continuaquindi lo strapotere della grande finanza sull’economia esulla politica. Governi e istituzioni internazionaliimpongono politiche di “austerità” che moltiplicano ifattori di crisi, con conseguenze deflattive che portano aprofonde devastazioni sociali, accentuano le tendenzeprotezionistiche, gli egoismi tribali e le tendenze xeno-fobe, che favoriscono un diffuso successo elettorale diformazioni politiche reazionarie. Il dogma neoliberistaviene imposto come una “necessità” (“Tina” ovvero“there is no alternative”) contro la destabilizzazioneeconomica (il “default”), espropriando parlamenti egoverni democraticamente eletti della loro sovranità econtrapponendoli al tempo stesso alle richieste popola-ri. Il potere viene così postato su istanze sovranazionalisottratte a qualsiasi possibilità di controllo e spesso con-nesse alla grande finanza mondiale. Anche questo con-corre all’approfondimento della crisi.

Esiste dunque una profonda incoerenza fra le strategie egli interessi oggi generalmente perseguiti e le possibilivie d’uscita dalla crisi attuale. Per comprende tale situa-zione si può ricorrere a due diverse interpretazioni, fraloro complementari.Quella della “entelechia generazionale”, per cui le idee ei valori si fissano durante la formazione giovanile, conuna “impronta” (Weltanschauung e Ideenkleid, ovvero“visione del mondo” e “vestito di idee”) che si mantie-ne per tutta la vita, per cui oggi i ceti politici di governorispondono alle mutate situazioni con idee vecchie dialmeno trent’anni e in palese contraddizione con le esi-genze della realtà, ergo “con i paraocchi ideologici con-fezionati con le idee del pensiero unico del trentenniopassato”(Andriani). E quella del “massimo di coscienzapossibile”, proposta dal filosofo francese LucienGoldman, secondo il quale esistono una “falsa coscien-za” ovvero un limite alla comprensione della realtà rap-presentato dagli interessi della classe dominante (oggi

quelli del grande capitale finanziario), che può esseresuperato solo dall’irrompere di nuove forze sociali rap-presentative di interessi sociali più estesi e di obiettivieffettivamente universali. “La verità è sempre rivoluzio-naria”, infatti.

Siamo dunque in presenza di una vera e propria crisi diciviltà, alla riproposizione del dilemma fra “socialismo ebarbarie”, che impone alla sinistra anche un rinnova-mento profondo degli strumenti teorici di risposta allecrisi assieme alla ricostruzione del suo radicamentosociale.

Esiste una via d’uscita?

La via d’uscita dalla situazione critica attuale esige unaserie di condizioni, semplici, ma difficili da realizzare.Servirebbe un grande accordo di collaborazione fra tuttele maggiori potenze che guardasse alla creazione di isti-tuzioni democratiche, politiche, economiche e finanzia-rie mondiali, che volesse realizzare una riconversione aun modello di sviluppo ambientalmente e socialmentecompatibile, ritornando inoltre alla centralità dell’econo-mia reale, quindi definendo regole efficaci contro la spe-culazione finanziaria, partendo dal sottoporre le attivitàfinanziarie a controllo politico. Questo comporterebbela separazione fra credito e finanza, il divieto di stru-menti finanziari speculativi a leva (derivati nudi, shortselling, fondi speculativi e avvoltoio) e la realizzazione diuna moneta di scambio internazionale, come il “bancor”proposto nel 1944 da Keynes e i “diritti speciali di pre-lievo”, attuale moneta di conto del FMI, fondata su unpaniere di monete.

Ma se questo dovrebbe essere l’orientamento generaleper interrompere la catena delle bolle speculative e peruscire dalla crisi, la sua realizzazione non è né scontatané di breve termine: occorre essa la costruzione inOccidente di un grande blocco sociale avente al suo cen-tro un mondo del lavoro organizzato non solo sindacal-mente ma anche politicamente. Per intanto occorre pun-tare, quindi, a elementi di correzione di rotta immediatiche, per quanto parziali, consentano di evitare di preci-pitare nel baratro. L’obiettivo dunque è quello di unastrategia d’uscita (exit strategy) dalla stretta del debitopubblico.

Essa attualmente risulta perseguita in due modi contrap-posti e con ben diverse conseguenze sociali. Assistiamoinfatti a una netta contrapposizione fra gli Stati Uniti,che perseguono, attraverso la “facilitazione monetaria”(ovvero stampando moneta) una strategia semikeynesia-na di sostegno dello sviluppo, e l’Unione Europea, cheha avviato un rientro accelerato dal debito sovrano attra-verso la cosiddetta “austerità”. Tuttavia questa politicadell’UE ha avuto un pesante effetto recessivo, di conse-guenza questo rientro non sta avvenendo, la prospettivaUE è anzi quella di un avvitamento sinergico tra sacrifi-ci imposti alla società, debito, tendenza recessiva. In viagenerale, la strada scelta dagli USA è l’unica potenzial-mente efficace: tuttavia la sua efficacia è messa in dis-cussione sia da incoerenze dovute a retaggi liberisti, siadalle difficoltà create alla Presidenza Obama da partedella maggioranza repubblicana alla Camera deiRappresentanti.

Page 3: Dossier di Progetto Lavoro LA CRISI Dossier/1 - dicembre 2011 … · 2019-12-06 · volatilità dei mercati finanziari, che cercano continua-mente occasioni di guadagno, spostano

dossier crisi

3

La strada effettivamente valida dal punto di vista dellacrescita dovrebbe consistere, dunque, nell’aumento delladomanda individuale (salari e pensioni) e collettiva(spesa sociale) nonché, necessariamente, nel sostegnoall’offerta di beni innovativi anticipanti gli sviluppi per-vasivi di una nuova ondata tecnologica, oggi individua-bile nelle tecnologie verdi (energie alternative, sicurezzaambientale, biotecnologie, bioelettronica, nanotecnolo-gie, riciclaggio, ecc.). Ciò consentirebbe di “rimettere allavoro” quel capitale che aveva disertato la produzionerifugiandosi nella “vertigine finanziaria” (Marx), cosìriavviando occupazione e crescita e quindi favorendo ilriassorbimento del debito. Raddoppiando il tasso di cre-scita si dimezza il debito. E’ questa una tesi sostenutaspecialmente da alcuni economisti statunitensi, comePaul Krugman. Si accompagna a quella dell’opportunitàdi politiche fiscali redistributive: la diminuzione delledisuguaglianze riduce le rendite finanziarie e favorisce iredditi popolari che sostengono i consumi.

Il cratere europeo aperto dal comportamento delGoverno della Germania

La strada UE dell’“austerità” è parte di una mitologianeoliberista che non può funzionare e si trasforma pre-sto in un incubo. “Tagliare e contemporaneamente pen-sare di crescere è schizofrenico” (Fitoussi). Questa stra-da, definita in inglese “beggar the neighbour” ovvero“frega il vicino”, predica la riduzione del mercato inter-no e dei costi di produzione per conquistare maggioriquote di mercato estero. Ma si tratta di una strategia chefunziona quando esista un “consumatore di ultimaistanza” mondiale, che è il ruolo svolto dagli Stati Unitifino allo scoppio della crisi ma che è saltato, né appareripetibile; inoltre funziona se questa strategia è praticatada un solo stato da pochi, perché se “così fan tutti” ilrisultato è una riduzione complessiva del mercato (sonouna recessione e una depressione mondiali), ciò cherestringe le possibilità di esportazione di tutti gli stati.Ancora, in una situazione recessiva l’austerità è procicli-ca, poiché alimenta la concorrenza globale, i protezioni-smi e le guerre commerciali, contrae la domanda solvi-bile e le entrate fiscali, aumenta il debito e bloccando glistabilizzatori automatici.

A causa dell’“austerità” l’epicentro della crisi è oggianche in Europa, nonostante sia nata negli USA. Essacon le scelte recessive imposte dal duo “Merkozy” con-tribuendo a trascinare nel baratro l’intera economiamondiale. La Merkel ha imposto in tre anni tutte le deci-sioni sbagliate possibili prima di arrivare a quella giusta,ma ormai fuori tempo massimo e a costi enormementesuperiori, trasformando così una crisi tutto sommatomarginale come quella greca, facilmente risolvibile conpoca spesa, in una vera e propria frana che ha coinvol-to, con effetto domino, quasi l’intera eurozona, inve-stendo prima Portogallo e Irlanda, poi Spagna e Italia,oggi Francia, Belgio, Austria e Olanda, e che lambiscepersino la Finlandia, lasciando fuori solo Germania eLussemburgo.

Anche l’uscita dalla crisi dei debiti sovrani europei èsemplice, come si può dedurre osservando paesi comegli Stati Uniti, con un debito attorno al 100% del PIL ein crescita, il Giappone, con un debito doppio di quello

italiano, la Gran Bretagna, che presenta un deficit dop-pio di quello italiano e una situazione di banche nazio-nalizzate ma sempre sull’orlo del fallimento: questi paesipresentano rendimenti del debito pubblico enormemen-te più bassi di quello italiano e addirittura in riduzione.La differenza fondamentale sta nel fatto che questi paesihanno una banca centrale che, come tutte le banche cen-trali, svolge la funzione di “prestatore di ultima istanza”senza limiti attraverso la monetizzazione del debito (faci-litazione quantitativa, quantitative easing) e attraversol’allungamento delle scadenze dei bond, per di più senzagravi rischi di inflazione, data l’attuale situazione ten-denzialmente deflattiva. Per questo non sono attaccatidalla speculazione, in quanto essa ne conosce la capacitàdi resistenza all’assalto: mentre si concentra sull’euro(che la grande banca d’affari statunitense GoldmanSachs ha dichiarato di voler far saltare, ciò che le è basta-to a realizzare enormi guadagni).

Perché nell’eurozona ciò che fanno questi paesi nonrisulta possibile? Il difetto è nel manico, ovvero nellestesse regole costitutive dell’UE, definite tra Mitterand eKohl, per cui la riunificazione tedesca veniva consentitada parte francese avendone in cambio l’adesione tedescaal futuro euro. Quest’accordo conteneva parecchie pillo-le avvelenate che hanno condizionato l’assetto struttura-le dell’eurozona. Infatti, a differenza della Fed statuni-tense, che è tenuta a sostenere la crescita economica, loscopo della BCE è solo di combattere l’inflazione, anchequando, come adesso, non c’è, quindi di mantenere l’eu-ro nella condizione di moneta “forte”. Inoltre la BCEnon è una vera banca centrale, perché le è inibito il com-pito essenziale che caratterizza tutte le banche centrali, di“prestatore di ultima istanza” attraverso la leva moneta-ria, così garantendo la stabilità finanziar. La moneta“forte” era motivata dall’obiettivo di una convergenzadelle economie europee: ne è derivata invece una graveasimmetria tra esse. L’eurozona presentava profondedifferenze di produttività: l’impedimento, determinatodall’euro, di riaggiustamenti, precedentemente realizzatiattraverso i tassi di interesse e i rapporti di cambio, inol-tre determinato dall’assenza di una politica fiscale comu-ne, ha infatti causato una progressiva divaricazione tra leeconomia, che per molte ha pesato sulle bilance deipagamenti e sui debiti pubblici. Al tempo stesso laGermania, che sarebbe in grado di fare da locomotivaeuropea, ha invece esportato deflazione negli altri paesiadottando, da ormai dieci anni, una politica di austerità edi taglio del costo del lavoro finalizzata a un elevato livel-lo di esportazioni, dentro e fuori l’UE. Si è creato in talmodo un circolo vizioso infernale: gli altri paesi dell’eu-rozona, costretti da tutto questo a ricorrere al finanzia-mento creditizio privato, hanno dovuto sottoporsi al giu-dizio delle agenzie di rating, che ha moltiplicato il com-penso del rischio (spread) rappresentato dai loro titolisul debito, favorendo la speculazione finanziaria, appe-santendo ulteriormente il debito e tendendo, in caso dicrisi, al default. Occorre ricordare come, nel lungo perio-do, la sostenibilità del debito sia possibile solo se la cre-scita del PIL nominale è superiore a quella del tasso difinanziamento del debito, mentre siamo in oggi presen-za di una crescita inesistente e di un’esplosione dei tassi.

Esclusa la possibilità di una svalutazione monetaria, unillusorio recupero di competitività è stato cercato nella

Page 4: Dossier di Progetto Lavoro LA CRISI Dossier/1 - dicembre 2011 … · 2019-12-06 · volatilità dei mercati finanziari, che cercano continua-mente occasioni di guadagno, spostano

dossier crisi

4

svalutazione del lavoro e dello stato sociale: di qui ledevastanti operazioni della Commissione Europea infatto di liberalizzazione dei licenziamenti, superamentodella contrattazione nazionale e delle rivalutazioni con-tro il carovita, taglio di previdenza, spesa sociale, pub-blico impiego e così via, infine le pretese altrettantodevastanti dei vertici europei in fatto di “governance raf-forzata” e di costituzionalizzazione del pareggio dibilancio.

Tutto questo, anziché essere oggetto di riguardo daparte del cosiddetto “giudizio del mercato”, ha infinescatenato la speculazione contro l’euro. D’altro canto unmercato giudizioso non esiste, e quello finanziario èpiuttosto gestito da un ristretto potentissimo oligopolio.Nel giugno scorso le grandi banche d’affari statunitensie i fondi speculativi (hedge funds) loro direttamente oindirettamente collegati hanno deciso di muovere unattacco in forze all’euro, in ciò agevolate dai responsidelle agenzie di rating (gestite d’altro canto da loro),vedendo nel crollo dell’euro una grande opportunità direalizzazione di guadagni astronomici (come già avevafatto, su scala minore, Soros, facendo saltare nel ’92 lalira e la sterlina). L’attacco all’Italia costituisce dunquesolo una mossa importante orientata alla crisi dell’euro.La moltiplicazione dei paesi a rischio, scaturita del “mar-tedì nero” (il 1° novembre scorso, giorno della dichiara-zione di Papandreu di un referendum in Grecia sulleultime antisociali imposte alla Grecia da CommissioneEuropea, BCE e FMI), ha mostrato come il problemanon siano più i paesi “viziosi” ma le regole distorte chegovernano l’euro, per nulla attrezzate a evitare la defla-zione, anzi che la producono. Come ha spiegato benePaul Krugman, “l’élite europea, nella sua arroganza, harinchiuso il continente in un sistema monetario… chesi è trasformato in una trappola mortale”.

Solo la BCE potrebbe disporre, attraverso l’emissione dimoneta, dei mezzi necessari per rendere impossibile ildisastro. Se la BCE facesse la banca centrale, cioè siponesse “prestatore di ultima istanza”, “la crisi si ridi-mensionerebbe drasticamente e non si produrrebbeinflazione, perché siamo in una situazione di deflazionedistruttiva”. Il problema dei debiti sovrani sparirebbe dicolpo, ristorando le martoriate finanze dei paesi dell’eu-rozona, senza inutili e controproducenti massacri socia-li. Come spiega sempre Krugman, basterebbe la solagaranzia sul debito da parte della BCE per ridimensio-nare tassi e spread, senza alcun esborso effettivo e senzafavorire la speculazione finanziaria. Il problema è il vetodel Governo tedesco: questo governo continua a rifiuta-re una simile ipotesi. La Buba (la Banca centrale tedesca)ha intimato alla BCE di interrompere l’acquisto di titolisovrani italiani, spagnoli, portoghesi. Jens Weidman,Governatore della Buba, ha sostenuto che “la politicamonetaria non deve risolvere i problemi degli stati edelle banche”, e il Ministro delle Finanze tedescoWolfgang Schäuble ha aggiunto che “le banche centralinon possono finanziare gli stati”. Come ha dettoChristine Lagarde, presidente del FMI, “la crisi dell’eu-ro deriva dalle gravi esitazioni tedesche”.

Di conseguenza anche il Fondo Salva-stati ha subito unabbassamento del rating e un aumento dello spread(+100 punti in 4 mesi), ed è ora costretto a finanziarsi a

tassi più alti, per cui ha anche il problema di salvare sestesso. Ancora, l’acquisto dei titoli di stato sul mercatosecondario da parte della BCE, anziché all’atto della loromessa in vendita da parte delle banche centrali dell’euro-zona, ha finito con il favorire il “carry trade”, ovvero ilfatto che le banche, in particolare francesi e tedesche,che hanno ottenuto prestiti a tassi agevolati dalla BCEper l’acquisto di titoli di stato dei paesi a rischio, riven-dendoli alla BCE hanno ottenuto grandi guadagni, eperò pure, esagerando ovvero facendo indigestione dititoli (ne hanno comprati per 1.500 miliardi di euro),hanno obbligato i loro stati a salvarli, con conseguenteaumento dell’indebitamento di questi ultimi La primabanca a rischio fallimento è stata la Dexia, già salvatapoco tempo fa da Francia e Belgio. Va ricordato come lasovraesposizione bancaria sul debito sovrano sottraggacredito all’economia, e che ciò significa che quelleimprese, anche sane, che dipendono dal credito bancarioa breve se non gli viene rinnovato possono trovarsiinsolventi e fallire.

Ma non è ancora tutto. Secondo le regole di Basilea 2 ititoli di stato non incidono sulla dimensione del capitaledi vigilanza da opporre al rischio bancario: ma il duoMerkozy, che offre un trattamento di favore alle propriebanche, ha introdotto nel calcolo del rischio dei titoli distato dei paesi dell’eurozona anche il livello del debitosovrano di questi paesi, inducendo le proprie banche adisfarsi di questi titoli, dunque fornendo un’arma poten-tissima, senza precedenti, alla speculazione finanziaria,gonfiando il costo del debito di questi paesi e spingen-doli verso l’insolvenza. Tutto ciò poi è aggravato dalfatto che il capitale di vigilanza è stato aumentato, per legrandi banche, fino al 9%. Ciò produce anche altri effet-ti assai negativi: da un lato costringe le banche a ricapi-talizzarsi a prezzi molto elevati, aumentando di conse-guenza i tassi alla clientela, oppure le costringe a ridurregli impieghi, alimentando la tendenza in corso alla stret-ta creditizia.

La situazione italiana e come affrontarla

I fondamentali economici italiani sono migliori di quellidi altri paesi dell’eurozona: l’Italia ha un avanzo primario(cioè al netto del servizio del debito) più elevato (2,6 nel2012 contro lo 0,8 della Germania); il suo deficit com-plessivo è del 4,59% (contro il 7% della Francia, l’8,47della Gran Bretagna e il 9,24 della Spagna); è al quartoposto nel mondo per le riserve auree, molto elevate(circa 100 miliardi); in valore assoluto il debito pubblicoitaliano è superato dalla Germania (1.924 miliardi l’Italiacontro 2.122 della Germania); il debito complessivo(pubblico e privato) è del 254% del PIL, contro unamedia UE del 273%; più di metà del debito pubblico èin mani italiane (53,8%); la ricchezza della famiglie è 8volte il PIL e l’indebitamento delle famiglie è basso (45%del PIL contro il 66,3% della media UE); possiede unapparato produttivo che è al secondo posto nell’UEdopo la Germania.

I fattori di debolezza sono la scarsa crescita, ormai ven-tennale, del paese, dovuta alle politiche restrittive dibilancio dalla moneta unica in avanti, che hanno solopeggiorato la situazione economica e sociale, ma ancheall’insufficienza dell’attuale matrice produttiva, troppo

Page 5: Dossier di Progetto Lavoro LA CRISI Dossier/1 - dicembre 2011 … · 2019-12-06 · volatilità dei mercati finanziari, che cercano continua-mente occasioni di guadagno, spostano

dossier crisi

5

matura e frammentata, sempre più dipendente da quellatedesca e marginale sul mercato mondiale, che determi-na una fuga dei cervelli e non lascia alcuna speranza aigiovani, che vede il declino della richiesta di lavoro qua-lificato. Ciò si aggiunge ai difetti tradizionali come ildualismo territoriale, la bassa partecipazione al lavorodelle donne, l’elevata disoccupazione giovanile, il bassolivello di salari e pensioni, la debolezza dei consumiinterni. La dispersione dei tassi del debito pubblico innell’eurozona è molto più elevata delle differenze esi-stenti nei fondamentali economici. La grande differenzafra i tassi italiani, che hanno superato la soglia critica del7%, e quelli tedeschi si giustifica solo in termini specu-lativi e per effetto della corsa sino a tempi recentissimial bund tedesco come bene rifugio.

La lettera della BCE e il diktat di stampo neoliberistadella Commissione Europea hanno tolto sovranitàall’Italia, hanno inteso metterla sotto tutela, hanno soloaggravato la loro crisi italiana. L’aspetto ideologico deldocumento è evidenziato dalle norme riguardanti lerelazioni sindacali e il lavoro, con la liberalizzazione deilicenziamenti, la contrattazione solo a livello aziendale ela fine del recupero salariale dell’inflazione: sono normepoco o nulla hanno a che vedere con la crisi e anzi deli-neano un percorso opposto a uno sviluppo qualitativosul terreno di una “terza rivoluzione industriale” legataall’economia verde, fondata sulla conoscenza, la forma-zione e la qualità del lavoro. Per conquistare una mag-giore autonomia e allontanare il ricatto della speculazio-ne finanziaria internazionale, una strada possibile è quel-la di una nazionalizzazione del debito italiano di pro-prietà straniera, mediante l’emissione di un prestito pre-ferenziale, garantito dal patrimonio pubblico o dallariserva aurea. Ciò consentirebbe un abbattimento dellaspesa per interessi e un quasi azzeramento dello“spread”. Sul piano sociale occorre introdurre nuovetutele, opposte rispetto alle richieste europee: difesa disalari e pensioni, sviluppo dello stato sociale, garanzia diun futuro previdenziale pubblico per tutti, vincoli ailicenziamenti, fine della precarietà.

Le risorse in Italia non mancano. Oltre alla riduzionedella spesa per armamenti e alla lotta, mai veramenteavviata, contro una dilagante fuga dal fisco (evasione,erosione, elusione) e investendo l’enorme ricchezzafinanziaria occultata in Svizzera (cosa già realizzata daGermania e Gran Bretagna), si tratterebbe di operareuna riduzione dei favori fiscali finora concessi ai gigan-teschi beni ecclesiastici, un utilizzo delle notevoli ecce-denze delle riserve auree di Bankitalia rispetto alla mediaeuropea, una imposizione patrimoniale ordinaria sullegrandi ricchezze, assai presenti in Italia (ciò che ha giàdato buoni frutti in Francia), la tassazione progressivadelle rendite finanziarie (da inserire nell’IRPEF). Cisono anche altri possibili cespiti, che costituiscono essipure un grande patrimonio potenziale. Con l’insieme diciò sarebbe possibile non solo abbattere il debito maanche investire sulla crescita futura del paese. Finora èinvece mancata la volontà politica di far pagare ricchi epoteri economici. Occorre quindi cambiare strada: maciò può derivare solo da una grande mobilitazione sin-dacale e politica in Italia dotata anche di adeguate allean-ze in Europa.

Luigi Vinci

INTERESSI MATERIALI E RAPPRESENTAZIONI DI CLASSE

Ideologia liberista della riduzione dello stato, spostamenti di red-dito verso i ricchi, autoreferenzialità di ceto politico: da una tren-tina d’anni l’Occidente è orientato dal liberismo della Scuola diChicago, in varianti territoriali determinate da condizioni e ruolistorici. Dietro alle sue bandiere si sono progressivamente incolon-nati ceti politici di governo, opinion-makers e mass-media, univer-sità ed economisti di rango.

L’Unione Europea ha adottato, con il Trattato diMaastricht, la variante estremista di questa dottrina, chetende al laissez-faire assoluto ai “mercati”, cioè alla gran-de finanza speculativa e alle multinazionali, alla riduzio-ne dello stato attraverso l’abbattimento della fiscalitàprogressiva e della spesa pubblica, quindi dello statosociale, e alla precarizzazione e pauperizzazione del lavo-ro. Ma, abbattendo così la domanda interna, ampiamen-te fatta di capacità di spesa delle classi popolari, l’UE haregistrato per vent’anni i tassi più bassi di crescita delpianeta, inoltre una quantità di recessioni, finendo peressere trainata dall’espansione della Cina e, fino a tempirecenti, dal buon andamento degli Stati Uniti. Gli obiet-tivi di un’elevata capacità competitiva sui mercati mon-diali e della riduzione del debito pubblico, frutto que-st’ultimo principalmente del prelievo finanziario-specu-lativo sull’economia reale e del rallentamento della cre-scita, sono stati ideologicamente posti come decisivi dalpunto di vista della crescita, giustificando così controogni evidenza, a partire dalla crisi del 2008, un attacco afondo e generalizzato a stato sociale e condizioni dellavoro. Si è perciò costituito un circolo vizioso che pale-semente tende alla depressione e, al suo interno, a fortirecessioni. Negli Stati Uniti il liberismo si è realizzato informe ancor più accentuate sul piano fiscale e del prelie-vo finanziario-speculativo sull’economia reale, aprendocosì, con il crack nel 2007 della “società di servizi finan-ziari” Lehman Brothers, la strada alla crisi, mettendoinfine in radicale difficoltà la possibilità stessa di prose-guimento di quelle guerre “democratiche” e contro il“terrore” in cui si erano ingegnate le presidenze daClinton a Bush junior; e ora è addirittura in questione sele classi ricche debbano pagare un po’ di tasse anche loroo no, e se la povera gente possa disporre di un po’ diprovvidenze sociali oppure no. 45 milioni di statunitensisono privi di qualsiasi copertura sanitaria. Ma, giovaaggiungere, tende a essere analoga la stessa prospettivadell’Unione Europea.

Il liberismo si basa su assiomi operanti in sensocontrario rispetto agli obiettivi dichiarati

In via generale, il liberismo si basa su una serie di assio-mi la cui caratteristica è di produrre per qualche tempo,applicati dai governi, una certa euforia degli affari,soprattutto sul versante finanziario ma, inizialmente,anche su quello produttivo, portando però l’economia,prima o poi, a “bolle” speculative che implodono (comequelle negli Stati Uniti dei titoli tecnologici, 2000, e deimutui subprimes, 2007), estendendosi immediatamenteall’apparato finanziario e rapidamente a quello produtti-vo. In altre parole, il liberismo si caratterizza per opera-

Page 6: Dossier di Progetto Lavoro LA CRISI Dossier/1 - dicembre 2011 … · 2019-12-06 · volatilità dei mercati finanziari, che cercano continua-mente occasioni di guadagno, spostano

dossier crisi

6

re in senso diametralmente opposto alle proprie pro-messe: un’espansione razionale dell’economia, una cre-scita continua del benessere sociale, la riduzione delrischio di crisi gravi. Perché questo. In ogni comunitàscientifica vale il principio che le proprie ipotesi teorichee pratiche debbano rispondere a quanto avviene nellarealtà; quindi se le ipotesi dalla realtà vengono falsifica-te vanno rifatte. Naturalmente ci sono resistenze a checiò avvenga, legate a interessi di potere individuali o digruppo; normalmente però prima o poi il rifacimentoavviene. In economia quest’itinerario è invece da sempreproblematico: il liberismo continua tranquillamente aimpazzare nel mondo capitalistico, pur intervallato damomenti in cui prevalgono più o meno linearmente altriapparati dottrinari, nonostante i disastri nei quali essoprima o poi produce. Valga l’esempio greco: non c’ègiorno in cui qualche governante di qualche paese euro-peo, o economista alla testa di prestigiosi dipartimentiuniversitari, od opinionista di grandi testate giornalisti-che, o burocrate o tecnocrate alla testa dell’UnioneEuropea, non insista sulla necessità che la Grecia tagli ilsuo debito pubblico al ritmo che continua a esserle fero-cemente imposto, non solo allo scopo di ottenere queiprestiti che le servono a evitare l’insolvenza dello stato,ma perché finalmente la sua economia riesca a crescere:mentre è di un’evidenza solare che sono questi tagli,massacrando la capacità di spesa della popolazionegreca, la causa fondamentale della pesante recessionenella quale la Grecia è precipitata, quindi della riprodu-zione allargata di condizioni di insolvenza dello stato edell’inevitabilità del suo fallimento più o meno mano-vrato. Se questo accade, è dunque perché ci sono poten-tissimi interessi per i quali i disastri sono certo infortuniche occorrerebbe evitare, e che però non giustificanorifacimenti teorici e pratici, in quanto questi interessi neverrebbero lesi.

Esaminiamo qualche assioma liberista. Quello chesovrasta tutti è la pretesa che il mercato sia quel “luogo”del processo economico che porterebbe, a meno che siadisturbato dalla politica, all’ottimizzazione degli effettidi questo processo in sede di crescita economica, occu-pazione, remunerazione del lavoro, diffusione socialedel benessere. Compito dello stato sarebbe di limitarsi afare da guardiano notturno e, se del caso, da pompiererispetto alle cose dell’economia quando “incidentalmen-te” non tornino. In concreto, si tratterebbe di operareinterventi oculati in sede di quantità di moneta circolan-te e di tassi di interesse, nel momento in cui vengano acostituirsi situazioni di scarsità di fattori produttivi, spin-te inflative, eventualmente crack di istituzioni finanziariecapitalistiche; inoltre in condizioni di caduta produttivasi tratterebbe, sostanzialmente, di lasciar correre. Se èvero che interventi dello stato potrebbero contrastarla,creando domanda sociale o tramite investimenti produt-tivi o in infrastrutture, vero sarebbe pure che questiinterventi non consentirebbero la correzione delleragioni della crisi, le ignorerebbero, quindi le prolunghe-rebbero, rendendo la depressione faticosa da superare,lunga, ovvero impedendo al mercato di ridarsi da faresul terreno dell’ottimizzazione dei risultati del processoeconomico. La destra liberista tedesca (parte dei demo-cristiani, i liberali, la Bundesbank fino a ieri) ragionanocosì: anche per questo (oltre che per le convenienzepolitiche della destra) hanno impedito a oggi interventi

in aiuto reale alla Grecia (e imbottito così di soldi la spe-culazione sui titoli sovrani di una serie di paesi e sull’an-damento dell’euro in rapporto al dollaro o al franco sviz-zero). Altro assioma, di ausilio al precedente: il fattore dimassimo disturbo dal lato della politica rispetto al pro-cesso economico e alla sua capacità di risultati ottimalisarebbe l’esistenza stessa dello stato nelle sue formeampie novecentesche europee, risultato di un secolo emezzo di lotte di classe: cioè l’esistenza stessa di un com-plesso di funzioni e di istituzioni, centrali e decentrate,sostenute da una fiscalità elevata di tipo progressivo, cheda un lato ha garantito rappresentanza anche alle classipopolari, grazie a sistemi elettorali che tutelano l’effetti-va composizione politica delle popolazioni, dall’altro hafornito prestazioni gratuite o semigratuite all’interapopolazione, in quanto definite nella forma di diritti uni-versali (cure mediche, istruzione, più forme di assisten-za, pensioni, ecc.), parimenti ha redistribuito verso ilbasso, attraverso queste prestazioni e attraverso la levafiscale, il reddito sociale, definito uno stock di diritti dellavoro salariato, disposto direttamente o indirettamentedi infrastrutture decisive e di impianti industriali di signi-ficato strategico per lo sviluppo, posseduto, per la mede-sima ragione, banche, ecc. Tutto questo perciò dovrebbeessere ridotto al minimo indispensabile, in larga parteabolito. Non solo: il mercato per operare al meglio ecc.richiederebbe che vengano abolite le concentrazionimonopolistiche: esse infatti turbano la formazione pervia spontanea dei prezzi. Ma, immediatamente dopo,contro le concentrazioni capitalistiche non si procede,perché basta che esistano su un determinato mercatodue grandi imprese anziché una, purché facciano finta dinon accordarsi sui prezzi: invece ci si dà da fare a rende-re impotente quel pericoloso “monopolio” che è l’orga-nizzazione sindacale dei lavoratori, con la sua pretesa ditrattare i salari, difendere lo stato sociale, scioperare sepadroni o stato non ci stanno, ecc. Parimenti, va da sé, lostato deve tuttavia disporre di efficaci apparati dellarepressione, possibilmente rafforzarli, anche se costanoassai: i gestori liberisti della politica e dell’economiasanno benissimo che alle loro politiche economiche esociali non può che corrispondere un incremento dellevarie forme della rivolta sociale. L’assioma, infine, chetende giustificare ideologicamente nella società il liberi-smo è l’affermazione della necessità che lo stato sia ocu-lato amministratore di se stesso, non sia uno stato spre-cone, non indebiti il futuro della società: realizzi quindiil pareggio di bilancio. In questa prospettiva tutto ciò chelo stato spende sarebbe solo spesa improduttiva, maiinvestimento, diretto o indiretto. Il risultato della praticadi tutti questi assiomi lo stiamo vedendo: le giovanigenerazioni europee hanno effettivamente davanti a séun futuro radioso.

