AUTORE: BETH NORLING Musica: UNCHAINED MELODY - MANTOVANI TRADUZIONE DAL PORTOGHESE: LULU.
DOSSIER A. Pellai S. Mantovani
Transcript of DOSSIER A. Pellai S. Mantovani
Poste Italiane Spa. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 2 DCB/Gorizia Tassa riscossa.
Imparare sempre,imparare tutti
D. Novara
D O S S I E R
Dalla partedei genitori
L’amore da solonon basta
S. Vegetti Finzi
Educare durantelo tsunami
A. Pellai
Il coraggio di essere genitori
S. Mantovani
Poste Italiane Spa. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 2 DCB/Gorizia Tassa riscossa.
L ’ O P I N I O N EIl metodo per aiutare tutti a imparareDaniele Novara
T R E N T E N N A L E C P PAlla pace ci credevamo!Piergiorgio Reggio
N E U R O P E D A G O G I ANativi digitali?Alberto Oliverio
D O S S I E RD A L L A P A R T E D E I G E N I T O R I
Sostenere le risorsedei genitoriDaniele Novara
Non c’è educazione senza amore, ma l’amore da solo non bastaSilvia Vegetti Finzi
Lo tsunami dei figli ha bisogno di genitori educativiAlberto Pellai
Diventare genitori è una scelta coraggiosaSusanna Mantovani
Il copione educativoDaniele Novara
Che fatica distaccarsi dai figli!La Scuola Natura di MilanoSilvia Quarello
Il compagno immaginario nell’infanzia:qualcosa di più del “doppio”Piergiorgio Pedani
I seggiolini sonori sono davvero la soluzione?Claudio Riva
Le nuove famiglie sono ricche di opportunitàPaolo Ragusa
Un percorso a favore dell’autonomia dei figliLaura Beltrami
A P P R O F O N D I M E N T OI genitori nello sport dei figliLucia Castelli
P S I C O L O G I A E V O L U T I V AGestire insulti e parolaccein classeAnna Oliverio Ferraris
L I T I G A R E B E N EL’importante non è fare paceCinzia D’Alessandro
I L G R A F F I OE andiamo con le busteRaffaele Mantegazza
F O C U SLa circoncisione infantilePaola Cosolo Marangon
C R E S C I T A P E R S O N A L EColtivare l’autenticità e saperci farePaolo Ragusa
T R A L E P I E G H E D E L L E B I O G R A F I EMarie Curie, la “donna più famosa del mondo”Marta Versiglia
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I L F I L MGreen BookAlessandro Cafieri
R E C E N S I O N I
B A M B I N I N E L M O N D OSilvia Calvi
B A C H E C A C P P
Direttore ResponsabileDaniele Novara
VicedirettorePaola Cosolo Marangon
Comitato di RedazioneMatteo BernardelliLorella BoccaliniAlessandro CafieriPaola Cosolo MarangonElena GattiDaniele NovaraElena PasseriniPierangelo PedaniPaolo RagusaClaudio RivaMarta Versiglia
Comitato ScientificoLuciano CorradiniDuccio DemetrioAnna Oliverio FerrarisGustavo Pietropolli CharmetFulvio ScaparroFrancesco TonucciSilvia Vegetti FinziMichele Zappella
Fotografiep.7 Dal sito di la Repubblica: repubblica.itle_immagini_del_corteo_per_salvare_il_clima; Unsplash: p.15 Luca Upper 97759; p.19 Markus Spiske193031; pp.29,31 foto Comune di Milano; p.49 foto La Locomotiva di Momo
Hanno collaborato a questo numeroLaura Beltrami, Claudia Biasiol, Alessandro Cafieri, Silvia Calvi, Angela Carlet, Lucia Castelli, Paola Cosolo Marangon, Cinzia D’Alessandro, Raffaele Mantegazza, Susanna Mantovani, Daniele Novara, Alberto Oliverio, Elena Passerini, Alberto Pellai, Silvia Quarello, Paolo Ragusa, Piergiorgio Reggio, Claudio Riva, Silvia Vegetti Finzi, Marta Versiglia, Micaela, mamma di Anush, Gianni, papà di Eleonora
Progetto graficoMaria Grazia Agnetti
Stampa Grafica Goriziana s.a.s.Via A. Gregorcic, 1834170 Gorizia
REDAZIONE CONFLITTIVia Campagna 83 29121 PiacenzaTel. [email protected] www.cppp.it
Spedizione in abbonamento postale CCP n. 34135764costo annuale € 30 abbonamento estero € 32Autorizzazione Tribunale Piacenza: n. 578 del 25/06/2002
rivista italiana di ricerca eformazione psicopedagogica
Anno 18 n. 2-2019 Trimestrale € 8
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È la proposta più avanzata e organicaper conoscere e attivare la gestione maieutica dei conflitti.
Ben distinto dalla violenza, il conflitto èuna risorsa straordinaria per poter affron-tare le relazioni all’interno di una societàparticolarmente complessa come quellaodierna. In questa prospettiva, il corso èla proposta più avanzata e organica perun apprendimento innovativo nella ge-stione creativa e maieutica dei conflitti.Consente di acquisire sia le necessarie at-titudini personali, sia gli strumenti opera-tivi e professionali adeguati per rendereefficace il metodo.Il punto chiave fondamentale è che l’approccio maieutico, proposto dal CPP,permette di utilizzare il conflitto per ge-nerare cambiamenti sostenibili. Questi cambiamenti diventano opportu-nità in ambito intrapersonale, nel rapportocon gli altri, nelle relazioni d’aiuto e nelbenessere organizzativo.
IL CORSO È CONDOTTO DALLO STAFF CPP DA GIUGNO 2019 A FEBBRAIO 2020 A PIACENZA.
È rivolto a chi cerca efficaci competenzenei contesti conflittuali, negli ambiti di lavoro, nelle relazioni di aiuto, nei luoghidi apprendimento educativi e scolastici.
Gli insegnanti possono iscriversi utilizzando il Bonus Docente
Daniele Novara
Il metodo per aiutare tutti a imparare
Il CPP compie trent’anni e alcune riflessioni sono d’obbligo. Guardandoindietro siamo grati a quanti hanno contribuito ad aiutarci a segnareuna strada. Oggi, quello che ci caratterizza come istituto è l’aver lavorato su un metodo più che sui dei contenuti, un metodo che serve adaffrontare la vita imparando. L’apprendimento è la cifra del nostro lavoro: fare in modo che ciascuno possa imparare in ogni situazione, nonsolo i bambini, ma tutti, riuscendo a tirar fuori le proprie risorse.I punti centrali del metodo CPP sono quattro.Uno. Non cercare le risposte ma fare le giuste domandeQuesto è l’elemento metodologico più importante: cercare la domanda, non la risposta. Chi ha la fortuna di stare con i bambini, lo sa: fannotantissime domande. “Da dove arriviamo? Perché bisogna dormire?Anche tu sei stato bambino?” La tentazione è quella di fornire risposte.Ma le domande dei bambini sono straordinariamente ricche di significati generativi e vanno restituite ai bambini: “Tu cosa ne pensi? Cosati è venuto in mente?” È l’indicazione che diamo ai genitori: coltivatele domande dei vostri figli.In genere tutte le domande sono da coltivare, a patto che siano maieutiche, cioè chiedano davvero qualcosa che non si conosce. Le altre,le domande di controllo, non generano nulla. Il metodo CPP si fondasul cambiare il paradigma di una cultura troppo centrata sulla rispostae sul controllo.Due. Meglio imparare ad ascoltare che aspettare di essere ascoltatiÈ inutile pretendere che l’altro capisca, le parole sono scivolose e, avolte, sono troppe. È necessario smettere di chiedere o pretendere diessere ascoltati, meglio imparare ad ascoltare. Nel nostro lavoro di consulenza osserviamo quotidianamente come questa ricerca sia inefficace. La proposta del CPP è di ribaltare la logica di questa dinamica. Lanostra è una società sempre più suscettibile e permalosa: cambiareprospettiva è oggi estremamente utile se non addirittura necessario.Terzo. Nel conflitto cerca sempre di imparareQuesto è uno dei capisaldi classici del metodo CPP. Il conflitto è un’esperienza faticosa, a volte dolorosa. Ma il conflitto è anche elemento essenziale del cambiamento e l’evoluzione si fonda sul cambiamento se ci siattiva per imparare. Imparare dai conflitti non è scontato ma è possibile.Ogni conflitto contiene un’anima rigenerativa, la possibilità di un nuovoinizio e di attivare nuove risorse. Per imparare dai conflitti, occorre assumere la fatica invece di sfuggirla. Come proponiamo nella formula “sostare nel conflitto” è questo ciò che permette un cambiamento.Quarto. Non essere buono, non essere cattivoQuesto punto introduce ai temi dei Convegni che stiamo organizzandoin questo 2019: quello di aprile Dalla parte dei genitori, e soprattuttoa quello di ottobre Né buoni, né cattivi sull’alfabetizzazione al conflitto.L’idea che ci guida è proporre un approccio che aiuti a riappropriarcidei codici educativi con cui siamo cresciuti, legati alla dipendenza infantile, che ci impediscono di utilizzare appieno le nostre risorse.“Buono” o “cattivo” sono giudizi che derivano dall’infanzia da cui occorre liberarsi perché la crescita personale non è un’alleanza con l’educazione ricevuta quanto piuttosto il suo superamento.C’è una frase di Dolci, contenuta in Inventare il futuro, che mi sembraparticolarmente significativa per racchiudere il senso del nostro lavoro:“A non aspettarsi di trovare già pronti e a punto gli strumenti che ci sono necessari, a costruirli appositamente giorno per giorno, e nel contempo a non rifiutare di assimilare quanto può venire da altrove, daaltri tempi si impara”. 5
pedagogista, formatore, direttore CPP - [email protected]
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Noi siamo nati come Centro Psicope-dagogico per la Pace 30 anni fa. Aquell’epoca la parola Pace aveva un sa-pore di lotta e di conquista. Ci aiuta acontestualizzare bene quel periodo? Quando il Centro Psicopedagogico perla Pace nasce, eredita e interpreta leistanze più autentiche del consistentepatrimonio d'impegno e di lotta dei movimenti antimilitaristi e nonviolenti. Ricordiamo, tra le altre, le mobilitazionicontro le installazioni di missili a Comiso, contro i Tornado a San Damiano Piacenza. Consistente era stato l'impegnodi persone, gruppi e movimenti come ilM.I.R., il Movimento Nonviolento, o PaxChristi. Insomma un insieme di soggettiche negli anni Ottanta avevano posto alcentro del proprio impegno il tema della pace anche con una certa componente di antiamericanismo, ereditato daglianni Sessanta e Settanta, che persistevasia pure in un’epoca che si avvicinava alsuperamento dei blocchi.Lei all’epoca era un pedagogista impe-gnato anche nell’educazione alla pace,che cosa significava “educare alla pa-ce”? Più ampiamente che cosa signifi-cava educare trent’anni fa? In generale l'educazione in quel temposubiva ancora gli effetti dell'esperienzadi Barbiana, dello schiaffo al conformismo pedagogico dominante. Nascequindi un'educazione diffusa, non piùlimitata solo alla scuola ma con tantee vivaci esperienze sul territorio: doposcuola, scuole popolari, interventi dialfabetizzazione, attività con giovani eadulti promosse da associazioni, gruppi,sindacati, ma anche da Enti Locali. È degli anni Settanta e Ottanta la costituzio
ne dei Centri di Educazione Permanentee delle Università della Terza Età. L'educazione alla pace veniva intesa da un lato come impegno politico sociale e, dall'altro, come una proposta attiva di ricerca delle contraddizioni e di praticaproduttiva dei conflitti sociali e internazionali, secondo la lezione che avevamoricevuto da Johan Galtung che, a suavolta, aveva attualizzato l'opera di Gandhi.Lei ha militato a lungo all’interno del-le ACLI, quale peso ha avuto quel mo-vimento per la costruzione di un sen-tire comune ed educativo? Cosa è ri-masto oggi? Le Acli degli anni Ottanta e, successivamente, anche degli anni Novantasono state un soggetto determinantedel movimento pacifista in Italia. Essesvolsero un’azione culturale e socialedi educazione alla pace diffusa sul territorio grazie alla capillarità della presenza dell'organizzazione attraverso ipropri circoli. Le Acli ereditavano latradizione dell’internazionalismo operaio già presente degli anni Settanta,che venne aggiornata rispetto al temadell’educazione alla pace grazie alcontributo strategico e culturale dipersone come Franco Passuello, Giovanni Bianchi e dall'impegno di tuttal'organizzazione, in primo luogo diGioventù Aclista, degli allora giovaniClaudio Gentili e Gigi Bobba. Vennecostituito il CEPAS (Centro per la Pacee lo Sviluppo) che teneva strettamente collegati i due temi. Successivamente l'associazione ha subito trasformazioni profonde, in corrispondenza dei cambiamenti della società
Alla pace ci credevamo!Paola Cosolo Marangon intervista Piergiorgio Reggio
Conve
gno Nazionale CPP
TESTIMONIANZE
di Piergiorgio Reggio
pedagogista, formatore e ricercatore,docente di Pedagogia del ciclo di vita presso l’Università Cattolica del Sacro [email protected]
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stessa. Oggi di quell'impegno rimangono una forte sensibilità concretaper la dimensione internazionale e lacooperazione con paesi che vivonoconflitti o situazioni di emergenza, eun impegno concreto per i diritti deimigranti, non solo all'accoglienza mauna piena integrazione sociale ancheattraverso il lavoro e la partecipazionealla vita democratica locale.La scuola aveva un profilo di impegnocivico che adesso sembra sparito. Cipuò aiutare a ripercorrere alcune trac-ce di quell’impegno che appartenevaagli insegnanti di quel tempo? Alla fine degli anni Ottanta molti insegnanti erano ancora scossi dalle provocazioni dell'esperienza di Barbiana e diLettera a una professoressa. Quindil'educazione alla pace si collega alla tensione per una scuola più equa, più giusta. Sul tema della pace si mobilitaronoin quegli anni gli studenti ma anche i docenti. Iniziarono le prime sperimentazioni di educazione alla pace, in particolare nella scuola primaria. A questo proposito occorre riconoscere il contributopionieristico del CPP, che per primo iniziò sperimentazioni scolastiche, formògli insegnanti, realizzò ricerche ed elaborò strumenti e proposte metodologiche. Eppure la scuola italiana, con lapretestuosa giustificazione della neutralità intellettuale e del sapere disciplinare, non ha mai svolto in quanto tale un ruolo organico di effettiva coscien-za critica pubblica sul tema della pacee dei conflitti. Certamente gli insegnanti più consapevoli si sono impegnati, in
quegli anni e successivamente, soprattutto in percorsi di accoglienza e di promozione dell'istruzione degli alunni migranti, perché il diritto all'apprendimento sia loro effettivamente garantito enon siano segregati in percorsi scolasticimarginali.L’impegno civico oggi sembra scom-parso, educare alla pace ha il sapore divecchio e appassito. Ci aiuta a leggereil presente in questo senso? Trova ter-reno di speranza per le generazionipresenti e future?L’educazione alla pace è stata legata aun’epoca specifica, nella quale ha costituito un elemento cruciale. Oggi, intempi di globalizzazione incontrollata,sono emersi altri temi, che Paulo Freirechiamava “generatori”. Rispetto a questinuovi temi, l’educazione alla pace nonpassa in subordine ma va reinterpretata. Si pensi, ad esempio, ai temi generatori emergenti delle tensioni tra i pro-cessi migratori e la necessità di costrui-re società multietniche democratiche.Oppure al tema generatore della responsabilità verso il pianeta. Il paradigma della “planetarizzazione” è una prospettiva che riformula le contraddizionidella globalizzazione. In questo senso,la presenza nelle piazze di tutto il mondo di giovani che rivendicano misureconcrete di responsabilità verso il pia-neta costituisce un segnale di grandisperanza. Si tratta di una generazioneche si assume la responsabilità, appunto, di generare un futuro per chi verrà,che sia vivibile e rispettoso della terracosì come dell'uomo che la abita.
Spesso ci si chiede se il cervello dei“nativi digitali” possa essere modificato dalle nuove tecnologie in cui bambini sono immersi. Alcune di esse, come nel caso dei videogiochi, sono generalmente basate su una logica etempi diversi rispetto a quelli che caratterizzano il linguaggio e la lettura:esse presentano enormi possibilità,ma devono anche essere usate inmodo accorto.C’è un tempo, infatti, per il gioco realee uno per quello virtuale, un tempoper lo sviluppo del linguaggio e untempo per il mondo digitale: il nostrocervello è definito dalla motricità,dall’esperienza diretta e dal linguaggioe le fasi iniziali del suo sviluppo devono trovare un nutrimento adatto. Cosa significa infatti guardare a una realtà sempre più astratta, smaterializzata, caratterizzata da tempi sempre piùincalzanti?Un lungo documento prodotto inFrancia dal Conseil Supérieur de l’Audiovisuel, in seguito appoggiato da unparere dell’Académie des Sciences, indica come la televisione sia inadatta aibambini di meno di 3 anni quando ilprocesso di crescita deve basarsi sullacapacità di agire sulla realtà, modificandola: il mondo che passa attraverso lo schermo, tv, computer, tablet, rischia di rinchiudere il bambino nellaveste di spettatore riducendo la suacapacità di divenire attore, attivandouna trasformazione non priva, nell’etàadulta, di ricadute politiche.
Non bisogna dimenticare che un bambino piccolo è attratto da ciò che simuove intorno a lui, che può toccaree modificare: per svilupparsi ha la ne-cessità di percepire di essere in gra-do di trasformare il mondo, un aspetto della crescita al centro di consolidate conoscenze degli psicologi dellosviluppo. Le immagini che compaionosu uno schermo, si tratti del televisore, di uno smartphone, di un tablet odel computer, non soddisfano questasua necessità, attraggono ma anchefrustrano il bambino: spesso i genitorinotano l’interesse con cui i piccoli manipolano i tasti di un telecomando odi un telefonino, scambiando questocomportamento con una qualche capacità tecnologica e volontà di farcomparire immagini, ma in realtà ilbambino è attratto dalla dimensionetattile dei tasti, dal “far succederequalcosa”. Se i tasti sono quelli di unaconsole, cui spesso ricorrono i genitoricome forma di babysitting tecnologico, il bambino viene catturato dal movimento degli oggetti o dei personaggidel programma, la sua attenzione assorbita da ciò che provoca nella vicenda virtuale: è un’immersione che losottrae alla concretezza del gioco, al8
Nativi digitali?Alberto Oliverio
neurobiologo, docente di Psicobiologia alla Sapienza di Roma - [email protected]
È il bambino che decidedi prestare attenzione
a un compito particolare
movimento, all’immaginazione auto-noma, generando forme di dipendenzadal mondo virtuale creato dalle immagini e suoni della console, un fatto cheinduce gli esperti a bandire la gran partedei videogiochi prima dei 67 anni.Un altro aspetto problematico della televisione riguarda le capacità di con-centrazione infantile, al centro di numerose ricerche motivate dalle frequenti difficoltà di concentrazione sco
lastica. Va detto anzitutto che
le conseguenze dell’esposizione allenuove tecnologie non riguardano tantola qualità dei giochi o di ciò che vieneosservato, quanto i tempi di esposizione. Diversi studi longitudinali dimostrano che esiste un rapporto diretto tra itempi spesi nei videogiochi o di frontealla tv e le capacità di attenzione dibambini e ragazzi. Ad esempio, alcunistudi indicano che un bambino piccoloche consumi un’ora di televisione algiorno avrà un rischio di deficit d’attenzione nel corso della scuola primariadue volte superiore rispetto a chi nonla guarda.Ci si può domandare come mai i bambini che sono assorbiti e in apparenza“attenti” di fronte al televisore o ai videogiochi presentino delle difficoltà diconcentrazione a scuola o in altre situazioni in cui è necessario raccogliersi. In realtà non si tratta delle stesseforme di attenzione perché nel primocaso l’attenzione del bambino è catturata in modo automatico dal rapidosuccedersi delle immagini sullo schermo: si tratta del sistema di attenzioneselettiva in rapporto agli stimoli visivi,già attivo nel corso dei primi mesi di
vita quando il lattante fissa qualsiasistimolo nuovo che compaia nel suocampo visivo e tende a seguirlo.Nel secondo caso invece, adesempio quando un bambino oragazzino deve risolvere un pro
blema aritmetico o matematico, entra in gioco un tipo di
controllo volontario, legatoalla motivazione: è il bam-bino che decide di prestareattenzione a un compitoparticolare e questa capaci-tà deve essere sviluppatanel corso degli anni, non è
un automatismo.
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Il CPP è sempre stato dalla parte dei genitori. Lavoriamo da anni con madri epadri nell’intento di aiutarli nel lorocompito educativo e certamente ci rendiamo conto che oggi i genitori sperimentano una fragilità educativa inedita,mai rilevata nella storia. Spesso si sentedire che i genitori di un tempo erano migliori: noi siamo convinti che non sia vero, e che la nostalgia non porti da nessuna parte. Non si tratta infatti di unaquestione di responsabilità individualema di storia generazionale, di trasformazioni sociali e culturali che dobbiamo imparare a riconoscere e leggere e su cuipossiamo lavorare insieme. È un tempocomplesso, ma offre anche la possibilitàdi attingere a tante nuove ricerche e studi sulle relazioni genitorebambino chepossono guidare chi supporta famiglie egenitori a fare molto meglio in campoeducativo. Insieme possiamo farcela.
I GENITORI DI OGGI, FIGLI NEGLI ANNI OTTANTAI genitori di oggi sono i bambini deglianni Ottanta, i primi ad aver avutoun’infanzia completamente diversa rispetto a quella delle generazioni precedenti: per la prima volta nella storia, latelevisione ha preso il posto del giocospontaneo con i coetanei. I bambini degli anni Ottanta sono la prima generazione ad aver avuto un’infanzia non infantile, cioè non basata sul gioco, sullanatura e sul gruppo. Queste tre dimensioni sono state per millenni i pilastridell’infanzia: anche in termini etologici,studiando il comportamento degli animali, si osserva che i cuccioli fanno vitaseparata dagli adulti e agiscono unacomponente sociale specifica basata sulgioco. Negli anni Ottanta, improvvisamente, questa caratteristica della vitainfantile si è modificata e i bambini sono
stati fatti rientrare in casa, tolti dalla dimensione della “cucciolata”, dal gruppospontaneo di amici e cugini e sono stati“bloccati” davanti alla tv commerciale.Tutti i bambini degli anni Ottanta si sonofatti mediamente due ore al giorno davanti alla televisione.La tendenza sociologica di quegli anniprevedeva un investimento emotivo sulfiglio e una sorta di “ritiro”, anche proprio fisico, dentro casa, nella dimensione domestica. In quel periodo il narcisismo da malattia è divenuto uno statopsicologico collettivo, una dimensionesociale. Dal punto di vista neurocognitivo questo ha prodotto nei bambini carenze sul piano emotivo. Parliamo diuna generazione che ha avuto un’infanzia meno attiva e più passiva, vivendodecisamente meno esperienze di relazioni spontanee con altri bambini, proprio quelle che permettono lo sviluppodelle capacità autoregolative, specialmente sul piano emotivo.
