don Milani Barbiana Francesco - Rocca · l’immagine al vescovo di Assisi) ... occasione...

7
37 ROCCA 15 OTTOBRE 2017 don Milani Barbiana Francesco cristiano, parroco e – per questa via – educatore ed insegnante che «ha praticato percorsi originali, talvolta, forse, troppo avanzati e, quindi, difficili da comprendere e da accogliere nell’immediato» Renzo Salvi Lorenzo Milani

Transcript of don Milani Barbiana Francesco - Rocca · l’immagine al vescovo di Assisi) ... occasione...

37

RO

CC

A 1

5 O

TTO

BR

E 2

017

don Milani BarbianaFrancesco

cristiano, parroco e – per questa via – educatoreed insegnante che «ha praticato percorsioriginali, talvolta, forse, troppo avanzati

e, quindi, difficili da comprenderee da accogliere

nell’immediato»

Renzo SalviLorenzo Milani

38

RO

CC

A 1

5 O

TTO

BR

E 2

017

a fortuna, la grazia di questo tem-po nostro, nel mondo e nella Chie-sa, è un papa che ci forza a cozza-re con il Vangelo (copyright del-l’immagine al vescovo di Assisi)misurandoci sulla realtà dei fatti.

È una fortuna tra le poche dell’oggi, manon una fortuna da poco. Perché questopapa ci fa anche da sherpa per indurre lenostre esistenze al confronto con i testi-moni che fede e Parola hanno suscitatonella storia: scomodi, in genere, e soventemaltrattati. Anche nella Chiesa.A questo fine – tanto ci crede – sembra di-sposto a forzare persino sé stesso; France-sco è un papa non/televisivo: non lo è perscelta come fruitore («un fioretto», dice, chedura da anni) e comunque è meno portatodi suoi predecessori a muoversi nel consen-so dei media. Ma ha scelto il video, con unmessaggio registrato, per farsi presente inoccasione dell’edizione in «opera omnia»degli scritti di don Lorenzo Milani.

dialettico, schietto, rude: ribelle?

In quella ripresa tv, occhi negli occhi con chilo avrebbe ascoltato, ha voluto far emergereil don Milani cristiano, parroco e – per que-sta via – educatore ed insegnante che «hapraticato percorsi originali, talvolta, forse,troppo avanzati e, quindi, difficili da com-prendere e da accogliere nell’immediato». Inquesti cammini, ha ricordato il papa, la dia-lettica intellettuale e la schiettezza derivantidalla sua formazione familiare, di matricenon-credente, contribuivano a creare «con le

strutture ecclesiastiche e civili» scintille e in-comprensioni – sempre «qualche», attenuaFrancesco – che, nel merito, si sono tuttaviamanifestate «a causa della sua proposta edu-cativa, della sua predilezione per i poveri…».Da qui l’indicazione di ricordarlo «come cre-dente, innamorato della Chiesa anche se fe-rito, ed educatore appassionato con una vi-sione della scuola che – annota, così pren-dendo posizione – mi sembra risposta allaesigenza del cuore e dell’intelligenza dei no-stri ragazzi e dei nostri giovani».Col che si è di nuovo al «cozzo» dell’oggicol Vangelo. Ma anche al suggerimento –per chi abbia orecchie – di tornare a leg-gere dentro Barbiana. E all’idea – video pervideo – di cercare nelle registrazioni tele-visive: in quelle meno note, in quelle ine-dite o quasi, dalle quali far emergere lavoce diretta di qualcuno che ha percorsol’itinerario della scuola di don Lorenzo.

la scuola: subito

Agostino Burberi è il primo bambino che videdon Lorenzo Milani a Barbiana. Ha raccon-tato quel momento un numero infinito divolte. Nel 2009 gli avevamo chiesto di ricor-darlo ancora una volta per noi davanti aduna telecamera.Don Milani, dopo essere stato destinato aBarbiana non è venuto a vedere Barbianaprima di arrivarci per cominciare il suoministero nella nuova destinazione. Ave-va chiesto a Eda e a sua mamma, la figurache ha fatto un po’ da mamma, poi, a Bar-biana di andare a vedere, perché a queste

