DOSSIER A. Pellai S. Mantovani

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Poste Italiane Spa. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 2 DCB/Gorizia Tassa riscossa. Imparare sempre, imparare tutti D. Novara DOSSIER Dalla parte dei genitori L’amore da solo non basta S. Vegetti Finzi Educare durante lo tsunami A. Pellai Il coraggio di essere genitori S. Mantovani Poste Italiane Spa. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 2 DCB/Gorizia Tassa riscossa.

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Poste Italiane Spa. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 2 DCB/Gorizia Tassa riscossa.

Imparare sempre,imparare tutti

D. Novara

D O S S I E R

Dalla partedei genitori

L’amore da solonon basta

S. Vegetti Finzi

Educare durantelo tsunami

A. Pellai

Il coraggio di essere genitori

S. Mantovani

Poste Italiane Spa. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 2 DCB/Gorizia Tassa riscossa.

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L ’ O P I N I O N EIl metodo per aiutare tutti a imparareDaniele Novara

T R E N T E N N A L E C P PAlla pace ci credevamo!Piergiorgio Reggio

N E U R O P E D A G O G I ANativi digitali?Alberto Oliverio

D O S S I E RD A L L A P A R T E D E I G E N I T O R I

Sostenere le risorsedei genitoriDaniele Novara

Non c’è educazione senza amore, ma l’amore da solo non bastaSilvia Vegetti Finzi

Lo tsunami dei figli ha bisogno di genitori educativiAlberto Pellai

Diventare genitori è una scelta coraggiosaSusanna Mantovani

Il copione educativoDaniele Novara

Che fatica distaccarsi dai figli!La Scuola Natura di MilanoSilvia Quarello

Il compagno immaginario nell’infanzia:qualcosa di più del “doppio”Piergiorgio Pedani

I seggiolini sonori sono davvero la soluzione?Claudio Riva

Le nuove famiglie sono ricche di opportunitàPaolo Ragusa

Un percorso a favore dell’autonomia dei figliLaura Beltrami

A P P R O F O N D I M E N T OI genitori nello sport dei figliLucia Castelli

P S I C O L O G I A E V O L U T I V AGestire insulti e parolaccein classeAnna Oliverio Ferraris

L I T I G A R E B E N EL’importante non è fare paceCinzia D’Alessandro

I L G R A F F I OE andiamo con le busteRaffaele Mantegazza

F O C U SLa circoncisione infantilePaola Cosolo Marangon

C R E S C I T A P E R S O N A L EColtivare l’autenticità e saperci farePaolo Ragusa

T R A L E P I E G H E D E L L E B I O G R A F I EMarie Curie, la “donna più famosa del mondo”Marta Versiglia

SOMM

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I L F I L MGreen BookAlessandro Cafieri

R E C E N S I O N I

B A M B I N I N E L M O N D OSilvia Calvi

B A C H E C A C P P

Direttore ResponsabileDaniele Novara

VicedirettorePaola Cosolo Marangon

Comitato di RedazioneMatteo BernardelliLorella BoccaliniAlessandro CafieriPaola Cosolo MarangonElena GattiDaniele NovaraElena PasseriniPierangelo PedaniPaolo RagusaClaudio RivaMarta Versiglia

Comitato ScientificoLuciano CorradiniDuccio DemetrioAnna Oliverio FerrarisGustavo Pietropolli CharmetFulvio ScaparroFrancesco TonucciSilvia Vegetti FinziMichele Zappella

Fotografiep.7 Dal sito di la Repubblica: repubblica.itle_immagini_del_corteo_per_salvare_il_clima; Unsplash: p.15 Luca Upper 97759; p.19 Markus Spiske193031; pp.29,31 foto Comune di Milano; p.49 foto La Locomotiva di Momo

Hanno collaborato a questo numeroLaura Beltrami, Claudia Biasiol, Alessandro Cafieri, Silvia Calvi, Angela Carlet, Lucia Castelli, Paola Cosolo Marangon, Cinzia D’Alessandro, Raffaele Mantegazza, Susanna Mantovani, Daniele Novara, Alberto Oliverio, Elena Passerini, Alberto Pellai, Silvia Quarello, Paolo Ragusa, Piergiorgio Reggio, Claudio Riva, Silvia Vegetti Finzi, Marta Versiglia, Micaela, mamma di Anush, Gianni, papà di Eleonora

Progetto graficoMaria Grazia Agnetti

Stampa Grafica Goriziana s.a.s.Via A. Gregorcic, 1834170 Gorizia

REDAZIONE CONFLITTIVia Campagna 83 ­ 29121 PiacenzaTel. [email protected] ­ www.cppp.it

Spedizione in abbonamento postale CCP n. 34135764costo annuale € 30 ­ abbonamento estero € 32Autorizzazione Tribunale Piacenza: n. 578 del 25/06/2002

rivista italiana di ricerca eformazione psicopedagogica

Anno 18 n. 2-2019 Trimestrale € 8

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È la proposta più avanzata e organicaper conoscere e attivare la gestione maieutica dei conflitti.

Ben distinto dalla violenza, il conflitto èuna risorsa straordinaria per poter affron-tare le relazioni all’interno di una societàparticolarmente complessa come quellaodierna. In questa prospettiva, il corso èla proposta più avanzata e organica perun apprendimento innovativo nella ge-stione creativa e maieutica dei conflitti.Consente di acquisire sia le necessarie at-titudini personali, sia gli strumenti opera-tivi e professionali adeguati per rendereefficace il metodo.Il punto chiave fondamentale è che l’approccio maieutico, proposto dal CPP,permette di utilizzare il conflitto per ge-nerare cambiamenti sostenibili. Questi cambiamenti diventano opportu-nità in ambito intrapersonale, nel rapportocon gli altri, nelle relazioni d’aiuto e nelbenessere organizzativo.

IL CORSO È CONDOTTO DALLO STAFF CPP DA GIUGNO 2019 A FEBBRAIO 2020 A PIACENZA.

È rivolto a chi cerca efficaci competenzenei contesti conflittuali, negli ambiti di lavoro, nelle relazioni di aiuto, nei luoghidi apprendimento educativi e scolastici.

Gli insegnanti possono iscriversi utilizzando il Bonus Docente

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Daniele Novara

Il metodo per aiutare tutti a imparare

Il CPP compie trent’anni e alcune riflessioni sono d’obbligo. Guardandoindietro siamo grati a quanti hanno contribuito ad aiutarci a segnareuna strada. Oggi, quello che ci caratterizza come istituto è l’aver lavo­rato su un metodo più che sui dei contenuti, un metodo che serve adaffrontare la vita imparando. L’apprendimento è la cifra del nostro la­voro: fare in modo che ciascuno possa imparare in ogni situazione, nonsolo i bambini, ma tutti, riuscendo a tirar fuori le proprie risorse.I punti centrali del metodo CPP sono quattro.Uno. Non cercare le risposte ma fare le giuste domandeQuesto è l’elemento metodologico più importante: cercare la doman­da, non la risposta. Chi ha la fortuna di stare con i bambini, lo sa: fannotantissime domande. “Da dove arriviamo? Perché bisogna dormire?Anche tu sei stato bambino?” La tentazione è quella di fornire risposte.Ma le domande dei bambini sono straordinariamente ricche di signifi­cati generativi e vanno restituite ai bambini: “Tu cosa ne pensi? Cosati è venuto in mente?” È l’indicazione che diamo ai genitori: coltivatele domande dei vostri figli.In genere tutte le domande sono da coltivare, a patto che siano ma­ieutiche, cioè chiedano davvero qualcosa che non si conosce. Le altre,le domande di controllo, non generano nulla. Il metodo CPP si fondasul cambiare il paradigma di una cultura troppo centrata sulla rispostae sul controllo.Due. Meglio imparare ad ascoltare che aspettare di essere ascoltatiÈ inutile pretendere che l’altro capisca, le parole sono scivolose e, avolte, sono troppe. È necessario smettere di chiedere o pretendere diessere ascoltati, meglio imparare ad ascoltare. Nel nostro lavoro di con­sulenza osserviamo quotidianamente come questa ricerca sia ineffica­ce. La proposta del CPP è di ribaltare la logica di questa dinamica. Lanostra è una società sempre più suscettibile e permalosa: cambiareprospettiva è oggi estremamente utile se non addirittura necessario.Terzo. Nel conflitto cerca sempre di imparareQuesto è uno dei capisaldi classici del metodo CPP. Il conflitto è un’espe­rienza faticosa, a volte dolorosa. Ma il conflitto è anche elemento essen­ziale del cambiamento e l’evoluzione si fonda sul cambiamento se ci siattiva per imparare. Imparare dai conflitti non è scontato ma è possibile.Ogni conflitto contiene un’anima rigenerativa, la possibilità di un nuovoinizio e di attivare nuove risorse. Per imparare dai conflitti, occorre assu­mere la fatica invece di sfuggirla. Come proponiamo nella formula “so­stare nel conflitto” è questo ciò che permette un cambiamento.Quarto. Non essere buono, non essere cattivoQuesto punto introduce ai temi dei Convegni che stiamo organizzandoin questo 2019: quello di aprile Dalla parte dei genitori, e soprattuttoa quello di ottobre Né buoni, né cattivi sull’alfabetizzazione al conflitto.L’idea che ci guida è proporre un approccio che aiuti a riappropriarcidei codici educativi con cui siamo cresciuti, legati alla dipendenza in­fantile, che ci impediscono di utilizzare appieno le nostre risorse.“Buono” o “cattivo” sono giudizi che derivano dall’infanzia da cui oc­corre liberarsi perché la crescita personale non è un’alleanza con l’edu­cazione ricevuta quanto piuttosto il suo superamento.C’è una frase di Dolci, contenuta in Inventare il futuro, che mi sembraparticolarmente significativa per racchiudere il senso del nostro lavoro:“A non aspettarsi di trovare già pronti e a punto gli strumenti che ci so­no necessari, a costruirli appositamente giorno per giorno, e nel con­tempo a non rifiutare di assimilare quanto può venire da altrove, daaltri tempi si impara”. 5

pedagogista, formatore, direttore CPP - [email protected]

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Noi siamo nati come Centro Psicope-dagogico per la Pace 30 anni fa. Aquell’epoca la parola Pace aveva un sa-pore di lotta e di conquista. Ci aiuta acontestualizzare bene quel periodo? Quando il Centro Psicopedagogico perla Pace nasce, eredita e interpreta leistanze più autentiche del consistentepatrimonio d'impegno e di lotta dei mo­vimenti antimilitaristi e nonviolenti. Ri­cordiamo, tra le altre, le mobilitazionicontro le installazioni di missili a Comi­so, contro i Tornado a San Damiano Pia­cenza. Consistente era stato l'impegnodi persone, gruppi e movimenti come ilM.I.R., il Movimento Nonviolento, o PaxChristi. Insomma un insieme di soggettiche negli anni Ottanta avevano posto alcentro del proprio impegno il tema del­la pace anche con una certa componen­te di antiamericanismo, ereditato daglianni Sessanta e Settanta, che persistevasia pure in un’epoca che si avvicinava alsuperamento dei blocchi.Lei all’epoca era un pedagogista impe-gnato anche nell’educazione alla pace,che cosa significava “educare alla pa-ce”? Più ampiamente che cosa signifi-cava educare trent’anni fa? In generale l'educazione in quel temposubiva ancora gli effetti dell'esperienzadi Barbiana, dello schiaffo al conformi­smo pedagogico dominante. Nascequindi un'educazione diffusa, non piùlimitata solo alla scuola ma con tantee vivaci esperienze sul territorio: do­poscuola, scuole popolari, interventi dialfabetizzazione, attività con giovani eadulti promosse da associazioni, gruppi,sindacati, ma anche da Enti Locali. È de­gli anni Settanta e Ottanta la costituzio­

ne dei Centri di Educazione Permanentee delle Università della Terza Età. L'edu­cazione alla pace veniva intesa da un la­to come impegno politico sociale e, dal­l'altro, come una proposta attiva di ri­cerca delle contraddizioni e di praticaproduttiva dei conflitti sociali e interna­zionali, secondo la lezione che avevamoricevuto da Johan Galtung che, a suavolta, aveva attualizzato l'opera di Gan­dhi.Lei ha militato a lungo all’interno del-le ACLI, quale peso ha avuto quel mo-vimento per la costruzione di un sen-tire comune ed educativo? Cosa è ri-masto oggi? Le Acli degli anni Ottanta e, successi­vamente, anche degli anni Novantasono state un soggetto determinantedel movimento pacifista in Italia. Essesvolsero un’azione culturale e socialedi educazione alla pace diffusa sul ter­ritorio grazie alla capillarità della pre­senza dell'organizzazione attraverso ipropri circoli. Le Acli ereditavano latradizione dell’internazionalismo ope­raio già presente degli anni Settanta,che venne aggiornata rispetto al temadell’educazione alla pace grazie alcontributo strategico e culturale dipersone come Franco Passuello, Gio­vanni Bianchi e dall'impegno di tuttal'organizzazione, in primo luogo diGioventù Aclista, degli allora giovaniClaudio Gentili e Gigi Bobba. Vennecostituito il CEPAS (Centro per la Pacee lo Sviluppo) che teneva strettamen­te collegati i due temi. Successiva­mente l'associazione ha subito tra­sformazioni profonde, in corrispon­denza dei cambiamenti della società

Alla pace ci credevamo!Paola Cosolo Marangon intervista Piergiorgio Reggio

Conve

gno Nazionale CPP

TESTIMONIANZE

di Piergiorgio Reggio

pedagogista, formatore e ricercatore,docente di Pedagogia del ciclo di vita presso l’Università Cattolica del Sacro [email protected]

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stessa. Oggi di quell'impegno riman­gono una forte sensibilità concretaper la dimensione internazionale e lacooperazione con paesi che vivonoconflitti o situazioni di emergenza, eun impegno concreto per i diritti deimigranti, non solo all'accoglienza mauna piena integrazione sociale ancheattraverso il lavoro e la partecipazionealla vita democratica locale.La scuola aveva un profilo di impegnocivico che adesso sembra sparito. Cipuò aiutare a ripercorrere alcune trac-ce di quell’impegno che appartenevaagli insegnanti di quel tempo? Alla fine degli anni Ottanta molti inse­gnanti erano ancora scossi dalle provo­cazioni dell'esperienza di Barbiana e diLettera a una professoressa. Quindil'educazione alla pace si collega alla ten­sione per una scuola più equa, più giu­sta. Sul tema della pace si mobilitaronoin quegli anni gli studenti ma anche i do­centi. Iniziarono le prime sperimenta­zioni di educazione alla pace, in partico­lare nella scuola primaria. A questo pro­posito occorre riconoscere il contributopionieristico del CPP, che per primo ini­ziò sperimentazioni scolastiche, formògli insegnanti, realizzò ricerche ed ela­borò strumenti e proposte metodologi­che. Eppure la scuola italiana, con lapretestuosa giustificazione della neutra­lità intellettuale e del sapere disciplina­re, non ha mai svolto ­ in quanto tale ­un ruolo organico di effettiva coscien-za critica pubblica sul tema della pacee dei conflitti. Certamente gli insegnan­ti più consapevoli si sono impegnati, in

quegli anni e successivamente, soprat­tutto in percorsi di accoglienza e di pro­mozione dell'istruzione degli alunni mi­granti, perché il diritto all'apprendimen­to sia loro effettivamente garantito enon siano segregati in percorsi scolasticimarginali.L’impegno civico oggi sembra scom-parso, educare alla pace ha il sapore divecchio e appassito. Ci aiuta a leggereil presente in questo senso? Trova ter-reno di speranza per le generazionipresenti e future?L’educazione alla pace è stata legata aun’epoca specifica, nella quale ha costi­tuito un elemento cruciale. Oggi, intempi di globalizzazione incontrollata,sono emersi altri temi, che Paulo Freirechiamava “generatori”. Rispetto a questinuovi temi, l’educazione alla pace nonpassa in subordine ma va reinterpreta­ta. Si pensi, ad esempio, ai temi genera­tori emergenti delle tensioni tra i pro-cessi migratori e la necessità di costrui-re società multietniche democratiche.Oppure al tema generatore della re­sponsabilità verso il pianeta. Il paradig­ma della “planetarizzazione” è una pro­spettiva che riformula le contraddizionidella globalizzazione. In questo senso,la presenza nelle piazze di tutto il mon­do di giovani che rivendicano misureconcrete di responsabilità verso il pia-neta costituisce un segnale di grandisperanza. Si tratta di una generazioneche si assume la responsabilità, appun­to, di generare un futuro per chi verrà,che sia vivibile e rispettoso della terracosì come dell'uomo che la abita.

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Spesso ci si chiede se il cervello dei“nativi digitali” possa essere modifica­to dalle nuove tecnologie in cui bam­bini sono immersi. Alcune di esse, co­me nel caso dei videogiochi, sono ge­neralmente basate su una logica etempi diversi rispetto a quelli che ca­ratterizzano il linguaggio e la lettura:esse presentano enormi possibilità,ma devono anche essere usate inmodo accorto.C’è un tempo, infatti, per il gioco realee uno per quello virtuale, un tempoper lo sviluppo del linguaggio e untempo per il mondo digitale: il nostrocervello è definito dalla motricità,dall’esperienza diretta e dal linguaggioe le fasi iniziali del suo sviluppo devo­no trovare un nutrimento adatto. Co­sa significa infatti guardare a una real­tà sempre più astratta, smaterializza­ta, caratterizzata da tempi sempre piùincalzanti?Un lungo documento prodotto inFrancia dal Conseil Supérieur de l’Au­diovisuel, in seguito appoggiato da unparere dell’Académie des Sciences, in­dica come la televisione sia inadatta aibambini di meno di 3 anni quando ilprocesso di crescita deve basarsi sullacapacità di agire sulla realtà, modifi­candola: il mondo che passa attraver­so lo schermo, tv, computer, tablet, ri­schia di rinchiudere il bambino nellaveste di spettatore riducendo la suacapacità di divenire attore, attivandouna trasformazione non priva, nell’etàadulta, di ricadute politiche.

Non bisogna dimenticare che un bam­bino piccolo è attratto da ciò che simuove intorno a lui, che può toccaree modificare: per svilupparsi ha la ne-cessità di percepire di essere in gra-do di trasformare il mondo, un aspet­to della crescita al centro di consoli­date conoscenze degli psicologi dellosviluppo. Le immagini che compaionosu uno schermo, si tratti del televiso­re, di uno smartphone, di un tablet odel computer, non soddisfano questasua necessità, attraggono ma anchefrustrano il bambino: spesso i genitorinotano l’interesse con cui i piccoli ma­nipolano i tasti di un telecomando odi un telefonino, scambiando questocomportamento con una qualche ca­pacità tecnologica e volontà di farcomparire immagini, ma in realtà ilbambino è attratto dalla dimensionetattile dei tasti, dal “far succederequalcosa”. Se i tasti sono quelli di unaconsole, cui spesso ricorrono i genitoricome forma di babysitting tecnologi­co, il bambino viene catturato dal mo­vimento degli oggetti o dei personaggidel programma, la sua attenzione as­sorbita da ciò che provoca nella vicen­da virtuale: è un’immersione che losottrae alla concretezza del gioco, al8

Nativi digitali?Alberto Oliverio

neurobiologo, docente di Psicobiologia alla Sapienza di Roma - [email protected]

È il bambino che decidedi prestare attenzione

a un compito particolare

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movimento, all’immaginazione auto-noma, generando forme di dipendenzadal mondo virtuale creato dalle imma­gini e suoni della console, un fatto cheinduce gli esperti a bandire la gran partedei videogiochi prima dei 6­7 anni.Un altro aspetto problematico della te­levisione riguarda le capacità di con-centrazione infantile, al centro di nu­merose ricerche motivate dalle fre­quenti difficoltà di concentrazione sco­

lastica. Va detto an­zitutto che

le conseguenze dell’esposizione allenuove tecnologie non riguardano tantola qualità dei giochi o di ciò che vieneosservato, quanto i tempi di esposizio­ne. Diversi studi longitudinali dimostra­no che esiste un rapporto diretto tra itempi spesi nei videogiochi o di frontealla tv e le capacità di attenzione dibambini e ragazzi. Ad esempio, alcunistudi indicano che un bambino piccoloche consumi un’ora di televisione algiorno avrà un rischio di deficit d’atten­zione nel corso della scuola primariadue volte superiore rispetto a chi nonla guarda.Ci si può domandare come mai i bam­bini che sono assorbiti e in apparenza“attenti” di fronte al televisore o ai vi­deogiochi presentino delle difficoltà diconcentrazione a scuola o in altre si­tuazioni in cui è necessario raccoglier­si. In realtà non si tratta delle stesseforme di attenzione perché nel primocaso l’attenzione del bambino è cattu­rata in modo automatico dal rapidosuccedersi delle immagini sullo scher­mo: si tratta del sistema di attenzioneselettiva in rapporto agli stimoli visivi,già attivo nel corso dei primi mesi di

vita quando il lattante fissa qualsiasistimolo nuovo che compaia nel suocampo visivo e tende a seguirlo.Nel secondo caso invece, adesempio quando un bambino oragazzino deve risolvere un pro­

blema aritmetico o matemati­co, entra in gioco un tipo di

controllo volontario, legatoalla motivazione: è il bam-bino che decide di prestareattenzione a un compitoparticolare e questa capaci-tà deve essere sviluppatanel corso degli anni, non è

un automatismo.

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DOSS

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Il CPP è sempre stato dalla parte dei ge­nitori. Lavoriamo da anni con madri epadri nell’intento di aiutarli nel lorocompito educativo e certamente ci ren­diamo conto che oggi i genitori speri­mentano una fragilità educativa inedita,mai rilevata nella storia. Spesso si sentedire che i genitori di un tempo erano mi­gliori: noi siamo convinti che non sia ve­ro, e che la nostalgia non porti da nes­suna parte. Non si tratta infatti di unaquestione di responsabilità individualema di storia generazionale, di trasforma­zioni sociali e culturali che dobbiamo im­parare a riconoscere e leggere e su cuipossiamo lavorare insieme. È un tempocomplesso, ma offre anche la possibilitàdi attingere a tante nuove ricerche e stu­di sulle relazioni genitore­bambino chepossono guidare chi supporta famiglie egenitori a fare molto meglio in campoeducativo. Insieme possiamo farcela.

I GENITORI DI OGGI, FIGLI NEGLI ANNI OTTANTAI genitori di oggi sono i bambini deglianni Ottanta, i primi ad aver avutoun’infanzia completamente diversa ri­spetto a quella delle generazioni prece­denti: per la prima volta nella storia, latelevisione ha preso il posto del giocospontaneo con i coetanei. I bambini de­gli anni Ottanta sono la prima genera­zione ad aver avuto un’infanzia non in­fantile, cioè non basata sul gioco, sullanatura e sul gruppo. Queste tre dimen­sioni sono state per millenni i pilastridell’infanzia: anche in termini etologici,studiando il comportamento degli ani­mali, si osserva che i cuccioli fanno vitaseparata dagli adulti e agiscono unacomponente sociale specifica basata sulgioco. Negli anni Ottanta, improvvisa­mente, questa caratteristica della vitainfantile si è modificata e i bambini sono

stati fatti rientrare in casa, tolti dalla di­mensione della “cucciolata”, dal gruppospontaneo di amici e cugini e sono stati“bloccati” davanti alla tv commerciale.Tutti i bambini degli anni Ottanta si sonofatti mediamente due ore al giorno da­vanti alla televisione.La tendenza sociologica di quegli anniprevedeva un investimento emotivo sulfiglio e una sorta di “ritiro”, anche pro­prio fisico, dentro casa, nella dimensio­ne domestica. In quel periodo il narcisi­smo da malattia è divenuto uno statopsicologico collettivo, una dimensionesociale. Dal punto di vista neurocogniti­vo questo ha prodotto nei bambini ca­renze sul piano emotivo. Parliamo diuna generazione che ha avuto un’infan­zia meno attiva e più passiva, vivendodecisamente meno esperienze di rela­zioni spontanee con altri bambini, pro­prio quelle che permettono lo sviluppodelle capacità autoregolative, special­mente sul piano emotivo.

