Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

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ANTONIO ROCCA BOMARZO ERMETICA Il sogno di Vicino Orsini Comitato scientifico Gabriella Ciampi Alfio Cortonesi Luciano Osbat Leonardo Rapone Maurizio Ridolfi Matteo Sanfilippo SETTE CITTÀ 1

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study on esoteric renaissance

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ANTONIO ROCCA

BOMARZO ERMETICA

Il sogno di Vicino Orsini

Comitato scientifico

Gabriella CiampiAlfio CortonesiLuciano OsbatLeonardo RaponeMaurizio RidolfiMatteo Sanfilippo

SETTE CITTÀ

a Cecilia e Giancarlo

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isbn: 978-88-7853-324-0

isbn ebook: 978-88-7853-472-8

© immagini di archivio 2006 Sette Città.

Finito di stampare nel mese di marzo 2013 da pressup

Caratteristiche

Questo volume è composto in Minion Pro disegnato da Robert Slimbach e prodotto in formato digitale

dalla Adobe System nel 1989 e per le titolazioni in Sophia disegnato da Matthew Carter e prodotto in formato

digitale dalla Carter & Cone Type Inc. nel 1991; è stampato su carta ecologica Serica delle cartiere

di Germagnano; le segnature sono piegate a sedicesimo (formato 14 x 21) tagliate e fresate; la copertina è

stampata su carta patinata opaca da 250 g/mq delle cartiere Burgo e plastificata con finitura lucida.

SOMMARIO

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INTRODUZIONE di Marcello Carriero 9

PREMESSA 15

GIULIO CAMILLO DELMINIO 17

L’IDEA DEL TEATRO 20

IL TEATRO IMMAGINE DELL’UNIVERSO 22

LE RAGIONI DELLA RIMOZIONE 26

VICINO ORSINI 29

BOMARZO 34

DAL PALAZZO AL SACRO BOSCO 37

IL PIAZZALE EGIZIO 39

LE ISCRIZIONI 41

IL TEATRO 47

LA CASA PENDENTE 51

IL VIALE BASSO 54

LA DEA DORMIENTE E LA QUESTIONE DELLE DATE 58

IL PIAZZALE DI NETTUNO 61

LEPANTO 63

LA PANCA ETRUSCA 65

LA NOTTE DI SAN BARTOLOMEO 67

CERBERO, IL TERRAZZINO E PAN 70

APPARATO ICONOGRAFICO 73

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INTRODUZIONE

Lo strumento di ricerca scelto da Antonio Rocca per il suo studio

sembra essere quel “modello anarchico” prediletto da Eugenio Battisti.

Un modello di perfetta filologia che non fa credere a nessun dato riferito

senza averne le prove e non fa accettare mai le interpretazioni di altri

senza averne, di persona, ripercorso il ragionamento. Guardando con

attenzione all’interpretazione che Antonio Rocca dà del Sacro Bosco di

Bomarzo, il riferimento corre ancora a Battisti, nello specifico alla raccolta

di studi del 1962 intitolata l’antirinascimento intesa come ipotesi di

lavoro, più che come griglia di traguardi affermati. È infatti più che mai

appropriata l’applicazione del concetto di “antirinascimento” al Sacro

Bosco, groviglio di enigmi del tutto estranei alla chiara e proporzionata

visone prospettica rinascimentale. Il Parco, voluto e realizzato da

Vicino Orsini a metà del XVI secolo, è un episodio singolare e come

giardino ha la particolarità di rivelarsi più un luogo di memoria che

“locus amoenus”. Frutto di un progetto che non è non solo specchio

intellettuale del suo ideatore, il parco nel suo apparente disordine di

allegorie e suggestioni letterarie è un “iperluogo”.

“Se non gli stesse il mio bosco, io sarei solo in questo mondo” dice

l’Orsini in una lettera del 1583 quando, da vecchio, ripercorreva il

mondo che aveva costruito e animato.