RenzoSalvi L

DON MILANI BARBIANA FRANCESCO

la scuola di Barbianatracce da un colloquio conAgostino Burberi,il primo alunno

39

RO

CC

A 1

5 O

TTO

BR

E 2

017

due donne, che servivano il vecchio par-roco di Calenzano, don Milani aveva chie-sto se volessero seguirlo a Barbiana. Cosìloro erano venute a vedere. Ed erano tor-nate a Calenzano – povere donne – con lemani nei capelli, dicendo: «Dio mio, prio-re, dove ci mandano!».Ma appunto don Milani non si era recatoa Barbiana. Ha visto per la prima voltaBarbiana il 7 dicembre del 1954. Era tar-do pomeriggio, quasi sera. Eravamo inchiesa, all’altare della Madonna: io facevoil chierichetto al precedente parroco. DonLorenzo è entrato in chiesa – pioveva – conun mantello che lo avvolgeva e ha comin-ciato a guardare per la prima volta la chie-sa che gli era stata assegnata.Di quel momento ho presente immagininon parole: la pioggia, una scarsità di luce,quel mantello, gli occhi che scrutavano.Presentato a tutti i parrocchiani, facendo ilgiro di tutte le case sparse sul monte Giovi,ha subito fatto una proposta ai nostri geni-tori dicendo che dal giorno successivoavrebbe cominciato a fare il doposcuola anoi che eravamo ragazzini – io facevo laterza elementare – perché non c’erano aBarbiana giovani adulti come aveva invecenella situazione precedente, a Calenzano.

Tu dove frequentavi la scuola?Avevamo una pluriclasse a Padulivo: un’uni-ca stanzetta, con cinque classi insieme e unamaestra che, quando non nevicava, venivaa farci scuola. In qualche modo per un/quin-to: ma questa non era una situazione sol-tanto di Barbiana; in quel periodo in tutte

le campagne era così.

cittadini sovrani

Volgersi alla figura di don Milani e all’espe-rienza della Scuola di Barbiana oggi non si-gnifica certamente rifarla: perché Barbiananon si ripete. Però si può tornare a ragionaresui fondamenti di una scuola pensata e prati-cata. E dunque: cosa si imparava a Barbianacon don Lorenzo? E come si imparava?Prima di tutto si imparava a diventare deicittadini. Questa era, in fondo, la sua ansia…Quando si è convertito don Milani ha chiestodi essere dalla parte degli ultimi e in quel pe-riodo essere mandati a Barbiana significavaesattamente questo: diciamo che fu accon-tentato, da questo punto di vista… A Barbia-na trovò dei contadini montanari. Bisogne-rebbe ricostruire questa realtà sociale: eranoproprio gli ultimi/ultimi: timidi, umiliati, ve-nivano dopo tutti. Anche gli operai eranoguardati da loro con una certa soggezione.Prendere questi contadini e farli arrivaread essere dei cittadini in grado di sostene-re di fronte ad altri delle posizioni, dellebattaglie, politiche, civili, sociali, era il suoobiettivo. E lo ha perseguito cercando didare loro la padronanza della parola con lostrumento del leggere e dello scrivere. Peresempio don Lorenzo sosteneva e insegna-va che il vocabolo è «cosa morta» se non siva a vederne la derivazione, l’etimologia, ilsignificato nella lingua latina e greca. Inquest’altro modo invece le parole prendo-no corpo, camminano, diventano vive.Tutto questo era indispensabile poi per cer-

40

RO

CC

A 1

5 O

TTO

BR

E 2

017

care la verità.La lettura del giornale a Barbiana aveva questosignificato: leggere alcuni giornali, diversi traloro e poi farsi la propria opinione su un fatto osu un pensiero. Questo era l’allenamento.Oggi tutto questo è certamente più difficileperché oggi la comunicazione è più comples-sa: internet, la rete… I social. La molta, mol-tissima televisione. Si rischia di avere unamontagna di informazioni senza riuscire piùa venirne a capo, a trovare la propria verità.Dovessi dire di me, è un quadro che un po’mi angoscia perché vedo che ci si sente qua-si impotenti. Allora era più semplice.