UNA QUESTIONE DI AUTOREGOLAZIONEEMOTIVASi possono allora trarre due osservazioni importanti da queste trasformazioni:da un lato si è persa la fiducia nelle capacità di autoregolazione dei bambini,e dall’altro i bambini sono stati sottrattialla dimensione sociale, alla comunitàeducativa, per una sorte di processo diprivatizzazione che ha trasformato i figliin proprietà assoluta dei genitori. La tvnegli anni Ottanta, piuttosto che il tableto lo smartphone oggi, sono lo strumento per esercitare questa proprietà. Seoggi i genitori, avendo avuto grossi deficit nella propria infanzia, gestiscono ifigli secondo una logica che non corrisponde ai bisogni infantili, spesso èsemplicemente perché manca loro lamemoria di cos’è l’infanzia.
Sostenere le risorse dei genitori
Daniele Novara
pedagogista, formatore, direttore CPP - [email protected]
131 N. Postman, La scomparsa dell’infanzia. Ecologia delle età della vita, Armando Editore, Roma 1991.
A fronte di questo si è sviluppato un eccesso di immedesimazione emotiva, unamancanza di quella distanza che invecepermette di educare un figlio. Oggi i litigifra bambini generano un inedito allarmenei genitori. Vediamo ogni giorno mamme che si preoccupano: “Chi ha graffiatomio figlio?”; “Chi gli ha preso la gomma?”. I genitori urlano, tutti, ma urlareè legato a un eccesso emotivo: vuoi chetuo figlio ti ascolti, però è una richiestaimpropria perché nessun figlio ascolteràmai del tutto un genitore, e allora urli.Il tema è l’autoregolazione. Per secoli igenitori si sono fidati dell’autoregolazione infantile, mentre a un certo punto,l’ha ben analizzato Neil Postman nel suolibro La scomparsa dell’infanzia1, è venuta meno la fiducia nella capacità autoregolativa dei bambini tant’è che oggii genitori si sostituiscono continuamente a loro. Ma queste mosse sbagliate generano patologie, e le difficoltà infantilioggi sono sotto gli occhi di tutti. Se nonti fidi dell’autoregolazione infantile ti sostituisci, ma siccome questo meccanismo è fallimentare, il bambino si blocca,riduce la sua autostima e le sue potenzialità e finisce nelle braccia del neuropsichiatra infantile. Per questo occorrerestituire ai genitori la fiducia nelle capacità dei bambini, ad esempio con leregole educative.La nostra società vive oggi la percezione
dei figli come di esseri molto impegnativi. Ma la cura, la condivisione educativa, non può essere una questione cheriguarda solo la coppia genitoriale: èfondamentale che un figlio possa essere“condiviso”, e questo permette di averesponde, altre possibilità, che non sia solo l’inquietante dominanza possessivadei genitori. La condivisione, nella logicadella comunità educativa, funziona come riduzione dell’incombenza narcisistica genitoriale, la diluisce.C'è una sensibilità positiva, ma non è lineare. Si cercano e si trovano tante informazioni sull’infanzia, l’adolescenza,sul come crescere i figli, ma si trovanoanche tante informazioni errate, privedi alcun fondamento scientifico. Sonorari i genitori che seguono una linea pedagogica, più che altro sono sballottatitra una suggestione e l’altra. Il rischiodel genitorefaidate è molto elevato.Abbiamo così pensato a questo Dossier,come approfondimento in preparazioneal Convegno che si terrà ad aprile a Piacenza.Il convegno per noi è una necessità, come le scuole genitori e gli sportelli di consulenza pedagogica. L’esperienza del CPPin questo campo ci aiuta ad avere fiducianella possibilità di liberare le risorse cheogni genitore ha, di ritrovare il propriocompito educativo. È possibile, serve organizzazione educativa.
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Come CPP da trent’anni lavoriamo“dalla parte dei genitori” nella convin-zione che sia importante congedarsidal genitore “fai-da-te” per costruireun nuovo modello di genitore “educa-tivo”. A suo avviso come si può facili-tare questo passaggio per costruire ef-fettivamente una comunità educante? Siamo tutti d’accordo che inizialmente,prima di mettersi al volante, è necessario seguire un corso e sostenere un esame di abilitazione alla guida. Eppurenessuno si stupisce se i genitori diventano tali senza alcuna preparazione. Misi dirà: si è sempre fatto così. È vero, mail mondo è cambiato e molto rapidamente. Un tempo le generazioni si susseguivano trasmettendo l’una all’altra ilpatrimonio di sapere e saper fare cheavevano ricevuto in eredità. Ora il tessuto sociale tradizionale si è disgregatoe le giovani famiglie sono spesso sole.In molti casi i nonni vivono lontani e sevicini sono utilizzati più come babysitterche come presenze sagge e rassicuranti.Assistiamo a un’inversione senza precedenti: sulle nuove tecnologie i bambinine sanno più dei genitori che non sempre riescono a seguirli nel mondo digitale, uno spazio illimitato, tanto avvincente quanto pericoloso. Divenuti adolescenti, i nostri figli ci sfuggono el’affetto non basta per raggiungerli estabilire un dialogo costruttivo. Anche ilrapporto scuolafamiglia si è fatto difficile da quando il futuro si è oscurato enon sappiamo più a che mondo dobbiamo prepararli.
Per evitare di cadere nell’ansia e nelloscoraggiamento è necessario stabilirenuove solidarietà: tra figli e genitori, trapadre e madre, tra insegnanti e alunni,tra scuola e famiglia. Ma per far questoè necessario procedere insieme indivi-duando le difficoltà, le regressioni e iconflitti, trovando le parole per dirli. Ildialogo non s’improvvisa, va affrontatocon la guida di figure autorevoli e preparate. Non si tratta di proporre ricette,ma di rendere ciascuno in grado di assumersi le proprie responsabilità e disvolgere il compito educativo che glicompete nel modo migliore, nella convinzione che non c’è educazione senzaamore ma l’amore, da solo, non basta.
Diventare genitori è come intrapren-dere un misterioso, affascinante e fa-ticoso viaggio. Quali sono, secondo lei,tre parole che non possono mancarenella valigia di ogni genitore?La metafora del viaggio mi sembra particolarmente indovinata perché metteinsieme il previsto e l’imprevisto, ciòche abbiamo programmato e ciò chenon conosciamo. Importante partirecon un bagaglio adeguato, in cui nonpossono mancare intelligenza, fiduciae speranza.
Fragilità emotiva, vissuti autobiografi-ci, colpevolizzazione e paura del con-flitto spesso impediscono ai genitori diriappropriarsi del proprio compitoeducativo. Qual è la sua opinione inproposito?
Non c’è educazionesenza amore, ma l’amore da solonon basta
di Silvia Vegetti Finzi
psicologa, psicoterapeuta, già docente di Psicologia Dinamica all’Università di Pavia,[email protected]
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La fragilità emotiva ostacola l’educazione quando non è riconosciuta, quandoil genitore vede i punti di debolezza delfiglio ma non i propri. Per conoscere l’altro dobbiamo conoscere noi stessi. Nonsi tratta di essere perfetti ma di mettersiin gioco, di essere disposti a cambiare. Si ha spesso l’illusione che, se potessimo svitare la testa dei ragazzi sostituendola con una nuova, come si fa con lelampadine fulminate, tutto sarebbe risolto. Ma noi possiamo intervenire soprattutto sulle relazioni che intratteniamo con loro cercando di comprenderli,di comunicare meglio e di stabilireun’empatia reciproca. Quanto ai vissutiautobiografici, essi intervengono inevitabilmente nel rapporto educativo madivengono patologici solo quando, relegati nell’inconscio, non riconosciuti, agiscono come inconsapevoli ripetizioni.
I genitori hanno le risorse per educa-re bene. Ha qualche esempio trattodalla sua esperienza professionale incui “sembrava impossibile ma ce l’-hanno fatta”?Per fortuna la maggior parte dei genitorice la fa. Le risorse ci sono ma si tratta dimetterle in atto continuando a incrementarle e perfezionarle senza timore di
chiedere aiuto e sostegno. L’importanteè sbagliare il meno possibile: seguire larotta sapendo che il timone va tenutosotto controllo e che può sempre accadere di sbandare, trovare una secca o affrontare una tempesta. Nulla di male poise si decide, tornati in porto, di ripartirepiù preparati e attrezzati di prima.Ciò che conta è restare duttili, aperti,disponibili, disposti ad ammettere ipropri errori e a perdonare quelli de-gli altri. Sono convinta che nessuno conosca i propri figli come i genitori che,non solo li hanno messi al mondo, maogni giorno li accudiscono, li seguono,li sostengono amorevolmente. Purché,rinunciando progressivamente al potere e al possesso, siano disposti a lasciarli andare, ad accettare che diventino se stessi, magari diversi da come liavevano sognati e cresciuti. Senza tuttavia mai sospendere l’attenzione e ladisponibilità.
La fragilità emotiva ostacola l’educazione
quando non è riconosciuta
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Come CPP da trent’anni lavoriamo“dalla parte dei genitori” nella convin-zione che sia importante congedarsidal genitore “fai-da-te” per costruireun nuovo modello di genitore “educa-tivo”. A suo avviso come si può facili-tare questo passaggio per costruire ef-fettivamente una comunità educante? Bisogna rimettere il tema dell’educazione “al centro”. Intendo al centro della vita comunitaria, del progetto politico, del dibattito culturale, della riflessione intellettuale. E soprattutto bisogna facilitare la condivisione di idee,esperienze e competenze all’internodel mondo delle famiglie e degli adultiche vivono a fianco di chi sta crescendo. L’educazione sembra essere spari-ta dall’agenda politica, è stata depri-vata di fondi e progetti a livello loca-le, regionale e nazionale. E le stessefamiglie spesso hanno avuto l’illusioneche crescere un figlio fosse un’esperienza da realizzare nel qui ed ora. Ovvero, quando arriva una sfida educativa, la affronto. Invece l’educazione èanche autoformazione, rielaborazionedella propria storia di vita, confronto eascolto dell’altro.
Diventare genitori è come intrapren-dere un misterioso, affascinante e fa-ticoso viaggio. Quali sono, secondo lei,
tre parole che non possono mancarenella valigia di ogni genitore?Passione: la vita ti deve appassionare,così come la tua avventura genitoriale. Scoperta: ogni giorno, con un figlio afianco, scopri un nuovo pezzo. Di te e dilui. Condivisione: non si può fare tutto dasoli. Non si può crescere un figlio pensando che la propria famiglia sia un’isola, sconnessa dagli altri, dal mondo incui siamo immersi. E in una prospettivaemotivaaffettiva, sceglierei anche leparole: sguardi, amore, fatica.
Fragilità emotiva, vissuti autobiografi-ci, colpevolizzazione e paura del con-flitto spesso impediscono ai genitori diriappropriarsi del proprio compitoeducativo. Qual è la sua opinione inproposito?È vero a volte si viene travolti da vissutiche generano impotenza, tolgono autoefficacia, riempiono di sensi di colpa.Tutti elementi che in realtà non ci rendono genitori migliori, limitano e a voltabloccano la spinta verso l’altro, la giusta“carica energetica” che ci permette diessere genitori capaci di metterci in gioco. Penso che oggi molti genitori abbiano anche il terrore di sbagliare, circondati come sono da modelli di perfezionismo assoluto, che poi riversano anche
Lo tsunami dei figliha bisogno di genitori educativi
di Alberto Pellai
medico, psicoterapeuta età evolutiva,ricercatore presso il dipartimento di scienze biomediche, Università degli Studi di [email protected]
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sulle aspettative che nutrono nei confronti del proprio figlio. Sono tutte catene che ci intrappolano, che limitano lanostra disponibilità emotiva e affettiva.Cose di cui possiamo con tranquillitàimparare a fare a meno.
I genitori hanno le risorse per educarebene. Ha qualche esempio tratto dallasua esperienza professionale in cui“sembrava impossibile ma ce l’hannofatta”?“Dottore, mi aiuti, mio figlio mi odia”:una mamma mi ha raccontato così cosale era rimasto di una tremenda lite conil proprio figlio preadolescente che, vistosi sottrarre il cellulare nel pieno di unvideogioco al quale aveva dedicato ore,l’aveva assalita, prima con brutte parole
e poi anche fisicamente. Una scena di“caos famigliare” dove tutto era esplosoe le relazioni sembravano congelate esmembrate. Con calma abbiamo rivistola scena della crisi, abbiamo compresocosa stava succedendo nella mente delfiglio, perché si era verificata quella reazione tsunamica, e cosa si poteva fareper rientrare in contatto l’uno con l’altro, lavorare sulla definizione di regolechiare e condivise. Poche sedute contaglio educativo e una famiglia ha ri-cominciato a vedere la luce. Soprattutto abbiamo imparato che un genitorearrabbiato e spaventato diventa unadulto spaventante, incapace di fare daguida alla crescita per un figlio. Una lezione che dovremmo tutti tenere nellamente e nel cuore.
Penso che oggi molti genitori abbiano anche il terroredi sbagliare, circondati come sono da modelli
di perfezionismo assoluto
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Come CPP da trent’anni lavoriamo“dalla parte dei genitori” nella con-vinzione che sia importante conge-darsi dal genitore “fai-da-te” per co-struire un nuovo modello di genitore“educativo”. A suo avviso come si puòfacilitare questo passaggio per co-struire effettivamente una comunitàeducante? I genitori, come i genitori di tutti i tempi, desiderano il meglio il bello, il buono e il giusto per i loro figli. Questi valori avevano fino a qualche decennio faun ancoraggio nella cultura di riferimento di ogni famiglia. Oggi le sollecitazioni incessanti, le informazioni spesso sommarie ma innumerevoli, le indicazioni formulate in forma di ricetteprive di valori di riferimento disorientano, generano insicurezza e possonoportare a scelte e comportamenti contraddittori che finiscono per mettere incrisi anche i bambini rendendoli difficilmente gestibili. E un bambino difficile da gestire nella vita quotidiana nonè un bambino che sta bene davvero.Sono convinta che il confronto attra-verso la discussione pacata e il dialo-go regolare con altri genitori e conprofessionisti esperti, ma non depositari di verità, siano uno strumento importante. Incontri nei quali ci si confronti su quello che si fa, sul senso che
ha e si individui con calma, insieme,che cosa è possibile fare, analizzandole difficoltà che si affrontano durante illungo il percorso e ipotizzando insiemecome superarle. Incontri e percorsi comuni, non spot.
Diventare genitori è come intrapren-dere un misterioso, affascinante e fa-ticoso viaggio. Quali sono, secondolei, tre parole che non possono man-care nella valigia di ogni genitore?Fiducia, pazienza, imperfezione.
Fragilità emotiva, vissuti autobiogra-fici, colpevolizzazione e paura delconflitto spesso impediscono ai geni-tori di riappropriarsi del proprio com-pito educativo. Qual è la sua opinionein proposito?Diventare genitori oggi è una scelta coraggiosa. Chi la fa, oggi che si può scegliere, ha dunque coraggio. Il coraggio(non l’incoscienza) unito alla tenacia èl’opposto della fragilità. Fragili dunquesi diventa, ci si infragilisce se non si incontrano fattori protettivi, fattori di resilienza, prima di tutto relazioni sufficientemente buone che ci sostengano,che permettano di percorrere il lungocammino dell’educazione dei nostri figli. Oggi il tempo e la tenacia sonomerce assai rara che va cercata e spes
Diventare genitori èuna scelta coraggiosa
di Susanna Mantovani
pedagogista, già docente di Pedagogia Generale e Sociale all’Università degli studi di Milano [email protected]
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so ricreata dentro di noi. Ma da qualche parte c’è e si può coltivarla.
Come vede le nuove famiglie oggi?Coraggiose: fanno i figli in un mondopoco incoraggiante.Con i papà: molto più di prima, findall’inizio. Una novità straordinaria.Impegnate: vogliono il meglio per i loro bambini, ma il meglio che cos’è?Hanno le antenne: captano il nuovoma fanno fatica a decifrarlo e a parlarne tra loro.Preoccupate per il futuro: e chi non losarebbe?
Contraddittorie: tra sensibilità emotiva e desiderio di prestazione.Confuse: troppi input.Impazienti: cercano soluzioni immediate, ma l’educazione è un processolungo.Preoccupate per i bambini: ma i bambini sono fortissimi e “ce la possonofare”.
Ci si infragilisce se non siincontrano fattori protettivi
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IER Il copione educativo
L’influenza dell’educazione ricevuta sui percorsi di crescita personale
di Daniele Novara
IL COPIONE EDUCATIVOCiascuno di noi non è semplicemente ilrisultato di una mistura genetica e psicologica, ma anche di una serie di comportamenti educativi che in maniera inconsapevole hanno determinato il nostro modo di esistere.Ho racchiuso questa convinzione in unconcetto nuovo, ancora da esplorare eaffinare: il “copione educativo”.Non esistono ricerche specifiche suquesta bozza di costrutto perché l’hoelaborato negli ultimi anni sul pianoempirico, nel lavoro quasi quotidianocon i genitori. Ne incontro moltissimi e,nel parlare dell’educazione dei loro figli,sono spesso disponibili a esplorarel’educazione che loro stessi hanno ricevuto. Ho così scoperto che alle spalle diun genitore in particolare difficoltà, sinasconde un’educazione di un certo tipo, una modalità di relazione educativache in qualche modo ha profondamente ferito quella persona. Esiste in psicologia un concetto simile aquello di copione educativo: è quellodel “copione di vita”, lo “script”, dell’Analisi Transazionale elaborato da EricBerne. Eric Leonard Bernstein era unopsicologo e psicanalista canadese chenegli anni Cinquanta e Sessanta maturò,come molti altri del calibro di AbrahamMaslow e Carl Rogers, un progressivodistacco dalla psicanalisi tradizionale,elaborando una nuova teoria della personalità e del comportamento socialeche sarà appunto l’Analisi Transazionale.
In Italia questa teoria fu studiata e apprezzata anche da Franco Fornari, chescrisse l’introduzione al libro dello psichiatra statunitense Thomas Harris Iosono Ok, tu sei Ok1 in cui si divulgavanoi concetti fondamentali dell’Analisi Transazionale e la loro possibile applicazionenella vita quotidiana.Berne con il suo lavoro introduce il concetto di “copione di vita” dandone questa spiegazione: “I copioni sono basatisulla programmazione che i genitori impongono e che il bambino accetta pertre ragioni. Uno: è in grado di avere unoscopo nella vita che altrimenti potrebbeesserne priva. Il bambino compie lamaggior parte delle sue azioni per essere amato e accettato di solito dai suoigenitori. Due: gli garantisce la possibilitàdi strutturare il suo tempo in modo accettabile o perlomeno accettabile per isuoi genitori. Tre: quasi tutti hanno bisogno di sentirsi dire come fare le cose.Imparare da soli può essere stimolantema, oltre ad essere faticoso, non è moltopratico. Non si diventa dei bravi piloti distruggendo un po’ di aerei e facendo tesoro delle esperienze sbagliate, si puòimparare dai fallimenti altrui non daipropri. Così i genitori programmano ibambini trasmettendo loro quantohanno imparato o meglio quanto pen-sano di aver imparato. Se i genitori sono perdenti, riusciranno a trasmetteresolo dei copioni da perdenti, e lo stessovale nel caso siano dei vincitori. Ne risulta comunque che il taglio del copione è
1 T.A. Harris, Io sono Ok, tu sei Ok. Come vivere al meglio il rapporto con gli altri, BUR Rizzoli, Milano 2013, primaedizione italiana 1974.
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condizionato dalla programmazione parentale, mentre il bambino è spesso libero di scegliersi una trama personale”2.Quello di copione è un concetto su cuiBerne insiste: “Un copione richiede: 1.ordini trasmessi dai genitori; 2. uno sviluppo della personalità adeguato; 3.una decisione presa durante l’infanzia;4. un effettivo entusiasmo per un metodo particolare per ottenere tanto il successo che il fallimento; 5. un atteggiamento convincente. […] Ogni individuodecide nella sua prima infanzia la propria vita, la propria morte, quel programma che si porterà dentro ovunquevada che chiameremo d’ora in avanti ilsuo copione, o script”3.In sostanza Berne era convinto che molti degli schemi di vita e comportamentali di un individuo abbiano origine nell’infanzia, e si strutturino come un riproporsi continuo di strategie apprese inquel periodo della vita in risposta a uncerto tipo di approccio genitoriale.Gli scritti di Berne comunque non definiscono del tutto chiaramente questoconcetto anche perché lo psicologo nonha lasciato un corpus specifico di testi,
ma indubbiamente si tratta di un riferimento molto interessante, ripreso e riutilizzato in modo diverso anche dalla psicogenealogia, che può aiutare a chiariremeglio cosa intendo con “copione educativo”.Il copione educativo è quella forma ri-cevuta con l’educazione che segnaprofondamente ciascuno di noi e in uncerto senso ne definisce la strutturastessa della personalità. È una sorta di“imprinting” (affine a un altro concettomutuato dalla psicologia, in particolaredal pediatra e psicanalista D. Winnicot),un elemento sostanziale e pervasivo.L’immagine che collego al copione educativo è quella della creta: come se ciascuno di noi fosse creta che durante l’infanzia viene inserita in una forma. Il copione educativo è la forma che poi avremo per tutta la vita, una pelle che indossiamo e che ci appartiene, un modo divivere, di rapportarci alla vita.Potrebbe essere confuso con il carattere, ma in realtà il concetto di carattereè molto controverso: sviluppato agli inizidel Novecento da alcuni psicologi nonesiste una vera ricerca scientifica sui ca
2 E. Berne, Ciao!... e poi? La psicologia del destino umano, Bompiani, Milano 1994, p. 42.3 E. Berne, Ciao!... e poi? La psicologia del destino umano, op.cit., p. 35.
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IER ratteri. Jung ad esempio parlava di “tipi
psicologici” e sviluppando l’idea che esistano alcune strutture di personalità,senza però che vi sia stato in seguito unostudio vero e proprio di questa teoria.Direi allora che il codice pedagogico piùche definire un “carattere” struttura unacerta disposizione, un orientamento, unapproccio peculiare alla vita, cioè modalità complessive di affrontare l’esistenzache si strutturano durante l’infanzia apartire dall’educazione ricevuta.Il copione educativo definisce ciascu-no di noi: sei stato educato così! Potrebbe sembrare affine a un altro concetto che ho elaborato, quello di “tastodolente”4, ma in realtà il tasto dolentesi pone in una logica di reazione mentre il copione pedagogico è in una logica di imprinting. Entrambi si strutturano durante l’infanzia, ma se il tasto dolente è un condensato emotivo che risuona in noi in alcune particolari situazioni, soprattutto conflittuali, e ci spinge a reagire in un certo modo, definendo quindi paradossalmente un elemento anche di resilienza, perché è ilmodo che abbiamo appreso per reagire e gestire il dolore derivato da mancanze e sofferenze che abbiamo vissuto e sperimentato da bambini, il copione educativo è piuttosto un abito, unapelle che indossiamo.Può nascere all’interno dell’albero genealogico, collegato quindi non tantoall’esistenza dell’individuo ma piuttosto alle esistenze dei suoi genitori, oppure può svilupparsi in collegamentoad eventi verificatesi durante la gravidanza della madre, durante il parto onei primi anni di vita, non oltre. Con lapreadolescenza e l’adolescenza infattisi sviluppano movimenti di separazione e allontanamento dalle figure genitoriali che bloccano il continuare astrutturarsi del copione educativoquindi escludo che eventi successivi alla prima infanzia, oltre i dieci anni di vita, possano influire.Indubbiamente, comunque, il momentoprincipale dello strutturarsi del copione
sono i primissimi anni, dalla nascita alsesto anno, un periodo della vita dovele difese sono bassissime e la dipendenza dalle figure genitoriali o da figureadulte di riferimento è al massimo.