Gli ultimi studi, che hanno il pregio di aver dato un nome all’autore

materiale delle sculture, Simone Moschino, anche se ricchi di interessanti

contributi sull’iconologia di questa speciale Arcadia, scomposta e

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onirica, orrifica e sorprendete, sembrano però non risolvere esaurientemente

l’anomalia di questo giardino, o il mistero che di questa anomalia

è conseguenza. La lettura iconologica preminente è stata sinora

riconducibile agli studi di Maurizio Calvesi e di Horst Bredeckamp che

hanno individuato le fonti letterarie a cui Vicino avrebbe attinto per

redigere gli episodi scultorei e le iscrizioni, ma nessuno, prima di Antonio

Rocca, è mai riuscito a dare un modello unitario e ideologicamente

coerente per l’intero parco di Bomarzo.

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10 MARCELLO CARRIERO

Esclusioni e aporie, leggerezze e sconcertanti approssimazioni hanno

lasciato in sospeso importanti questioni, popolando alcuni episodi

del parco di incognite a cui Antonio Rocca ha dato risposta.

La ricostruzione dei significati lungo un preciso tragitto segue, secondo

l’ipotesi di Rocca, un modello che sancirebbe la collocazione del

Sacro Bosco del tutto al di fuori della tipologia petrarchesca del giardino

come paesaggio allegorico chiuso e protetto e parimenti aperto a un

possibile viaggio interiore punteggiato di citazioni letterarie; il parco

sarebbe, al contrario, un dispositivo, un coerente edificio della conoscenza

universale. A Bomarzo non saremmo, quindi, dentro un rifugio

per la vita teoretica, bensì al cospetto di una rappresentazione spaziale

impostata su uno schema cognitivo e ideologico da utilizzare come Theatrum.

Il teatro di Bomarzo, secondo lo studioso, sarebbe quello ideato

da Giulio Camillo Delminio e costruito in pietra da Vicino Orsini.

Giulio Camillo Delminio, uno dei più noti umanisti veneti del primo

Cinquecento, cabalista e studioso di ermetismo scrisse il trattato

l’Idea del Teatro con l’intento di dare un’immagine alla totalità dello

scibile umano attraverso esempi corrispondenti a figure mitologiche.

L’ipotesi di Rocca sull’applicazione dello schema camilliano a Bomarzo

si basa sulla convincente ipotesi di anticipazione del momento ideativo

del parco e spiega come la sua organizzazione abbia fondamento nella

cultura ermetica.

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Lo studioso ritiene fondamentale il momento cruciale in cui Vicino

entrava in contatto con quelle idee che saranno più tardi espresse in

pietra, tra queste il concetto di statua parlante. Inserita a pieno nella

tradizione rinascimentale, l’idea della statua parlante poggiava in parte

sulla suggestione che le vestigia del passato potessero testimoniare l’età

dell’oro ma anche sulla convinzione che l’artificio, imitando la natura,

potesse animarsi certificando la definitiva trasformazione dell’artista

in creatore. Il periodo focalizzato è anche il tempo in cui una generazione

di intellettuali maturò le proprie idee liberamente a Venezia,

città eletta a nuovo Parnaso dopo il Sacco di Roma. La “pista veneziana”

proposta da Rocca si basa sul riscontro dei rapporti intrecciati tra l’ambiente

degli spirituali e la città lagunare, certificati dalla condivisione

di argomenti e trattati come il Beneficio di Gesù Cristo crocifisso verso

i cristiani di Marco Antonio Flaminio, amico fraterno di Giulio Camillo.

Rocca studia questo intreccio per svolgere una linea ideologica

che muove dalla tradizione neoplatonica e incrocia gli studi comparati

di cabala, mistica pagana e musulmana con lo scopo di trovare una

verità universale e, all’interno di questa linea, rileva l’importanza della

cultura pseudo-egizia di Vicino Orsini evidentemente riscontrabile

nel Parco di Bomarzo. Obelischi e sfingi sembrano qui poste a guardia

dell’itinerario iniziatico che Antonio Rocca propone come un nuovo,

rivoluzionario viaggio. Un viaggio che, oltre ad essere un prezioso contributo

alla storia delle idee, ha il pregio di indicare campi di ricerca

alternativi a quelli già noti.

Marcello Carriero

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Chi lavora per la verità non è nemico di Dio, qualunque

setta o religione professi, a qualunque cultura o nazione

appartenga.