Era frequente a Barbiana la presenza di ospi-ti: altre persone che venivano e insegnavano.Parliamo di nomi di gran livello nella nostrastoria: da Gianni Meucci a Mario Gozzini, apadre Ernesto Balducci, a Elena BrambillaPirelli… E letterati, e scrittori, e giornalisti.Era l’altro momento importante della Scuo-la di Barbiana. L’ospite veniva messo al cen-tro della scuola, gli si chiedeva di raccontarela sua esperienza, la sua attività, e poi c’eraun dibattito, come fosse un’arena, cosicché iragazzi si abituavano a tener testa, a conver-sare, a chiedere con una persona di livello…Questo era il modo per elevare lo stile di«vita civile». E ricordiamo che tutti i ragio-namenti della Scuola di Barbiana eranosulla scuola dell’obbligo, cioè la scuola chepermetteva di fare cittadini eguali: com-prendendo, discutendo e dialogando.

I livelli successivi della scuola erano conside-rati da don Milani come divisi in due filoni:«la scuola dell’io», che era quella della carrie-ra, delle professioni di successo – ingegneri,medici, ecc., ecc. – e «la scuola del sociale»,vale a dire quella che preparava a fare l’inse-gnante, il prete, il sindacalista, l’assistentesociale… Le attività dedicate agli altri.Però Barbiana si è concentrata molto di piùsul discorso della scuola dell’obbligo: il farecittadini uguali.

il buon insegnante

Per le scuole primarie, che un tempo si chiama-vano elementari, si parla ogni tanto di maestraunica, di insegnante/mamma… Don Milani, peri testi e per le lettere che abbiamo trovato, tutto èmeno che un maestro/mammo: molto tenero –questo sì – ma nella tenerezza molto rigoroso eanche capace di essere ruvido. Arriva a indicarese stesso, in spagnolo, come «buen autoritario».Sì. Io racconto sempre che sempre ho datoa lui «il lei»; noi abbiamo sempre dato il«lei». Non perché il nostro rapporto fossedi distanza ma proprio perché era impor-tante riconoscere il ruolo. In questa fasedella nostra società sembra valere più la fi-gura della velina che l’insegnante; si è smi-nuita la figura dell’insegnante, che ha lacapacità di educare e di insegnare, che quin-di è una figura importante, al di là dei sol-di, al di là dei riconoscimenti materiali.A don Milani noi riconoscevamo che era il

DON MILANI BARBIANA FRANCESCO

41

RO

CC

A 1

5 O

TTO

BR

E 2

017

maestro, la persona dalla quale si potevaimparare e che quindi andava rispettata inquesto ruolo.La Scuola di Barbiana era molto ricca puressendo poverissima: non avevamo due lireda mettere insieme. Ma era ricca proprioperché – questa era tra le capacità del no-stro maestro – don Lorenzo sapeva usarestrumenti inventati per farci capire, perinsegnare; e sapeva scegliere le persone giu-ste da chiamare perché insegnassero.Ma soprattutto la Scuola di Barbiana era ric-ca perché avevi la sensazione che fosse unascuola di vita. Il nocciolo della sua ricchezzaera questo: ai giovani si dava, allora, e si devedare, ora, la motivazione per cui devono an-dare a scuola; una motivazione che non puòessere bassa di livello, come il far carriera equattrini (che poi neppure funziona), ma chesia fatta di valori. E questi valori devono es-sere alti, devono essere universali; per i cri-stiani sono alcuni, per i laici possono esserealtri, ma devono portare a migliorare la so-cietà, portare a fare delle cose «perché…»:più alti sono più io credo si abbiano risultati.La logica dell’annacquare, del dare sempremeno, sempre meno, perché così s’acconten-tano un po’ tutti, non fa crescere le persone.L’altro elemento che mi trovo a sottolinearespesso è l’interesse che l’insegnante ha per ledifferenze concrete dei ragazzi. Perché i ra-gazzi percepiscono profondamente questo: sesei interessato a loro. Questo è «I Care», Mista a cuore. Don Lorenzo ci ha amato sino

alla morte. Ha dedicato la sua vita a noi, comeha dichiarato anche nel suo testamento: «Hovoluto più bene a voi che a Dio ma ho spe-ranza che lui non stia attento a queste sotti-gliezze e abbia scritto tutto al suo conto».