QUALCHE ESEMPIO DI COPIONE EDUCATIVODato che è un ambito di ricerca e studiosu cui ho iniziato a lavorare da poco,non esiste un elenco di copioni pedagogico/educativi già in qualche modo definito. Esiste una casistica con la qualemi imbatto frequentemente nella miaprassi di consulenza ai genitori. Alcunicopioni sono più immediati e facili dacogliere, altri invece sono più complessie non emergono immediatamente.Spesso tra quelli che emergono conpiù evidenza ci sono il vittimismo, l’eu-foria, l’umorismo, la distrazione siste-matica, la rassegnazione, l’autosvalu-tazione, la petulanza, l’ipercontrollo,l’autolesionismo, la ricerca di risarci-mento.Un copione pedagogico di autosvalutazione può derivare, ad esempio, da unaprassi educativa genitoriale di svalutazione sistematica. Una madre che utilizza inconsapevolmente un continuo atteggiamento di colpevolizzazione del figlio o di mortificazione delle sue capacità, magari anche mascherato dall’ironia, produce un copione che struttura ilfiglio con una bassa autostima, insicurezza, senso di inadeguatezza. In questosenso ho un ricordo personale. Mia madre, quando avevo 8 anni, e combinavoqualche birichinata, mi diceva: “Vadodal prete a confessare quello che fai atua madre!” con una torsione del significato del sacramento della confessionedecisamente originale, ma perfettamente in linea con quello che era il suoatteggiamento verso di me.Il codice pedagogico della svalutazionepuò essere legato a vari atteggiamentieducativi, che possono derivare da percorsi personali genitoriali di varia natura, più o meno drammatici. Berne, adesempio, ha parlato della “madre lace
4 Sul concetto di “tasto dolente” si veda D. Novara, Meglio dirsele. Imparare a litigare bene per una vita di coppiafelice, BUR Rizzoli, Milano 2015. Il “tasto dolente” è un condensato emotivo e psichico che appartiene agli stratipiù profondi della vita infantile, legato alla memoria di aver subito ripetutamente qualcosa di doloroso (non untrauma) che si fissa nel resto della vita successiva.
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rata” che è quella che, come direbbeFranco Fornari, non solo vive la “paranoia primaria”5 di tutte le mamme (lapaura atavica che scaturisce dalla storiadel genere umano, per cui la donna teme che il figlio durante il parto possaucciderla, paura che normalmente viene metabolizzata), ma agisce una proiezione di colpa nei confronti del figlio, come se il figlio fosse effettivamente colpevole della sua lacerazione. Non è piùuna paranoia, cioè un processo emotivodi carattere psicologico, ma la madre lacerata passa davvero tutta la vita a pensare di essere sopravvissuta al figlio cheha cercato di ucciderla alla nascita. Lenarrazioni familiari di parti traumaticidove emerge una profonda sofferenzamaterna, con un bambino o una bambina troppo grossi che non “voglionovenir fuori” e la madre resta viva per miracolo, possono nascondere questa profonda angoscia materna che a sua volta
può produrre un atteggiamento educativo improntato alla svalutazione del figlio o della figlia: se ha già cercato diammazzare la madre durante il parto èchiaro che agirà in questo senso per tutta la vita.Ogni storia evolutiva è strettamentepersonale e individuale, ma in genereuna madre lacerata, attivando dei meccanismi di difesa dal figlio, induce un copione pedagogico di autosvalutazione ela conseguente strutturazione di reciproci meccanismi di difesa.Un altro esempio di copione educativoriguarda il bisogno di provare fatica fisica: alcune persone non riescono a viversi fuori da questa dimensione. Glialpinisti, i ciclisti, i maratoneti sono fraqueste, e per loro una vita priva disforzo è quasi ancora più faticosa. Maquesto approccio alla fatica è chiaramente un modello educativo, come, alsuo opposto, il tema della pigrizia: non
5 Fornari ne parla in F. Fornari, Il codice vivente. Femminilità e maternità nei sogni delle madri in gravidanza,Bollati Boringhieri, Torino 1981.
Il copione educativo è la forma che poi avremo per tutta la vita, una pelle che indossiamo e che
ci appartiene, un modo di vivere, di rapportarci alla vita
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appartiene all’autenticità di un bambino o di una bambina ma gli viene consegnato con un copione. Il bisogno di dimostrare di valere è untipico copione educativo spesso in relazione con la competizione tra fratelli.Può generare “campioni” ma anchegravi depressioni. Il controllo comeschema di vita rappresenta un copioneeducativo di paura, in genere trasmesso da genitori ansiosi ed esageratamente apprensivi.Ovviamente il copione pedagogico puòessere anche di natura benevola comequello basato sulla fiducia, sulla creatività, sulla generosità, sulla collaborazione, sul successo, che strutturano unacapacità nel saper vivere in contatto conle proprie risorse.
LAVORARE SU DI SÉ PER OCCUPARSI DI EDUCAZIONEIl cambiamento e la crescita personaledipendono anche dalla capacità di riconoscere e di lavorare su questa parte dise stessi. Non si tratta di un percorsosemplice perché è legato ai primi anni
di vita di cui non c’è quasi memoria.Certamente ciascun bambino ha risorse e doti da mettere in campo di fronteall’agire educativo dei propri genitorima, come afferma Alice Miller6, spessoqueste doti devono essere utilizzateper seguire il meglio possibile il copione ricevuto non per opporsi a esso, anche perché è proprio questo che puòconsentire la sopravvivenza. Non parlodi traumi ma comunque il copioneeducativo ha a che fare con ciò chesiamo, con la sopravvivenza effettiva,non semplicemente o solamente fisica,ma con il fatto di essere effettivamen-te vivi, vitali.Chi opera e lavora in ambito pedagogico, nell’educazione, nelle relazioni d’aiuto con le famiglie e i genitori, deve averequesta consapevolezza: quello di cui cioccupiamo quando parliamo di educazione è collegato a temi importanti, profondi. Per questo, come già scrivevo diversi anni fa nel mio libro L’ascolto si impara7, i professionisti dell’educazionehanno la responsabilità di lavorare su sestessi per riconoscere i motivi che per
6 A. Miller, Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero sé, Bollati Boringhieri, Torino; A. Miller, L’infanziarimossa, Garzanti, Milano.
7 D. Novara, L’ascolto si impara. Domande legittime per una pedagogia dell’ascolto, Edizioni Gruppo Abele, Torino2002.
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mettono loro di sintonizzarsi con le persone che chiedono aiuto.Non ci può essere vero aiuto se non c’èquesta sintonizzazione con la propriastoria. Il rischio altrimenti è di lavorareesclusivamente con un approccio tecnico, come un meccanico che aggiustaun’automobile. I genitori, gli insegnanti e chiunque incontri un professionista nell’ambitodelle relazioni d’aiuto, deve percepireche si tratta di qualcuno che ha comunque affrontato quello che chiedea loro di affrontare. Il grande fisico Niels Bohr, il padre dellameccanica quantistica, sosteneva:“L’esperto è colui che, in un settore molto limitato della vita, ha fatto tutti gli errori possibili”. È proprio l’avere attraversato un certo territorio dell’esistenzache permette di aiutare gli altri perché se ne ha la mappa. Più il percorso è stato tortuoso, difficile, pieno di tentativi eanche di errori, più sarà dettagliata. È lamappa che ci legittima nel nostro supportare gli altri nei loro processi di crescita personale. Nella dimensione dellacondivisione e sintonizzazione emergeche il sapere dell’esperto non è asetti-co, neutro, semplicemente accademi-co, ma un sapere di vita che nasce da
una ricerca personale.Occorre mettere le persone nella condizione di liberarsi dall’incombenza esistenziale di copioni educativi che possono impedire di crescere.
PARTIRE DALLE DOMANDENegli anni ho sperimentato alcune domande che possono essere utili per attivare percorsi di esplorazione della propria storia educativa.Una che pongo di frequente riguardal’essere o l’avere un figlio unico. Perchévostro figlio è figlio unico? Ma anche,ancora più interessante, perché voisiete figli unici? La domanda ovviamente può declinarsi sulla base della storiaindividuale (perché sei la prima di quattro figli nati uno ogni anno)? C’è una sorta di innaturalità specificanell’avere un unico figlio, ed è rarissimoincontrare qualcuno contento di esserefiglio unico. In genere questa domandapermette di mettere in moto un processo di ricerca che consente di svelare elementi interessanti della propria storiapersonale, magari fino a quel momentorimasti semplicemente sconosciuti.Una seconda domanda efficace riguarda i primi mesi di vita: cosa è successonei primi mesi e nei primi anni della
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IER tua vita? Da questo punto di vista non
sono tanto gli eventi fisiologici ad essere significativi, come la naturale gelosia nei confronti di un fratello o sorella, quanto piuttosto la gestione educativa che è stata attivata dai genitori.Che un bambino sia geloso dell’arrivodel fratellino è naturale, che i genitoriscelgano (anche pensando di fare lacosa giusta) di allontanare uno dei duenati dalla famiglia affidandolo ai nonnifino a una certa età, ha invece tutt’altra rilevanza in merito alla strutturazione di uno specifico copione educativo.E poi una terza domanda, altrettantodensa di elementi: c’è qualcosa di par-ticolare nella storia della tua fami-glia? Questa è una domanda estremamente maieutica perché permettespesso di far emergere stati abbandonici, orfanità, violenze, magari segretifamiliari, intrecci particolari, anche patologie. Si tratta di recuperare informazioni preziose e soprattutto, e questa èun’altra grande novità legata al concetto di copione pedagogico, non comporta un processo di ricostruzione autobiografica, fondato sulla propria memoria, ma piuttosto una vera e propriaricostruzione storica. Ricostruire la propria storia personaleè difficile, ma essenziale in questo percorso. Suggerisco spesso ai genitori diparlare con i loro genitori. È importanteinfatti non perdere l’occasione di interrogare i genitori o comunque chi ha avutoun ruolo significativo nell’infanzia di unapersona. Anche se non sempre i proprigenitori sono disponibili a raccontaredavvero quello che è accaduto, l’importante è raccogliere informazioni perchéspesso piccole notizie si compongonopian piano, come tessere di un puzzle, eil disegno si intravvede. Anche nel lavorodello storico è raro trovare il reperto davvero decisivo, ma più spesso sono tantitasselli che aiutano, con una buona approssimazione, a ricostruire la verità.Un altro strumento utile a recuperareinformazioni sulla propria storia educativa sono le fotografie. Ricordo benissimo una donna che si era rivolta ame per una consulenza pedagogica, a
cui avevo proposto di lavorare su alcune foto di sé da bambina proprio perprovare ad attivare un processo di ricerca della propria storia educativa. Ungiorno, nel prendere in mano una suafotografia in cui lei stava in posa con lecugine, il padre e lo zio, una foto cheaveva già avuto modo di osservare piùvolte, realizzò per la prima volta che lozio aveva in mano, in bella vista, unacinghia. La cosa di per sé poteva apparire folkloristica, ma all’improvviso ladonna mi disse: “Quella è la cinghiacon cui picchiava le mie cugine”. Fuuna rivelazione, che attivò un momento di forte commozione e le permise direcuperare una parte di consapevolezza della propria storia familiare.Le fotografie rimandano tante suggestioni, consentono anche in momentidiversi della vita, di attingere a informazioni che nel tempo erano sfuggite.
DAL COPIONE EDUCATIVO ALLA CRESCITA PERSONALESono tre i passaggi che, lavorando sulproprio copione educativo, portano aun processo di crescita personale: l’in-dividuazione del copione; la comuni-cazione e il dialogo con lo stesso; lasua gestione. L’educazione che ciascuno di noi ha ricevuto è come una pelle che ci è statamessa. Non è la nostra vera natura.Penso alla teoria del daimon di JamesHillman8, che ha diversi tratti in comunecon quella del falso e vero sé di Winnicott9. I genitori proiettano sui figli tanteaspettative, a partire dal nome che danno loro, spesso quello di nonni o parentiche viene consegnato insieme a unastoria. Ma la crescita personale non èun’alleanza con l’educazione ricevuta,quanto piuttosto il suo superamento.È possibile trasformare qualcosa solo sela si conosce: senza ricostruire il propriocopione, o senza comunque provare aintravvederlo, non possiamo provare acambiare. Ovviamente nella vita accadono eventi improvvisi che possono attivare processi di crescita personale, maaltrimenti è più facile ritrovarsi a viveredentro un binario predisposto da altri.
8 SI veda ad esempio J. Hillman, Il codice dell’anima. Carattere, vocazione, destino, Adelphi, Milano 1997.9 E. Gatti Pertegato, Dietro la maschera. Sulla formazione del Sé e del falso Sé, Franco Angeli, Milano 1988.
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Non sempre questo è indice di un problema, però tutte le diverse correnti psicologiche sostengono che per raggiungere la propria autenticità sia comunque necessario un percorso personale.Ricordo il racconto di un collega, che lavora nella consulenza orientativa, chemi parlava di uno studente con un autorevole nonno veterinario, a cui mancavano solo tre esami per diventare asua volta veterinario, che si informavasu come fare per diventare cuoco. Nonsi può esimersi dal prendere in mano ilproprio percorso. Una volta individuato il copione occorreentrare in una dialettica. Ti riconosci inquel copione? È qualcosa di davvero tuoo no? Cosa te ne fai? L’educazione ricevuta è comunque qualcosa che ti hannomesso addosso, ma a un certo punto bisogna riappropriarsene. Non esiste una via unica per fare questolavoro di recupero, dipende dal tipo dicopione e dalla sua pervasività, comedalla disponibilità e dalla sostenibilitàindividuale. In genere ovviamente lapsicanalisi può essere d’aiuto ma di
fronte a un genitore in difficoltà difficilmente ci sono i margini per proporre epoter aspettare gli esiti di un percorsodi analisi che affronti davvero i nodi daaffrontare. Per questo occorre elaborare possibilità alternative.L’ultimo passaggio implica la capacità digestione di questa nostra pelle educativa, nella prospettiva di sviluppare uncambiamento. Dobbiamo riprendercil’educazione, la nostra educazione,l’educazione di chi ci chiede aiuto, l’educazione dei bambini e dei ragazzi, nonin un delirio di onnipotenza, quanto inuno scambio generativo e maieutico.Occorre rendere possibile un processocreativo per liberarsi di quello che nonserve più, di quello che blocca l’autenticità profonda.La formazione in età adulta non è unaggiungere ma un togliere, un allegge-rirsi di strati che ci sono stati messi ad-dosso, che coprono ciò che siamo epossiamo diventare, e che influisconosulle nostre capacità educative, su ciòche stiamo consegnando alle nuovegenerazioni.
Non ci può essere vero aiuto se non c’è questa sintonizzazione con la propria storia
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PROLOGODa sempre il Comune di Milano propone un progetto didatticoeducativo dieccellenza, rivolto alle scuole dell’infanzia, alle primarie e alle secondarie dellacittà, che si chiama “Scuola Natura”.Consiste nella possibilità per le classi disoggiornare una settimana in alcunestrutture comunali situate al lago, al mare o in montagna in alcune regioni italiane vicine alla Lombardia. Durante il soggiorno settimanale le classi sperimentano diversi percorsi formativi che prevedono laboratori di esplorazione e conoscenza del territorio, incontri con artigiani o realtà produttive locali, attività ludico e ricreative a contatto con la natura ein gruppo. La modalità di apprendimento è esperienziale e maieutica e il progetto mira a sviluppare competenzescientifiche e trasversali, il pensiero critico, la creatività, le capacità relazionalie sociali, l’autonomia, l’accesso a opportunità e diritti. Le quote di partecipazione al progetto sono proporzionate in base al reddito familiare, consentendo cosìa tutti l’accesso all’iniziativa.
LA CHATQuest’anno la classe di mia figlia, chefrequenta una terza primaria, ha la possibilità di soggiornare a Marina di Massa, dal 14 al 19 gennaio. È mia figlia aconfermarmi la notizia, annunciandomicon enfasi ed eccitazione che finalmente è: “Arrivata Scuola Natura anche nellanostra classe”. Io ricevo la notizia con grande entusiasmo, pensando a quale meravigliosa opportunità ci viene offerta: i bambini potranno sperimentare modalità di apprendimento esperienziale fuori dalla
classe, staranno a contatto con la naturae in gruppo e si costruiranno una conoscenza che nasce dal fare e partecipareinsieme a quanto accade nella realtà. Ma non è tutto: si misureranno con lalontananza da casa, dal consueto emolto protetto ambiente familiare dove tutto è codificato, pianificato e organizzato, in ragione dei ritmi di vita edi lavoro a cui tutti i genitori di oggi, inmedia, sono costretti. Guardo poi con aria intenerita il fratellino di mia figlia, di un anno più piccolo,tanto legato a sua sorella in questa fasedella crescita, che ha appreso con me lanotizia: ha l’aria triste. “Bene” penso“una bella prova di distacco anche perlui, che sperimenterà la possibilità di gestire la sua giornata senza la sorella e affrontare il senso della mancanza per unbreve periodo”. Ma tutto questo ha un prezzo da pagare:la chat di classe delle mamme! Se finoad oggi non c’era, ora sembra essenzialeper affrontare Scuola Natura. Mi accordo con il mio exmarito: se dobbiamostarci, ci staremo entrambi. Penso chel’attiveranno il giorno della partenza, e cidarà le informazioni utili e qualche aggiornamento sul soggiorno, magari qualche foto… almeno così speriamo.Contro ogni previsione, la chat parte ilsabato prima della partenza e si riempieall’inverosimile di messaggi di mammein panico che si domandano vicendevolmente come preparare la valigia. Noncapisco: abbiamo una lista di quanto occorre portare. Basta un trolley, una sacca, di dimensioni adeguate e basta riempirla con l’occorrente segnalato dalla casa vacanza. C’è chi invia foto del trolleyper ricevere conferme che vada bene,
Che fatica distaccarsi dai figli!La Scuola Natura di Milano
Silvia Quarello
allieva della Scuola di Counseling Maieutico del CPP, laureanda in [email protected]
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chi si chiede se ci sarà qualcuno a portare le “pesanti” borse o se i bambini dovranno trasportarle da soli, chi si interroga su cosa mettere nello zainetto e cosa nella valigia. Forse non hanno letto lascheda fornita dal Comune di Milano? Oforse, in quel flusso di messaggi scorrelibera la tensione per ciò che sta per accadere, fuori dai soliti schemi quotidiani. L’ultimo messaggio della domenica sera prima della partenza è di una mamma che prega gentilmente la rappresentante di classe (che avrà il contattotelefonico della maestra che accompagna i bambini nel soggiorno) di “tenerci aggiornati in tempo reale su tutto”.Mi pare una richiesta un po’ eccentrica, ma non la commento. Ovviamentenon sarà possibile.
LA PARTENZA14 gennaio 2019, ore 8.25. I bambinientrano a scuola con lo zainetto soltanto, mentre il gruppo dei genitori si addensa nelle vicinanze del pullman conle valigie da caricare. Una mamma, particolarmente preoccupata, pubblica sulla propria pagina Facebook il proprio stato: “Sono triste”, eaggiunge qualche informazione più specifica sul soggiorno e le date di arrivo edi partenza della figlia. Nell’era della digitalizzazione dei sentimenti, lo stato appena pubblicato raggiunge le altre mamme presenti alla par
tenza in tempo reale. La chat delle mamme diventa in un attimo incandescente:“È pericoloso pubblicare queste informazioni sul soggiorno dei nostri bambini”; “Meglio non diffondere informazioniche possono metterli in pericolo”. Resto un momento stordita: non credevo che i nostri figli stessero per partirein missione segreta per conto del governo. Intorno a mezzogiorno il flusso dimessaggi sulla questione è interrottodall’annuncio della rappresentante diclasse che informa che il pullman ègiunto a destinazione. La notizia è seguita da un paio di foto dei bambini.Partono commenti, a raffica: “Sospirodi sollievo”; “Mia figlia non ha la facciaserena” (riferendosi alla foto scattatain presa diretta dalla maestra). Qualche altra mamma prova a consolare econsolarsi: “Ma daiiii! Stai tranquilla”;“Non credo che si possa giudicare dauna foto scattata di fretta. È con i suoiamici! Starà benissimo, come tutti glialtri!”. Risposta: “Fino alla prossima foto resto un po’ così”. Arrivano le foto del pranzo, che si svolgein una sala della villa la cui vetrata affaccia direttamente sulla spiaggia privata.Il sole illumina i tavoli e i volti sorridentidei bambini.“Che spettacolo la vista della sala dapranzo. Io sono praticamente sintonizzata sulla chat h24”; “Si può avere il menù della settimana?”
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IER Seguono una serie di altre foto e di vi
deo che io non riesco neppure a visualizzare, perché sono in riunione in ufficio. Scorrono uno dopo l’altro i messaggi e i video. “Ogni lasciata è persa” penso, ma devo scrivere il verbale della riunione e non posso distrarmi adesso. Icommenti si susseguono sullo schermodel mio telefono. “Mi mancaaaaaa”; “Non vedo mio figlio”; “Ma dai, sarà nascosto da qualche parte a giocare con il mio… anchelui non c’è nelle foto”; “Sicuro… dai,stiamo tranquille”.
OCCUPAZIONI E PREOCCUPAZIONIGiunge la sera. Esco frettolosa dall’ufficio, pensando a cosa cucinare per consolare il fratello di mia figlia, che sicuramente sarà un po’ triste questa primanotte senza di lei. Arrivano le foto della serata: i bambiniin pigiama, sorridenti nel salone dellavilla, pronti per i giochi che precedonola nanna. “Nessuno avverte la nostalgia di casa. Ibambini sono molto sereni” si premuradi scrivere la rappresentante di classe,sottolineando che si tratta di un messaggio della maestra. Qualche mamma insiste ancora per avere il menù della cena. Spero tanto di non doverlo leggere:il mio cervello non ce la fa a immagazzinare altre informazioni sul soggiorno aquesto punto. E neppure mi servono. “Devo conteggiare i digiuni” spiega unamamma, la cui figlia, scopro ora, forseha problemi con il cibo. “Evvai! Vistomio figlio! RIDE. Cioè ha proprio unSORRISO SULLE LABBRA. DAVVERO”;“Confido nelle foto in pigiama”.Mi sono già persa il fotoromanzo dellaprima giornata, per colpa delle mie riunioni del pomeriggio in ufficio e ho dagestire il fratellino di mia figlia, che questa sera chiede di essere coccolato, vistoche può avere la mia attenzione in esclusiva. Non ho neppure fatto caso alle ultime foto. Verso le 22.00 mentre io sonoimmersa (finalmente) nella lettura di unlibro, accompagnata da una tisana calda,il telefono riprende a vibrare: “Ma nonci mandano la buonanotte?” Mi sorprendo: mio figlio mi ha salutato con unbacio più di un’ora fa, e persino lui ha ormai smesso di pensare al letto vuoto disua sorella. Mando un messaggio in pri
vato alla rappresentante di classe incoraggiandola; se va avanti così tutta lasettimana, vincerà il Nobel per la pace.