Un assioma di sostegno ai precedenti, utile alla giustifi-cazione del liberismo quando esso stia palesementecreando gravi guai alla società e alla stessa economia, èdato da una sorta di ineluttabilità naturale della libertà dimercato; è nel fatto, cioè, che la piena libertà di mercatocreata dalle controriforme politiche liberiste degli anniottanta e successivi operate dalle presidenze Reagan epoi Clinton, fatte proprie dai vari ceti politici di governoeuropei e imposte dall’Occidente a quasi tutto il restomondo, sarebbe invece il risultato di un processo irresi-stibile determinato dall’economia, anzi, “voluto” da essa.

Page 7: Dossier di Progetto Lavoro LA CRISI Dossier/1 - dicembre 2011 … · 2019-12-06 · volatilità dei mercati finanziari, che cercano continua-mente occasioni di guadagno, spostano

dossier crisi

7

Tentare di impedirlo o anche solo di frenarlo sarebbeirrazionale, antistorico, controproducente. Anche que-sto è falso: il liberismo è stato il risultato di una decisio-ne politica, e politicamente può essere contrastato eanche rovesciato. Se guardiamo a quanto accaduto neitrent’anni successivi al varo dell’attuale ciclo liberista,vediamo come una quantità crescente di stati della peri-feria sia via via riuscita ad avviare politiche di sviluppo,infine a realizzare performances straordinarie di cresci-ta, creando elementi significativi di autonomia parzialerispetto al mercato mondiale, decidendo a che cosa erabene stare e a che cosa no, decidendo su questa basepolitiche di bilancio orientate all’investimento, in primoluogo pubblico, e alla spesa creatrice di domanda aggre-gata, stropicciandosene del fatto che ciò producesseindebitamento dello stato, riuscendo infatti quest’inde-bitamento a reggerlo e a contenerlo proprio grazie allacrescita: mentre quegli stati che si piegavano alle impo-sizioni delle agenzie internazionali in fatto di “riaggiu-stamenti strutturali” annegavano nel debito, nell’insol-venza e nella miseria delle popolazioni.

Ma c’è qualcuno cui prodest? E come no: ai varipoteri sistemici!

Bugia ideologica correlata: il mercato (o “i mercati”)come sorta di realtà impersonale dotata tuttavia di unapropria consapevole razionalità. Oggi giorno i mass-media chiedono a opinionisti, economisti e politici difede liberista quali siano le intenzioni dei “mercati”; ognigiorno le oscillazioni di borsa sono interpretate alla lucedi queste intenzioni. Che la borsa vada su o vada giù lalitania è sempre la stessa: a riprova che si tratta di balle.I “mercati”, ci viene detto, ci chiedono pressantemente,per il nostro bene, com’è chiaro, di abbattere il debitopubblico, abbattere il sistema pensionistico di lavorodipendente, donne, giovani, affamare i greci, costituzio-nalizzare il pareggio di bilancio, ecc. Parimenti c’è cheessi speculano alla grande, sgangherando condizioni dibilancio degli stati, efficacia dei loro tentativi a nomedella crescita o a soccorso di paesi in difficoltà, soprav-vivenza della Grecia, dell’euro, dell’Unione Europea,ecc.: ma ciò non contraddice la razionalità consapevoledei “mercati”, essi questo fanno, maestri severi all’anti-ca, per punirci delle nostre manchevolezze in fatto di“rigore”. La cosa si capisce solo se si capisce cosa sianoi “mercati”: in realtà, cinque o sei grandi banche d’affa-ri statunitensi, a cui si aggregano una cinquantina dibanche minori e di fondi di investimento di varia natu-ra, che, fruendo dell’immensa quantità di ricchezza fitti-zia nelle loro mani (il denaro fittizio è oggi nel mondo12 volte il suo PIL annuo), fruendo inoltre della libertàdi fare quel che vogliono, manovrando infine le agenziedi rating (delle quali banche e fondi investimento sonoazionisti), dichiarano apertis verbis ormai da tempo che,essendo loro ragione sociale quella di fare più quattrinipossibile, loro intenzione è di trasformare gli effetti inEuropa della crisi nel più grande business di tutti itempi, facendo ballare euro e Unione Europea e, se pos-sibile, mettendoli in ginocchio, profittando delle diffi-coltà finanziarie di alcuni paesi e dell’ostinazione con laquale istituzioni europee di governo, governi tedesco efrancese, in coda a loro tutti gli altri governi, hanno aoggi continuato a imporre ai paesi in difficoltà misureche hanno portata pesantemente prociclica, cioè che

invece di risolvere le varie difficoltà in campo tendono adilatarle e a renderle ingestibili.

Giova chiedersi, essendo ormai questa la realtà evidentedelle cose, per quali motivi governanti, economisti, ope-ratori dell’informazione ovvero l’intero apparato digestione politica e ideologica della grande borghesia insi-stano in Occidente nel proseguimento delle politicheliberiste, anzi nei momenti di crisi, nei quali sarebbeassolutamente necessario che queste politiche venganoribaltate, si accaniscano nella loro più rapida generalizza-zione. Addirittura perché si espandano potentemente edivengano condizionanti movimenti antistatali come iteocons statunitensi, perché i conservatori britannici glivadano dietro, ecc. Perché, ancora, gli elementi di ripen-samento borghese e in una parte dei ceti di governoeuropei socialdemocratici o in una parte del PD sianocosì limitati, contraddittori e, in ultima analisi, inadegua-ti rispetto agli obiettivi dichiarati di ripresa economica eriduzione del danno sociale portato dal liberismo e dallacrisi. Tutto questo riflette, pur in termini non omogenei,il fatto che la totalità della grande borghesia, comprese lesue frange ripensanti, non sia per nulla disposta a incre-menti sostanziosi del suo contributo fiscale alle cassedello stato, parimenti non abbia nessuna intenzione dirinunciare alle condizioni che ne hanno incrementato econtinuano a incrementarne la gigantesca ricchezza, tra-mite in primo luogo la creazione speculativa di ricchez-za fittizia da parte della grande finanza. Insomma se auna parte della grande borghesia può risultare accettabi-le che il liberismo sia integrato con qualcosa che possatentare di rovesciare la crisi, quanto meno di attenuarnei peggiori effetti antisociali, con ciò evitando pericolosisconquassi politici e sociali, più in là essa non vuole chesi vada. Di qui anche il suo veto rispetto ad ampi realicambiamenti di rotta in sede di politiche economiche edi bilancio rivolto alle forze politiche che da essa più omeno strettamente dipendano, le siano collegate, ricor-rendo a tutta la potenza di fuoco dei mass-media e a ognialtra forma di condizionamento. A nome ovviamentedegli interessi generali della società: la ripresa produttiva,uno sviluppo ragionato, buone condizioni di esistenzadelle future generazioni, ecc.

Convenienze di classe e rappresentazione ideologi-ca ad hoc della società e delle sue convenienze

Non sarebbe tuttavia adeguato cogliere solamente inquesta situazione la determinazione famelica della posi-zione della grande borghesia e questo suo condiziona-mento rispetto alle forze politiche che più o meno orga-nicamente ne dipendono. Ci sono almeno altri due tipi dideterminazioni da tenere presenti.

Si tratta, intanto, del cambiamento antropologico avve-nuto a seguito dello sfondamento da parte del liberismonella politica e nella cultura sociale dell’Occidente. Loconstatò per primo e nel modo più efficace, a suotempo, Karl Polanyi: il liberismo dispone di una grandepotenzialità egemonica nelle società occidentali, grazie inprimo luogo alla credibilità delle sue promesse presso leclassi medie, in secondo luogo alla sua capacità di aggan-ciare pulsioni antropologico-culturali di più o menolunga lena storica operanti in quelle popolari, più preci-samente in quella loro parte priva di esperienze di orga-

Page 8: Dossier di Progetto Lavoro LA CRISI Dossier/1 - dicembre 2011 … · 2019-12-06 · volatilità dei mercati finanziari, che cercano continua-mente occasioni di guadagno, spostano

dossier crisi

8

nizzazione di classe. Esso pone come condizioni delsuccesso personale, andando al sodo, aggressività indivi-dualista, competitività estrema in ogni momento e sededelle relazioni sociali, dissolvimento quindi di ognisenso di appartenenza a collettività di popolo, di ognilegame alle loro necessità obiettive, di ogni elemento disolidarietà a chi di questi comportamenti soccomba, nesia la vittima; al tempo stesso pone il successo persona-le come effettivamente realizzabile da parte di chicches-sia. Sono state così storicamente conquistate all’inizio diogni lungo ciclo liberista le fasce deprivate e non orga-nizzate di popolo, in primo luogo il grosso del suo ele-mento piccolo-borghese ma anche una parte del suo ele-mento proletario. L’ubiquità culturale propria di cetipolitici di norma autoreferenziali, anch’essa parte dellastoria antropologico-culturale dell’Occidente, a oggi conscarse e provvisorie eccezioni, li porta simultaneamente,a fini di massimizzazione della loro influenza sociale edelle loro possibilità di ascesa al governo dello stato, arifarsi ai contenuti di questo cambiamento antropologi-co, inoltre a dilatarli, a operare a generalizzarli. La gran-de borghesia ovviamente ci va a nozze, fornirà perciò dasubito a questi ceti politici appoggi monetari e massme-diatici. E così via. Si badi: questo posizionamento diceto politico vale anche, anzi vale in maniera ancor piùcogente, nei momenti di crisi del liberismo, quantomeno per quanto attiene al grosso delle sue componen-ti d’appoggio partitiche. D’altra parte, nel momento incui nel corso di questa crisi, in via di ipotesi oggi pur-troppo molto astratta, i popoli europei decidessero agrande maggioranza la sostituzione del liberismo con unindirizzo di politica economica e sociale davvero espan-sivo, progressivo, la quasi totalità dei ceti politici digoverno, delle burocrazie e delle tecnocrazie europee,una grande quantità di gazzettieri e di economisti si tro-verebbero disoccupati o, se gli andasse bene, a regrediredalle loro attuali condizioni di potere, di prestigio e direddito a quelle della piccola borghesia.

Si tratta poi, più in generale, del fatto che nessuna clas-se sociale si è mai costituita in classe “per sé”, consape-vole delle sue convenienze e capace di lottare per affer-marle, semplicemente elaborando la propria posizionedentro al processo della produzione materiale. Si trattainvece a questo proposito di un itinerario molto compli-cato, che sconta preesistenze culturali, storie politiche,un grande prolungato sforzo di elaborazione di rappre-sentazioni del reale e di idee e proposte con possibilitàegemoniche da portare alla società. Quando si trattadelle classi subalterne accade che grandi sconfitte possa-no portarle a ripartire da capo, o quasi. La borghesiainvece dispone (in quanto classe dominante) di unagrande capacità di sostanziale continuità culturale. Essaha prodotto il liberismo non trent’anni fa ma a partiredalla prima metà del Settecento: la teoria, infatti, delmercato che con la sua “mano invisibile” si autoregola eottimizza, ovvero il diritto del capitalista a fare quelloche gli pare, ma ritenendo, o meglio facendo ritenere allasocietà, che questo sia di generale convenienza.

Inoltre il processo storico ha mostrato alla grande bor-ghesia che è meglio per essa curarsi direttamente deipropri affari anziché impegnarsi in politica, salvomomenti di emergenza, nei quali tuttavia quest’impegnorisulta a termine: essa dunque necessita di apparati poli-

tici composti da individui di altra provenienza di classe,parimenti di compatti e ben strutturati apparati culturali,parimenti, ancora, di giganteschi apparati di propagandae di selezione e interpretazione ad hoc dei fatti. D’altraparte essa ha rapidamente scoperto, nella sua storia, diessere in grado di offrire a una quota non irrilevantedella piccola borghesia un modo di facile ascesa sociale,quello appunto della politica, e che ciò offrendole ne hain cambio i servizi necessari. Inoltre ha scoperto la faci-lità con la quale è in grado di portare i ceti autonomiz-zati e le burocrazie del movimento operaio a renderequesti medesimi servizi.

***

Massimo Florio

CRISI INFINITA

Nel mese di agosto 2011 è apparso evidente che la crisi economicaglobale non è finita. Sono passati circa tre anni dall’avvio concla-mato della turbolenza. L’atto di nascita ufficiale era stato scrittoil 15 settembre 2008, con il fallimento di Lehman Brothers, unadelle maggiori società finanziarie degli USA, fondata nel 1850,con fatturato di oltre 50 miliardi di dollari, e debiti per 639miliardi. Si trattò così del più grande fallimento della storia delmondo. Ma era solo l’inizio conclamato (in realtà una tappaintermedia) di una crisi che viene da lontano e che presumibilmen-te durerà a lungo (1).

Prima crisi finanziaria e recessione

I fenomeni finanziari principali del 2008 erano stati lacaduta del valore degli immobili negli USA, la conse-guente ondata di insolvenze dei mutui garantiti dal valo-re dei beni ipotecati, quindi il crollo dei titoli di debitobasati su varie miscele degli stessi mutui cartolarizzati, leperdite di bilancio delle società finanziarie detentrici diquesti titoli “tossici”, la diffusa contrazione della liquidi-tà interbancaria a seguito dell’incertezza su chi detenes-se questi titoli, l’insolvenza delle società che ne avevanoassicurato il valore, e infine, per un fenomeno di conta-gio, la caduta del prezzo delle azioni delle banche, edinfine di tutta la borsa e del mercato obbligazionario pri-vato.

A questi fenomeni finanziari, seguivano, prima negliUSA e poi altrove, a causa della contrazione del creditoalle imprese, alla brusca caduta del valore del patrimoniodelle famiglie (casa e titoli) e alla contrazione dei consu-mi derivante dal pessimismo diffuso, una ondata di licen-ziamenti e quindi l’innesco di un processo cumulativo diriduzione di consumi delle famiglie e investimenti delleimprese, con una profonda recessione reale. La tesi chesi trattasse invece di una tipica crisi finanziaria è statasostenuta da vari economisti di orientamento liberista2.

Ci sono pochi dubbi che se i governi e le banche centra-li non fossero intervenuti nel 2008 e nel 2009 con unaserie di provvedimenti di emergenza, la recessione che siera messa in moto a seguito della crisi finanziaria sareb-be stata maggiore della Grande Depressione del 1929 eanni seguenti. Allora la disoccupazione negli Stati Unitipassò dal 3% pre-crisi al 25% nel 1933, la caduta cumu-

Page 9: Dossier di Progetto Lavoro LA CRISI Dossier/1 - dicembre 2011 … · 2019-12-06 · volatilità dei mercati finanziari, che cercano continua-mente occasioni di guadagno, spostano

dossier crisi

9

lativa della produzione fu di quasi il 50%, ed il contagioall’Europa, ed in particolare alla Germania, si ritiene siastato fra le concause dell’ascesa del nazismo e quindidella seconda guerra mondiale (cui peraltro si attribuiscela chiusura della crisi negli Stati Uniti stessi a seguito del-l’incremento della spesa militare).

Benché esiti così catastrofici siano fortunatamente statievitati, i provvedimenti presi dalle autorità non sembra-no sufficienti a chiudere la crisi.

Poi seconda crisi finanziaria

Quella che si è verificata nell’agosto 2011 si manifestacome una seconda crisi finanziaria, che questa voltacoinvolge contemporaneamente USA, Europa eGiappone. Negli USA, nell’agosto del 2008, per la primavolta nella storia, il debito pubblico della maggiorepotenza economica del mondo è stato declassato da unadelle maggiori agenzie di rating, dopo che l’amministra-zione Obama era andata vicina alla mancata approva-zione da parte di un Congresso ostile del provvedimen-to tecnico di ampliamento del debito.

Benché sia il declassamento del debito che l’ostruzioni-smo parlamentare non debbano essere sopravvalutati,anche per le vistose incoerenze e strumentalità, il nodoche è emerso chiaramente è che gli Stati Uniti, non-ostante due enormi immissioni di liquidità nel sistema, ilsalvataggio delle maggiori società finanziarie e persinoautomobilistiche e una politica fiscale espansiva nonsono riusciti a fare diminuire significativamente la disoc-cupazione, a riavviare una ripresa robusta della produ-zione, mentre permane lo squilibrio della bilancia com-merciale e si aggrava il rapporto fra debito pubblico ePIL.

Dato che quest’ultimo indicatore, per varie ragioni, noncattura bene il reale stato di salute dell’economia, è utileconcentrarsi sulla disoccupazione. Questa si aggira nellerilevazioni ufficiali statunitensi fra il 9 e il 10%. SecondoStiglitz, una misura più realistica della disoccupazioneche includa le forze di lavoro “scoraggiate” (che rinun-ciano in certi periodi a cercare lavoro) e il part-timeinvolontario era del 10,8 % prima della crisi ed era bal-zata al 17,5% un anno dopo, con una popolazione atti-va al minimo dal 1947 (l’anno del completo disarmopost-bellico). In alcuni stati, come California eMichigan, la disoccupazione effettiva è arrivata a supe-rare il 20%. Come spesso accade in questi casi, c’è statocontemporaneamente un boom delle domande di asse-gni di invalidità, che in parte sono altra disoccupazionemascherata.

Come è noto in Europa l’impatto della crisi è stato dis-omogeneo. Minore in Germania, nei paesi nordici e inalcuni dei nuovi stati membri della UE, i quali per varieragioni avevano un situazione economica e finanziariapiù solida, e particolarmente grave in paesi in cui vierano state bolle immobiliari per certi versi analoghe aquella statunitense (Gran Bretagna e Spagna), o dove ilsettore bancario era particolarmente esposto (Irlanda), odove la competitività e la finanza pubblica soffrivano diproblemi strutturali irrisolti (Grecia, Portogallo, Italia).

Infine la terza economia avanzata del mondo, ilGiappone, che da oltre un decennio si dibatte negli esitidi una crisi immobiliare e bancaria precedente, venivacolpito dalla doppia catastrofe del terremoto e dell’inci-dente nucleare di Fukushima dello scorso anno, conconseguenti misure di finanza pubblica di emergenza,che hanno portato il debito a oltre il 225% del PIL, conanche in questo caso declassamento dei titoli pubblici daparte di una delle agenzie di rating.

In tutte le tre aree economicamente avanzate del mondonel corso del mese di agosto di quest’anno si è assistitoad un nuovo crollo delle borse, al cedimento dei valoridei titoli di stato, eccetto che per quelli considerati aminore rischio (Svizzera, Germania, USA, e pochi altri),e soprattutto ad uno spettacolare aumento del prezzodell’oro, che è sempre un segnale di paura.

Alcuni economisti (in particolare Nouriel Roubini) aquesto punto non escludono una seconda recessione intermini reali (cioè una caduta assoluta del PIL per più tri-mestri consecutivi) ed eventuali sconvolgimenti più pro-fondi quali l’insolvenza di alcuni stati europei, la lorouscita dall’euro, o persino la disintegrazione dell’euro e ilritorno alle valute nazionali.

Per varie ragioni ritengo improbabile, tuttavia, che sipossa verificare uno scenario così catastrofico (che biz-zarramente qualcuno anche a sinistra sembra auspicare,come se la caduta dell’euro potesse essere foriera di pro-gresso). L’insolvenza della Grecia è un dato di fatto,come lo è la difficoltà di rifinanziare il debito pubblicoirlandese e portoghese, ma – anche a seguito degli inter-venti della Banca Centrale Europea e più confusamentedelle altre istituzioni comunitarie – non siamo ancora aduna crisi analoga a quella del dei titoli pubblicidell’Argentina, che avrebbe conseguenze sociali deva-stanti.

Lo scenario più probabile sembra quello di una croni-cizzazione della malattia, con tassi di disoccupazioneeffettiva che restano alti, bassa crescita in termini reali inmolti paesi, e occasionali nuove tempeste finanziarie consuccessivi provvedimenti di emergenza.

Le due terapie fondamentali ipotizzate

Se si va verso una malattia che tende a cronicizzare,diviene importante andare oltre i sintomi e cercare dicomprenderne la natura di fondo. Fra gli economisti e ipolitici circolano varie interpretazioni, da cui discendonodiverse terapie a breve e medio termine.

Ne citerei tre, in modo schematico. La tesi di “destra” èche, come già nel 1929, le ragioni di fondo della crisidipendano da eccesso di interventismo pubblico, in par-ticolare nella politica delle abitazioni, nella regolamenta-zione dei mercati finanziari e nella politica monetaria. Insostanza si ritiene che per ragioni demagogiche il sistemapolitico statunitense abbia forzato il sistema finanziarioa concedere mutui immobiliari ai poveri, che non pote-vano permetterseli, innescando un ciclo di aumento deiprezzi delle case del tutto artificiale, che non poteva chesgonfiarsi. Inoltre, la Federal Reserve (la Fed), pur con-sapevole della “bolla”, avrebbe oscillato nella politica

Page 10: Dossier di Progetto Lavoro LA CRISI Dossier/1 - dicembre 2011 … · 2019-12-06 · volatilità dei mercati finanziari, che cercano continua-mente occasioni di guadagno, spostano

dossier crisi

10

monetaria, prima abbassando enormemente il costo deldenaro per le banche, poi bruscamente rialzandolo,determinando così sia la benzina per accendere l’incen-dio che poi la doccia fredda per spegnerlo, provocandoperò un’alluvione. Infine, sempre per ragioni di oppor-tunismo politico, diversi governi e il Congresso avreb-bero ufficialmente o ufficiosamente fatto capire al siste-ma finanziario che i rischi eccessivi che si assumevasarebbero stati coperti da varie forme di garanzie pub-bliche. Il corollario di questa tesi (che si può trovarebene rappresentata nella raccolta di scritti a cura di A.Mingardi “La crisi ha ucciso il libero mercato?”, IBLLibri ), è che i governi dovrebbero evitare di interveni-re, lasciando che la crisi dispieghi i suoi effetti per ritro-vare un nuovo equilibrio più sano, dopo avere spazzatovia le imprese finanziarie (e non) peggio gestite.

La tesi di “sinistra”, sostenuta in particolare daKrugman e Stiglitz, è che i mercati finanziari abbianouna responsabilità storica nella crisi, essenzialmentedovuta ad un eccesso di avidità di guadagno, priva dicontrolli adeguati, che ha determinato anche grandisquilibri nella distribuzione dei redditi. La cura dovreb-be consistere in politiche di bilancio espansive, moltopiù coraggiose di quelle attuali, in quanto la domandaglobale appare insufficiente, mettendo per il momentoin secondo piano il problema della sostenibilità del debi-to pubblico e di rischi di inflazione.

Esistono poi diverse versioni “centriste” della lettura deifatti, che mescolano varie spiegazioni e che propongonoterapie in cui si combinano riduzioni della spesa pubbli-ca, regolamentazione dei mercati finanziari e qualcheprovvedimento cauto di sostegno al sistema produttivo(Obama e con varie oscillazioni anche vari governidell’Unione Europea).

Rispetto alla lettura Krugman-Stiglitz delle ragioni percui ancora non stiamo venendo fuori dalla crisi, vorreiproporre una accentuazione di un aspetto che, benchénon sia assente nella impostazione degli economistineo-keynesiani, forse meriterebbe di essere portato piùal centro della scena. Nella lettura di “sinistra”, ladomanda globale negli anni precedenti lo scoppio con-clamato dell’epidemia sarebbe stata insufficiente. Stiglitzosserva che il reddito mediano negli Usa nel 2008 erainferiore del 4% in termini reali rispetto al 2000, mentreil PIL procapite era superiore del 10%. Mentre quest’ul-timo è semplicemente il PIL aggregato diviso la popola-zione, il reddito mediano è il valore “centrale” che divi-de a metà la popolazione. Il fatto è che questa medianaè influenzata fortemente dalla asimmetria della distribu-zione, e in particolare dalla vertiginosa espansione deiredditi alti. Ad esempio nel 2009 il compenso mediodegli amministratori delle maggiori 500 imprese USA èstato di 10,5 milioni di dollari, pari a 344 volte lo sti-pendio medio di un lavoratore. I 50 top manager deifondi di investimento in media hanno ricevuto compen-si per 588 milioni di dollari in un anno, pari a 19.000volte un lavoratore-tipo. La mediana ci dà un’idea piùchiara della asimmetria della crescita dei redditi negliUSA, con la maggioranza della popolazione che guada-gna un po’ di meno in termini reali, e il PIL medio checresce perché una minoranza guadagna molto di più.

E’ difficile tuttavia sostenere che negli anni passati vi siastata una debolezza della domanda globale. I consuminegli USA e nel resto del mondo (soprattutto in Cina,Brasile ed altre economie emergenti) sono cresciuti for-temente. Il punto che a me sembra centrale è che men-tre in alcuni paesi, ad esempio la Cina, l’India, il Brasile,i consumi sono cresciuti grazie alla crescita del redditodelle famiglie, negli Stati Uniti e altrove sono cresciutigrazie alla crescita del debito delle famiglie. In altre paro-le, non c’è stato un problema di domanda globale insuf-ficiente, ma di domanda non sostenibile data la distribu-zione del reddito in alcuni paesi-chiave dell’economiacontemporanea.

Cambiamento nella distribuzione mondiale e di quellasociale in Occidente del reddito, squilibri commerciali einvenzione finanziaria, dunque crisi di lunga durata

Vi sono due aspetti della distribuzione del reddito chesono centrali in questa lettura strutturale della crisi: ladistribuzione fra paesi e fra tipi di reddito.

Per quanto riguarda la prima, è evidente che da duedecenni sia in crescita la quota del prodotto mondiale deipaesi emergenti e in diminuzione relativa quella delleeconomie capitalistiche sviluppate. Questo processo siaccompagna tuttavia a grandi squilibri delle bilance com-merciali. Il motore sono gli Stati Uniti, i quali acquistanodal resto del mondo “a debito”, cioè facendosi fare cre-dito dai venditori, sfruttando la rendita che deriva lorodalla status solitario di superpotenza.

Al di là del declassamento del debito, il mondo continuaa credere che sia impensabile un fallimento del debitopubblico statunitense e quindi del dollaro, e lo squilibrioquindi permane. Le implicazioni di questa asimmetriasono molto complesse, ma sembra evidente che vi èqualcosa di insano nel fatto che la Cina, i paesi produt-tori di petrolio ed altri siano costretti per potere vende-re a farsi pagare con sempre crescenti, quasi illimitati,crediti concessi al cliente USA. Nessun altro paese delmondo potrebbe mantenere questa posizione per untempo indefinito. Prima o poi ne deriverebbe un deprez-zamento della valuta, cui corrisponderebbe un drasticospostamento della ricchezza reale dagli USA ai paesiverso cui mantiene il disavanzo commerciale. Ne derive-rebbe anche una crisi nella capacità dei paesi-fornitori diesportare verso gli USA.

Questo problema è ben noto, ed ha enormi implicazionianche geo-politiche (per i conservatori USA, si tratta dipreservare un “secolo americano”, contro la minaccia diun “secolo cinese”).

Forse meno in evidenza nel dibattito è il tema della dis-tribuzione dei redditi fra fattori di produzione.Storicamente, nel secolo scorso, salvo gli sconvolgimen-ti bellici e crisi specifiche, una sorta di patto sociale avevadeterminato un rapporto costante nella distribuzione deiredditi fra lavoro e capitale, nell’ordine di rispettivamen-te due terzi e un terzo del prodotto nazionale di ciascunpaese (anche se ovviamente con oscillazioni nel tempo ediversità fra paesi). Questo “patto” si è rotto a partiredagli anni 80, e la quota dei redditi da capitale è salitabruscamente, forse oltre il 40% negli anni pre-crisi,

Page 11: Dossier di Progetto Lavoro LA CRISI Dossier/1 - dicembre 2011 … · 2019-12-06 · volatilità dei mercati finanziari, che cercano continua-mente occasioni di guadagno, spostano

dossier crisi

11

facendo scendere automaticamente quella del lavoro. Lamisurazione è difficile, ma l’intuizione è abbastanzachiara. Una espansione dei profitti a lungo termine nonpuò che basarsi sulla crescita dei consumi e degli inve-stimenti reali, ma poiché il reddito della grande maggio-ranza delle famiglie, quelle che essenzialmente hannoredditi da lavoro, cresce poco, l’“invenzione” finanziaria– soprattutto, ma non solo, americana – è stata di favo-rire l’indebitamento delle famiglie oltre ogni ragionevo-le misura. Certo, qui hanno ragione i conservatori, conil sostegno accomodante della politica e delle autoritàmonetarie. Ma al di là delle motivazioni degli attori quel-lo che conta è l’aspetto “necessario” di questo tipo dipolitiche per mantenere un certo tasso di crescita, siapure drogato. La crescita passata, molto più sostenuta,degli USA rispetto all’Europa va letta anche in questaluce, oltre che dovuta al mantenimento di una certasupremazia tecnologica e manageriale in alcuni campi.

Se le cose stanno così, la crisi non finirà senza il ritornoa una più equa distribuzione fra redditi da lavoro e dacapitale, più sostenibile dal punto di vista dell’accumula-zione di capitale. Questo argomento non è principal-mente di tipo etico o politico, anche se ovviamente que-sti aspetti non sono trascurabili. L’argomento che pro-pongo è principalmente dell’emergenza di un problemastrutturale. E potrebbe essere così sintetizzato.

Il capitalismo per funzionare richiede certe proporzionimacroeconomiche, non solo di domanda globale maanche di sostenibilità nel tempo di questa domanda pri-vata (oltre che pubblica). La questione dei mutui immo-biliari da questo punto di vista è un perfetto esempio.Perché il settore legato alla rendita immobiliare (costru-zioni, compravendite) possa funzionare ed espandersiregolarmente occorre che abbia non solo un volumecrescente di domanda dei clienti di abitazioni ma chequesti clienti siano complessivamente solvibili. Questipossono indebitarsi ampiamente, se il fondamento dellapossibilità di restituire il mutuo della casa è in una aspet-tativa a lungo termine di reddito che generi sufficienterisparmio futuro per compensare il debito presente. Inquesto senso, la tesi di “destra” è tecnicamente errata. E’vero che politiche orientate ai mutui facili o in generaleaccomodanti possono avere esacerbato il problema, mala questione vera è che senza quelle politiche, ad esem-pio chiedendo anticipi più alti e maggiori garanzie aimutuatari, tutto il comparto immobiliare avrebbe rista-gnato, perché dato che il reddito mediano diminuiva lafamiglia mediana non avrebbe potuto risparmiare quan-to bastava per ripagare nel futuro con un certo tasso diinteresse un debito presente. Deve esistere una relazio-ne intertemporale ben precisa fra tasso di crescita delreddito (che è principalmente reddito da lavoro), tassodi interesse (che è reddito da capitale) e possibilità diindebitarsi prima e risparmiare poi. Se questo squilibriosi estende dal mutuo per la casa alla assicurazione sani-taria, al debito per fare studiare i figli o per acquistarel’automobile, come si intuisce forse il problema ameri-cano fondamentalmente sta in una sproporzione fratasso di crescita del reddito di capitale e tasso di cresci-ta del reddito delle famiglie.

Si potrebbe pensare che siano i percettori stessi di red-diti da capitale a potere sostenere la domanda con le

loro spese in beni di lusso, ecc., in una sorta di invenzio-ne del moto perpetuo, per cui il reddito da capitale si ali-menta prevalentemente da se stesso. Ma è un sogno (oun incubo), compatibile forse con sistemi pre-capitalisti-ci, in cui il lavoro è in condizione servile, non con un’e-conomia di mercato, che presuppone lavoratori-consu-matori. Il tasso di risparmio dei percettori di alti redditi,che sono di fatto tutti redditi da capitale, è molto alto perla semplice ragione che – per quante spese folli possanoessere fatte da chi guadagna molto – è praticamenteimpossibile raggiungere le proporzioni di consumonecessarie ad autosostenere una grande economia.

Perché i contenuti della terapia di sinistra non solosono quelli validi socialmente ma anche economi-camente

Sul piano interno, una redistribuzione permanente deiredditi fra lavoro e capitale comporterebbe non solo, eneppure principalmente, una generica politica fiscaleespansiva, quanto una forte politica redistributiva insenso progressivo, possibilmente ex ante, cioè sullecause che determinano le sperequazioni, piuttosto cheex post, attraverso le imposte.