Giulio Camillo, L’idea di eloquenza

Che nessuno osi ancora scrivere, pubblicare, stampare

o far stampare, vendere, comprare, dare in prestito, in

dono o con qualsiasi altro pretesto, ricevere, tenere con

sé, conservare o far conservare qualsiasi dei libri scritti

e elencati in questo Indice del Sant’Uffizio.

Indice dei libri proibiti

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PREMESSA

Un oblio secolare ha avvolto il Sacro Bosco di Bomarzo in modo assoluto

e improvviso. S’è riversato sul giardino come un’onda gigantesca

e inattesa, seppure, in qualche modo, presagita. Il silenzio e l’incomprensione

gravavano su Bomarzo già negli ultimi anni di vita di Vicino

Orsini, quando sull’uomo e sul suo mondo s’era allungata l’ombra di

una disfatta epocale.

Il tragico, che incombe su quei massi scolpiti, tracima la dimensione

estetica o ludica o letteraria. C’è una ferocia afona e persistente, un sentimento

di radicale sconfitta che è rimasto integro e sospeso tra quelle

creature di pietra. Sconfitta mantenuta in vita da una perfetta coltre di

indifferenza che è la testimonianza prima dell’entità della disfatta.

Il mondo di Vicino è stato annientato due volte. Annichilito dal partito

uscito vincente dal Concilio tridentino e, in seconda istanza, dalla

catastrofe della civiltà antica soppiantata da una modernità prosaica ed

efficiente.

Sempre le generazioni si sfidano, gli stili si susseguono, ma agli intellettuali

del Rinascimento maturo spettò un destino più crudele: essi

divennero improvvisamente incomprensibili. Furono smentiti proprio

quando speravano di aver tirato le fila dell’unico vero sapere, la scienza

universale in cui le epoche e le civiltà trovavano un comune denominatore

ed un senso unitario.

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Una massa straordinariamente vasta e articolata di conoscenze si è

sbriciolata all’insorgere prepotente di una cultura che delegittima in un

colpo immaginazione, sogno, fede e il pantheon delle autorità: Platone,

Aristotele, Ippocrate, Tolomeo…

Ciò che chiamiamo Modernità è stato, in primo luogo, un movimento

di sottrazione. I miti sono stati scarnificati, i racconti impoveriti.

Le complesse alchimie della cabala, il calcolo della qualità e della quantità

delle lettere, è stato sostituito dalla chimica. Dio stesso è divenuto

una macchina lontana, la cui unica funzione è quella di dare un colpo

al mondo per farlo partire.

La nascente ideologia tecnoscientifica presto darà vita a nuovi riti e

miti, il trionfo dell’Illuminismo e della borghesia avrebbe reso illeggibile per

secoli il codice ermetico. Solo il ‘900, col Surrealismo e il crepuscolo

del Moderno, poteva riscoprire ciò che era rimasto sotto gli occhi

di tutti. In modo lento ma costante artisti e poeti, scrittori e musicisti

sono stati attratti da Bomarzo. Attratti dall’enigma di cui si facevano

latrici quelle bizzarre creature di pietra.

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BOMARZO ERMETICA 17

GIULIO CAMILLO DELMINIO

Nonostante gli studi degli ultimi decenni, la figura di Giulio Camillo

resta confinata nell’angusto territorio degli addetti ai lavori. La

sua fortuna non è paragonabile a quella di molti suoi colleghi come

l’Ariosto o il Tasso, Erasmo da Rotterdam, Bembo o l’Aretino. Eppure

ciascuno di loro conobbe e celebrò il Delminio. Bembo e l’Aretino gli

chiedevano raccomandazioni presso il Re di Francia, l’Ariosto lo inserisce

nell’Orlando, il Tasso scrive che fu il primo dopo Dante ad aver

ricondotto la retorica al livello della poesia, Erasmo lo definisce il più

grande oratore italiano e ricorda i giorni nei quali vi condivideva la

stanza e talvolta anche lo stesso materasso1.