LA CONSAPEVOLEZZA“Buongiorno a tutti. Le maestre diconoche è una giornata bellissima. La notteè stata serena e i bambini non hannoavuto nostalgia di casa”. Prima delle 9 ci sono già le foto dellagiornata, con i bambini che fanno lacolazione. “Mio figlio mi sembra triste”; “Sarà assonnato”.Io fremo e mi trattengo dal commentare per delicatezza. Spero soltanto chetutti i bambini sorridano nelle prossimefoto, così non urtiamo la sensibilità diqueste mamme. La foto di gruppo nelgiardino della villa non tarda ad arrivare. “Puoi dire alla maestra di far copriremio figlio? Sono tutti imbacuccati mentre lui non ha sciarpa e cappello”; “Anche voi fate superingrandimenti per cogliere lo sguardo e cercare di interpretare lo stato d’animo e di salute o sbaglio?”; “Ovvio (parlo per me)”; “Sì, manon attacchiamoci alle espressioni dellefoto. Credo che le facce ‘strane’ in unafoto di gruppo siano normali… magarinon avevano voglia di essere fotografati,hanno sonno, hanno litigato con il compagno accanto, non gli piace quello chehanno nel piatto! Mi fiderei delle maestre. Se dicono che è tutto ok significache è davvero tutto ok!” la rappresentante si sente in dovere di precisare pertutte che questa è la realtà. “In questo momento non sono serena.Mio figlio mi sembra che non stia bene”.Inutile l’intervento della rappresentante, direi. E ricominciano le illazioni consolatorie delle altre mamme. “Sarà arrabbiato”; “Magari ha litigato”; “Misembra arrabbiato, ma non che non stiabene. Ho ingrandito la foto”; “Non stabene nel senso che è triste”. Tutto inutile, dunque. “Beh ci sta cucciolino…”; “Vedrai chenelle prossime foto sarà sereno” Io mi domando: di cosa stanno parlandoqueste mamme? È ormai evidente chequesta chat non realizza lo scopo percui è stata creata, ma un altro non dichiarato. Sembra più un gruppo di autoaiuto tra mamme disperate, alle prese con il distacco dai loro figli.
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“La maestra mi ha scritto che i bambinisono felicissimi, che c’è un caldo pazzesco e che si stanno divertendo un mondo!” precisa la rappresentante di classe. “Grazie a Dio!”; “Ti prego, di’ alla maestra di far togliere il cappello a mio figlio… sta cuocendo!”; “La maestra miha detto tranquilli… se c’è caldo li fannoalleggerire, se c’è freddo li fanno coprire!!!” arriva il commento lapidario dellarappresentante di classe. “Chi ha caldo si copre, chi ha freddo siscopre. Spero sia così”. Prova a dedurneuna mamma. “RAGAZZE, DEVO DARVI UNA BRUTTANOTIZIA. SECONDO ME LORO STANNOBENISSIMO SENZA DI NOI” commentaun’altra mamma, argutamente.
Nonostante i tentativi disperati di controllare ogni dettaglio di questo soggiorno, diventiamo finalmente consapevoliche l’autonomia di questi bambini sopravanza di gran lunga quella delle loromadri. Con buona pace di tutti.
C’È SPERANZAÈ giovedì sera. Domani i bambini faranno rientro a casa, alle loro famiglie. Torneranno stanchi, desiderosi di riabbracciare fratelli e sorelle, mamma e papà esoprattutto di raccontare loro quantosono cambiati, quante cose hanno imparato e capito e vissuto da soli. Sonoeccitata all’idea di ascoltare dalle parolevive di mia figlia e ho volutamente tralasciato di visionare i filmati e le fotodella chat.Un ultimo sguardo distratto al telefonoprima di accendere la tv per guardareun film mi strappa un sospiro di sollievo:alcuni papà si sono impossessati del telefono delle loro mogli.“Sono il papà di M. Ho una richiesta:si può prolungare il soggiorno di un’altra settimana, pagando la quota?”;“Meglio ancora: si può prolungare diun’altra settimana gratis?” commentaun altro papà. “Padri ingrati!” conclude scherzosamente una mamma. Finalmente un papà! E la speranza… chece la si può fare.
1 T. Giani Gallino, Il bambino e i suoi doppi. L’ombra e i compagni immaginari nello sviluppo del sé, BollatiBoringhieri, Torino 1993.32
Parto da un ricordo personale. Diversianni fa chiesi a un bambino di circa 6/7anni con cui stavo lavorando se volevadisegnare qualcosa e, poco dopo, mimostrò e mi regalò, con tanto di dedica,un mio ritratto affiancato da una figurascura. Domandai sorpreso: “Ma questosono io? E quello dietro chi è?”, e ilbambino rispose convinto: “Sì sei tu! Equello dietro è la tua ombra, non la vedi?” Ho tenuto quel disegno nella miastanza del Servizio di psicologia per molto tempo, come dono prezioso ma anche come esempio della sorprendentecreatività infantile e della capacità relazionale dei bambini.Questo aneddoto è utile per introdurreil tema del compagno immaginario, chein termini tecnici è definito il tema del“doppio” nell'infanzia, e che, a mio parere, risulta piuttosto interessante comeargomento, forse più per gli studiosi cheper i clinici.Personalmente trovo che il compagnoimmaginario sia una invenzione splendida, frutto della creatività di alcunibambini. Non è una tappa fondamentale dello sviluppo mentale infantile, altrimenti dovremmo chiederci perché alcuni bambini ce l'hanno e altri no, ma questa “creatura”, o forse dovrei dire “creazione”, è davvero una invenzione straordinaria. Le ricerche scientifiche sul
“doppio” sono state il capolavoro professionale della prof.ssa Tilde Giani Gallino1, ed è grazie a lei se continua aesercitare un fascino notevole in chi sioccupa dell'infanzia e delle sue caratteristiche.Stando ai suoi studi e alle sue riflessioninon possiamo che concordare su di undato: un compagno immaginario è il“punto di arrivo” di un percorso cominciato assai prima. Non va scambiato peruna produzione, sia pure creativa, di unelemento a se stante, un evento che siverifica improvvisamente, una trovata ebasta. Anzi, forse potremmo concordare sul fatto che più che un “punto di arrivo” è una “tappa” di un percorso chenon si fermerà qui ma andrà oltre. Nell'osservare quanto più oggettivamente possibile le mosse della mia nipotina di 15 mesi, ritrovo le note osservative della Giani Gallino: Sveva si sveglia d'improvviso dal sonno pomeridiano e piange a dirotto ancora prima diaprire gli occhi. Per calmarla la prendiamo in braccio, ma per tranquillizzarladel tutto le offriamo due dei suoi oggetti preferiti, un orsetto di peluche e unabambola stilizzata bionda e simpatica.Alla vista dei suoi bambolotti preferiti ilpianto di Sveva cessa; un sorriso suadente si allarga fra le lacrimucce e poiSveva abbraccia le bambole e si lascia a
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IER Il compagno immaginario
nell’infanzia: qualcosa di più del “doppio”
Pierangelo Pedanipsicologo clinico, [email protected]
Abbiamo adottato Alamindi Micaela, mamma di Anush
L’amico immaginario di mio figlio di 7 anni è arrivato a casa nostra annunciandosi con una telefonata (telefono giocattolo). Si chiamava Alamin e telefonavaspesso, e Anush, mio figlio, ce lo passava perché voleva parlare con noi. Io emio marito facevamo lunghe telefonate con Alamin, spiegando che eravamofelici, che Anush era bravo, bello, e così via.Un giorno Anush ha detto che era il compleanno di Alamin e doveva cucinareper lui. Ha preparato nella sua cameretta una cena fantastica con la cucina giocattolo e abbiamo apparecchiato la tavola. Poi Alamin è arrivato e abbiamo fattouna festa. Da quel giorno Alamin è venuto spesso a cena. La sera, mentre guardavamo un cartone animato, capitava che Anush si girasse e dicesse che era arrivato Alamin e andasse in camera a parlare con lui (c’era una porta segreta incameretta ed entrava da lì).Capitava che Anush dicesse ad Alamin cose che in realtà voleva dire a noi: quando suonava il telefono giocattolo io e mio marito stavamo con le orecchie teseperché qualcosa di significativo emergeva sempre.A un certo punto ci ha chiesto di adottare Alamin e abbiamo scritto un documento in cui ufficialmente lo adottavamo, firmato da entrambi e appeso alfrigorifero.Se ne è andato gradualmente. Pian piano ha smesso di mangiare da noi e telefonava sempre meno, una volta alla settimana, una volta al mese, ogni due mesi. Poi è sparito, come era arrivato.
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sua volta abbracciare, questa volta quieta e serena. È chiaro che il peluche e labambola non sono per lei solo bambolotti, sono di più, sono dei compagnicon cui esiste una relazione, sono “qualcunoqualcosa” che può ridarle sicurezza e su cui contare. Esattamente comeil nonno e la mamma? Direi di sì.Come si arriva a questo punto? E comesi può passare a una tappa successivanella quale, probabilmente o eventualmente, si presentifica o direi quasi “simaterializza”, si rende presente e attivoun compagno immaginario?Non è chiaro come accada ma, come delinea con le sue ricerche la Giani Gallino,forse un legame esiste2. Il compagno immaginario è una prosecuzione della scoperta della propria ombra da parte delbambino. L'ombra rappresenta un “altroda sé” e al contempo consente una prima distinzione, un primo “sentire” aproposito del “sé”. L'ombra, la scopertadell'ombra è messa in relazione dallaGallino con la presenza e i primi rapporticon i peluche, con i bambolotti. Tutto questo ha un chiaro riferimento
nel mondo relazionale del bambino piccolo, dell'infante che, in barba alle vecchie teorie, è fin dalla nascita, anzi giàin utero, capace di stare in una relazionecon chi lo accudisce, con i cosiddetti caregivers, con mamma, papà, fratelli...con il mondo. Ecco perché mi sono permesso, con tutta l'umiltà che ci vuole, dipensare alla comparsa del compagnoimmaginario come un punto di arrivo diun percorso iniziato lontano nel tempoe forse anche segnale di un’ulterioreevoluzione.Dove comincia questo percorso a cuiabbiamo accennato? In quale meandrodella nostra mente infantile inizial'esperienza del nascente “sé” e quellaimmediatamente reciproca dell’“altro”? Sappiamo che l’origine si situa a partiredalla gravidanza materna, coinvolge lanascita e, subito dopo le prime settimane di vita, avviene nel crescere dellarelazione fra il neonato e il mondo chelo circonda, “mediato” dalle relazionisignificative con la mamma e gli altricaregivers. Lo sguardo, gli odori, i profumi, il “contatto”, l'imitazione, il pian
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IER Sara, venuta dal Polo
di Gianni, papà di Eleonora
Sara viene dal Polo Nord. È arrivata a casa nostra un pomeriggio mentre nostrafiglia Eleonora, di 4 anni e mezzo, stava giocando con i suoi animaletti di peluche. Eleonora è sempre stata innamorata di foche, orsi bianchi, otarie e renne,e trascorre il tempo a giocare nella sua cameretta mettendo in fila gli animaletti.Un giorno è corsa dalla mamma in cucina e ha annunciato: “Mamma, guardachi è venuta a trovarmi! È Sara, viene direttamente dal Polo Nord”.Al momento Luisa è rimasta piuttosto interdetta, ma vedendo la convinzionedella sua piccola ha salutato Sara. All’ora di cena Eleonora ha chiesto di preparare il posto a tavola anche per Sara, e abbiamo deciso di accontentarla. Avevamo sentito parlare dei possibili amici immaginari e vedendo la determinazione di Eleonora non volevamo contraddirla.Quella sera Sara è andata a dormire a casa sua, ma poi si è ripresentata la mattinaseguente: ha fatto colazione con noi e ha accompagnato Eleonora alla scuola dell’infanzia però, ci ha spiegato Eleonora, non è entrata perché c’era troppo caldo…Ha cenato con noi quasi ogni giorno per una decina di giorni, poi la sua mammaaveva bisogno di lei e così le due amiche si sono salutate e si sono promesse divedersi al Polo Nord.È tornata verso Natale, quando le renne di Babbo Natale le hanno chiesto sevoleva accompagnarle a salutare Eleonora, ma si è fermata solo una sera a cena,poi è ripartita subito.
2 T. Giani Gallino, Il complesso di Laio. I rapporti familiari nei disegni dei ragazzi, Einaudi, Torino 1997.
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to e il “prendere cura”, il sorriso. È nella relazione primaria che si trova il primum movens del percorso a cui accennavamo e che porterà, molto, moltopiù avanti, al costruirsi di una capacitàrelazionale matura, capace di fornire alsoggetto sia elementi del “proprio sentire”, sia e contemporaneamente, altrielementi della presenza e del “sentire”dell'altro.Infine, mi pare chiaro anche che l'esperienza del BabyTalk così come l’abbiamo sintetizzata recentemente su questarivista3 sia una tappa obbligatoria fondamentale del percorso. È durante questa esperienza che si costruiscono le relazioni face to face tra bambino e caregiver. Dentro quell’esperienza si manifesta la capacità innata del bambino distare in relazione attraverso i meccanismi di “on/off“ (ascolto te/parlo io),nonché la capacità di immedesimarsinelle emozioni, di riconoscerle in qualche modo e poi di comunicarle attraverso il pianto, il sorriso, il disgusto, fino infondo alla serie con lo sviluppo della capacità di comprendere le intenzioni. Nel fondamento della relazione tra madre, padre, bambino sta anche poi la capacità, davvero sorprendente da questo
punto di vista, di “staccare” e di cambiare registro: perché a un certo punto puòcomparire un altro “da sè” e anche “damamma” che è appunto il peluche, ilbambolotto. Un essere non umano, nonvivo, ma che evidentemente comunicaqualcosa perché rimanda qualcosa attraverso le sue sembianze, i suoi lineamenti. Il peluche deve essere sereno efelice, altrimenti non funziona. GianiGallino sottolinea quanto già studiatoed evidenziato prima dagli etologi e poianche da artisti come Walt Disney, sullafunzione dei tratti infantili dei bambolotti a imitazione dei volti.Se il bambino sviluppa le sue prime relazioni con la mamma e in questa esperienza scopre anche la possibilità dell'assenza della mamma, imparando atollerare questa mancanza, uno dei fattori che aiuta a mitigare e gestire questa assenza è proprio un sempre presente “altro” purché sereno e rassicurante. Questo percorso evolutivo puòpoi essere ulteriormente elaborato erappresentato con la scoperta dell'ombra e forse, ancora in seguito con l'invenzione, la promozione di un compagno immaginario sempre disponibilequando occorre.
3 P. Pedani, Baby-Talk, «Conflitti. Rivista italiana di ricerca e formazione psicopedagogica» n. 4, 2018, pp.42-45.
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Di fronte a tragedie come quelle cheportano alla morte di bambini in autoperché dimenticati da un genitore, iopenso che si possa solo stare in silenzio.Per questo credo non abbia alcun sensoesprimere giudizi sulle madri o sui padriresponsabili di una tale distrazione: ogniepisodio ha una sua specificità, una suastoria dolorosa, e se qualcosa si può dire nasce solo da un approfondimentodella singolarità di ogni situazione. Mi permetto invece di fare qualche riflessione su come reagisce l’opinionepubblica di fronte a questi episodi, inparticolare sulle scelte di coloro che gestiscono la comunicazione sui media, esulle prese di posizione dei politici e deiresponsabili delle istituzioni.Osservo una sorta di dicotomia. Da unaparte la maggior parte dei genitori tende immediatamente a pensare: “A menon potrebbe mai capitare”, cercandocosì di allontanare il fantasma terrificante di poter inconsapevolmente diventare gli assassini del proprio figlio; dall’altra si attiva una corsa alla ricerca di soluzioni di ogni tipo, perlopiù tecnologiche, nel tentativo di affrontare e risolvere un problema che però, appunto,sembrerebbe non dover esistere.Ricordo di aver letto anni fa un articolodello psicanalista e saggista James Hillman che riguardava un fatto accadutonegli Stati Uniti: un bambino giocandosi era chiuso nel bagagliaio dell’auto ela notizia era comparsa sui giornali. Lareazione immediata di qualche politicoera stata di tuonare sulla necessità diobbligare le case automobilistiche amettere una maniglia per poter aprireil bagagliaio dall’interno. Hillman eramolto critico rispetto a questo atteggia
mento e affermava che la soluzionenon sta nella maniglia: la tecnologia, figlia dell’Io, aiuta fintanto che non spegne l’inconscio.Gli antropologi ci spiegano che l’invenzione dello “strumento” segna un passaggio fondamentale nell’evoluzioneumana, sia perché ha permesso all’uomo di compiere azioni che altrimentinon sarebbero state possibili, sia perché ne ha modificato in modo radicaleil rapporto col mondo, cosa che si ripete in età evolutiva fin dai primi anni divita. Ben vengano il coltello per tagliarela mela, il telefono per comunicare, larisonanza magnetica per individuare lemalattie. Ma l’eccessiva tecnologizzazione dell’educazione è stata quella cheha introdotto la doppia pesata dei neonati, prima e dopo ogni poppata, trasformando la bilancia da aiuto, in fontedi ansia e nevrotizzazione dell’allattamento. Ci è voluto un po’ per capireche stavamo utilizzando uno strumentoin modo eccessivo e che, per una sanacrescita neonatale, oltre a un controllodel peso più diluito è necessaria la serenità delle madri.Sulla scia di Hillman sono convinto chel’evoluzione della tecnica, degli strumenti, sia utile e importantissima masolo se non mette a tacere l’istinto. Èl’istinto che spinge la lupa a proteggerei cuccioli nella tana e a tenerli d’occhioquando escono e, quello stesso istintocomune in tutto il regno animale, agisce nelle donne madri e, dopo secoli dievoluzione, ha portato anche gli uominia occuparsi della prole, cosa che nellamaggior parte delle specie animali siverifica raramente. Questa evoluzione va preservata, e non
I seggiolini sonori sono davvero la soluzione?Utilizzare la tecnologia senza lasciarsi sostituire
Claudio Riva
pisocologo e psicoterapeuta - [email protected]
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possiamo pensare che il sistema per affrontarne le problematiche passi esclusivamente per il ricorso alla tecnologia.Per questo ho diversi dubbi in meritoall’utilità di delegare al suono di un innovativo e tecnologico seggiolino perauto la garanzia della risoluzione di uneventuale problema. Nella psiche deigenitori è naturalmente presente l’attenzione nei confronti del proprio bambino e, se non c’è, va riattivata in modispecifici non attraverso il suono di unbeep. Certamente poi esistono delle situazioni particolari in cui un dato strumento è non solo efficace ma anchefondamentale, però se in un gruppo dipersone una è sorda, non mettiamo atutti l’apparecchio acustico.Temo che intervenire preventivamentecon una soluzione tecnologica di questotipo, finirà per aumentare la distrazionedi chi è alla guida. Credo che un genitore, che in auto con un figlio si abitua atelefonare o ad ascoltare la radio, attività che limitano la comunicazione colbambino, con il seggiolino tecnologicosarà ancora più portato ad affidare albeep beep l’attenzione al figlio. Sonoconvinto che piuttosto occorra riinsegnare ai genitori a mantenersi in contatto con i figli perché ho spesso la sensazione di vivere un paradosso: da unaparte teniamo i bambini sotto una campana di vetro al punto che non fanno
più determinate esperienze secolari, come il gioco libero di gruppo o il contattodiretto con la natura, mentre dalla parteopposta siamo sempre più portati a nonvederli. Li teniamo sotto controllo manon li vediamo. E condivido con moltialtri la seria preoccupazione che in tuttoquesto la tecnologia ci venga molto inaiuto, incentivandoci in questa direzione. Non si tratta di una preoccupazioneinfondata: esistono già studi che hannomesso in luce come, ad esempio, persone alla guida abituate al segnale acusticoche rileva l’avvicinarsi di potenziali ostacoli all’auto, andassero a sbattere in retromarcia perché il segnale era disattivato o stavano conducendo un veicoloche ne era privo. Il loro cervello aspettava di essere informato e dato che l’avviso non arrivava non si è preoccupato dicontrollare e frenare. Nel momento incui inseriamo un ausilio esterno spessosi perde l’attivarsi della funzione interna.La questione non è essere favorevoli osfavorevoli alla tecnologia, ma fare inmodo che la tecnologia non si sostituisca all’accudimento tipicamente genitoriale. Ben venga la tecnica se non uccidel’istinto della lupa, altrimenti rischiamodi spostarci sul piano della medicalizzazione e della certificazione (compresaquella dei sistemi di sicurezza) che stadeprivando l’infanzia dei bambini e deiragazzi di oggi.
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1 Z. Bauman, Amore liquido, Laterza, Roma Bari 2004.2 G. Pietropolli Charmet, L. Turuani, Narciso innamorato. La fine dell’amore romantico nelle relazioni tra
adolescenti, Rizzoli, Milano 2014.
GENITORI DIVERSI, FAMIGLIE ETEROGENEEÈ vero, non ci sono più i genitori di unavolta. È un dato di fatto, ma possiamo osservarlo senza alcuna nostalgia, anzi cogliendone le potenziali opportunità: perché l’esperienza genitoriale oggi è in forte cambiamento per vari motivi, e questo non significa che sia un male, anzi,apre la possibilità di elaborare in modonuovo e più efficace il ruolo genitoriale.I genitori sono cambiati e questo, pri-ma di tutto, è sicuramente legato allagrande varietà di fenomenologia geni-toriale. Troviamo genitori in coppia, genitori single, altri separati, genitori dellostesso genere, insomma tante tipologiedi famiglie che nascono all’interno di aggregati vari. L’esperienza genitoriale nonpassa più né attraverso la coppia, né necessariamente attraverso la famiglia e,se la famiglia tradizionale si fondava sul“chi” la costituiva, oggi la pluralità degliaggregati familiari permette di metterel’accento sul "cosa" sia una famiglia e sul"come" la si costruisca.Si tratta di una novità interessante, resapossibile da una trasformazione epocale che ha trasformato l’esperienza genitoriale in una delle possibili esperienzedi autorealizzazione, non l’unica. Il sociologo Zygmunt Bauman, parlando delmodo in cui oggi i giovani organizzanol’esperienza amorosa, affermava che i
giovani hanno timore di costruire qualcosa che duri nel tempo, sembra vadano di fiore in fiore e in qualche modosospendono l’esperienza amorosa apartire da un tratto di contingenza1. C’èun elemento nuovo di contingenza checaratterizza l’esperienza genitoriale nella nostra epoca, e c’è anche una dimensione di soggettività che prima mancava. Pietropolli Charmet, riflettendo sulmodo in cui le coppie si aggregano oggie riferendosi all’esperienza amorosapost adolescenziale, ma in una prospettiva che io ritengo allargabile, ha scrittoche non c’è più un aggregarsi, un trovarsi, un creare legame orientato verso unprogetto a sé, esterno all’uno e all’altra,quanto un utilizzo dell’altro in funzionedel proprio progetto personale2. Oggiosserviamo relazioni amorose fortemente condizionate dal venir meno diuna progettualità comune e maggiormente orientate verso una progettualitàpersonale, che definiscono anche unnuovo profilo di esperienza genitorialepiù soggettiva.C’è poi un secondo elemento che ha influito sulle trasformazioni della genitorialità: viviamo in un’epoca di globalizzazione del ruolo genitoriale e quindianche delle culture di filiazione e dellepratiche di cura e crescita dei bambini.Questa globalizzazione rende l’esperienza genitoriale se possibile ancora
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IER Le nuove famiglie
sono ricche di opportunità
Paolo Ragusa
counselor, formatore, responsabile attività formative CPP - [email protected]
393 C. Saraceno, Coppie e famiglie. Non è questione di natura, Feltrinelli, Milano 2016, p. 9.
più varia, mista, meticciata. Chiara Saraceno in Coppie e famiglie scrive:“L’esperienza della diversità nel fare,nell’essere famiglia, è ovviamente comunissima quando si forma una coppia,confrontando e mediando due tradizioni familiari, due modelli di famiglia condifferenze che possono apparire minime ma che diventano grandissime, persino irriconciliabili, in caso di conflitto”3.In fondo ogni coppia dà luogo a una famiglia mista, in cui si combinano, integrandosi con maggiore o minore successo, due diversi modi di concepire epraticare le relazioni e la vita familiare.Ma ai nostri giorni questa forma originaria diventa sistema, è globalizzata, costituisce la naturalità attuale della struttura familiare varia e policentrica.Queste diverse fenomenologie, questidiversi movimenti di aggregazione e disgregazione familiare, i diversi ingredienti che concorrono a costruire genitorialità e famiglia, sono oggi una grossa opportunità inclusiva: possono permettereanche a persone che vivono esperienzenon codificate, o non sempre codificabiliall’interno della “naturale socialità”,dell’etica o della legge, di vivere esperienze di genitorialità e vita familiare.