Francesco: la parola strumento di giustizia

Così rimbalzano dal passato pochi stralci daregistrazioni molto più ampie. Ma tanto ba-sta per dire che non stupisce la scelta di Fran-cesco, nello stesso giorno in cui s’è fatto pel-legrino a Bozzolo per don Primo Mazzolari,di recarsi anche a Barbiana: anche qui inpreghiera su una tomba, in meditazione inuna chiesa e – nota da sottolineare – in quellascuola. Per dire ancora, determinato, occhinegli occhi ma dal vivo, con i ragazzi di allo-ra: «Voi siete testimoni della sua passioneeducativa, del suo intento di risvegliare nellepersone l’umano per aprirle al divino. Di quiil suo dedicarsi completamente alla scuola,con una scelta che qui a Barbiana egli attue-rà in maniera ancora più radicale… Ridareai poveri la parola, perché senza la parola nonc’è dignità e quindi neanche libertà e giusti-zia: questo insegna don Milani. Ed è la paro-la che potrà aprire la strada alla piena citta-dinanza nella società, mediante il lavoro, ealla piena appartenenza alla Chiesa, con unafede consapevole. Questo vale a suo modoanche per i nostri tempi…».

Renzo Salvi

42

RO

CC

A 1

5 O

TTO

BR

E 2

017

DON MILANI BARBIANA FRANCESCODOCUMENTI

Gesù Cristo in filmaro signor Cloche, la sua letterami ha molto rallegrato. Quasi nonsperavo in una risposta. Temo tut-tavia di essermi espresso male.Non avevo alcuna intenzione discrivere un film. Io le suggerivo

di scriverlo lei stesso oppure di incaricarequalcuno che ne sia capace.La mia preparazione è esclusivamente ec-clesiastica (rurale!) e non ho la più elemen-tare nozione d’arte o di cinema. Tutto quel-lo che potrei fare è di studiare uno sche-ma generale dal punto di vista catechisti-co e dell’apostolato.Per commentare il Vangelo non c’è poesiapiù alta che la scrupolosa ricerca scienti-fica del vero significato di ogni parola eatto del Signore. La scienza in altri casicosì fredda è qui calore di vita, la sola ca-pace di rianimare pagine morte, scritte inlingue morte, vissute in un mondo geogra-ficamente storicamente e spiritualmentelontano. Guardi la crocifissione: i quattroevangelisti ci dedicano un mezzo versettoappena. Non una parola d’indignazione,d’amore, di pietà, di fede. E ciò nonostan-te, è la loro fredda cronaca che da duemi-la anni incendia il mondo.Ed ecco alcune idee provvisorie.Affinché la vita di Gesù non sembri un se-guito di episodi staccati – Gesù non ha datoil suo insegnamento tutto d’un colpo, maha giorno per giorno studiato i suoi ascol-tatori e dosato le sue parole sulla loro ca-pacità progressiva di riceverlo – occorrerendere questa lotta quotidiana – control’indifferenza, il dubbio, l’incomprensione,la durezza di cuore e di testa dei suoi ascol-tatori – il filo conduttore della sua vita. Ba-sta mettere gli spettatori nei panni di Gesùe far loro vedere le reazioni sui volti degliebrei (folla, farisei, apostoli, Giuda ecc.).Entreranno così nel centro stesso dell’ani-ma di Cristo. Vivranno con Lui ansie, gio-ie, dolori… E sarà la più profonda cono-scenza di Lui che essi potranno avere.Le do alcuni esempi:Al principio Gesù non giudicò di poter pre-dicare diversamente dal Battista. Poi salìuno scalino col discorso della montagna.Durante questo tempo ha nominato il Re-gno. Dovette presto constatare che era sta-to frainteso. La parola aveva troppo in-fiammato le speranze temporali dei gio-