Il Delminio era notissimo anche nel mondo dell’arte: Tiziano e Salviati

illustrarono sue opere, Lorenzo Lotto gli fa da testimone quando

Sebastiano Serlio, con regolare atto notarile, nomina Giulio Camillo

suo erede universale. È impressionante constatare la potenza ibridante

del suo lavoro, ne ritroviamo tracce in trattati d’arte e architettura

come quelli dello Scamozzi, del Lomazzo e di Federico Zuccari.

Giulio Camillo era nato a Portogruaro, intorno al 1480. Al principio

del Cinquecento entra a far parte dell’Accademia Liviana, fondata da

Bartolomeo d’Alviano nel suo feudo di Pordenone. Tra gli ufficiali del

Liviani, il Delminio incontra Giancorrado Orsini, padre di Vicino.

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Dopo aver lungamente viaggiato per l’Italia, il Delminio, latinismo

per Dalmata, si stabilisce in Francia a partire dagli anni trenta. A Fontainebleau

lavora al progetto della sua vita, la costruzione di un dispositivo,

che chiama Teatro, in grado di ridurre a sintesi l’intero scibile.

Lontano dalla Penisola continua però a partecipare al dibattito politico

e religioso che animava gli anni che precedono il Concilio. La Chiesa

è divisa in due fazioni, gli zelanti del Carafa e gli spirituali, guidati dal

Pole, favorevoli a riaprire il dialogo con i riformati. Camillo si schiera

con questi ultimi e a più riprese interviene a favore di eretici e riforma

1 “Cum Iulio Camillo non nunquam eadem iunxit culcita”, Erasmo, lettera

dell’agosto 1535, in F. Scaramuzza, Giulio Camillo Delminio. Un’avventura

intellettuale nel ‘500 Europeo. Udine 2004, AGF. p. 159 n. 1 tori2.

Papa Paolo III Farnese, impegnato a consolidare le sorti del suo casato,

mantiene una posizione di relativa neutralità. Intanto, all’ombra

del cardinale Alessandro Farnese, viene costituendosi una cerchia di

aristocratici e intellettuali vicini alle posizioni dell’ecclesia viterbiensis

del cardinal Reginald Pole.

Camillo entra nella sfera d’influenza farnesiana ed è grazie ad un

intervento diretto del Pontefice che è tratto di prigione, dove era stato

rinchiuso, intorno al 1540, con l’accusa di aver praticato l’alchimia.

Il biennio 1541-1542 segna un inasprimento dello scontro interno alla

Chiesa. I teologi Marco Antonio Flaminio e il Contarini, entrambi legati

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a Camillo, pongono le basi per una riconciliazione con i luterani,

mentre il Carafa, nominato Grande Inquisitore, scatena la sua azione

contro gli spirituali.

Il conflitto attraversa anche gli ordini monastici, i teatini del Carafa

fronteggiano i cappuccini guidati da Bernardo Ochino. L’Ochino,

convocato dal Santo Uffizio, decide di fuggire all’estero mettendo a rischio

l’intero ordine dei cappuccini. Nello stesso 1542 il Delminio3 lo

raggiunge a Ginevra, forse tentando di ricondurlo in Italia. La lunga

permanenza di Camillo in città inquieta Calvino, che se ne lamenta in

una lettera: ”Habemus hic Julium Camillum, cuis tam diuturna mora

nobis nonnihilo suspecta4”. I sospetti di Calvino erano vani, l’Ochino

era deciso a non rientrare in Italia e ribadisce al cardinal Farnese e a

Girolamo Muzio, discepolo di Camillo, le motivazioni che lo avevano

indotto alla fuga, idee che aveva già espresso a Vittoria Colonna:

“Christo m’insegnò a fuggire più volte, in Egitto e alli Samaritani et

così Paulo, immo mi disse che io andassi in altra città quando in una io

non ero ricevuto. Dapoi che farei più in Italia? Predicar sospetto et predicar

Christo mascarato in gergo? Et molte volte bisogna bestemiarlo per

2 Una sua celebre orazione in difesa del monaco Pallavicino sarà, coraggiosamente,

pubblicata in Italia da Francesco Sansovino. Cfr. Scaramuzza, op. cit., p. 348

3 Secondo lo Scaramuzza, autore di un testo di sintesi fondamentale sul Delminio,

Giulio Camillo si sarebbe recato in Svizzera su incarico dello stesso Cardinale

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Farnese. Cfr. Scaramuzza, op. cit., pp. 492-93. 4 Scaramuzza, op. cit., p. 492