Sul piano internazionale, una volta riconosciuta la natu-ra in parte drogata della crescita americana degli ultimidecenni, il nocciolo della faccenda sta nell’abbandonodel dollaro come valuta di riserva fondamentale e l’ado-zione di una valuta internazionale di riferimento. Questascelta implica probabilmente un’ampia redistribuzionedei redditi e dei consumi dagli Stati Uniti verso il restodel mondo.

Tralasciando qui questa dimensione internazionale delproblema, che richiederebbe un discorso a parte, vorreiconcentrarmi sulla prima questione, che almeno entrocerti limiti può essere attuata da singoli stati, anche senzabisogno di coordinamento internazionale.

La questione chiave è come ridimensionare il processo difinanziarizzazione dell’economia. I danni che tale pro-cesso provoca sono esposti in modo conciso ed efficacead esempio da Ronald Dore (“Finanza pigliatutto.Attendendo la rivincita dell’economia reale”, Il Mulino,2009). Secondo Dore, un abbozzo di agenda per la rifor-ma dovrebbe comprendere cinque punti:

1.realizzare un sistema di licenze per i prodotti finanzia-ri, che limiti la diffusione di titoli “arcani” e con levafinanziaria elevata2.ridurre in generale rapporti di indebitamento eccessiviper gli operatori finanziari3.tornare a separare il mercato dei mutui immobiliari dalresto della finanza4.introdurre la Tobin Tax, con una piccola aliquota, nel-l’ordine dello 0,5% sulle transazioni5.riportare al settore pubblico le borse, o le agenzie divalutazione (rating) del debito6.riabilitare in generale la funzione dell’intervento pub-blico.

Per quanto non veda nulla di sbagliato in queste singoleproposte, in fondo abbastanza moderate, non credosarebbero sufficienti ad affrontare la questione alla radi-

Page 12: Dossier di Progetto Lavoro LA CRISI Dossier/1 - dicembre 2011 … · 2019-12-06 · volatilità dei mercati finanziari, che cercano continua-mente occasioni di guadagno, spostano

dossier crisi

12

ce. Se l’origine del problema è un meccanismo che alte-ra in maniera non sostenibile la distribuzione dei reddi-ti fra capitale e lavoro, è lì che occorre intervenire.

Ex post, il meccanismo correttivo non può che essere latassazione ordinaria dei patrimoni. Negli ultimi anni, inrelazione al caso italiano e alla necessità di alleggerirne ildebito, si è tornati a parlare di imposta patrimoniale,intendendo un provvedimento una tantum di finanzastraordinaria. Le proposte spaziano da una (legalmentedubbia) nuova tassazione dei capitali “scudati” (cioè ille-galmente esportati e poi rientrati pagando una impostaestremamente bassa) ad una tassazione generica deipatrimoni al di sopra di una certa entità, a bizzarre ideesulla tassazione di specifici beni (quali le imbarcazioni),all’inevitabile appello alla lotta all’evasione, magari con-dito da un condono ennesimo.

Nel campo della finanza straordinaria per definizione sipuò dire di tutto, e non vorrei entrare su questo pianocontingente. Una imposta ordinaria sui patrimoni èinvece lo strumento tecnico per la redistribuzione expost in forma permanente, e appare migliore dell’impo-sta sui redditi da capitale. Significa sostanzialmenteaggiungere alla dichiarazione dei redditi di tutti i sogget-ti di imposta una dichiarazione del patrimonio (beniimmobili e mobili) ed assoggettare ad aliquota progres-siva sia i patrimoni delle persone fisiche che di quellegiuridiche. Penso che, se la correzione deve avvenire expost, questa sarebbe la via maestra. Ma più importantecredo sarebbe una politica che alla radice faccia crescerela quota dei redditi da lavoro ex ante. Qui la via maestraè esattamente opposta a quella perseguita in questi anni,poiché in definitiva la distribuzione dei redditi fra capi-tale e lavoro è anche, se non soprattutto, una questionedi rapporti di forza.

Questi ultimi dipendono in modo abbastanza importan-te dalla tutela legale e sindacale delle condizioni di lavo-ro, in particolare appare preminente la questione dell’in-fluenza dei rapporti di lavoro precario nello spingereverso il basso tutti i compensi dei lavoratori (anche diquelli con contratti a tempo indeterminato, nonostantequanto spesso si dice). Uno dei provvedimenti del pro-gramma di Obama, poi attuato in misura modesta, adesempio, era la modifica della legislazione che negli USAha reso praticamente impossibile l’organizzazione sinda-cale nella maggior parte delle imprese. Nel corso di que-sti anni in Europa al più il problema che si è posto èstato quello di limitare i danni rispetto al tema della fles-sibilizzazione del mercato del lavoro e al contenimentodel suo costo per fare fronte alla concorrenza interna-zionale. Il fatto che paesi con elevate tutele del lavorosiano anche molto competitivi è stato del tutto ignorato,e di fatto si è accettata l’idea che l’unico modo di soprav-vivere alla globalizzazione dei mercati sia imporre salaribassi.

Progettare una politica sostenibile di alti salari sembraoggi impensabile, ma in realtà non è impossibile. In“Antologia della crisi” ho pubblicato un esempio relati-vo alla Germania (dove i salari sono molto più alti chein Italia, ma dove, secondo alcuni economisti, debbonocrescere per rendere il paese meno dipendente dalleesportazioni). Un altro esempio è questo: si potrebbe

dare una netta preferenza fiscale alle imprese che (a)assumono, (b) assumono con contratti a tempo indeter-minato, (c) pagano salari al di sopra dei minimi sindaca-li, anche nella forma di distribuzione di utili ai dipen-denti. La tassazione ordinaria dei patrimoni potrebbesostenere una politica di questo tipo, per cui le impresedovrebbero scegliere tra fare una cattiva politica dei sala-ri e allora essere più tassate, o una politica più favorevo-le al lavoro e godere di una tassazione più leggera. Insostanza, si potrebbe pensare di tassare l’inquinamentosociale provocato da una cattiva politica salariale, cosìcome si tassa l’inquinamento ambientale. In secondoluogo, si dovrebbe tornare a incentivare il lavoro coope-rativo, che anche in settori avanzati dal punto di vistatecnologico può essere una valida alternativa all’impresacapitalistica. In terzo luogo, la politica retributiva nel set-tore pubblico dovrebbe essere dignitosa, ed offrire ailavoratori (veri) di settori come la sanità e l’istruzione,ma anche di rinnovate imprese pubbliche, compensicompetitivi con quelli del settore privato. In quartoluogo, occorrerebbe forse introdurre, come in moltipaesi, un adeguato salario minimo orario legale per tutti,come soglia al di sotto della quale scattano sanzioni ade-guate.

Sono solo alcuni esempi, molto schematici e solo illu-strativi, di come si possa aumentare la quota del lavoronella distribuzione dei redditi ex ante. Non mancanoesperienze concrete da studiare in vari paesi, che potreb-bero entrare in un’agenda di intervento su larga scala. Ilpunto fondamentale è lo sviluppo di una politica delibe-ratamente mirata ad aumentare il reddito da lavoro inqualunque forma (nel settore privato, pubblico, coopera-tivo, o nel terzo settore).

Le obiezioni che qualunque politica redistributiva pro-vocherebbe aumento dell’evasione o della delocalizza-zione delle imprese all’estero ovviamente debbono esse-re prese in considerazione, ma sarebbe sufficiente guar-darsi intorno nel mondo per constatare che non è neces-sariamente così. Ad esempio, non è vero che i paesi incui l’inquinamento ambientale è maggiormente perse-guito hanno visto la fine della loro industria, purché leregole e gli incentivi siano chiari. E’ il caso dellaGermania. Lo stesso in certa misura vale per l’inquina-mento sociale derivante dalle politiche di bassi salari. Inmolti paesi l’evasione fiscale e contributiva semplice-mente non è una opzione praticabile su vasta scala. E ladelocalizzazione solitamente non dipende principalmen-te da differenze del costo del lavoro (a meno che si trat-ti di differenze così enormi, che in sostanza riguardanoproduzioni decotte, ormai da tempo non più compatibi-li con un’economia sviluppata).

Più in generale, occorre comprendere a fondo i mecca-nismi che generano le rendite finanziarie. Queste sonoormai solo in misura modesta legate al profitto delleimprese di produzione, e in realtà inquinano la stessaproduzione reale (come giustamente afferma Dore), adesempio attirando giovani brillanti verso attività danno-se invece che nella produzione di beni utili. Un “prodot-to finanziario” non è affatto un prodotto in senso reale,ma ha esso stesso bisogno di un riferimento reale, ben-ché virtuale e spesso fantastico, ai beni. Prevenire la for-mazione di rendite derivanti da questa forma di capitali-

Page 13: Dossier di Progetto Lavoro LA CRISI Dossier/1 - dicembre 2011 … · 2019-12-06 · volatilità dei mercati finanziari, che cercano continua-mente occasioni di guadagno, spostano

dossier crisi

13

smo insostenibile, o, se non si può prevenire, tassarne gliesiti e redistribuire in senso progressivo, dovrebbe inte-ressare persino i capitalisti. In questo senso Keynes eraun riformista ed un realista negli anni 30, e gli appelliattuali di alcuni ricchi ad essere maggiormente tassatiottanta anni dopo forse non dovrebbero essere visticome una questione di filantropia, ma di realismo e dilungimiranza.

Dato che nessuna grande forza politica è oggi in campoper prendere in considerazione come punti nodali del-l’agenda queste due riforme redistributive del capitali-smo, quella fra paesi e quella fra capitale e lavoro, l’ipo-tesi più probabile, e forse persino la meno pericolosa, inmancanza appunto di meglio, è quella della cronicizza-zione della malattia, che purtroppo alimenterà comun-que molta più sofferenza sociale di quanto sarebbe pos-sibile con le risorse reali di cui l’economia globalmentedispone.

Note

1. Una cronologia dettagliata degli antefatti, assieme ad una raccolta discritti interpretativi, è disponibile in un numero speciale da me curato per‘Quale Stato’ (n.1-2 del 2009) (“Antologia della crisi globale”, scarica-bile dal sito www.fpcgil.it). La tesi che ho sostenuto è che la crisi, non-ostante si sia manifestata e si manifesti tuttora principalmente come uninsieme di fenomeni finanziari, ha tuttavia radici reali, e che non si risol-verà pienamente finché gli squilibri di fondo non saranno affrontati.

2. Ho commentato un tipico esempio di questa posizione in “La crisiamericana. Appunti di viaggio”, per QA Rivista dell’AssociazioneRossi-Doria (disponibile presso www.francoangeli.it).

***

Domenico Moro

LE CAUSE DEL DEBITO EUROPEO

La crisi del debito sovrano europeo sta determinando una guerranon guerreggiata tra stati, tra aree valutarie, soprattutto una guer-ra di classe. Oggetto di questa guerra sono i lavoratori, che sub-iscono un attacco senza precedenti al salario e al welfare, con pos-sibili ripercussioni sui livelli di democrazia. I governi adottanopolitiche restrittive, nel tentativo di ridurre il debito, con l’effetto diridurre la crescita e aumentare il peso percentuale del debito sulPIL. Praticamente l’economia europea si trova in un cul de sac.Confindustria ripete il solito refrain, la richiesta delle salvifiche“riforme” di struttura: privatizzazioni, riduzione delle tasse perle aziende, riduzione del costo del lavoro, aumento dell’età pensio-nabile, abolizione del contratto nazionale. Tutte misure, alcunegià adottate nel passato, che ci hanno portato alla situazione in cuisiamo, e che ora la aggraverebbero.

Un passaggio di fase storica

Il problema è che, in questo momento, l’attenzione èmonopolizzata da due fenomeni. Il primo è il debitopubblico, che assurge al ruolo di male assoluto, tantoche si pretende l’introduzione nelle Costituzioni euro-pee del pareggio di bilancio obbligatorio. Una decisioneparadossale e nei fatti inattuabile, che va contro la storiaeconomica, in cui il debito pubblico ha rappresentato il

mezzo di affermazione del capitalismo e lo strumentoper far decollare economie arretrate o tamponare le crisi.Il secondo è l’euro. Oggi, tutti si rendono conto che l’in-troduzione di una moneta unica senza un minimo diunità politica, e soprattutto senza un bilancio e un siste-ma fiscale comuni, affidandosi unicamente al libero mer-cato, è stata un errore. Il punto, però, è che debito pub-blico ed euro rappresentano o delle conseguenze o delleaggravanti delle vere cause che, invece, rimangono sullosfondo. Per individuare queste cause bisogna partire dadue fatti. Il primo è la crisi del centro dell’economia capi-talistica – USA, UE e Giappone – e il perdurare delristagno della crescita di queste aree. Infatti, i problemidell’euro si sono manifestati a seguito della crisi del2008, e se ne è avuta una recrudescenza con il vanificar-si della ripresa. Il secondo fatto, collegato al primo, è lospostamento del baricentro economico mondialedall’Occidente e dal centro dell’economia mondiale allaperiferia, Cina, India, Brasile, ecc. Si tratta di un passag-gio di fase storica, che avviene dopo cinque secoli diascesa e due secoli di dominio europeo ed occidentale.Negli anni 80 e 90, il debito era il problema delle areeperiferiche – Africa, Asia, Europa dell’Est e AmericaLatina – caratterizzate da bancarotte e crisi di liquiditàdovute alle decisioni finanziarie dei paesi del centro. Ora,il debito è diventato il problema dei paesi ricchi, dipen-denti semmai dai finanziamenti di altre aree mondialicon forti surplus commerciali. L’Europa subisce mag-giormente la crisi del debito a causa delle specifiche con-dizioni della moneta unica, ma il problema del debito ècomune, e per alcuni versi più grave, negli USA e inGiappone. Ad ogni modo, sono i metodi con cui si è cer-cato di risolvere la crisi a determinare la situazione in cuici troviamo.

La crisi e il controproducente surrogato finanziariodello sviluppo produttivo

La crisi del debito sovrano è un effetto della caduta diredditività degli investimenti di capitale determinatasi neipaesi più avanzati a partire dalla crisi del ‘74-75. Secondolo schema interpretativo di Arrighi, la storia dell’econo-mia capitalistica si caratterizza per dei cicli lunghi diaccumulazione, in cui ad una prima fase di boom segueuna fase di caduta della redditività. Nel tentativo di usci-re da questa fase di difficoltà l’economia o le economiedominanti si spostano dal terreno della produzione dimerci al terreno della finanza, ciò che dà luogo ad unaulteriore fase espansiva, destinata però a dissolversi inuna situazione di caos e conflittualità interstatuale. Taleschema viene applicato da Arrighi anche all’epoca attua-le, in cui gli USA, dalla metà degli anni 70, hanno svi-luppato in modo sempre più intenso l’aspetto dellafinanziarizzazione, nel tentativo di rialzare la redditivitàdel capitale. Il periodo clintoniano ha rappresentato unsalto in tale direzione, con la globalizzazione dei merca-ti finanziari e l’eliminazione della legislazione dellaGrande Crisi degli anni 30. La finanziarizzazione è pro-seguita con Bush II allorché, per rispondere alla crisiseguita allo scoppio della bolla di internet e sostenere iconsumi, si è formata un’altra bolla, questa volta immo-biliare. Il debito immobiliare è stato trasformato in pro-dotti finanziari, i “derivati”, che sono stati venduti intutto il mondo. Quando anche la bolla immobiliare èscoppiata, le banche si sono ritrovate con i bilanci pieni

Page 14: Dossier di Progetto Lavoro LA CRISI Dossier/1 - dicembre 2011 … · 2019-12-06 · volatilità dei mercati finanziari, che cercano continua-mente occasioni di guadagno, spostano

dossier crisi

14

di miliardi in mutui inesigibili e derivati ridotti a cartastraccia. A questo punto, di fronte alla imminente ban-carotta di banche e assicurazioni, lo stato è intervenutomassicciamente. Non a caso in USA sono stati gli hedgefunds ad appoggiare l’elezione di Obama, che ha affida-to i ministeri economici a uomini di fiducia di WallStreet, e di fatto da quasi tre anni è lo stato a tenere inpiedi le banche. La speculazione, pur individuata comecausa della crisi dei subprimes, non solo non è statacombattuta ma è stata alimentata. Le banche hannoinvestito i finanziamenti, ricevuti a tassi vicini allo zero,in USA addirittura a tassi reali negativi, in titoli di statocon rendimenti molto superiori. Neanche l’immissionedi liquidità attraverso i Quantitative easings I e II, basa-ti sull’acquisto di titoli di stato da parte della FED (labanca centrale USA), si è tradotta nella moltiplicazionedel credito alla produzione e in nuovi posti di lavoro, main investimenti speculativi sui futures delle materieprime. Quindi, mentre il governo ha mantenuto gli sgra-vi fiscali di Bush II per i ricchi e si è indebitato per sal-vare le banche e le società finanziarie, queste hannopotuto realizzare alti profitti speculativi. Banche e socie-tà finanziarie hanno investito nel mercato internaziona-le dei titoli di stato, approfittando delle turbolenze e gio-cando sulla variabilità dei cambi valutari e sulle difficol-tà dell’euro, come sta accadendo oggi nel caso dell’Italia,il cui debito è per il 51% in mani straniere e a luglio eraancora per 30% nelle mani di banche europee e solo peril 15% nelle banche italiane. E’ evidente che un debitopubblico in mani estere e non della banca centrale siasoggetto a disinvestimenti e quindi all’innalzamento deirendimenti e a difficoltà di rifinanziamento.L’allargamento al di sopra della quota 300 punti deglispread dei titoli italiani rispetto a quelli tedeschi è inizia-to con il disinvestimento di fondi USA a luglio scorso.Rispetto allo scoppio della bolla dei subprimes la finan-ziarizzazione è addirittura aumentata, passando da quat-tro a otto volte le dimensioni dell’economia “reale”. Afronte di un PIL mondiale di 74mila miliardi di dollari,le borse pesano 50mila miliardi, le obbligazioni 95mila ei derivati 466mila miliardi.

Mondializzazione, esportazioni di capitale e ridu-zione della base produttiva

La caduta della redditività, che si sostanzia nel calo ten-denziale del saggio di profitto, ha determinato l’accen-tuazione di un fenomeno che è tipico delle economiecapitalistiche ad un certo stadio di sviluppo, ovvero laprevalenza delle esportazioni di capitale sulle esporta-zioni di merci. Oltre agli investimenti finanziari, che rap-presentano i cosiddetti investimenti di portafoglio, sonoaumentati esponenzialmente gli investimenti produttivi,gli IDE (investimenti diretti all’estero). Si tratta di unfenomeno studiato già all’inizio del XX secolo nella teo-ria dell’imperialismo, solo che a quell’epoca gli investi-menti produttivi erano indirizzati soprattutto versoinfrastrutture e materie prime e verso le colonie dei sin-goli stati. Negli ultimi venti anni questo fenomeno si èaccentuato qualitativamente e quantitativamente, inte-ressando la produzione manifatturiera, modificando ladivisione internazionale del lavoro e realizzando unmercato mondiale altamente integrato. Una quota sem-pre maggiore di investimenti produttivi è stata dirottataverso paesi che potevano garantire un saggio di profitto

più alto, come l’America Latina, l’Europa orientale esoprattutto l’Asia orientale. La spinta è il divario nelcosto del lavoro, che nelle aree periferiche è molto piùbasso. Per le multinazionali italiane il costo del lavoro inBrasile è il 42% di quello sostenuto in Italia, in Romaniail 13% e in Cina il 7%. Di conseguenza, lo stock degliIDE in uscita dai paesi sviluppati è incrementato moltopiù del valore delle merci esportate. Anche il nostropaese, storicamente esportatore di merci piuttosto che dicapitale, ha visto un aumento esponenziale, inferioresolo a quello registrato da Francia e Germania, del suostock di IDE in uscita, che è passato dai 60,2 miliardi didollari del 1990 ai 578,2 del 2009, mentre nel medesimoperiodo di tempo la quota di beni e servizi esportata èpassata dal 19,1% del PIL al 29,1%. Inoltre, lo stock diIDE in uscita ha superato la quota di IDE in entrata inmolti paesi avanzati, tra cui l’Italia, dove, mentre nel1990 il valore degli IDE in uscita e in entrata si equiva-leva, nel 2008 lo stock in uscita era quasi doppio rispet-to a quello in entrata. Questo processo ventennale hadeterminato due conseguenze. In primo luogo, si è rea-lizzato uno spostamento del baricentro della produzionemanifatturiera verso i paesi emergenti. Questi oggidetengono più della metà delle esportazioni mondiali,nel 1990 solo il 27%, e producono il 38% del PIL mon-diale a prezzi correnti, il doppio rispetto al 1990. Masoprattutto negli ultimi dieci anni i paesi emergentihanno pesato per i tre quarti della crescita del PIL mon-diale. In secondo luogo, lo spostamento della produzio-ne, anche mediante delocalizzazioni, ha ridotto gli inve-stimenti e la base produttiva nei paesi centrali, le cui eco-nomie si sono terziarizzate. Si è così ridotta l’accumula-zione di capitale e la crescita del PIL, determinandoanche una riduzione della crescita delle esportazioni,mentre, nello stesso tempo, le importazioni sonoaumentate, proprio dalle affiliate estere delle multinazio-nali occidentali. Le multinazionali manifatturiere italiane,ad esempio, esportano dalle loro affiliate mediamente il40% del fatturato. Si afferma, dunque, una tendenzaall’aumento del debito commerciale con l’estero, cui siaggiunge il saldo negativo dei flussi di capitale, che pro-voca la crescita del saldo negativo della bilancia dei paga-menti. Il meccanismo sommariamente descritto incidesull’aumento in percentuale del debito pubblico sul PILnon solo perché deprime la crescita del denominatore,cioè il PIL, e quindi del gettito fiscale, ma anche perché,spingendo la domanda pubblica a compensare la ridu-zione di quella privata, aumenta il numeratore, cioè ledimensioni assolute del debito. Inoltre, i paesi con unsaldi negativi nello scambio di merci e capitali con l’este-ro dispongono di minori risorse per coprire i pagamentidel debito pubblico.

“Riforme” del mercato del lavoro, riduzione dellaproduttività e della competitività

L’altra ragione del rallentamento della crescita del PIL èstata la compressione dei salari, altra modalità del capita-le per compensare la caduta del saggio di profitto, che haportato alla riduzione della crescita della produttività.Questo fenomeno ha interessato tutta l’Europa occiden-tale, manifestandosi in modo più accentuato in Italia e inaltri paesi mediterranei. Fino agli anni 90, l’Europa eraandata riducendo il divario di produttività con gli USA.A partire da quella data si verifica una inversione di ten-

Page 15: Dossier di Progetto Lavoro LA CRISI Dossier/1 - dicembre 2011 … · 2019-12-06 · volatilità dei mercati finanziari, che cercano continua-mente occasioni di guadagno, spostano

dossier crisi

15

denza, a causa del mutamento delle politiche pubblicheeuropee. Mentre negli anni 80 si era reagito alla crescen-te disoccupazione con lo sviluppo del welfare, a partiredagli anni 90 è prevalsa l’impostazione secondo cui laliberalizzazione del mercato del lavoro fosse la rispostamigliore alla disoccupazione, in ottemperanza anchedelle direttive dell’OECD Jobs Strategy (1994) edell’Agenda di Lisbona (2000). Le (contro)riforme delmercato del lavoro, unitamente all’aumento dell’immi-grazione e della partecipazione femminile al lavoro,hanno determinato un aumento dell’offerta di lavoro aprezzo più basso. Di conseguenza, come sempre accadein questi casi, è venuta meno da parte delle imprese laspinta ad investire in innovazione e tecnologia, passan-do a metodi meno capital intensive. Le “riforme” delmercato del lavoro hanno così determinato la conse-guenza, apparentemente non voluta, di deprimere laproduttività totale, affidandosi all’aumento della produt-tività del solo fattore lavoro che è cresciuta, così come leore effettivamente lavorate, che in Italia sono per addet-to annualmente 150 in più della media OCSE (2007).L’intensità della deregulation nel mercato del lavoro èstata più forte in Spagna e soprattutto in Italia, il cuiindice OCSE di protezione del lavoro (EPL) è passato,tra 1996 e 2001, da superiore a molto al di sotto di quel-lo di Germania e Francia. I risultati sono emblematici.La crescita della produttività italiana, mentre negli anni70 era la più alta (+6,8%) tra quella delle prime sei eco-nomie industrializzate – grazie all’aumento degli investi-menti di capitale in risposta al recupero salariale dovutoalle lotte operaie partite con “l’autunno caldo” – neglianni 90 subisce un crollo, divenendo la più bassa(+2,1%), e negli anni 2000 diventa addirittura di segnonegativo (-0,2). Di conseguenza, dopo ogni crisi il PILdell’Italia è ripartito sempre più lentamente. Negli anni80 la crescita trimestrale del PIL era del +0,70%, dopola crisi del ’92 era del + 0,57%, dopo la crisi del 2001 del+0,36% e, dopo il 2009, del +0,29%. Purtroppo, l’Italianon è stata la prima della classe solo nella precarizzazio-ne, ma anche nella introduzione, durante gli anni 80 e90, dell’organizzazione toyotista del lavoro, fondata sulsubappalto, che ha accentuato il nanismo delle impresee quindi la riduzione dei salari, degli investimenti di capi-tale e dell’innovazione. Ed è stata prima della classe nelleprivatizzazioni, che, da una parte, hanno offerto ulterio-re occasione di distrazione degli investimenti dalla pro-duzione manifatturiera verso la rendita dei monopolinaturali e, dall’altra, hanno eliminato o indebolito lepoche aziende nazionali di grandi dimensioni e presentiin settori avanzati. Giustamente Confindustria e Bancad’Italia fanno notare che il nostro paese è arrivato allacrisi del 2008, a differenza degli altri paesi avanzati,dopo un decennio di stagnazione a causa del progressi-vo calo di produttività. Il punto è che entrambe si guar-dano bene dall’individuare la causa del calo della pro-duttività e della crescita nella precarizzazione del lavoroe nelle altre misure, che esse hanno imposto negli ultimiventi o trent’anni, continuando imperterrite sulla stessalinea nell’assurda speranza di raddrizzare la situazione.

L’euro ad immagine ed interesse della Germania

Il problema del debito, sovrano e commerciale, e losquilibrio della bilancia delle partite correnti riguarda unpo’ tutti i paesi industrializzati del centro dell’economia-

mondo. L’Italia, che è il secondo esportatore e la secon-da potenza manifatturiera europea, dopo aver visto perdiversi anni ridursi il proprio surplus, presenta un debitocommerciale sempre più ampio (-50,7 miliardi ad agosto,ultimi dodici mesi), segno del manifestarsi, con la crisi,delle conseguenze dei fattori negativi (riduzione dellaproduttività, nanismo, privatizzazioni) di cui abbiamoparlato. C’è però una eccezione. Si tratta della Germania,che detiene il surplus commerciale più grande delmondo: negli ultimi dodici mesi ben 198 miliardi di dol-lari, contro i 174 miliardi della “fabbrica del mondo”cinese, e in aumento rispetto all’inizio della crisi. Laragione di questa situazione è il fatto che la Germania habeneficiato, di fronte alla globalizzazione, di due barrie-re protettive, la UE e soprattutto, all’interno di questa,l’area euro. L’abolizione delle valute nazionali nell’areaeuro ha permesso all’industria tedesca di sfruttare lamaggiore competitività dovuta alla più alta produttività.Gli altri paesi europei sono diventati per questa via unaspecie di mercato interno allargato per il gigante tedesco.Le aziende degli altri paesi dell’area euro si sono trovatein difficoltà a competere con quelle tedesche, non poten-do più opporre alle più efficienti imprese tedesche lasvalutazione competitiva delle valute nazionali, ormaiabolite, e sono rimaste penalizzate dalla forza dell’euronelle esportazioni extra UE. Inoltre, la massiccia liquidi-tà iniettata nell’economia mondiale dopo la crisi del 2001e la bolla immobiliare hanno incrementato le importa-zioni, favorendo l’aumento dell’indebitamento dellefamiglie europee, soprattutto con il sistema bancariotedesco. La conseguenza è stata la crescita del debitocommerciale con l’estero in Spagna, Grecia, Portogallo,ecc. Questo meccanismo ha retto fino alla crisi dei sub-primes. A questo punto, le banche europee, piene didebiti delle famiglie europee, hanno rischiato di fallire, egli stati, assorbendone il debito per evitare che fallissero,hanno rigonfiato il loro debito sovrano.

Il problema è che se il “sistema euro”, da una parte,favorisce la creazione dei debiti sovrani e commerciali,dall’altra, non permette di affrontarli con decisione, per-ché ha abolito gli strumenti solitamente utilizzati a que-sto scopo, come la possibilità per le banche centralinazionali di acquistare debito pubblico direttamente, enon li ha sostituiti con istituzioni e strumenti a livelloeuropeo. La BCE, che sostituisce le banche centralinazionali, per statuto, a differenza della FED USA, hacome obiettivo primario non il sostegno alla crescita mala stabilità monetaria, che si traduce in alti tassi d’inte-resse e attenzione prioritaria all’inflazione. Di conse-guenza, anche il costo del finanziamento del debitorimane alto e l’acquisto dei titoli è dipendente dai mer-cati finanziari e quindi dall’estero, con i problemi che neconseguono. L’obiettivo che sta dietro questo tipo diunione monetaria è avere una valuta forte, in modo daridurre il costo delle materie prime (trattate in dollari),poter acquistare più facilmente imprese e fare investi-menti produttivi all’estero e, infine, attirare quote di sur-plus mondiale alla ricerca di destinazioni alternative aldollaro. In pratica la Germania vuole la classica “bottepiena e la moglie ubriaca”, ovvero mantenere bilanci sta-tali (e debiti) nazionali e moneta e tassi d’interesse comu-ni. Vale a dire poter esportare, facendo funzionare il suosistema industriale a pieno ritmo, senza farsi carico delleconseguenze.

Page 16: Dossier di Progetto Lavoro LA CRISI Dossier/1 - dicembre 2011 … · 2019-12-06 · volatilità dei mercati finanziari, che cercano continua-mente occasioni di guadagno, spostano

dossier crisi

16

Che fare?

In primo luogo, bisogna ripartire dalle basi nazionali diclasse, nel senso di rinforzarsi nei singoli paesi europei.Bisogna però estendere il terreno di lotta ad un livelloeuropeo. Se siamo stati sconfitti nella fase storica prece-dente è stato per due ragioni. La prima sta nel fatto cheil capitale ha acquisito una dimensione transnazionale eha giocato sulle differenze di costo del lavoro e valutarienelle varie aree e paesi. La seconda ragione sta nell’af-fermazione, a livello UE, dello scambio tra precarietà eoccupazione. Se il capitale ha fatto un salto di livello,non c’è alternativa, anche i lavoratori devono farlo. Inpratica va intrapreso un processo di collegamento tra leforze politiche e sindacali del movimento operaio euro-peo. Si tratta di un processo di difficile attuazione, che siscontra con differenze culturali e linguistiche, interessi eresistenze corporative e con le divisioni tra i partiti dellasinistra di classe e comunisti. Il fatto è che la storia e ilmovimento oggettivo dell’economia vanno in una certadirezione e non si può arrestare questo movimento,bensì inserirsi in esso. C’è sempre un ritardo nell’ade-guamento della classe operaia al livello del capitale.Anche quando il movimento del capitale ha portato allanascita degli stati nazionali si è registrato questo ritardo,ma, attraverso un processo più o meno lungo e dram-matico, la classe si è adeguata al livello di sviluppo delcapitale. La UE e l’area euro possono rappresentare unterreno di ricomposizione della classe lavoratrice euro-pea. Ciò non è avvenuto, fino ad ora, per le ragioni chedicevamo, ma questa crisi può offrire l’occasione perfarlo, sforzandosi di trovare le forme di coordinamentopiù adeguate e un programma comune. L’errore princi-pale è rinserrarsi su una posizione di difesa, che tende astabilirsi su una linea sempre più arretrata. Bisogna averela capacità, anche se si è minoranza, di non essere mino-ritari e di proporsi come forza, insieme nazionale edeuropea, in grado di indicare soluzioni generali, edaggregare consenso intorno ad esse. Abbiamo tentato disintetizzare i punti più importanti qui di seguito.