È una novità molto interessante, unagrossa opportunità sia per le singolepersone che per l’esperienza intersoggettiva. Penso ad esempio ai padri. Ainostri giorni il padre può essere una figura che fa la differenza nell’esperienzafamiliare e genitoriale, coniugando dauna parte il ruolo paterno nella sua funzione di separazione, dall’altro l’esperienza della cura. I padri possono permettersi oggi di amare i propri figli, cosache in passato era più complessa.Si insiste molto sulla fragilità dei genitoridi oggi ma, in fondo, i genitori del passato non erano meno fragili dal puntodi vista educativo, piuttosto la loro fragilità prendeva derive diverse: il rigore,l’eccesso di distanza, l’autoritarismo.L’opportunità che invece abbiamo adesso sta nel poter fare in modo che il nuovo che stiamo realizzando non diventisostitutivo di qualcosa che ci lasciamoalle spalle ma al contrario ne diventil’evoluzione. Invece di una genitorialitàgiocata nel risarcimento delle infanziepersonali, o il delle mancate esperienzepersonali, abbiamo la possibilità di progettare un nuovo ruolo di madri e padri,che posso esprimere consapevolmenteil loro amore attraverso la filiazione, la
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cura dei propri figli, il legame con loro el’organizzazione della loro crescita e autonomia nel mondo.
NUOVI INGREDIENTI PER UN NUOVO PROGETTOLa dimensione materna e paterna sipuò giocare oggi su una nuova libertà didosare e mescolare tra loro vecchi ingredienti, che poi confluiscono anchenell’esperienza familiare. Variamentedosati e organizzati producono profiligenitoriali e familiari diversi e su di essisi può giocare l’evoluzione della famigliae del ruolo genitoriale.Prima di tutto penso ai legami: l’esperienza del legame, del contare e qualcuno e poter contare su qualcuno, èsenz’altro uno degli ingredienti chefanno la differenza. La presenza significativa della madre e del padre permette a bambini e ragazzi di sperimentare l’indispensabilità dei legami. Nonintendo l’indispensabilità del propriopadre o della propria madre, ma delfatto che non possiamo stare al mondoda soli. La famiglia, comunque intesa,può trasformarsi in un’esperienza sociale evoluta se in essa si riconosconola criticità e la conflittualità, le si accetta e si impara gestirle. Un altro ingrediente è la progettualità:l’avere cioè una visione sul mondo eprovare a spendersi nell’esperienza genitoriale e familiare perché questa diventi un pezzo di quella visione delmondo. Il fatto che oggi non sia piùscontato, implica una presa in carico euna responsabilità nuova che rende igenitori più consapevoli e anche capacidi mettersi in gioco. A questo è legato iltema dell’impegno, della volontà dicontribuire al cambiamento nelle relazioni vicine e lontane, e anche il temadell’organizzazione, del saper cioè progettare in modo nuovo l’esperienza senza lasciarla in balia della casualità e dell’imprevedibilità.Un ruolo importante è giocato dall’autonomia, perché l’esperienza familiare può essere davvero un laboratorio di autonomia.Un altro ingrediente è la sacralità: nell’esperienza dell’essere genitori e famiglia c’è un aspetto sacrale, cioè di separazione dal mondo, che consente di
sperimentarsi nelle relazioni allargate eoccasionali e al tempo stesso vivereesclusività, intimità e appartenenza inun legame riparato e connotato.Credo che l’opportunità evolutiva delladimensione genitoriale e familiare sigiocherà tantissimo nel futuro nella ca-pacità di mantenere la tensione con-flittuale tra appartenenza e separazio-ne, di cui tutti quegli ingredienti possono essere espressione.La fragilità delle madri e dei padri si gioca oggi nell’eccesso di vicinanza e nell’abbandono dei riferimenti pedagogici,caratteristiche che possono essere lettecome espressione dell’azzeramentodella conflittualità tra appartenenza eseparazione. Il tentativo post Sessantotto, post educazione autoritaria, èstato quello di sviluppare una genitorialità orientata soprattutto all’appartenenza, con i suoi aspetti positivi di interesse e attenzione nei confronti deibambini, ma con il limite di cercare inqualche modo di evitare le componentidella separazione.L’esperienza familiare deve consentireai bambini e ai ragazzi, ma anche agliadulti che ne sono coinvolti, di vivereanche la dimensione della mancanza edella perdita. Per poter essere genitore occorre perdere qualcosa. Se ciascuno nella sua crescita personale,quella che Jung chiamerebbe individuazione, non perde qualcosa nonpuò diventare soggetto, e dunque nonpuò diventare genitore. Ogni genitoreè un soggetto mancante. Oggi il rischioche corrono padri e madri sta proprioin questo evitamento, nella fatica chesperimentano di fronte alla necessitàdi perdere la propria visione e la propria realizzazione. Penso a un giovanepadre, di circa quarant’anni che ho incontrato in consulenza che mi raccontava di aver scelto di smettere di lavorare per stare a casa ad occuparsi deifigli. Era una decisione assunta consapevolmente con la moglie ma dallaquale emergeva una forte pretesa dirisarcimento. Mi diceva: “In questomodo io posso sperimentare ciò chenon ho potuto sperimentare con miopadre”. In questa prospettiva però lascelta così innovativa e significativa diquell’uomo rischiava di trasformarsi in
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un’esperienza molto poco evolutiva,per lui e per i suoi figli.Curare bene l’appartenenza, fare unaesperienza di appartenenza genitorialee familiare, di legame, trasmettere lapossibilità di poter contare su qualcuno, la ricchezza del dare, condividere escambiare, ma al tempo stesso offrireun’esperienza di separazione, del poter cioè percepirsi separati, assumersile proprie responsabilità, del poterguardare a qualcosa che può essere ilnostro modo specifico di contribuire almondo, è la grande occasione che ab-biamo come genitori oggi.Credo che la tensione tra questi duetratti dell’esperienza genitoriale sia effettivamente il modo attraverso cui, in
questa nostra epoca, possiamo trasformare in opportunità tutti quegli ingredienti, e soprattutto per lavorareanche su quegli aspetti che oggi rischiano di essere un po’ eccentrici epoco efficaci.
L’esperienza del legame,del contare per qualcuno epoter contare su qualcuno,
è senz’altro uno degli ingredienti
che fanno la differenza
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Sara e Andrea arrivano in studio perchéhanno avuto modo di conoscere Daniele Novara e il lavoro del CPP duranteuna serata per genitori. Hanno lettoun’intervista a proposito del sostegno aifigli nell’esecuzione dei compiti scolastici, si sono ritrovati in uno sguardo all’essere mamma e papà pragmatico, operativo e assolutamente non colpevolizzante. Questo è quanto cercano quandosi siedono davanti a me. Non nascondono il loro conflitto di coppia, se ne stanno occupando, hanno iniziato un percorso con una psicologa inun consultorio, non sanno quale saràl’esito ma non mi chiedono questo, purconsapevoli della necessità di trovareun punto di accordo come genitori.Hanno molte domande sulle loro duebambine di 7 e 3 anni, figlie desideratee a cui si dedicano, ma che ultimamen-te mostrano delle fatiche. La maggiore, Lisa, sembra molto insicura, si ritira davanti a nuove richieste,si succhia spesso mani e capelli, ha unatosse che il pediatra ha definito “nervosa” da qualche mese. La più piccola,Sofia, fatica ad addormentarsi e soffredi encopresi. Esploriamo cosa hanno fatto davantia queste manifestazioni, com’è l’organizzazione della loro giornata, qualiroutine educative e quali regole scandiscono il tempo familiare. Riguardandole insieme, sembra che sianopoco improntate all’implementazione
delle autonomie delle figlie, tenutepiccole e in una dipendenza dai grandi che richiede un grosso sforzo organizzativo e un significativo dispendiodi energie da parte dei genitori. Riflettiamo sul senso di accompagnare Lisa e Sofia nella crescita, valorizzando quello che sanno e possono fare sia per consolidare le competenzeattuali e promuoverne l’acquisizionedi nuove, sia per restituire loro fiducia nelle proprie capacità. Integriamo queste considerazioni conalcune informazioni legate ad esempio all’utilizzo dei videoschermi in etàinfantile, al senso dei rituali, ecc.Prospettiamo quindi alcuni correttiviche Sara e Andrea si impegnano a sperimentare, ci rivedremo insieme dopoqualche settimana per riparlarne. Negli incontri successivi emergonochiaramente alcuni spunti. Stanno alle-nando il loro sguardo rispetto alla cre-scita delle bambine: cercano di promuovere passaggi di autonomia anchea prescindere dalle indicazioni ricevute,dismettono ad esempio l’utilizzo delpasseggino per la figlia più piccola chericonoscono come accessorio e sostituiscono con un monopattino. Le indicazioni concordate produconoun movimento in Lisa e Sofia che nel giro di un paio di mesi non manifestanopiù gli atteggiamenti che avevano preoccupato i genitori, mostrano anzi risorse e competenze.
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IER Un percorso a favore
dell’autonomia dei figliLa storia di due genitori che ce l’hanno fatta
Laura Beltramipedagogista, formatrice e [email protected]
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Lisa riprende sicurezza, si sperimentaanche dove non è certa di riuscire e partecipa a una recita in cui parla davanti auna platea di compagni e adulti. Sofia non ha più episodi di encopresi edorme da sola nel suo letto tutta la notte. A Sara e Andrea sembrano “più grandi”. Ci diciamo che forse sono state autorizzate a esserlo, e riconosciamo cheanche gli adulti sono cambiati, abdicando a un pezzo di cura che dava loro potere facendoli sentire indispensabili.Ripensiamo a questi cambiamenti anche rispetto al clima familiare: hannoavuto un effetto distensivo. L’atmosfe-ra è meno congestionata dalle incom-benze di accudimento e più focalizza-
ta sulle persone. Ciò rimette il focussul conflitto di coppia, ma con maggiore consapevolezza rispetto ai luoghi incui trattarlo, agli esiti sulla crescita delle figlie e alla certezza che il bene di Sofia e Lisa è l’interesse comune su cui èpossibile accordarsi.
Regole poco improntate all’implementazione
delle autonomie delle figlie, tenute piccole e in una dipendenza dai grandi
Nelle realtà sportive giovanili spesso igenitori vivono con una sana consapevolezza educativa l’esperienza sportiva dei propri figli. Tuttavia ne esisteuna minoranza, la più rumorosa, chesi fa notare, che nutre aspettative poco realistiche nei confronti dei propripargoli che già appaiono ai loro occhicome futuri campioni. I desideri dellefamiglie non sempre sono commisu-rate alle reali attitudini dei figli espesso sono compensative di un desiderio personale che è stato impossibile da realizzare.Questi genitori si recano al campo perassistere alle partite/gare come fossero ultras, considerano vere e proprieingiustizie il fischio dell’arbitro per unfallo (per loro inesistente), l’attesa delturno in panchina del loro figlio, la palla “rubata con abilità” da un avversario, l’insuccesso della prestazione, vivendo gli eventi come fossero sconfitte personali, dando dimostrazione discarso controllo emotivo, di invadenzae talvolta di inciviltà.Fanno parte della categoria ultras queigenitori invadenti che non riconosconola professionalità e competenza deglioperatori sportivi. La sfiducia che nederiva li porta a interferire nel loro lavoro: si sostituiscono all’allenatore siadalle tribune nel corso della partita/gara con suggerimenti e consigli per i propri figli atleti, sia nel dopo partita/garacon analisi, disamine e soprattutto critiche. Antepongono l’interesse del proprio figlio a quello della squadra, criticano l’operato dell’allenatore, nonché,le prestazioni dei compagni di squadradei propri figli, spesso aggrediscono
verbalmente gli avversari siano essiatleti, allenatori o genitori.
ALLENATORI E GENITORI: GIOIE E DOLORIGli eccessi a bordo campo evidenziano spesso un difficile rapporto fra famiglie e società sportive. A volte questo può dipendere sia dalla scarsa empatia dei dirigenti e degli allenatoriverso i genitori, sia dall’incompetenzadei tecnici a comunicare efficacemente, sia da un eccesso di aspettative edi invadenza genitoriale.Le esigenze e le aspettative dei genitori e degli allenatori sono diverse, come differenti sono le funzioni chesvolgono nei confronti dei ragazzi. Èlegittimo che un genitore voglia vedere il proprio figlio giocare divertendosi, come, a sua volta è comprensibile,che l’allenatore non possa sempremettere in campo tutti. Il conflitto èquindi fisiologicamente inevitabile.Semmai le società e le famiglie potrebbero impegnarsi a condividerecon chiarezza i reciproci ruoli e a lasciare che l’esperienza sportiva sia vissuta in autonomia dai figli.
ALCUNE PROPOSTE EDUCATIVEIl problema dei genitori ultras a bordo campo non si risolve facendo“pronto soccorso”, o con i d.a.spo.(divieto di accedere alle manifestazioni sportive), quando l’episodioscorretto è ormai avvenuto. Meglio investire sulla prevenzione,mettendo in campo interventi formativi rivolti sia ai genitori, sia agli allenatori, al fine di rendere i primi educatori44
I genitori nello sport dei figliServe formazione e comunicazione chiara
Lucia Castellipedagogista, Settore Giovanile Atalanta [email protected]
vigili ma non invadenti, appassionati manon incivili, sportivi ma non tifosi scatenati; e di migliorare nei tecnici le competenze pedagogiche e sociorelazionali.Reputo necessari e fondamentali unaserie di incontri fra famiglie e allenatori,usufruendo della consulenza di un educatore, allo scopo di condividere: il progetto sportivoeducativo contenente lelinee guida e le finalità della praticasportiva giovanile perseguite dal club, gliobiettivi sportivi e quelli educativi; i ruolie i compiti dei dirigenti, degli accompagnatori e degli allenatori e il conseguente codice etico e i ruoli dei genitori e ilcodice etico da rispettare.In queste sedi opportune si potrebbe
negoziare e dunque stipulare un con-tratto sportivo/educativo fra allenato-ri e genitori, chiarendo le richieste e leaspettative reciproche, come per esempio la definizione delle finalità sportivedella società (vincere il campionato ofar giocare tutti, coltivare i talenti o valorizzare i giovani indipendentementedalle abilità), e di quelle educative (il rispetto delle regole della convivenza civile e del gioco).I genitori potrebbero interrogarsi e riflettere, inoltre, sulle aspettative nutriteper il figlio atleta, sul ruolo ricopertonell’ambito dell’associazione, definendochiaramente sia i possibili contribuiti siai confini, oltre i quali è bene non andare.
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Investire sulla prevenzione, mettendo in campo interventiformativi rivolti sia ai genitori, sia agli allenatori
Gli insulti e le parolacce tra gli alunnipossono essere pronunciati con intenzioni e sfumature diverse. Alcune sonobonarie, altre invece volgari e offensive. Qualche volta si tratta di stereotipiripetuti meccanicamente, altre voltedi espressioni più o meno argute inventate sul momento. Per deciderecome intervenire è necessario valuta-re la relazione che esiste tra i ragazzie il contesto in cui quei termini vengono pronunciati. L’intervento del docente può essere fermo e deciso oppure blando e tollerante, in linea dimassima però è meglio non fare fintadi non aver sentito perché è quellaun’occasione per far notare ai ragazziche non stanno usando un linguaggioaccettabile e che ci sono altre espressioni, più evolute e meno rozze, permanifestare i propri stati d’animo. Insulti e parolacce possono essereraggruppati in quattro tipi fondamentali: sessisti, razzisti, blasfemi epersonalizzati. Nella prima categoria rientrano tuttequelle espressioni che riguardano lasessualità della persona presa di mirao riferimenti denigratori a parenti(madri, sorelle, ecc.). Sono più frequenti tra i maschi. Le ragazze possono esprimersi, in chiave sessista, sulledimensioni del cervello dei ragazzi, leloro limitate capacità intellettive, leprestazioni sessuali.Le espressioni razziste sono spesso interpretate in chiave umoristica da chi
le pronuncia o da chi le ascolta (manon da chi è preso di mira), in quantosi rifanno a barzellette e stereotipi collaudati su cui molti sono abituati a sorridere. Possono però avere effetti destabilizzanti nei malcapitati, specialmente se essi non possono reagire odifendersi. Le sfumature sono importanti. Nomignoli a sfondo razzista possono essere usati in tono bonario, come il soprannome “cinese” affibbiatoa un compagno di squadra, il qualenon solo non si offende ma lo accettacome un tratto della sua identità.Le bestemmie, molto diffuse in alcunicontesti tanto da diventare una sortadi intercalare, vanno scoraggiate,qualunque sia l’orientamento ideologico del docente. Ci sono, infine, le annotazioni denigratorie che riguardano caratteristichepersonali come il look, lo status socioeconomico, caratteristiche fisiche opsicologiche. Questo tipo di attacchi,che un adulto può sottovalutare, possono invece colpire l’autostima di unalunno già insicuro nei confronti dicompagni più sicuri di sé per provenienza sociale o spalleggiati da ungruppo di amici.Che fare? È bene non ignorare gli abusi ver-
bali. Prima di intervenire però bisogna capire in quale forma si verificano, quali effetti hanno sui ragazzi,che cosa significano per loro. Bisogna comprendere contesto e sfu46
Gestire insulti e parolacce in classe
Anna Oliverio Ferraris
psicologa, psicoterapeuta, docente all’Università di Roma - [email protected]
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mature. Ad esempio, in certe situazioni gli abusi verbali a catena (bottaerisposta) ostacolano lo svolgimento del lavoro scolastico. In altrecircostanze invece le annotazioni sono lievi e per contrastarle basta unminimo intervento, qualche voltauna battuta di spirito.
Intervenire con delle sanzioni serve,qualche volta, lì per lì; altre volte puòavere invece effetti controproducentisoprattutto se i ragazzi sono abituatia quel tipo di interazione. Può iniziareun gioco senza fine che porta a un deterioramento dei rapporti. Bisognaallora parlarne in gruppo, facendovalutare ai ragazzi stessi i loro com-portamenti e le conseguenze che nederivano per il buon funzionamentodella classe. Lo psicologo ThomasGordon propone un modello chiamato “finestra” da realizzare in classedove le espressioni accettabili sonoposte in alto e quelle inaccettabili inbasso: la linea di demarcazione tra idue tipi di espressioni costituisce lasoglia di accettazione.
Non bisogna dimenticare che, quando si scambiano battute, i ragazziesperimentano talune espressioni lin
guistiche che fanno parte dell’immaginario degli adulti: non intendonosoltanto insultare o provocare, vo-gliono anche vedere l’effetto cheprovocano e l’attenzione che riesco-no a suscitare nei compagni. Bisognadistinguere una canzonatura per farsinotare, da un abuso aggressivo; maanche spiegare la differenza di condizione psicologica tra colui che invia ilmessaggio e colui che lo riceve.
Poiché, come è noto, l’uso delle parolacce come intercalare può essereil frutto di un vocabolario limitato edi una scarsa capacità espressiva, unesercizio che si può fare in classeconsiste nel riformulare determina-te frasi utilizzando termini accetta-bili e maggiormente diversificati.Termini che si possono trovare nelvocabolario.
Ci sono quattro tipi fondamentali di insulti:
sessisti, razzisti, blasfemi e personalizzati
L’importante non è fare pace
La sequenza qui illustrata accade nellasezione Grandi del nido d’infanzia. Daormai molti anni educatrici e insegnantipromuovono il metodo Litigare Benecome azione educativa nel sostenerel’evoluzione delle competenze dei bambini attraverso le situazioni conflittuali.La prima esperienza formativa è avvenuta direttamente con Daniele Novara e Marta Versiglia, in seguito allapartecipazione al Convegno dedicato,ed è stata seguita da una manutenzione della metodologia con un formatore del CPP.L’approccio infatti è talmente lontanodai modelli interventisti radicati nellastoria educativa di ognuno e nei genitori di oggi, che riteniamo necessarioprogrammare momenti di confrontoche ci fortifichino sulla nostra scelta. Inogni sezione del nido e della scuola, apartire dai 2 anni circa dei bambini viene anche allestito un Conflict Corner, ilcui senso è condiviso con i bambini econ i genitori tutti, destinatari anche diappuntamenti specifici sul tema dell’aggressività infantile e delle scelte delservizio sull’adozione del metodo Litigare Bene.
“ME LO DAI?” “NO!”Valerio e Carlo entrambi di 34 mesi,compagni di sezione e parecchio amici,ingaggiano una contesa per alcuni elementi di costruzione. I due bambiniper molti minuti seguitano a cercare diportare via il gioco l’uno dalle mani del
l’altro ma hanno pari forze e medesimadeterminazione, nessuno dei due molla. La frustrazione è altissima per entrambi e scoppiano in grida disperate.L’educatrice propone loro di sedersi alConflict Corner e provare a trovare unaccordo.I due accettano ma continuano il litigionon riuscendo a separarsi dagli oggettidel contendere. Altri bambini si avvicinano e assistono.L’educatrice propone allora di lasciare igiochi a terra così essere liberi di trovare degli accordi. I due bambini protestano ma subito dopo iniziano a farsidomande reciproche: “Me lo dai?”“No” e verso l’educatrice “Ha detto no…” Vanno avanti così per parecchi minuti,uno dei due sembra più conciliante mala risposta dell’altro è sempre “No”.Piano piano la tensione si allenta e sicapisce che questo “no” è ormai un divertimento. All’improvviso i due bambini riprendono i giochi e anche la contesa, uno dei due scappa via e l’altrolo insegue nella sezione, c’è di nuovoun breve litigio e poi come per magiali si vede giocare vicini ognuno con unsuo pezzo in mano. C’e chi invece preferisce giocare nellacapanna. Tra Fiamma e Andrea nasceuna contesa per alcuni materiali eper aggiudicarsi un posto all’internodella capanna. Andiamo a trovare una soluzione nelConflict Corner. Una volta seduti sullesedie inizia la discussione: Fiamma:
di Cinzia D’Alessandro
pedagogista, coordinatore pedagogico di Nido e scuola d'infanzia La Locomotiva di [email protected]
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“No! No! No!”, Andrea: “Si!Si!Si”, Fiamma: “No!No!”, Andrea prendendo ilpiede di Fiamma: “Questo e il tuo piede?”, Fiamma: “Sì, il mio piede e il miovestito”. Andrea prendendole la gamba: “Ti do un bacino sul piede”. Fiamma sorride ricevendo il bacino e ricambia prendendo il volto di Andrea avvicinandolo al suo per dargli a sua voltaun bacino sul naso.