“satisfare alla superstizione del mondo. Et non basta, et ad ogni sgraziato

basterebbe l’animo scrivere a Roma, pontar me: ritorneremo presto alli

medesimi tumulti. E scrivendo manco potrei dare in luce cosa alcuna.5”

Rientrato in Italia, forte di una raccomandazione di Paolo Giovio,

il Delminio si mette al servizio del marchese d’Avalos, governatore di

Milano. Nel 1544, pochi mesi prima di morire, detta a Girolamo Muzio

una versione breve e priva d’immagini del lavoro condotto in Francia

per Francesco I: L’Idea del Teatro.

5 Lettera di Bernardo Ochino a Vittoria Colonna, 22.8.1542, in G. Bardazzi, Le rime

spirituali di Vittoria Colonna e Bernardo Ochino, p. 68, da «Italique», IV (2001), p. 68.

L’IDEA DEL TEATRO

I termini “idea” e “teatro” hanno subito nel corso dei secoli un radicale

cambiamento di significato. Nella parola “idea” riverberava la suggestione

positiva del concetto platonico di forma archetipica.

Le idee erano considerate espressione icastica del disegno divino.

Anche il termine “teatro” ha subito un notevole slittamento semantico.

Nel XVI secolo, in ambito scientifico, si utilizzava comunemente la

parola “teatro” per definire manuali enciclopedici caratterizzati da un

ampio ricorso a tavole illustrative. L’accezione, oggi divenuta un preziosismo

archeologizzante, fu molto praticata sino all’Illuminismo.

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Il libro di Camillo tuttavia si distingue da opere come il Theatrum

de beneficiis, de veneficiis, diabolicorum, fungorum, cometicum, orbis

terrarum…, in quanto il suo dispositivo si propone come un manuale

onnicomprensivo, il teatro dei teatri. Il Delminio voleva realizzare un

testo in cui davvero la dinamica dell’universo potesse essere messa in

scena, visualizzata in modo sinottico. Tentò persino di dare vita ad un

modello tridimensionale della sua macchina. In una lettera ad Erasmo,

Viglio parla di una costruzione ripartita in ordine e gradi, gremita di

immagini e piccole cassette piene di fogli, e prosegue:

“Egli chiama questo suo teatro con molti nomi, dicendo ora che è una

mente e un’anima artificiale, ora che è un’anima provvista di finestre.

Pretende che tutte le cose che la mente umana può concepire e che non

si possono vedere con l’occhio corporeo, possono tuttavia, dopo essere

state raccolte con attenta meditazione, essere espresse mediante certi

simboli corporei in modo tale che l’osservatore può, all’istante, percepire

con l’occhio tutto ciò che altrimenti è celato nelle profondità della mente

umana. E appunto a causa di questa percezione corporea lo chiama un

teatro.6”

Nella lettera Viglio, sorprendentemente, parla di un anfiteatro.

6 Lettera di Viglio a Erasmo, Erasmus, Epistolae, X, in Yates, op. cit., p. 123

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Forse Giulio Camillo stava anticipando il theatrum anatomicum, aula ad

anfiteatro in cui era possibile assistere alla dissezione dei cadaveri. Il

theatrum anatomicum costituiva una formula di compromesso tra la

scientificità del trattato di anatomia e il teatro vero e proprio, in quanto

prevedeva una sorta di scena riservata ad un singolo attore. È possibile

che il Delminio avesse pensato di costruire una struttura centripeta, al

cui interno il filosofo potesse sezionare i misteri del cosmo.