LorenzoMilani C vani. Allora Gesù dovette diminuire il loro

entusiasmo precisando che cosa il Regnoera nella sua intenzione (giornata delle pa-rabole del Regno).Ma, ciò nonostante, l’entusiasmo delle follecrebbe ancora. È sul punto di concretiz-zarsi nell’elezione di Gesù re. Allora Gesùfu forzato a dare il primo colpo dogmati-co col discorso del pane di vita. L’entusia-smo delle folle si spezza di colpo.L’apostolato in Galilea è finito.Possiamo misurare il dolore del Signore suivisi indecisi dei dodici restati. Non gli restache un anno di vita. Decide di concentraretutti i suoi sforzi sulla formazione dei do-dici che dovranno dopo la sua morte ripren-dere l’opera interrotta (spedizioni all’este-ro). Anche con loro la pedagogia di Gesù èpazientemente progressiva. Un colpo allabotte, un colpo al cerchio: a Banias li ubria-ca d’entusiasmo descrivendo loro la poten-za della Chiesa e immediatamente dopo liimmerge nella delusione dolorosa della pro-fezia della Passione.L’ultimo capitolo è l’apostolato in Giudea.Anche là il grande scandalo durante laFesta della Consacrazione, Gv 10.22. (Nelmio catechismo ne fo un episodio centra-le. Raggiungo questo fine conducendo iragazzi a cogliere l’enormità della bestem-mia di Gesù come se fossero dei farisei.Se si drammatizza bene il tentativo di la-pidazione e la conseguente fuga in Perea,l’importanza della dichiarazione dogma-tica si imprime nella memoria in modo in-cancellabile).Gli apostoli non dimenticheranno così pre-sto la paura che ebbero quella sera. Nonvivono a loro agio che lontano da Gerusa-lemme. Non vorrebbero correre rischinemmeno quando si tratta di salvare l’ami-co Lazzaro.Qualche settimana dopo si incammina perl’ultima volta verso Gerusalemme. Gli apo-stoli sono combattuti tra la paura e il co-raggio (Mc 10.32). Ma via via che constata-no il crescente entusiasmo popolare (cau-sato dalla resurrezione di Lazzaro, Giov12.18) la paura fa posto a una euforia in-fantile. A Gerico la folla è così grande cheZaccheo deve arrampicarsi su un albero, ilcieco grida la sua fede messianica.L’entusiasmo degli apostoli è tale che nonsi accorgono del dramma interno del loro

43

RO

CC

A 1

5 O

TTO

BR

E 2

017

Maestro. È una donna la sola che capisceche il festeggiato va alla morte (Giov 12.1).L’entusiasmo delle Palme si spenge nel re-cinto del Tempio, fortezza degli avversari.Solamente i ragazzi non avendo questamalizia continuano l’osanna. Nel silenzioprudente della folla il grano di frumento(Giov 12.24) dovrebbe strappare le lacrime.Il resto della Settimana Santa procede piùo meno come ognuno sa, ma il film potreb-be attardarsi a studiare la genesi psicologi-ca del crucifige: il buono preso alla sprov-vista, l’indifferente trascinato, il cattivo chesi sforza di dimostrare a se stesso che haragione. Quando vedremo sul Calvario de-serto l’ombra della Croce, l’indifferenza deipassanti sarà più tragica che mai perchédal momento che Egli è morto hanno laprova materiale che non era il Cristo.È strano, ma oggi è più facile che si credaGesù Dio che Gesù uomo. Il film dovrà farcapire a fondo che cosa significa in concre-to: la Parola si è fatta carne.Immagini di Palestina daranno un’idea piùprecisa che molte parole. Andare a fotogra-fare dal vero la fame che tormenta oggi laPalestina ci darà il più giusto sfondo allavita del Signore. Un popolo di schiavi, follesenza pane, bambini rachitici, ecco il mon-do che Gesù ha abbracciato.Il disoccupato e l’operaio d’oggi dovrannouscire dal cinema con la certezza che Gesù èvissuto in un mondo triste come il loro, comeloro ha lottato per un mondo migliore.Tocca a lei decidere se sarà meglio faretutto il film in prima persona (Gesù nel-l’obbiettivo) o se si potranno fare delle ec-cezioni. Nel secondo caso suggerisco lescene seguenti.- Gesù ragazzo a scuola: dieci o venti ra-gazzi sono seduti per terra. Lo spettatoresa che uno di loro è Lui, ma non sa quale.- La stessa scena sul Giordano: il Battistapunta il dito verso la folla: «Ecce agnusDei…». Tutti gli occhi si girano da questaparte per vedere il Cristo, il Re tanto atte-so. Infine anche l’obbiettivo inquadra quelpunto: nove o dieci visi di giovani pelle-grini sorpresi. Quale sarà Lui? Non si sa,uno qualunque di loro, non ha importan-za, ciò che ci interessa è che nel gruppoindicato dal Battista non si vede nulla dispeciale. Gesù è là, ma è talmente uomoche non si può riconoscerlo fra gli altri.- Stessa scena all’arresto: l’obbiettivo in-quadra i dodici visi. Se Giuda non avessepromesso di indicare Gesù non si sarebbepotuto riconoscerlo, ma quando Giuda simuove l’obbiettivo è già su di lui, scava neisuoi occhi (Gesù è di nuovo soggetto chesoffre cercando invano sul viso del suo in-felice amico un segno di ravvedimento).Queste tre scene o altre di questo genere