SENZA PREVARICAREQuesti due litigi ci sembrano esemplaridi uno dei punti essenziali del metodo:la proposta non ha la finalità di invitarei bambini a fare pace ma a trovare unamodalità per stare nei conflitti senzaprevaricare, abbandonando l’istinto disopraffazione e l’utilizzo della forza fisica a favore dell’utilizzo dello scambiodialettico.L’adulto non lascia i bambini, ancora piccoli, da soli nel Conflict Corner ma la suapresenza è d’interesse e di invito a risolvere tra di loro la querelle. Inoltre l’adulto non pretende che i bambini risolvanoin quel contesto il litigio ma sa che, offrendo loro uno spazio e un tempo perfermarsi, in qualche modo permette alconflitto di stemperarsi. 49
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Ci mancava, nel desolante e desolatopanorama delle politiche ministerialiper la scuola, questa novità delle trebuste chiuse per l’ouverture dell’esame di maturità. All’orale i ragazzi dovranno scegliere a caso uno tra tre plichi, e il loro esame partirà dalle domande o suggestioni (un testo, un’immagine, ecc.) che vi troverà inseriti. Iltutto avrebbe l’obiettivo di garantire latrasparenza delle procedure e il fattoche i ragazzi siano trattati tutti allostesso modo. Tutto anonimo e impersonale, come nelle gare d’appalto. Forse il Ministro non si è reso contoche questa scelta offende implicitamente migliaia di commissari d’esame, come se l’esame di maturità finoallo scorso anno fosse poco trasparente e le domande dei commissari venissero poste in modo arbitrario e senzariferimenti all’esperienza di studio deiragazzi. Ed è peraltro indecente cheun Paese civile modifichi l’esame dimaturità per sei volte in quindici an-ni e non riesca a creare una commissione bi o tripartisan che vari un modello di esame che almeno per diecianni non venga più toccato.Certo, per arrivare a questo risultatooccorrerebbe ascoltare la voce degliinsegnanti e dei ragazzi, prendersi unanno per una vera ricerca qualitativasul vissuto della maturità, sulle strategie di verifica e di valutazione più efficaci e più amate dagli studenti, sulsenso di questo appuntamento nella
vita dei ragazzi e dei professori. Si tratterebbe insomma di ascoltare la vocedella scuola, una volta nella vita diquesto Paese. Ma questo non è pensabile: gli ordini vengono dall’alto, chicomanda decide, la scuola viene gestita da chi non la conosce, altro chedemocrazia diretta. Parafrasando Orwell: “Uno vale uno ma ci sono ‘uni’che valgono più degli altri”.Il tema delle verifiche e delle valutazioni nella scuola è in pieno delirio,anche perché ormai oggi si valutatutto e il contrario di tutto. Basta accendere un apparecchio televisivo.Dal decerebrato che per valutare ipiatti cucinati dagli allievi li lancia perterra, a Donatella Rettore che assegnaun voto basso a una allieva cantanteperché la canzone di Orietta Berti nonle piace (che sarebbe come dire: “Haistudiato bene ma siccome a me D’Annunzio fa schifo, ti do 4”). Modelli,questi, che i ragazzi si portano a scuola, trovando a volte le stesse follìe negli insegnanti: da chi valuta la versionecon “2 meno 2” a chi abbassa il votodi un punto perché il ragazzo si è comportato male.Investire sulla formazione degli insegnanti sarebbe la strada migliore, matre buste costano cinquanta centesimidal cartolaio, vogliamo mettere il risparmio?!Questo delirio valutativo, sul quale hadetto parole importanti Angelique DelRey1, fa sì che anche a scuola spesso
E andiamo con le buste
Raffele Mantegazza
pedagogista, dipartimento di Scienze della Salute, Università degli Studi di [email protected]
1 A. Del Rey, La tirannia della valutazione, Elèuthera Milano 2018.
la valutazione non sia lo strumento mail fine della relazione educativa. Ma laquestione delle buste, che ricorda troppo da vicino il gioco dei pacchi che impazza sulla Rai, spalanca un interessantepunto di vista sull’idea di scuola del Ministero. Si è detto per anni ai ragazzi chel’orale di maturità doveva partire dai loro interessi, che dovevano essere interrogati a partire da quello che sapevanoe non da quello che ignoravano, che ilcolloquio doveva essere cogestito dalcommissario e dal ragazzo, che anziquest’ultimo doveva esserne protagonista: ora siamo al “Rischiatutto” (“Scegliala busta 1, la 2 o la 3?”), in un esame nel
quale l’ultima cosa che conta è la personalità del ragazzo e i suoi gusti, i suoipiaceri, le sue scelte. L’esame di maturità voluto dal “governodel cambiamento” è all’insegna dellasorte, dell’anonimato, della totale mancanza di rispetto per le persone e per leloro storie, siano esse commissari e studenti. Un esame che scavalca le perso-ne per imporre modelli asettici e im-personali di relazioni e di apprendi-mento. Ma se lo si inquadra nell’ambitopiù ampio delle politiche nazionali, occorre riconoscere che quello che nonmanca a questo governo, da questopunto di vista, è l’assoluta coerenza.
A scuola spesso la valutazione non è lo strumentoma il fine della relazione educativa
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UNA QUESTIONE CONTROVERSAIn Danimarca si raccolgono firme pervietare la circoncisione, dopo la leggeche vieta il burqa entrata in vigore loscorso anno. I capi religiosi non hannocommentato: le motivazioni sembrano rientrare in una logica anti migranti, di profilo razzista e xenofobo1. Anche l’Associazione dei medici danesi siè espressa a favore di una legge chiedendo che la pratica sia ritenuta illegale sotto i 18 anni.Anche in Islanda si vuole bandire la circoncisione. È stato depositato un disegno di legge, voluto a maggioranza,che prevede una pena detentiva di seianni per chiunque sia riconosciuto colpevole di “rimozione di organi sessualiin toto o in parte”. Si descrive la circoncisione come una “violazione” dei diritti2. In questo caso però l’opposizionedelle autorità religiose è stata netta eper il momento la proposta è rimastanel cassetto3.La Svezia già nel 2012 ha chiesto chevenisse fermata la circoncisione sostenendo che l’operazione “è dolorosa eirreversibile e può avere effetti indesiderati" e attivandosi per "prendere
tutte le misure efficaci appropriate perabolire le pratiche tradizionali che possono pregiudicare la salute dei bambini"4. Ad oggi però nulla è stato fatto.In Germania il tribunale di Colonia nel2012 ha stabilito che la circoncisionedei bambini per qualsiasi motivo chenon sia strettamente medico è "una ferita inferta volontariamente", ossia èuna pratica violenta e deve essere considerata illegale. Una sentenza storicaper il diritto tedesco5. L’Ordine dei medici aveva dunque vietato tale praticama dopo le proteste di musulmani edebrei la circoncisione dei bambini è stata nuovamente consentita ma solo sepraticata da un medico che ha l’obbligodi mettere a conoscenza dei genitori leconseguenze che potrebbe comportare. Angela Merkel si è espressa control’ordine dei medici sostenendo l’importanza di garantire a ebrei e musulmanila loro pratica religiosa6.La questione è molto controversa:da un lato la necessità di preservarel’integrità fisica dei bambini e di impedire azioni irreversibili a un’età incui non è possibile per loro decidere,dall’altra la questione religiosa, fon
La circoncisione infantileÈ necessario aprire un dibattito
formatrice, consulente educativa [email protected]
Paola Cosolo Marangon
1 A. Tarquini, Cresce in Danimarca il sentimento anti migranti, dopo il burqua si vuole proibire anche lacirconcisione, «la Repubblica», 11 giugno 2018, www.repubblica.it/esteri/2018/06/11/news/dani-marca_anti_migranti_dopo_il_burqa_ora_si_vuole_proibire_anche_la_circoncisione-198713748/
2 Aa. Vv., L’isola infelice. L’Islanda ha eliminato i down, ma ora vuole proibire la circoncisione, «Il Foglio»,3 febbraio 2018, www.ilfoglio.it/bioetica-e-diritti/2018/02/03/news/l-isola-infelice-176706/
3 I. Myr, A Riga i rabbini europei discutono delle leggi contro la circoncisione e le norme alimentari, «BetMagazine Mosaico», 1 maggio 2018, www.mosaico-cem.it/attualita-e-news/mondo/leggi-europa-cir-concisione
4 Adnkronos, Salute: circoncisione, in Svezia chiesto il divieto, 1 ottobre 2013, www1.adnkronos.com/Ar-chivio/AdnSalute/2013/10/01/Sanita/Salute-circoncisione-in-Svezia-chiesto-il-divieto_110100.php
5 Aa. Vv., In Germania la circoncisione religiosa è ora illegale, «Globalist Syndication», 28 giugno 2012,www.globalist.it/news/2016/05/08/in-germania-la-circoncisione-religiosa-e-ora-illegale-26817.html
6 P. Lepri, Merkel in prima linea sulla circoncisione: “Ingiusto vietarla”, «Corriere della Sera» 14 luglio2012, www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=2&sez=120&id=45255
dante per molte comunità.Già la Legge 101 del 1989, che ha approvato l'intesa tra l'Italia e le comunitàebraiche italiane, ha riconosciuto laconformità della pratica circoncisoriaebraica ai principi del nostro ordinamento giuridico. Un'apertura che il Comitato nazionale di bioetica ritiene debba essere estesa, per analogia, anche alle altre confessioni religiose. Dal puntodi vista giuridico la circoncisione ritualemaschile in Italia è ammessa, mentrequella femminile è vietata da una leggespecifica, la 7/2006, che ne punisce i responsabili con la reclusione da quattroa dodici anni. Il legislatore ha tirato unalinea tra due atti concettualmente affini,ma di diversa gravità. La mutilazionefemminile viene definita grave mentrequella maschile lieve. Si tratta di pratiche religiose che sono irrinunciabili, adetta dei fedeli. Parliamo del mondoebraico ed islamico in particolare.Alcune regioni, come la Toscana, il Lazio,il Piemonte e il FriuliVenezia Giulia hanno previsto la possibilità di eseguire l’intervento tramite il Servizio Sanitario Nazionale con un ticket abbastanza sostenibile. Nel 2016 è partita una convenzione con alcuni medici, con una spesa chesi attesta attorno ai quattrocento euro inregime di attività libero professionalecome prestazione extra Lea (Livelli essenziali assistenziali) grazie a un progetto “clinico culturale” che vede tra i sotto
scrittori il Policlinico Umberto I di Roma,l'Associazione internazionale Karol Wojtyla, la Comunità ebraica di Roma e ilCentro islamico culturale d'Italia. Il progetto ha coinvolto nel primo anno i residenti nel Lazio, dove vivono tra gli ottantamila e i centoventimila musulmani enascono ogni anno tra i seicento e gli ottocento bambini, e poi potrà essereesteso alle altre regioni7.
DA DOVE NASCE QUESTA PRATICA?La prima rappresentazione figurata della pratica della circoncisione risale al2300 a.C. e si trova sulla parete di unatomba a Saqqara, nel Basso Egitto.Mentre la più antica citazione scritta risale a qualche centinaio di anni dopo,quando un anonimo autore si vanta diaver sopportato il dolore durante unacirconcisione di massa. Nel Libro deiMorti, il passaggio relativo al dio sole Rache si taglia pare si riferisca a una circoncisione. Le fonti non spiegano peròla ragione di questa pratica, che forse riguardava solo i sacerdoti. La circoncisione fa il suo debutto culturale nel librodella Genesi, in cui Abramo è circoncisoper volere del Signore per ingravidare lamoglie Sara, ma il suo scopo nella religione giudaica è rituale e non medico.L’atto instaura un potente legame tra gliebrei e il loro Dio. La circoncisione ebraica è interpretatacome segno del patto tra Dio e il popolo
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7 F. Micardi, Circoncisione negli ospedali pubblici per 400 euro, «Il Sole 24 ore», 23 novembre 2016, www.il-so le24ore .com/art/notiz ie/2016-11-23/c i rconc i s ione-ospeda l i -pubb l i c i -400-euro- -214958.shtml?uuid=AD6tZm0B&refresh_ce=1
ebraico tanto da essere considerata daalcuni rabbini come il principale comandamento dato da Dio agli ebrei. Non èpertanto un rito di iniziazione paragonabile al battesimo cristiano, in quanto l’essere ebreo non dipende dalla circoncisione, ma dall’essere nato da madre ebrea.Individuare le origini di tali rituali appare impresa ardua, considerando che esistono documenti storici che ne fanno
immaginare la pratica già dal 50006000a.C. In Egitto la circoncisione sia maschile che femminile è documentabile findal III millennio a.C. ed il fatto che la Bibbia ricordi che originariamente venissepraticata con coltelli rituali di selce rende probabile l’ipotesi che risalga finoall’età della pietra10.Sebbene uno dei quattro vangeli riferisca che anche Gesù era circonciso, le pri
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La circoncisionenell’IslamRispetto all’ebraismo nell'Islam mancail concetto di “patto” o “alleanza”. Prevale, dunque, ma non è esclusivo, ilsenso più antico della circoncisione.Questa oscillazione dottrinale si riflette sull’età in cui fissare il rito, che variaa seconda delle fonti. Abramo circoncise Isacco a sette giorni e Ismaele atredici anni. Muhammad circoncise idue nipoti, Hasan e Husayn, all'età disette anni. Ma ci sono anche dottrinein base alle quali la circoncisione puòessere effettuata dopo quaranta giornidalla nascita o all'età di dieci anni. Il neonato musulmano maschio, nato
vivo e vitale, deve essere circonciso. Lapratica della circoncisione (khitan),sembra apparentemente confliggerecon un altro principio islamico, quellodella sacralità del corpo umano. Infatti, qualsiasi danno fisico è sanzionatodalla legge penale. Solo i necessari interventi medici sul corpo umano sonoconsiderati leciti. Tuttavia, la circoncisione non viene considerata una menomazione fisica, ed è pertanto lecita. L'obbligatorietà della circoncisionenon ha base coranica, ma è giustificatadalla sunna profetica. Il dovere di circoncidere i maschi viene meno quando un bambino nasce già circonciso,oppure è troppo debole, o ancoraquando un uomo anziano si converteall'islam e lo impedisca la sua cagionevole salute9.
8 www.comunitaebraicabologna.it/it/cultura/ciclo-della-vita/835-la-circoncisione-brit-milah9 A, Cilardo, Il minore nel diritto islamico. Il nuovo istituto della “kafala”, in La tutela dei minori di cultura
islamica nell'area mediterranea. Aspetti sociali, giuridici e medici, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli2011, pp. 226-231.
10 Aa. Vv., Le mutilazioni genitali rituali: dimensioni etiche e medico legali di un fenomeno sociale, «DifesaSociale», vol. LXXXV, n. 3-4, 2006, pp. 39-52.
La circoncisioneebraicaLa nascita di un figlio maschio è seguita dal rito di Brit Milah (circoncisione)che risale ai tempi di Abramo, al quale,come segno della sua alleanza con Dio,fu ordinato di circoncidere se stesso ei suoi figli Ismaele e Isacco. Dato cheIsacco aveva otto giorni di vita, oggi ilBrit Milah viene praticato ai bambiniche hanno raggiunto l’ottavo giorno dietà, ma la cerimonia può essere rimandata per ragioni di salute.Anche se, in teoria, l’obbligo di circoncidere il figlio cade sul padre, inpratica, la circoncisione è eseguita da
un esperto chiamato Mohel. Un onore speciale circonda il Sandek, cioècolui che tiene il bambino tra le braccia durante il rito. Questo onore è solitamente attribuito ai nonni, agliospiti illustri o al rabbino. Il rito siconclude con questa benedizione:“Come questo bambino è ora entratoa fare parte del Brit Milah, possa meritare di accedere allo studio della Torah, di entrare nel baldacchino nuziale e di compiere opere buone!” La circoncisione è di fatto l’unico comandamento della Bibbia che viene definito Brit cioè “alleanza”. Nella storiaebraica è diventato uno dei simbolidistintivi del rapporto tra il popoloebraico e l’unico Dio8.
me comunità cristiane decisero di ammettere anche i non circoncisi, mentrel’Impero romano abolì la pratica. Il rifiuto della Chiesa cattolica di ammettere il“rito” della circoncisione fece sì che divenisse una prerogativa delle cultureebrea e musulmana. Questo fino allametà del Settecento, quando la masturbazione maschile cominciò a essere considerata un problema medico, causa scatenante di squilibrio e di malattie, oltreche peccato. Nel 1891 il presidente delRoyal College of Surgeons of Great Britain pubblicò un trattato intitolato La circoncisione come misura preventiva contro la masturbazione, e ancora nel 1930,negli Stati Uniti la circoncisione era considerata la “cura” per la masturbazione.Solo dopo la Seconda guerra mondiale,il sistema sanitario nazionale britannicosmise di sovvenzionare l’operazione perché i benefici per la salute non erano dimostrati. Nel 2012 l’associazione di categoria, la American Academy of Pediatrics, per la prima volta nella storia approva pubblicamente la circoncisione alludendo ai suoi benefici pratici e snocciola le linee guida e i consigli per provvedere alla pratica dei piccoli. A suggellare la decisione dei medici, arriva anchel’appoggio dell'associazione dei ginecologi e ostetrici statunitensi, la secondacategoria coinvolta, da anni, nella discussione sui pro e contro dell’operazione in giovane età11. Tuttavia nello stesso
anno un tribunale tedesco aveva stabilito che la circoncisione di giovani maschicausa gravi lesioni personali.Il Consiglio di Europa ha chiaramenteespresso attenzione per l’integrità fisicadei bambini e degli adolescenti, annoverando la circoncisione tra le praticheche intervengono su questa integrità.Non attiva però un divieto ma solo unagenerica indicazione agli stati membri disalvaguardia dei più piccoli12.
LE PROBLEMATICHE La questione è senza dubbio spinosa esorge un dubbio: questo tipo di prati-che può considerarsi traumatico? Laquestione dell’integrità è importante eparlando di diritti dei minori è quantomai saliente. Cosa succede a un individuo che ha subito una pratica violentasu di sé? Che tipo di ripercussione puòavere? C’è una correlazione tra violenzasubita e violenza agita?La nota psicologa Alice Miller riporta nelsuo L’infanzia rimossa un brano di Desmond Morris in cui viene sottolineata lacrudeltà delle mutilazioni genitali: “Nellamaggior parte dei casi la violenza è prodotta mediante la mutilazione sia del maschio che della femmina. Queste sorprendenti forme di mutilazione sono piùantiche della stessa civiltà. È verosimileche esistessero già nell'età della pietra.Benché nel caso della circoncisione ci sitrovi con tutta evidenza dinanzi a lesioni
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11 B. Goodman, New Policy Supports Choice for Male Circumcision, 27 agosto 2012, www.webmd.com/pa-renting/baby/news/20120827/new-policy-supports-choice-male-circumcision#1
12 T. Onida, Diritto dei bambini a una piena integrità fisica, Centro Nazionale di documentazione e analisiper l’infanzia e l’adolescenza, 21 marzo 2014, www.minori.gov.it/it/minori/diritto-dei-bambini-a-una-pie-na-integrita-fisica
intenzionali che gli adulti infliggono aibambini, si è sempre preteso di farlo animati dalle migliori intenzioni. [...] Unadelle più antiche motivazioni della circoncisione maschile, l'eliminazione del prepuzio, era che garantiva l'immortalità sotto forma di sopravvivenza dopo la morte.Questa curiosa convinzione si basava sulla osservazione che il serpente si liberadella pelle e riappare poi come 'rinato'nelle sue nuove, smaglianti scaglie”13. Ancora Alice Miller, ne La persecuzione delbambino14 cerca di mettere in guardia glieducatori dagli effetti della pedagogianera della religione. La circoncisione, adetta sua è una pratica di pedagogia nerae non potrà che avere ripercussioni sullavita futura dell’individuo.Alcuni studi fatti in ambito anglosassonehanno rilevato che la pratica della circoncisione causa un vero e proprio trauma. Viene riportato che è spesso eseguita su neonati senza anestetico o conanestetico locale inefficace a ridurre sostanzialmente il dolore15. È importanteconsiderare anche gli effetti del dolorepostoperatorio nei neonati circoncisi(indipendentemente dal fatto che vengautilizzata l'anestesia), descritto come"grave" e "persistente"16. Inoltre nel 2012 molti psicologi, medici e diverse organizzazioni mediche edi categoria si sono dichiarate profondamente preoccupate dalle linee guida sulla questione emesse dal Congresso americano, basate su studi ritenuti metodologicamente errati, e fortemente criticati dall'American Academy of Pediatrics17. Sebbene alcuni credano che i bambini
"non ricorderanno" il dolore, ora sappiamo che il corpo "ricorda", come dimostrato da studi che ci dicono che ibambini circoncisi sono più sensibili aldolore più tardi nella vita18. Le ricerchecondotte hanno individuato distinti modelli comportamentali caratterizzati daaumento dell'ansia, alterazione dellasensibilità al dolore, iperattività e problemi di attenzione19.La circoncisione nell'infanzia e nell'adolescenza sembra avere conseguenzepsicologiche negative significative. A seguito di un evento traumatico, moltibambini sperimentano ansia, depressione e rabbia, e molti altri cercano di evitare e reprimere questi sentimenti dolorosi20. Inoltre, i bambini spesso sperimentano una debilitante perdita di controllo che influisce negativamente sullaloro capacità di regolare le emozioni edi dare un senso all'esperienza traumatica21. In uno studio sugli adulti circoncisi durante l'infanzia, Hammond22 hascoperto che molti uomini concettualizzavano la loro esperienza di circoncisione come un atto di violenza, mutilazione o violenza sessuale.
DOMANDE APERTELa faccenda è complicata per la fortecommistione con l’elemento religioso.La religione impone talvolta dei rituali,e questo ne è un eclatante esempio,che non tengono conto dell’integritàdei bambini. La domanda principale èallora proprio questa: come conciliareil diritto dell’individuo, sancito dallacarta dei diritti dell’uomo ad avere uncorpo integro e a non subire violazioni,
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13 A. Miller, L’infanzia rimossa. Dal bambino maltrattato all’adulto distruttivo, Garzanti, Milano 1986, pp.218-220.
14 A. Miller, La persecuzione del bambino. Le radici della violenza, Bollati Boringhieri, Torino 1989.15 J. Lander et altri, Comparison of Ring Block, Dorsal Penile Nerve Block, and Topical Anesthesia for Neonatal
Circumcision: A Randomized Controlled Trial, «JAMA», 278 (24), 199, pp. 2157-2162, doi:10.1001/ja-ma.1997.03550240047032
16 C.R. Howard, F.M. Howard M.L. Weitzman, Analgesia acetaminofene nella circoncisione neonatale: l'effet-to sul dolore, «Pediatria», 93, 1994, pp. 641-646.