UNA QUESTIONE DI AUTOREGOLAZIONEEMOTIVASi possono allora trarre due osservazio­ni importanti da queste trasformazioni:da un lato si è persa la fiducia nelle ca­pacità di autoregolazione dei bambini,e dall’altro i bambini sono stati sottrattialla dimensione sociale, alla comunitàeducativa, per una sorte di processo diprivatizzazione che ha trasformato i figliin proprietà assoluta dei genitori. La tvnegli anni Ottanta, piuttosto che il tableto lo smartphone oggi, sono lo strumen­to per esercitare questa proprietà. Seoggi i genitori, avendo avuto grossi de­ficit nella propria infanzia, gestiscono ifigli secondo una logica che non corri­sponde ai bisogni infantili, spesso èsemplicemente perché manca loro lamemoria di cos’è l’infanzia.

Sostenere le risorse dei genitori

Daniele Novara

pedagogista, formatore, direttore CPP - [email protected]

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131 N. Postman, La scomparsa dell’infanzia. Ecologia delle età della vita, Armando Editore, Roma 1991.

A fronte di questo si è sviluppato un ec­cesso di immedesimazione emotiva, unamancanza di quella distanza che invecepermette di educare un figlio. Oggi i litigifra bambini generano un inedito allarmenei genitori. Vediamo ogni giorno mam­me che si preoccupano: “Chi ha graffiatomio figlio?”; “Chi gli ha preso la gom­ma?”. I genitori urlano, tutti, ma urlareè legato a un eccesso emotivo: vuoi chetuo figlio ti ascolti, però è una richiestaimpropria perché nessun figlio ascolteràmai del tutto un genitore, e allora urli.Il tema è l’autoregolazione. Per secoli igenitori si sono fidati dell’autoregolazio­ne infantile, mentre a un certo punto,l’ha ben analizzato Neil Postman nel suolibro La scomparsa dell’infanzia1, è ve­nuta meno la fiducia nella capacità au­toregolativa dei bambini tant’è che oggii genitori si sostituiscono continuamen­te a loro. Ma queste mosse sbagliate ge­nerano patologie, e le difficoltà infantilioggi sono sotto gli occhi di tutti. Se nonti fidi dell’autoregolazione infantile ti so­stituisci, ma siccome questo meccani­smo è fallimentare, il bambino si blocca,riduce la sua autostima e le sue poten­zialità e finisce nelle braccia del neurop­sichiatra infantile. Per questo occorrerestituire ai genitori la fiducia nelle ca­pacità dei bambini, ad esempio con leregole educative.La nostra società vive oggi la percezione

dei figli come di esseri molto impegna­tivi. Ma la cura, la condivisione educati­va, non può essere una questione cheriguarda solo la coppia genitoriale: èfondamentale che un figlio possa essere“condiviso”, e questo permette di averesponde, altre possibilità, che non sia so­lo l’inquietante dominanza possessivadei genitori. La condivisione, nella logicadella comunità educativa, funziona co­me riduzione dell’incombenza narcisi­stica genitoriale, la diluisce.C'è una sensibilità positiva, ma non è li­neare. Si cercano e si trovano tante in­formazioni sull’infanzia, l’adolescenza,sul come crescere i figli, ma si trovanoanche tante informazioni errate, privedi alcun fondamento scientifico. Sonorari i genitori che seguono una linea pe­dagogica, più che altro sono sballottatitra una suggestione e l’altra. Il rischiodel genitore­fai­da­te è molto elevato.Abbiamo così pensato a questo Dossier,come approfondimento in preparazioneal Convegno che si terrà ad aprile a Pia­cenza.Il convegno per noi è una necessità, co­me le scuole genitori e gli sportelli di con­sulenza pedagogica. L’esperienza del CPPin questo campo ci aiuta ad avere fiducianella possibilità di liberare le risorse cheogni genitore ha, di ritrovare il propriocompito educativo. È possibile, serve or­ganizzazione educativa.

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Come CPP da trent’anni lavoriamo“dalla parte dei genitori” nella convin-zione che sia importante congedarsidal genitore “fai-da-te” per costruireun nuovo modello di genitore “educa-tivo”. A suo avviso come si può facili-tare questo passaggio per costruire ef-fettivamente una comunità educante? Siamo tutti d’accordo che inizialmente,prima di mettersi al volante, è necessa­rio seguire un corso e sostenere un esa­me di abilitazione alla guida. Eppurenessuno si stupisce se i genitori diven­tano tali senza alcuna preparazione. Misi dirà: si è sempre fatto così. È vero, mail mondo è cambiato e molto rapida­mente. Un tempo le generazioni si sus­seguivano trasmettendo l’una all’altra ilpatrimonio di sapere e saper fare cheavevano ricevuto in eredità. Ora il tes­suto sociale tradizionale si è disgregatoe le giovani famiglie sono spesso sole.In molti casi i nonni vivono lontani e sevicini sono utilizzati più come babysitterche come presenze sagge e rassicuranti.Assistiamo a un’inversione senza prece­denti: sulle nuove tecnologie i bambinine sanno più dei genitori che non sem­pre riescono a seguirli nel mondo digi­tale, uno spazio illimitato, tanto avvin­cente quanto pericoloso. Divenuti ado­lescenti, i nostri figli ci sfuggono el’affetto non basta per raggiungerli estabilire un dialogo costruttivo. Anche ilrapporto scuola­famiglia si è fatto diffi­cile da quando il futuro si è oscurato enon sappiamo più a che mondo dobbia­mo prepararli.

Per evitare di cadere nell’ansia e nelloscoraggiamento è necessario stabilirenuove solidarietà: tra figli e genitori, trapadre e madre, tra insegnanti e alunni,tra scuola e famiglia. Ma per far questoè necessario procedere insieme indivi-duando le difficoltà, le regressioni e iconflitti, trovando le parole per dirli. Ildialogo non s’improvvisa, va affrontatocon la guida di figure autorevoli e pre­parate. Non si tratta di proporre ricette,ma di rendere ciascuno in grado di as­sumersi le proprie responsabilità e disvolgere il compito educativo che glicompete nel modo migliore, nella con­vinzione che non c’è educazione senzaamore ma l’amore, da solo, non basta.

Diventare genitori è come intrapren-dere un misterioso, affascinante e fa-ticoso viaggio. Quali sono, secondo lei,tre parole che non possono mancarenella valigia di ogni genitore?La metafora del viaggio mi sembra par­ticolarmente indovinata perché metteinsieme il previsto e l’imprevisto, ciòche abbiamo programmato e ciò chenon conosciamo. Importante partirecon un bagaglio adeguato, in cui nonpossono mancare intelligenza, fiduciae speranza.

Fragilità emotiva, vissuti autobiografi-ci, colpevolizzazione e paura del con-flitto spesso impediscono ai genitori diriappropriarsi del proprio compitoeducativo. Qual è la sua opinione inproposito?

Non c’è educazionesenza amore, ma l’amore da solonon basta

di Silvia Vegetti Finzi

psicologa, psicoterapeuta, già docente di Psicologia Dinamica all’Università di Pavia,[email protected]

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La fragilità emotiva ostacola l’educazio­ne quando non è riconosciuta, quandoil genitore vede i punti di debolezza delfiglio ma non i propri. Per conoscere l’al­tro dobbiamo conoscere noi stessi. Nonsi tratta di essere perfetti ma di mettersiin gioco, di essere disposti a cambiare. Si ha spesso l’illusione che, se potessi­mo svitare la testa dei ragazzi sostituen­dola con una nuova, come si fa con lelampadine fulminate, tutto sarebbe ri­solto. Ma noi possiamo intervenire so­prattutto sulle relazioni che intrattenia­mo con loro cercando di comprenderli,di comunicare meglio e di stabilireun’empatia reciproca. Quanto ai vissutiautobiografici, essi intervengono inevi­tabilmente nel rapporto educativo madivengono patologici solo quando, rele­gati nell’inconscio, non riconosciuti, agi­scono come inconsapevoli ripetizioni.

I genitori hanno le risorse per educa-re bene. Ha qualche esempio trattodalla sua esperienza professionale incui “sembrava impossibile ma ce l’-hanno fatta”?Per fortuna la maggior parte dei genitorice la fa. Le risorse ci sono ma si tratta dimetterle in atto continuando a incre­mentarle e perfezionarle senza timore di

chiedere aiuto e sostegno. L’importanteè sbagliare il meno possibile: seguire larotta sapendo che il timone va tenutosotto controllo e che può sempre acca­dere di sbandare, trovare una secca o af­frontare una tempesta. Nulla di male poise si decide, tornati in porto, di ripartirepiù preparati e attrezzati di prima.Ciò che conta è restare duttili, aperti,disponibili, disposti ad ammettere ipropri errori e a perdonare quelli de-gli altri. Sono convinta che nessuno co­nosca i propri figli come i genitori che,non solo li hanno messi al mondo, maogni giorno li accudiscono, li seguono,li sostengono amorevolmente. Purché,rinunciando progressivamente al pote­re e al possesso, siano disposti a la­sciarli andare, ad accettare che diven­tino se stessi, magari diversi da come liavevano sognati e cresciuti. Senza tut­tavia mai sospendere l’attenzione e ladisponibilità.

La fragilità emotiva ostacola l’educazione

quando non è riconosciuta

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Come CPP da trent’anni lavoriamo“dalla parte dei genitori” nella convin-zione che sia importante congedarsidal genitore “fai-da-te” per costruireun nuovo modello di genitore “educa-tivo”. A suo avviso come si può facili-tare questo passaggio per costruire ef-fettivamente una comunità educante? Bisogna rimettere il tema dell’educa­zione “al centro”. Intendo al centro del­la vita comunitaria, del progetto politi­co, del dibattito culturale, della rifles­sione intellettuale. E soprattutto biso­gna facilitare la condivisione di idee,esperienze e competenze all’internodel mondo delle famiglie e degli adultiche vivono a fianco di chi sta crescen­do. L’educazione sembra essere spari-ta dall’agenda politica, è stata depri-vata di fondi e progetti a livello loca-le, regionale e nazionale. E le stessefamiglie spesso hanno avuto l’illusioneche crescere un figlio fosse un’espe­rienza da realizzare nel qui ed ora. Ov­vero, quando arriva una sfida educati­va, la affronto. Invece l’educazione èanche autoformazione, rielaborazionedella propria storia di vita, confronto eascolto dell’altro.

Diventare genitori è come intrapren-dere un misterioso, affascinante e fa-ticoso viaggio. Quali sono, secondo lei,

tre parole che non possono mancarenella valigia di ogni genitore?Passione: la vita ti deve appassionare,così come la tua avventura genitoriale. Scoperta: ogni giorno, con un figlio afianco, scopri un nuovo pezzo. Di te e dilui. Condivisione: non si può fare tutto dasoli. Non si può crescere un figlio pen­sando che la propria famiglia sia un’iso­la, sconnessa dagli altri, dal mondo incui siamo immersi. E in una prospettivaemotiva­affettiva, sceglierei anche leparole: sguardi, amore, fatica.

Fragilità emotiva, vissuti autobiografi-ci, colpevolizzazione e paura del con-flitto spesso impediscono ai genitori diriappropriarsi del proprio compitoeducativo. Qual è la sua opinione inproposito?È vero a volte si viene travolti da vissutiche generano impotenza, tolgono auto­efficacia, riempiono di sensi di colpa.Tutti elementi che in realtà non ci ren­dono genitori migliori, limitano e a voltabloccano la spinta verso l’altro, la giusta“carica energetica” che ci permette diessere genitori capaci di metterci in gio­co. Penso che oggi molti genitori abbia­no anche il terrore di sbagliare, circon­dati come sono da modelli di perfezio­nismo assoluto, che poi riversano anche

Lo tsunami dei figliha bisogno di genitori educativi

di Alberto Pellai

medico, psicoterapeuta età evolutiva,ricercatore presso il dipartimento di scienze biomediche, Università degli Studi di [email protected]

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sulle aspettative che nutrono nei con­fronti del proprio figlio. Sono tutte cate­ne che ci intrappolano, che limitano lanostra disponibilità emotiva e affettiva.Cose di cui possiamo con tranquillitàimparare a fare a meno.

I genitori hanno le risorse per educarebene. Ha qualche esempio tratto dallasua esperienza professionale in cui“sembrava impossibile ma ce l’hannofatta”?“Dottore, mi aiuti, mio figlio mi odia”:una mamma mi ha raccontato così cosale era rimasto di una tremenda lite conil proprio figlio pre­adolescente che, vi­stosi sottrarre il cellulare nel pieno di unvideogioco al quale aveva dedicato ore,l’aveva assalita, prima con brutte parole

e poi anche fisicamente. Una scena di“caos famigliare” dove tutto era esplosoe le relazioni sembravano congelate esmembrate. Con calma abbiamo rivistola scena della crisi, abbiamo compresocosa stava succedendo nella mente delfiglio, perché si era verificata quella rea­zione tsunamica, e cosa si poteva fareper rientrare in contatto l’uno con l’al­tro, lavorare sulla definizione di regolechiare e condivise. Poche sedute contaglio educativo e una famiglia ha ri-cominciato a vedere la luce. Soprattut­to abbiamo imparato che un genitorearrabbiato e spaventato diventa unadulto spaventante, incapace di fare daguida alla crescita per un figlio. Una le­zione che dovremmo tutti tenere nellamente e nel cuore.

Penso che oggi molti genitori abbiano anche il terroredi sbagliare, circondati come sono da modelli

di perfezionismo assoluto

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Come CPP da trent’anni lavoriamo“dalla parte dei genitori” nella con-vinzione che sia importante conge-darsi dal genitore “fai-da-te” per co-struire un nuovo modello di genitore“educativo”. A suo avviso come si puòfacilitare questo passaggio per co-struire effettivamente una comunitàeducante? I genitori, come i genitori di tutti i tem­pi, desiderano il meglio ­ il bello, il buo­no e il giusto ­ per i loro figli. Questi va­lori avevano fino a qualche decennio faun ancoraggio nella cultura di riferi­mento di ogni famiglia. Oggi le solleci­tazioni incessanti, le informazioni spes­so sommarie ma innumerevoli, le indi­cazioni formulate in forma di ricetteprive di valori di riferimento disorien­tano, generano insicurezza e possonoportare a scelte e comportamenti con­traddittori che finiscono per mettere incrisi anche i bambini rendendoli diffi­cilmente gestibili. E un bambino diffi­cile da gestire nella vita quotidiana nonè un bambino che sta bene davvero.Sono convinta che il confronto attra-verso la discussione pacata e il dialo-go regolare con altri genitori e conprofessionisti esperti, ma non deposi­tari di verità, siano uno strumento im­portante. Incontri nei quali ci si con­fronti su quello che si fa, sul senso che

ha e si individui con calma, insieme,che cosa è possibile fare, analizzandole difficoltà che si affrontano durante illungo il percorso e ipotizzando insiemecome superarle. Incontri e percorsi co­muni, non spot.

Diventare genitori è come intrapren-dere un misterioso, affascinante e fa-ticoso viaggio. Quali sono, secondolei, tre parole che non possono man-care nella valigia di ogni genitore?Fiducia, pazienza, imperfezione.

Fragilità emotiva, vissuti autobiogra-fici, colpevolizzazione e paura delconflitto spesso impediscono ai geni-tori di riappropriarsi del proprio com-pito educativo. Qual è la sua opinionein proposito?Diventare genitori oggi è una scelta co­raggiosa. Chi la fa, oggi che si può sce­gliere, ha dunque coraggio. Il coraggio(non l’incoscienza) unito alla tenacia èl’opposto della fragilità. Fragili dunquesi diventa, ci si infragilisce se non si in­contrano fattori protettivi, fattori di re­silienza, prima di tutto relazioni suffi­cientemente buone che ci sostengano,che permettano di percorrere il lungocammino dell’educazione dei nostri fi­gli. Oggi il tempo e la tenacia sonomerce assai rara che va cercata e spes­

Diventare genitori èuna scelta coraggiosa

di Susanna Mantovani

pedagogista, già docente di Pedagogia Generale e Sociale all’Università degli studi di Milano [email protected]

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so ricreata dentro di noi. Ma da qual­che parte c’è e si può coltivarla.

Come vede le nuove famiglie oggi?Coraggiose: fanno i figli in un mondopoco incoraggiante.Con i papà: molto più di prima, findall’inizio. Una novità straordinaria.Impegnate: vogliono il meglio per i lo­ro bambini, ma il meglio che cos’è?Hanno le antenne: captano il nuovoma fanno fatica a decifrarlo e a parlar­ne tra loro.Preoccupate per il futuro: e chi non losarebbe?

Contraddittorie: tra sensibilità emoti­va e desiderio di prestazione.Confuse: troppi input.Impazienti: cercano soluzioni imme­diate, ma l’educazione è un processolungo.Preoccupate per i bambini: ma i bam­bini sono fortissimi e “ce la possonofare”.

Ci si infragilisce se non siincontrano fattori protettivi

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IER Il copione educativo

L’influenza dell’educazione ricevuta sui percorsi di crescita personale

di Daniele Novara

IL COPIONE EDUCATIVOCiascuno di noi non è semplicemente ilrisultato di una mistura genetica e psi­cologica, ma anche di una serie di com­portamenti educativi che in maniera in­consapevole hanno determinato il no­stro modo di esistere.Ho racchiuso questa convinzione in unconcetto nuovo, ancora da esplorare eaffinare: il “copione educativo”.Non esistono ricerche specifiche suquesta bozza di costrutto perché l’hoelaborato negli ultimi anni sul pianoempirico, nel lavoro quasi quotidianocon i genitori. Ne incontro moltissimi e,nel parlare dell’educazione dei loro figli,sono spesso disponibili a esplorarel’educazione che loro stessi hanno rice­vuto. Ho così scoperto che alle spalle diun genitore in particolare difficoltà, sinasconde un’educazione di un certo ti­po, una modalità di relazione educativache in qualche modo ha profondamen­te ferito quella persona. Esiste in psicologia un concetto simile aquello di copione educativo: è quellodel “copione di vita”, lo “script”, del­l’Analisi Transazionale elaborato da EricBerne. Eric Leonard Bernstein era unopsicologo e psicanalista canadese chenegli anni Cinquanta e Sessanta maturò,come molti altri del calibro di AbrahamMaslow e Carl Rogers, un progressivodistacco dalla psicanalisi tradizionale,elaborando una nuova teoria della per­sonalità e del comportamento socialeche sarà appunto l’Analisi Transazionale.

In Italia questa teoria fu studiata e ap­prezzata anche da Franco Fornari, chescrisse l’introduzione al libro dello psi­chiatra statunitense Thomas Harris Iosono Ok, tu sei Ok1 in cui si divulgavanoi concetti fondamentali dell’Analisi Tran­sazionale e la loro possibile applicazionenella vita quotidiana.Berne con il suo lavoro introduce il con­cetto di “copione di vita” dandone que­sta spiegazione: “I copioni sono basatisulla programmazione che i genitori im­pongono e che il bambino accetta pertre ragioni. Uno: è in grado di avere unoscopo nella vita che altrimenti potrebbeesserne priva. Il bambino compie lamaggior parte delle sue azioni per esse­re amato e accettato di solito dai suoigenitori. Due: gli garantisce la possibilitàdi strutturare il suo tempo in modo ac­cettabile o perlomeno accettabile per isuoi genitori. Tre: quasi tutti hanno biso­gno di sentirsi dire come fare le cose.Imparare da soli può essere stimolantema, oltre ad essere faticoso, non è moltopratico. Non si diventa dei bravi piloti di­struggendo un po’ di aerei e facendo te­soro delle esperienze sbagliate, si puòimparare dai fallimenti altrui non daipropri. Così i genitori programmano ibambini trasmettendo loro quantohanno imparato o meglio quanto pen-sano di aver imparato. Se i genitori so­no perdenti, riusciranno a trasmetteresolo dei copioni da perdenti, e lo stessovale nel caso siano dei vincitori. Ne risul­ta comunque che il taglio del copione è

1 T.A. Harris, Io sono Ok, tu sei Ok. Come vivere al meglio il rapporto con gli altri, BUR Rizzoli, Milano 2013, primaedizione italiana 1974.

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condizionato dalla programmazione pa­rentale, mentre il bambino è spesso li­bero di scegliersi una trama personale”2.Quello di copione è un concetto su cuiBerne insiste: “Un copione richiede: 1.ordini trasmessi dai genitori; 2. uno svi­luppo della personalità adeguato; 3.una decisione presa durante l’infanzia;4. un effettivo entusiasmo per un meto­do particolare per ottenere tanto il suc­cesso che il fallimento; 5. un atteggia­mento convincente. […] Ogni individuodecide nella sua prima infanzia la pro­pria vita, la propria morte, quel pro­gramma che si porterà dentro ovunquevada che chiameremo d’ora in avanti ilsuo copione, o script”3.In sostanza Berne era convinto che mol­ti degli schemi di vita e comportamen­tali di un individuo abbiano origine nel­l’infanzia, e si strutturino come un ripro­porsi continuo di strategie apprese inquel periodo della vita in risposta a uncerto tipo di approccio genitoriale.Gli scritti di Berne comunque non defi­niscono del tutto chiaramente questoconcetto anche perché lo psicologo nonha lasciato un corpus specifico di testi,

ma indubbiamente si tratta di un riferi­mento molto interessante, ripreso e riu­tilizzato in modo diverso anche dalla psi­cogenealogia, che può aiutare a chiariremeglio cosa intendo con “copione edu­cativo”.Il copione educativo è quella forma ri-cevuta con l’educazione che segnaprofondamente ciascuno di noi e in uncerto senso ne definisce la strutturastessa della personalità. È una sorta di“imprinting” (affine a un altro concettomutuato dalla psicologia, in particolaredal pediatra e psicanalista D. Winnicot),un elemento sostanziale e pervasivo.L’immagine che collego al copione edu­cativo è quella della creta: come se cia­scuno di noi fosse creta che durante l’in­fanzia viene inserita in una forma. Il co­pione educativo è la forma che poi avre­mo per tutta la vita, una pelle che indos­siamo e che ci appartiene, un modo divivere, di rapportarci alla vita.Potrebbe essere confuso con il caratte­re, ma in realtà il concetto di carattereè molto controverso: sviluppato agli inizidel Novecento da alcuni psicologi nonesiste una vera ricerca scientifica sui ca­

2 E. Berne, Ciao!... e poi? La psicologia del destino umano, Bompiani, Milano 1994, p. 42.3 E. Berne, Ciao!... e poi? La psicologia del destino umano, op.cit., p. 35.

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IER ratteri. Jung ad esempio parlava di “tipi

psicologici” e sviluppando l’idea che esi­stano alcune strutture di personalità,senza però che vi sia stato in seguito unostudio vero e proprio di questa teoria.Direi allora che il codice pedagogico piùche definire un “carattere” struttura unacerta disposizione, un orientamento, unapproccio peculiare alla vita, cioè moda­lità complessive di affrontare l’esistenzache si strutturano durante l’infanzia apartire dall’educazione ricevuta.Il copione educativo definisce ciascu-no di noi: sei stato educato così! Po­trebbe sembrare affine a un altro con­cetto che ho elaborato, quello di “tastodolente”4, ma in realtà il tasto dolentesi pone in una logica di reazione men­tre il copione pedagogico è in una logi­ca di imprinting. Entrambi si struttura­no durante l’infanzia, ma se il tasto do­lente è un condensato emotivo che ri­suona in noi in alcune particolari situa­zioni, soprattutto conflittuali, e ci spin­ge a reagire in un certo modo, definen­do quindi paradossalmente un ele­mento anche di resilienza, perché è ilmodo che abbiamo appreso per reagi­re e gestire il dolore derivato da man­canze e sofferenze che abbiamo vissu­to e sperimentato da bambini, il copio­ne educativo è piuttosto un abito, unapelle che indossiamo.Può nascere all’interno dell’albero ge­nealogico, collegato quindi non tantoall’esistenza dell’individuo ma piutto­sto alle esistenze dei suoi genitori, op­pure può svilupparsi in collegamentoad eventi verificatesi durante la gravi­danza della madre, durante il parto onei primi anni di vita, non oltre. Con lapreadolescenza e l’adolescenza infattisi sviluppano movimenti di separazio­ne e allontanamento dalle figure geni­toriali che bloccano il continuare astrutturarsi del copione educativoquindi escludo che eventi successivi al­la prima infanzia, oltre i dieci anni di vi­ta, possano influire.Indubbiamente, comunque, il momentoprincipale dello strutturarsi del copione

sono i primissimi anni, dalla nascita alsesto anno, un periodo della vita dovele difese sono bassissime e la dipenden­za dalle figure genitoriali o da figureadulte di riferimento è al massimo.