La gravità di questa crisi deriva dall’aumento dell’anar-chia della produzione-circolazione del capitale e dall’e-stensione del mercato mondiale. Ciò ripropone l’attuali-tà storica della pianificazione e dell’organizzazionesociale della produzione. Tale attualità, se non va intesacome immediata attuabilità, non va neanche vista comeuna specie di “sol dell’avvenire” che sta su uno sfondoche un tempo si raggiungerà. Viceversa, deve essere unpunto di riferimento strategico sulla base del quale ela-borare una tattica conseguente.

Il mercato autoregolato ha fallito, quindi, a livello nazio-nale, va riaffermato il ruolo dello stato, che però nondeve essere subalterno al profitto né assolvere al ruolodi “socializzatore delle perdite”. Lo stato non può limi-tarsi al ruolo di regolatore del mercato, ma deve rientra-re nella produzione a partire da quella di servizi in regi-me di monopolio fino alle produzioni avanzate e inno-vative, che i privati non coprono, spingendosi fino allanazionalizzazione delle banche. In Italia questo ruoloproduttivo e finanziario va esplicitato soprattutto al Sud,il cui divario rispetto al Nord, crescente proprio a parti-re dalla fine della partecipazioni statali, è pericoloso sulpiano economico e politico.

A livello europeo, lo statuto della BCE va modificato,affinché il suo compito principale non sia più la stabilitàvalutaria e la lotta all’inflazione, ma il sostegno all’eco-nomia e alla crescita. Inoltre, vanno affermate forme dibilancio e di fiscalità europea che permettano, attraversoun debito comune, di ripartire gli oneri e i vantaggi del-l’unione valutaria tra gli stati forti e quelli deboli.

I problemi connessi al debito pubblico derivano, inprimo luogo, dalla stagnazione della crescita.Quest’ultima dipende dalla perdita di produttività che, asua volta, nasce sia dal ritiro dello stato dai settori eco-nomici più avanzati sia dalle riforme del mercato dellavoro, che hanno abbattuto il costo del lavoro e scorag-giato gli investimenti. Ricercare aumenti della produttivi-tà mediante riduzione del costo del lavoro e altra “libe-ralizzazione” del lavoro, come si sta riproponendo oggi,è il contrario di quello che bisogna fare. Quindi, va dettochiaramente che l’abolizione delle riforme del mercatodel lavoro e l’aumento della produttività del fattore capi-tale attraverso nuovi investimenti non è soltanto unadifesa degli interessi dei lavoratori salariati, ma anche diquelli di tutto il paese.

Il rigonfiamento del debito pubblico italiano (e di altripaesi) dipende, oltre che dalla socializzazione delle per-dite capitalistiche, anche dalla riduzione della pressionefiscale per i ricchi, che non avviene solo attraverso l’eva-sione e l’elusione, ma attraverso il quasi annullamentodella progressività fiscale e la diminuzione delle impostealle imprese (ad esempio l’IRES). Visto che il capitale edi suoi partiti propongono una loro riforma fiscale, noidobbiamo proporre una nostra riforma fiscale, che rista-bilisca, in primo luogo, l’impostazione progressiva cheaveva l’IRPEF al momento della sua introduzione.

***

Luigi Vinci

LE AGENZIE DI RATINGCome Paperon de’ Paperoni e Archimede

Pitagorico cooperano al saccheggio del mondo

Tra gli strumenti ideologici dell’egemonia liberista sull’Occidente cistanno la pretesa della perfetta razionalità e della perfetta traspa-renza del mercato e la pretesa che a ciò servano di supporto istitu-zioni tecniche di accertamento e anche decisionali. Il mostro anti-sociale, e persino antieconomico, rappresentato dall’UnioneEuropea, largamente gestito da strutture tecnocratiche(Commissione e Banca Centrale), è un buon esempio, con i suoidisastri e la sua tendenza al collasso, di come prima o poi vadanoa finire le cose del liberismo. Un altro buon esempio sono i disastriantisociali e antieconomici combinati dalle “agenzie di rating” (labufera in Europa e negli Stati Uniti).

Il problema è: cui prodest? chi diavolo ci guadagna? Unasommaria analisi di che cosa effettivamente siano leagenzie di rating può aiutare a capire due cose: come dirazionalità, sul piano stesso dell’economia, ci sia benpoco nelle istituzioni tecniche e di governo del liberismo,anzi come quest’ultimo non sia, istituzionalmente, poli-ticamente e culturalmente, altro che una baracconata cheè servita per vent’anni e tuttora serve a spremere reddi-to dal basso verso l’alto della scala sociale, in risposta ad

Page 17: Dossier di Progetto Lavoro LA CRISI Dossier/1 - dicembre 2011 … · 2019-12-06 · volatilità dei mercati finanziari, che cercano continua-mente occasioni di guadagno, spostano

dossier crisi

17

appetiti di classe tanto smodati da giungere prima o poi(e oggi ci siamo) a compromettere le basi stesse produt-tive dell’economia dell’Occidente.

Intanto, che cos’è il rating. Si tratta di un metodo di ana-lisi e di classificazione (da parte di analisti) che porta aun voto (da parte di comitati di esperti) ai titoli di impre-se, istituzioni finanziarie, soggetti pubblici (tra i quali glistati) sulla base della loro rischiosità per quanti li acqui-stino, risparmiatori o “investitori istituzionali” (cioè spe-culatori di varia natura). Di norma i titoli emessi da unostato sono titoli sul debito, servono cioè a rinnovarlo,evitando quindi crisi di insolvenza. Questo voto èespresso in lettere e altri segni. Più alto è il voto più affi-dabile è il titolo a cui è stato assegnato, e viceversa. Lasua assegnazione porta poi, per via di mercato, alla defi-nizione di un “premio di rischio” più o meno elevato: ititoli con i voti migliori comporteranno un premio dirischio basso, e viceversa. I titoli “sovrani” (dello stato)di Germania, Stati Uniti e Cina, disponendo di un votoelevato, offrono agli acquirenti un premio basso (incompenso non comportano rischi significativi di perdi-ta di valore e ancor meno di insolvenza dello stato che liha emessi); viceversa per quanto riguarda i titoli diGrecia e Portogallo. Concretamente questo significa,per esempio, che se il premio di rischio di Grecia ePortogallo si pone al 10% del valore dei titoli emessi,essi saranno venduti al 90% del loro valore, quindi chequando questi titoli verranno a scadenza e gli acquirentisaranno rimborsati questi paesi dovranno esborsare il10% di più di quanto a suo tempo incassato. Se, inoltre,il voto assegnato ai titoli di questi paesi è “declassato”,cioè abbassato, questo significa che le loro emissioni dititoli riescono a essere vendute solo portando il premioa oltre il 10% (sarà il mercato a decidere quanto oltre).Giova sottolineare che il mercato è dominato da grandiacquirenti sostanzialmente coalizzati e il cui scopo è diguadagnarci il più possibile, in altre parole che è un mer-cato “oligopsonico”, nel quale, cioè, sono gli interessidegli acquirenti a definire il livello del premio. Non acaso Grecia e Portogallo si trovano oggi a sprofondarein una palude senza via d’uscita, che non gli consentepossibilità di ripresa economica e periodicamente lipone di fronte a una situazione di insolvenza, affronta-bile solo con la “ristrutturazione” del loro debito (si trat-ta dell’analogo, per uno stato, di una procedura di falli-mento) oppure con un rifinanziamento da partedell’Unione Europea (ed eventualmente anche delFondo Monetario Internazionale), a evitare che crollil’euro e con esso l’Unione. Giova sottolineare, ancora,che usualmente i titoli che risentono del declassamento(quindi dell’aumento dei loro premi di rischio) sonoquelli la cui scadenza è a breve (a sei mesi, a un anno):ma che quando si configurano situazioni come quellagreca e quella portoghese anche i titoli a più lunga sca-denza vedono quest’aumento.

Si dirà: non è colpa certo delle agenzie di rating se lecose vanno così, esse analizzando e dando voti a titolifanno semplicemente il loro mestiere. Anzi si tratta diun mestiere benemerito: in ballo ci sono i soldi, diretta-mente o indirettamente, dei risparmiatori, quelli per ilpagamento delle pensioni (negli Stati Uniti), ed è beneche tutti sappiano il rischio che si corre acquistandoquesto o quel tipo di titoli. Ma è proprio così? Intanto,

che cosa sono queste agenzie, che cosa fanno, chi legestisce, con quali interessi suoi specifici, se ce ne sono?

Le agenzie di rating fondamentali sono solo tre: due sta-tunitensi, Standard & Poor’s (il 40% circa del fatturatodel totale di queste agenzie) e Moody’s (un altro 40%circa), e una statunitense-europea, Fitch Ratings (il rima-nente 20% circa). Nel gergo ambientale, sono le “Tresorelle”. Come lavorano. L’analisi delle varie emissioni dititoli (quindi della situazione di imprese, banche, ammi-nistrazioni locali, stati, ecc., dal punto di vista dell’anda-mento delle loro situazioni finanziarie: delle entrate, deipatrimonio, del debito, della solvibilità ecc.) è un lavorodi una certa complessità e onerosità. Le Tre sorelle quin-di dispongono di apparati di specialisti, alcuni dei qualistrapagati, in ragione della loro immagine di esperienza ecompetenza. Quest’immagine è importante. Questeagenzie sono, infatti, imprese capitalistiche private (poivedremo bene) e, pur di fatto cooperando, operano inregime di reciproca concorrenza nell’attrarre e nel tener-si i clienti grossi. Che sono molti. Una parte rilevante dellavoro delle Tre sorelle consiste in commesse loro affi-date da imprese, banche, fondi di investimento, fondipensione, assicurazioni, amministrazioni pubbliche (dicittà, regioni, ecc.), anche stati: i cui obiettivi sono, dimo-strando a risparmiatori e a investitori istituzionali l’affi-dabilità dei propri titoli, di riuscire a piazzarli a premi dirischio bassi, oppure di garantire ai propri associati (peresempio a futuri pensionati) la propria solidità finanzia-ria, quindi la propria propensione all’acquisto di titolisicuri, benché a premio non particolarmente alto. Masoprattutto le commesse vengono alle agenzie di ratingda investitori istituzionali che dispongono di grandiliquidità (si tratta di fondi di investimento, assicurazioni,molte banche d’affari). Ciò immediatamente indica unprimo problema: dato che questa è la clientela che piùconcorre al fatturato delle Tre sorelle (ammontabile acirca 1 miliardo di dollari l’anno), non converrà loro diavere un occhio di riguardo nella definizione dei voti alleemissioni di titoli di questa clientela, facendoli cioè i piùalti possibile? Inoltre non converrà loro un tale occhio diriguardo nella definizione dei voti alle emissioni dei tito-li che questa clientela intende acquistare (per esempiodella Grecia e del Portogallo), facendoli i più bassi pos-sibile?

Insomma ecco una prima cosa che fa pensare che tecni-cità e obiettività delle agenzie di rating non siano sempreperfette: la presenza di un loro vistoso conflitto di inte-ressi. Più saranno effettivamente obiettive nei loro votiriguardo ai loro maggiori clienti, più rischieranno di per-derli a profitto di concorrenti. Business is business, bel-lezza.

Si trattasse solo di questo! Le agenzie di rating non silimitano a operare indagini e a dare voti su commissio-ne: effettuano indagini anche a seguito di decisione pro-pria. E non solo per venderne i risultati a qualche inve-stitore istituzionale, indicandogli che cosa gli convengaacquistare o vendere o su cui farci qualche “prodottoderivato” (qualche emissione di titoli altamente specula-tivi, cioè altamente lucrativi in quanto ad alto rischio):ma anche in quanto le agenzie di rating sono esse stesse,di fatto, investitori istituzionali (poi vedremo cosa signi-fica “di fatto”)! Hanno cioè esattamente le medesime

Page 18: Dossier di Progetto Lavoro LA CRISI Dossier/1 - dicembre 2011 … · 2019-12-06 · volatilità dei mercati finanziari, che cercano continua-mente occasioni di guadagno, spostano

dossier crisi

18

convenienze della loro clientela più assidua a che deter-minati titoli vengano rivalutati o declassati.

Abbiamo già ipotizzato l’esistenza di un conflitto diinteresse: adesso possiamo “ipotizzare” (è un evidenteeufemismo) i reati di “aggiotaggio” e di “insider tra-ding”. Per aggiotaggio si intendono il rialzo o il ribassofraudolenti di prezzi, sul mercato o in borsa. Per insidertrading si intende un’operazione lucrativa su titoli daparte di un soggetto in grado di utilizzare una posizionevantaggiosa nell’accesso a informazioni riservate che liriguardino. Giova aggiungere come l’uno o l’altro oambedue questi reati siano stati recentemente operati,con ogni probabilità, dalle agenzie di rating, a propriovantaggio o a vantaggio di investitori istituzionali chefosse, semplicemente facendo correre la voce di unapossibile ristrutturazione da parte della Grecia del suodebito pubblico, cioè senza aver neppure fatto finta dieffettuare un’analisi. Ancora, sono stati operati facendocorrere la voce di una possibile declassazione dei titoliportoghesi. Ci sono norme negli Stati Uniti che impon-gono alle agenzie di rating di dare notizia dei voti sulleemissioni di titoli dopo che ne sia stata avviata la vendi-ta, in modo da non alterarne eccessivamente l’andamen-to con l’aumento immediato e rilevante dei premi dirischio. C’è un’authority incaricata di vigilare all’osser-vanza delle regole. Ma basta fare correre una voce adhoc, con l’ausilio magari di compiacenti giornali econo-mici, che l’operazione speculativa va efficacemente inporto. La Procura di Lisbona ha dunque avviato unacausa per pratiche abusive nei confronti delle Tre sorel-le. E’ inoltre in corso un’indagine da parte dellaCommissione del Senato degli Stati Uniti sulle attivitàspeculative illegali delle banche di affari nel periodoantecedente la crisi finanziaria del 2008. Gli Stati Unitisono anche allarmati, a partire dalla Presidenza Obama,dall’eventualità (secondo un’altra voce ad hoc) di undeclassamento dei loro titoli sovrani. Dato il livello deldebito pubblico statunitense, l’aumento dei premi arischio dei titoli di questo paese comporterebbe la cata-strofe di gran parte dell’economia mondiale. LaCommissione del Senato, infine, ha recentemente accu-sato la Goldman Sachs, una delle maggiori banche d’af-fari statunitensi, di aver mentito ai risparmiatori circa lasolidità delle sue attività finanziarie, in combutta con l’a-genzia di rating Standard & Poor’s. Qualcuno finirà ingalera? Meglio che niente, speriamo.

Giova rammentare, pur rapidamente, sempre a proposi-to di tecnicità e obiettività delle agenzie di rating, comeil 93% dei titoli da esse collocati nel 2006 al top dellasicurezza per risparmiatori e investitori istituzionalisiano diventati, a seguito della crisi finanziaria del 2008,carta straccia. Giova rammentare i loro voti alti sui pro-dotti derivati USA garantiti dai mutui ipotecari, alla vigi-lia di questa crisi e i loro voti alti, precedentemente, suititoli dell’Argentina alla vigilia del fallimento di questostato. Si potrebbe continuare molto a lungo. Ex dirigen-ti delle Tre sorelle, pentiti o inquisiti, hanno definito nona caso “frode” le loro attività, le hanno definite un “oli-gopolio che accumula profitti grazie ai ruoli” assegnatiloro “di arbitri” e al tempo stesso di “giudici senzaappello”, “distributrici di passaporti falsi”, “incompe-tenti”, caratterizzate strutturalmente da “conflitti diinteresse”, ecc.

Com’è possibile tutto questo? Com’è possibile che isti-tuzioni con compiti così delicati e di grande portata infatto di etica pubblica, oltre che di grande portata socia-le ed economica, facciano queste cose? Ma il fatto è,come già accennato, che le Tre sorelle non sono istitu-zioni pubbliche bensì imprese capitalistiche private.

Non solo: imprese capitalistiche private la cui proprietàè nelle mani di fondi di investimento, cioè di impresecapitalistiche private la cui attività è sommamente e sola-mente speculativa. Standard % Poor’s ha come sociodominante la Mc Graw Hill e tra gli altri soci troviamo laCapital Word Investors e (ohibò), con il 7% complessi-vo della proprietà, società che ritroviamo anche tra i socidi Moody’s. Quest’ultima, a sua volta, è in mano a questigrandi fondi di investimento: Berkshire Hataway (il13,4% della proprietà), Fidelity Management e CapitalResearch (ciascuna il 10%), Black Rock, State Street eVanguard (ciascuna il 3% circa). Fitch Ratings, infine,appartiene al gruppo francese Fimalac e al gruppo edi-toriale statunitense Hearst (a proposito di voci ad hoctramite stampa). Vero è che le agenzie di rating non pos-sono operare direttamente, stando alla legge degli StatiUniti, in veste di fondi di investimento: ma i loro pro-prietari sì (per questo abbiamo scritto come esse sianoinvestitori istituzionali “di fatto”, cioè come lo sianoindirettamente), e le agenzie di rating prestano a loroconsulenze così come a ogni altro investitore istituzio-nale. Non c’è nessuna incompatibilità. Va da sé, inoltre,che ogni obbligo di riservatezza sui risultati di determi-nate analisi è di ben ardua efficacia, anche ammettendola buona fede, quando a operare nei comitati di esperticreati dalle agenzie di rating per l’assegnazione dei voti aititoli che sono stati oggetto di tali analisi risultano figureche siedono nei consigli di amministrazione o sono alledipendenze o consulenti delle imprese finanziarie pro-prietarie delle agenzie di rating.

A monte di tutto quanto c’è l’orgia liberista di un ven-tennio e il fatto che nel suo percorso le operazioni finan-ziarie connesse alla produzione reale sono passate dal tri-plicare il valore di quest’ultima a esserne venti voltetanto. Ci sono quindi stati una gigantesca produzione didenaro (i titoli sono una forma di denaro) e, assieme, ungigantesco trasferimento di ricchezza verso gli attoriimprenditoriali della speculazione. E c’è stato, prima ditutto, il fatto che a ciò hanno cooperato, creandone dap-prima le condizioni e poi sorreggendole, i governidell’Occidente. A seguito del disastro a cui ha portatoquesto ventennio, a seguito cioè della crisi finanziaria del2008 e della sua immediata precipitazione in crisi econo-mica generale delle economie dell’Occidente, c’è qualco-sa che in questa parte del mondo o altrove si muova oggia contrasto, in un modo qualsiasi? Delle inchieste negliStati Uniti si è visto; difficile però che possano portare arisultati significativi. La Cina ha recentissimamente tra-sformato la sua riservatissima agenzia (pubblica) dirating (la Dagong, creata nel 1994 per rompere il mono-polio informativo delle Tre sorelle) in un’agenzia chepubblica i suoi risultati. E’ considerata più attendibiledelle Tre sorelle, ancorché sembri avere un occhio diriguardo verso i titoli made in China. L’Unione Europeaha costituito l’ESMA (European Security and MarketsAuthority, Autorità europea sui titoli e sui mercati), chesovraintenderà alle attività di rating, rilascerà patenti agli

Page 19: Dossier di Progetto Lavoro LA CRISI Dossier/1 - dicembre 2011 … · 2019-12-06 · volatilità dei mercati finanziari, che cercano continua-mente occasioni di guadagno, spostano

dossier crisi

19

organismi, quale che ne sarà la natura, che intendesserorealizzare tali attività nell’Unione, multerà quegli organi-smi, sino al 20% del fatturato, che commettessero ille-galità. Più indietro è invece la costituzione, pur decisa datempo, di un’agenzia di rating pubblica europea.Discussioni di approfondimento si susseguono l’unaall’altra, come sempre nell’Unione quando una necessitàsi scontri con grandi interessi privati. All’uopo giova farpresente come, dentro al bailamme finanziario che con-tinua ad agitare l’Unione, le banche d’affari tedesche equelle britanniche si stiano impegnando alla grande nel-l’emissione di titoli speculativi ad alto rischio, profittan-do dei guai di Irlanda, Grecia, Portogallo, stiano guar-dando con intenzioni non buone alla situazione dellaSpagna, inoltre a come, più in generale, l’euro continui asobbalzare.

***

Giancarlo Saccoman

CRISI E RINCARI DI QUEL CHE UN TEMPO COSTAVA POCO

Sulla scia di una precedente tendenza alla crescita dei prezzi deiminerali estrattivi, a partire dal secondo trimestre del 2010 anchequelli delle materie prime agricole ed energetiche hanno iniziato asalire in modo forte e sostanzialmente costante, determinando unaumento dell’indice generale dei prezzi nel quadro dell’economiamondiale. In presenza di una stagnazione “media” delle economiedei paesi sviluppati (del centro capitalistico), questo delinea unasituazione di “stagflazione” (di stagnazione più inflazione).

Il quadro globale

Questo movimento ascendente dei prezzi non consistein un’oscillazione congiunturale (come pure è tipico deimercati delle materie prime), ma in una tendenza strut-turale e perciò di lungo periodo, tale da mutare stabil-mente la fisionomia del mondo nel prossimo futuro.Infatti, dopo un lunghissimo periodo (poco meno di unsecolo e mezzo) in cui le ragioni di scambio hanno favo-rito i prodotti intermedi e finali rispetto alle materieprime, da circa quindici anni esse appaiono nettamenterovesciate, e questo a seguito del grande cambiamentodegli equilibri economici e geopolitici intervenuti a livel-lo mondiale e riassumibili nel declino del centro capita-listico (Nordamerica, Europa occidentale, Giappone).Questo cambiamento sta premiando l’area asiatica ealtre grandi aree della periferia capitalistica tramite unarapida e continua crescita economica: che si traduce increscita della domanda di materie prime a un ritmo assaipiù elevato rispetto all’aumento dell’offerta, donde unatendenza appunto al rialzo dei loro prezzi.

Si badi: questa richiesta non riflette solo le necessità tec-niche della crescita economica di queste aree: quest’ulti-ma, portando a una crescita del tenore di vita di centi-naia di milioni di esseri umani, ha anche generato unmutamento dei consumi, sia alimentari che di beni dure-voli, e degli stili di vita, che si stanno avvicinando allesituazioni del centro capitalistico. Inoltre a questo vannoaggiunti rarefazione o contingentamento di alcunematerie prime da parte di paesi produttori. Quindi lacrescita economica della periferia capitalistica ha un

effetto “moltiplicato” sui prezzi delle materie prime. LaCina ha assunto un ruolo determinante nella lotta, cheda tutto questo consegue, per il controllo soprattuttodelle risorse energetiche, alimentari e di quelle materieprime di base di interesse strategico per lo sviluppo futu-ro nel campo delle alte tecnologie. Per alcune di queste(le “terre rare”) essa è fra i primi produttori e consuma-tori mondiali, quindi in grado di deciderne i prezzi (allaborsa di Shanghai).

L’economia cinese ha svolto dal 2009 un ruolo crucialenella crescita della domanda di materie prime. Essapotrebbe prossimamente rallentare l’incremento dellasua domanda, a causa delle nuove politiche monetarierestrittive decise dalle autorità di governo per sgonfiarela bolla immobiliare e frenare le forti spinte inflative. Ciòtuttavia non invertirà la tendenza di fondo al rincaro: l’e-conomia è in crescita rapida in quasi tutta la periferiacapitalistica. Inoltre quell’effetto moltiplicatore che si èdetto continuerà al allargare la sua base portante.

Rialzo dei prezzi e al tempo stesso volatilità deimercati delle materie prime

Il rialzo dei prezzi è, tecnicamente, l’effetto del notevoleritardo nell’adeguamento della produzione alla doman-da. Occorrono tempi assai lunghi (anche di dieci-quindi-ci anni) per attivare nuove miniere e raffinerie o per riat-tivare quelle chiuse perché divenute antieconomiche aseguito delle passate flessioni o stagnazioni a basso livel-lo dei prezzi. Per le produzioni agricole i tempi di ade-guamento della produzione sono a loro volta legati allariconversione delle colture e degli impianti di trasforma-zione.

Parimenti il rialzo dei prezzi determina una riduzionedella domanda di alternative tecnologiche nonché dirisparmio energetico e dei materiali, causando periodica-mente cadute di prezzi che la speculazione amplifica incrolli, portando alla dismissione degli impianti che pro-ducono a costi più elevati. Ciò fa rialzare i prezzi, e illoro ciclo ricomincia (è soprattutto per evitare tali sbalzi,stabilizzare i prezzi e smorzarne le oscillazioni che sononate le organizzazioni dei venditori, come l’OPEC, equelle dei compratori, e sono state costituite scorte stra-tegiche dalle grandi imprese e dagli stati).

Le oscillazioni significative dei prezzi sono soprattutto dibreve periodo. Essi sono fortemente influenzati dai mer-cati speculativi dei “prodotti derivati”, che contribuisco-no a dilatare le minioscillazioni in modo esponenziale.L’enorme mole di capitale finanziario liquido, gestitoprevalentemente da fondi di investimento (anche pen-sione) e dalle grandi banche d’affari, soprattutto statuni-tensi, viene investita in “derivati” riguardanti le mercatidelle varie materie prime (oltre che cambi tra le valute edebiti sovrani), che a causa della loro instabilità consen-tono forti guadagni attraverso hedge funds ovveroscommesse sugli andamenti futuri. Anche le guerre valu-tarie in corso generano un’ulteriore grado di incertezza:un eventuale indebolimento del dollaro favorirebbe ilrialzo dei prezzi delle materie prime, mentre un suo raf-forzamento le renderebbe più costose per gli acquirentiin altre valute.

Page 20: Dossier di Progetto Lavoro LA CRISI Dossier/1 - dicembre 2011 … · 2019-12-06 · volatilità dei mercati finanziari, che cercano continua-mente occasioni di guadagno, spostano

dossier crisi

20

La situazione dei minerali estrattivi

Secondo i dati del Parlamento Europeo nell’ultimodecennio il mercato globale dei minerali estrattivi haregistrato la maggiore esplosione dei prezzi dalla secon-da guerra mondiale. Ciò risulta dovuto a una rapidissimacrescita economica della periferia capitalistica, che hafatto esplodere la richiesta, soprattutto da parte di Cinae India, di numerose materie prime, poiché ci vuoletempo ad adeguare il livello della produzione o sempli-cemente poiché questo non è possibile. L’UnioneEuropea ha redatto un elenco di 41 minerali critici la cuiscarsità produrrà pesanti conseguenze economiche, e haprevisto per alcuni di essi gli anni di residua disponibili-tà. La scarsità o l’indisponibilità di 14 di questi mineralicauserà anzi crisi dell’economia mondiale dalle enormiconseguenze sociali: molti minerali, come platino, mer-curio, gallio e terre rare, sono infatti indispensabili per letecnologie alternative in campo energetico. Se si esten-derà la produzione di auto elettriche anche il litio, neces-sario per le batterie, potrebbe diventare rapidamenteinsufficiente. La distribuzione geografica di alcuni mine-rali è fortemente localizzata in pochi paesi, dando luogoa situazioni di oligopolio o, anche, di monopolio checonsentono di aumentarne il prezzo o di operare uncontingentamento delle esportazioni, al fine di control-lare direttamente il connesso ciclo produttivo fino aiprodotti intermedi o anche finali. Ciò determina unrischio strategico per i paesi utilizzatori, poiché li espo-ne a un’eccessiva dipendenza dalle scelte, dalle pretese odalle crisi politiche altrui.

I rimedi possibili sono di varia natura: la prospezionegeologica di territori ancora poco esplorati, la coltiva-zione di giacimenti finora poco sfruttati perché presen-tano elevati costi di estrazione, l’adozione di produzionia minor consumo di questi minerali, la ricerca di mate-riali sostitutivi più abbondanti o di tecnologie alternati-ve, il riciclo, l’eliminazione degli sprechi e dei consuminon necessari. Tuttavia se per alcuni minerali è possibi-le una superiore estrazione a costi più elevati, o è possi-bile sostituirli grazie a tecnologie alternative, per altrioggi non esistono alternative.

I territori che conservano maggiori risorse, non ancorasfruttate per difficoltà ambientali, politiche o mancanzadi infrastrutture, sono Afghanistan (sulla base dei rap-porti geologici del Ministero della Difesa statunitense cisono rame, litio, cobalto, oro, ferro, ecc.), Groenlandia,paesi andini (litio), Amazzonia, Nuova Guinea,Antartide e molti altri. C’è poi una quantità di territoridel tutto inesplorati. Il riciclo viene attualmente utilizza-to nell’industria riguardo a numerosi materiali e metalli:grafite 72%, alluminio 49%, oro 43%, nichel 35%, rame31%, zinco 26%, argento 16%, ma anche piombo eferro. Il litio delle batterie non viene consumato e puòessere interamente riciclato. Ma solo il miglioramentodelle tecniche di recupero può far sperare, in solido allosviluppo della ricerca scientifica e tecnologica e a politi-che di risparmio, in una soluzione positiva del problema.

La situazione di metalli preziosi e terre rare

La crisi ha spinto alla ricerca di beni rifugio, che nongarantiscono alcuna rendita ma solo guadagni di capita-

le o almeno la conservazione del suo valore, come, oltreal “mattone”, gioielli, opere d’arte, pietre preziose e,soprattutto, monete auree e metalli preziosi, il cui valoreè facilmente determinabile. La corsa all’oro sembraormai inarrestabile: dai 200 dollari l’oncia nel 1975dovrebbe raggiungere i 1.600 dollari a fine 2011. Anchele banche centrali sono tornate a comprarlo, rifiutando leindicazioni di vendita del Fondo MonetarioInternazionale. Parimenti la Cina sta moltiplicandonerapidamente gli acquisti, inoltre ha lanciato il suo primofondo speculativo sull’oro, aperto anche ai suoi piccolirisparmiatori. Cresce moltissimo pure il prezzo di argen-to (+100,3% in un anno), platino e palladio, che hannoanche un importante uso industriale, inoltre i diamantivedono una fortissima crescita della domanda indiana ecinese, a fronte di un graduale esaurimento delle estra-zioni.

Il prezzo delle terre rare, definite i “metalli dell’high-teche delle tecnologie verdi”, sta diventando più elevato diquello dei metalli preziosi. Si tratta di 17 elementi inso-stituibili per tutte le moderne tecnologie di avanguardia,cruciali per lo sviluppo economico e sociale, indispensa-bili in innumerevoli applicazioni civili, belliche e ambien-tali.

Cina e materie prime minerarie

Proprio il lungo periodo della straordinaria crescita cine-se ha fatto esplodere la richiesta di numerose materieprime. In Cina il consumo procapite di energia è cre-sciuto del 50%, e questa crescita è responsabile di metàdella crescita globale della domanda.

Nello scontro per l’egemonia con gli Stati Uniti la Cina,dopo essersi affermata come principale finanziatrice deldebito statunitense, vuole affermare il suo primato nelleproduzioni ad alto valore aggiunto. “Le terre rare saran-no il nostro petrolio”, aveva affermato Deng Xiaoping;e la Cina, contingentandone progressivamente l’esporta-zione con l’obiettivo di arrivare a vietarla dal 2015, men-tre la domanda mondiale sta crescendo dell’8% annuo,ha proposto alle multinazionali che usano questi minera-li di andare a produrre in Cina costituendovi impresemiste e rendendo ovviamente disponibili i loro brevettiin fatto di tecnologie d’avanguardia. Ove ciò avvenisse,le attuali economie capitalistiche sviluppate diverrebberounicamente grandi catene distributive, subordinate allescelte di politica economica dei paesi produttori a bassicosti di produzione. D’altra parte già oggi nessuna gran-de multinazionale può fabbricare i propri prodotti d’a-vanguardia senza rifornirsi in Cina (fra le moltissime cistanno Apple, BASF, Canon, General Dynamics,GeneraI Electric, Hewlett Packard, Lockheed Martin,Nokia, Northrop Grumman, Philips, Siemens, Sony,Toyota). Gli approvvigionamenti alternativi (per esem-pio in Australia), a loro volta, di più difficile estrazione,non saranno disponibili prima di molti anni e in quanti-tà molto scarse, riguardando giacimenti che presentanoun tenore dei minerali assolutamente inferiore.

Ciò ha gettato nel panico l’industria hi-tech mondiale,scatenato gli appetiti degli speculatori, fatto quindi cre-scere, secondo il Financial Times, una nuova pericolosabolla speculativa nei mercati finanziari.