17 Si veda Aa. Vv., Pregiudizio culturale nella relazione tecnica del 2012 dell'AAP e dichiarazione sulla politicasulla circoncisione maschile, «Pediatria» 131, 2013, pp.796-800, http://it.psy.co/il-danno-psicologico-del-la-circoncisione.html
18 A. Taddio, J. Katz, A.L. Ilersich, G. Koren, Effetto della circoncisione neonatale sulla risposta al dolore du-rante la successiva vaccinazione di routine, «Lancet» 349, 1997, pp. 599-603.
19 K.J. Anand, F.M. Scalzo, Le esperienze neonatali avverse possono alterare lo sviluppo del cervello e il suc-cessivo comportamento?, «Biol Neonate», 77, 2000, pp. 69-82.
20 E. Gill, Helping Abused and Traumatized Children: Integrating Directive and Nondirective Approaches,Guilford Press, New York 2006.
21 B.A. Van der Kolk, Disordine traumatico dello sviluppo: verso una diagnosi razionale per bambini con storietraumatiche complesse, «Annali psichiatrici» 35, 2005, pp. 401-408.
22 T. Hammond, Un sondaggio preliminare di uomini circoncisi nell'infanzia, «BJU International», 83, 1999,pp.85-92.
e rispettare anche il diritto derivantedalla pratica religiosa?Il conflitto è aperto ed è importante.Quanto un bambino e una bambinahanno diritto a non essere sottoposti aqueste pratiche? Molti studi, come dimostrato, sottolineano che la praticaviolenta della circoncisione causa trauma nei bambini: è più importante laquestione legata al culto del benesserepsicofisico?E poi, cosa accade veramente a livellodi riproposizione della violenza subita?Gli studi sulla vita prenatale e neonataleci dicono chiaramente che un agito violento subito nelle primissime fasi dellanostra vita ha ripercussioni certe sul no
stro futuro. Ogni violenza subita vienenella maggior parte dei casi restituita,vediamo quello che accade con la pedofilia o con le punizioni corporali.Può la circoncisione creare una condizione tale per cui perpetrare violenzadiventa più facile? “Qualsiasi pratica sanitaria attuata sul bambino, in modoparticolare se invasiva, può avere delleconseguenze traumatizzanti sul suo sviluppo esistenziale”25.Come si sviluppa questo trauma? Puòdiventare logica violenta?Credo che la strada sia tutta in salita, undibattito che sarebbe utile accendere eattivare, per poter stare dalla parte deibambini, sempre.
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Il trauma in età evolutivadi Pierangelo Pedani
Pierre Janet sostenne che un traumapsichico è “un insieme di emozioniveementi che superano la capacità digestirle nella coscienza. L'effetto di ciòè una disorganizzazione e una frammentazione psichica”23.Secondo la definizione dell'APA (American Psichiatric Association) un trauma, a livello psicologico, è “un’esperienza personale di un evento che puòcomportare morte o lesioni gravi o altre minacce all'integrità fisica”.Quindi perché si possa parlare di unvero trauma dal punto di vista psichicobisogna che ci sia, nell'immediatezzadi certe situazioni e/o eventi pericolosi, un reale rischio di morte o comunque che il soggetto, date certe circostanze, lo pensi tale. Un'altra definizione che ha fatto da riferimento nella definizione del concetto di trauma è quella di Seligman. Perquesto autore “l'esperienza soggettivatraumatica consiste nella impossibilitàdi fronteggiare un pericolo o una minaccia attraverso una azione sul mondo esterno”24. Quest’ultima notazionesposta un po’ l'asse del discorso sulle
risorse del soggetto più che sulla entitàdel rischio, e il trauma allora si verificaperché appunto non è possibile o nonsembra possibile sottrarsi all'evento. Ma durante l’infanzia, nell'età dello sviluppo, il concetto di trauma necessitadi ulteriori specificazioni e definizioni.Per il bambino piccolo un trauma hasempre a che vedere con le figure diattaccamento primario. Alcuni frangenti o eventi possono definirsi traumatici se il bambino è solo, lontano damamma e papà, o se questi stessi si sono allontanati o si sono separati. Per ilbambino piccolo sono sempre in giocole sue relazioni e i suoi legami fondamentali: un atto è traumatico se mettea repentaglio questi legami. Il trauma più grave e che lascia traccepiù profonde è l'abuso ripetuto che siasessuale, fisico o psicologico, ed è ancora più disgregante e invalidante se acommetterlo sono i caregiver, gli stessiche dovrebbero proteggere il bambino.In queste situazioni si sviluppano reazioni mentali molto complesse perchémentre la coscienza sembra “ritirarsi”,sopraffatta dall'evento, parte della nostra mente inconscia registra l'eventoche, a distanza di mesi o anni, risulta“rappresentato” da frammenti psicofisici tipo un odore, un sapore, un’immagine. Frammenti di un disastro che puòsegnare l'intera vita di un bimbo.
23 P. Janet, Trauma, coscienza, personalità. Scritti scelti, Raffaello Cortina Editore, Milano 2016.24 C. Peterson, S.F. Maier, M.E.P. Seligman, Learned Helplessness: A Theory for the Age of Personal Control,
OUP, Colorado 1975.25 G. Soldera, Mamme e papà, Città Nuova, Roma 2014, p. 188.
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Coltivare l’autenticitàe saperci fare
Paolo Ragusa
counselor, formatore, responsabile attività formative CPP - [email protected]
“Saperci fare” potrebbe suonareun’espressione ruffiana e seduttivaverso chi legge. Invece mi piacerebbefosse colta come un condensato di “vita piena”1, l’abilità di chi sa la vita econtinua a utilizzarla per apprendereda ogni persona, in ogni circostanza. Ladestrezza, come ci ricorda Ivano Fossati, di chi sa dove mettere le mani.Non è sempre stato così. C’è un tempodell’esistenza in cui il condizionamentoe l’inesperienza prevalgono a tal puntoda far essere davvero ingenui, persinoinnocenti. L’ingenuità è goffaggine amuoversi in una vita che sia propria,difficoltà a sottrarsi all’influenza deglialtri, mancanza di accortezza nel distinguere i propri desideri da quelli altrui. Potremmo dire che l’ingenuità,intesa come sguardo disinteressatosulle cose, non esiste perché siamo“segnati” dalla presenza degli altri findal primo vagito. L’ingenuità non è naturalezza o innocenza ma un atteggiamento, un comportamento culturaleperché connotato dalle parole, dalledomande degli altri: dall’educazione.Nel tempo può diventare un tratto checontraddistingue, identitario, come seil non sapere cosa fare o dire rendesseinerti e questa inerzia diventasse lamaschera per stare al mondo. L’ingenuità allora si trasforma nel comportamento più vantaggioso ed “economico”, una sorta di giustificazione alla
mancanza di esperienza e di destrezza.L’ingenuità non è evolutiva, al con-trario cristallizza un compromessotra le parti, tra il copione educativocon quello relazionale. È possibile, assumendo la fatica e il dolore della separazione, lasciare alle spalle l’ingenuità e cercare l’autenticità, la corrispondenza con noi stessi. Un passaggio che descriverei cosi: dal lasciarsi fare al saperci fare.Ho scelto allora tre situazioni, tratte dadue libri e un film, che mi sembra riescano bene a esemplificare ciò di cuisto scrivendo: l’ingenuità da un lato el’autenticità e il saperci fare dall’altro.Nel primo brano, tratto da Stoner, duecolleghi e amici sono alle prese conl’ingenuità dell’imbarazzo, che nessundiscorso o buon proposito può arginare, l’autenticità delle intenzioni dei dueviene rivelata attraverso il linguaggioprimario del corpo.Stoner si voltò. Lomax stava scorrendoattentamente alcuni fogli sulla scrivania. Aveva il viso paonazzo e sembravalottare con se stesso. Stoner si reseconto che la sua non era rabbia, mavergogna. E anche se Stoner restò aguardarlo ancora per un lungo istante,non alzo più la testa. Un breve fremitogli attraverso il viso, poi si placò. Stoner usci dalla stanza. E per oltre vent’anni non si rivolsero la parola2.L’ingenuità, in apparenza aliena dal
1 P. Ragusa, Il potere del SI, BUR Rizzoli, Milano 2016, p. 9.2 J.E. Williams, Stoner, Fazi Editore, Roma 2012, p. 205.
“Ma sapere dove andare è come sapere cosa dire, come saperedove mettere le mani”
Ivano fossati, E di nuovo cambio casa
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pensare il male e dal supporlo in altri,espone all’esperienza altrui e rendevulnerabili. Talvolta è autolesiva perchéallontana da se stessi, è incline a lasciarsi ingannare e raggirare. Formalmente libero, ma vantaggiosamente assoggettato alla calcolata volontà di altri.Si è responsabili del comportamentoingenuo, interessati al vantaggio di potere dare la colpa agli altri.Il secondo esempio è preso dalla coppiaTony Lip e Don Shirley del film GreenBook 3, protagonisti di un viaggio versol’autenticità. È l’incontro conflittuale traloro che consente di mettere a fuoco lereciproche storie, le abitudini, le falseconvinzioni, le fragilità. È nell’esperienzacon l’altro che la vita permette di imparare su di sé, di scoprire le proprie partinascoste o sacrificate. In partenza DonShirley è un conoscitore della “vita inteoria”, Tony Lip un campione di spontaneità marcatamente segnata dal contesto di appartenenza. Lo sguardo dell’uno sull’altro e di ciascuno su di sémuove emozioni nuove, spaesamento,e fa nascere un irrinunciabile bisogno diintegrare nella vita quotidiana ciò chehanno scoperto e che, pur desiderato,mancava. Ciascuno ha sbagliato qualcosa e per questo ha imparato tanto. L’autenticità emerge dopo avere persociò che non serve più, è un processo alevare, per arrivare al riconoscibile eunico se stesso. Sfrondare è il verbo dell’autenticità. Infine l’ultimo brano, un padre e suo figlio che rappresentano il saperci fare,sanno bene dove mettere le mani quan
do si ritrovano dopo tanta disperazione,dolore e perdite. Non rievocano, non rivendicano, non biasimano. Il figlio è paterno con il padre. Il padre richiama “laprofezia” della madre: la vita insegna.Finalmente risuona la voce di Menuchim: “Alzati, babbo!” dice, prendeMendel sotto le ascelle, lo solleva e selo mette sulle ginocchia, come un bambino. Gli altri si scostano di nuovo. OraMendel siede sulle ginocchia di suo figlio, sorride intorno a ognuno, guardandolo in faccia. Bisbiglia: “Il dolore lo faràsaggio, la deformità buono, l’amarezzamite e la malattia forte”. Deborah l’hadetto. Sente ancora la sua voce.4
Ricordo con chiarezza che a 43 anni,alla morte di mio padre, la prima cosache ho pensato sia stata: “Adesso posso diventare cattivo”. Tentativo maldestro e malriuscito di uscire dall’ingenuità che avevo scelto per distinguermi da lui e per la quale ero stato programmato dalla mia famiglia. Sonoserviti ancora degli anni per cercare ilmio modo di fare, per scoprire come“saperci fare”. Cioè scegliere da me,fare con autenticità senza essere replica o riscatto di qualcun’altro, trovarecorrispondenza con i miei gesti e con imiei desideri. Saperci fare richiedel’abbandono dell’ingenuità che protegge le illusioni infantili, il sapere essere disponibili a imparare dalla vita.Saperci fare richiede esperienza e conoscenza di sé. Non è facile, né semplice ma è possibile se hai padronanzadi te, se sei “direttamente innestato”5
nella vita che desideri.
3 Green Book, di Peter Farrelly, commedia, USA, 20184 J. Roth, Giobbe. Romanzo di un uomo semplice, Adelphi, Milano 2009, p. 186.5 F. La Cecla, Saperci fare. Corpi e autenticità, Eleuthera, Milano 2009, p. 8.
Marie
“Uno studioso nel suo laboratorio nonè solo un tecnico, è anche un bambinomesso di fronte a fenomeni naturaliche lo affascinano come una fiaba.” Sono queste le parole che Marie Curie(18671934) annotava tra le pagine delsuo diario. La “donna più famosa delmondo”, come venne presentata durante il suo viaggio in America, hamantenuto per tutta la vita lo sguardodi stupore che solo i bambini hanno difronte al mistero del mondo.Quando frequentavo le scuole medie,avevo preso in prestito dalla bibliotecaLa storia di Madame Curie, un libro cartonato con l’immagine di Marie e PierreCurie disegnata in copertina. Duecentopagine sulla sua vita che avevo letto tutte d’un fiato. Questo ricordo, ormai archiviato, si è riacceso con una grandeemozione quando, come esperta di intercultura, ho seguito due ragazzini inquella stessa scuola e in uno scaffaledella biblioteca ho ritrovato proprio quellibro abbandonato e semi distrutto.Marie Curie è stata la prima delle diverse figure femminili che mi hannoaccompagnato e mi stanno accompagnando nella vita, figure completamente diverse dal modello di donnache il mio piccolo mondo di provinciami offriva e mi destinava a seguire. Marie Curie ebbe una vita da pionierain un campo, come quello della scienzae del progresso, fino ad allora dominatoda uomini. Fu la prima donna a ricevereil premio Nobel e fu l'unica a ricevernepoi un altro, in un ambito diverso. Quello in fisica lo prese nel 1903, con il marito Pierre Curie, compagno di vita e diricerca con il quale scoprirà il polonio eil radio. Fu la prima donna a insegnarealla Sorbona, le verrà affidata la cattedra occupata dal marito, dopo la suatragica e precoce scomparsa investitoda una carrozza. Un grande dolore che
affronta occupandosi delle due figlie econtinuando instancabile nella ricerca. Ma, prima di ricevere il secondo Nobelper la chimica, nel 1911, viene travoltada quello che fu definito “lo scandalodel secolo”. La stampa scriverà: “Il cuore di una donna ha delle aspirazioniche la scienza non basta a soddisfare”,riferendosi alla sua relazione con uncollaboratore di laboratorio, Paul Langevin, fisico molto noto in Francia, dicinque anni più giovane, sposato e padre di quattro figli. La liaison diventa di dominio pubblico:Marie viene apostrofata come la “veuve Sklodowska”, la “vedova polacca” eaccusata falsamente di essere ebrea.Stranamente la notizia si diffuse proprio durante la candidatura di MarieCurie alla maschilista e ultranazionalista Accademia Francese delle Scienze ene compromise l’ammissione. Paul Langevin fu costretto a combattere cinqueduelli per salvare l’onore, lasciò la famiglia e la storia tra i due finì. Ovunqueandasse, Marie Curie veniva beffeggiata, derisa, insultata. Dovette barricarsiin casa con le figlie e venne invitata piùvolte a lasciare la Francia.Qualche giorno dopo lo scandalo, lostesso comitato del Nobel le chiederàdi non andare a Stoccolma a ritirare ilpremio per non far giungere lo scandalo fino a lì. Marie, però, non ci sta, reagisce e, grazie anche a una lettera di stima e incoraggiamento ricevuta da Albert Einstein, si recherà a Stoccolma apronunciare il suo discorso di accettazione, in cui rivendica i suoi meriti e ilcontributo di Pierre. Salirà le scale perritirare il premio tra due ali di folla, a testa alta, più fiera che mai. Così la vediamo nei filmati d’epoca e nelle foto aivari congressi scientifici, sempre unicadonna in mezzo a un mondo tutto maschile. La stampa francese accoglie
Marie Curie, la “donna più famosa del mondo”
Marta Versiglia
insegnante, pedagogista - [email protected]
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e Curie
questo secondo premio con un silenzioassordante.I biografi hanno spesso descritto Mariecome una scienziata austera, fredda,sempre vestita di nero, immersa in unmondo di ampolle, fiale, liquidi incandescenti e strani apparecchi elettrici. Marie Curie era soprattutto una donnaestremamente libera, libertà che si è conquistata a fatica, anticonvenzionale, appassionata del suo lavoro e pronta a trasgredire le regole per una giusta causa, aoccuparsi degli altri a costo di rischiare lavita come accadde durante la PrimaGuerra mondiale. In questo periodo, prima da sola e poi con l’aiuto della figlia Irène (che riceverà il Nobel per la chimical’anno dopo la sua morte), predisporràventi camion dotati di strumentazioni peri raggi X, di lastre fotografiche e di ampolle contenenti radon. Nascono così le prime unità mobili di soccorso radiograficoche possano raggiungere le zone più difficili (una la guiderà di persona, con una fascia della Croce Rossa al braccio). SaràMarie a istruire il personale di soccorsosu come leggere le radiografie. Durantela Guerra se ne eseguiranno più di un milione. Il suo incessante lavoro come radiologa per il trattamento dei soldati feritipermise di salvare molte vite. Ma le lunghe esposizioni al radio la in
debolirono sempre più, all’epoca se neignorava la pericolosità. Marie avevaaddirittura l’abitudine di girare con bottigliette di radio e polonio in tasca posandole nei cassetti della scrivania e sulcomodino del letto.Morì a 66 anni di anemia aplastica. Il corpo di Marie Curie riposa al Pantheon diParigi accanto a quello di Pierre. Anchein questo caso fu la prima donna ad essere accolta in un luogo fino ad allora riservato alle personalità più importantidel paese. Per il timore di contaminazioni radioattive la sua bara è stata avvoltanel piombo, così come i suoi libri, gli strumenti e oggetti personali, raccolti alla Biblioteca Nazionale di Parigi, che sono custoditi in scatole sigillate col piombo perché considerati ancora radioattivi.Mi piace ricordarla così, come nell’immagine sbiadita di quel libro sfogliato daragazzina, circondata dalle sue bottigliette fumanti al fianco di Pierre e, come raccontava lei stessa, intenta a contemplare col marito, nel laboratorio dinotte, i bagliori che provenivano dalleprovette “uno spettacolo incantevole esempre nuovo […] i tubi luminosi brillavano di luci, fate e fantasmi”.
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BIBLIOGRAFIA G. Greison, Sei donne che hanno cam
biato il mondo. Le grandi scienziatedella fisica del XX secolo, Bollati Boringhieri, Torino 2017.
M. Curie, Autobiografia, Castelvecchi,Roma 2017.
L'apartheid, cioè la distinzione di valore tra persone a partire dalle presunterazze di appartenenza, sembrava, finoa qualche tempo fa, ricordo di un passato remoto, lontano anni luce, almeno nelle democrazie occidentali. Invece, ancora una volta, i ricorsi della storia, attraverso le notizie di cronaca, ciinsegnano che non bisogna mai abbassare la guardia, quando si tratta ditutelare e garantire i diritti umani.La nostra Costituzione, in quel baluardo rappresentato dall'articolo 3, ci ricorda che siamo tutti diversi (nessunoè identico a un altro), ma che abbiamogli stessi diritti (e doveri) perché siamotutti importanti, in egual misura. Ci accomuna la dignità di esseri umani,nessuno escluso. Per quanto possasembrare scontata questa affermazione, si tratta della pietra angolare dellanostra democrazia.Fatta questa premessa, Green Book èun film tratto da fatti realmente accaduti di scottante attualità, anche se
ambientato in un contesto storico checredevamo ormai superato.Protagonisti assoluti della vicenda,narrata prevalentemente coi toni dellacommedia e una certa dose di ironia,sono un geniale e raffinato musicista eil suo improvvisato e rozzo autista, conqualche idea razzista ma dall'animo altruista. Una improbabile coppia di"stranieri" che attraversano il profondo Sud degli Stati Uniti per una seriedi concerti prenatalizi, in territori in cuiancora esistono assurde e discriminatorie regole di convivenza (in)civile.Guida turistica del viaggio è il LibroVerde per automobilisti "negri" chevogliono evitare spiacevoli disagi, conl'indicazione dei locali in cui le persone "di colore" sono accettate. Unavergogna stampata e venduta per circa trent’anni, ma che costituiva unaiuto per chi si spostava in determinate zone degli USA.Come ogni "road movie", anche questo si rivela un itinerario di formazio
Green Book
Regia: Peter FarrellySceneggiatura: Brian Hayes Currie, Peter Farrelly, Nick VallelongaInterpreti: Viggo Mortensen, Mahershala Ali, Linda CardelliniOrigine: USA, 2018Durata: 130 min.
Alessandro Cafieri
Tony, italoamericano che lavora come buttafuori in un locale notturno di New York,viene assunto temporaneamente come autista (e guardia del corpo) da Don, colto eapprezzato pianista di origini afroamericane, in procinto di partire per un tour nelSud degli Stati Uniti. Siamo negli anni Sessanta del secolo scorso, ed esiste ancorala segregazione razziale.
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educatore professionale, esperto di cinema e arti [email protected]
ne dei protagonisti. Durante il tragittocompiuto insieme i due impareranno aconoscersi, comprendersi e ascoltarsireciprocamente. A partire da nette differenze e accesi contrasti, che sfoceranno anche in momenti di alta tensione e scontro frontale, Tony e Don instaurano un rapporto che farà emergere progressivamente anche un fortesentimento di vicinanza e solidarietà,base necessaria per rispettarsi e stimarsi vicendevolmente.In un confronto così stretto e ravvicinato, come la dimensione del viaggiorichiede, ognuno ne esce cambiato,scoprendo parti di sé prima ignorate enuovi modi di stare al mondo. La diversità funge da specchio che ci permette di guardarci dentro più a fondoe riscoprire il comun denominatoredell'umanità che ci lega agli altri. Se siriconoscono le proprie debolezze e ipropri limiti, si cresce e matura, acqui
sendo nuovi strumenti per l'interazione sociale e la comprensione dellacomplessità esistenziale.Tony, uomo interessato quasi esclusivamente ai bisogni primari e dai modisbrigativi (oltre che maneschi), toccheràpiù da vicino la bellezza dell'arte e dellacultura, anche come stimolo per le relazioni (per esempio, cimentandosi nella scrittura di poetiche lettere alla moglie), oltre che l'importanza della riflessione e della mediazione, invece di reagire sempre impulsivamente. Don, invece, apprezzerà la semplicità e il pragmatismo propri di Tony, così come la suafranchezza, capacità di protezione esenso dell'unità familiare.Grazie all'alleanza e complicità che sempre più stringono strada facendo, i duefaranno fronte comune contro le ingiustizie che incontreranno durante il percorso, per via del solo colore della pelledi Don. La loro presa di coscienza saràcosì decisa che, nel finale, si opporranno in maniera emblematica e platealeall'ennesima vessazione camuffata datradizione e regola sociale.Green Book risulta quindi un efficace ecoinvolgente inno, oltre che alla necessità dell'eguaglianza dei diritti e di una società più giusta, all'amicizia: quella vera,fisica e carnale, che nasce dall'incontro edalla condivisione di un cammino fiancoa fianco. Senza muri e senza barriere. 63
Adele Falbo (a cura di)IL COMPLESSO DI ISMENEIo mi salvo da solaLa biblioteca di VIVARIUM, Milano 2017
Si apre con il mito di Ismene, sorella diAntigone, donna umiliata che impersona simbolicamente quel “femminile”che si sente una “cosa da niente”, maltrattato psicologicamente che raccogliesu di sé tutta la colpa delle umiliazionisubite. È una sorta di archetipo delladonna violata. La rappresentazione teatrale proposta, raccontata a più voci sulcomplesso e faticoso tema della violenza sulle donne, sottolinea quanto il teatro consenta di potersi riconoscere e diliberare emozioni nell’immediato, chepoi possono essere elaborate. Il libro è curato dalla psicanalista junghiana Adele Falbo, drammaturga e regista, che utilizza il teatro per aiutare alivello terapeutico le donne vittime diviolenza. Sono tante le voci che commentano il “complesso di Ismene”,donne e uomini che hanno contribuitoin vario modo e che, dopo aver visto lospettacolo sono stati invitati a scriverne. Ognuno di loro lo ha letto e interpretato con la propria lente, sottolineando la potenza del teatro e la necessità di continuare a sostenere progetti simili. Interessanti le osservazioni di chilavora nel sociale ed evidenzia quantole nuove generazioni siano ancora succubi di un’idea fondata sul controllo daparte del maschio: “ciò che manca èuno specchio in cui incontrare e nominare questa necessità di non assecondare il modello introiettato in sé ma dirispettare la propria identità e rivendicare il proprio diritto di felicità” (p. 23).Notevoli le letture analitiche da partedi psicologi e psichiatri ma interessanteanche il punto di vista di chi si occupadi politica.Un testo, come lo spettacolo, rivolto atutti, uomini e donne.