QUALCHE ESEMPIO DI COPIONE EDUCATIVODato che è un ambito di ricerca e studiosu cui ho iniziato a lavorare da poco,non esiste un elenco di copioni pedago­gico/educativi già in qualche modo de­finito. Esiste una casistica con la qualemi imbatto frequentemente nella miaprassi di consulenza ai genitori. Alcunicopioni sono più immediati e facili dacogliere, altri invece sono più complessie non emergono immediatamente.Spesso tra quelli che emergono conpiù evidenza ci sono il vittimismo, l’eu-foria, l’umorismo, la distrazione siste-matica, la rassegnazione, l’autosvalu-tazione, la petulanza, l’ipercontrollo,l’autolesionismo, la ricerca di risarci-mento.Un copione pedagogico di autosvaluta­zione può derivare, ad esempio, da unaprassi educativa genitoriale di svaluta­zione sistematica. Una madre che utiliz­za inconsapevolmente un continuo at­teggiamento di colpevolizzazione del fi­glio o di mortificazione delle sue capa­cità, magari anche mascherato dall’iro­nia, produce un copione che struttura ilfiglio con una bassa autostima, insicu­rezza, senso di inadeguatezza. In questosenso ho un ricordo personale. Mia ma­dre, quando avevo 8 anni, e combinavoqualche birichinata, mi diceva: “Vadodal prete a confessare quello che fai atua madre!” con una torsione del signi­ficato del sacramento della confessionedecisamente originale, ma perfetta­mente in linea con quello che era il suoatteggiamento verso di me.Il codice pedagogico della svalutazionepuò essere legato a vari atteggiamentieducativi, che possono derivare da per­corsi personali genitoriali di varia natu­ra, più o meno drammatici. Berne, adesempio, ha parlato della “madre lace­

4 Sul concetto di “tasto dolente” si veda D. Novara, Meglio dirsele. Imparare a litigare bene per una vita di coppiafelice, BUR Rizzoli, Milano 2015. Il “tasto dolente” è un condensato emotivo e psichico che appartiene agli stratipiù profondi della vita infantile, legato alla memoria di aver subito ripetutamente qualcosa di doloroso (non untrauma) che si fissa nel resto della vita successiva.

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rata” che è quella che, come direbbeFranco Fornari, non solo vive la “para­noia primaria”5 di tutte le mamme (lapaura atavica che scaturisce dalla storiadel genere umano, per cui la donna te­me che il figlio durante il parto possaucciderla, paura che normalmente vie­ne metabolizzata), ma agisce una proie­zione di colpa nei confronti del figlio, co­me se il figlio fosse effettivamente col­pevole della sua lacerazione. Non è piùuna paranoia, cioè un processo emotivodi carattere psicologico, ma la madre la­cerata passa davvero tutta la vita a pen­sare di essere sopravvissuta al figlio cheha cercato di ucciderla alla nascita. Lenarrazioni familiari di parti traumaticidove emerge una profonda sofferenzamaterna, con un bambino o una bam­bina troppo grossi che non “voglionovenir fuori” e la madre resta viva per mi­racolo, possono nascondere questa pro­fonda angoscia materna che a sua volta

può produrre un atteggiamento educa­tivo improntato alla svalutazione del fi­glio o della figlia: se ha già cercato diammazzare la madre durante il parto èchiaro che agirà in questo senso per tut­ta la vita.Ogni storia evolutiva è strettamentepersonale e individuale, ma in genereuna madre lacerata, attivando dei mec­canismi di difesa dal figlio, induce un co­pione pedagogico di autosvalutazione ela conseguente strutturazione di reci­proci meccanismi di difesa.Un altro esempio di copione educativoriguarda il bisogno di provare fatica fi­sica: alcune persone non riescono a vi­versi fuori da questa dimensione. Glialpinisti, i ciclisti, i maratoneti sono fraqueste, e per loro una vita priva disforzo è quasi ancora più faticosa. Maquesto approccio alla fatica è chiara­mente un modello educativo, come, alsuo opposto, il tema della pigrizia: non

5 Fornari ne parla in F. Fornari, Il codice vivente. Femminilità e maternità nei sogni delle madri in gravidanza,Bollati Boringhieri, Torino 1981.

Il copione educativo è la forma che poi avremo per tutta la vita, una pelle che indossiamo e che

ci appartiene, un modo di vivere, di rapportarci alla vita

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appartiene all’autenticità di un bambi­no o di una bambina ma gli viene con­segnato con un copione. Il bisogno di dimostrare di valere è untipico copione educativo spesso in re­lazione con la competizione tra fratelli.Può generare “campioni” ma anchegravi depressioni. Il controllo comeschema di vita rappresenta un copioneeducativo di paura, in genere trasmes­so da genitori ansiosi ed esagerata­mente apprensivi.Ovviamente il copione pedagogico puòessere anche di natura benevola comequello basato sulla fiducia, sulla creati­vità, sulla generosità, sulla collaborazio­ne, sul successo, che strutturano unacapacità nel saper vivere in contatto conle proprie risorse.

LAVORARE SU DI SÉ PER OCCUPARSI DI EDUCAZIONEIl cambiamento e la crescita personaledipendono anche dalla capacità di rico­noscere e di lavorare su questa parte dise stessi. Non si tratta di un percorsosemplice perché è legato ai primi anni

di vita di cui non c’è quasi memoria.Certamente ciascun bambino ha risor­se e doti da mettere in campo di fronteall’agire educativo dei propri genitorima, come afferma Alice Miller6, spessoqueste doti devono essere utilizzateper seguire il meglio possibile il copio­ne ricevuto non per opporsi a esso, an­che perché è proprio questo che puòconsentire la sopravvivenza. Non parlodi traumi ma comunque il copioneeducativo ha a che fare con ciò chesiamo, con la sopravvivenza effettiva,non semplicemente o solamente fisica,ma con il fatto di essere effettivamen-te vivi, vitali.Chi opera e lavora in ambito pedagogi­co, nell’educazione, nelle relazioni d’aiu­to con le famiglie e i genitori, deve averequesta consapevolezza: quello di cui cioccupiamo quando parliamo di educa­zione è collegato a temi importanti, pro­fondi. Per questo, come già scrivevo di­versi anni fa nel mio libro L’ascolto si im­para7, i professionisti dell’educazionehanno la responsabilità di lavorare su sestessi per riconoscere i motivi che per­

6 A. Miller, Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero sé, Bollati Boringhieri, Torino; A. Miller, L’infanziarimossa, Garzanti, Milano.

7 D. Novara, L’ascolto si impara. Domande legittime per una pedagogia dell’ascolto, Edizioni Gruppo Abele, Torino2002.

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mettono loro di sintonizzarsi con le per­sone che chiedono aiuto.Non ci può essere vero aiuto se non c’èquesta sintonizzazione con la propriastoria. Il rischio altrimenti è di lavorareesclusivamente con un approccio tecni­co, come un meccanico che aggiustaun’automobile. I genitori, gli insegnanti e chiunque in­contri un professionista nell’ambitodelle relazioni d’aiuto, deve percepireche si tratta di qualcuno che ha co­munque affrontato quello che chiedea loro di affrontare. Il grande fisico Niels Bohr, il padre dellameccanica quantistica, sosteneva:“L’esperto è colui che, in un settore mol­to limitato della vita, ha fatto tutti gli er­rori possibili”. È proprio l’avere attraver­sato un certo territorio dell’esistenzache permette di aiutare gli altri perché se ne ha la mappa. Più il percorso è sta­to tortuoso, difficile, pieno di tentativi eanche di errori, più sarà dettagliata. È lamappa che ci legittima nel nostro sup­portare gli altri nei loro processi di cre­scita personale. Nella dimensione dellacondivisione e sintonizzazione emergeche il sapere dell’esperto non è asetti-co, neutro, semplicemente accademi-co, ma un sapere di vita che nasce da

una ricerca personale.Occorre mettere le persone nella con­dizione di liberarsi dall’incombenza esi­stenziale di copioni educativi che pos­sono impedire di crescere.

PARTIRE DALLE DOMANDENegli anni ho sperimentato alcune do­mande che possono essere utili per atti­vare percorsi di esplorazione della pro­pria storia educativa.Una che pongo di frequente riguardal’essere o l’avere un figlio unico. Perchévostro figlio è figlio unico? Ma anche,ancora più interessante, perché voisiete figli unici? La domanda ovviamen­te può declinarsi sulla base della storiaindividuale (perché sei la prima di quat­tro figli nati uno ogni anno)? C’è una sorta di innaturalità specificanell’avere un unico figlio, ed è rarissimoincontrare qualcuno contento di esserefiglio unico. In genere questa domandapermette di mettere in moto un proces­so di ricerca che consente di svelare ele­menti interessanti della propria storiapersonale, magari fino a quel momentorimasti semplicemente sconosciuti.Una seconda domanda efficace riguar­da i primi mesi di vita: cosa è successonei primi mesi e nei primi anni della

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IER tua vita? Da questo punto di vista non

sono tanto gli eventi fisiologici ad es­sere significativi, come la naturale ge­losia nei confronti di un fratello o so­rella, quanto piuttosto la gestione edu­cativa che è stata attivata dai genitori.Che un bambino sia geloso dell’arrivodel fratellino è naturale, che i genitoriscelgano (anche pensando di fare lacosa giusta) di allontanare uno dei duenati dalla famiglia affidandolo ai nonnifino a una certa età, ha invece tutt’al­tra rilevanza in merito alla strutturazio­ne di uno specifico copione educativo.E poi una terza domanda, altrettantodensa di elementi: c’è qualcosa di par-ticolare nella storia della tua fami-glia? Questa è una domanda estrema­mente maieutica perché permettespesso di far emergere stati abbando­nici, orfanità, violenze, magari segretifamiliari, intrecci particolari, anche pa­tologie. Si tratta di recuperare informa­zioni preziose e soprattutto, e questa èun’altra grande novità legata al concet­to di copione pedagogico, non com­porta un processo di ricostruzione au­tobiografica, fondato sulla propria me­moria, ma piuttosto una vera e propriaricostruzione storica. Ricostruire la propria storia personaleè difficile, ma essenziale in questo per­corso. Suggerisco spesso ai genitori diparlare con i loro genitori. È importanteinfatti non perdere l’occasione di interro­gare i genitori o comunque chi ha avutoun ruolo significativo nell’infanzia di unapersona. Anche se non sempre i proprigenitori sono disponibili a raccontaredavvero quello che è accaduto, l’impor­tante è raccogliere informazioni perchéspesso piccole notizie si compongonopian piano, come tessere di un puzzle, eil disegno si intravvede. Anche nel lavorodello storico è raro trovare il reperto dav­vero decisivo, ma più spesso sono tantitasselli che aiutano, con una buona ap­prossimazione, a ricostruire la verità.Un altro strumento utile a recuperareinformazioni sulla propria storia edu­cativa sono le fotografie. Ricordo be­nissimo una donna che si era rivolta ame per una consulenza pedagogica, a

cui avevo proposto di lavorare su alcu­ne foto di sé da bambina proprio perprovare ad attivare un processo di ri­cerca della propria storia educativa. Ungiorno, nel prendere in mano una suafotografia in cui lei stava in posa con lecugine, il padre e lo zio, una foto cheaveva già avuto modo di osservare piùvolte, realizzò per la prima volta che lozio aveva in mano, in bella vista, unacinghia. La cosa di per sé poteva appa­rire folkloristica, ma all’improvviso ladonna mi disse: “Quella è la cinghiacon cui picchiava le mie cugine”. Fuuna rivelazione, che attivò un momen­to di forte commozione e le permise direcuperare una parte di consapevolez­za della propria storia familiare.Le fotografie rimandano tante sugge­stioni, consentono anche in momentidiversi della vita, di attingere a informa­zioni che nel tempo erano sfuggite.

DAL COPIONE EDUCATIVO ALLA CRESCITA PERSONALESono tre i passaggi che, lavorando sulproprio copione educativo, portano aun processo di crescita personale: l’in-dividuazione del copione; la comuni-cazione e il dialogo con lo stesso; lasua gestione. L’educazione che ciascuno di noi ha ri­cevuto è come una pelle che ci è statamessa. Non è la nostra vera natura.Penso alla teoria del daimon di JamesHillman8, che ha diversi tratti in comunecon quella del falso e vero sé di Winni­cott9. I genitori proiettano sui figli tanteaspettative, a partire dal nome che dan­no loro, spesso quello di nonni o parentiche viene consegnato insieme a unastoria. Ma la crescita personale non èun’alleanza con l’educazione ricevuta,quanto piuttosto il suo superamento.È possibile trasformare qualcosa solo sela si conosce: senza ricostruire il propriocopione, o senza comunque provare aintravvederlo, non possiamo provare acambiare. Ovviamente nella vita acca­dono eventi improvvisi che possono at­tivare processi di crescita personale, maaltrimenti è più facile ritrovarsi a viveredentro un binario predisposto da altri.

8 SI veda ad esempio J. Hillman, Il codice dell’anima. Carattere, vocazione, destino, Adelphi, Milano 1997.9 E. Gatti Pertegato, Dietro la maschera. Sulla formazione del Sé e del falso Sé, Franco Angeli, Milano 1988.

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Non sempre questo è indice di un pro­blema, però tutte le diverse correnti psi­cologiche sostengono che per raggiun­gere la propria autenticità sia comun­que necessario un percorso personale.Ricordo il racconto di un collega, che la­vora nella consulenza orientativa, chemi parlava di uno studente con un au­torevole nonno veterinario, a cui man­cavano solo tre esami per diventare asua volta veterinario, che si informavasu come fare per diventare cuoco. Nonsi può esimersi dal prendere in mano ilproprio percorso. Una volta individuato il copione occorreentrare in una dialettica. Ti riconosci inquel copione? È qualcosa di davvero tuoo no? Cosa te ne fai? L’educazione rice­vuta è comunque qualcosa che ti hannomesso addosso, ma a un certo punto bi­sogna riappropriarsene. Non esiste una via unica per fare questolavoro di recupero, dipende dal tipo dicopione e dalla sua pervasività, comedalla disponibilità e dalla sostenibilitàindividuale. In genere ovviamente lapsicanalisi può essere d’aiuto ma di

fronte a un genitore in difficoltà difficil­mente ci sono i margini per proporre epoter aspettare gli esiti di un percorsodi analisi che affronti davvero i nodi daaffrontare. Per questo occorre elabora­re possibilità alternative.L’ultimo passaggio implica la capacità digestione di questa nostra pelle educati­va, nella prospettiva di sviluppare uncambiamento. Dobbiamo riprendercil’educazione, la nostra educazione,l’educazione di chi ci chiede aiuto, l’edu­cazione dei bambini e dei ragazzi, nonin un delirio di onnipotenza, quanto inuno scambio generativo e maieutico.Occorre rendere possibile un processocreativo per liberarsi di quello che nonserve più, di quello che blocca l’auten­ticità profonda.La formazione in età adulta non è unaggiungere ma un togliere, un allegge-rirsi di strati che ci sono stati messi ad-dosso, che coprono ciò che siamo epossiamo diventare, e che influisconosulle nostre capacità educative, su ciòche stiamo consegnando alle nuovegenerazioni.

Non ci può essere vero aiuto se non c’è questa sintonizzazione con la propria storia

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IER

PROLOGODa sempre il Comune di Milano propo­ne un progetto didattico­educativo dieccellenza, rivolto alle scuole dell’infan­zia, alle primarie e alle secondarie dellacittà, che si chiama “Scuola Natura”.Consiste nella possibilità per le classi disoggiornare una settimana in alcunestrutture comunali situate al lago, al ma­re o in montagna in alcune regioni italia­ne vicine alla Lombardia. Durante il sog­giorno settimanale le classi sperimenta­no diversi percorsi formativi che preve­dono laboratori di esplorazione e cono­scenza del territorio, incontri con artigia­ni o realtà produttive locali, attività ludi­co e ricreative a contatto con la natura ein gruppo. La modalità di apprendimen­to è esperienziale e maieutica e il pro­getto mira a sviluppare competenzescientifiche e trasversali, il pensiero cri­tico, la creatività, le capacità relazionalie sociali, l’autonomia, l’accesso a oppor­tunità e diritti. Le quote di partecipazio­ne al progetto sono proporzionate in ba­se al reddito familiare, consentendo cosìa tutti l’accesso all’iniziativa.

LA CHATQuest’anno la classe di mia figlia, chefrequenta una terza primaria, ha la pos­sibilità di soggiornare a Marina di Mas­sa, dal 14 al 19 gennaio. È mia figlia aconfermarmi la notizia, annunciandomicon enfasi ed eccitazione che finalmen­te è: “Arrivata Scuola Natura anche nellanostra classe”. Io ricevo la notizia con grande entusia­smo, pensando a quale meravigliosa op­portunità ci viene offerta: i bambini po­tranno sperimentare modalità di ap­prendimento esperienziale fuori dalla

classe, staranno a contatto con la naturae in gruppo e si costruiranno una cono­scenza che nasce dal fare e partecipareinsieme a quanto accade nella realtà. Ma non è tutto: si misureranno con lalontananza da casa, dal consueto emolto protetto ambiente familiare do­ve tutto è codificato, pianificato e or­ganizzato, in ragione dei ritmi di vita edi lavoro a cui tutti i genitori di oggi, inmedia, sono costretti. Guardo poi con aria intenerita il fratelli­no di mia figlia, di un anno più piccolo,tanto legato a sua sorella in questa fasedella crescita, che ha appreso con me lanotizia: ha l’aria triste. “Bene” penso“una bella prova di distacco anche perlui, che sperimenterà la possibilità di ge­stire la sua giornata senza la sorella e af­frontare il senso della mancanza per unbreve periodo”. Ma tutto questo ha un prezzo da pagare:la chat di classe delle mamme! Se finoad oggi non c’era, ora sembra essenzialeper affrontare Scuola Natura. Mi accor­do con il mio ex­marito: se dobbiamostarci, ci staremo entrambi. Penso chel’attiveranno il giorno della partenza, e cidarà le informazioni utili e qualche ag­giornamento sul soggiorno, magari qual­che foto… almeno così speriamo.Contro ogni previsione, la chat parte ilsabato prima della partenza e si riempieall’inverosimile di messaggi di mammein panico che si domandano vicendevol­mente come preparare la valigia. Noncapisco: abbiamo una lista di quanto oc­corre portare. Basta un trolley, una sac­ca, di dimensioni adeguate e basta riem­pirla con l’occorrente segnalato dalla ca­sa vacanza. C’è chi invia foto del trolleyper ricevere conferme che vada bene,

Che fatica distaccarsi dai figli!La Scuola Natura di Milano

Silvia Quarello

allieva della Scuola di Counseling Maieutico del CPP, laureanda in [email protected]

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chi si chiede se ci sarà qualcuno a por­tare le “pesanti” borse o se i bambini do­vranno trasportarle da soli, chi si inter­roga su cosa mettere nello zainetto e co­sa nella valigia. Forse non hanno letto lascheda fornita dal Comune di Milano? Oforse, in quel flusso di messaggi scorrelibera la tensione per ciò che sta per ac­cadere, fuori dai soliti schemi quotidiani. L’ultimo messaggio della domenica se­ra prima della partenza è di una mam­ma che prega gentilmente la rappre­sentante di classe (che avrà il contattotelefonico della maestra che accompa­gna i bambini nel soggiorno) di “tener­ci aggiornati in tempo reale su tutto”.Mi pare una richiesta un po’ eccentri­ca, ma non la commento. Ovviamentenon sarà possibile.

LA PARTENZA14 gennaio 2019, ore 8.25. I bambinientrano a scuola con lo zainetto soltan­to, mentre il gruppo dei genitori si ad­densa nelle vicinanze del pullman conle valigie da caricare. Una mamma, particolarmente preoccu­pata, pubblica sulla propria pagina Fa­cebook il proprio stato: “Sono triste”, eaggiunge qualche informazione più spe­cifica sul soggiorno e le date di arrivo edi partenza della figlia. Nell’era della digitalizzazione dei senti­menti, lo stato appena pubblicato rag­giunge le altre mamme presenti alla par­

tenza in tempo reale. La chat delle mam­me diventa in un attimo incandescente:“È pericoloso pubblicare queste infor­mazioni sul soggiorno dei nostri bambi­ni”; “Meglio non diffondere informazioniche possono metterli in pericolo”. Resto un momento stordita: non crede­vo che i nostri figli stessero per partirein missione segreta per conto del gover­no. Intorno a mezzogiorno il flusso dimessaggi sulla questione è interrottodall’annuncio della rappresentante diclasse che informa che il pullman ègiunto a destinazione. La notizia è se­guita da un paio di foto dei bambini.Partono commenti, a raffica: “Sospirodi sollievo”; “Mia figlia non ha la facciaserena” (riferendosi alla foto scattatain presa diretta dalla maestra). Qual­che altra mamma prova a consolare econsolarsi: “Ma daiiii! Stai tranquilla”;“Non credo che si possa giudicare dauna foto scattata di fretta. È con i suoiamici! Starà benissimo, come tutti glialtri!”. Risposta: “Fino alla prossima fo­to resto un po’ così”. Arrivano le foto del pranzo, che si svolgein una sala della villa la cui vetrata affac­cia direttamente sulla spiaggia privata.Il sole illumina i tavoli e i volti sorridentidei bambini.“Che spettacolo la vista della sala dapranzo. Io sono praticamente sintoniz­zata sulla chat h24”; “Si può avere il me­nù della settimana?”

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IER Seguono una serie di altre foto e di vi­

deo che io non riesco neppure a visua­lizzare, perché sono in riunione in uffi­cio. Scorrono uno dopo l’altro i messag­gi e i video. “Ogni lasciata è persa” pen­so, ma devo scrivere il verbale della riu­nione e non posso distrarmi adesso. Icommenti si susseguono sullo schermodel mio telefono. “Mi mancaaaaaa”; “Non vedo mio fi­glio”; “Ma dai, sarà nascosto da qual­che parte a giocare con il mio… anchelui non c’è nelle foto”; “Sicuro… dai,stiamo tranquille”.

OCCUPAZIONI E PREOCCUPAZIONIGiunge la sera. Esco frettolosa dall’uffi­cio, pensando a cosa cucinare per con­solare il fratello di mia figlia, che sicura­mente sarà un po’ triste questa primanotte senza di lei. Arrivano le foto della serata: i bambiniin pigiama, sorridenti nel salone dellavilla, pronti per i giochi che precedonola nanna. “Nessuno avverte la nostalgia di casa. Ibambini sono molto sereni” si premuradi scrivere la rappresentante di classe,sottolineando che si tratta di un messag­gio della maestra. Qualche mamma in­siste ancora per avere il menù della ce­na. Spero tanto di non doverlo leggere:il mio cervello non ce la fa a immagazzi­nare altre informazioni sul soggiorno aquesto punto. E neppure mi servono. “Devo conteggiare i digiuni” spiega unamamma, la cui figlia, scopro ora, forseha problemi con il cibo. “Evvai! Vistomio figlio! RIDE. Cioè ha proprio unSORRISO SULLE LABBRA. DAVVERO”;“Confido nelle foto in pigiama”.Mi sono già persa il fotoromanzo dellaprima giornata, per colpa delle mie riu­nioni del pomeriggio in ufficio e ho dagestire il fratellino di mia figlia, che que­sta sera chiede di essere coccolato, vistoche può avere la mia attenzione in esclu­siva. Non ho neppure fatto caso alle ul­time foto. Verso le 22.00 mentre io sonoimmersa (finalmente) nella lettura di unlibro, accompagnata da una tisana calda,il telefono riprende a vibrare: “Ma nonci mandano la buonanotte?” Mi sor­prendo: mio figlio mi ha salutato con unbacio più di un’ora fa, e persino lui ha or­mai smesso di pensare al letto vuoto disua sorella. Mando un messaggio in pri­

vato alla rappresentante di classe inco­raggiandola; se va avanti così tutta lasettimana, vincerà il Nobel per la pace.