Page 21: Dossier di Progetto Lavoro LA CRISI Dossier/1 - dicembre 2011 … · 2019-12-06 · volatilità dei mercati finanziari, che cercano continua-mente occasioni di guadagno, spostano

dossier crisi

21

Oltre alle terre rare la scarsità riguarda materie prime dicui sempre la Cina detiene una larga parte delle risorsemondiali. Negli anni scorsi essa aveva limitato, con dazie contingentamenti, anche l’esportazione di fosforo e dicoke metallurgico, di cui è il principale produttore mon-diale (è anche il terzo produttore di litio e il quarto dipotassio). Essa inoltre partecipa, con la sua enorme dis-ponibilità di riserve valutarie, alla campagna mondialeper il controllo delle risorse minerarie (oltre che energe-tiche ed agricole) del pianeta nel loro complesso.

Nello scontro che concretamente oppone la Cina al cen-tro capitalistico, concentrato soprattutto sul Pacifico,l’Unione Europea è irrilevante, sembrando rassegnata aun ruolo subalterno rispetto alle altrui iniziative. Maanche quest’atteggiamento rischia di innescare un perio-do di instabilità economica a opera della speculazione.

La situazione delle risorse energetiche

E’ probabile, proprio a causa dello squilibrio fra doman-da e offerta, che, al di là delle tensioni speculative deri-vanti dai problemi di stabilità dei paesi produttori, visarà un forte rincaro dei prezzi degli idrocarburi: la cuidomanda è in forte aumento soprattutto perché in Cinail consumo pro-capite di energia è cresciuto del 50% (lacrescita del consumo cinese è responsabile di metà dellacrescita della domanda globale di idrocarburi). Nonsolo: secondo le stime la domanda globale dovrebberaddoppiare in dieci anni, e questo a fronte di una ridu-zione tendenziale dell’offerta. Inoltre per la prima voltanella storia non esiste un modello già pronto di trans-izione energetica.

Parimenti la fruizione eccessiva dei combustibili fossiligià da tempo determina rilevanti cambiamenti climatici(si cerca di contenere questi cambiamenti attraverso il“sequestro” dell’anidride carbonica, stoccandola in sitigeologicamente sicuri: quanto effettivamente sicuri, nellungo periodo?). Il riscaldamento climatico sta ancheliberando nell’atmosfera volumi enormi di metano, pri-gioniero di ghiacci e territori il cui suolo è gelato: e ilmetano dispone di un effetto serra di oltre venti voltepiù efficace di quello dell’anidride carbonica. La fissionenucleare, a sua volta, starebbe secondo i suoi sostenito-ri risolvendo il problema della sicurezza degli impianti,con le sue nuove centrali a sicurezza “intrinseca”. Ma aparte il fatto che molti ricercatori dubitano dell’effettivi-tà di questa sicurezza, il disastro delle centrali giappone-si ci dice che nessun impianto è in grado di resistere aifenomeni estremi della natura; inoltre le centrali produ-cono scorie radioattive della durata di centinaia dimigliaia di anni, ciò che propone il problema dell’effet-tiva sicurezza del loro stoccaggio; ancora, neanche ladisponibilità di materiale fissile è eterna. Le energiealternative, secondo la maggior parte degli esperti,potranno coprire solo una parte della domanda, tantopiù che nel 2050 potrebbe essere doppia rispetto all’at-tuale. Ancora, parte dei biocarburanti contribuisce allacrisi alimentare, l’idrogeno non è una fonte energeticama solo un vettore energetico, garantisce certo aria puli-ta alle città ma aumenta l’inquinamento alla fonte di pro-duzione; e la fusione nucleare pulita, che risolverebbe ilproblema, resta molto lontana, anzi non è detto cherisulterà realizzabile.

Il problema può essere affrontato solo con una pluralitàdi strumenti e, soprattutto, attraverso la riduzione del-l’impatto energetico di produzione e consumi. Gli statu-nitensi Mark Jacobson e Mark Delucchi, dell’Universitàdi Stanford, hanno elaborato un progetto di riconversio-ne integrale alle energie rinnovabili entro il 2030, elimi-nando quindi i combustibili fossili, con il ricorso a 3,8milioni di grandi turbine eoliche, 90 mila impianti solarie una certa quantità di installazioni geotermiche, mareo-motrici e fotovoltaiche, con un costo di generazione etrasmissione dell’elettricità inferiore al costo dei combu-stibili fossili e nucleare. Ma ci sono di mezzo fortissimiostacoli politici, inoltre vale ancora la scarsità di alcunimateriali indispensabili (terre rare). I recenti annunci diun nuovo metodo di produzione di idrogeno a bassoimpatto ambientale e quello, proveniente dalla Cina, diun processo di rifertilizzazione del materiale fissile esau-rito delle centrali nucleari, che ne moltiplicherebbe percentinaia di anni la durata produttiva, riducendo nel con-tempo il problema delle scorie e della disponibilità dicombustibile (ma certo non quello della sicurezza degliimpianti) costituirebbero novità molto importanti nelsenso di prendere tempo per la ricerca e l’applicazioneoperativa in sede di fonti alternative rinnovabili e a bassoimpatto ambientale: ma occorrerebbe intanto verificarnela veridicità.

La situazione delle risorse alimentari

I tre più importanti cereali della storia, grano, riso e mais,hanno costituito la base fondamentale dell’alimentazio-ne, rispettivamente in Europa, Asia e America, e conti-nuano a esserlo oggi. Il loro prezzo è aumentato media-mente del 70% in un anno e aumenterà ancor più nelprossimo futuro, minacciando le condizioni di vita e lavita stessa di centinaia di milioni di persone.

La produzione cerealicola del 2010 è stata compromessadal forte deterioramento delle condizioni climatiche,connesse alla presenza di un fenomeno meteorologico,la Niña, che provoca catastrofi climatiche e situazioniestreme, come siccità, caldo torrido, incendi, gelate, ura-gani, alluvioni, inondazioni, che hanno colpito impor-tanti regioni produttrici ed esportatrici, con effetti dis-astrosi per i raccolti agricoli. Sono stati pesantementecolpiti Stati Uniti, Sudamerica, Russia, Ucraina, Asia cen-trale, India, Pakistan, Afghanistan, Sudest asiatico,Australia ma anche Europa centro-orientale,Scandinavia, Francia. Nessuno è in grado di dire quantoquesta crescente violenza meteorologica e climaticaabbia dipeso da fenomeni ricorrenti e quanto da cam-biamenti climatici stabili.Questi ultimi in ogni caso sono ormai una palese realtà.Inoltre il calo di 41 miliardi di tonnellate nella produzio-ne di grano e di quasi un terzo di quella di soia ha spo-stato la domanda su altri alimenti base come il riso e l’or-zo, ampliando il rincaro del complesso degli alimenti eriducendone le riserve mondiali. Si aggiungano a ciòmalattie come la “peste delle banane” di tipo Cavendish(sono il 90% della produzione mondiale), le cui piantesono state colpite mortalmente da un fungo a cui non èstato finora trovato rimedio.

Oltre a risultare dai disastri climatici la crisi alimentarerisulta da dati strutturali duraturi, legati essi pure alla cre-

Page 22: Dossier di Progetto Lavoro LA CRISI Dossier/1 - dicembre 2011 … · 2019-12-06 · volatilità dei mercati finanziari, che cercano continua-mente occasioni di guadagno, spostano

dossier crisi

22

scente divaricazione fra domanda e offerta. L’aumentodella domanda internazionale di prodotti alimentari haun duplice fattore: la crescita demografica mondiale dicirca 70 milioni di persone l’anno, più della popolazioneitaliana, e la crescita dei redditi dei paesi emergenti,soprattutto asiatici, e in particolare di quelli, come Cinae India, caratterizzati da enormi popolazioni (messeassieme fanno oltre due miliardi e mezzo di individui),ciò che vi determina un cambiamento degli stili alimen-tari tradizionali, passati da riso e verdura a carne e pane.Dato che per ottenere 100 calorie di carne ne occorro-no 700 di mangimi, ciò ha comportato un aumentoenorme del consumo di soia e di granaglie per mangimi,in particolare del mais. La Cina importa il 75% del tota-le di semi di soia, un milione di tonnellate alla settimana,e un grande quantitativo di mais, ma è l’India l’importa-tore alimentare globale. Indonesia e Bangladesh stannoimportando grandi quantità di riso. L’incremento delladomanda spinge verso una maggiore produttività perettaro e questo a sua volta rincara i fertilizzanti. Inoltrel’aumento del prezzo di soia e cereali porta all’aumentodei costi dell’allevamento e quindi di carne, uova, latte eloro derivati (al tempo stesso, secondo la FAO, il 25%del cibo prodotto nel mondo, per un valore di 458miliardi di dollari l’anno, viene sprecato).

L’offerta alimentare tende inoltre non solo a non cre-scere adeguatamente ma per molte sue voci a calare. Lecause sono molte. I mutamenti climatici hanno ridottola produzione. Risulta sempre più difficile aumentare laproduzione alimentare perché paesi come India, Cina eStati Uniti, i maggiori produttori di grano, l’hanno for-zata supersfruttando le falde idriche sotterranee e que-ste sono giunte al limite delle loro capacità o stannoesaurendosi. Inoltre le aree coltivate sono state ridotte:la politica agricola dell’Unione Europea ha finanziato lariduzione delle superfici coltivate e contingentato la pro-duzione di carne e di latticini e l’espansione planetariadelle aree urbane, delle attività industriali e delle infra-strutture viarie e ferroviarie ha sottratto terreno.Ancora, l’estensione crescente delle coltivazioni destina-te alla produzione di biocarburanti (etanolo), sussidiatadal governo statunitense e da quello brasiliano, sottraespazio essa pure alla produzione alimentare. Un terzodella produzione di mais negli Stati Uniti è destinata allaproduzione di mais per biocarburanti, anche se, a diffe-renza della canna da zucchero in Brasile, l’efficienzaenergetica del mais è negativa (l’energia ottenuta è assaiinferiore a quella impiegata per la coltivazione).

Infine il rincaro del petrolio si trasmette immediatamen-te ai prezzi agricoli, poiché la filiera agricola è moltoenergivora. Tuttavia l’aumento dei prezzi agricoli èeccessivo, dipendendo soprattutto dalla speculazione,che punta sull’“agbull market”, ovvero sul “toro” dell’a-gricoltura. “Siamo nel pieno di un turbomercato del“toro agricolo” basato sulla domanda dei mercati emer-genti, che sta creando una potenziale carenza di cibo alivello mondiale”, ha dichiarato Jim Cramer, discussofondatore di un hedge fund.

L’agflazione

L’“agflazione”, termine coniato dagli analisti di MerrylLinch per descrivere la forte crescita dei prezzi dei gene-

ri alimentari (su cui questa banca d’affari specula allagrande) è un fenomeno globale in forte accelerazione eche negli ultimi anni che ha raggiunto livelli vertiginosi.

La FAO ha creato nel 1990 il Food Price Index, cioè unindice che rileva l’andamento dei prezzi di 55 prodottialimentari di largo consumo (tra i quali grano, mais, riso,semi oleosi, latticini, zucchero, carne). Quest’indice haraggiunto nel giugno 2008 il picco di 213,5 punti (rispet-to ai 100 iniziali), che inoltre risulta ampiamente supera-to a gennaio 2011, raggiungendo quota 236, la crescitamaggiore mai registrata dal suo varo. Secondo la FAO“nel giro di un anno i prezzi delle materie prime alimen-tari sono, in media, più che raddoppiati e sarebbe follepensare che questo sia il picco” conclusivo: quindi dob-biamo attenderci ulteriori consistenti aumenti, anche pereffetto di un nuovo rialzo del prezzo del petrolio. NegliStati Uniti il prezzo del grano è cresciuto del 60% in unanno. Secondo Federalimentari i prezzi delle materieprime alimentari hanno registrato in Italia una crescitadel 44,4% in un anno, ed essa è destinata a continuare,prevedendosi un aumento dei derivati del grano (pane,pasta) del 30% nel corso di quest’anno. Secondo LesterBrown, direttore del Earth Policy Institute diWashington, i prezzi continueranno a salire, ma se ci saràun cattivo raccolto anche nel 2011, l’aumento avverrà intermini tali da configurare un disastro, poiché ci sarà l’e-saurimento delle scorte strategiche, usate per far frontealle crisi. “Solo un cattivo raccolto”, ha detto, “separa ilmondo dal caos”.

Il mercato alimentare è sempre più mondializzato.Secondo la FAO il bilancio mondiale delle importazionialimentari toccherà un nuovo record nel 2011, dopo aversuperato quei 1.000 miliardi di dollari nel 2010 che giàhanno rappresentato una crescita del 15% rispetto al2009. L’esportazione è concentrata in pochi paesi: StatiUniti (70% del granturco e 30% della soia), Brasile (60%dello zucchero). Alcuni paesi invece, come Russia eUcraina, hanno vietato o contingentato l’esportazione dicereali.

Quella attuale è la terza grande crisi alimentare in pochidecenni e la seconda nell’arco di un triennio, e potrà soloaggravarsi, dato il concomitante aumento del prezzo delpetrolio. Nel 1973-74 la crisi del riso causò la morte dioltre un milione di persone solo in Sri Lanka eBangladesh, mentre nel 1977-78 l’aumento del prezzodel petrolio ha provocato carestie e rivolte del pane inuna cinquantina di paesi della periferia capitalistica.Quella attuale è la causa scatenante della rivolta di popo-lo in Nordafrica e Medio Oriente.

A fare le spese di tutto questo sono ovviamente le popo-lazioni o le loro quote più povere, specie nella periferia,dove i prezzi sono ormai troppo alti per una notevoleparte delle popolazioni. Il numero degli affamati supere-rà nel mondo il miliardo, secondo molti studi, si molti-plicheranno carestie e “rivolte del pane”, raddoppierà ilnumero di quanti (oggi un miliardo) vivono con meno diun dollaro al giorno e devono spendere l’80% del lororeddito per l’alimentazione. Gli obiettivi, già problemati-ci, fissati dall’ONU contro la povertà e la fame diverran-no assolutamente irrealizzabili, si avrà piuttosto il con-trario. I paesi più a rischio sono gli 82 paesi poveri

Page 23: Dossier di Progetto Lavoro LA CRISI Dossier/1 - dicembre 2011 … · 2019-12-06 · volatilità dei mercati finanziari, che cercano continua-mente occasioni di guadagno, spostano

dossier crisi

23

importatori netti di alimentari e particolarmente i 22paesi che sono nel contempo importatori energetici,innanzitutto Haiti e il Bangladesh, che avranno gravissi-me difficoltà di approvvigionamento.

L’agflazione comporterà anche un profondo mutamen-to delle abitudini alimentari. “Nel futuro ci sarà menopasta, pane, carne, uova, latte, formaggio; proteine e car-boidrati dovremo cercarli in patate, fagioli, lenticchie,ma ci costeranno più di oggi” (Maurizio Ricci, laRepubblica, 4 febbraio 2010). Non sempre questo faràbene alla salute.

Il neocolonialismo alimentare

I paesi che dispongono di ingenti riserve valutarie, con-centrate nei loro fondi sovrani, come i paesi petroliferidel Golfo e la Cina, sono entrati in quello che JacquesDiouf, Direttore Generale della FAO, ha definito il“neo-colonialismo agricolo” e il giornalista economicoFederico Fubini “la terza fase della globalizzazione”,con l’acquisto di terre all’estero che, in pochi anni, puòportare a coprire circa un quinto della produzione mon-diale delle principali derrate alimentari.

Il paese più attivo in questa sede è l’Arabia Saudita, cheha investito a tal fine miliardi di dollari in Etiopia,Indonesia, Pakistan e Filippine. Il Kuwait ha acquistatointere province agricole della Cambogia e allevamentiestensivi di pollame nello Yemen. A sua volta la Cina haacquistato vasti territori agricoli in Camerun, Congo-Brazzaville, Tanzania, Uganda, Zimbabwe per i cereali,in Mozambico per il riso, inoltre in Filippine, Laos,Kazakhstan, Nigeria e molti altri paesi, suscitando ancherivolte fra i contadini locali. “Paesi in preda alla malnu-trizione, come il Sudan e l’Etiopia, sono diventati gran-di esportatori di derrate di cui hanno perso il controllo.Le nuove potenze coloniali vogliono assicurarsi l’ap-provvigionamento diretto di cibo senza dover passaredai mercati globali”, quindi esserne rapinate (RobertoBongiorno, Il Sole 24 ore, 27 gennaio 2011).

Quali rimedi?

L’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari potrà esse-re contrastato stabilmente solo operando su più piani.Innanzitutto occorre praticare un aumento della produ-zione agricola attraverso una maggiore estensione dellecolture a scopo alimentare. La Commissione Europeaha finalmente deciso di non far valere quest’anno l’ob-bligo di tenere a riposo il 10% delle terre coltivabili (250mila ettari in Italia). Occorre limitare la produzione dibiocarburanti, limitandola alle sole terre marginali, ina-datte alla produzione agricola, ed eliminando gli attualiincentivi negli altri casi. Occorre procedere subito, senzaaspettare la scadenza del 2015, alla riforma della politicaagricola dell’Unione Europea, le cui quote produttivesono servite a tenere alti i prezzi e quindi i redditi del-l’impresa agraria di tipo capitalistico, riducendo l’offertapotenziale, cosa sempre più assurda in presenza di unacarenza di offerta e di prezzi internazionali crescenti.Occorre poi ridurre la lunghezza della filiera alimentare,favorendo la distribuzione diretta e sostenendo econo-micamente i consumatori più indigenti. E’ poi necessa-rio costituire riserve mondiali alimentari di dimensioni

adeguate a garantire una copertura sufficiente in caso dicarenze prolungate e carestie.

E’ anche indispensabile limitare la speculazione dei pro-dotti derivati “nudi”, privi di un sottostante reale, checontribuiscono a moltiplicare la dinamica ascendente deiprezzi: ma se ciò oggi è possibile negli Stati Uniti, graziea una recente riforma finanziaria, a Londra non esistonoleggi analoghe e il governo britannico si è dichiaratocontrario a porre limiti sulla negoziazione di questi deri-vati, inoltre l’Unione Europea non ha tuttora assuntoalcuna decisione in merito.

Guardando al medio-lungo periodo, va posto anche ilproblema, soprattutto nel centro capitalistico, di unabuona educazione alimentare, orientata a un modo dicibarsi più sano e nel contempo più sostenibile dal puntodi vista ambientale, e questo anche allo scopo di contri-buire a prevenire carestie e tragedie a danno dei miliardidi poveri del mondo.

***

Massimo Florio

PRIVATIZZAZIONI ERGO SCAMBIO TRARENDITE POLITICHE E RENDITE

FINANZIARIE

Ho iniziato a occuparmi di privatizzazioni venti anni fa, nelpaese dove sono state inventate, la Gran Bretagna di MargaretThatcher e John Mayor. Stavo trascorrendo un triennio di studioalla London School of Economics, per una ricerca sull’analisicosti-benefici degli investimenti pubblici, proprio mentre l’interven-to pubblico veniva visibilmente smantellato dai governi conservato-ri. Nel giro di pochi anni passavano ai privati, generalmente attra-verso collocamento in borsa, elettricità, acqua, gas, telecomunica-zioni, ferrovie, autobus, porti, aeroporti, linee aeree, miniere, emolto altro.

Ho raccolto in un libro (Privatizzazioni e interesse. Ilcaso britannico) i risultati della mia analisi critica di quel-la esperienza. Ho cercato di dimostrare che (a) i cittadi-ni in genere hanno guadagnato poco o nulla dalle priva-tizzazioni, (b) le fasce di utenti più povere hanno pagatoprezzi più alti, (c) i contribuenti ci hanno rimesso perchélo stato ha venduto a prezzi troppo bassi e in vari casi haperso entrate, (d) la produttività delle imprese non èaumentata significativamente, (e) i maggiori beneficiarisono stati gli azionisti, gli intermediari finanziari, i con-sulenti (in una parola la City). Mi sono anche occupatodi privatizzazioni in Italia, in dieci edizioni del Rapportosulla Finanza Pubblica e in altri interventi (tra i quali Lasinistra e il fascino concreto delle privatizzazioni). Lamia lettura del caso italiano è che le cose qui sono anda-te anche peggio che in Gran Bretagna. Sia i governi dicentro-sinistra che quelli di centro-destra hanno cercatodi fare cassa vendendo soprattutto banche, telecomuni-cazioni, autostrade, aziende del settore dell’energia,anche altro, ma con effetti del tutto irrilevanti o modestisul piano dell’efficienza e del benessere degli utenti, einvece distribuendo rendite ad ambienti capitalistici piùo meno parassitari. Mi sono convinto, soprattutto stu-diando il caso Telecom Italia (ne I ritorni paralleli diTelecom Italia), che la vera origine delle privatizzazioni

Page 24: Dossier di Progetto Lavoro LA CRISI Dossier/1 - dicembre 2011 … · 2019-12-06 · volatilità dei mercati finanziari, che cercano continua-mente occasioni di guadagno, spostano

dossier crisi

24

non sia il liberismo, anche se ovviamente i miti dellalibera concorrenza hanno avuto un peso nella retorica,ma uno scambio fra rendite politiche e finanziarie. Latesi che ho sostenuto (ne Le privatizzazioni come mitoriformista) è che in particolare la sinistra, oltre piùovviamente la destra, abbia cercato di accreditarsi pres-so i gestori della finanza offrendo loro in pasto delleattività perfette per montarvi operazioni speculative,garantite dalla dinamica nel tempo dei flussi di cassa. Ilcaso delle autostrade è in questo senso emblematico. Ilrischio imprenditoriale è nullo, la rendita garantita, gliinvestimenti attuati minimi e neppure rispettati, le tarif-fe aumentano con e più dell’inflazione, il contribuentecontinua a farsi carico della spesa per la rete in areemeno ricche e più a rischio (vedi autostrada Salerno-Reggio Calabria e grande viabilità interregionale), men-tre un ambiente imprenditoriale come quello deiBenetton e altri sono diventati dei concessionari, contutto quello che questo implica di rapporti con la politi-ca. In tutti i settori privatizzati le spese di ricerca e svi-luppo sono diminuite, indebolendo il potenziale tecno-logico.

Un buon esempio di dove si possa arrivare nello scam-bio di rendite politiche e finanziarie si ha in Russia, di cuipure mi sono occupato in occasione della crisi finanzia-ria del 1997 (ne Economists, Privatization in Russia, andthe Warning of the ‘Washington Consensus’”). Piùrecentemente mi sono occupato della dimensione euro-pea delle liberalizzazioni e privatizzazioni (neL’esperienza delle privatizzazioni), in particolare di elet-tricità, gas, telefonia, giungendo a queste conclusioni peri quindici stati dell’Unione Europea prima dell’allarga-mento nel 2004: (a) soprattutto per l’elettricità le priva-tizzazioni hanno comportato aumenti dei prezzi per iconsumatori; (b) la separazione delle reti dalla gestione(vedi Terna, Snam Rete Gas, ecc.) è spesso costosa esenza chiari vantaggi per la concorrenza; (c) l’introdu-zione della concorrenza peraltro ha mitigato ma nonrovesciato in benefici mezzi questi effetti avversi; (d)indagini ufficiali dell’UE, come quelle diEurobarometro, mostrano che i consumatori si dichia-rano più soddisfatti nei paesi che hanno adottato menole privatizzazioni; (e) dove c’è stata più privatizzazione èaumentato il numero di famiglie in difficoltà nel pagarele bollette.

Verso dove andiamo? Sono convinto, anche osservandol’esperienza degli Stati Uniti, che l’appetito illimitato delcapitalismo finanziario, quindi il suo immettere nelgioco sempre nuove scommesse, condurrà alla privatiz-zazione dello stesso stato sociale, cioè sanità, istruzione,previdenza e persino assistenza; e forse anche di alcunefunzioni classiche dello stato come difesa, ordine pub-blico e giustizia. In altre parole lo scenario è quello dello“stato minimo”.

Le ragioni di questa tendenza, di nuovo, non hannomolto a che vedere con efficienza e competizione. Nonesiste alcuna evidenza empirica che possa sostenere chein generale la gestione privata di ospedali, consultori,asili nido, scuole, università, pensioni, ecc. consentaabbattimenti di costi. Dove li si osserva sono dovuti, ingenerale, a riduzioni reali di stipendio dei dipendenti o acondizioni di lavoro peggiori, spesso con abbassamento

conseguente della qualità delle prestazioni, oppure alricorso a personale immigrato.

Ovviamente, nel settore pubblico, ad esempio nelle uni-versità, si annidano aree anche ampie di parassitismosociale: ma sarebbe molto meno costoso, e quindi piùproduttivo, motivare i dirigenti e sensibilizzare gli utentidei servizi pubblici, eliminando così questa patologiaattraverso un maggiore controllo democratico e un man-agement di qualità. Viceversa, quello che ci attende è unatendenza a creare una “industria” della sanità, dell’edu-cazione, della pensione complementare. Negli USA que-sti settori sono ben presenti in borsa o in altri circuitifinanziari, spremono alte rendite dagli utenti grazie alfatto che comunque, nonostante le apparenze, operanoin mercati non competitivi, e soprattutto costituisconoformidabili lobby in grado di impedire, ad esempio, adObama di riformare efficacemente la disastrosa sanitàstatunitense.

Una volta che si creano gruppi che controllano i flussi dicassa derivanti dal controllo dell’energia, dell’acqua, dellasanità, della previdenza, ecc., la stessa democrazia comela abbiamo conosciuta in Europa nella seconda metà del900 è a rischio. La capacità dei gruppi finanziari che con-trollano gli ex servizi pubblici di influire sui governi esulle stesse opposizioni parlamentari diviene così formi-dabile che, di fatto, diventa impossibile tornare allagestione pubblica. Semplicemente diventa più facilecomprare i governi, i parlamentari, i giornalisti, gli eco-nomisti, e il dissenso viene emarginato.

Il vero rischio delle privatizzazioni perciò non è la relati-vamente piccola perdita di benessere sociale (ma nontrascurabile per i gruppi in fondo alla scala sociale), casoper caso, industria per industria, ma il rischio politico-economico per il sistema nel suo insieme. Questo aspet-to è stato colto nell'ultimo scritto di Tony Judt, uno sto-rico della New York University, recentemente scompar-so. “Come nel diciottesimo secolo”, egli scrive, “cosìoggi: svuotando lo stato delle sue responsabilità e risor-se, ne abbiamo ridimensionato la centralità nella vitapubblica. Ne risultano ‘comunità fortezza’, intese nellevarie accezioni dei termini: settori della società che con-siderano se stessi fondamentalmente indipendenti daifunzionari pubblici e dal resto della società. Se ci si abi-tua a trattare unicamente o principalmente con agenzieprivate, nel tempo la relazione con il settore pubblicoperde di cogenza e significato. Non importa che il priva-to faccia le stesse cose, meglio o peggio, a un costo mag-giore o minore. In ogni caso, si finisce per perdere ilsenso di fedeltà alle istituzioni e di comunanza con glialtri cittadini”.

E’ un processo ben descritto da Margaret Thatcher inpersona. “La società non esiste affatto”, ella scrive: “esi-stono solo individui, uomini e donne, e famiglie”. Se nonesiste la società, ma solo gli individui e uno stato che agi-sce da “guardiano notturno” (supervisionando da lonta-no attività alle quali non prende parte) che cosa ci tiene,e ci terrà, insieme? Abbiamo già accettato la formazionedi polizie private, di servizi di posta privati, di agenzieprivate fornitrici dello stato in tempo di guerra e moltoaltro ancora. Abbiamo “privatizzato” esattamente quelleresponsabilità che lo stato moderno aveva laboriosa-

Page 25: Dossier di Progetto Lavoro LA CRISI Dossier/1 - dicembre 2011 … · 2019-12-06 · volatilità dei mercati finanziari, che cercano continua-mente occasioni di guadagno, spostano

dossier crisi

25

mente riunito sotto la propria cura nel corso del dician-novesimo e del ventesimo secolo, afferma sempre Judt.

La mia lettura di ciò che sta accadendo è quella di unrischio per la coesione sociale e per la qualità dellademocrazia. E’ questo l’effetto generale della distruzio-ne del faticoso compromesso raggiunto in Europa dopola catastrofe della seconda guerra mondiale fra la ten-denza instabile e potenzialmente sempre autodistruttivadel capitalismo e un modo di produzione statale, che,con tutti i suoi limiti, sottrae una parte della società allefebbri speculative. In questo senso, il compromesso“socialdemocratico” europeo, il “modello sociale euro-peo” e la stessa costruzione dell’UE, nonostante ovvia-mente non siano un’alternativa al capitalismo, sono l’u-nica eccezione rimasta in campo al dilagare della finan-za globale. Ed è un’eccezione oramai vicina ad esseretravolta, anche per la fondamentale incomprensione dibuona parte della sinistra europea dei processi in atto(quando non si tratta piuttosto di corruzione più omeno mascherata dei partiti e dei sindacati “riformisti”).

Dunque la mia lettura della recente crisi globale (inAntologia della crisi gllobale) pone la questione dellamodifica strutturale dei rapporti di forza fra lavoro ecapitale al centro della spiegazione di ciò che sta acca-dendo, e che trova nelle liberalizzazioni e privatizzazio-ni un elemento costitutivo. Solo una soggettività politi-ca molto determinata potrebbe a questo punto invertireil processo.

***

Stefano Squarcina

IL MONETARISMO DEI VERTICI UE STAFALLENDO, APRENDO POSSIBILITÀ

DISASTROSE

Quattro giorni, non uno di più. Tanto è durato il periodo di gra-zia ed euforia determinato dalle decisioni prese dal ConsiglioEuropeo e dal vertice dell’eurozona del 26 ottobre scorso sulla crisifinanziaria: i risultati dei due summit erano stati presentati comedefinitivi, in grado di salvare l’euro una volta per tutte. Nelle con-ferenze stampa notturne, convocate alle cinque del mattino del 27ottobre, Nicolas Sarkozy e Angela Merkel avevano annunciatoche tutti i problemi dell’euro erano stati risolti, che un difficileaccordo era stato trovato per proteggerlo e che non c’era ragione perpreoccuparsene ulteriormente. Invece è bastato l’annuncio – il 31ottobre – della possibile organizzazione in Grecia di un referen-dum sulle nuove misure antipopolari di accompagnamento allaristrutturazione del suo debito per scatenare un cataclisma politi-co dal quale non siamo ancora usciti. A questo cataclisma ha inol-tro contributo, in termini decisivi, l’attacco speculativo ai titoli distato dell’Italia.

E’ venuto al pettine il nodo di una tragica buffonata

Le reazioni isteriche dei vertici europei e della loro toldaattuale di comando, i governi di Germania e Francia, alleparole di Papandreu sul referendum hanno messo inluce un apparato centrale dell’Unione Europea che temeil giudizio dei popoli, che ha fatto di tutto per impedireil libero esercizio della sovranità popolare, che concepi-

sce la nuova governance economico-finanziaria comeoperazione autoritaria e come dogma indiscutibile e nonnegoziabile. Con il rischio che l’UE venga letteralmentesepolta dal peso dell’irresponsabilità sociale e dall’insen-satezza di questi vertici, incapaci di correggere il fatto, daessi voluto, che le popolazioni stanno continuando a sve-narsi inutilmente per sostenere una finanza bancariamessa in ginocchio dalle sue stessa attività speculative,essendone il salvataggio senza contropartite il nuovototem liberista da adorare. Le banche europee in tre annihanno incassato 4.600 miliardi di euro di fondi pubblici,mentre non un euro è stato speso in piani europei dirilancio della crescita e dell’occupazione, né da parteloro, né da parte dei governi, né da parte dell’UE.

I vertici del 26 ottobre erano state convocate in un climadi accorta drammatizzazione mediatica: erano “il verticedell’ultima chance”, dell’Europa che “si gioca tutto”, delfatto che “senza accordo il diluvio è assicurato”. Ciò ser-virà anche a creare le condizioni per presentare i delu-denti risultati di questi vertici come la realizzazione di unaccordo insperato, come un momento di lucidità e diestremo senso di responsabilità dei leader europei, e perincensare Merkel e Sarkozy, in calo drammatico di con-senso a casa loro, quali novelli salvatori della patria. Inrealtà c’è ben poco di concreto nelle conclusioni delConsiglio Europeo e del vertice dell’Eurozona, essendo-si limitati a fissare linee di sostegno alla Grecia e agli altripaesi in difficoltà di bilancio tanto generiche e inconsi-stenti da consentire un più forte assalto speculativo aithink tank a capo di banche d’affari e grandi fondi diinvestimento. Il resto l’ha fatto l’annuncio a sorpresa diun referendum in Grecia, che ha smontato in cinqueminuti il castello di carta degli “aiuti” europei a questopaese stremato.