La scienza antica e quella moderna si muovevano all’interno di un

medesimo orizzonte e, almeno in un caso, erano destinate ad incontrarsi

nella stessa aula universitaria. Nel 1540, nella facoltà di medicina

di Bologna, il Delminio era presente ad una necroscopia operata da

Vesalio, padre dell’anatomia moderna. L’uno era intento a perfezionare

la sua mirabile macchina, l’altro, nell’aprire cadaveri, uccideva il corpo

vivo del sapere aristotelico. Camillo avrebbe completato l’Idea del

Teatro quando erano ancora freschi di stampa il De humani corporis

fabrica di Vesalio e il copernicano De revolutionibus orbium coelestium,

usciti contemporaneamente nel 1543. Nessuno allora poteva vedere il

nesso tra quei testi, intuire come la lacerazione del mitico e mistico

rapporto tra corpo e universo, tra micro e macrocosmo, avrebbe finito

col devastare l’intero tessuto epistemico che, sin lì, aveva mantenuto

vitale uno stesso orizzonte ben al di là delle polemiche, pur durissime,

tra l’una e l’altra scuola che in esso trovavano spazio.

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IL TEATRO IMMAGINE DELL’UNIVERSO

Immagini profane come la piramide raffigurata nelle banconote

americane o la copertina di The dark side of the moon dei Pink Floyd ci

aiutano a comprendere lo schema dell’universo neoplatonico. Un raggio

di luce passa attraverso un triangolo e si apre a prisma dando vita ad

un arcobaleno. Dio è il fascio di energia creante che muove dall’iperuranio

e si diversifica, rimanendo uno, nella regione celeste.

La rivoluzione scientifica e la filosofia kantiana hanno conferito a

termini come “metafisico” e “iperuranio” un’accezione negativa o, nella

migliore delle ipotesi, meramente simbolica. Ma per i neoplatonici

l’iperuranio, il sovraceleste, è una regione collocata oltre la sfera dei

cieli. La metafisica è ciò che rende possibile il fisico, ciò che lo sostiene

sostanzialmente.

La luce non si vede ma rende visibile, la luce rimbalza contro le superfici

riflettenti, comportandosi come un solido, ma attraversa quelle

trasparenti, come fosse immateriale. La luce riscalda e illumina, non

ha colore eppure contiene in sé tutti i colori. Dio è la coincidenza degli

opposti, l’invisibile è il visibile in quanto lo sostanzia:

Stai forse per dire: «Dio è invisibile»? Bada a come parli. Chi è più

visibile di Dio? Egli ha creato tutto, affinché tu potessi vederlo in tutto.

Questa è la bontà di Dio, questa la sua virtù: manifestarsi attraverso la

totalità degli esseri. Non c’è niente infatti d’invisibile, neppure tra gli

esseri incorporei. L’intelletto si rende visibile nell’atto di pensare, Dio

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nell’atto di creare.7

Dio è rappresentato da un triangolo, che i cristiani intesero come

immagine della trinità mentre nella cabala simboleggia i suoi tre nomi

inconoscibili, le tre sephiroth maggiori. Il triangolo, o pyramidion, è il

vertice di una piramide che è raffigurata come un triangolo equilatero

composto da dieci punti. I pitagorici chiamavano questa figura tetractis,

7 Ermete Trismegisto, Corpo ermetico, XI 22

In quanto ogni lato presenta quattro punti. La piramide, d’ascendenza

egizia, pitagorica, cabalista e cristiana, è considerata sacra anche dai

neoplatonici8. La centralità della tetractis nella cultura ermetica deriva

dalla sua capacità di suggerire l’unità di fisico e metafisico. Il vertice

divino, costituito da tre punti apicali, si connette con le sette colonne

dell’universo. La regione celeste si chiude con una base quaternaria che,

nella sfera sublunare, innesca il gioco dei quattro elementi.

Coerentemente con i principi della teologia negativa, secondo cui

non era dato conoscere la natura dell’ultraceleste, Camillo non descrive

nel suo Teatro il triangolo mistico, ma prende a mappare il cosmo a

partire dalla sfere celeste. Dal momento in cui è possibile distinguere

l’articolazione modale dell’unità indistinta in sezioni d’onda discreta,

dal momento in cui il fascio di luce disvela la natura cromatica del rispettivo

segmento energetico.