LA CONSAPEVOLEZZA“Buongiorno a tutti. Le maestre diconoche è una giornata bellissima. La notteè stata serena e i bambini non hannoavuto nostalgia di casa”. Prima delle 9 ci sono già le foto dellagiornata, con i bambini che fanno lacolazione. “Mio figlio mi sembra triste”; “Sarà as­sonnato”.Io fremo e mi trattengo dal commenta­re per delicatezza. Spero soltanto chetutti i bambini sorridano nelle prossimefoto, così non urtiamo la sensibilità diqueste mamme. La foto di gruppo nelgiardino della villa non tarda ad arrivare. “Puoi dire alla maestra di far copriremio figlio? Sono tutti imbacuccati men­tre lui non ha sciarpa e cappello”; “An­che voi fate super­ingrandimenti per co­gliere lo sguardo e cercare di interpre­tare lo stato d’animo e di salute o sba­glio?”; “Ovvio (parlo per me)”; “Sì, manon attacchiamoci alle espressioni dellefoto. Credo che le facce ‘strane’ in unafoto di gruppo siano normali… magarinon avevano voglia di essere fotografati,hanno sonno, hanno litigato con il com­pagno accanto, non gli piace quello chehanno nel piatto! Mi fiderei delle mae­stre. Se dicono che è tutto ok significache è davvero tutto ok!” la rappresen­tante si sente in dovere di precisare pertutte che questa è la realtà. “In questo momento non sono serena.Mio figlio mi sembra che non stia bene”.Inutile l’intervento della rappresentan­te, direi. E ricominciano le illazioni con­solatorie delle altre mamme. “Sarà ar­rabbiato”; “Magari ha litigato”; “Misembra arrabbiato, ma non che non stiabene. Ho ingrandito la foto”; “Non stabene nel senso che è triste”. Tutto inu­tile, dunque. “Beh ci sta cucciolino…”; “Vedrai chenelle prossime foto sarà sereno” Io mi domando: di cosa stanno parlandoqueste mamme? È ormai evidente chequesta chat non realizza lo scopo percui è stata creata, ma un altro non di­chiarato. Sembra più un gruppo di au­to­aiuto tra mamme disperate, alle pre­se con il distacco dai loro figli.

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“La maestra mi ha scritto che i bambinisono felicissimi, che c’è un caldo pazze­sco e che si stanno divertendo un mon­do!” precisa la rappresentante di classe. “Grazie a Dio!”; “Ti prego, di’ alla mae­stra di far togliere il cappello a mio fi­glio… sta cuocendo!”; “La maestra miha detto tranquilli… se c’è caldo li fannoalleggerire, se c’è freddo li fanno copri­re!!!” arriva il commento lapidario dellarappresentante di classe. “Chi ha caldo si copre, chi ha freddo siscopre. Spero sia così”. Prova a dedurneuna mamma. “RAGAZZE, DEVO DARVI UNA BRUTTANOTIZIA. SECONDO ME LORO STANNOBENISSIMO SENZA DI NOI” commentaun’altra mamma, argutamente.

Nonostante i tentativi disperati di con­trollare ogni dettaglio di questo soggior­no, diventiamo finalmente consapevoliche l’autonomia di questi bambini so­pravanza di gran lunga quella delle loromadri. Con buona pace di tutti.

C’È SPERANZAÈ giovedì sera. Domani i bambini faran­no rientro a casa, alle loro famiglie. Tor­neranno stanchi, desiderosi di riabbrac­ciare fratelli e sorelle, mamma e papà esoprattutto di raccontare loro quantosono cambiati, quante cose hanno im­parato e capito e vissuto da soli. Sonoeccitata all’idea di ascoltare dalle parolevive di mia figlia e ho volutamente tra­lasciato di visionare i filmati e le fotodella chat.Un ultimo sguardo distratto al telefonoprima di accendere la tv per guardareun film mi strappa un sospiro di sollievo:alcuni papà si sono impossessati del te­lefono delle loro mogli.“Sono il papà di M. Ho una richiesta:si può prolungare il soggiorno di un’al­tra settimana, pagando la quota?”;“Meglio ancora: si può prolungare diun’altra settimana gratis?” commentaun altro papà. “Padri ingrati!” conclude scherzosa­mente una mamma. Finalmente un papà! E la speranza… chece la si può fare.

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1 T. Giani Gallino, Il bambino e i suoi doppi. L’ombra e i compagni immaginari nello sviluppo del sé, BollatiBoringhieri, Torino 1993.32

Parto da un ricordo personale. Diversianni fa chiesi a un bambino di circa 6/7anni con cui stavo lavorando se volevadisegnare qualcosa e, poco dopo, mimostrò e mi regalò, con tanto di dedica,un mio ritratto affiancato da una figurascura. Domandai sorpreso: “Ma questosono io? E quello dietro chi è?”, e ilbambino rispose convinto: “Sì sei tu! Equello dietro è la tua ombra, non la ve­di?” Ho tenuto quel disegno nella miastanza del Servizio di psicologia per mol­to tempo, come dono prezioso ma an­che come esempio della sorprendentecreatività infantile e della capacità rela­zionale dei bambini.Questo aneddoto è utile per introdurreil tema del compagno immaginario, chein termini tecnici è definito il tema del“doppio” nell'infanzia, e che, a mio pa­rere, risulta piuttosto interessante comeargomento, forse più per gli studiosi cheper i clinici.Personalmente trovo che il compagnoimmaginario sia una invenzione splen­dida, frutto della creatività di alcunibambini. Non è una tappa fondamenta­le dello sviluppo mentale infantile, altri­menti dovremmo chiederci perché alcu­ni bambini ce l'hanno e altri no, ma que­sta “creatura”, o forse dovrei dire “crea­zione”, è davvero una invenzione stra­ordinaria. Le ricerche scientifiche sul

“doppio” sono state il capolavoro pro­fessionale della prof.ssa Tilde Giani Gal­lino1, ed è grazie a lei se continua aesercitare un fascino notevole in chi sioccupa dell'infanzia e delle sue caratte­ristiche.Stando ai suoi studi e alle sue riflessioninon possiamo che concordare su di undato: un compagno immaginario è il“punto di arrivo” di un percorso comin­ciato assai prima. Non va scambiato peruna produzione, sia pure creativa, di unelemento a se stante, un evento che siverifica improvvisamente, una trovata ebasta. Anzi, forse potremmo concorda­re sul fatto che più che un “punto di ar­rivo” è una “tappa” di un percorso chenon si fermerà qui ma andrà oltre. Nell'osservare quanto più oggettiva­mente possibile le mosse della mia ni­potina di 15 mesi, ritrovo le note osser­vative della Giani Gallino: Sveva si sve­glia d'improvviso dal sonno pomeridia­no e piange a dirotto ancora prima diaprire gli occhi. Per calmarla la prendia­mo in braccio, ma per tranquillizzarladel tutto le offriamo due dei suoi ogget­ti preferiti, un orsetto di peluche e unabambola stilizzata bionda e simpatica.Alla vista dei suoi bambolotti preferiti ilpianto di Sveva cessa; un sorriso sua­dente si allarga fra le lacrimucce e poiSveva abbraccia le bambole e si lascia a

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IER Il compagno immaginario

nell’infanzia: qualcosa di più del “doppio”

Pierangelo Pedanipsicologo clinico, [email protected]

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Abbiamo adottato Alamindi Micaela, mamma di Anush

L’amico immaginario di mio figlio di 7 anni è arrivato a casa nostra annuncian­dosi con una telefonata (telefono giocattolo). Si chiamava Alamin e telefonavaspesso, e Anush, mio figlio, ce lo passava perché voleva parlare con noi. Io emio marito facevamo lunghe telefonate con Alamin, spiegando che eravamofelici, che Anush era bravo, bello, e così via.Un giorno Anush ha detto che era il compleanno di Alamin e doveva cucinareper lui. Ha preparato nella sua cameretta una cena fantastica con la cucina gio­cattolo e abbiamo apparecchiato la tavola. Poi Alamin è arrivato e abbiamo fattouna festa. Da quel giorno Alamin è venuto spesso a cena. La sera, mentre guar­davamo un cartone animato, capitava che Anush si girasse e dicesse che era ar­rivato Alamin e andasse in camera a parlare con lui (c’era una porta segreta incameretta ed entrava da lì).Capitava che Anush dicesse ad Alamin cose che in realtà voleva dire a noi: quan­do suonava il telefono giocattolo io e mio marito stavamo con le orecchie teseperché qualcosa di significativo emergeva sempre.A un certo punto ci ha chiesto di adottare Alamin e abbiamo scritto un docu­mento in cui ufficialmente lo adottavamo, firmato da entrambi e appeso alfrigorifero.Se ne è andato gradualmente. Pian piano ha smesso di mangiare da noi e tele­fonava sempre meno, una volta alla settimana, una volta al mese, ogni due me­si. Poi è sparito, come era arrivato.

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sua volta abbracciare, questa volta quie­ta e serena. È chiaro che il peluche e labambola non sono per lei solo bambo­lotti, sono di più, sono dei compagnicon cui esiste una relazione, sono “qual­cuno­qualcosa” che può ridarle sicurez­za e su cui contare. Esattamente comeil nonno e la mamma? Direi di sì.Come si arriva a questo punto? E comesi può passare a una tappa successivanella quale, probabilmente o eventual­mente, si presentifica o direi quasi “simaterializza”, si rende presente e attivoun compagno immaginario?Non è chiaro come accada ma, come de­linea con le sue ricerche la Giani Gallino,forse un legame esiste2. Il compagno im­maginario è una prosecuzione della sco­perta della propria ombra da parte delbambino. L'ombra rappresenta un “altroda sé” e al contempo consente una pri­ma distinzione, un primo “sentire” aproposito del “sé”. L'ombra, la scopertadell'ombra è messa in relazione dallaGallino con la presenza e i primi rapporticon i peluche, con i bambolotti. Tutto questo ha un chiaro riferimento

nel mondo relazionale del bambino pic­colo, dell'infante che, in barba alle vec­chie teorie, è fin dalla nascita, anzi giàin utero, capace di stare in una relazionecon chi lo accudisce, con i cosiddetti ca­regivers, con mamma, papà, fratelli...con il mondo. Ecco perché mi sono per­messo, con tutta l'umiltà che ci vuole, dipensare alla comparsa del compagnoimmaginario come un punto di arrivo diun percorso iniziato lontano nel tempoe forse anche segnale di un’ulterioreevoluzione.Dove comincia questo percorso a cuiabbiamo accennato? In quale meandrodella nostra mente infantile inizial'esperienza del nascente “sé” e quellaimmediatamente reciproca dell’“altro”? Sappiamo che l’origine si situa a partiredalla gravidanza materna, coinvolge lanascita e, subito dopo le prime setti­mane di vita, avviene nel crescere dellarelazione fra il neonato e il mondo chelo circonda, “mediato” dalle relazionisignificative con la mamma e gli altricaregivers. Lo sguardo, gli odori, i pro­fumi, il “con­tatto”, l'imitazione, il pian­

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IER Sara, venuta dal Polo

di Gianni, papà di Eleonora

Sara viene dal Polo Nord. È arrivata a casa nostra un pomeriggio mentre nostrafiglia Eleonora, di 4 anni e mezzo, stava giocando con i suoi animaletti di pelu­che. Eleonora è sempre stata innamorata di foche, orsi bianchi, otarie e renne,e trascorre il tempo a giocare nella sua cameretta mettendo in fila gli animaletti.Un giorno è corsa dalla mamma in cucina e ha annunciato: “Mamma, guardachi è venuta a trovarmi! È Sara, viene direttamente dal Polo Nord”.Al momento Luisa è rimasta piuttosto interdetta, ma vedendo la convinzionedella sua piccola ha salutato Sara. All’ora di cena Eleonora ha chiesto di prepa­rare il posto a tavola anche per Sara, e abbiamo deciso di accontentarla. Ave­vamo sentito parlare dei possibili amici immaginari e vedendo la determinazio­ne di Eleonora non volevamo contraddirla.Quella sera Sara è andata a dormire a casa sua, ma poi si è ripresentata la mattinaseguente: ha fatto colazione con noi e ha accompagnato Eleonora alla scuola del­l’infanzia però, ci ha spiegato Eleonora, non è entrata perché c’era troppo caldo…Ha cenato con noi quasi ogni giorno per una decina di giorni, poi la sua mammaaveva bisogno di lei e così le due amiche si sono salutate e si sono promesse divedersi al Polo Nord.È tornata verso Natale, quando le renne di Babbo Natale le hanno chiesto sevoleva accompagnarle a salutare Eleonora, ma si è fermata solo una sera a cena,poi è ripartita subito.

2 T. Giani Gallino, Il complesso di Laio. I rapporti familiari nei disegni dei ragazzi, Einaudi, Torino 1997.

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to e il “prendere cura”, il sorriso. È nel­la relazione primaria che si trova il pri­mum movens del percorso a cui accen­navamo e che porterà, molto, moltopiù avanti, al costruirsi di una capacitàrelazionale matura, capace di fornire alsoggetto sia elementi del “proprio sen­tire”, sia e contemporaneamente, altrielementi della presenza e del “sentire”dell'altro.Infine, mi pare chiaro anche che l'espe­rienza del Baby­Talk così come l’abbia­mo sintetizzata recentemente su questarivista3 sia una tappa obbligatoria fon­damentale del percorso. È durante que­sta esperienza che si costruiscono le re­lazioni face to face tra bambino e care­giver. Dentro quell’esperienza si manife­sta la capacità innata del bambino distare in relazione attraverso i meccani­smi di “on/off“ (ascolto te/parlo io),nonché la capacità di immedesimarsinelle emozioni, di riconoscerle in qual­che modo e poi di comunicarle attraver­so il pianto, il sorriso, il disgusto, fino infondo alla serie con lo sviluppo della ca­pacità di comprendere le intenzioni. Nel fondamento della relazione tra ma­dre, padre, bambino sta anche poi la ca­pacità, davvero sorprendente da questo

punto di vista, di “staccare” e di cambia­re registro: perché a un certo punto puòcomparire un altro “da sè” e anche “damamma” che è appunto il peluche, ilbambolotto. Un essere non umano, nonvivo, ma che evidentemente comunicaqualcosa perché rimanda qualcosa at­traverso le sue sembianze, i suoi linea­menti. Il peluche deve essere sereno efelice, altrimenti non funziona. GianiGallino sottolinea quanto già studiatoed evidenziato prima dagli etologi e poianche da artisti come Walt Disney, sullafunzione dei tratti infantili dei bambo­lotti a imitazione dei volti.Se il bambino sviluppa le sue prime re­lazioni con la mamma e in questa espe­rienza scopre anche la possibilità del­l'assenza della mamma, imparando atollerare questa mancanza, uno dei fat­tori che aiuta a mitigare e gestire que­sta assenza è proprio un sempre pre­sente “altro” purché sereno e rassicu­rante. Questo percorso evolutivo puòpoi essere ulteriormente elaborato erappresentato con la scoperta dell'om­bra e forse, ancora in seguito con l'in­venzione, la promozione di un compa­gno immaginario sempre disponibilequando occorre.

3 P. Pedani, Baby-Talk, «Conflitti. Rivista italiana di ricerca e formazione psicopedagogica» n. 4, 2018, pp.42-45.

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Di fronte a tragedie come quelle cheportano alla morte di bambini in autoperché dimenticati da un genitore, iopenso che si possa solo stare in silenzio.Per questo credo non abbia alcun sensoesprimere giudizi sulle madri o sui padriresponsabili di una tale distrazione: ogniepisodio ha una sua specificità, una suastoria dolorosa, e se qualcosa si può di­re nasce solo da un approfondimentodella singolarità di ogni situazione. Mi permetto invece di fare qualche ri­flessione su come reagisce l’opinionepubblica di fronte a questi episodi, inparticolare sulle scelte di coloro che ge­stiscono la comunicazione sui media, esulle prese di posizione dei politici e deiresponsabili delle istituzioni.Osservo una sorta di dicotomia. Da unaparte la maggior parte dei genitori ten­de immediatamente a pensare: “A menon potrebbe mai capitare”, cercandocosì di allontanare il fantasma terrifican­te di poter inconsapevolmente diventa­re gli assassini del proprio figlio; dall’al­tra si attiva una corsa alla ricerca di so­luzioni di ogni tipo, perlopiù tecnologi­che, nel tentativo di affrontare e risol­vere un problema che però, appunto,sembrerebbe non dover esistere.Ricordo di aver letto anni fa un articolodello psicanalista e saggista James Hil­lman che riguardava un fatto accadutonegli Stati Uniti: un bambino giocandosi era chiuso nel bagagliaio dell’auto ela notizia era comparsa sui giornali. Lareazione immediata di qualche politicoera stata di tuonare sulla necessità diobbligare le case automobilistiche amettere una maniglia per poter aprireil bagagliaio dall’interno. Hillman eramolto critico rispetto a questo atteggia­

mento e affermava che la soluzionenon sta nella maniglia: la tecnologia, fi­glia dell’Io, aiuta fintanto che non spe­gne l’inconscio.Gli antropologi ci spiegano che l’inven­zione dello “strumento” segna un pas­saggio fondamentale nell’evoluzioneumana, sia perché ha permesso all’uo­mo di compiere azioni che altrimentinon sarebbero state possibili, sia per­ché ne ha modificato in modo radicaleil rapporto col mondo, cosa che si ripe­te in età evolutiva fin dai primi anni divita. Ben vengano il coltello per tagliarela mela, il telefono per comunicare, larisonanza magnetica per individuare lemalattie. Ma l’eccessiva tecnologizza­zione dell’educazione è stata quella cheha introdotto la doppia pesata dei neo­nati, prima e dopo ogni poppata, tra­sformando la bilancia da aiuto, in fontedi ansia e nevrotizzazione dell’allatta­mento. Ci è voluto un po’ per capireche stavamo utilizzando uno strumentoin modo eccessivo e che, per una sanacrescita neonatale, oltre a un controllodel peso più diluito è necessaria la se­renità delle madri.Sulla scia di Hillman sono convinto chel’evoluzione della tecnica, degli stru­menti, sia utile e importantissima masolo se non mette a tacere l’istinto. Èl’istinto che spinge la lupa a proteggerei cuccioli nella tana e a tenerli d’occhioquando escono e, quello stesso istintocomune in tutto il regno animale, agi­sce nelle donne madri e, dopo secoli dievoluzione, ha portato anche gli uominia occuparsi della prole, cosa che nellamaggior parte delle specie animali siverifica raramente. Questa evoluzione va preservata, e non

I seggiolini sonori sono davvero la soluzione?Utilizzare la tecnologia senza lasciarsi sostituire

Claudio Riva

pisocologo e psicoterapeuta - [email protected]

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possiamo pensare che il sistema per af­frontarne le problematiche passi esclu­sivamente per il ricorso alla tecnologia.Per questo ho diversi dubbi in meritoall’utilità di delegare al suono di un in­novativo e tecnologico seggiolino perauto la garanzia della risoluzione di uneventuale problema. Nella psiche deigenitori è naturalmente presente l’at­tenzione nei confronti del proprio bam­bino e, se non c’è, va riattivata in modispecifici non attraverso il suono di unbeep. Certamente poi esistono delle si­tuazioni particolari in cui un dato stru­mento è non solo efficace ma anchefondamentale, però se in un gruppo dipersone una è sorda, non mettiamo atutti l’apparecchio acustico.Temo che intervenire preventivamentecon una soluzione tecnologica di questotipo, finirà per aumentare la distrazionedi chi è alla guida. Credo che un genito­re, che in auto con un figlio si abitua atelefonare o ad ascoltare la radio, atti­vità che limitano la comunicazione colbambino, con il seggiolino tecnologicosarà ancora più portato ad affidare albeep beep l’attenzione al figlio. Sonoconvinto che piuttosto occorra riinse­gnare ai genitori a mantenersi in contat­to con i figli perché ho spesso la sensa­zione di vivere un paradosso: da unaparte teniamo i bambini sotto una cam­pana di vetro al punto che non fanno

più determinate esperienze secolari, co­me il gioco libero di gruppo o il contattodiretto con la natura, mentre dalla parteopposta siamo sempre più portati a nonvederli. Li teniamo sotto controllo manon li vediamo. E condivido con moltialtri la seria preoccupazione che in tuttoquesto la tecnologia ci venga molto inaiuto, incentivandoci in questa direzio­ne. Non si tratta di una preoccupazioneinfondata: esistono già studi che hannomesso in luce come, ad esempio, perso­ne alla guida abituate al segnale acusticoche rileva l’avvicinarsi di potenziali osta­coli all’auto, andassero a sbattere in re­tromarcia perché il segnale era disatti­vato o stavano conducendo un veicoloche ne era privo. Il loro cervello aspetta­va di essere informato e dato che l’avvi­so non arrivava non si è preoccupato dicontrollare e frenare. Nel momento incui inseriamo un ausilio esterno spessosi perde l’attivarsi della funzione interna.La questione non è essere favorevoli osfavorevoli alla tecnologia, ma fare inmodo che la tecnologia non si sostitui­sca all’accudimento tipicamente genito­riale. Ben venga la tecnica se non uccidel’istinto della lupa, altrimenti rischiamodi spostarci sul piano della medicalizza­zione e della certificazione (compresaquella dei sistemi di sicurezza) che stadeprivando l’infanzia dei bambini e deiragazzi di oggi.

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1 Z. Bauman, Amore liquido, Laterza, Roma Bari 2004.2 G. Pietropolli Charmet, L. Turuani, Narciso innamorato. La fine dell’amore romantico nelle relazioni tra

adolescenti, Rizzoli, Milano 2014.

GENITORI DIVERSI, FAMIGLIE ETEROGENEEÈ vero, non ci sono più i genitori di unavolta. È un dato di fatto, ma possiamo os­servarlo senza alcuna nostalgia, anzi co­gliendone le potenziali opportunità: per­ché l’esperienza genitoriale oggi è in for­te cambiamento per vari motivi, e que­sto non significa che sia un male, anzi,apre la possibilità di elaborare in modonuovo e più efficace il ruolo genitoriale.I genitori sono cambiati e questo, pri-ma di tutto, è sicuramente legato allagrande varietà di fenomenologia geni-toriale. Troviamo genitori in coppia, ge­nitori single, altri separati, genitori dellostesso genere, insomma tante tipologiedi famiglie che nascono all’interno di ag­gregati vari. L’esperienza genitoriale nonpassa più né attraverso la coppia, né ne­cessariamente attraverso la famiglia e,se la famiglia tradizionale si fondava sul“chi” la costituiva, oggi la pluralità degliaggregati familiari permette di metterel’accento sul "cosa" sia una famiglia e sul"come" la si costruisca.Si tratta di una novità interessante, resapossibile da una trasformazione epoca­le che ha trasformato l’esperienza geni­toriale in una delle possibili esperienzedi autorealizzazione, non l’unica. Il so­ciologo Zygmunt Bauman, parlando delmodo in cui oggi i giovani organizzanol’esperienza amorosa, affermava che i

giovani hanno timore di costruire qual­cosa che duri nel tempo, sembra vada­no di fiore in fiore e in qualche modosospendono l’esperienza amorosa apartire da un tratto di contingenza1. C’èun elemento nuovo di contingenza checaratterizza l’esperienza genitoriale nel­la nostra epoca, e c’è anche una dimen­sione di soggettività che prima manca­va. Pietropolli Charmet, riflettendo sulmodo in cui le coppie si aggregano oggie riferendosi all’esperienza amorosapost adolescenziale, ma in una prospet­tiva che io ritengo allargabile, ha scrittoche non c’è più un aggregarsi, un trovar­si, un creare legame orientato verso unprogetto a sé, esterno all’uno e all’altra,quanto un utilizzo dell’altro in funzionedel proprio progetto personale2. Oggiosserviamo relazioni amorose forte­mente condizionate dal venir meno diuna progettualità comune e maggior­mente orientate verso una progettualitàpersonale, che definiscono anche unnuovo profilo di esperienza genitorialepiù soggettiva.C’è poi un secondo elemento che ha in­fluito sulle trasformazioni della genito­rialità: viviamo in un’epoca di globaliz­zazione del ruolo genitoriale e quindianche delle culture di filiazione e dellepratiche di cura e crescita dei bambini.Questa globalizzazione rende l’espe­rienza genitoriale se possibile ancora

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IER Le nuove famiglie

sono ricche di opportunità

Paolo Ragusa

counselor, formatore, responsabile attività formative CPP - [email protected]

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393 C. Saraceno, Coppie e famiglie. Non è questione di natura, Feltrinelli, Milano 2016, p. 9.

più varia, mista, meticciata. Chiara Sara­ceno in Coppie e famiglie scrive:“L’esperienza della diversità nel fare,nell’essere famiglia, è ovviamente co­munissima quando si forma una coppia,confrontando e mediando due tradizio­ni familiari, due modelli di famiglia condifferenze che possono apparire mini­me ma che diventano grandissime, per­sino irriconciliabili, in caso di conflitto”3.In fondo ogni coppia dà luogo a una fa­miglia mista, in cui si combinano, inte­grandosi con maggiore o minore suc­cesso, due diversi modi di concepire epraticare le relazioni e la vita familiare.Ma ai nostri giorni questa forma origi­naria diventa sistema, è globalizzata, co­stituisce la naturalità attuale della strut­tura familiare varia e policentrica.Queste diverse fenomenologie, questidiversi movimenti di aggregazione e di­sgregazione familiare, i diversi ingredien­ti che concorrono a costruire genitoria­lità e famiglia, sono oggi una grossa op­portunità inclusiva: possono permettereanche a persone che vivono esperienzenon codificate, o non sempre codificabiliall’interno della “naturale socialità”,dell’etica o della legge, di vivere espe­rienze di genitorialità e vita familiare.