L’elemento di verità del 26 ottobre è il riconosci-mento di fatto del fallimento del monetarismo deivertici europei dinanzi alla crisi

Le linee-guida decise a fine ottobre sono state fonda-mentalmente tre, ma in realtà l’unico loro dato di veritàè di costituire – a modo loro – un momento di veritàrispetto alle tante panzane sin qui raccontate su Grecia,debito pubblico, necessità di tagliarlo e di “sacrifici” alloscopo di avviare una ripresa dell’economia, ecc.Innanzitutto c’è la presa d’atto che il sistema bancarioeuropeo ha i piedi d'argilla e che occorre riconsolidarnedavvero le fondamenta. Il 15 luglio erano stati pubblica-ti i risultati di uno stress test sulle banche europee che neaveva certificato una presunta buona salute: peccato cheil tumulto dei mercati finanziari abbia tra fine luglio eottobre mostrato come il re sia nudo in quanto gli stresstest non solo erano fasulli ma non dispongono di fon-damento scientifico. Al Consiglio Europeo del 26 otto-bre non è rimasto perciò che dire la verità, ovvero chebisogna procedere a una gigantesca ricapitalizzazionedelle banche europee. “Il consenso è ampio” – ha dettoil Consiglio – “sulla necessità di imporre alle banche uncoefficiente patrimoniale” (il cosiddetto Tier One)“decisamente più elevato, pari al 9% di capitale di eleva-tissima qualità”, considerando “la valutazione di merca-to delle esposizioni di debito sovrano” al 30 settembre2011, perciò “al fine di creare una riserva temporaneagiustificata dall’eccezionalità delle circostanze.

Page 26: Dossier di Progetto Lavoro LA CRISI Dossier/1 - dicembre 2011 … · 2019-12-06 · volatilità dei mercati finanziari, che cercano continua-mente occasioni di guadagno, spostano

dossier crisi

26

Quest’obiettivo di capitale dovrà essere raggiunto in ter-mini quantitativi entro il 30 giugno 2012”, stando ai“piani concordati con le autorità nazionali di vigilanza,coordinati dall’Associazione Bancaria Europea”. Aluglio avevano fissato la percentuale minima del TierOne al 5%, tre mesi dopo ne chiedono il sostanziale rad-doppio: meglio tardi che mai, verrebbe da dire, peccatoche nel frattempo siano stati bruciati in borsa centinaiadi miliardi di euro, spompato inutilmente economie ebilanci pubblici, incentivato la tendenza recessiva, bru-ciato decine di migliaia di posti di lavoro, ecc. Tuttavia inquel momento nessuno sapeva come raggiungere l’o-biettivo, l’unica cosa certa era che il Governo dellaGermania si opponeva a una nuova iniezione a perderedi capitali pubblici. Sicché questa è stata la linea impostada questo governo al Consiglio Europeo: “Le banchedovrebbero in prima istanza usare fonti di capitale pri-vato, anche ricorrendo alla ristrutturazione e alla con-versione del debito in strumenti di capitale; dovrebberoessere soggette a vincoli riguardo alla distribuzione didividendi e bonus, fino al raggiungimento dell’obietti-vo”. Ciò significa che le banche dovrebbero usare even-tuali profitti o dividendi per la loro ricapitalizzazioneinvece di ridistribuirli ad azionisti e top management:ma attenti, si tratta solo di un’ipotesi di lavoro. “In ulti-ma istanza, e se veramente necessario”, infatti, “i gover-ni nazionali dovrebbero fornire sostegno”. Per i paesidella zona euro, inoltre, “la ricapitalizzazione dovrebbeessere finanziata tramite prestiti del Fondo Europeo perla Stabilizzazione Finanziaria (FESF)”, sottoposti a unacondizionalità politica severa. Ma questo fondo, decisoda tempo, ancora non c’è. In altre parole il Consiglio del26 ottobre non è stato in grado di dire niente di preciso.

Il secondo imbroglio è quello sulla (futura, si badi)“potenza di fuoco” del FESF, studiato, in realtà, pervenire a soccorso dei paesi della zona euro in difficoltà.Stando alle dichiarazioni alla stampa (poiché nel comu-nicato finale non vengono richiamate cifre precise) ladotazione del FESF verrebbe portata da 440 a 1.000miliardi di euro. Però non c’è niente su come consegui-re tale obiettivo, l’unica cosa certa è che sono escluseoperazioni di aumento degli apporti di capitale da partedei singoli paesi della zona euro (ognuno di questi paesiversa ognuno una quota al FESF). Se nessuno puòaumentare la dotazione, come si fa a più che raddop-piarla? Mistero. E’ stata poi da più parti evocata la crea-zione di un fondo parallelo al FESF, gestito direttamen-te dal Fondo Monetario Internazionale (FMI), apertocosì alle contribuzioni di Brasile, Russia, India, Cina eSudafrica (i cosiddetti paesi BRICS), del Giappone, diquant’altri (paesi produttori di petrolio ecc.) vorrannomettere liquidità a disposizione dell’Europa per consoli-darne la stabilità finanziaria. Il Direttore Generale delFESF è stato spedito il giorno stesso a Pechino per dis-cutere di ciò. Naturalmente i paesi emergenti hannochiesto garanzie e contropartite che li portino a contaredi più nel FMI.

Il coinvolgimento della Cina negli affari monetaridell’UE ha scatenato le polemiche di molti, che hannoprospettato il timore che il futuro dell’Europa vengamesso in mani comuniste. Si tratta di una polemica ridi-cola. Innanzitutto i paesi emergenti hanno bisogno diun’Europa stabile e prospera nella quale esportare e

investire. L’intervento finanziario in Europa è dunqueun investimento sulla loro stessa stabilità macroecono-mica. Per quanto riguarda la Cina, poi, il contributo dicui si parla è dell’ordine di almeno 100 miliardi di euro:una goccia nell’oceano degli attuali flussi finanziari UE-Cina. Ancora, non si capisce perché la seconda econo-mia mondiale dovrebbe continuare ad investire le sueriserve solo sul dollaro o più in generale negli Stati Uniti.Si dimentica infine che la Cina ha già comperato miliar-di di euro di debito pubblico greco, italiano e spagnolo.Parimenti la Cina e, inoltre, il Brasile e l’India hannofatto sapere che non sono disponibili ad acquistarequote di debito solo per sollevare la situazione dei bilan-ci europei: sarebbero pronti invece – attraverso il FMI –a investire in operazioni di rilancio della crescita europea:cosa che andrebbe salutata piuttosto che ostacolata.Comunque sia, allo stato attuale la famosa potenza difuoco del FESF consiste in un rubinetto dal quale esceun filo d’acqua: tutti sanno che 1.000 miliardi di euronon saranno comunque sufficienti nel caso, ancora pro-babile, di tsunami finanziario in Europa. Per la cronaca,il Governo della Germania – sempre lui – si è oppostoall’idea di trasformare il FESF in una sorta di banca col-legata alla BCE, dalla quale attingere a fondi importanti.

La terza bugia politica del 26 ottobre è che la cancella-zione del 50% del valore nominale dei titoli del debitopubblico greco giacenti presso le banche e gli altri inve-stitori istituzionali europei non equivalga in nessunmodo a una dichiarazione di fallimento della Grecia,dato che essi hanno accettato “in modo volontario” dirinunciare tale 50%. Ma la discussione del 26 ottobre siè protratta fino a notte proprio perché erano stati con-vocati a Bruxelles i dirigenti dei principali istituti europeidi credito, cui veniva ordinato di sottoscrivere la rinun-cia. La loro firma “volontaria” era la conditio sine quanon per evitare la dichiarazione formale di fallimentodella Grecia, quindi avrebbero perso ben di più del 50%.E’ stata così salvata la faccia dell’UE. Allo stesso tempoi fautori della linea dura sulla Grecia sono stati riportatialla realtà. Il 26 ottobre 2011 è stato quindi deciso quel-lo che si sarebbe dovuto decidere già a fine 2009: diallentare la presa sulla Grecia. Ovviamente a Papandreuè stato imposto di annullare il referendum riguardante ilpacchetto delle misure di “austerità” e la Grecia è statacommissariata: funzionari di Commissione Europea,FMI e BCE sono stati distaccati in maniera permanentead Atene. E la liquidazione del patrimonio pubblico edello stato sociale di questo paese comunque andràavanti.

Con la sua politica verso la Grecia, animata da spirito dipunizione, micragneria da usuraio e incapacità di capirele cose ovvie dell’economia e della politica, AngelaMerkel porta la responsabilità maggiore del caos in cui sitrova oggi l’UE. C’è chi sostiene che nel 2009 laGermania abbia scientificamente voluto lasciar marcirela situazione, per imporre con più facilità una “gover-nance rafforzata” cioè ultraliberista all’UE. Solo che lasituazione oggi si trova fuori controllo, l’“austerità” staavendo pesanti effetti depressivi sulla crescita, il boome-rang della crisi si sta dirigendo verso Parigi e persinoverso Berlino, dopo aver devastato Atene, Dublino,Lisbona, Madrid, Roma, e anche la locomotiva produtti-va tedesca sta arrancando.

Page 27: Dossier di Progetto Lavoro LA CRISI Dossier/1 - dicembre 2011 … · 2019-12-06 · volatilità dei mercati finanziari, che cercano continua-mente occasioni di guadagno, spostano

dossier crisi

27

Tutto questo la dice lunga anche sul deficit di democra-zia che caratterizza sempre più l’impianto istituzionaledell’UE. In questa circostanza democrazia è stata deva-stata in primis, in realtà, dall’ex Premier GeorgiosPapandreu: la cui minaccia di indire il referendum mira-va in realtà a drammatizzare ulteriormente il quadrodella situazione greca, in modo da forzare la costituzio-ne di un governo di unità nazionale, e di spartire con ladestra greca le responsabilità sugli effetti in corso e futu-ri dei piani di austerità imposti da Bruxelles. Poi lademocrazia è stata manipolata dai vertici dell’UE, chehanno fatto di tutto per impedire che una popolazionepotesse esprimersi su misure che ne abbatteranno laqualità di vita.

Governance rafforzata ed esiti politici della crisi inGrecia, Italia, e ormai anche in Francia

I recenti eventi politici europei, cioè la costituzione delgoverno di Lucas Papademos in Grecia e di MarioMonti in Italia, sono il prodotto anche della “governan-ce rafforzata” nella zona euro, cioè delle indicazioni det-tagliate e imperative della BCE e dell’applicazione – dalgennaio 2011 – dell’autorizzazione da parte delConsiglio alla Commissione Europea a monitorare lepolitiche di bilancio dei singoli paesi membri nonché aesercitare poteri di controllo e di indirizzo generale dipolitica economica, finanziaria e di bilancio. L'Italia e laGrecia, dopo la piazza pulita di leader già fatta inIrlanda, Portogallo e Spagna, sono diventate il luogodella sperimentazione politica di nuove forme di potereesecutivo europeo i cui contenuti sono elaborate essen-zialmente da Consiglio e Commissione.

Da questo punto di vista sarebbe opportuno aprire inEuropa un dibattito politico sul futuro dell’UE, perchélungo questa strada in realtà si sta andando verso la dis-gregazione economico e sociale e, di conseguenza, versoquella politica. Quel poco di consenso che, dopo quasivent’anni di “austerità” ergo di politiche antisociali,rimaneva nei popoli nei riguardi del progetto di integra-zione politica continentale sta ormai scomparendo.Sicché, a cosa serve ormai l’UE? A delocalizzare in giroper il mondo parte della sua struttura industriale oppu-re a proporre in alternativa ai nostri lavoratori i salari e idiritti sociali e sindacali dei filippini o degli indiani? Se aquesto si aggiunge 1) che il metodo comunitario per ilmomento è in coma profondo, vittima di un rozzo ebrutale merkozismo; 2) che la Commissione Europea,guardiana dei Trattati, è oggi subalterna al Consiglio, nelquale spadroneggiano i governi di Germania e Francia;3) che il Parlamento Europeo, sede della rappresentanzapopolare, non ha più voce in capitolo sui grandi orien-tamenti di politica economica e finanziaria; 4) che ledemocrazie nazionali sono ricattate dai mercati e dalleagenzie di rating, senza che l’UE si disponga a realizza-re una propria agenzia pubblica impongono governi aloro piacimento, si capisce allora che non si può esclu-dere l’ipotesi di un cortocircuito generale dell’UE.

Per di più le cartucce finanziarie a disposizionedell’Unione stanno finendo o sono quantomeno inade-guate, mentre si stanno aprendo nuovi focolai di tensio-ne finanziaria dagli esiti potenzialmente deflagranti. Ilriferimento è soprattutto alla Francia. L’indice puntato

sull’Italia a fine ottobre da Merkel-Sarkozy era servitoanche a distogliere l’attenzione mediatica dalla situazio-ne di altri paesi con problemi simili ai nostri, per con-centrarla sui due allievi più cattivi – Italia e Grecia. Inrealtà, ad esempio, la situazione del debito sovrano fran-cese è complicata almeno quanto la nostra: il debito pub-blico di Parigi, a euro costanti, è quintuplicato in ven-t’anni, nel 2000 ammontava a circa 900 miliardi, pari al56% del PIL, oggi è di 1.700 miliardi (quello italiano è dicirca 1.900 miliardi). E’ vero, il nostro debito è superio-re alla ricchezza prodotta, ma le curve relative del debi-to francese preoccupano di più in prospettiva, così comequelle sull’andamento del rapporto deficit/PIL. LaFrancia inoltre è assai più esposta dell’Italia in sede dititoli pubblici di paesi in difficoltà; infine la struttura delrisparmio privato e quella del debito pubblico dell’Italiaforniscono garanzie maggiori. Sarkozy lo sa, e ha spintoil suo Primo Ministro, François Fillon, a presentare unamanovra da 100 miliardi di euro in cinque anni che limi-terà il campo d’azione politica di Governo e Presidenteprossimi, probabilmente socialisti. Fillon parlando il 7novembre al Parlamento francese ha esplicitamenteaffermato che “un fallimento della Francia non va esclu-so”. Sappiamo che la drammatizzazione politica serve aserrare i ranghi della destra francese in vista delle elezio-ni presidenziali del maggio 2012, ma non sono parole inlibertà. Come non bastasse, tre giorni dopo ilCommissario agli Affari Monetari, Olli Rehn, ha chiesto“misure supplementari” alla Francia, “oltre quelle giàannunciate, per arrivare al pareggio di bilancio nel 2013”.

È un panico celato quello che circola tra le capitali euro-pee, non si possono per niente scartare le ipotesi di unarecessione economica nel 2012, anzi, tenuto conto anchedelle difficoltà persistenti dell’economica USA. Valgonoper tutti le parole pronunciate il 17 novembre dalGovernatore della BCE, Mario Draghi, secondo cui leprospettive della crescita rimangono fosche ancora perlungo tempo.

Non tutto è ancora perduto. Appare necessario che l’UEprenda – tra le altre misure di tamponamento urgentedella crisi finanziaria – almeno tre decisioni fondamen-tali, anche costruendo alleanze interne che mettano inun angolo, se necessario, l’ostilità del Governo dellaGermania: 1) di autorizzare la BCE a garantire piena-mente i titoli pubblici dei paesi in difficoltà, continuan-do nell’acquisto massiccio di loro quote, nonostante ilimiti posti dal suo statuto; 2) di emettere rapidamenteeurobond, con protagonista sempre la BCE, trovandocosì le risorse necessarie al rilancio dell’economia euro-pea; 3) più generalmente, di modificare lo Statuto dellaBCE, conferendole compiti simili a quelli della Fed USA(o della Banca d'Inghilterra), per permetterle di interve-nire a sostegno delle economie reali dei paesi della zonaeuro.

Non è simpatico dirlo, ma forse ciò accadrà se la Francia– e di riflesso la Germania – sarà vittima, come già unpo’ si preannuncia, continuerà a essere oggetto di unattacco in piena regola da parte speculativa. I presuppo-sti ci sono tutti: la Francia si è trovata in queste settima-ne a dover pagare in alcuni momenti il doppio di inte-resse rispetto alla Germania sui mercati finanziari, il suodifferenziale (spread) rispetto alla Germania è sostan-

Page 28: Dossier di Progetto Lavoro LA CRISI Dossier/1 - dicembre 2011 … · 2019-12-06 · volatilità dei mercati finanziari, che cercano continua-mente occasioni di guadagno, spostano

dossier crisi

28

zialmente in ascesa, e la campagna elettorale e l’inevita-bile incertezza politica fanno il resto. L’ultima spia delledifficoltà francesi è lo sconcertante episodio del down-grading “accidentale” occorso al debito francese aopera dell’agenzia di rating Standand & Poor's. A distan-za di poche ore S&P rilasciava un comunicato stampaper scusarsi del “grave errore”. Ma chi può crederle? E’evidente, invece, che si è trattato di un’operazione d’as-saggio.

Una svolta a breve?

Tra ciò che potrebbe accadere nelle prossime settimane,stando a ciò che si discute in via riservata a Bruxelles,sono tre ribaltoni, tuttavia, tenendo conto dei tempimolto stretti e dell’intenzione franco-tedesca di essere igestori dell’UE e quindi della crisi e del suo superamen-to, anche per regioni di cassetta elettorale: un trattatotipo Schengen, cioè tra gli stati (in questo caso dellazona euro) che ci stanno, che accetti gli eurobond incambio di una rigidissima governance europea da partedel Consiglio (comprensiva forse di una sorta di mini-stero europeo delle finanze e fatta anche di punizioniautomatiche per i paesi che realizzino le politiche di riag-giustamento finanziario concordate); la messa sostan-zialmente ai margini di Commissione, eurogruppo e altribaracconi; sul versante della BCE, aggiramenti sostan-ziali del suo Statuto sul versante delle possibilità difinanziamento del sistema bancario, in quanto in crisi diliquidità, quindi in difficoltà di finanziamento alleimprese. Vedremo

Appendice 1Il “governo economico dell’euro”

Durante il vertice del 26 ottobre i 17 governi dell’euro-zona hanno deciso di “rafforzare il coordinamento e lasorveglianza delle politiche economiche”, al fine di“migliorare l’efficacia del processo decisionale e garanti-re una comunicazione più coerente”.Conseguentemente hanno adottato le seguenti diecimisure:

1) Si terranno riunioni periodiche del vertice euro cuiparteciperanno i capi di stato o di governo della zonaeuro e il presidente della Commissione Europea. Taliriunioni si svolgeranno almeno due volte l’anno, neimomenti chiave del ciclo annuale della governance eco-nomica. I vertici euro definiranno gli orientamenti stra-tegici per la condotta delle politiche economiche, per ilmiglioramento della competitività e per una maggioreconvergenza nella zona euro.2) Il presidente del vertice euro sarà designato dai capidi stato o di governo della zona euro nella stessa occa-sione in cui il Consiglio Europeo elegge il suoPresidente e per la stessa durata. In attesa della prossimaelezione, l’attuale Presidente del Consiglio Europeo pre-siederà le riunioni del vertice euro.3) Il Presidente del vertice euro terrà costantementeinformati gli stati membri che non fanno parte dellazona euro dei preparativi e dei risultati dei vertici, cosìcome il Parlamento Europeo.4) Come avviene attualmente, l’Eurogruppo assicurerà ilcoordinamento sempre più stretto delle politiche eco-

nomiche e la promozione della stabilità finanziaria. Nelrispetto delle competenze delle istituzioni dell’UE, essopromuove la sorveglianza rafforzata delle politiche eco-nomiche e di bilancio degli stati membri per quantoriguarda la zona euro.5) Il Presidente dell’Eurogruppo è eletto conformemen-te ai Trattati. Alla scadenza del mandato della personaattualmente in carica si deciderà se debba essere eletto(come ora) tra i membri dell’Eurogruppo ovvero trattar-si di un Presidente a tempo pieno con sede a Bruxelles.6) Il Presidente del vertice euro, il Presidente dellaCommissione e il Presidente dell’Eurogruppo si riuni-ranno periodicamente, almeno una volta al mese.7) I lavori a livello preparatorio continueranno ad essereeffettuati dal gruppo di lavoro “Eurogruppo”, sulla basedelle conoscenze fornite dalla Commissione.8) Il gruppo di lavoro “Eurogruppo” sarà presieduto daun Presidente a tempo pieno con sede a Bruxelles che, inlinea di principio, sarà eletto contestualmente al presi-dente del Comitato economico e finanziario.9) Le attuali strutture amministrative saranno rafforzatee collaboreranno in maniera ben coordinata per fornireun adeguato sostegno al Presidente del vertice euro e alPresidente dell’Eurogruppo.10) Si fisseranno norme e meccanismi chiari per miglio-rare la comunicazione e garantire messaggi più coerenti.

Come si può vedere, da parte dei vertici europei conti-nua a essere rispettata quella regola aurea non scritta chevuole che quando ci siano problemi gravi e non si riescaad affrontarli vengano ulteriormente complicate le strut-ture operative centrali dell’Unione Europea.

Appendice 2Le non-proposte della Commissione Europea in

fatto di agenzia europea di rating

La Commissione Europea ha presentato a metà novem-bre le sue proposte per modificare la legislazione euro-pea sulle agenzie di rating del credito (ARC). Di seguitone vengono illustrate le principali linee-guida, sulla basedell’intervento del Commissario francese Michel Barnieral Parlamento Europeo. Va evidenziato però che sonostate messe nel cassetto – praticamente abbandonate –due tra le più importanti proposte evocate alcune setti-mane prima: 1) non v'è più traccia dell’idea di dar vita aduna “agenzia europea di rating del credito”; 2) è stata rin-viata sine die l’approvazione di una direttiva-regolamen-to tesa a sospendere temporaneamente la notazione deldebito dei paesi sotto aggiustamento strutturale (comeGrecia, Portogallo e Irlanda). “Almeno una decina dicommissari europei si è espressa contro le due propo-ste”, svelano fonti europee, vanificando in parte l’inizia-tiva di Barnier. Nel rilevare che nessuna data precisa èstata ancora fissata per l’entrata in vigore della nuovalegislazione, ecco cosa rimane dei quattro obiettivi prin-cipali della Commissione Europea, come da comunicatostampa ufficiale.

1) Evitare che gli enti finanziari si affidino ciecamente airating del credito per i loro investimenti. Attualmente irating hanno un peso semi-istituzionale: dobbiamoridurlo. Le nostre proposte del luglio 2011 nella IVDirettiva sui requisiti patrimoniali riducono il numero di

Page 29: Dossier di Progetto Lavoro LA CRISI Dossier/1 - dicembre 2011 … · 2019-12-06 · volatilità dei mercati finanziari, che cercano continua-mente occasioni di guadagno, spostano

dossier crisi

29

riferimenti ai rating esterni e obbligano gli enti finanzia-ri ad esercitare la loro propria dovuta diligenza.Apporteremo modifiche analoghe per quanto riguardale norme relative ai gestori di fondi, il tutto sarà com-pletato l’anno prossimo con le modifiche alle norme inmateria di assicurazione. Le agenzie di rating e le entitàvalutate dovranno rendere accessibili al pubblico mag-giori e più chiare informazioni in merito alle valutazionistesse, in modo che gli investitori professionali sianoinformati meglio al momento di decidere. Ad esempio,le agenzie dovranno comunicare i rating all’AutoritàEuropea degli Strumenti Finanziari e dei Mercati(AESFEM), che farà sì che tutti i rating disponibili sulmercato per uno strumento di debito siano pubblicati inun unico indice europeo di rating (EURIX), liberamen-te consultabile dagli investitori.2) Rating del debito sovrano più trasparente e frequen-te. Gli stati membri UE saranno valutati più sovente(ogni sei mesi anziché dodici); investitori e stati membristessi saranno informati dei dati di fatto e delle ipotesisu cui è basata ciascuna valutazione. Per evitare pertur-bazioni del mercato i rating sovrani dovranno esserepubblicati solo dopo la chiusura dei mercati. L’eventualesospensione dei rating sovrani è questione complessache riteniamo richieda ulteriore esame.3) Maggiore diversità e indipendenza delle agenzie dirating del credito per evitare conflitti d’interesse. Gliemittenti dovranno cambiare agenzia ogni tre anni.Inoltre, per strumenti finanziari strutturati complessisaranno necessarie due agenzie diverse e il grande azio-nista di un’agenzia di rating del credito non potrà esserecontemporaneamente grande azionista di un’altra agen-zia.4) Le agenzie devono rispondere dei rating. L’agenziasarà tenuta per responsabile laddove emetta un rating inviolazione del regolamento in questione, intenzional-mente o per negligenza grave, e arrechi in tal mododanno agli investitori che su quel rating hanno fatto affi-damento. Gli investitori dovranno introdurre ricorsoper responsabilità civile dinanzi ai tribunali nazionali.L’onere della prova spetterà all’agenzia di rating del cre-dito.

Sin qui le proposte della Commissione Europea. Si notiche gli attuali regolamenti sulle ARC vertono sulla lororegistrazione, attività e vigilanza. Ai fini della registra-zione, un’agenzia di rating deve soddisfare diversi requi-siti in merito alla propria attività volti a garantire indi-pendenza e integrità della procedura di rating e a raffor-zarne la qualità. Dal luglio 2011 l’AESFEM è compe-tente della registrazione delle agenzie di rating nell’UE;28 agenzie di rating (tra le quali alcune appartenenti allostesso gruppo) sono attualmente registrate pressol’AESFEM. Per quanto riguarda le loro attività, in basealla legislazione vigente – certamente violata – le agen-zie di rating sono tenute ad evitare conflitti d’interesse(ad esempio un analista di rating alle dipendenze di un’a-genzia non può valutare un’entità nella quale ha un dirit-to di proprietà), garantire la qualità dei rating e dellemetodologie e un elevato livello di trasparenza. Princìpiche esistono solo sulla carta. Infine, per quanto riguardail capitolo “vigilanza”, dal luglio 2011 l’AESFEM eser-cita in esclusiva la competenza di vigilanza sulle agenziedi rating del credito registrate nell’UE e dispone di pote-ri d’indagine che comprendono la possibilità di chiedere

documenti e dati, convocare in udienza persone, con-durre indagini in loco, imporre sanzioni amministrative epecuniarie e reiterate. Ma questi poteri non sono maistati esercitati tutt’oggi in modo significativo.

Non male, in ultimo, questo fatto che almeno dieci com-missari europei abbiano pensato di tutelare la specula-zione della finanza USA anziché l’euro.

Appendice 3 Le proposte della Commissione Europea in fatto

di eurobond e di governance rafforzata

La Commissione Europea ha presentato, il 23 novembrescorso, due proposte su come reagire alla crisi e alla spe-culazione. Si tratta di come procedere alla creazione dieurobond e del loro ruolo, e delle forme del rafforza-mento della governance economica. Ne parleremo inmodo approfondito nei prossimi numeri, seguendo rea-zioni e discussione, ma possiamo anticipare qualchedato.

Il primo, sulla creazione degli eurobond, riguarda la pub-blicazione di un “Libro Verde”, di riflessione politica.Essi, come è noto, sarebbero titoli pubblici emessi egarantiti dall’Unione Europea ovvero, più concretamen-te, dalla Banca Centrale Europea (BCE). Sono un po’come i buoni emessi dal Tesoro italiano, solo che,godendo della copertura della BCE, fornirebbero mag-giori garanzie agli investitori istituzionali o ai singoli pos-sessori, quindi i loro rendimenti sarebbero bassi, più omeno come quelli dei bund tedeschi. Va detto subito chesi tratta di un’iniziativa esclusivamente politica, il “LibroVerde” serve solo ad attivare un dibattito in senoall’Unione Europea. Siamo ben lontani, insomma, dauna loro realizzazione in tempi brevi, soprattutto per l’o-stilità del Governo tedesco. Berlino non se vuol sapere,al momento, di garantire titoli di stato per conto (purindirettamente) d’altri.

La Commissione evoca tre possibilità. Si tratta 1) dellasostituzione completa delle emissioni di titoli nazionalicon quelli europei: ma per farlo bisogna modificare ilTrattato di Lisbona, che regola il funzionamento globaledell’UE, e disporre di un solido consenso politico, al finedi per modificare lo Statuto della BCE. E’ dunque oggiun’ipotesi quanto mai lontana. 2) Si tratta poi di unasostituzione parziale, ci sarebbero cioè in circolazionetitoli europei e titoli nazionali: ma siamo lo stesso alpunto di prima, soprattutto per quanto riguarda lacopertura finanziaria europea. 3) Si tratta infine di unasostituzione parziale e senza garanzie della BCE, ma conuna responsabilità pro-quota che farebbe capo alle sin-gole responsabilità e coperture nazionali. Si tratterebbedi una mezza misura, né carne né pesce, incapace dirisolvere alla radice il problema che gli eurobonddovrebbero affrontare.

La Commissione ritiene pure che, in ogni caso, bisogne-rà creare un’agenzia europea per la gestione del debito.

La seconda iniziativa, ben più insidiosa, consiste nellaproposta di due nuovi regolamenti comunitari, per raf-forzare appunto quella governance economica approva-

Page 30: Dossier di Progetto Lavoro LA CRISI Dossier/1 - dicembre 2011 … · 2019-12-06 · volatilità dei mercati finanziari, che cercano continua-mente occasioni di guadagno, spostano

dossier crisi

30

ta nelle linee generali a fine ottobre dal ConsiglioEuropeo. Queste linee hanno contenuti antisociali seve-ri, che questa rivista ha più volte illustrato. Non conten-ta, la Commissione vuole andare oltre, cioè rafforzare lemisure di intervento sulle economie in difficoltà, arri-vando addirittura a proporre di commissariare diretta-mente i paesi “non virtuosi”, ovvero prendendone diret-tamente il controllo economico-finanziario. LaCommissione o chi per essa – bisognerà vedere la ste-sura finale dei regolamenti – si sostituirebbe alle autori-tà nazionali di bilancio per imporre comportamenti“virtuosi” in nome di un sedicente interesse generalesuperiore, che sarebbe quello europeo. E i paesi in gravidifficoltà finanziarie, anche se non ancora colpiti da pro-cedure di deficit eccessivo e non ancora soggetti a pro-grammi di assistenza da parte di UE, BCE e FMI,potranno essere sottoposti ad una “vigilanza rafforzata,per evitare che la loro condizione possa contagiare altripaesi”.

Appendice 4Le ipotesi in campo di riforma dei Trattati UE.

Una discussione che comincerà a breve

La riforma del Trattato di Lisbona, al fine di accentuar-ne le disposizioni contro gli stati membri dell’UnioneEuropea che non rispettino le discipline fiscali e dibilancio imposte dalla nuova governance economica, è ilprossimo episodio del feuilleton della crisi in Europa. IlGoverno della Germania, non contento di aver già otte-nuto l’applicazione del cosiddetto “semestre europeo”per orientare le politiche di bilancio dei singoli stati UE,l’approvazione di sei direttive-regolamenti ispiratidall’“austerità”, il commissariamento dei paesi dell’euro-zona più in difficoltà, propone adesso di emendare iTrattati istitutivi della UE (quello di Lisbona è l’ultimo,e riassume e integra i precedenti) per rendere obbligato-ri comportamenti di “rigore” economico-finanziario daparte di tutti gli stati membri. Il Presidente delConsiglio Europeo Herman van Rompuy, è stato incari-cato il 26 ottobre scorso dal Consiglio Europeo di pre-sentare a dicembre un “documento di riflessione” sulleriforme possibili del Trattato di Lisbona, essenzialmen-te al fine di costituzionalizzare rigore e austerità. La ver-sione finale del documento verrebbe approvata “nelmarzo o giugno del 2012” e conterrebbe le propostedefinitive di modifica. L’idea del Governo dellaGermania è di imporre, anche giuridicamente, compor-tamenti “virtuosi” di bilancio ai partner dell’UE, ovvia-mente dal suo punto di vista, ovvero per impedire “ulte-riori comportamenti irresponsabili” anche al costo dibuttare in recessione intere economie e massacrare iltenore di vita di intere popolazioni. “Questo è ilmomento più grave che sta vivendo l’Unione Europeadalla fine della Seconda Guerra Mondiale”, ha detto laMerkel il 14 novembre al Bundestag, “se fallisce l’eurofallisce l’Europa; si impongono dunque nuovi obblighilegali per le gestione delle politiche economichenell’UE”.