potrebbero impedire che il film dia l’im-pressione che Gesù abbia una carne diver-sa da quella degli altri personaggi.Al contrario si potrebbe forse presentarein scena Maria. Qualche episodio della suavita di orfanella a Nazareth potrebbe in-trodurci nell’ambiente ebraico l’attesa delCristo, la religiosità profonda che pervadetutta la vita di questo piccolo popolo d’al-tra parte così infelice, forse volgare, pri-mitivo, urtante, brutale per un’anima comeMaria.Ma nello stesso tempo la tristezza dei pec-catori senza speranza di perdono, dei pa-ralitici senza speranza di paradiso, qual-che invocazione o forse imprecazione alCristo che non viene, faranno capire allospettatore quanto l’ora fosse matura, ur-gente la necessità della Sua venuta (leggaper es. l’Ecclesiaste!!!).A proposito, sarebbe bene conoscere unodi quegli infelici fin dall’infanzia. Seguirein lui la nascita della fede. Affinché quan-do il miracolo spunterà non sia un episo-dio qualunque staccato dal contesto, maqualcosa di vivo (di nostro), d’atteso, qua-si di necessario.Si potrebbe anche studiare la possibilitàdi inserire (molto discretamente e di rado)la nostra preghiera nel racconto. È un ar-dimento usato qualche rara volta anche dalpadre Lagrange (e da qualche pittore delRinascimento e nel Passio di Bach, se nonmi sbaglio).Conosce la rivista «Fêtes et saisons»? Ci sivede alle volte delle foto della Palestina(numeri. 58, 50, 37 ecc.). Le cerchi, ne valela pena. E un film sarebbe tanto di più cheuna foto!Se al contrario non fosse possibile fare ilfilm in Palestina si potrebbe tentare unfìlm tutto differente: abiti moderni, visieuropei. L’esattezza scientifica solamentenello studio psicologico.Spero che lei abbia avuto la pazienza dileggere questa lunga lettera. Ripeto chenulla di quanto ci ha trovato deve esserepreso per definitivo o sufficientementemeditato. Ho scritto in fretta, il mio soloscopo era di incitarla a fare veramente ilfilm. Lei potrebbe fare tanto bene!Riprendo il mio catechismo; se crede dipotere in futuro servirsi della mia collabo-razione ne sarò felice. Se al contrario pre-ferirà servirsi di altri preti, lo faccia senzariguardi. Queste poche idee appartengo-no a lei, ne può fare quello che vuole.

Lorenzo Milani

[da Mauro Bortone, Tra parola e conflitto. La co-municazione in Don Lorenzo Milani, EdizioniUniversitarie Romane, Roma 2008, pp. 93-97].