Paola Cosolo Marangon
Anna Oliverio FerrarisPROVA CON UNASTORIABUR Parenting, Rizzoli, Milano 2018
Perché è così importante raccontare storie? Anna Oliverio Ferraris spie
ga la differenza tra vedere e raccontare, tra passivizzare la fantasia ecoltivare l’immaginazione. Mammee papà, nonni e nonne che dedicanodel tempo alla narrazione aiutano ipiccoli a entrare nel mondo magicoche loro stessi possono costruiregrazie alla fantasia e alla capacità dicrearsi sfondi originali. Pensiamo anoi adulti: anche la nostra mentecostruisce volti, scenari, colori mentre legge un libro, e capita spesso dirimanere delusi davanti ai film trattidai libri perché diversi dalla nostraimmaginazione. In questo libro l’autrice ci dà alcune informazioni importanti sull’immaginazione dei piùpiccoli, ma sottolinea anche l’importanza dei racconti per aiutare a rispondere alle piccole e grandi domande dei bambini.Spesso i bambini hanno paura. Lefavole e le storie possono essernecatalizzatori e aiutano a superareansie e timori grazie all’immedesimazione con gli eroi narrati. Ma anche le emozioni possono essere benrappresentate nelle storie e OliverioFerraris ne propone alcune di esempio sulla gelosia, la paura del buio,la rabbia, l’amicizia. È fondamentalepoi la relazione che si crea tra narratore e ascoltatore ma anche lafunzione fondamentale del libro chenon dovrebbe mancare mai nellemani di un bambino. Ogni capitolo è corredato di una ricca bibliografia, un’utile serie di indicazioni per la lettura.
Angela Carlet
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Khaled Hosseini(a cura di Roberto Saviano)PREGHIERA DEL MARESEM editore, Milano 2019
Accade a volte cheun paio di parole
possano incidere più di un intero discorso. È il caso di Preghiera del mare, unalettera scritta da un padre preoccupatoper la sorte del figlio ma anche per lasorte dell'umanità intera, catturata inun vortice di qualunquismo; un padreche dice al figlio: "Dammi la mano, io tiproteggerò". E un figlio che si vuole affidare a quella mano forte, a quella ideadi adulto capace di accompagnarlo verso una vita degna di essere vissuta.Sono poche parole, davvero una preghiera laica, come sottolinea il sottotitolo. L'autore di questa preghiera è Khaled Hosseini, conosciuto per due librimolto belli e toccanti, Il cacciatore diaquiloni e Mille splendidi soli. Anche lì ibambini sono protagonisti: storie lontane dalle nostre ma che si fanno vicinemano a mano che bambini veri scappano dalla guerra e approdano sulle nostre coste e alla nostra coscienza.La preghiera di questo padre si rivolge almare, a Dio, all'universo, a chiunque possa proteggere questo suo bambino chericorda la terra devastata da cui proviene.Poche parole e meravigliose immagini,nate dal pennello di D. Williams, illustratore inglese che con l'acquerello faesplodere colori ed emozioni, tracciavolti e acqua, distruzione e speranza. Lacuratela di questo libro è di Roberto Saviano, noto a tutti per il suo impegnosociale e per il suo coraggio.Il libro è un atto di coraggio: c'è speranzae c'è paura, c'è voglia di consegnare unanuova vita al proprio bambino ma anchedisorientamento nel momento in cui ci siritrova su di una spiaggia di un paesestraniero con tante persone che parlanolingue diverse e si guardano sgomente.Leggiamolo questo libro e facciamololeggere a grandi e piccini, regaliamolo eteniamolo sul comodino. Parte dei proventi ricavati dalla vendita del libro verranno devoluti a UNHCR.
PCM
Franco LorenzoniI BAMBINI CI GUARDANOSellerio, Palermo 2019
“La media è un dividimento, serve pertrasformare le cose diverse in uguali”(p. 33)
Sembrano le parole di un grande saggio e in effetti forse lo sono, e il saggiofrequenta il terzo anno della scuola primaria di Giove. Il maestro è Franco Lorenzoni, usa le domande per aiutare ibambini e le bambine a cercare risposte e a farsi fare domande a loro volta.Un esempio? “Dove si nasconde la matematica?” e la risposta ha attivatoteorie, ricerche, sperimentazioni, osservazioni. Questo libro racconta quello che accade a scuola, dà voce ai bambini, ai loro pensieri, alla loro capacitàdi imparare facendo, disegnando, impastando, sporcandosi molto e chiedendo tanto. Il maestro è con loro, viene usato per imparare la vita. La ricercaazione è di casa a Giove e questomaestro, che porta i bambini nei prati,li accompagna in gita a vedere i capolavori di Giotto dal vero, li fa giocarecon i vermi e studia con loro fisica eastronomia stando di notte con il nasoin aria, è un educatore stupendo che lifa crescere nel pieno rispetto della loroetà e delle loro capacità. I bambini ciguardano è una realtà, la sollecitazionea noi adulti a essere presenti e consapevoli. È un libro importante che mostra come sia possibile affrontare laquotidianità scolastica motivando glialunni e facendo nascere quella curiosità che aiuta ad apprendere. Da leggere tutti, insegnanti, genitori ed educatori in genere.
Claudia Biasiol
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RECE
NSIO
NI Autori VariDIO LI FA E POI LI ACCOPPIA?Il percorso della coppia dall’incontroall’intimitàAlpes, Roma 2018
Un folto gruppo dipsicologhe, psicote
rapeute della coppia e psicoanalistepresentano in modo agile, sintetico econvincente una sintesi di quello chehanno imparato sui rischi e le potenzialità della vita a due, con o senza figli. Lefonti principali dei loro apprendimentisono le esperienze e la crescita personale fatte da chi cerca il loro aiuto peruscire dalla crisi, e il confronto tra colleghe, con riflessioni che fanno tesoroanche del proprio vissuto oltre che delsapere psicoanalitico.L’innamoramento, la scelta del partner,il matrimonio, il desiderio, la felicità, ilpiacere e le loro vicissitudini anche infelici, sono descritte in brevi capitoli chemettono in luce i vissuti e le difficoltàpiù intime delle coppie oggi in Occidente. Il percorso porta al tema centraledella crisi, dei suoi esiti e delle possibilimodalità per gestirla. E qui il libro dà ilsuo contributo più importante: le storiee le situazioni raccontate mettono in luce la responsabilità personale, la possibilità di usare il momento difficile persintonizzarsi meglio con se stessi e agirein modo da uscire dalla gabbia delleproprie aspettative sull’altro. La metafora proposta è “la terza nascita”: una fasedi vita pienamente matura e capace,davvero scelta, dopo la seconda nascitache nell’adolescenza ha permesso di individuarsi staccandosi dalla famiglia diorigine. Dalla crisi si può rinascere ancora una volta. Il concetto stesso di conflitto trova inquesto libro ricche esemplificazioni.Non a caso Daniele Novara, nella Prefazione, afferma che la coppia che non siillude di non avere conflitti ma piuttostoimpara ad utilizzarli per crescere, diventa uno spazio di fertilità reciproca. Proprio questa capacità sembra mancarenegli amori deboli o liquidi. La necessaria manutenzione della relazione di coppia trova in questo libro anche indicazioni difilm utili alla discussione.
Elena Passerini
Gino SolderaMAMME E PAPÀL’attesa di un bambinoCittà Nuova, Roma 2014
Non è un libro appena uscito ma è un libro importante per
tutti coloro i quali desiderano diventaregenitori. Un libro che andrebbe dato indotazione fin da quando una coppia decide di affrontare la propria vita insiememettendosi anche nell’ottica di aprirsialla genitorialità.Parliamo di genitorialità biologica, diquello che accade quando una donnaaspetta un bambino e come sia importante accogliere la nuova vita con pienaconsapevolezza, attenzione e vicinanzada parte della coppia. Gino Soldera èuno psicologo e psicoterapeuta che hafondato ANPEP, un’associazione che sioccupa di gravidanza e vita prenatale.Nel libro si spiega in maniera semplicema esaustiva l’importanza della vitaprenatale ed entrambi i genitori sonoaccompagnati con una serie di riflessioni guidate ad accogliere al meglio lanuova creatura. Ho trovato tutto moltointeressante ma un aspetto mi ha intrigato più di altri: quando si sottolinea laragione per cui è fondamentale, secondo questo approccio, ascoltare il feto eaccompagnarlo alla nascita con pensieripositivi soprattutto materni. Secondol’autore molti sono i motivi per cui è doveroso essere così consapevoli, e ponealcune domande: “Se la guerra, la violenza sociale, la dominazione delle classi e la distruzione economica della ricchezza sono veramente rituali d’obbligodovuti ai traumi infantili, come potremmo rimuovere la fonte di tanti drammiche affliggono l’umanità?”La risposta sta nel mettere a conoscenza le nuove generazioni degli studi sullapsicologia prenatale e formarli di conseguenza. A detta dell’autore e di moltiautorevoli esperti, l’umanità intera potrebbe cambiare. “L’educazione dural’intera esistenza e si sviluppa attraversol’esperienza, quale condizione per conoscere e vivere i valori e le leggi che regolano la vita”.
Paola Cosolo Marangon
Erri De LucaIL GIRO DELL’OCAFeltrinelli, Milano 2018
Certi libri si leggonocon gli occhi, altricon tutti i sensi. ErriDe Luca produce inme questo effetto,
mi apro come un fiore che attende larugiada. Questo è un libro intimo, chetocca anche il lettore nei suoi meandripiù profondi, lo costringe quasi ad ascoltare dentro di sé la voce lontana dellapropria infanzia, delle avventure dellapropria vita. Accade di sentire una sortadi osmosi tra la parola letta e quella chesi potrebbe scrivere. Il giro dell’oca èuna narrazione per chi ha voglia di mettersi in gioco ascoltando storie che appartengono all’autore ma chiedono dicostruire un significato al di là del narratore. Credo che lo stratagemma di inventarsi un figlio a cui parlare e con cuipoi dialogare sia un modo per combattere la solitudine e per offrire al pubblico qualche area nascosta di un’esistenzacontinuamente narrata. Ho trovato molto di me in questo libro,ognuno troverà qualcosa di sé stesso:nostalgia per i genitori morti, per unavoce o una carezza, un rimprovero. Fatica nel portare gli anni e i tanti o pochierrori compiuti. Stupore nel guardareun bambino.Scritto con il suo stile asciutto e deciso,questo libro contiene alcuni passaggiche possono essere da soli piccoli concentrati di saggezza. Ne riporto uno chemi ha colpito molto: “A un bambino sichiede cosa vuol fare da grande. […] Aun bambino si insegna a dichiarare laprofessione, il risultato finale e non ilpercorso. Nessuno di loro dice: Da grande voglio fare l’apprendista”. Eppure èquello che si è continuamente” (p. 108).Questo è Erri, da leggere assolutamente.
Paola Cosolo Marangon
Danilo AmadeiQUANTO HO IMPARATO INSEGNANDOErickson live, Trento 2018
Amadei è stato un insegnante molto impegnato nella bellaesperienza di Coope
razione Educativa. Quando è andato inpensione ha seguito l’indicazione di Mario Lodi: “Ogni insegnante che va in pensione deve lasciare traccia del propriopercorso”. La sua traccia è questo libroche racchiude i momenti più significativi,o quantomeno affettivamente più cari, diquarant’anni di insegnamento. Vengonoriproposti i temi cari al docente, dall’importanza della conoscenza e dell’accoglienza reciproca con i suoi alunni, al gioco come possibilità di sbagliare facendo.Dai laboratori linguistici per imparare lagrammatica alle esperienze teatrali, veromomento di condivisione emotiva e relazionale. Interessante il capitolo dedicatoall’ascolto, dove si ribadisce l’importanzadella lettura e della letteratura come imprinting al saper ascoltare. Si riconosce lamatrice cooperativa in ogni pagina, inmodo particolare nei racconti legati allascrittura collettiva milaniana. Nel testosono percorsi tempi e spazi e viene costruita una piccola fetta della nostra storiaanche pedagogica, dove si passa dall’usodel calamaio alla LIM. Sono esperienzedel quotidiano di alcune classi dove la differenza è data dal fare scuola in modo diverso, in modo sempre interattivo, dovetutti imparano da tutti. Il docente nonconduce ma soprattutto tira fuori. Di particolare interesse il capitolo dedicato alconflitto visto come possibilità di dialogoe confronto: “Bisogna superare la visioneche pensa che solo senza conflitto ci siauna crescita armoniosa […] bisogna sostare nel conflitto, non avere fretta, nonanticipare le soluzioni, tanto meno proporre di voler cercare ed individuare uncolpevole, Il conflitto è complesso” (p.84). Viene richiamata la sperimentazioneproposta dal CPP e ampiamente utilizzatanelle classi da parte di chi scrive.È un libro che insegna molto, proprio perché parte da un’idea fondante dell’autore: a insegnare si impara e imparando sicresce. Claudia Biasiol 67
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STATI UNITI • I BAMBINI SPARANO E SPENDONO La Epic Games, società americana che produce videogiochi, ha battuto ogni record di incassi eutenze con Fortnite (uno sparatutto in cui si possono sfidare anche 100 giocatori contemporaneamente e il cui scopo è uccidere tutti gli altri giocatori) riuscendo a guadagnare più di 2 miliardi didollari negli ultimi otto mesi, e questo nonostanteil gioco sia gratuito. Il segreto? La grafica di altissimo livello e il successo quotidiano di 3,4 milionidi giocatori che, a ogni partita, comprano armi ealtri oggetti di gioco.
CANADA • NASCE LA FAMIGLIA POLIAMOROSARobert Fowler, giudice del tribunale di San Giovanni di Terranova, ha registrato due uomini e una donna come i genitorilegali di un bambino nato nel 2017. È la prima volta che questotipo di nucleo familiare viene ufficialmente riconosciuto in unpaese che considera illegali la poligamia e la bigamia ma nonle relazioni poliamorose. “La società è in continuo cambiamento così come la struttura familiare. Bisogna riconoscere questarealtà. Non ci sono ragioni per credere che questa relazionedanneggi in qualche modo gli interessi del bambino” è scrittonella sentenza.
STATI UNITI • La Federal Trade Commission, l’ente statunitense che difendei consumatori, a febbraio ha imposto la più alta sanzione mai comminataper un caso di privacy dei bambini. A pagare una multa di 5,7 milioni didollari sarà la società cinese proprietaria della app TikTok, una piattaformadi video musicali amatoriali disponibile sia su iOS che su Android, che conta500 milioni di utenti, 65 milioni solo negli Stati Unit. L’accusa? La societàè ritenuta responsabile di aver “ottenuto illegalmente le informazioni personali dei bambini”. In pratica, i suoi operatori sapevano che i bambini stavano usando l’app e hanno continuato a raccogliere nomi, indirizzi emaile altre informazioni personali senza richiedere, come previsto dalla legge,il permesso dei genitori. Diverse le reazioni: chi dice che si tratta di un precedente esemplare e chi, al contrario, di una manovra politica degli Usacontro la Cina.
Silvia Calvigiornalista
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SVEZIA • RAGAZZINI IN LOTTA PER IL FUTUROÈ partito dalla Svezia, e dall’azione della sedicenne Greta Thunberg,il movimento di protesta dei giovani e giovanissimi che, via via, si èdiffuso a macchia d’olio in America, Australia ed Europa. L’obiettivo?Denunciare il “saccheggio generazionale” di cui si sentono vittimebambini e ragazzini a causa dell’inerzia di politici e governanti nellalotta all’inquinamento e ai cambiamenti climatici. Anziché andare ascuola, i giovani alunni si danno appuntamento per volantinare fuoridai palazzi delle istituzioni e rivendicare così il loro diritto a un futuro. Il 15 marzo la protesta ha assunto dimensioni mondiali con eventi e manifestazioni dovunque, Italia compresa.
ROMA • IL PAPA CONTRO GLI ABUSI SUI MINORI“La Chiesa farà tutto il necessario per consegnare allagiustizia i responsabili” ha detto Papa Francesco in occasione del primo incontro sulla protezione dei minoriche si è tenuto in Vaticano a fine febbraio. Si tratta dellatappa storica di un cammino iniziato, faticosamente, inCanada, Usa, Irlanda e Australia circa trent’anni fa. Proprio negli stessi giorni, il cardinale australiano GeorgePell è stato condannato per abusi sessuali nei confrontidei minori ed estromesso dal Consiglio dei cardinali.
YEMEN • BOMBE SUI BAMBININel silenzio generale di governanti e media, arriva daAden sulle rive del Mar Rosso, la denuncia di KostasMoschochoritis, segretario dell’Ong Intersos riguardola guerra nello Yemen (dal 2015 qui è in corso una violenta guerra civile, anche grazie alle armi europee e italiane, che da almeno un anno non risparmia i civili). Andando contro le regole del diritto internazionale, infatti,vengono bombardati ospedali, scuole, centri per il trattamento del colera, bus con bambini. Secondo l’Ansa,nello Yemen ogni giorno muoiono in media 8 bambini.
sabato 4 maggio WorkshopLa competenza conflittuale
Piacenza,con Massimo Lussignoli
sabato 11 e domenica 12 maggio seminario di psicodramma Crisi e cambiamento. Alla scopertadelle proprie risorse
Piacenza, con Anna Boeri
venerdì 17 e sabato 18 maggioseminarioLa gestione dello stress nelle situazioniconflittuali
Milano, con Emanuela Cusimano
venerdì 17 e sabato 18 maggioseminarioLavorare insieme in gruppo
Piacenza, con Fabrizio Lertora
venerdì 24 e sabato 25 maggioseminarioLitigare fa bene. Come gestire i conflitti dei bambini
Milano, con Laura Petrini
venerdì 14 e sabato 15 giugnoseminarioComunicare bene nelle situazioni conflittuali
Milano, con Laura Petrini
venerdì 5 e sabato 6 luglioseminarioImparare ad ascoltare
Milano, con Laura Beltrami
da lunedì 26 a giovedì 29 agosto La pedagogia maieutica
Piacenza, con Daniele Novara e Marta Versiglia
da giovedì 29 agostoa domenica 1 settembre La manutenzione dei tasti dolenti
Pietrasanta (LU), con Anna Boeri e Paolo Ragusa
sabato 7 settembreworkshopLa competenza conflittuale
Piacenza, con Paola Cosolo Marangon
venerdì 13 e sabato 14 settembreseminarioGestire l'aggressività nella prima infanzia
Milano, con Lorella Boccalini
venerdì 20 e sabato 21 settembreseminarioLitigare fa bene. Come gestire i conflitti dei bambini
Piacenza, con Marta Versiglia
venerdì 20 e sabato 21 settembreseminarioL'arte della domanda maieutica
Milano, con Laura Beltrami
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I prossimi corsi in programma
CORSO BREVE
DA MAGGIO 2019A GENNAIO 2020La conduzione maieutica dei gruppi
Piacenza, a cura dello Staff CPP
CORSO ANNUALE
Aree tematiche di formazione:
educativa/pedagogica
organizzativa e gestione dei gruppi
crescita personale
DA GIUGNO 2019 A FEBBRAIO 2020
So-stare nel conflittoPiacenza, a cura dello Staff CPP
Vuoi confrontarti sui corsi e valutare qualepuò essere più indicato per la tua formazione? Scrivi a [email protected]
Tutti i corsi sono riconosciuti all’internodella Scuola di Counseling Maieutico e come aggiornamento per counselor
CORSO ANNUALE
CDS
EDU
ORG
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EDU ORG CDS
EDU ORG CDS
EDU ORG CDS
EDU ORG CDS
EDU ORG CDS
EDU ORG CDS
ORG
CORSO BREVE
Per info: www.cppp.it
UN PERCORSO COSTRUITO SULLE TUE ESIGENZE FORMATIVE
La Scuola di Counseling del CPP è un percorso formativo per diventare professionista nella crescitapersonale e nelle relazioni d’aiuto. È suddivisa in 3 annualità organizzate in corsi annuali, corsi brevi,seminari e workshop, con un piano di studi che può essere personalizzato sulla base dei bisogniformativi o delle tue necessità professionali individuali. Il percorso è aperto a tutti coloro che desi-derano sviluppare le abilità di counseling.
Le sedi della scuola si trovano a MILANO, in via Sismondi 74 e a PIACENZA, in via Campagna 83.
È accreditato dall’associazione professionale di categoria A.N.CO.RE - Socio Fondatoredi FEDERCOUNSELING e aderente alla European Association for Counseling (EAC).
ConsulenzaServizi di
per la gestioneeducativa dei figli
Pedagogica
Possibilità di consulenzavia Skype
Curarel’educazione
con
Dal 1989 al servizio dell’apprendimentoinnovativo e di qualità
Sportelli di consulenza pedagogica
Troverai un aiuto competente ed esperto per comprendere le difficoltàche i bambini e i ragazzi incontrano nella crescita. Scoprirai le azionieducative per risolvere i piccoli e grandi problemi dei nostri giorni.Imparerai a organizzare le tappe della crescita secondo i basilari educativi.Chiedere aiuto è un modo competente per occuparsi dei bambini e dei ragazzi!
Tra i servizi puoi trovare anche:• Counseling individuale e familiare• Consulenza pedagogica per genitori• Counseling per ragazzi e ragazze• Laboratorio maieutico di gioco simbolico per i bambini
Dott. Daniele NovaraResponsabile scientificoPedagogista, Direttore CPP
Staff consulentiDaniele Novara, Paolo Ragusa,Marta Versiglia, Lorella Boccalini,Laura Beltrami, Laura Petrini,Massimo Lussignoli, Emanuela Cusimano
SediMilano Via Giancarlo Sismondi 74Piacenza Via Campagna 83Genova Via Canepa 3Brescia Via Carpaccio 1
Info e appuntamenti:da lunedì a venerdì - cell. [email protected]
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A CONFLITTI 2019
Il Convegno apre un nuovo capitolo per le scuole, le varie formedi convivenza sociale, la ricerca educativa, antropologica e anchepsicologica. Vogliamo trovare nuove strade e aumentare la sostenibilità personale e collettiva ai cambiamenti e ai contrasti,che sono parte integrante della nostra esistenza.