Stando a Van Rompuy, “il primo capitolo di riflessioneriguarda il rafforzamento della governance, per capirecome andare oltre le sei misure legislative recentementeapprovate e rispettare tutti gli impegni presi con il Patto

per l’Euro”, la bibbia economica dell’UE, composta ditagli allo stato sociale e liberalizzazioni generalizzate.Francia e Germania propongono di costituzionalizzare ilprincipio di obbligatorietà del “pareggio di bilancio” edello “zero deficit”, cosa che trasformerebbe radical-mente in senso sia antisociale che, in concreto, antieco-nomico il ruolo dello stato nella società. Invece, è sem-pre e ancora “no!” alla proposta di dare maggiori poterialla BCE per sostenere le economie europee: “ognunofaccia il proprio dovere piuttosto che cercare finanzia-menti facili”, afferma la Merkel. Altre voci però ormai silevano a favore di un coinvolgimento maggiore dellaBCE nella crisi, Francia compresa. Il suo esecutivo stacercando da tempo, in privato, di ammorbidire la posi-zione tedesca. Tuttavia alla fine a oggi si è sempre alli-neato, in pubblico, con quello tedesco. Il 23 novembrescorso, la Commissione Europea ha presentato alcuneproposte sugli eurobond e il loro finanziamento da partedella BCE. Per il momento, la loro strada è sbarrata dallacontrarietà della Germania. Solo un cambio di governoa Berlino potrebbe rimescolare le carte in tavola, a mag-gior ragione se il francese Nicolas Sarkozy non saràrieletto a maggio 2012.

Un altro capitolo di riflessione sulla riforma del Trattatodi Lisbona riguarda le sanzioni contro gli stati “non vir-tuosi”. Germania e Francia propongono infatti di costi-tuzionalizzare addirittura un meccanismo automaticoper multarli, versando alla Commissione Europea unasomma proporzionale ai tagli non realizzati. VanRompuy va più lontano, con l’appoggio di Merkel-Sarkozy evoca la possibilità che venga sospeso il dirittodi voto in seno al Consiglio Europeo dei paesi “indevianza di bilancio”. Non è la prima volta che se neparla, è difficile da farsi, ci vuole l’unanimità sulla pro-posta, ma la boutade dà il senso dell’aria che tira. Moltoprobabilmente, invece, verrà dato seguito del Governotedesco di modificare i Trattati in modo da poter realiz-zare permettere il deferimento alla Corte di Giustizia diLussemburgo degli stati “non virtuosi”. Ma anche que-sta misura appare di difficile applicazione. E qui che siinserisce la polemica su un presunto “piano segreto”tedesco teso a formalizzare l’esistenza di due zone euro,magari con due future monete diverse: da una parte, i“virtuosi” agganciati alla Germania; dall’altra, “deviati”Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Irlanda, Cipro. IlGoverno tedesco ha però più volte affermato di cercarela stabilità della zona euro “nella sua forma attuale”, e ilresponsabile dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, l’hadefinita “una notizia stupida, messa in giro da chi hainteresse a mostrare un’eurozona divisa” (si riferiva alfatto che è stato il quotidiano antieuropeo inglese DailyTelegraph a farla circolare). Più insidiose, invece, sono levoci di corridoio a Berlino sulla creazione di un FondoMonetario Europeo (FME), che verrebbe autorizzato aprendere il controllo totale delle economie dei paesi indifficoltà, che verrebbero gestite nel nome di un “inte-resse superiore europeo”.

L’ultimo capitolo di riflessione riguarderà “l’ulteriorearmonizzazione in aree quali la politica fiscale”. Dadiverse parti si sente parlare di un Ministro Europeodelle Finanze, che avrebbe un potere d’intervento diret-to sui bilanci degli stati UE. Forse non si arriverà ad unrisultato così netto, si tratterà magari di aumentare i

Page 31: Dossier di Progetto Lavoro LA CRISI Dossier/1 - dicembre 2011 … · 2019-12-06 · volatilità dei mercati finanziari, che cercano continua-mente occasioni di guadagno, spostano

dossier crisi

31

poteri già esistenti di uno specifico CommissarioEuropeo o di attribuirli al futuro Presidente dei VerticiEuro sul cui insediamento i leader dell’eurozona si sonomessi d’accordo il 26 ottobre scorso.

Nel dibattito sulla riforma del Trattato di Lisbona è evi-dente la mancanza di qualsiasi proposta che riduca ilsempre più pesante deficit democratico dell’UE, correg-gendone la deriva autoritaria e il suo abito tecnocratico.Che il problema esista lo dimostrano, indirettamente,anche le parole del Ministro tedesco delle Finanze,Wolfgang Schäuble, secondo il quale “bisogna spiegareai cittadini perché ci vuole più Europa, è necessariocoinvolgerli nei processi politici, cominciando a riflette-re sull’idea di eleggere il Presidente della CommissioneEuropea a suffragio universale diretto”.

Al momento non esiste un consenso tra i ventisette statimembri dell’UE su tutte queste riforme al Trattato diLisbona. La maggioranza delle proposte è stata discussasolo tra i diciassette governi dell’eurozona, mentre idieci esclusi hanno già cominciato a reclamare più vocein capitolo, e deciso di riunirsi d’ora in poi in modoperiodico per far valere gli interessi di chi non usa l’eu-ro.

***

G. S.

IL “RIPUDIO DEL DEBITO”:DALLA PADELLA NELLA BRACE?

Nel dibattito politico della sinistra alcuni hanno proposto il “ripu-dio del debito” e il “diritto al default”. Si tratta di slogan cherispondono alla giusta rabbia dei cittadini, che si rifiutano dipagare i debiti creati dalla grande finanza speculativa, di cui nonhanno alcuna responsabilità. Ma si tratta di una scelta sensata,possibile e conveniente, o le conseguenze sarebbero ancora peggioridel male proprio per i cittadini più bisognosi?

Vengono spesso citati i casi più recenti di Russia (1998),Argentina (2002) e Islanda (2008): ma proprio questiesempi confermano che si tratta di un’ipotesi moltoproblematica. L’esempio islandese anzi è citato a spro-posito, quanto meno se confrontato all’Italia, perché sitratta di un paese di 300 mila abitanti, aiutato da Russiae Cina e che aveva un reddito pro capite fra i più alti delmondo, un debito bassissimo e un avanzo di bilancio del6% del PIL; inoltre il ripudio islandese non ha riguarda-to il debito pubblico ma il salvataggio delle banche, cheinvece in Italia, a differenza di quasi tutti gli altri paesisviluppati, non hanno fruito di aiuti statali. La Russia hafatto default sul debito interno, mentre l’Argentina haprima ripudiato un debito in dollari con la BancaMondiale (poi pagato) e successivamente è stata costret-ta, a seguito della chiusura dei finanziamenti dall’estero,a ricorrere a una ristrutturazione generalizzata del suodebito.

Vediamo innanzitutto di che cosa si tratta. Per “default”,ovvero per insolvenza, del debito sovrano (statale) siintende l’interruzione dei pagamenti per l’incapacità diuno stato di fare fronte ai propri debiti, compresa laspesa per interessi; esso inoltre può assumere varie

forme. Può essere “sostanziale”, quando è involontario,ovvero è un reale fallimento, perché la situazione è sfug-gita di mano, oppure “strategico”, quando deriva dalladecisione dello stato di interrompere i pagamenti, pernon dissanguarsi in un’inutile tentativo di salvataggio. Inogni caso si tratta di una vera e propria tragedia econo-mica e sociale. Il “ripudio del debito” è però un caso di“default strategico” più teorico che effettivo. Infatti ilripudio totale, cioè l’azzeramento del debito, non si èmai verificato. In Islanda dopo il default bancario il debi-to pubblico è salito dal 28 al 90% del PIL e in ogni casodovrà essere pagato; anche in Russia e Argentina il debi-to non è scomparso, è stato in parte ridotto e rinegozia-to ma dovrà essere pagato, specie quello verso le banchee gli stati stranieri (chi ci ha rimesso maggiormente sonoi 430 mila risparmiatori italiani che avevano imprudente-mente acquistato il debito a rischio dell’Argentina, peraverne i rendimenti elevati). Inoltre il “ripudio” è un attounilaterale, mentre nei casi citati si è svolta una trattativaper una ristrutturazione consensuale, pur fra forti con-traddizioni, con una riduzione dei rimborsi e dei tassi eun allungamento delle scadenze. Le agenzie di ratinghanno già dichiarato di considerare anche una sempliceristrutturazione concordata del debito greco come unfallimento, con una conseguente ulteriore esplosione deldebito pubblico e del rendimento dei titoli greci, debitoche dovrà essere comunque, in buona parte, pagato. Unben più pesante ripudio unilaterale del debito è pratica-mente impossibile nell’eurozona, perché gli stati nonhanno più una propria sovranità monetaria, sarebbedunque illegale e comporterebbe un enorme contenzio-so, ritorsioni e l’uscita dall’Unione Europea, causando ilcollasso economico del paese uscente.

Ciò a cui concretamente oggi assistiamo, mentre si stra-parla da parte delle autorità europee di salvataggio dellaGrecia, di condizioni capestro perché essa abbia 8miliardi di euro perché eviti una situazione di insolvenzae quindi di reale bancarotta, ecc., è dato da operazioni,probabilmente gestite dal Fondo MonetarioInternazionale, orientate a trattare con le banche deten-trici di titoli sovrani greci vuoi l’abbattimento del 40 o50% del loro valore nominale, vuoi il loro scambio(swap) con titoli a più lunga scadenza. Si tratta quindi diun default strategico parziale e piuttosto soft, a cui nep-pure corrisponderebbe l’uscita della Grecia dall’euro, senon altro perché quest’uscita, abbattendo la credibilitàdei paesi europei dominanti, esporrebbe i loro titoli arialzi dei loro rendimenti. Parimenti l’espansione delFondo Europeo di Sostegno oppure la Banca CentraleEuropea oppure l’FMI opererebbero al rifinanziamentodelle banche più danneggiate da questo default grecoparziale.

Va un po’ meglio così, data la situazione irrisolvibiledella Grecia. C’è solo da biasimare che la cosa avvengain estremo ritardo, dopo aver disastrato l’economia dellaGrecia, le condizioni di vita della sua popolazione, e averregalato alla speculazione una quantità enorme di dena-ro. Le conseguenze di un default più sostanzioso sareb-bero molto pesanti per la popolazione colpita, non soloa causa dei danni ingenti per l’economia, ma soprattuttoper il peggioramento della qualità della vita in termini diimpoverimento di massa.

Page 32: Dossier di Progetto Lavoro LA CRISI Dossier/1 - dicembre 2011 … · 2019-12-06 · volatilità dei mercati finanziari, che cercano continua-mente occasioni di guadagno, spostano

dossier crisi

32

Il fallimento reale dello stato ha infatti sempre compor-tato, data la mancanza di risorse che l’ha determinato, untaglio drastico della spesa pubblica, la riduzione finoanche al dimezzamento degli organici e degli stipendidella pubblica amministrazione (con la sospensioneinoltre del loro pagamento) e la consegna al mercato, acarissimo prezzo sociale, dei servizi essenziali, comesanità, assistenza e previdenza. Le monete hanno subitouna pesante svalutazione (di due terzi in pochi giorni inArgentina), con una corrispondente esplosione del debi-to estero, in valuta straniera. L’inflazione ha assuntoproporzioni gigantesche (84% in Russia, 80% inArgentina), con il raddoppio dei prezzi dei generi ali-mentari, il quadruplicamento del costo dei beni impor-tati di prima necessità, spesso scomparsi dal mercatoufficiale, accaparrati e venduti al mercato nero; un’e-splosione del costo del “welfare” non più erogato dallostato, con il taglio dei servizi essenziali. E’ anche scop-piata una crisi creditizia, con il fallimento di molte ban-che, a causa della svalutazione dei titoli di stato in por-tafoglio, delle insolvenze di famiglie e imprese, della crisidi liquidità. Il taglio dei finanziamenti alle imprese, giàcolpite dalla riduzione dei consumi, ne ha moltiplicato ifallimenti, contribuendo anche da questo lato al dram-matico aumento della disoccupazione. I risparmi dellefamiglie, a loro volta, si sono volatilizzati, a causa dellasvalutazione e dell’inflazione, mentre i salari sono rima-sti fermi o sono stati pesantemente tagliati ed è statosospeso il pagamento delle pensioni. Sono stati sospesiil rimborso a scadenza dei titoli di stato e il pagamentodei relativi interessi ai risparmiatori. E’ scomparsa, permancanza di risorse, la garanzia sui conti correnti dellebanche insolventi. Ne è derivato anche il fallimento delrisparmio previdenziale privato, a causa della svalutazio-ne dei titoli di stato in portafoglio. L’enorme fuga dicapitali all’estero, in cerca di salvezza, ha fatto precipita-re ulteriormente la situazione. La mancanza di valutaestera ha determinato il blocco delle importazioni,anche di beni essenziali: negli ospedali argentini manca-vano i medicinali salvavita, in larga parte di provenienzaestera. Tutto ciò ha causato un blocco totale dell’econo-mia per molti mesi, con un impoverimento drammaticodi massa accompagnato da un aumento della microcri-minalità e degli atti di vandalismo.

Quali sarebbero le conseguenze per l’Italia di una sceltaanche solo di un “default strategico”? Molti dei suoisostenitori ammettono le pesanti conseguenze che nederiverebbero per almeno un decennio, ma ritengonoche il ripudio del debito eliminerebbe una pesante ipo-teca sul futuro e la svalutazione competitiva favorirebbeuna vivace ripresa economica. Tuttavia questa posizionesi caratterizza per due gravi errori di valutazione.Occorre considerare il fatto che in Italia, a differenzache in molti altri paesi avanzati, esiste una considerevo-le ricchezza della famiglie: 9,448 miliardi nel 1999,secondo i dati di Bankitalia, pari al 5,7% della ricchezzamondiale, mentre è del 3% il contributo del PIL italianoa quello mondiale. Il debito pubblico ammontava a fine2010 a 1.900 miliardi, ma ora viene stimato in 2.238miliardi, pari al 119,8% del Pil, ovvero 37.000 euro percittadino italiano. Dunque la ricchezza italiana è pari a 4-5 volte il debito nazionale; e anche le riserve auree sonoal quarto posto nel mondo. Il ripudio del debito e laconseguente svalutazione monetaria comporterebbero

una massiccia perdita di tale ricchezza, a partire dallacaduta dei valori immobiliari, che costituiscono i dueterzi della ricchezza complessiva. Come parte dell’euro-zona (con il 14% del capitale della BCE) l’Italia inoltrenon potrebbe ripudiare interamente il debito, madovrebbe rinegoziarlo, salvaguardando la parte di pro-prietà estera (44%), dunque penalizzando molto quelladi proprietà italiana (56%), ovvero il risparmio familiare,i fondi pensione integrativi e le banche, che ne detengo-no la proprietà, con un conseguente fortissimo rischio diun fallimento di queste ultime che si ripercuoterebbe sul-l’economia produttiva, dato che le imprese italianedipendono in larga misura dal capitale di debito, cioè dalcredito bancario. In ogni caso, poi, il debito dovrebbeessere in larga parte restituito, sia pure a scadenze piùlunghe. L’uscita dall’euro e la conseguente svalutazionedella nuova lira determinerebbero un corrispondenteaumento del debito in euro e un’esplosione del premiodi rischio sui titoli di stato ora in lire, ciò che farebbeschizzare il debito verso dimensioni astronomiche. Neconseguirebbe una enorme fuga di capitali, che aggrave-rebbe ulteriormente la situazione. Anche sul piano dellacompetitività la realtà è diversa da quella ipotizzata. Laripresa, dopo qualche anno, di Russia e Argentina non èstata favorita dalla ristrutturazione del debito ma dalforte aumento dei prezzi delle materie prime alimentaried energetiche, di cui i due paesi sono grandi esportato-ri. Ciò non vale per l’Italia, che è un’economia manifat-turiera di trasformazione, fondata sull’importazione dimaterie prime e di energia (per tre quarti provenientedall’estero). Ancora, la svalutazione monetaria, con ilritorno alla lira, comporterebbe un fortissimo aumentodel costo delle materie prime, annullando ogni vantaggiocompetitivo, e il contenzioso sul debito con gli altri paesipotrebbe comportare un blocco delle importazioni dimaterie prime, a partire dall’energia, essenziali per i con-sumi interni e per le esportazioni. Inoltre gli altri paesinon accetterebbero facilmente una svalutazione compe-titiva e dunque, in una situazione di difficoltà economi-ca, adotterebbero misure protezionistiche, ponendo dazie vincoli alle nostre esportazioni. Secondo i calcolidell’UBS, l’insolvenza dell’Italia comporterebbe, neglianni successivi, un crollo di grandissima parte del PIL.Date le dimensioni economiche dell’Italia, la sua insol-venza determinerebbe anche la crisi dell’euro, e questo,come sostiene Obama, una caduta violenta dell’interaeconomia mondiale, con i tanti effetti di ogni sorta che èfacile immaginare, soprattutto a carico delle classi popo-lari, e in esse in primissimo luogo delle loro parti piùdeboli. Di converso le classi abbienti porterebbero leloro ricchezze in salvo all’estero, e si arricchirebbero diuna speculazione che nel marasma andrebbe a nozze.

Page 33: Dossier di Progetto Lavoro LA CRISI Dossier/1 - dicembre 2011 … · 2019-12-06 · volatilità dei mercati finanziari, che cercano continua-mente occasioni di guadagno, spostano

dossier crisi

33

Gian Paolo Patta, Luigi Vinci

ITALIA.SITUAZIONE COMPLICATA.

COME MUOVERSI

Porre un’analogia tra la crisi sistemica di oggi e l’esperienza dicrisi sistemica rappresentata dal crollo del fascismo può essere utilealla comprensione degli accadimenti in corso e di come operarvi:pur sapendo delle grandi differenze, tra le quali che Berlusconi hatentato manomissioni gravi della Costituzione e degli assetti demo-cratici del paese, senza però tendere ad abolirli, e che Mussolinicostituì un regime autoritario, inoltre che la guerra che l’Italia inquesto momento subisce è quella economica e sociale mossa dallagrande finanza e dal monetarismo europeo e non quella con learmi mossa dalla Germania nazista e dai traditori fascisti al suoservizio.

Piedi per terra: eravamo in “stato d’eccezione”,occorreva una soluzione “d’eccezione” e quellarealizzata era l’unica possibile

L’insorgenza dall’autunno del 1943 alla primavera del1945 – la Resistenza – fu determinata dal mutamentodegli orientamenti di popolo, per gli effetti della guerra:la fame, i bombardamenti angloamericani, l’occupazionetedesca, dopo che l’Italia nel settembre del 1943 si eraarresa. Una parte degli insorgenti – dei partigiani e deiloro partiti – voleva il socialismo, ma non se lo prefissecome obiettivo immediato, anzi la loro maggioranzanon si prefisse neppure la Repubblica: infatti rinviaronotutti i loro obiettivi sulla forma dello stato e su quelladella società a dopo la vittoria militare. Ancora, in Italiala democrazia prevarrà sul fascismo, non solo a seguitodell’insorgenza di popolo ma anche in quanto in Siciliaerano sbarcate nel luglio del 1943 le truppe della parteoccidentale della coalizione antifascista e la guerra siconcluderà con la sconfitta della coalizione fascista.L’insorgenza impedirà tuttavia che l’Italia pagasse aivincitori il prezzo pagato dalla Germania. Il contestoglobale vorrà che alla sconfitta fascista seguisse ungoverno di coalizione democratica, comprensivo nonsolo dei partiti della sinistra e del movimento operaioma anche di partiti di centro e di destra liberale dellaborghesia e della piccola borghesia, e Repubblica eCostituzione sarà il massimo che la sinistra potrà conse-guire. Come sempre i percorsi di popolo guardano aobiettivi immediati unitari: quindi, nel 1943, battere ilfascismo, contribuire a una rapida fine della guerra, rico-struire l’industria, costruire la democrazia. Ciò accadeperché questi percorsi registrano la realtà e i suoi rap-porti di forza, richiedono modifiche realistiche dell’esi-stente, lottano se necessario anche duramente per esse,evitano di rompersi il capo contro il muro di questi rap-porti. La sinistra seria opera a dare forma politica a que-sti processi, aiuta a che ottengano il massimo al prezzominore possibile, propone nuovi e più ampi obiettivisulla base della maturazione politica popolare conse-guente alle iniziali esperienze di lotta, corregge cosìeffettivamente i rapporti di forza; evita dunque astrattefughe in avanti. La ragione della grande espansione delPCI nel popolo dalla Resistenza all’immediato dopo-guerra è dovuta al fatto che questo partito si mosse così.

Non dovrebbe perciò meravigliare che il comportamen-

to popolare abbia seguito nei mesi scorsi e stia seguendoin questo momento un copione molto simile, che vi siastato un crescendo di mobilitazioni sociali e d’opinionecontro il governo, che quasi l’85% del popolo italianoappoggi il Premier Monti e oltre l’80% abbia apprezzatol’azione del Presidente Napolitano, a partire dai suoiblitz contro i tentativi di Berlusconi di evitare e poi diprocrastinare le dimissioni. Eravamo in “stato d’eccezio-ne”, come ha giustamente sottolineato Marco Revellisulla scia delle categorie della Teologia politica di CarlSchmitt (o in stato “d’emergenza”, che vuol dire la stes-sa cosa): a seguito, assieme, del conflitto aperto dalGoverno Berlusconi contro la magistratura e le istituzio-ni di garanzia, del suo attacco a parti vitali dellaCostituzione, di una sostanziale sospensione delle attivi-tà parlamentari, operata a colpi di decreti e di voti difiducia, di un pesante attacco speculativo ai titoli di statoe del raggiungimento da parte dei loro rendimenti dellasoglia oltre la quale si comincia a precipitare verso unasituazione greca, della ferocia dell’attacco di governo ailavoratori, infine dell’impossibilità di fermare Berlusconiper via puramente parlamentare ma anche per via dimobilitazione sociale, quanto meno nei tempi ristrettis-simi imposti dall’attacco speculativo. Né l’opposizioneparlamentare, frazionata e inadeguata, né quella sociale,indebolita dall’assenza di adeguati referenti politici, ce lafacevano a fermare Berlusconi: occorreva ricorrere amezzi d’eccezione per fermarlo, ovvero ricorrere alla“forza”, operare rompendo. Napolitano era l’unica real-tà “forte” in campo, avendo dalla sua uno straordinarioappoggio popolare, quello dei poteri europei, quello diConfindustria e banchieri, quello di mass-media decisivi,quello vaticano, infine, a negativo, l’immagine nel popo-lo estremamente squalificata dei vari ceti politici: e for-tunatamente ha rotto. La sua è una vecchia scuola politi-ca che queste cose le sa fare. Vero è che Napolitano si èmosso rispettando forme e procedure istituzionali: ma inrealtà si è trattato di pratiche anormali, avendo obbliga-to Berlusconi alle dimissioni pur in assenza di un votoparlamentare di sfiducia, avendo deciso la candidaturaMonti prima delle consultazioni parlamentari, avendoevitato di chiedere a Monti un programma di governo,avendo operato assieme a Monti a tagliare radicalmentei tempi della formazione del suo governo. Non a casonessuno tra quanti desideravano la caduta di Berlusconiha trovato da ridire sul comportamento di Napolitano:ciò sarebbe valso solo se fosse stato a effettiva disposi-zione un altro modo di fare il risultato. Ancora, esatta-mente come nel corso della crisi e della sua gestione daparte del Governo Berlusconi, al popolo italiano a lar-ghissima maggioranza oggi quel che preme sono obietti-vi immediatissimi: fermare l’attacco speculativo ai titolidi stato italiani, tentare così di evitare un crollo recessi-vo, un soprassalto della disoccupazione, il massacro dirisparmi e pensioni, fermare l’attacco ai lavoratori, fer-mare l’attacco alla Costituzione, ridare dignità al paese,ricostruire una possibilità di ripresa dell’economia, rida-re una prospettiva di vita decente ai giovani. Ancoravediamo come i percorsi di popolo registrino la realtà ei suoi rapporti di forza e operino per modificarli su baserealistica.

Nel 1947 la coalizione democratica si ruppe, su solleci-tazione USA, in rispondenza all’avvio della “guerra fred-da”. Data l’occupazione dell’Italia da parte angloameri-

Page 34: Dossier di Progetto Lavoro LA CRISI Dossier/1 - dicembre 2011 … · 2019-12-06 · volatilità dei mercati finanziari, che cercano continua-mente occasioni di guadagno, spostano

dossier crisi

34

cana e l’assegnazione dell’Italia, a Teheran e a Yalta, alcampo capitalista occidentale, comunisti e socialistidovettero subire l’allontanamento dal governo. Togliattie Nenni ben si guardarono dal mobilitare gli ex partigia-ni, i lavoratori, i propri partiti: avrebbero subito un mas-sacro e le conquiste democratiche sarebbero statedistrutte da un’ondata reazionaria. In questo modo ten-nero aperta una strada che avrebbe portato, grazie allalotta di classe, dopo i durissimi anni 50, a una crescitadella democrazia, dello stato sociale, delle condizioni divita popolari. La lotta di classe non è l’esercizio di ardi-te velleità incapaci di valutare le situazioni.

Dunque il fatto è che le coalizioni di popolo su basepuramente democratica dispongono di una loro neces-sità e risultano indispensabili alla democrazia e alle clas-si popolari in frangenti determinati: ma passati questifrangenti si destabilizzano e vengono meno. Guardandoagli orientamenti, via via che se ne capisce di più, delGoverno Monti sembra evidente che anche in questocaso la coalizione di popolo durerà poco. Anzi dureràpochissimo: sotto la frusta della crisi le convenienze diclasse sono sempre radicalmente divergenti e potenzial-mente deflagranti, anche se gli si dà, da parte borghese,per esigenze di mistificazione politica, lo stesso nome.

Il risultato democratico raggiunto è di grandeimportanza

Abbandoniamo le analogie storiche. E’ molto importan-te che Berlusconi e il suo governo siano stati tolti dimezzo: in quanto è molto importante che al comandopolitico del paese non sia più la rappresentanza a fortepropensione antidemocratica ed eversiva della partedelinquente della borghesia, non sia più il tentativo dirompere in due il paese, che gli assetti istituzionali dellaRepubblica non si trovino più sotto tiro, e così laCostituzione (almeno in parte: poiché essa è sotto tiro,come vedremo più avanti, dal lato dell’UnioneEuropea), che il rapporto con il mondo del lavoroavvenga riconoscendo la rappresentanza di tutte le orga-nizzazioni sindacali.

D’altra parte non si può vedere nella nuova situazionepolitica il risultato di una partita tutta tra poteri di variotipo. Per mesi in Italia ci sono state grandi mobilitazionidi popolo e d’opinione che, pur a nome di un tipo o diun altro di obiettivi o denunciando questo o quel carat-tere o intenzione del potere berlusconiano, sono stateperò corali nella volontà di far cadere il governo delladestra, vedendo rischi democratici non solo come effet-to indiretto delle sue politiche sociali, non solo nella suasottovalutazione della crisi, non solo nella brutalità delsuo attacco al mondo del lavoro e al sindacalismo diclasse, non solo nella sua acquiescenza ai sempre piùbrutali ukaze antisociali dei poteri europei, ma vedendo-li anche, e per molte ragioni soprattutto, nell’attacco allaCostituzione e agli assetti istituzionali dello stato: anchequeste mobilitazioni di popolo e d’opinione sono stateimportanti nella caduta di Berlusconi, contribuendo adabbatterne la credibilità sociale e a eroderne la maggio-ranza parlamentare, sino alla sua sparizione alla Cameradei Deputati. Senza Napolitano e l’aggravamento dellacrisi italiana Berlusconi non sarebbe caduto: ma anchesenza le mobilitazioni di popolo di questi mesi.

“Natura” e intenzioni politiche del Governo Monti

Il Governo Monti ha certamente uno spiccato carattere“tecnico”, ma non in quanto governo tecnocratico (peresempio sono tecnocratici organismi come la BCE,l’FMI, l’OMC, ecc.), bensì, in una forma inusitata inItalia (l’unico precedente è dato dal Governo Ciampi del1993), un governo politico con tanto di base parlamen-tare. E’ un errore sottovalutare il fatto che Napolitanopur rompendo nella sostanza ha nella forma seguito leprocedure costituzionali, parimenti sottovalutare che ilGoverno Monti è il governo del Presidente Napolitano.Ancora, è un errore, abbastanza grossolano, affermareche il Governo Monti è un governo al servizio delle ban-che ovvero di un determinato tipo di interessi capitalisti-ci (così come è un errore ritenere che gli interessi dellebanche siano in tutto il mondo e specificamente in Italiapreminentemente speculativi: sono tali essenzialmentenegli Stati Uniti, e anche qui riguardano solo una parteristretta delle banche): è un governo invece intenzionatoal superamento delle questioni che caratterizzano la crisiitaliana, in primo luogo di quelle economiche, da unpunto di vista prosistemico ovvero borghese. Insommaè un governo della borghesia non nel senso di rappre-sentare la somma dei suoi interessi immediati ma quelli,d’ordine generale, della riproduzione della sua egemoniasociale e dell’espansione dei suoi affari. Naturalmentenon è un governo di ingenui: sa benissimo che la sua esi-stenza tende anche allo scompaginamento del sistemapartitico, inoltre opererà di fatto per orientare i risultatidi questo scompaginamento, in un senso ovvio: la rico-stituzione di un grande centro. Anzi il primo elemento diquest’operazione è stato dichiarato subito: l’intenzionedi arrivare a fine legislatura. E’ il tempo necessario alladestabilizzazione sia del PdL che del PD. E tra le righe èanche apparso un secondo elemento dell’operazione: la(presunta, ovviamente) moderazione delle misure dirigore economico. Questo sarà uno dei refrain propa-gandistici del Governo Monti: non solo per imbrigliarerisposte sociali alle sue misure (che colpiranno pesante-mente le classi popolari), non solo per ridislocare i rap-porti interni al PD a favore delle componenti più liberi-ste (i Letta, Franceschini, Veltroni, Fioroni, Fassino,Renzi, Ichino, ecc. ecc.), ma per riconsolidare nelle testedella maggioranza del popolo un’idea interclassista dellasoluzione della crisi del paese, dopo il fallimento dellemetodiche illusionistiche del berlusconismo. D’altrocanto senza un tale riconsolidamento non c’è nuovogrande centro che tenga.

Parimenti il Governo Monti è il governo del ricongiun-gimento dell’Italia al corso generale dell’UnioneEuropea e della riconquista di un ruolo significativonella determinazione degli sviluppi di questo corso,fruendo oltre che del prestigio europeo del suo capoanche dell’andamento della crisi italiana, in particolaredel suo lato rappresentato dall’attacco speculativo ai tito-li pubblici, che è ciò che soprattutto mette oggi a rischioeuro e tenuta stessa dell’UE. In ciò, come tra pocovedremo, si cela una trappola micidiale, per la democra-zia, per le condizioni di vita popolari, anche per l’econo-mia del paese. C’è in Monti una particolare determina-zione riguardo a questo ricongiungimento, che può darequalche risultato ma, soprattutto, che è foriero di perico-li. Egli appartiene a quella tipologia di europeisti (come,

Page 35: Dossier di Progetto Lavoro LA CRISI Dossier/1 - dicembre 2011 … · 2019-12-06 · volatilità dei mercati finanziari, che cercano continua-mente occasioni di guadagno, spostano

dossier crisi

35

per esempio, Ciampi, Prodi, Napolitano) per i quali l’u-nità dell’Europa è benefica a prescindere, cioè quale chene sia l’orientamento economico e sociale e quali chesiano gli effetti economici e politici di quest’orienta-mento.