È una novità molto interessante, unagrossa opportunità sia per le singolepersone che per l’esperienza intersog­gettiva. Penso ad esempio ai padri. Ainostri giorni il padre può essere una fi­gura che fa la differenza nell’esperienzafamiliare e genitoriale, coniugando dauna parte il ruolo paterno nella sua fun­zione di separazione, dall’altro l’espe­rienza della cura. I padri possono per­mettersi oggi di amare i propri figli, cosache in passato era più complessa.Si insiste molto sulla fragilità dei genitoridi oggi ma, in fondo, i genitori del pas­sato non erano meno fragili dal puntodi vista educativo, piuttosto la loro fra­gilità prendeva derive diverse: il rigore,l’eccesso di distanza, l’autoritarismo.L’opportunità che invece abbiamo ades­so sta nel poter fare in modo che il nuo­vo che stiamo realizzando non diventisostitutivo di qualcosa che ci lasciamoalle spalle ma al contrario ne diventil’evoluzione. Invece di una genitorialitàgiocata nel risarcimento delle infanziepersonali, o il delle mancate esperienzepersonali, abbiamo la possibilità di pro­gettare un nuovo ruolo di madri e padri,che posso esprimere consapevolmenteil loro amore attraverso la filiazione, la

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cura dei propri figli, il legame con loro el’organizzazione della loro crescita e au­tonomia nel mondo.

NUOVI INGREDIENTI PER UN NUOVO PROGETTOLa dimensione materna e paterna sipuò giocare oggi su una nuova libertà didosare e mescolare tra loro vecchi in­gredienti, che poi confluiscono anchenell’esperienza familiare. Variamentedosati e organizzati producono profiligenitoriali e familiari diversi e su di essisi può giocare l’evoluzione della famigliae del ruolo genitoriale.Prima di tutto penso ai legami: l’espe­rienza del legame, del contare e qual­cuno e poter contare su qualcuno, èsenz’altro uno degli ingredienti chefanno la differenza. La presenza signi­ficativa della madre e del padre per­mette a bambini e ragazzi di sperimen­tare l’indispensabilità dei legami. Nonintendo l’indispensabilità del propriopadre o della propria madre, ma delfatto che non possiamo stare al mondoda soli. La famiglia, comunque intesa,può trasformarsi in un’esperienza so­ciale evoluta se in essa si riconosconola criticità e la conflittualità, le si accet­ta e si impara gestirle. Un altro ingrediente è la progettualità:l’avere cioè una visione sul mondo eprovare a spendersi nell’esperienza ge­nitoriale e familiare perché questa di­venti un pezzo di quella visione delmondo. Il fatto che oggi non sia piùscontato, implica una presa in carico euna responsabilità nuova che rende igenitori più consapevoli e anche capacidi mettersi in gioco. A questo è legato iltema dell’impegno, della volontà dicontribuire al cambiamento nelle rela­zioni vicine e lontane, e anche il temadell’organizzazione, del saper cioè pro­gettare in modo nuovo l’esperienza sen­za lasciarla in balia della casualità e del­l’imprevedibilità.Un ruolo importante è giocato dal­l’autonomia, perché l’esperienza fa­miliare può essere davvero un labora­torio di autonomia.Un altro ingrediente è la sacralità: nel­l’esperienza dell’essere genitori e fami­glia c’è un aspetto sacrale, cioè di sepa­razione dal mondo, che consente di

sperimentarsi nelle relazioni allargate eoccasionali e al tempo stesso vivereesclusività, intimità e appartenenza inun legame riparato e connotato.Credo che l’opportunità evolutiva delladimensione genitoriale e familiare sigiocherà tantissimo nel futuro nella ca-pacità di mantenere la tensione con-flittuale tra appartenenza e separazio-ne, di cui tutti quegli ingredienti posso­no essere espressione.La fragilità delle madri e dei padri si gio­ca oggi nell’eccesso di vicinanza e nel­l’abbandono dei riferimenti pedagogici,caratteristiche che possono essere lettecome espressione dell’azzeramentodella conflittualità tra appartenenza eseparazione. Il tentativo post Sessan­totto, post educazione autoritaria, èstato quello di sviluppare una genitoria­lità orientata soprattutto all’apparte­nenza, con i suoi aspetti positivi di inte­resse e attenzione nei confronti deibambini, ma con il limite di cercare inqualche modo di evitare le componentidella separazione.L’esperienza familiare deve consentireai bambini e ai ragazzi, ma anche agliadulti che ne sono coinvolti, di vivereanche la dimensione della mancanza edella perdita. Per poter essere genito­re occorre perdere qualcosa. Se cia­scuno nella sua crescita personale,quella che Jung chiamerebbe indivi­duazione, non perde qualcosa nonpuò diventare soggetto, e dunque nonpuò diventare genitore. Ogni genitoreè un soggetto mancante. Oggi il rischioche corrono padri e madri sta proprioin questo evitamento, nella fatica chesperimentano di fronte alla necessitàdi perdere la propria visione e la pro­pria realizzazione. Penso a un giovanepadre, di circa quarant’anni che ho in­contrato in consulenza che mi raccon­tava di aver scelto di smettere di lavo­rare per stare a casa ad occuparsi deifigli. Era una decisione assunta consa­pevolmente con la moglie ma dallaquale emergeva una forte pretesa dirisarcimento. Mi diceva: “In questomodo io posso sperimentare ciò chenon ho potuto sperimentare con miopadre”. In questa prospettiva però lascelta così innovativa e significativa diquell’uomo rischiava di trasformarsi in

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IER

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un’esperienza molto poco evolutiva,per lui e per i suoi figli.Curare bene l’appartenenza, fare unaesperienza di appartenenza genitorialee familiare, di legame, trasmettere lapossibilità di poter contare su qualcu­no, la ricchezza del dare, condividere escambiare, ma al tempo stesso offrireun’esperienza di separazione, del po­ter cioè percepirsi separati, assumersile proprie responsabilità, del poterguardare a qualcosa che può essere ilnostro modo specifico di contribuire almondo, è la grande occasione che ab-biamo come genitori oggi.Credo che la tensione tra questi duetratti dell’esperienza genitoriale sia ef­fettivamente il modo attraverso cui, in

questa nostra epoca, possiamo tra­sformare in opportunità tutti quegli in­gredienti, e soprattutto per lavorareanche su quegli aspetti che oggi ri­schiano di essere un po’ eccentrici epoco efficaci.

L’esperienza del legame,del contare per qualcuno epoter contare su qualcuno,

è senz’altro uno degli ingredienti

che fanno la differenza

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Sara e Andrea arrivano in studio perchéhanno avuto modo di conoscere Danie­le Novara e il lavoro del CPP duranteuna serata per genitori. Hanno lettoun’intervista a proposito del sostegno aifigli nell’esecuzione dei compiti scolasti­ci, si sono ritrovati in uno sguardo all’es­sere mamma e papà pragmatico, ope­rativo e assolutamente non colpevoliz­zante. Questo è quanto cercano quandosi siedono davanti a me. Non nascondono il loro conflitto di cop­pia, se ne stanno occupando, hanno ini­ziato un percorso con una psicologa inun consultorio, non sanno quale saràl’esito ma non mi chiedono questo, purconsapevoli della necessità di trovareun punto di accordo come genitori.Hanno molte domande sulle loro duebambine di 7 e 3 anni, figlie desideratee a cui si dedicano, ma che ultimamen-te mostrano delle fatiche. La maggiore, Lisa, sembra molto insi­cura, si ritira davanti a nuove richieste,si succhia spesso mani e capelli, ha unatosse che il pediatra ha definito “ner­vosa” da qualche mese. La più piccola,Sofia, fatica ad addormentarsi e soffredi encopresi. Esploriamo cosa hanno fatto davantia queste manifestazioni, com’è l’orga­nizzazione della loro giornata, qualiroutine educative e quali regole scan­discono il tempo familiare. Riguar­dandole insieme, sembra che sianopoco improntate all’implementazione

delle autonomie delle figlie, tenutepiccole e in una dipendenza dai gran­di che richiede un grosso sforzo orga­nizzativo e un significativo dispendiodi energie da parte dei genitori. Riflettiamo sul senso di accompagna­re Lisa e Sofia nella crescita, valoriz­zando quello che sanno e possono fa­re sia per consolidare le competenzeattuali e promuoverne l’acquisizionedi nuove, sia per restituire loro fidu­cia nelle proprie capacità. Integriamo queste considerazioni conalcune informazioni legate ad esem­pio all’utilizzo dei videoschermi in etàinfantile, al senso dei rituali, ecc.Prospettiamo quindi alcuni correttiviche Sara e Andrea si impegnano a spe­rimentare, ci rivedremo insieme dopoqualche settimana per riparlarne. Negli incontri successivi emergonochiaramente alcuni spunti. Stanno alle-nando il loro sguardo rispetto alla cre-scita delle bambine: cercano di pro­muovere passaggi di autonomia anchea prescindere dalle indicazioni ricevute,dismettono ad esempio l’utilizzo delpasseggino per la figlia più piccola chericonoscono come accessorio e sosti­tuiscono con un monopattino. Le indicazioni concordate produconoun movimento in Lisa e Sofia che nel gi­ro di un paio di mesi non manifestanopiù gli atteggiamenti che avevano pre­occupato i genitori, mostrano anzi ri­sorse e competenze.

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IER Un percorso a favore

dell’autonomia dei figliLa storia di due genitori che ce l’hanno fatta

Laura Beltramipedagogista, formatrice e [email protected]

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Lisa riprende sicurezza, si sperimentaanche dove non è certa di riuscire e par­tecipa a una recita in cui parla davanti auna platea di compagni e adulti. Sofia non ha più episodi di encopresi edorme da sola nel suo letto tutta la not­te. A Sara e Andrea sembrano “più gran­di”. Ci diciamo che forse sono state au­torizzate a esserlo, e riconosciamo cheanche gli adulti sono cambiati, abdican­do a un pezzo di cura che dava loro po­tere facendoli sentire indispensabili.Ripensiamo a questi cambiamenti an­che rispetto al clima familiare: hannoavuto un effetto distensivo. L’atmosfe-ra è meno congestionata dalle incom-benze di accudimento e più focalizza-

ta sulle persone. Ciò rimette il focussul conflitto di coppia, ma con maggio­re consapevolezza rispetto ai luoghi incui trattarlo, agli esiti sulla crescita del­le figlie e alla certezza che il bene di So­fia e Lisa è l’interesse comune su cui èpossibile accordarsi.

Regole poco improntate all’implementazione

delle autonomie delle figlie, tenute piccole e in una dipendenza dai grandi

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Nelle realtà sportive giovanili spesso igenitori vivono con una sana consape­volezza educativa l’esperienza sporti­va dei propri figli. Tuttavia ne esisteuna minoranza, la più rumorosa, chesi fa notare, che nutre aspettative po­co realistiche nei confronti dei propripargoli che già appaiono ai loro occhicome futuri campioni. I desideri dellefamiglie non sempre sono commisu-rate alle reali attitudini dei figli espesso sono compensative di un desi­derio personale che è stato impossi­bile da realizzare.Questi genitori si recano al campo perassistere alle partite/gare come fosse­ro ultras, considerano vere e proprieingiustizie il fischio dell’arbitro per unfallo (per loro inesistente), l’attesa delturno in panchina del loro figlio, la pal­la “rubata con abilità” da un avversa­rio, l’insuccesso della prestazione, vi­vendo gli eventi come fossero sconfit­te personali, dando dimostrazione discarso controllo emotivo, di invadenzae talvolta di inciviltà.Fanno parte della categoria ultras queigenitori invadenti che non riconosconola professionalità e competenza deglioperatori sportivi. La sfiducia che nederiva li porta a interferire nel loro la­voro: si sostituiscono all’allenatore siadalle tribune nel corso della partita/ga­ra con suggerimenti e consigli per i pro­pri figli atleti, sia nel dopo partita/garacon analisi, disamine e soprattutto cri­tiche. Antepongono l’interesse del pro­prio figlio a quello della squadra, criti­cano l’operato dell’allenatore, nonché,le prestazioni dei compagni di squadradei propri figli, spesso aggrediscono

verbalmente gli avversari siano essiatleti, allenatori o genitori.

ALLENATORI E GENITORI: GIOIE E DOLORIGli eccessi a bordo campo evidenzia­no spesso un difficile rapporto fra fa­miglie e società sportive. A volte que­sto può dipendere sia dalla scarsa em­patia dei dirigenti e degli allenatoriverso i genitori, sia dall’incompetenzadei tecnici a comunicare efficacemen­te, sia da un eccesso di aspettative edi invadenza genitoriale.Le esigenze e le aspettative dei geni­tori e degli allenatori sono diverse, co­me differenti sono le funzioni chesvolgono nei confronti dei ragazzi. Èlegittimo che un genitore voglia vede­re il proprio figlio giocare divertendo­si, come, a sua volta è comprensibile,che l’allenatore non possa sempremettere in campo tutti. Il conflitto èquindi fisiologicamente inevitabile.Semmai le società e le famiglie po­trebbero impegnarsi a condividerecon chiarezza i reciproci ruoli e a la­sciare che l’esperienza sportiva sia vis­suta in autonomia dai figli.

ALCUNE PROPOSTE EDUCATIVEIl problema dei genitori ultras a bor­do campo non si risolve facendo“pronto soccorso”, o con i d.a.spo.(divieto di accedere alle manifesta­zioni sportive), quando l’episodioscorretto è ormai avvenuto. Meglio investire sulla prevenzione,mettendo in campo interventi forma­tivi rivolti sia ai genitori, sia agli allena­tori, al fine di rendere i primi educatori44

I genitori nello sport dei figliServe formazione e comunicazione chiara

Lucia Castellipedagogista, Settore Giovanile Atalanta [email protected]

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vigili ma non invadenti, appassionati manon incivili, sportivi ma non tifosi scate­nati; e di migliorare nei tecnici le compe­tenze pedagogiche e socio­relazionali.Reputo necessari e fondamentali unaserie di incontri fra famiglie e allenatori,usufruendo della consulenza di un edu­catore, allo scopo di condividere: il pro­getto sportivo­educativo contenente lelinee guida e le finalità della praticasportiva giovanile perseguite dal club, gliobiettivi sportivi e quelli educativi; i ruolie i compiti dei dirigenti, degli accompa­gnatori e degli allenatori e il conseguen­te codice etico e i ruoli dei genitori e ilcodice etico da rispettare.In queste sedi opportune si potrebbe

negoziare e dunque stipulare un con-tratto sportivo/educativo fra allenato-ri e genitori, chiarendo le richieste e leaspettative reciproche, come per esem­pio la definizione delle finalità sportivedella società (vincere il campionato ofar giocare tutti, coltivare i talenti o va­lorizzare i giovani indipendentementedalle abilità), e di quelle educative (il ri­spetto delle regole della convivenza ci­vile e del gioco).I genitori potrebbero interrogarsi e ri­flettere, inoltre, sulle aspettative nutriteper il figlio atleta, sul ruolo ricopertonell’ambito dell’associazione, definendochiaramente sia i possibili contribuiti siai confini, oltre i quali è bene non andare.

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Investire sulla prevenzione, mettendo in campo interventiformativi rivolti sia ai genitori, sia agli allenatori

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Gli insulti e le parolacce tra gli alunnipossono essere pronunciati con inten­zioni e sfumature diverse. Alcune sonobonarie, altre invece volgari e offensi­ve. Qualche volta si tratta di stereotipiripetuti meccanicamente, altre voltedi espressioni più o meno argute in­ventate sul momento. Per deciderecome intervenire è necessario valuta-re la relazione che esiste tra i ragazzie il contesto in cui quei termini ven­gono pronunciati. L’intervento del do­cente può essere fermo e deciso op­pure blando e tollerante, in linea dimassima però è meglio non fare fintadi non aver sentito perché è quellaun’occasione per far notare ai ragazziche non stanno usando un linguaggioaccettabile e che ci sono altre espres­sioni, più evolute e meno rozze, permanifestare i propri stati d’animo. Insulti e parolacce possono essereraggruppati in quattro tipi fonda­mentali: sessisti, razzisti, blasfemi epersonalizzati. Nella prima categoria rientrano tuttequelle espressioni che riguardano lasessualità della persona presa di mirao riferimenti denigratori a parenti(madri, sorelle, ecc.). Sono più fre­quenti tra i maschi. Le ragazze posso­no esprimersi, in chiave sessista, sulledimensioni del cervello dei ragazzi, leloro limitate capacità intellettive, leprestazioni sessuali.Le espressioni razziste sono spesso in­terpretate in chiave umoristica da chi

le pronuncia o da chi le ascolta (manon da chi è preso di mira), in quantosi rifanno a barzellette e stereotipi col­laudati su cui molti sono abituati a sor­ridere. Possono però avere effetti de­stabilizzanti nei malcapitati, special­mente se essi non possono reagire odifendersi. Le sfumature sono impor­tanti. Nomignoli a sfondo razzista pos­sono essere usati in tono bonario, co­me il soprannome “cinese” affibbiatoa un compagno di squadra, il qualenon solo non si offende ma lo accettacome un tratto della sua identità.Le bestemmie, molto diffuse in alcunicontesti tanto da diventare una sortadi intercalare, vanno scoraggiate,qualunque sia l’orientamento ideolo­gico del docente. Ci sono, infine, le annotazioni denigra­torie che riguardano caratteristichepersonali come il look, lo status socio­economico, caratteristiche fisiche opsicologiche. Questo tipo di attacchi,che un adulto può sottovalutare, pos­sono invece colpire l’autostima di unalunno già insicuro nei confronti dicompagni più sicuri di sé per prove­nienza sociale o spalleggiati da ungruppo di amici.Che fare?­ È bene non ignorare gli abusi ver-

bali. Prima di intervenire però biso­gna capire in quale forma si verifi­cano, quali effetti hanno sui ragazzi,che cosa significano per loro. Biso­gna comprendere contesto e sfu­46

Gestire insulti e parolacce in classe

Anna Oliverio Ferraris

psicologa, psicoterapeuta, docente all’Università di Roma - [email protected]

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mature. Ad esempio, in certe situa­zioni gli abusi verbali a catena (bot­ta­e­risposta) ostacolano lo svolgi­mento del lavoro scolastico. In altrecircostanze invece le annotazioni so­no lievi e per contrastarle basta unminimo intervento, qualche voltauna battuta di spirito.

­ Intervenire con delle sanzioni serve,qualche volta, lì per lì; altre volte puòavere invece effetti controproducentisoprattutto se i ragazzi sono abituatia quel tipo di interazione. Può iniziareun gioco senza fine che porta a un de­terioramento dei rapporti. Bisognaallora parlarne in gruppo, facendovalutare ai ragazzi stessi i loro com-portamenti e le conseguenze che nederivano per il buon funzionamentodella classe. Lo psicologo ThomasGordon propone un modello chiama­to “finestra” da realizzare in classedove le espressioni accettabili sonoposte in alto e quelle inaccettabili inbasso: la linea di demarcazione tra idue tipi di espressioni costituisce lasoglia di accettazione.

­ Non bisogna dimenticare che, quan­do si scambiano battute, i ragazziesperimentano talune espressioni lin­

guistiche che fanno parte dell’imma­ginario degli adulti: non intendonosoltanto insultare o provocare, vo-gliono anche vedere l’effetto cheprovocano e l’attenzione che riesco-no a suscitare nei compagni. Bisognadistinguere una canzonatura per farsinotare, da un abuso aggressivo; maanche spiegare la differenza di condi­zione psicologica tra colui che invia ilmessaggio e colui che lo riceve.

­ Poiché, come è noto, l’uso delle pa­rolacce come intercalare può essereil frutto di un vocabolario limitato edi una scarsa capacità espressiva, unesercizio che si può fare in classeconsiste nel riformulare determina-te frasi utilizzando termini accetta-bili e maggiormente diversificati.Termini che si possono trovare nelvocabolario.

Ci sono quattro tipi fondamentali di insulti:

sessisti, razzisti, blasfemi e personalizzati

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L’importante non è fare pace

La sequenza qui illustrata accade nellasezione Grandi del nido d’infanzia. Daormai molti anni educatrici e insegnantipromuovono il metodo Litigare Benecome azione educativa nel sostenerel’evoluzione delle competenze dei bam­bini attraverso le situazioni conflittuali.La prima esperienza formativa è av­venuta direttamente con Daniele No­vara e Marta Versiglia, in seguito allapartecipazione al Convegno dedicato,ed è stata seguita da una manuten­zione della metodologia con un for­matore del CPP.L’approccio infatti è talmente lontanodai modelli interventisti radicati nellastoria educativa di ognuno e nei geni­tori di oggi, che riteniamo necessarioprogrammare momenti di confrontoche ci fortifichino sulla nostra scelta. Inogni sezione del nido e della scuola, apartire dai 2 anni circa dei bambini vie­ne anche allestito un Conflict Corner, ilcui senso è condiviso con i bambini econ i genitori tutti, destinatari anche diappuntamenti specifici sul tema del­l’aggressività infantile e delle scelte delservizio sull’adozione del metodo Liti­gare Bene.

“ME LO DAI?” “NO!”Valerio e Carlo entrambi di 34 mesi,compagni di sezione e parecchio amici,ingaggiano una contesa per alcuni ele­menti di costruzione. I due bambiniper molti minuti seguitano a cercare diportare via il gioco l’uno dalle mani del­

l’altro ma hanno pari forze e medesimadeterminazione, nessuno dei due mol­la. La frustrazione è altissima per en­trambi e scoppiano in grida disperate.L’educatrice propone loro di sedersi alConflict Corner e provare a trovare unaccordo.I due accettano ma continuano il litigionon riuscendo a separarsi dagli oggettidel contendere. Altri bambini si avvici­nano e assistono.L’educatrice propone allora di lasciare igiochi a terra così essere liberi di trova­re degli accordi. I due bambini prote­stano ma subito dopo iniziano a farsidomande reciproche: “Me lo dai?”“No” e verso l’educatrice “Ha detto no…” Vanno avanti così per parecchi minuti,uno dei due sembra più conciliante mala risposta dell’altro è sempre “No”.Piano piano la tensione si allenta e sicapisce che questo “no” è ormai un di­vertimento. All’improvviso i due bam­bini riprendono i giochi e anche la con­tesa, uno dei due scappa via e l’altrolo insegue nella sezione, c’è di nuovoun breve litigio e poi come per magiali si vede giocare vicini ognuno con unsuo pezzo in mano. C’e chi invece preferisce giocare nellacapanna. Tra Fiamma e Andrea nasceuna contesa per alcuni materiali eper aggiudicarsi un posto all’internodella capanna. Andiamo a trovare una soluzione nelConflict Corner. Una volta seduti sullesedie inizia la discussione: Fiamma:

di Cinzia D’Alessandro

pedagogista, coordinatore pedagogico di Nido e scuola d'infanzia La Locomotiva di [email protected]

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“No! No! No!”, Andrea: “Si!Si!Si”, Fiam­ma: “No!No!”, Andrea prendendo ilpiede di Fiamma: “Questo e il tuo pie­de?”, Fiamma: “Sì, il mio piede e il miovestito”. Andrea prendendole la gam­ba: “Ti do un bacino sul piede”. Fiam­ma sorride ricevendo il bacino e ricam­bia prendendo il volto di Andrea avvi­cinandolo al suo per dargli a sua voltaun bacino sul naso.