Il dio musicista della cultura ermetica compone tutta la musica del

mondo utilizzando sette note, ad esse corrispondono altre fondamentali

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Page 19: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

come le sette vocali greche, i giorni della settimana o i pianeti tolemaici:

Luna, Marte, Mercurio, Giove, Venere, Saturno e il Sole. Il raggio

di sole, normalmente rappresentato da un obelisco, è lo sguardo di Dio

che penetra la regione celeste per illuminare la terra. Il raggio di sole è

l’occhio di Dio nel centro del triangolo.

Ad ogni cielo, o pianeta, corrisponde uno dei quattro elementi sublunari:

acqua, terra, fuoco e aria.

A sua volta ogni elemento è collegato con una stagione, uno stato

fisico, un carattere e uno degli umori fondamentali: bianco, nero, rosso

e giallo.

Date queste premesse si comprende la complessità dell’interrelazione

tra fisica, astrologia e medicina. La scienza rinascimentale riteneva

che gli astri potessero attivare un moto di repulsione o attrazione sugli

elementi e gli umori vitali. Un buon tema natale comportava equilibrio

armonico, definito “eucrasia”, la disarmonia era detta, invece, “discra

8 L’eroe della Pugna d’amore in sogno di Polifilo, capolavoro della letteratura

neoplatonica e fonte iconografica del Sacro Bosco, s’imbatte in una piramide al

principio delle sue peregrinazioni alla ricerca dell’amata Polia, e una Piramide è

il primo simbolo di cui si serve Camillo per rappresentare il sole nella sua mappa

cognitiva dell’universo.

sia”. Su tali basi la medicina aveva fondato una teoria dei tipi, cui ci si

affidava per riconoscere i caratteri e per elaborare la cura.

Il tipo malinconico o saturnino denunciava prevalenza di umore

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nero, era considerato pallido, avaro, triste e geniale.

Un eccesso di umore giallo, detta bile, caratterizzava il tipo collerico,

che aveva il suo punto debole nel fegato. Il bilioso era generoso,

superbo, magro e con un bel colorito.

Il flemmatico con un’eccedenza di umore bianco, detto flegma, era

considerato lento, sereno e talentuoso.

Il tipo sanguigno, gioviale, era sotto la predominanza dell’umore

rosso ed era riconoscibile per il buon carattere, per la dedizione al cibo

e al sesso.

Il tema natale, l’irripetibile miscela degli elementi che caratterizza

ogni singolarità, condiziona gli individua ma non nega il libero arbitrio.

Ogni uomo è un frammento di Dio, un dio smarrito nel mondo,

se saprà ritrovare la strada di casa potrà dominare gli influssi astrali.

La conoscenza è dunque strumento di salvezza e in questo cammino il

Teatro di Giulio Camillo si propone come una mappa preziosa.

Il congegno è molto semplice ed è dato dall’incrocio di due linee

base. Nel segmento latitudinale Camillo dispone sette caselle dedicate

sincreticamente ai fondamentali della cultura classica, ebraica e cristiana:

le sephirot minori, gli arcangeli e i pianeti tolemaici. Nell’asse

longitudinale descrive, invece, sei gradi di sviluppo attraverso i quali

l’energia celeste si fa mondo.

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Page 21: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

Una volta entrato nella regione sublunare, o terrestre, il prisma energetico

avoca i quattro elementi secondo dinamiche differenti per ogni

punto nel flusso. La sezione d’onda che esprime Marte tenderà ad inverarsi,

principalmente, sotto forma di fuoco. L’energia lunare attrarrà

l’acqua, Giove l’aria, Saturno invece la terra. Come un accordo musicale,

ogni entità è però composta da più elementi.

In un primo momento, scrive Camillo, le energie si incontrano.

Questo grado è detto Convivio.

Nella fase successiva, Antro delle Ninfe, gli elementi appaiono in

un’unica tessitura materica. Nel terzo grado, Gorgone, fa la sua comparsa

l’anima, che nel quarto grado, Pasifae e il toro, si lega al corpo.

Negli ultimi due momenti, Talari di Mercurio e Prometeo, vedono la

luce attitudini e tecniche.

L’intreccio delle sette colonne e dei sei gradini evolutivi dà vita ad

una sorta di griglia, composta da 42 caselle9, in cui il Delminio ha collocato

delle immagini col duplice intento di favorire la memorizzazione

e di celare, agli occhi dei profani, il significato ermetico del suo lavoro.