Il Governo della Germania ha impedito ancora unavolta che la BCE, in deroga al suo Statuto, possa inter-venire nell’acquisto sul mercato primario dei titoli pub-blici dei paesi in difficoltà finanziarie (il mercato prima-rio è quello della vendita da parte degli stati dei loro tito-li a “investitori istituzionali”, cioè a banche e altri orga-nismi finanziari). Ovviamente gli acquisti sul mercatosecondario, quello libero, dove l’attacco speculativo hagià realizzato i suoi obiettivi, è poco più di un palliativo.Si parla, di conseguenza, di possibile prossimo finanzia-mento all’Italia da parte del FMI dai 400 ai 600 miliardidi euro al tasso, non regalato ma favorevole, del 4 o 5%:la cosa è più che possibile, Monti in questo senso è dav-vero una garanzia, e indubbiamente sarebbe di grossoaiuto al contenimento dell’attacco speculativo ai titoliitaliani, quindi all’euro. I mass-media oltre a dare perscontata la cosa hanno aggiunto che questo denaro arri-verebbe “immediatamente”. Le procedure del FMIhanno i loro tempi: e nel suo Executive Board gli USApotrebbero porre come condizione del credito all’Italiache la BCE intervenga essa pure direttamente a soste-gno finanziario dei paesi dell’eurozona in maggiore dif-ficoltà. Un tale prestito, ancora, dovrà avere modalitàconcordate con BCE e Commissione Europea.Soprattutto, il FMI non dispone di tanto denaro: dovràchiedere prestiti ai paesi con quattrini, o agli USA stessi,oppure effettuare un’emissione della sua particolaremoneta (utilizzata nelle transazioni tra stati), i “DirittiSpeciali di Prelievo”, che poi però o il FMI o l’Italia (ola BCE?) dovranno piazzare sul mercato finanziario.

La cultura politico-economica, ancora, del GovernoMonti: un liberismo “soft”, nel quadro di una dis-gregazione incipiente in seno al campo politicoliberista occidentale

Prima di addentrarci in una valutazione del programmadel Governo Monti (per sommissimi capi: al momentodella stesura di quest’articolo non ne erano ancora chia-ri i termini precisi), inoltre in quella dei compiti e deiproblemi che si pongono alle forze politiche e sindacalicollocate a sinistra, vogliamo esporre un’ipotesi realisti-ca sul “posizionamento” anche in termini di culturapolitico-economica di questo governo.

Abbiamo già considerato nel numero scorso di questarivista, meno di un paio di mesi fa, il processo decom-positivo, parziale ma significativo, in corso da qualchetempo in uno schieramento liberista occidentale che èstato compatto per ben trent’anni, cioè dove, primadella crisi, la distinzione tra liberisti ultras e “temperati”,in altre parole tra forze di destra e forze di centro-sini-stra, era abbastanza questione di sfumature (fatta salval’Italia, dove da parte degli ultras era in atto un attaccoglobale a Costituzione e assetti istituzionali dello statoed era anche messa in discussione, da una delle loro for-mazioni, l’unità dello stato). Il Presidente statunitenseObama è un po’ la figura paradigmatica di ciò che que-sta decomposizione tende a realizzare sul suo lato sini-

stro: una rimodulazione non ferocemente antisocialedelle politiche di taglio alla spesa pubblica, un tentativodi far pagare più tasse ai ricchi, un tentativo di regolarel’azione puramente finanziaria delle grandi banche, ilreperimento di risorse finanziarie da mettere a disposi-zione di iniziative economiche orientate alla ripresa(infrastrutture, energie alternative, ecc.), tentando così diinvertire la tendenza delle economie occidentali, semprepiù vigorosa e preoccupante, alla depressione e a nuoverecessioni. Si tratta di una sorta di liberismo abbastanza“riformato”. In tempi più recenti, dinanzi all’entrata inrecessione di una parte dell’UE, Obama ha accentuato laposizione, dichiarando che le politiche di “rigore” finan-ziario sono un drammatico errore, avendo ruolo proci-clico. Per molti aspetti la situazione europea presenta giàda tempo alcune condizioni di preoccupabilità superioria quelle degli Stati Uniti: quindi fin dal G7 di settembree in altre occasioni sia Obama che il SottosegretarioUSA al Tesoro Geithner hanno fatto presente ai partnereuropei, anche polemicamente, la necessità, per difende-re l’euro ed evitare che l’Occidente precipiti in recessio-ne, di ridurre la portata pratica della loro ossessione infatto di rientro del debito pubblico dei paesi della zonaeuro, riuscendo così a destinare più risorse finanziarie ainiziative di crescita e, direttamente e indirettamente, allatenuta di occupazione e redditi da lavoro dipendente.

Vero è che Geithner ha pure candidamente dichiaratoche non è vero che ripresa e occupazione risentano posi-tivamente di incrementi di spesa pubblica, quindi chenecessiti continuare a ridurla, allo scopo di investire sem-pre di più. Con ciò egli non solo ha ribadito uno degliindirizzi di fondo del liberismo: ha anche involontaria-mente dichiarato l’intima contraddittorietà ovvero lalarga impotenza della posizione liberista “riformata”.Negli Stati Uniti gli incrementi di spesa pubblica hannoin larga prevalenza riguardato il salvataggio e la ricapita-lizzazione di un sistema bancario: le cui banche d’affarifondamentali però, anziché ringraziare e sostenere i pro-grammi di investimento e di ripresadell’Amministrazione USA, hanno rilanciato alla grandele loro attività speculative, tirandosi dietro tutto il restodel sistema bancario e i vari fondi di investimento.Nell’UE, con effetto analogo, il sistema bancario, caricodi titoli pubblici che perdono valore, bisognoso di esse-re ricapitalizzato, preoccupato dalla vigorosità della ten-denza alla depressione, non solo si guarda dal minimorischio in sede di finanziamento delle imprese ma tendea operazioni competitive rispetto a esse sul terreno dellaraccolta di risparmio. La linea Obama, dunque, nonvuole essere per niente ciò che servirebbe a rimettere inmovimento le economie dell’Occidente, cioè il rovescia-mento keynesiano della linea liberista dei suoi predeces-sori da Reagan in poi, ovvero non intende essere perniente la statalizzazione della grande finanza e degli inve-stimenti fondamentali: ma solo un emendamento di talelinea, significativo per alcuni versi, certo, ma radicalmen-te inadeguato (oltre che orientato a mantenere parte rile-vante degli orientamenti antisociali liberisti). Questo èbene sottolinearlo: non si tratta solo di un’inadeguatezzaquantitativa ma di un corso “qualitativo”, e precisamen-te di classe borghese, nella quale in più l’egemonia è dellafinanza speculativa.

Come al solito qualsiasi cosa decidano gli Stati Uniti fa

Page 36: Dossier di Progetto Lavoro LA CRISI Dossier/1 - dicembre 2011 … · 2019-12-06 · volatilità dei mercati finanziari, che cercano continua-mente occasioni di guadagno, spostano

dossier crisi

36

scuola in Europa: quindi vi sono cominciati ripensa-menti parziali più o meno significativi, in forze soprat-tutto del centro-sinistra europeo, alcune delle quali sisono spinte, come nei casi dei gruppi parlamentari euro-pei socialdemocratico e verde e delle socialdemocraziedi Germania, Francia, Danimarca e Svezia, a critiche aipoteri esecutivi europei e al governo tedesco riguardo altrattamento barbarico e offensivo a cui è stata sottopo-sta la Grecia, inoltre hanno insistito sulla necessità del-l’emissione di bond da parte della BCE, per finanziarepolitiche industriali e investimenti in infrastrutture intutta l’UE. In settori socialdemocratici anzi il liberismocome tale (in quest’area politica, il “blairismo”) apparedecisamente in dissoluzione. Ma ciò che nell’UE apparedi gran punga prevalente, a oggi, è che al liberismo tra-dizionale vengono apportate correzioni parziali di teno-re inferiore, anche qualitativamente, a quelle obamiane;più precisamente, appare nell’UE che sono entrate incampo, e ancora ne entreranno, di converso a brutaliradicalizzazione dei partigiani del liberismo ultra, piùvarianti di liberismo soft. Non sono sempre insignifi-canti le correzioni del liberismo soft: tuttavia appaionoancor più lontane da quelle obamiane dalla possibilità difare il risultato della ripresa delle economie europee. Aciò va aggiunto che l’evidente incapacità liberista anchedi bloccare l’attacco speculativo all’euro (oggi tramitel’Italia: quindi un attacco che può portare al collassodell’UE) produce in tutta l’UE continui mutamenti diposizione anche su partite molto importanti. Bisogneràforse aspettare alcuni mesi perché il polverone europeoriesca a chiarire posizioni ben definite e un senso dimarcia qualsiasi.

Qualche esempio di liberismo soft, per chiarire.Papademos appena insediato a capo del governo grecoha affermato che le politiche seguite in Grecia dal pre-cedente governo Papandreu (imposte ricattatoriamente,si badi, dalla Commissione Europea, in parte su imposi-zione del governo tedesco) sono state radicalmente con-troproducenti riguardo agli obiettivi di rientro del debi-to pubblico e di ripresa economica (colpendo feroce-mente condizioni di vita e capacità di spesa della popo-lazione hanno in realtà buttato il paese in una recessio-ne che è al quarto anno consecutivo e che è giunta al5,5%, quindi hanno non solo annullato ogni possibilitàdi rientro del debito ma aperto la strada al fallimento difatto in corso dello stato). Papademos ha quindi con-cordato con Consiglio e Commissione Europea unasorta di fallimento concordato dello stato, basato suldimezzamento del debito nei confronti delle bancheeuropee. Molto all’ingrosso l’orientamento di Montipare contiguo: nei suoi interventi per la fiducia a Camerae Senato egli ha sistematicamente insistito sulla necessi-tà di un ritmo non precipitoso nel rientro del debitopubblico, sulla necessità di modularlo tenendo conto delciclo (ovvero di ridurre la portata delle misure di “rigo-re” finanziario, in quanto è operante in Europa una ten-denza alla recessione), parimenti sulla necessità di spo-stare risorse sul versante della domanda e sulla necessi-tà di ridurre il prelievo fiscale sui redditi da lavoro dipen-dente oltre che sulle imprese. Pare analogo l’orienta-mento di Draghi, anzi addirittura in transizione verso unsuo liberismo davvero “emendato”: egli si è mosso conuna determinazione ben superiore a quella del suo pre-decessore Trichet nell’acquisto di bond italiani, spagno-

li, francesi, inoltre, violando Trattato di Maastricht eStatuto della BCE, data una situazione europea dove l’in-flazione è mediamente al 3%, ha abbassato il tasso disconto (il costo del denaro dei prestiti a breve terminedella BCE alle banche), ancora, ha richiamato i governieuropei alla realizzazione del Fondo Europeo diStabilizzazione Finanziaria (il cosiddetto Fondo Salva-stati), sottolineando (contro l’avviso del Governo dellaGermania) come esso debba occuparsi degli stati in dif-ficoltà finanziarie (cioè non delle banche), infine (ancorain sostanziale violazione allo Statuto della BCE) ha tra-sformato i prestiti a un anno a tasso irrisorio alle banche(necessari a renderne continuativo il finanziamento afamiglie e imprese) in prestiti a ben tre anni. Si tratta perquanto riguarda questa misura, come ha giustamentesottolineato Eugenio Scalfari in un’editoriale suRepubblica, di un contributo di fatto alla ricapitalizza-zione delle banche europee in difficoltà, più in generale,di una misura a contrasto delle difficoltà da parte banca-ria al finanziamento delle imprese (difficoltà che a suavolta porta all’insolvenza di una parte delle imprese, acrack e alla recessione): esattamente il contrario deldogma liberista, che vuole l’autoregolazione del proces-so economico. E’ una misura insufficiente a fermare latendenza alla recessione (se non altro in quanto nonaccompagnata da altre misure da parte dei poteri euro-pei), ma può ridurne la portata e ammorbidirne gli effet-ti.

Concludendo, il liberismo rimane come complesso diassiomi, stereotipi e regole anche insensate a riferimentodi base del Governo Monti, non c’è di che farsi illusioni:ma ci sono modificazioni. Esse registrano il fatto che illiberismo monetarista duro dei poteri esecutivi europeiha solo aggravato la situazione di crisi delle economiedell’UE, sino a portarla tutta quanta a una tendenzarecessiva di ardua rovesciabilità. Ci si può realisticamen-te attendere che, pur dietro ai dichiarati, obbligati, dato ilquadro parlamentare, di una continuità della linea e del-l’azione di governo rispetto alla corrispondenza traBerlusconi e BCE e Commissione Europea, avvenganoritocchi e risistemazioni dei contenuti di questa corri-spondenza. La Grecia poi (ma non solo) insegna che aglieffetti reali delle politiche antisociali di rientro del debi-to i lavoratori e i sindacati tendono a reagire con moltadurezza e determinazione: e Monti non sembra in gradodi entrare in conflitto con la CGIL uscendone indenne,ancor meno in conflitto con le tre confederazioni, chehanno posto già prima della costituzione del suo gover-no richieste e paletti.

La trappola europea in corso d’opera: un tentativoforse efficace di arresto dell’attacco speculativoall’euro, attraverso una centralizzazione ademocra-tica di poteri al vertice dell’UE e la sanzione defini-tiva di un carattere antisociale delle politiche dibilancio dei paesi membri

Si sta delineando un momento molto pericoloso del pol-verone che agita da oltre due anni a questa parte il livel-lo esecutivo complessivo dell’UE. Governi di Germania,Francia e dei paesi allineati alla Germania, inoltreCommissione Europea e presidenza stabile del ConsiglioEuropeo (Van Rompuy), cioè i portatori del liberismoultra nella zona euro, stanno mettendo a fuoco un’ope-

Page 37: Dossier di Progetto Lavoro LA CRISI Dossier/1 - dicembre 2011 … · 2019-12-06 · volatilità dei mercati finanziari, che cercano continua-mente occasioni di guadagno, spostano

dossier crisi

37

razione orientata, a loro avviso, all’arresto dell’attaccospeculativo all’euro, alla riduzione del debito complessi-vo dei paesi della zona euro, alla ripresa delle loro eco-nomie. Il polverone, risultato di un conflitto traGoverno della Germania da un lato, affiancato da quel-lo francese, e dall’altro Commissione, Eurogruppo, ecc.,si sta risolvendo a favore della Germania, in ogni casosta delineando orientamenti sostanzialmente identici.

L’insieme di questi organismi è in grandi difficoltà. Lacrisi greca è lì a mostrare che il “riaggiustamento strut-turale” che ne sta massacrando la popolazione sortisceeffetti opposti rispetti a quelli auspicati; l’incremento delFondo Salva-Stati è fermo alle intenzioni; l’attacco spe-culativo sta passando all’assalto della Francia e delBelgio, si sta riproponendo in Spagna, sta addiritturatastando la Germania; l’Italia è ad altissimo rischiogreco. Questi organismi debbono trovare una via d’usci-ta al loro fallimento politico, naturalmente confermandola loro posizione liberista ultra.

Veniamo all’Italia. Un ulteriore elemento dell’operazio-ne affidata a Monti tanto dalla sua natura di governoborghese che, più direttamente, dal PresidenteNapolitano, e di cui i mass-media danno una versioneapologetica e deformata o tacciono, rispondendo essiper primi a convenienze generali di classe borghese, è diportare l’Italia alla costituzionalizzazione del pareggio dibilancio. Tra le manie del monetarismo UE, portatoavanti con accanimento dall’avvio della crisi in avanti daparte della Commissione Europea e del Governo dellaGermania, questa costituzionalizzazione c’è già inGermania e è in corso più o meno avanzato in alcunipaesi, non solo dell’eurozona: ed è da metà agosto indiscussione nelle Commissioni Affari Costituzionali eBilancio alla Camera dei Deputati. L’iniziativa era venu-ta dell’ex Ministro Tremonti, che ne aveva investitoCamera e Senato: e le loro Presidenze avevano concor-dato che partisse la Camera. Il Presidente della CameraFini aveva immediatamente telefonato a Napolitano, ilquale aveva ringraziato Fini per la telefonata e si era con-gratulato dell’iniziativa. Gli avanzamenti di quest’opera-zione, per impulso sostanziale del Governo Monti, stan-no avvenendo nel silenzio assordante dei mass-media: letrappole infatti è bene che si sappiano solo quando sonogià scattate. Questa questione della costituzionalizzazio-ne del pareggio di bilancio infatti è, al tempo stesso, digrandissima importanza e di grandissima preoccupabili-tà sotto più punti di vista. Si tratta infatti dell’unicomodo (come si sta chiarendo in questi giorni) per por-tare il Governo della Germania ad accettare gli euro-bond, cioè una sorta di socializzazione all’intera zonaeuro del debito pubblico dei suoi paesi, o di una suaparte (quel 60% rispetto al PIL che i Trattati consento-no). A ciò si assocerebbe la possibilità di affidare all’UE(alla BCE? a un fondo particolare ad hoc?) una politicadi investimenti su scala europea. Insomma al pareggio dibilancio affidato agli stati corrisponderebbe il possibileindebitamento dell’UE? o dell’eurozona? Ovviamenteuna risposta affermativa non può essere data, che que-st’indebitamento sia vero o non vero. Inoltre la costitu-zionalizzazione del pareggio di bilancio dovrebbe fareparte, sempre ad ammorbidire il Governo tedesco, diuna riforma ampia dei Trattati o di un nuovo Trattatooppure di un accordo interstatale che imponga una

governance della zona euro estremamente centralizzata,rigida e coattiva. Un accordo interstale è la cosa più pro-babile, per ragioni di urgenza. Esso esso poi potrà esse-re accorpato ai Trattati in vigore, in un modo qualsiasi.Le forme di questa governance sono in discussione daben tre anni o poco meno, anche perché non c’era accor-do: per il governo tedesco, che probabilmente la spunte-rà (sulla Commissione Europea e altri organismi), dovràtrattarsi di una struttura esecutiva facente capo sostan-zialmente al Consiglio, dentro alla quale ci sarà un vero eproprio ministro europeo delle finanze (in analogia al giàesistente ministro degli esteri, alias Alto Rappresentantedell’UE agli Affari Esteri), che detterà disposizioni inap-pellabili e inemendabili anche dettagliate in tema dibilancio ai paesi della zona euro, inoltre dovrà commina-re immediatamente sanzioni (d’una certa pesantezza) aipaesi che non ottempereranno a queste disposizioni.L’avvio di quest’operazione appare vicinissimo, proba-bilmente nella forma di una proposta franco-tedesca diun “nuovo Patto di Stabilità”.

Com’è chiaro da sé, una democrazia parlamentare chenon disponga più del potere di fare attraverso il suogoverno e il suo parlamento la legge di bilancio dellostato, cioè l’atto legislativo di gran lunga più importante,è una democrazia parlamentare più che azzoppata.Secondo, non si capisce come la ripresa delle economieeuropee possa avvenire senza un certo indebitamentopubblico: non è mai accaduto al mondo. Né si intravve-dono all’orizzonte traini statunitensi: anche gli USAsono investiti da una tendenza recessiva, inoltre nonsono più i grandi acquirenti del pianeta. Tutto quel che èpossibile realizzare per la strada che l’UE probabilmentesta per imboccare è l’arresto dell’attacco speculativoall’euro. Anche grazie al concorso del FMI e a quellodella BCE potrà essere moderata la tendenza recessiva.Non è detto che, in questo quadro, Monti, in quantoattore importante dell’operazione antispeculativa, nonriesca a portare a casa una modulazione delle politiche dirientro del debito pubblico che tenga conto del momen-to del ciclo, cioè sia meno cogente nei momenti di sta-gnazione e di recessione.

Opporsi a posizione generale e programma delGoverno Monti, combatterne fermamente alcuneintenzioni e alcuni obiettivi fondamentali, rivendi-care fermamente alcuni obiettivi altrettanto fonda-mentali. Sapere tuttavia del cambiamento di quadropolitico e dell’opportunità di un periodo di trans-izione

Molta parte degli obiettivi prospettati da Monti in mate-ria fiscale e in materia sociale è davvero inquietante essapure. Ed essi pure appaiono del tutto insufficienti sulpiano della ripresa dell’economia.

Il Governo Monti si prefigge una riduzione del prelievofiscale sui redditi da lavoro dipendente: ma si riprendequesta riduzione con gli interessi, attraverso l’ICI sullaprima casa e (così pare) l’aumento di un punto di un paiodi aliquote IVA o solo di quella al 21%. Insomma è unapartita di giro. A questo si accompagnerebbe semplice-mente una modulazione dell’ICI in relazione ai redditidelle famiglie in possesso di abitazioni e un prelievopatrimoniale (solo sul lato immobiliare) come misura

Page 38: Dossier di Progetto Lavoro LA CRISI Dossier/1 - dicembre 2011 … · 2019-12-06 · volatilità dei mercati finanziari, che cercano continua-mente occasioni di guadagno, spostano

dossier crisi

38

solo straordinaria. Non si ha notizia di una Tobin Taxsulle transazioni finanziarie. Dove stia l’equità socialenon si capisce. L’unità tra generalizzazione del metodocontributivo di calcolo in fatto di pensioni e modulazio-ne premiale dell’età dell’andata in pensione (più tardi civai più prendi) è una misura egualitaria tutta al ribasso senon sa tenere conto dei lavori usuranti e del fatto chequarant’anni continuativi di lavoro sono tanti per chiabbia fatto lavori faticosi e non gratificanti. Soprattuttoun egualitarismo in fatto di contratti di lavoro che sia inlinea con la proposta Ichino risulta tutto al ribasso: alsuperamento del precariato si unirebbe una superiorelibertà di licenziamento del lavoro regolato da contrattia tempo indeterminato, che riguardano la maggioranzadel lavoro dipendente complessivo. Lo stesso vale a pro-posito del contratto nazionale di lavoro: l’appoggio allatendenza padronale a liquidarlo darebbe via libera aldispotismo padronale in fatto di salari e condizioni dilavoro. Su un altro versante di questioni, un conto è lavendita di immobili pubblici spesso inutilizzati e in pes-sime condizioni, altro conto (inaccettabile) è la dichiara-ta ulteriore alienazione del pubblico in sede di servizilocali e statali, di banche e di quanto residua di grandeindustria. Non si capisce come si possa pensare a unaripresa dell’economia italiana senza che essa sia qualifi-cata nei suoi indirizzi, quindi senza che a disposizionedegli orientamenti di governo siano banche e industriapubblica, inoltre senza una grande espansione di que-st’ultima. La tagliola costituita dalla costituzionalizzazio-ne del pareggio di bilancio e dalle privatizzazioni appareperciò una sentenza di condanna perenne al declino, aredditi di lavoro molto bassi, al dualismo nord-sud, alladisoccupazione di massa. Orribile, infine, è l’elogio alle“riforme” Gelmini nella scuola: oltre che inaccettabilisul piano degli orientamenti didattici, del taglio deifinanziamenti alla scuola pubblica e del loro incrementoa quella privata, delle privatizzazioni, del rialzo dellerette universitarie risultano inaccettabili anche in quantoa una ripresa qualificata dell’economia sono assoluta-mente necessarie una ricerca pubblica e quindi unascuola e un’università pubbliche.

In conclusione non solo il Governo Monti non è ungoverno amico ma è un governo avversario. Il suo carat-tere di governo borghese, inoltre, non solo comportamisure estesamente antisociali, ma anche molti elemen-ti di impedimento, aggiunti a quelli definiti in sede UE,allo sviluppo economico dell’Italia. Occorrerà opporsicome sinistra a questo governo, in un rapporto stretto alpopolo, le sue mobilitazioni, i suoi movimenti, le richie-ste che lavoratori e popolo pongono, anche guardandoa convenienze generali (riassumibili in un nuovo tipo disviluppo socialmente e ambientalmente valido).

Parimenti c’è che il Governo Monti rappresenta unarisposta d’eccezione a uno stato d’eccezione che eradiventato pericolosissimo. Inoltre esso deve affrontareun’emergenza fondamentale del paese e cioè l’aggres-sione speculativa ai suoi titoli pubblici. Il rinvio di que-st’emergenza risultante da un’immediata campagna elet-torale per un nuovo parlamento e un governo espressoda questo parlamento in realtà porterebbe, attraversodue mesi di competizione con ogni probabilità sganghe-rata sul versante del Governo Berlusconi, alla precipita-zione della situazione finanziaria del paese oltre la soglia

che porta al disastro, cioè a un crollo finanziario a cuiseguirebbe un crollo produttivo e al fatto che le due coseassieme porterebbero al crollo del complesso delle con-dizioni di vita popolari.

Tutto questo significa che per la sinistra l’utilità delGoverno Monti riguarda pressoché solo il contrastoall’aggressione speculativa ai titoli pubblici italiani: e,anche in questa prospettiva, l’avvio di misure davveroefficaci contro quell’enorme evasione fiscale che reca dasempre danno grave alla condizione generale del paese.Tuttavia la tipologia complessiva delle misure control’aggressione speculativa non può trovare indifferente lasinistra: riguardo al loro merito ci sarà invece da batter-si, sia guardando alla loro efficacia che al loro segnosociale. Senza un prelievo non solo straordinario maanche in forma di tassa ordinaria sui grandi patrimoni lemisure in questione saranno deboli oltre che distribuiteingiustamente nella società, cioè, in via diretta o indiret-ta, prevalentemente a carico del mondo del lavoro, deigiovani, delle donne, dei pensionati. No dunque all’ICIsulla prima casa, sì alla patrimoniale, no ai licenziamenti.

Il Parlamento potrà aggiungere al programma delGoverno Monti dell’altro di suo, segnatamente un cam-biamento della legge elettorale. Se questo avverrà è beneper la democrazia che si tratti di una legge elettoraleproporzionale e con le preferenze; quanto meno, di unacorrezione dell’attuale legge elettorale nel senso dell’in-troduzione delle preferenze.

Operare guardando con grande attenzione alla crisidel bipolarismo, quindi alla crisi non solo delladestra ma anche del centro-sinistra e segnatamentedel PD. Impedire la costituzione di un grande cen-tro, favorire invece la ricostituzione di una sinistralarga e di uno schieramento che unisca sinistra ecentro-sinistra su un programma avanzato

Dal versante europeo, organicamente liberista ultra, lacrisi è stata l’occasione per trasformare in un attaccofrontale globale la sua politica antisociale, avviata all’in-segna del Trattato di Maastricht (1992), fatta di attacchipuntuali e ben preparati alle condizioni di lavoro, allostato sociale e al pubblico in un’iniziativa globale controdiritti del lavoro, stato sociale, condizioni di vita popola-ri. Con una metafora gramsciana, l’UE è passata con lacrisi da una situazione di “guerra di posizione” antiso-ciale a una di “guerra di movimento”. Correlativamenteha cominciato a essere messo in discussione, sempre dalversante europeo, in una forma del tutto originale e benmimetizzata, la democrazia parlamentare, soprattutto neipaesi della zona euro: né poteva andare altrimenti,sapendo che politiche di “aggiustamento strutturale”vieppiù feroci non fossero davvero gestibili dai governidei paesi con le condizioni di bilancio peggiori. A tuttociò ha corrisposto in Italia sul versante sindacale unaradicalizzazione a sinistra della CGIL e sul piano politi-co, tra molte cose, una disgregazione della compattezzaliberista del PD, una dislocazione sempre più estesa esolida a sinistra di aree della sua periferia e del suo elet-torato, una dislocazione del suo potere interno sul ver-sante di qualcosa che sta tra il liberismo obamiano e unsuperamento largo del liberismo in senso tradizional-mente (keynesianamente) riformista, ecc. Ciò ha anche

Page 39: Dossier di Progetto Lavoro LA CRISI Dossier/1 - dicembre 2011 … · 2019-12-06 · volatilità dei mercati finanziari, che cercano continua-mente occasioni di guadagno, spostano

dossier crisi

www.rivistaprogettolavoro.it

influito sulle alleanze strette: anziché con le formazioniliberiste ultra del centro politico, con formazioni alla suasinistra come SEL e IdV. Il PD ha dovuto subire eventicome quelli delle giunte di Milano e di Napoli e i refe-rendum sull’acqua pubblica e contro il nucleare.Evidentemente l’obbligo di appoggiare il GovernoMonti destabilizza verso destra questa situazione delPD. Evidentemente, ancora, la continuazione delGoverno Monti oltre i tempi necessari all’arresto dell’at-tacco speculativo ai titoli pubblici italiani, quindi il pienodispiegamento di suoi obiettivi di portata antisocialecreerà difficoltà alla tenuta stessa della segreteriaBersani. L’attacco di Ichino a Fassina, figura le cui posi-zioni sono contigue a quelle della CGIL, è un primosegnale di queste difficoltà. Non solo. Sempre sul ver-sante politico la nascita del Governo Monti, in quantosu base parlamentare trasversale ed estremamenteampia, ha messo in crisi quel bipolarismo coattivo cheha trasformato il Parlamento in un’assemblea neoliberi-sta quasi unanime e, di conseguenza, ridotto a frastuonosenza contenuti gran parte della dialettica parlamentare.Due formazioni in particolare, in quanto hanno rappre-sentato questa sorta di partito unico liberista fatto di piùpartiti in competizione selvaggia tra loro, il PdL e il PD,appaiono investiti da questa crisi. Niente di strano chealla crisi del PdL e alla sua tendenza disgregativa stiadunque corrispondendo un’accentuazione rilevantedelle differenziazioni interne al PD. Ciò ripropone, daun punto di vista borghese “generale”, la questione delriaddomesticamento del sistema partitico: e se qualcunosi ingegna a inventarsi un rilancio del bipolarismo, latendenza dominante sembra invece quella alla costitu-zione di un grande centro. Concretamente questo sta giàsignificando una pressione dei grandi poteri, dall’ABIalla Confindustria, dal Vaticano ai mass-media “indipen-denti”, sul PD. Il ringalluzzimento e le continue appari-zioni dei Veltroni e c. su televisioni e quotidiani si develargamente a questo. Se il Governo Monti durerà finoalla scadenza naturale della legislatura l’effetto probabi-le di tutto questo sarà, intanto, la costruzione di un rap-porto “strategico” tra PD e UDC, la neutralizzazione (ola sostituzione) di Bersani, infine, se non l’alleanza elet-torale tra PD e UDC, la loro coalizione di governo delpaese, ammesso e non concesso che le misure antisocia-li del Governo Monti non forniscano a Lega eBerlusconi l’occasione di un recupero ampio di consen-si (si badi, in tutta Europa pur in presenza di crescentimobilitazioni del mondo del lavoro e giovanili le elezio-ni le vincono le destre). A sua volta l’UDC opererà, conrisultati allo stato imprevedibili, ma che probabilmente,in ogni caso, non mancheranno, a rastrellare forze oraconnesse al PdL, parte delle quali già sta guardando ingiro per capire come potrà sopravvivere nel pantheondella politica; inoltre premerà sul PD con il ricatto dirastrellarvi parte degli ex democristiani. Sul versanteopposto, infine, appare evidente l’intenzione della CGILdi non permettere che tutto questo avvenga, quindi disostenere la segreteria Bersani.

Queste tendenze alla riorganizzazione globale del siste-ma politico italiano non possono avere la sinistra spet-tatrice indifferente o addirittura contenta del fatto che ilPD rischi di andare in pezzi oppure del prevalere in essodi posizioni e figure sulle posizione di un liberismo softalla Monti. Alle richieste e alle necessità del mondo del

lavoro, dei movimenti, dei giovani, ecc. in questo fran-gente concreto giova l’esistenza di un PD condizionabi-le in quanto il suo liberismo non solo si è fragilizzato maappare suscettibile di un superamento significativo; l’ideainvece che la sinistra possa crescere sulle macerie del PDè tra le tante balordate settarie del momento. Questonon significa per nulla dover attenuare la critica alGoverno Monti: tuttavia significa la capacità di connet-tere critica e obiettivi a comportamenti unitari, assenzadi sparate, connessione forte alle richieste sociali reali,non a quelle fantastiche. Solo così la sinistra sarà e appa-rirà socialmente e democraticamente utile e disporrà diuna reale possibilità di larga espansione.

Ci pare chiaro, in ultimo, come dentro agli accadimentipolitici recenti e in corso si siano fortemente destabiliz-zate, per non dire che siano evaporate, le aspettative siadal lato di Rifondazione Comunista che di SEL in fattodi forma del loro rapporto elettorale e politico al PD,cioè l’idea della prima, già poco realistica alla partenza, diun’alleanza elettorale con il PD su base puramentedemocratica, e l’insistenza della seconda, giunta a essereossessiva, di primarie dentro alle quali Nichi Vendolaavrebbe fatto da mattatore. L’idea di mettere i piedi perterra, di piantarla con le frasi scarlatte e con la retorica, equella di mettersi a discutere assieme e a tentare di colla-borare riusciranno a farsi strada, nei tempi strettissiminecessari? Intanto cominciando a costruire sul serio e subasi serie la Federazione della Sinistra? Non sempre ilrazionale è reale: tuttavia continuiamo a sperare.