SENZA PREVARICAREQuesti due litigi ci sembrano esemplaridi uno dei punti essenziali del metodo:la proposta non ha la finalità di invitarei bambini a fare pace ma a trovare unamodalità per stare nei conflitti senzaprevaricare, abbandonando l’istinto disopraffazione e l’utilizzo della forza fi­sica a favore dell’utilizzo dello scambiodialettico.L’adulto non lascia i bambini, ancora pic­coli, da soli nel Conflict Corner ma la suapresenza è d’interesse e di invito a risol­vere tra di loro la querelle. Inoltre l’adul­to non pretende che i bambini risolvanoin quel contesto il litigio ma sa che, of­frendo loro uno spazio e un tempo perfermarsi, in qualche modo permette alconflitto di stemperarsi. 49

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Ci mancava, nel desolante e desolatopanorama delle politiche ministerialiper la scuola, questa novità delle trebuste chiuse per l’ouverture dell’esa­me di maturità. All’orale i ragazzi do­vranno scegliere a caso uno tra tre pli­chi, e il loro esame partirà dalle do­mande o suggestioni (un testo, un’im­magine, ecc.) che vi troverà inseriti. Iltutto avrebbe l’obiettivo di garantire latrasparenza delle procedure e il fattoche i ragazzi siano trattati tutti allostesso modo. Tutto anonimo e imper­sonale, come nelle gare d’appalto. Forse il Ministro non si è reso contoche questa scelta offende implicita­mente migliaia di commissari d’esa­me, come se l’esame di maturità finoallo scorso anno fosse poco trasparen­te e le domande dei commissari venis­sero poste in modo arbitrario e senzariferimenti all’esperienza di studio deiragazzi. Ed è peraltro indecente cheun Paese civile modifichi l’esame dimaturità per sei volte in quindici an-ni e non riesca a creare una commis­sione bi­ o tri­partisan che vari un mo­dello di esame che almeno per diecianni non venga più toccato.Certo, per arrivare a questo risultatooccorrerebbe ascoltare la voce degliinsegnanti e dei ragazzi, prendersi unanno per una vera ricerca qualitativasul vissuto della maturità, sulle strate­gie di verifica e di valutazione più effi­caci e più amate dagli studenti, sulsenso di questo appuntamento nella

vita dei ragazzi e dei professori. Si trat­terebbe insomma di ascoltare la vocedella scuola, una volta nella vita diquesto Paese. Ma questo non è pen­sabile: gli ordini vengono dall’alto, chicomanda decide, la scuola viene ge­stita da chi non la conosce, altro chedemocrazia diretta. Parafrasando Or­well: “Uno vale uno ma ci sono ‘uni’che valgono più degli altri”.Il tema delle verifiche e delle valuta­zioni nella scuola è in pieno delirio,anche perché ormai oggi si valutatutto e il contrario di tutto. Basta ac­cendere un apparecchio televisivo.Dal decerebrato che per valutare ipiatti cucinati dagli allievi li lancia perterra, a Donatella Rettore che assegnaun voto basso a una allieva cantanteperché la canzone di Orietta Berti nonle piace (che sarebbe come dire: “Haistudiato bene ma siccome a me D’An­nunzio fa schifo, ti do 4”). Modelli,questi, che i ragazzi si portano a scuo­la, trovando a volte le stesse follìe ne­gli insegnanti: da chi valuta la versionecon “2 meno 2” a chi abbassa il votodi un punto perché il ragazzo si è com­portato male.Investire sulla formazione degli inse­gnanti sarebbe la strada migliore, matre buste costano cinquanta centesimidal cartolaio, vogliamo mettere il ri­sparmio?!Questo delirio valutativo, sul quale hadetto parole importanti Angelique DelRey1, fa sì che anche a scuola spesso

E andiamo con le buste

Raffele Mantegazza

pedagogista, dipartimento di Scienze della Salute, Università degli Studi di [email protected]

1 A. Del Rey, La tirannia della valutazione, Elèuthera Milano 2018.

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la valutazione non sia lo strumento mail fine della relazione educativa. Ma laquestione delle buste, che ricorda trop­po da vicino il gioco dei pacchi che im­pazza sulla Rai, spalanca un interessantepunto di vista sull’idea di scuola del Mi­nistero. Si è detto per anni ai ragazzi chel’orale di maturità doveva partire dai lo­ro interessi, che dovevano essere inter­rogati a partire da quello che sapevanoe non da quello che ignoravano, che ilcolloquio doveva essere cogestito dalcommissario e dal ragazzo, che anziquest’ultimo doveva esserne protagoni­sta: ora siamo al “Rischiatutto” (“Scegliala busta 1, la 2 o la 3?”), in un esame nel

quale l’ultima cosa che conta è la per­sonalità del ragazzo e i suoi gusti, i suoipiaceri, le sue scelte. L’esame di maturità voluto dal “governodel cambiamento” è all’insegna dellasorte, dell’anonimato, della totale man­canza di rispetto per le persone e per leloro storie, siano esse commissari e stu­denti. Un esame che scavalca le perso-ne per imporre modelli asettici e im-personali di relazioni e di apprendi-mento. Ma se lo si inquadra nell’ambitopiù ampio delle politiche nazionali, oc­corre riconoscere che quello che nonmanca a questo governo, da questopunto di vista, è l’assoluta coerenza.

A scuola spesso la valutazione non è lo strumentoma il fine della relazione educativa

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UNA QUESTIONE CONTROVERSAIn Danimarca si raccolgono firme pervietare la circoncisione, dopo la leggeche vieta il burqa entrata in vigore loscorso anno. I capi religiosi non hannocommentato: le motivazioni sembra­no rientrare in una logica anti migran­ti, di profilo razzista e xenofobo1. An­che l’Associazione dei medici danesi siè espressa a favore di una legge chie­dendo che la pratica sia ritenuta ille­gale sotto i 18 anni.Anche in Islanda si vuole bandire la cir­concisione. È stato depositato un dise­gno di legge, voluto a maggioranza,che prevede una pena detentiva di seianni per chiunque sia riconosciuto col­pevole di “rimozione di organi sessualiin toto o in parte”. Si descrive la circon­cisione come una “violazione” dei di­ritti2. In questo caso però l’opposizionedelle autorità religiose è stata netta eper il momento la proposta è rimastanel cassetto3.La Svezia già nel 2012 ha chiesto chevenisse fermata la circoncisione soste­nendo che l’operazione “è dolorosa eirreversibile e può avere effetti indesi­derati" e attivandosi per "prendere

tutte le misure efficaci appropriate perabolire le pratiche tradizionali che pos­sono pregiudicare la salute dei bambi­ni"4. Ad oggi però nulla è stato fatto.In Germania il tribunale di Colonia nel2012 ha stabilito che la circoncisionedei bambini per qualsiasi motivo chenon sia strettamente medico è "una fe­rita inferta volontariamente", ossia èuna pratica violenta e deve essere con­siderata illegale. Una sentenza storicaper il diritto tedesco5. L’Ordine dei me­dici aveva dunque vietato tale praticama dopo le proteste di musulmani edebrei la circoncisione dei bambini è sta­ta nuovamente consentita ma solo sepraticata da un medico che ha l’obbligodi mettere a conoscenza dei genitori leconseguenze che potrebbe comporta­re. Angela Merkel si è espressa control’ordine dei medici sostenendo l’impor­tanza di garantire a ebrei e musulmanila loro pratica religiosa6.La questione è molto controversa:da un lato la necessità di preservarel’integrità fisica dei bambini e di im­pedire azioni irreversibili a un’età incui non è possibile per loro decidere,dall’altra la questione religiosa, fon­

La circoncisione infantileÈ necessario aprire un dibattito

formatrice, consulente educativa [email protected]

Paola Cosolo Marangon

1 A. Tarquini, Cresce in Danimarca il sentimento anti migranti, dopo il burqua si vuole proibire anche lacirconcisione, «la Repubblica», 11 giugno 2018, www.repubblica.it/esteri/2018/06/11/news/dani-marca_anti_migranti_dopo_il_burqa_ora_si_vuole_proibire_anche_la_circoncisione-198713748/

2 Aa. Vv., L’isola infelice. L’Islanda ha eliminato i down, ma ora vuole proibire la circoncisione, «Il Foglio»,3 febbraio 2018, www.ilfoglio.it/bioetica-e-diritti/2018/02/03/news/l-isola-infelice-176706/

3 I. Myr, A Riga i rabbini europei discutono delle leggi contro la circoncisione e le norme alimentari, «BetMagazine Mosaico», 1 maggio 2018, www.mosaico-cem.it/attualita-e-news/mondo/leggi-europa-cir-concisione

4 Adnkronos, Salute: circoncisione, in Svezia chiesto il divieto, 1 ottobre 2013, www1.adnkronos.com/Ar-chivio/AdnSalute/2013/10/01/Sanita/Salute-circoncisione-in-Svezia-chiesto-il-divieto_110100.php

5 Aa. Vv., In Germania la circoncisione religiosa è ora illegale, «Globalist Syndication», 28 giugno 2012,www.globalist.it/news/2016/05/08/in-germania-la-circoncisione-religiosa-e-ora-illegale-26817.html

6 P. Lepri, Merkel in prima linea sulla circoncisione: “Ingiusto vietarla”, «Corriere della Sera» 14 luglio2012, www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=2&sez=120&id=45255

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dante per molte comunità.Già la Legge 101 del 1989, che ha ap­provato l'intesa tra l'Italia e le comunitàebraiche italiane, ha riconosciuto laconformità della pratica circoncisoriaebraica ai principi del nostro ordina­mento giuridico. Un'apertura che il Co­mitato nazionale di bioetica ritiene deb­ba essere estesa, per analogia, anche al­le altre confessioni religiose. Dal puntodi vista giuridico la circoncisione ritualemaschile in Italia è ammessa, mentrequella femminile è vietata da una leggespecifica, la 7/2006, che ne punisce i re­sponsabili con la reclusione da quattroa dodici anni. Il legislatore ha tirato unalinea tra due atti concettualmente affini,ma di diversa gravità. La mutilazionefemminile viene definita grave mentrequella maschile lieve. Si tratta di prati­che religiose che sono irrinunciabili, adetta dei fedeli. Parliamo del mondoebraico ed islamico in particolare.Alcune regioni, come la Toscana, il Lazio,il Piemonte e il Friuli­Venezia Giulia han­no previsto la possibilità di eseguire l’in­tervento tramite il Servizio Sanitario Na­zionale con un ticket abbastanza soste­nibile. Nel 2016 è partita una convenzio­ne con alcuni medici, con una spesa chesi attesta attorno ai quattrocento euro inregime di attività libero professionalecome prestazione extra Lea (Livelli es­senziali assistenziali) grazie a un proget­to “clinico culturale” che vede tra i sotto­

scrittori il Policlinico Umberto I di Roma,l'Associazione internazionale Karol Woj­tyla, la Comunità ebraica di Roma e ilCentro islamico culturale d'Italia. Il pro­getto ha coinvolto nel primo anno i resi­denti nel Lazio, dove vivono tra gli ottan­tamila e i centoventimila musulmani enascono ogni anno tra i seicento e gli ot­tocento bambini, e poi potrà essereesteso alle altre regioni7.

DA DOVE NASCE QUESTA PRATICA?La prima rappresentazione figurata del­la pratica della circoncisione risale al2300 a.C. e si trova sulla parete di unatomba a Saqqara, nel Basso Egitto.Mentre la più antica citazione scritta ri­sale a qualche centinaio di anni dopo,quando un anonimo autore si vanta diaver sopportato il dolore durante unacirconcisione di massa. Nel Libro deiMorti, il passaggio relativo al dio sole Rache si taglia pare si riferisca a una cir­concisione. Le fonti non spiegano peròla ragione di questa pratica, che forse ri­guardava solo i sacerdoti. La circoncisio­ne fa il suo debutto culturale nel librodella Genesi, in cui Abramo è circoncisoper volere del Signore per ingravidare lamoglie Sara, ma il suo scopo nella reli­gione giudaica è rituale e non medico.L’atto instaura un potente legame tra gliebrei e il loro Dio. La circoncisione ebraica è interpretatacome segno del patto tra Dio e il popolo

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7 F. Micardi, Circoncisione negli ospedali pubblici per 400 euro, «Il Sole 24 ore», 23 novembre 2016, www.il-so le24ore .com/art/notiz ie/2016-11-23/c i rconc i s ione-ospeda l i -pubb l i c i -400-euro- -214958.shtml?uuid=AD6tZm0B&refresh_ce=1

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ebraico tanto da essere considerata daalcuni rabbini come il principale coman­damento dato da Dio agli ebrei. Non èpertanto un rito di iniziazione paragona­bile al battesimo cristiano, in quanto l’es­sere ebreo non dipende dalla circoncisio­ne, ma dall’essere nato da madre ebrea.Individuare le origini di tali rituali appa­re impresa ardua, considerando che esi­stono documenti storici che ne fanno

immaginare la pratica già dal 5000­6000a.C. In Egitto la circoncisione sia maschi­le che femminile è documentabile findal III millennio a.C. ed il fatto che la Bib­bia ricordi che originariamente venissepraticata con coltelli rituali di selce ren­de probabile l’ipotesi che risalga finoall’età della pietra10.Sebbene uno dei quattro vangeli riferi­sca che anche Gesù era circonciso, le pri­

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La circoncisionenell’IslamRispetto all’ebraismo nell'Islam mancail concetto di “patto” o “alleanza”. Pre­vale, dunque, ma non è esclusivo, ilsenso più antico della circoncisione.Questa oscillazione dottrinale si riflet­te sull’età in cui fissare il rito, che variaa seconda delle fonti. Abramo circon­cise Isacco a sette giorni e Ismaele atredici anni. Muhammad circoncise idue nipoti, Hasan e Husayn, all'età disette anni. Ma ci sono anche dottrinein base alle quali la circoncisione puòessere effettuata dopo quaranta giornidalla nascita o all'età di dieci anni. Il neonato musulmano maschio, nato

vivo e vitale, deve essere circonciso. Lapratica della circoncisione (khitan),sembra apparentemente confliggerecon un altro principio islamico, quellodella sacralità del corpo umano. Infat­ti, qualsiasi danno fisico è sanzionatodalla legge penale. Solo i necessari in­terventi medici sul corpo umano sonoconsiderati leciti. Tuttavia, la circonci­sione non viene considerata una me­nomazione fisica, ed è pertanto lecita. L'obbligatorietà della circoncisionenon ha base coranica, ma è giustificatadalla sunna profetica. Il dovere di cir­concidere i maschi viene meno quan­do un bambino nasce già circonciso,oppure è troppo debole, o ancoraquando un uomo anziano si converteall'islam e lo impedisca la sua cagione­vole salute9.

8 www.comunitaebraicabologna.it/it/cultura/ciclo-della-vita/835-la-circoncisione-brit-milah9 A, Cilardo, Il minore nel diritto islamico. Il nuovo istituto della “kafala”, in La tutela dei minori di cultura

islamica nell'area mediterranea. Aspetti sociali, giuridici e medici, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli2011, pp. 226-231.

10 Aa. Vv., Le mutilazioni genitali rituali: dimensioni etiche e medico legali di un fenomeno sociale, «DifesaSociale», vol. LXXXV, n. 3-4, 2006, pp. 39-52.

La circoncisioneebraicaLa nascita di un figlio maschio è segui­ta dal rito di Brit Milah (circoncisione)che risale ai tempi di Abramo, al quale,come segno della sua alleanza con Dio,fu ordinato di circoncidere se stesso ei suoi figli Ismaele e Isacco. Dato cheIsacco aveva otto giorni di vita, oggi ilBrit Milah viene praticato ai bambiniche hanno raggiunto l’ottavo giorno dietà, ma la cerimonia può essere ri­mandata per ragioni di salute.Anche se, in teoria, l’obbligo di cir­concidere il figlio cade sul padre, inpratica, la circoncisione è eseguita da

un esperto chiamato Mohel. Un ono­re speciale circonda il Sandek, cioècolui che tiene il bambino tra le brac­cia durante il rito. Questo onore è so­litamente attribuito ai nonni, agliospiti illustri o al rabbino. Il rito siconclude con questa benedizione:“Come questo bambino è ora entratoa fare parte del Brit Milah, possa me­ritare di accedere allo studio della To­rah, di entrare nel baldacchino nuzia­le e di compiere opere buone!” La cir­concisione è di fatto l’unico coman­damento della Bibbia che viene defi­nito Brit cioè “alleanza”. Nella storiaebraica è diventato uno dei simbolidistintivi del rapporto tra il popoloebraico e l’unico Dio8.

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me comunità cristiane decisero di am­mettere anche i non circoncisi, mentrel’Impero romano abolì la pratica. Il rifiu­to della Chiesa cattolica di ammettere il“rito” della circoncisione fece sì che di­venisse una prerogativa delle cultureebrea e musulmana. Questo fino allametà del Settecento, quando la mastur­bazione maschile cominciò a essere con­siderata un problema medico, causa sca­tenante di squilibrio e di malattie, oltreche peccato. Nel 1891 il presidente delRoyal College of Surgeons of Great Bri­tain pubblicò un trattato intitolato La cir­concisione come misura preventiva con­tro la masturbazione, e ancora nel 1930,negli Stati Uniti la circoncisione era con­siderata la “cura” per la masturbazione.Solo dopo la Seconda guerra mondiale,il sistema sanitario nazionale britannicosmise di sovvenzionare l’operazione per­ché i benefici per la salute non erano di­mostrati. Nel 2012 l’associazione di ca­tegoria, la American Academy of Pedia­trics, per la prima volta nella storia ap­prova pubblicamente la circoncisione al­ludendo ai suoi benefici pratici e snoc­ciola le linee guida e i consigli per prov­vedere alla pratica dei piccoli. A suggel­lare la decisione dei medici, arriva anchel’appoggio dell'associazione dei gineco­logi e ostetrici statunitensi, la secondacategoria coinvolta, da anni, nella di­scussione sui pro e contro dell’operazio­ne in giovane età11. Tuttavia nello stesso

anno un tribunale tedesco aveva stabili­to che la circoncisione di giovani maschicausa gravi lesioni personali.Il Consiglio di Europa ha chiaramenteespresso attenzione per l’integrità fisicadei bambini e degli adolescenti, anno­verando la circoncisione tra le praticheche intervengono su questa integrità.Non attiva però un divieto ma solo unagenerica indicazione agli stati membri disalvaguardia dei più piccoli12.

LE PROBLEMATICHE La questione è senza dubbio spinosa esorge un dubbio: questo tipo di prati-che può considerarsi traumatico? Laquestione dell’integrità è importante eparlando di diritti dei minori è quantomai saliente. Cosa succede a un indivi­duo che ha subito una pratica violentasu di sé? Che tipo di ripercussione puòavere? C’è una correlazione tra violenzasubita e violenza agita?La nota psicologa Alice Miller riporta nelsuo L’infanzia rimossa un brano di De­smond Morris in cui viene sottolineata lacrudeltà delle mutilazioni genitali: “Nellamaggior parte dei casi la violenza è pro­dotta mediante la mutilazione sia del ma­schio che della femmina. Queste sor­prendenti forme di mutilazione sono piùantiche della stessa civiltà. È verosimileche esistessero già nell'età della pietra.Benché nel caso della circoncisione ci sitrovi con tutta evidenza dinanzi a lesioni

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11 B. Goodman, New Policy Supports Choice for Male Circumcision, 27 agosto 2012, www.webmd.com/pa-renting/baby/news/20120827/new-policy-supports-choice-male-circumcision#1

12 T. Onida, Diritto dei bambini a una piena integrità fisica, Centro Nazionale di documentazione e analisiper l’infanzia e l’adolescenza, 21 marzo 2014, www.minori.gov.it/it/minori/diritto-dei-bambini-a-una-pie-na-integrita-fisica

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intenzionali che gli adulti infliggono aibambini, si è sempre preteso di farlo ani­mati dalle migliori intenzioni. [...] Unadelle più antiche motivazioni della circon­cisione maschile, l'eliminazione del pre­puzio, era che garantiva l'immortalità sot­to forma di sopravvivenza dopo la morte.Questa curiosa convinzione si basava sul­la osservazione che il serpente si liberadella pelle e riappare poi come 'rinato'nelle sue nuove, smaglianti scaglie”13. An­cora Alice Miller, ne La persecuzione delbambino14 cerca di mettere in guardia glieducatori dagli effetti della pedagogianera della religione. La circoncisione, adetta sua è una pratica di pedagogia nerae non potrà che avere ripercussioni sullavita futura dell’individuo.Alcuni studi fatti in ambito anglosassonehanno rilevato che la pratica della cir­concisione causa un vero e proprio trau­ma. Viene riportato che è spesso esegui­ta su neonati senza anestetico o conanestetico locale inefficace a ridurre so­stanzialmente il dolore15. È importanteconsiderare anche gli effetti del dolorepost­operatorio nei neonati circoncisi(indipendentemente dal fatto che vengautilizzata l'anestesia), descritto come"grave" e "persistente"16. Inoltre nel 2012 molti psicologi, medi­ci e diverse organizzazioni mediche edi categoria si sono dichiarate profon­damente preoccupate dalle linee gui­da sulla questione emesse dal Con­gresso americano, basate su studi rite­nuti metodologicamente errati, e for­temente criticati dall'American Acade­my of Pediatrics17. Sebbene alcuni credano che i bambini

"non ricorderanno" il dolore, ora sap­piamo che il corpo "ricorda", come di­mostrato da studi che ci dicono che ibambini circoncisi sono più sensibili aldolore più tardi nella vita18. Le ricerchecondotte hanno individuato distinti mo­delli comportamentali caratterizzati daaumento dell'ansia, alterazione dellasensibilità al dolore, iperattività e pro­blemi di attenzione19.La circoncisione nell'infanzia e nell'ado­lescenza sembra avere conseguenzepsicologiche negative significative. A se­guito di un evento traumatico, moltibambini sperimentano ansia, depressio­ne e rabbia, e molti altri cercano di evi­tare e reprimere questi sentimenti do­lorosi20. Inoltre, i bambini spesso speri­mentano una debilitante perdita di con­trollo che influisce negativamente sullaloro capacità di regolare le emozioni edi dare un senso all'esperienza trauma­tica21. In uno studio sugli adulti circon­cisi durante l'infanzia, Hammond22 hascoperto che molti uomini concettualiz­zavano la loro esperienza di circoncisio­ne come un atto di violenza, mutilazio­ne o violenza sessuale.

DOMANDE APERTELa faccenda è complicata per la fortecommistione con l’elemento religioso.La religione impone talvolta dei rituali,e questo ne è un eclatante esempio,che non tengono conto dell’integritàdei bambini. La domanda principale èallora proprio questa: come conciliareil diritto dell’individuo, sancito dallacarta dei diritti dell’uomo ad avere uncorpo integro e a non subire violazioni,

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13 A. Miller, L’infanzia rimossa. Dal bambino maltrattato all’adulto distruttivo, Garzanti, Milano 1986, pp.218-220.

14 A. Miller, La persecuzione del bambino. Le radici della violenza, Bollati Boringhieri, Torino 1989.15 J. Lander et altri, Comparison of Ring Block, Dorsal Penile Nerve Block, and Topical Anesthesia for Neonatal

Circumcision: A Randomized Controlled Trial, «JAMA», 278 (24), 199, pp. 2157-2162, doi:10.1001/ja-ma.1997.03550240047032

16 C.R. Howard, F.M. Howard M.L. Weitzman, Analgesia acetaminofene nella circoncisione neonatale: l'effet-to sul dolore, «Pediatria», 93, 1994, pp. 641-646.

17 Si veda Aa. Vv., Pregiudizio culturale nella relazione tecnica del 2012 dell'AAP e dichiarazione sulla politicasulla circoncisione maschile, «Pediatria» 131, 2013, pp.796-800, http://it.psy.co/il-danno-psicologico-del-la-circoncisione.html

18 A. Taddio, J. Katz, A.L. Ilersich, G. Koren, Effetto della circoncisione neonatale sulla risposta al dolore du-rante la successiva vaccinazione di routine, «Lancet» 349, 1997, pp. 599-603.

19 K.J. Anand, F.M. Scalzo, Le esperienze neonatali avverse possono alterare lo sviluppo del cervello e il suc-cessivo comportamento?, «Biol Neonate», 77, 2000, pp. 69-82.

20 E. Gill, Helping Abused and Traumatized Children: Integrating Directive and Nondirective Approaches,Guilford Press, New York 2006.

21 B.A. Van der Kolk, Disordine traumatico dello sviluppo: verso una diagnosi razionale per bambini con storietraumatiche complesse, «Annali psichiatrici» 35, 2005, pp. 401-408.

22 T. Hammond, Un sondaggio preliminare di uomini circoncisi nell'infanzia, «BJU International», 83, 1999,pp.85-92.

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e rispettare anche il diritto derivantedalla pratica religiosa?Il conflitto è aperto ed è importante.Quanto un bambino e una bambinahanno diritto a non essere sottoposti aqueste pratiche? Molti studi, come di­mostrato, sottolineano che la praticaviolenta della circoncisione causa trau­ma nei bambini: è più importante laquestione legata al culto del benesserepsicofisico?E poi, cosa accade veramente a livellodi riproposizione della violenza subita?Gli studi sulla vita prenatale e neonataleci dicono chiaramente che un agito vio­lento subito nelle primissime fasi dellanostra vita ha ripercussioni certe sul no­

stro futuro. Ogni violenza subita vienenella maggior parte dei casi restituita,vediamo quello che accade con la pedo­filia o con le punizioni corporali.Può la circoncisione creare una condi­zione tale per cui perpetrare violenzadiventa più facile? “Qualsiasi pratica sa­nitaria attuata sul bambino, in modoparticolare se invasiva, può avere delleconseguenze traumatizzanti sul suo svi­luppo esistenziale”25.Come si sviluppa questo trauma? Puòdiventare logica violenta?Credo che la strada sia tutta in salita, undibattito che sarebbe utile accendere eattivare, per poter stare dalla parte deibambini, sempre.

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Il trauma in età evolutivadi Pierangelo Pedani

Pierre Janet sostenne che un traumapsichico è “un insieme di emozioniveementi che superano la capacità digestirle nella coscienza. L'effetto di ciòè una disorganizzazione e una fram­mentazione psichica”23.Secondo la definizione dell'APA (Ame­rican Psichiatric Association) un trau­ma, a livello psicologico, è “un’espe­rienza personale di un evento che puòcomportare morte o lesioni gravi o al­tre minacce all'integrità fisica”.Quindi perché si possa parlare di unvero trauma dal punto di vista psichicobisogna che ci sia, nell'immediatezzadi certe situazioni e/o eventi pericolo­si, un reale rischio di morte o comun­que che il soggetto, date certe circo­stanze, lo pensi tale. Un'altra definizione che ha fatto da ri­ferimento nella definizione del concet­to di trauma è quella di Seligman. Perquesto autore “l'esperienza soggettivatraumatica consiste nella impossibilitàdi fronteggiare un pericolo o una mi­naccia attraverso una azione sul mon­do esterno”24. Quest’ultima notazionesposta un po’ l'asse del discorso sulle

risorse del soggetto più che sulla entitàdel rischio, e il trauma allora si verificaperché appunto non è possibile o nonsembra possibile sottrarsi all'evento. Ma durante l’infanzia, nell'età dello svi­luppo, il concetto di trauma necessitadi ulteriori specificazioni e definizioni.Per il bambino piccolo un trauma hasempre a che vedere con le figure diattaccamento primario. Alcuni fran­genti o eventi possono definirsi trau­matici se il bambino è solo, lontano damamma e papà, o se questi stessi si so­no allontanati o si sono separati. Per ilbambino piccolo sono sempre in giocole sue relazioni e i suoi legami fonda­mentali: un atto è traumatico se mettea repentaglio questi legami. Il trauma più grave e che lascia traccepiù profonde è l'abuso ripetuto che siasessuale, fisico o psicologico, ed è an­cora più disgregante e invalidante se acommetterlo sono i caregiver, gli stessiche dovrebbero proteggere il bambino.In queste situazioni si sviluppano rea­zioni mentali molto complesse perchémentre la coscienza sembra “ritirarsi”,sopraffatta dall'evento, parte della no­stra mente inconscia registra l'eventoche, a distanza di mesi o anni, risulta“rappresentato” da frammenti psico­fi­sici tipo un odore, un sapore, un’imma­gine. Frammenti di un disastro che puòsegnare l'intera vita di un bimbo.

23 P. Janet, Trauma, coscienza, personalità. Scritti scelti, Raffaello Cortina Editore, Milano 2016.24 C. Peterson, S.F. Maier, M.E.P. Seligman, Learned Helplessness: A Theory for the Age of Personal Control,

OUP, Colorado 1975.25 G. Soldera, Mamme e papà, Città Nuova, Roma 2014, p. 188.

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Coltivare l’autenticitàe saperci fare

Paolo Ragusa

counselor, formatore, responsabile attività formative CPP - [email protected]

“Saperci fare” potrebbe suonareun’espressione ruffiana e seduttivaverso chi legge. Invece mi piacerebbefosse colta come un condensato di “vi­ta piena”1, l’abilità di chi sa la vita econtinua a utilizzarla per apprendereda ogni persona, in ogni circostanza. Ladestrezza, come ci ricorda Ivano Fossa­ti, di chi sa dove mettere le mani.Non è sempre stato così. C’è un tempodell’esistenza in cui il condizionamentoe l’inesperienza prevalgono a tal puntoda far essere davvero ingenui, persinoinnocenti. L’ingenuità è goffaggine amuoversi in una vita che sia propria,difficoltà a sottrarsi all’influenza deglialtri, mancanza di accortezza nel di­stinguere i propri desideri da quelli al­trui. Potremmo dire che l’ingenuità,intesa come sguardo disinteressatosulle cose, non esiste perché siamo“segnati” dalla presenza degli altri findal primo vagito. L’ingenuità non è na­turalezza o innocenza ma un atteggia­mento, un comportamento culturaleperché connotato dalle parole, dalledomande degli altri: dall’educazione.Nel tempo può diventare un tratto checontraddistingue, identitario, come seil non sapere cosa fare o dire rendesseinerti e questa inerzia diventasse lamaschera per stare al mondo. L’inge­nuità allora si trasforma nel comporta­mento più vantaggioso ed “economi­co”, una sorta di giustificazione alla

mancanza di esperienza e di destrezza.L’ingenuità non è evolutiva, al con-trario cristallizza un compromessotra le parti, tra il copione educativocon quello relazionale. È possibile, as­sumendo la fatica e il dolore della se­parazione, lasciare alle spalle l’inge­nuità e cercare l’autenticità, la corri­spondenza con noi stessi. Un passag­gio che descriverei cosi: dal lasciarsi fa­re al saperci fare.Ho scelto allora tre situazioni, tratte dadue libri e un film, che mi sembra rie­scano bene a esemplificare ciò di cuisto scrivendo: l’ingenuità da un lato el’autenticità e il saperci fare dall’altro.Nel primo brano, tratto da Stoner, duecolleghi e amici sono alle prese conl’ingenuità dell’imbarazzo, che nessundiscorso o buon proposito può argina­re, l’autenticità delle intenzioni dei dueviene rivelata attraverso il linguaggioprimario del corpo.Stoner si voltò. Lomax stava scorrendoattentamente alcuni fogli sulla scriva­nia. Aveva il viso paonazzo e sembravalottare con se stesso. Stoner si reseconto che la sua non era rabbia, mavergogna. E anche se Stoner restò aguardarlo ancora per un lungo istante,non alzo più la testa. Un breve fremitogli attraverso il viso, poi si placò. Sto­ner usci dalla stanza. E per oltre ven­t’anni non si rivolsero la parola2.L’ingenuità, in apparenza aliena dal

1 P. Ragusa, Il potere del SI, BUR Rizzoli, Milano 2016, p. 9.2 J.E. Williams, Stoner, Fazi Editore, Roma 2012, p. 205.

“Ma sapere dove andare è come sapere cosa dire, come saperedove mettere le mani”

Ivano fossati, E di nuovo cambio casa

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pensare il male e dal supporlo in altri,espone all’esperienza altrui e rendevulnerabili. Talvolta è autolesiva perchéallontana da se stessi, è incline a la­sciarsi ingannare e raggirare. Formal­mente libero, ma vantaggiosamente as­soggettato alla calcolata volontà di altri.Si è responsabili del comportamentoingenuo, interessati al vantaggio di po­tere dare la colpa agli altri.Il secondo esempio è preso dalla coppiaTony Lip e Don Shirley del film GreenBook 3, protagonisti di un viaggio versol’autenticità. È l’incontro conflittuale traloro che consente di mettere a fuoco lereciproche storie, le abitudini, le falseconvinzioni, le fragilità. È nell’esperienzacon l’altro che la vita permette di impa­rare su di sé, di scoprire le proprie partinascoste o sacrificate. In partenza DonShirley è un conoscitore della “vita inteoria”, Tony Lip un campione di spon­taneità marcatamente segnata dal con­testo di appartenenza. Lo sguardo del­l’uno sull’altro e di ciascuno su di sémuove emozioni nuove, spaesamento,e fa nascere un irrinunciabile bisogno diintegrare nella vita quotidiana ciò chehanno scoperto e che, pur desiderato,mancava. Ciascuno ha sbagliato qualco­sa e per questo ha imparato tanto. L’autenticità emerge dopo avere persociò che non serve più, è un processo alevare, per arrivare al riconoscibile eunico se stesso. Sfrondare è il verbo del­l’autenticità. Infine l’ultimo brano, un padre e suo fi­glio che rappresentano il saperci fare,sanno bene dove mettere le mani quan­

do si ritrovano dopo tanta disperazione,dolore e perdite. Non rievocano, non ri­vendicano, non biasimano. Il figlio è pa­terno con il padre. Il padre richiama “laprofezia” della madre: la vita insegna.Finalmente risuona la voce di Menu­chim: “Alzati, babbo!” dice, prendeMendel sotto le ascelle, lo solleva e selo mette sulle ginocchia, come un bam­bino. Gli altri si scostano di nuovo. OraMendel siede sulle ginocchia di suo fi­glio, sorride intorno a ognuno, guardan­dolo in faccia. Bisbiglia: “Il dolore lo faràsaggio, la deformità buono, l’amarezzamite e la malattia forte”. Deborah l’hadetto. Sente ancora la sua voce.4

Ricordo con chiarezza che a 43 anni,alla morte di mio padre, la prima cosache ho pensato sia stata: “Adesso pos­so diventare cattivo”. Tentativo malde­stro e malriuscito di uscire dall’inge­nuità che avevo scelto per distinguer­mi da lui e per la quale ero stato pro­grammato dalla mia famiglia. Sonoserviti ancora degli anni per cercare ilmio modo di fare, per scoprire come“saperci fare”. Cioè scegliere da me,fare con autenticità senza essere repli­ca o riscatto di qualcun’altro, trovarecorrispondenza con i miei gesti e con imiei desideri. Saperci fare richiedel’abbandono dell’ingenuità che pro­tegge le illusioni infantili, il sapere es­sere disponibili a imparare dalla vita.Saperci fare richiede esperienza e co­noscenza di sé. Non è facile, né sem­plice ma è possibile se hai padronanzadi te, se sei “direttamente innestato”5

nella vita che desideri.

3 Green Book, di Peter Farrelly, commedia, USA, 20184 J. Roth, Giobbe. Romanzo di un uomo semplice, Adelphi, Milano 2009, p. 186.5 F. La Cecla, Saperci fare. Corpi e autenticità, Eleuthera, Milano 2009, p. 8.

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Marie

“Uno studioso nel suo laboratorio nonè solo un tecnico, è anche un bambinomesso di fronte a fenomeni naturaliche lo affascinano come una fiaba.” So­no queste le parole che Marie Curie(1867­1934) annotava tra le pagine delsuo diario. La “donna più famosa delmondo”, come venne presentata du­rante il suo viaggio in America, hamantenuto per tutta la vita lo sguardodi stupore che solo i bambini hanno difronte al mistero del mondo.Quando frequentavo le scuole medie,avevo preso in prestito dalla bibliotecaLa storia di Madame Curie, un libro car­tonato con l’immagine di Marie e PierreCurie disegnata in copertina. Duecentopagine sulla sua vita che avevo letto tut­te d’un fiato. Questo ricordo, ormai ar­chiviato, si è riacceso con una grandeemozione quando, come esperta di in­tercultura, ho seguito due ragazzini inquella stessa scuola e in uno scaffaledella biblioteca ho ritrovato proprio quellibro abbandonato e semi distrutto.Marie Curie è stata la prima delle di­verse figure femminili che mi hannoaccompagnato e mi stanno accompa­gnando nella vita, figure completa­mente diverse dal modello di donnache il mio piccolo mondo di provinciami offriva e mi destinava a seguire. Marie Curie ebbe una vita da pionierain un campo, come quello della scienzae del progresso, fino ad allora dominatoda uomini. Fu la prima donna a ricevereil premio Nobel e fu l'unica a ricevernepoi un altro, in un ambito diverso. Quel­lo in fisica lo prese nel 1903, con il ma­rito Pierre Curie, compagno di vita e diricerca con il quale scoprirà il polonio eil radio. Fu la prima donna a insegnarealla Sorbona, le verrà affidata la catte­dra occupata dal marito, dopo la suatragica e precoce scomparsa investitoda una carrozza. Un grande dolore che

affronta occupandosi delle due figlie econtinuando instancabile nella ricerca. Ma, prima di ricevere il secondo Nobelper la chimica, nel 1911, viene travoltada quello che fu definito “lo scandalodel secolo”. La stampa scriverà: “Il cuo­re di una donna ha delle aspirazioniche la scienza non basta a soddisfare”,riferendosi alla sua relazione con uncollaboratore di laboratorio, Paul Lan­gevin, fisico molto noto in Francia, dicinque anni più giovane, sposato e pa­dre di quattro figli. La liaison diventa di dominio pubblico:Marie viene apostrofata come la “veu­ve Sklodowska”, la “vedova polacca” eaccusata falsamente di essere ebrea.Stranamente la notizia si diffuse pro­prio durante la candidatura di MarieCurie alla maschilista e ultranazionali­sta Accademia Francese delle Scienze ene compromise l’ammissione. Paul Lan­gevin fu costretto a combattere cinqueduelli per salvare l’onore, lasciò la fami­glia e la storia tra i due finì. Ovunqueandasse, Marie Curie veniva beffeggia­ta, derisa, insultata. Dovette barricarsiin casa con le figlie e venne invitata piùvolte a lasciare la Francia.Qualche giorno dopo lo scandalo, lostesso comitato del Nobel le chiederàdi non andare a Stoccolma a ritirare ilpremio per non far giungere lo scanda­lo fino a lì. Marie, però, non ci sta, rea­gisce e, grazie anche a una lettera di sti­ma e incoraggiamento ricevuta da Al­bert Einstein, si recherà a Stoccolma apronunciare il suo discorso di accetta­zione, in cui rivendica i suoi meriti e ilcontributo di Pierre. Salirà le scale perritirare il premio tra due ali di folla, a te­sta alta, più fiera che mai. Così la vedia­mo nei filmati d’epoca e nelle foto aivari congressi scientifici, sempre unicadonna in mezzo a un mondo tutto ma­schile. La stampa francese accoglie

Marie Curie, la “donna più famosa del mondo”

Marta Versiglia

insegnante, pedagogista - [email protected]

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e Curie

questo secondo premio con un silenzioassordante.I biografi hanno spesso descritto Mariecome una scienziata austera, fredda,sempre vestita di nero, immersa in unmondo di ampolle, fiale, liquidi incande­scenti e strani apparecchi elettrici. Marie Curie era soprattutto una donnaestremamente libera, libertà che si è con­quistata a fatica, anticonvenzionale, ap­passionata del suo lavoro e pronta a tra­sgredire le regole per una giusta causa, aoccuparsi degli altri a costo di rischiare lavita come accadde durante la PrimaGuerra mondiale. In questo periodo, pri­ma da sola e poi con l’aiuto della figlia Irè­ne (che riceverà il Nobel per la chimical’anno dopo la sua morte), predisporràventi camion dotati di strumentazioni peri raggi X, di lastre fotografiche e di ampol­le contenenti radon. Nascono così le pri­me unità mobili di soccorso radiograficoche possano raggiungere le zone più diffi­cili (una la guiderà di persona, con una fa­scia della Croce Rossa al braccio). SaràMarie a istruire il personale di soccorsosu come leggere le radiografie. Durantela Guerra se ne eseguiranno più di un mi­lione. Il suo incessante lavoro come ra­diologa per il trattamento dei soldati feritipermise di salvare molte vite. Ma le lunghe esposizioni al radio la in­

debolirono sempre più, all’epoca se neignorava la pericolosità. Marie avevaaddirittura l’abitudine di girare con bot­tigliette di radio e polonio in tasca po­sandole nei cassetti della scrivania e sulcomodino del letto.Morì a 66 anni di anemia aplastica. Il cor­po di Marie Curie riposa al Pantheon diParigi accanto a quello di Pierre. Anchein questo caso fu la prima donna ad es­sere accolta in un luogo fino ad allora ri­servato alle personalità più importantidel paese. Per il timore di contaminazio­ni radioattive la sua bara è stata avvoltanel piombo, così come i suoi libri, gli stru­menti e oggetti personali, raccolti alla Bi­blioteca Nazionale di Parigi, che sono cu­stoditi in scatole sigillate col piombo per­ché considerati ancora radioattivi.Mi piace ricordarla così, come nell’im­magine sbiadita di quel libro sfogliato daragazzina, circondata dalle sue botti­gliette fumanti al fianco di Pierre e, co­me raccontava lei stessa, intenta a con­templare col marito, nel laboratorio dinotte, i bagliori che provenivano dalleprovette “uno spettacolo incantevole esempre nuovo […] i tubi luminosi brilla­vano di luci, fate e fantasmi”.

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BIBLIOGRAFIA­ G. Greison, Sei donne che hanno cam­

biato il mondo. Le grandi scienziatedella fisica del XX secolo, Bollati Borin­ghieri, Torino 2017.

­ M. Curie, Autobiografia, Castelvecchi,Roma 2017.

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L'apartheid, cioè la distinzione di valo­re tra persone a partire dalle presunterazze di appartenenza, sembrava, finoa qualche tempo fa, ricordo di un pas­sato remoto, lontano anni luce, alme­no nelle democrazie occidentali. Inve­ce, ancora una volta, i ricorsi della sto­ria, attraverso le notizie di cronaca, ciinsegnano che non bisogna mai ab­bassare la guardia, quando si tratta ditutelare e garantire i diritti umani.La nostra Costituzione, in quel baluar­do rappresentato dall'articolo 3, ci ri­corda che siamo tutti diversi (nessunoè identico a un altro), ma che abbiamogli stessi diritti (e doveri) perché siamotutti importanti, in egual misura. Ci ac­comuna la dignità di esseri umani,nessuno escluso. Per quanto possasembrare scontata questa affermazio­ne, si tratta della pietra angolare dellanostra democrazia.Fatta questa premessa, Green Book èun film ­ tratto da fatti realmente ac­caduti ­ di scottante attualità, anche se

ambientato in un contesto storico checredevamo ormai superato.Protagonisti assoluti della vicenda,narrata prevalentemente coi toni dellacommedia e una certa dose di ironia,sono un geniale e raffinato musicista eil suo improvvisato e rozzo autista, conqualche idea razzista ma dall'animo al­truista. Una improbabile coppia di"stranieri" che attraversano il profon­do Sud degli Stati Uniti per una seriedi concerti prenatalizi, in territori in cuiancora esistono assurde e discrimina­torie regole di convivenza (in)civile.Guida turistica del viaggio è il LibroVerde per automobilisti "negri" chevogliono evitare spiacevoli disagi, conl'indicazione dei locali in cui le perso­ne "di colore" sono accettate. Unavergogna stampata e venduta per cir­ca trent’anni, ma che costituiva unaiuto per chi si spostava in determi­nate zone degli USA.Come ogni "road movie", anche que­sto si rivela un itinerario di formazio­

Green Book

Regia: Peter FarrellySceneggiatura: Brian Hayes Currie, Peter Farrelly, Nick VallelongaInterpreti: Viggo Mortensen, Mahershala Ali, Linda CardelliniOrigine: USA, 2018Durata: 130 min.

Alessandro Cafieri

Tony, italoamericano che lavora come buttafuori in un locale notturno di New York,viene assunto temporaneamente come autista (e guardia del corpo) da Don, colto eapprezzato pianista di origini afroamericane, in procinto di partire per un tour nelSud degli Stati Uniti. Siamo negli anni Sessanta del secolo scorso, ed esiste ancorala segregazione razziale.

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educatore professionale, esperto di cinema e arti [email protected]

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ne dei protagonisti. Durante il tragittocompiuto insieme i due impareranno aconoscersi, comprendersi e ascoltarsireciprocamente. A partire da nette dif­ferenze e accesi contrasti, che sfoce­ranno anche in momenti di alta tensio­ne e scontro frontale, Tony e Don in­staurano un rapporto che farà emerge­re progressivamente anche un fortesentimento di vicinanza e solidarietà,base necessaria per rispettarsi e sti­marsi vicendevolmente.In un confronto così stretto e ravvici­nato, come la dimensione del viaggiorichiede, ognuno ne esce cambiato,scoprendo parti di sé prima ignorate enuovi modi di stare al mondo. La di­versità funge da specchio che ci per­mette di guardarci dentro più a fondoe riscoprire il comun denominatoredell'umanità che ci lega agli altri. Se siriconoscono le proprie debolezze e ipropri limiti, si cresce e matura, acqui­

sendo nuovi strumenti per l'interazio­ne sociale e la comprensione dellacomplessità esistenziale.Tony, uomo interessato quasi esclusiva­mente ai bisogni primari e dai modisbrigativi (oltre che maneschi), toccheràpiù da vicino la bellezza dell'arte e dellacultura, anche come stimolo per le re­lazioni (per esempio, cimentandosi nel­la scrittura di poetiche lettere alla mo­glie), oltre che l'importanza della rifles­sione e della mediazione, invece di rea­gire sempre impulsivamente. Don, inve­ce, apprezzerà la semplicità e il pragma­tismo propri di Tony, così come la suafranchezza, capacità di protezione esenso dell'unità familiare.Grazie all'alleanza e complicità che sem­pre più stringono strada facendo, i duefaranno fronte comune contro le ingiu­stizie che incontreranno durante il per­corso, per via del solo colore della pelledi Don. La loro presa di coscienza saràcosì decisa che, nel finale, si opporran­no in maniera emblematica e platealeall'ennesima vessazione camuffata datradizione e regola sociale.Green Book risulta quindi un efficace ecoinvolgente inno, oltre che alla necessi­tà dell'eguaglianza dei diritti e di una so­cietà più giusta, all'amicizia: quella vera,fisica e carnale, che nasce dall'incontro edalla condivisione di un cammino fiancoa fianco. Senza muri e senza barriere. 63

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Adele Falbo (a cura di)IL COMPLESSO DI ISMENEIo mi salvo da solaLa biblioteca di VIVARIUM, Milano 2017

Si apre con il mito di Ismene, sorella diAntigone, donna umiliata che imperso­na simbolicamente quel “femminile”che si sente una “cosa da niente”, mal­trattato psicologicamente che raccogliesu di sé tutta la colpa delle umiliazionisubite. È una sorta di archetipo delladonna violata. La rappresentazione tea­trale proposta, raccontata a più voci sulcomplesso e faticoso tema della violen­za sulle donne, sottolinea quanto il tea­tro consenta di potersi riconoscere e diliberare emozioni nell’immediato, chepoi possono essere elaborate. Il libro è curato dalla psicanalista jun­ghiana Adele Falbo, drammaturga e re­gista, che utilizza il teatro per aiutare alivello terapeutico le donne vittime diviolenza. Sono tante le voci che com­mentano il “complesso di Ismene”,donne e uomini che hanno contribuitoin vario modo e che, dopo aver visto lospettacolo sono stati invitati a scriver­ne. Ognuno di loro lo ha letto e inter­pretato con la propria lente, sottoline­ando la potenza del teatro e la necessi­tà di continuare a sostenere progetti si­mili. Interessanti le osservazioni di chilavora nel sociale ed evidenzia quantole nuove generazioni siano ancora suc­cubi di un’idea fondata sul controllo daparte del maschio: “ciò che manca èuno specchio in cui incontrare e nomi­nare questa necessità di non assecon­dare il modello introiettato in sé ma dirispettare la propria identità e rivendi­care il proprio diritto di felicità” (p. 23).Notevoli le letture analitiche da partedi psicologi e psichiatri ma interessanteanche il punto di vista di chi si occupadi politica.Un testo, come lo spettacolo, rivolto atutti, uomini e donne.

Paola Cosolo Marangon

Anna Oliverio FerrarisPROVA CON UNASTORIABUR Parenting, Rizzoli, Milano 2018

Perché è così im­portante racconta­re storie? Anna Oli­verio Ferraris spie­

ga la differenza tra vedere e raccon­tare, tra passivizzare la fantasia ecoltivare l’immaginazione. Mammee papà, nonni e nonne che dedicanodel tempo alla narrazione aiutano ipiccoli a entrare nel mondo magicoche loro stessi possono costruiregrazie alla fantasia e alla capacità dicrearsi sfondi originali. Pensiamo anoi adulti: anche la nostra mentecostruisce volti, scenari, colori men­tre legge un libro, e capita spesso dirimanere delusi davanti ai film trattidai libri perché diversi dalla nostraimmaginazione. In questo libro l’au­trice ci dà alcune informazioni im­portanti sull’immaginazione dei piùpiccoli, ma sottolinea anche l’impor­tanza dei racconti per aiutare a ri­spondere alle piccole e grandi do­mande dei bambini.Spesso i bambini hanno paura. Lefavole e le storie possono essernecatalizzatori e aiutano a superareansie e timori grazie all’immedesi­mazione con gli eroi narrati. Ma an­che le emozioni possono essere benrappresentate nelle storie e OliverioFerraris ne propone alcune di esem­pio sulla gelosia, la paura del buio,la rabbia, l’amicizia. È fondamentalepoi la relazione che si crea tra nar­ratore e ascoltatore ma anche lafunzione fondamentale del libro chenon dovrebbe mancare mai nellemani di un bambino. Ogni capitolo è corredato di una ric­ca bibliografia, un’utile serie di indi­cazioni per la lettura.

Angela Carlet

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Khaled Hosseini(a cura di Roberto Saviano)PREGHIERA DEL MARESEM editore, Milano 2019

Accade a volte cheun paio di parole

possano incidere più di un intero discor­so. È il caso di Preghiera del mare, unalettera scritta da un padre preoccupatoper la sorte del figlio ma anche per lasorte dell'umanità intera, catturata inun vortice di qualunquismo; un padreche dice al figlio: "Dammi la mano, io tiproteggerò". E un figlio che si vuole affi­dare a quella mano forte, a quella ideadi adulto capace di accompagnarlo ver­so una vita degna di essere vissuta.Sono poche parole, davvero una pre­ghiera laica, come sottolinea il sottoti­tolo. L'autore di questa preghiera è Kha­led Hosseini, conosciuto per due librimolto belli e toccanti, Il cacciatore diaquiloni e Mille splendidi soli. Anche lì ibambini sono protagonisti: storie lonta­ne dalle nostre ma che si fanno vicinemano a mano che bambini veri scappa­no dalla guerra e approdano sulle no­stre coste e alla nostra coscienza.La preghiera di questo padre si rivolge almare, a Dio, all'universo, a chiunque pos­sa proteggere questo suo bambino chericorda la terra devastata da cui proviene.Poche parole e meravigliose immagini,nate dal pennello di D. Williams, illustra­tore inglese che con l'acquerello faesplodere colori ed emozioni, tracciavolti e acqua, distruzione e speranza. Lacuratela di questo libro è di Roberto Sa­viano, noto a tutti per il suo impegnosociale e per il suo coraggio.Il libro è un atto di coraggio: c'è speranzae c'è paura, c'è voglia di consegnare unanuova vita al proprio bambino ma anchedisorientamento nel momento in cui ci siritrova su di una spiaggia di un paesestraniero con tante persone che parlanolingue diverse e si guardano sgomente.Leggiamolo questo libro e facciamololeggere a grandi e piccini, regaliamolo eteniamolo sul comodino. Parte dei pro­venti ricavati dalla vendita del libro ver­ranno devoluti a UNHCR.

PCM

Franco LorenzoniI BAMBINI CI GUARDANOSellerio, Palermo 2019

“La media è un dividimento, serve pertrasformare le cose diverse in uguali”(p. 33)

Sembrano le parole di un grande sag­gio e in effetti forse lo sono, e il saggiofrequenta il terzo anno della scuola pri­maria di Giove. Il maestro è Franco Lo­renzoni, usa le domande per aiutare ibambini e le bambine a cercare rispo­ste e a farsi fare domande a loro volta.Un esempio? “Dove si nasconde la ma­tematica?” e la risposta ha attivatoteorie, ricerche, sperimentazioni, os­servazioni. Questo libro racconta quel­lo che accade a scuola, dà voce ai bam­bini, ai loro pensieri, alla loro capacitàdi imparare facendo, disegnando, im­pastando, sporcandosi molto e chie­dendo tanto. Il maestro è con loro, vie­ne usato per imparare la vita. La ricer­ca­azione è di casa a Giove e questomaestro, che porta i bambini nei prati,li accompagna in gita a vedere i capo­lavori di Giotto dal vero, li fa giocarecon i vermi e studia con loro fisica eastronomia stando di notte con il nasoin aria, è un educatore stupendo che lifa crescere nel pieno rispetto della loroetà e delle loro capacità. I bambini ciguardano è una realtà, la sollecitazionea noi adulti a essere presenti e consa­pevoli. È un libro importante che mo­stra come sia possibile affrontare laquotidianità scolastica motivando glialunni e facendo nascere quella curio­sità che aiuta ad apprendere. Da legge­re tutti, insegnanti, genitori ed educa­tori in genere.

Claudia Biasiol

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RECE

NSIO

NI Autori VariDIO LI FA E POI LI ACCOPPIA?Il percorso della coppia dall’incontroall’intimitàAlpes, Roma 2018

Un folto gruppo dipsicologhe, psicote­

rapeute della coppia e psicoanalistepresentano in modo agile, sintetico econvincente una sintesi di quello chehanno imparato sui rischi e le potenzia­lità della vita a due, con o senza figli. Lefonti principali dei loro apprendimentisono le esperienze e la crescita perso­nale fatte da chi cerca il loro aiuto peruscire dalla crisi, e il confronto tra col­leghe, con riflessioni che fanno tesoroanche del proprio vissuto oltre che delsapere psicoanalitico.L’innamoramento, la scelta del partner,il matrimonio, il desiderio, la felicità, ilpiacere e le loro vicissitudini anche in­felici, sono descritte in brevi capitoli chemettono in luce i vissuti e le difficoltàpiù intime delle coppie oggi in Occiden­te. Il percorso porta al tema centraledella crisi, dei suoi esiti e delle possibilimodalità per gestirla. E qui il libro dà ilsuo contributo più importante: le storiee le situazioni raccontate mettono in lu­ce la responsabilità personale, la possi­bilità di usare il momento difficile persintonizzarsi meglio con se stessi e agirein modo da uscire dalla gabbia delleproprie aspettative sull’altro. La metafo­ra proposta è “la terza nascita”: una fasedi vita pienamente matura e capace,davvero scelta, dopo la seconda nascitache nell’adolescenza ha permesso di in­dividuarsi staccandosi dalla famiglia diorigine. Dalla crisi si può rinascere an­cora una volta. Il concetto stesso di conflitto trova inquesto libro ricche esemplificazioni.Non a caso Daniele Novara, nella Prefa­zione, afferma che la coppia che non siillude di non avere conflitti ma piuttostoimpara ad utilizzarli per crescere, diven­ta uno spazio di fertilità reciproca. Pro­prio questa capacità sembra mancarenegli amori deboli o liquidi. La necessa­ria manutenzione della relazione di cop­pia trova in questo libro anche indica­zioni difilm utili alla discussione.

Elena Passerini

Gino SolderaMAMME E PAPÀL’attesa di un bambinoCittà Nuova, Roma 2014

Non è un libro appe­na uscito ma è un li­bro importante per

tutti coloro i quali desiderano diventaregenitori. Un libro che andrebbe dato indotazione fin da quando una coppia de­cide di affrontare la propria vita insiememettendosi anche nell’ottica di aprirsialla genitorialità.Parliamo di genitorialità biologica, diquello che accade quando una donnaaspetta un bambino e come sia impor­tante accogliere la nuova vita con pienaconsapevolezza, attenzione e vicinanzada parte della coppia. Gino Soldera èuno psicologo e psicoterapeuta che hafondato ANPEP, un’associazione che sioccupa di gravidanza e vita prenatale.Nel libro si spiega in maniera semplicema esaustiva l’importanza della vitaprenatale ed entrambi i genitori sonoaccompagnati con una serie di riflessio­ni guidate ad accogliere al meglio lanuova creatura. Ho trovato tutto moltointeressante ma un aspetto mi ha intri­gato più di altri: quando si sottolinea laragione per cui è fondamentale, secon­do questo approccio, ascoltare il feto eaccompagnarlo alla nascita con pensieripositivi soprattutto materni. Secondol’autore molti sono i motivi per cui è do­veroso essere così consapevoli, e ponealcune domande: “Se la guerra, la vio­lenza sociale, la dominazione delle clas­si e la distruzione economica della ric­chezza sono veramente rituali d’obbligodovuti ai traumi infantili, come potrem­mo rimuovere la fonte di tanti drammiche affliggono l’umanità?”La risposta sta nel mettere a conoscen­za le nuove generazioni degli studi sullapsicologia prenatale e formarli di con­seguenza. A detta dell’autore e di moltiautorevoli esperti, l’umanità intera po­trebbe cambiare. “L’educazione dural’intera esistenza e si sviluppa attraversol’esperienza, quale condizione per cono­scere e vivere i valori e le leggi che re­golano la vita”.

Paola Cosolo Marangon

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Erri De LucaIL GIRO DELL’OCAFeltrinelli, Milano 2018

Certi libri si leggonocon gli occhi, altricon tutti i sensi. ErriDe Luca produce inme questo effetto,

mi apro come un fiore che attende larugiada. Questo è un libro intimo, chetocca anche il lettore nei suoi meandripiù profondi, lo costringe quasi ad ascol­tare dentro di sé la voce lontana dellapropria infanzia, delle avventure dellapropria vita. Accade di sentire una sortadi osmosi tra la parola letta e quella chesi potrebbe scrivere. Il giro dell’oca èuna narrazione per chi ha voglia di met­tersi in gioco ascoltando storie che ap­partengono all’autore ma chiedono dicostruire un significato al di là del nar­ratore. Credo che lo stratagemma di in­ventarsi un figlio a cui parlare e con cuipoi dialogare sia un modo per combat­tere la solitudine e per offrire al pubbli­co qualche area nascosta di un’esistenzacontinuamente narrata. Ho trovato molto di me in questo libro,ognuno troverà qualcosa di sé stesso:nostalgia per i genitori morti, per unavoce o una carezza, un rimprovero. Fa­tica nel portare gli anni e i tanti o pochierrori compiuti. Stupore nel guardareun bambino.Scritto con il suo stile asciutto e deciso,questo libro contiene alcuni passaggiche possono essere da soli piccoli con­centrati di saggezza. Ne riporto uno chemi ha colpito molto: “A un bambino sichiede cosa vuol fare da grande. […] Aun bambino si insegna a dichiarare laprofessione, il risultato finale e non ilpercorso. Nessuno di loro dice: Da gran­de voglio fare l’apprendista”. Eppure èquello che si è continuamente” (p. 108).Questo è Erri, da leggere assoluta­mente.

Paola Cosolo Marangon

Danilo AmadeiQUANTO HO IMPARATO INSEGNANDOErickson live, Trento 2018

Amadei è stato un in­segnante molto im­pegnato nella bellaesperienza di Coope­

razione Educativa. Quando è andato inpensione ha seguito l’indicazione di Ma­rio Lodi: “Ogni insegnante che va in pen­sione deve lasciare traccia del propriopercorso”. La sua traccia è questo libroche racchiude i momenti più significativi,o quantomeno affettivamente più cari, diquarant’anni di insegnamento. Vengonoriproposti i temi cari al docente, dall’im­portanza della conoscenza e dell’acco­glienza reciproca con i suoi alunni, al gio­co come possibilità di sbagliare facendo.Dai laboratori linguistici per imparare lagrammatica alle esperienze teatrali, veromomento di condivisione emotiva e rela­zionale. Interessante il capitolo dedicatoall’ascolto, dove si ribadisce l’importanzadella lettura e della letteratura come im­printing al saper ascoltare. Si riconosce lamatrice cooperativa in ogni pagina, inmodo particolare nei racconti legati allascrittura collettiva milaniana. Nel testosono percorsi tempi e spazi e viene co­struita una piccola fetta della nostra storiaanche pedagogica, dove si passa dall’usodel calamaio alla LIM. Sono esperienzedel quotidiano di alcune classi dove la dif­ferenza è data dal fare scuola in modo di­verso, in modo sempre interattivo, dovetutti imparano da tutti. Il docente nonconduce ma soprattutto tira fuori. Di par­ticolare interesse il capitolo dedicato alconflitto visto come possibilità di dialogoe confronto: “Bisogna superare la visioneche pensa che solo senza conflitto ci siauna crescita armoniosa […] bisogna so­stare nel conflitto, non avere fretta, nonanticipare le soluzioni, tanto meno pro­porre di voler cercare ed individuare uncolpevole, Il conflitto è complesso” (p.84). Viene richiamata la sperimentazioneproposta dal CPP e ampiamente utilizzatanelle classi da parte di chi scrive.È un libro che insegna molto, proprio per­ché parte da un’idea fondante dell’auto­re: a insegnare si impara e imparando sicresce. Claudia Biasiol 67

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STATI UNITI • I BAMBINI SPARANO E SPENDONO La Epic Games, società americana che produce vi­deogiochi, ha battuto ogni record di incassi eutenze con Fortnite (uno sparatutto in cui si pos­sono sfidare anche 100 giocatori contemporanea­mente e il cui scopo è uccidere tutti gli altri gio­catori) riuscendo a guadagnare più di 2 miliardi didollari negli ultimi otto mesi, e questo nonostanteil gioco sia gratuito. Il segreto? La grafica di altis­simo livello e il successo quotidiano di 3,4 milionidi giocatori che, a ogni partita, comprano armi ealtri oggetti di gioco.

CANADA • NASCE LA FAMIGLIA POLIAMOROSARobert Fowler, giudice del tribunale di San Giovanni di Terra­nova, ha registrato due uomini e una donna come i genitorilegali di un bambino nato nel 2017. È la prima volta che questotipo di nucleo familiare viene ufficialmente riconosciuto in unpaese che considera illegali la poligamia e la bigamia ma nonle relazioni poliamorose. “La società è in continuo cambiamen­to così come la struttura familiare. Bisogna riconoscere questarealtà. Non ci sono ragioni per credere che questa relazionedanneggi in qualche modo gli interessi del bambino” è scrittonella sentenza.

STATI UNITI • La Federal Trade Commission, l’ente statunitense che difendei consumatori, a febbraio ha imposto la più alta sanzione mai comminataper un caso di privacy dei bambini. A pagare una multa di 5,7 milioni didollari sarà la società cinese proprietaria della app TikTok, una piattaformadi video musicali amatoriali disponibile sia su iOS che su Android, che conta500 milioni di utenti, 65 milioni solo negli Stati Unit. L’accusa? La societàè ritenuta responsabile di aver “ottenuto illegalmente le informazioni per­sonali dei bambini”. In pratica, i suoi operatori sapevano che i bambini sta­vano usando l’app e hanno continuato a raccogliere nomi, indirizzi emaile altre informazioni personali senza richiedere, come previsto dalla legge,il permesso dei genitori. Diverse le reazioni: chi dice che si tratta di un pre­cedente esemplare e chi, al contrario, di una manovra politica degli Usacontro la Cina.

Silvia Calvigiornalista

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SVEZIA • RAGAZZINI IN LOTTA PER IL FUTUROÈ partito dalla Svezia, e dall’azione della sedicenne Greta Thunberg,il movimento di protesta dei giovani e giovanissimi che, via via, si èdiffuso a macchia d’olio in America, Australia ed Europa. L’obiettivo?Denunciare il “saccheggio generazionale” di cui si sentono vittimebambini e ragazzini a causa dell’inerzia di politici e governanti nellalotta all’inquinamento e ai cambiamenti climatici. Anziché andare ascuola, i giovani alunni si danno appuntamento per volantinare fuoridai palazzi delle istituzioni e rivendicare così il loro diritto a un futu­ro. Il 15 marzo la protesta ha assunto dimensioni mondiali con even­ti e manifestazioni dovunque, Italia compresa.

ROMA • IL PAPA CONTRO GLI ABUSI SUI MINORI“La Chiesa farà tutto il necessario per consegnare allagiustizia i responsabili” ha detto Papa Francesco in oc­casione del primo incontro sulla protezione dei minoriche si è tenuto in Vaticano a fine febbraio. Si tratta dellatappa storica di un cammino iniziato, faticosamente, inCanada, Usa, Irlanda e Australia circa trent’anni fa. Pro­prio negli stessi giorni, il cardinale australiano GeorgePell è stato condannato per abusi sessuali nei confrontidei minori ed estromesso dal Consiglio dei cardinali.

YEMEN • BOMBE SUI BAMBININel silenzio generale di governanti e media, arriva daAden sulle rive del Mar Rosso, la denuncia di KostasMoschochoritis, segretario dell’Ong Intersos riguardola guerra nello Yemen (dal 2015 qui è in corso una vio­lenta guerra civile, anche grazie alle armi europee e ita­liane, che da almeno un anno non risparmia i civili). An­dando contro le regole del diritto internazionale, infatti,vengono bombardati ospedali, scuole, centri per il trat­tamento del colera, bus con bambini. Secondo l’Ansa,nello Yemen ogni giorno muoiono in media 8 bambini.

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sabato 4 maggio WorkshopLa competenza conflittuale

Piacenza,con Massimo Lussignoli

sabato 11 e domenica 12 maggio seminario di psicodramma Crisi e cambiamento. Alla scopertadelle proprie risorse

Piacenza, con Anna Boeri

venerdì 17 e sabato 18 maggioseminarioLa gestione dello stress nelle situazioniconflittuali

Milano, con Emanuela Cusimano

venerdì 17 e sabato 18 maggioseminarioLavorare insieme in gruppo

Piacenza, con Fabrizio Lertora

venerdì 24 e sabato 25 maggioseminarioLitigare fa bene. Come gestire i conflitti dei bambini

Milano, con Laura Petrini

venerdì 14 e sabato 15 giugnoseminarioComunicare bene nelle situazioni conflittuali

Milano, con Laura Petrini

venerdì 5 e sabato 6 luglioseminarioImparare ad ascoltare

Milano, con Laura Beltrami

da lunedì 26 a giovedì 29 agosto La pedagogia maieutica

Piacenza, con Daniele Novara e Marta Versiglia

da giovedì 29 agostoa domenica 1 settembre La manutenzione dei tasti dolenti

Pietrasanta (LU), con Anna Boeri e Paolo Ragusa

sabato 7 settembreworkshopLa competenza conflittuale

Piacenza, con Paola Cosolo Marangon

venerdì 13 e sabato 14 settembreseminarioGestire l'aggressività nella prima infanzia

Milano, con Lorella Boccalini

venerdì 20 e sabato 21 settembreseminarioLitigare fa bene. Come gestire i conflitti dei bambini

Piacenza, con Marta Versiglia

venerdì 20 e sabato 21 settembreseminarioL'arte della domanda maieutica

Milano, con Laura Beltrami

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I prossimi corsi in programma

CORSO BREVE

DA MAGGIO 2019A GENNAIO 2020La conduzione maieutica dei gruppi

Piacenza, a cura dello Staff CPP

CORSO ANNUALE

Aree tematiche di formazione:

educativa/pedagogica

organizzativa e gestione dei gruppi

crescita personale

DA GIUGNO 2019 A FEBBRAIO 2020

So-stare nel conflittoPiacenza, a cura dello Staff CPP

Vuoi confrontarti sui corsi e valutare qualepuò essere più indicato per la tua forma­zione? Scrivi a [email protected]

Tutti i corsi sono riconosciuti all’internodella Scuola di Counseling Maieutico e come aggiornamento per counselor

CORSO ANNUALE

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EDU ORG CDS

EDU ORG CDS

EDU ORG CDS

EDU ORG CDS

EDU ORG CDS

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CORSO BREVE

Per info: www.cppp.it

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UN PERCORSO COSTRUITO SULLE TUE ESIGENZE FORMATIVE

La Scuola di Counseling del CPP è un percorso formativo per diventare professionista nella crescitapersonale e nelle relazioni d’aiuto. È suddivisa in 3 annualità organizzate in corsi annuali, corsi brevi,seminari e workshop, con un piano di studi che può essere personalizzato sulla base dei bisogniformativi o delle tue necessità professionali individuali. Il percorso è aperto a tutti coloro che desi-derano sviluppare le abilità di counseling.

Le sedi della scuola si trovano a MILANO, in via Sismondi 74 e a PIACENZA, in via Campagna 83.

È accreditato dall’associazione professionale di categoria A.N.CO.RE - Socio Fondatoredi FEDERCOUNSELING e aderente alla European Association for Counseling (EAC).

ConsulenzaServizi di

per la gestioneeducativa dei figli

Pedagogica

Possibilità di consulenzavia Skype

Curarel’educazione

con

Dal 1989 al servizio dell’apprendimentoinnovativo e di qualità

Sportelli di consulenza pedagogica

Troverai un aiuto competente ed esperto per comprendere le difficoltàche i bambini e i ragazzi incontrano nella crescita. Scoprirai le azionieducative per risolvere i piccoli e grandi problemi dei nostri giorni.Imparerai a organizzare le tappe della crescita secondo i basilari educativi.Chiedere aiuto è un modo competente per occuparsi dei bambini e dei ragazzi!

Tra i servizi puoi trovare anche:• Counseling individuale e familiare• Consulenza pedagogica per genitori• Counseling per ragazzi e ragazze• Laboratorio maieutico di gioco simbolico per i bambini

Dott. Daniele NovaraResponsabile scientificoPedagogista, Direttore CPP

Staff consulentiDaniele Novara, Paolo Ragusa,Marta Versiglia, Lorella Boccalini,Laura Beltrami, Laura Petrini,Massimo Lussignoli, Emanuela Cusimano

SediMilano Via Giancarlo Sismondi 74Piacenza Via Campagna 83Genova Via Canepa 3Brescia Via Carpaccio 1

Info e appuntamenti:da lunedì a venerdì - cell. [email protected]

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Puoi rinnovare o attivare un abbonamento scegliendo tra:Il lettore GRANITICO: promuove cultura, educazione e fiducia nelle risorse e nelle capacità di apprendimentodelle persone. Sottoscrive un abbonamento a 4 numeri, paga 50 € e cosìsi aggiudica, in omaggio, un libro a scelta.

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A CONFLITTI 2019

Il Convegno apre un nuovo capitolo per le scuole, le varie formedi convivenza sociale, la ricerca educativa, antropologica e anchepsicologica. Vogliamo trovare nuove strade e aumentare la sostenibilità personale e collettiva ai cambiamenti e ai contrasti,che sono parte integrante della nostra esistenza.