9 Cui vanno aggiunte le sette case dedicate ai pianeti, che vanno considerate come

una sorta di grado zero.

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Page 22: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

LE RAGIONI DELLA RIMOZIONE

Il Delminio fu un autore celebre, il suo Teatro ha avuto innumerevoli

critici ed imitatori, eppure, per secoli, di Giulio Camillo e del suo

lavoro si è praticamente persa memoria. L’opera di Vicino Orsini fu, a

paragone, indubbiamente meno nota tra i contemporanei, tuttavia desta

meraviglia l’assoluto silenzio nel quale il Sacro Bosco ha attraversato

la Modernità.

Troppo grande la soluzione di continuità tra la cultura rinascimentale,

ancora divisa in platonici ed aristotelici, e il mondo che emergerà

dalla rivoluzione scientifica. Il Seicento ha determinato le condizioni

per una catastrofe sistemica dell’intero quadro epistemologico sin lì

conosciuto. È una rivoluzione che muta la percezione dello spazio, del

tempo, della parole. Persino la stessa parola ‘rivoluzione’, che era stata

figura di un divenire ciclico, tradisce se stessa e viene ad avere il significato

di un balzo che spezza l’eterno ritorno del medesimo. La ruota

mette i denti e comincia a mordere il mondo, imprimendo ovunque il

segno del suo passaggio. Ne emergerà un paesaggio in cui non c’è posto

per il sogno ermetico.

Al Teatro del mondo di Giulio Camillo, Descartes ha sostituito un

sistema di assi utile ad individuare astratte entità geometriche. Mentre,

di là della Manica, Francis Bacon pone tra i maggiori ostacoli allo

sviluppo della scienza “l’idolo del teatro”, il miraggio di un sistema in

cui non è possibile discernere tra filosofia, scienza e religione. Probabilmente

Bacon sta riferendosi a Camillo, certamente la civiltà di Camillo

22

Page 23: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

tramonta quando l’Idea del teatro è ridotta ad idolo. Qui risiedono le

cause di una così lunga fase di oblio, ma, nell’immediato, ciò che ridusse

al silenzio e all’incomprensione la cultura di Vicino e di Camillo fu

il conflitto con gli Inquisitori.

Gli zelanti artefici della Controriforma intuivano la pericolosità teologica

e politica rappresentata da un dispositivo come quello di Camillo.

Scopo del Teatro era sottolineare l’unitarietà profonda tra la filosofia

pagana, la religione cristiana e la cabala ebraica. I neoplatonici

erano persuasi che la storia del pensiero filosofico e religioso fosse una

variazione continua su un medesimo tema. Un’unica tradizione congiungeva

i prisci theologi ai contemporanei Cusano e Bessarione, ultimi

interpreti dell’eredità di Plotino e Dionigi l’Aeropagita, di Agostino e

Avicenna.

“Chi lavora per la verità – avrebbe scritto Giulio Camillo – non è nemico

di Dio, qualunque setta o religione professi, a qualunque cultura o

nazione appartenga.10”, questo tipo di apertura sincretica, che all’epoca

fu detto irenista, non poteva che entrare in conflitto con l’integralismo

delle parti in lotta.

Gli irenisti, abituati a riconoscere elementi comuni tra culture molto

distanti, si posero quasi naturalmente tra quanti erano propensi al dialogo.

Giulio Camillo, in particolare, fu molto legato a Marco Antonio

Flaminio, coautore di un testo in cui si ponevano le basi per ricomporre

l’unità dei cristiani. Il Trattato utilissimo del beneficio di Giesù Christo

crocifisso verso i cristiani dislocava l’attenzione dalla questione della

23

Page 24: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

salvezza per opere o per fede, ripartendo dal potere salvifico e universale

derivato dal sacrificio del sangue di Cristo. Un’opera pericolosissima

per il Santo Uffizio che ne ordinò la distruzione.

Detto ciò è importante comprendere che gli irenisti erano irriducibili

all’ortodossia cattolica, tanto quanto lo erano ai nuovi dogmi protestanti.

Sensibili alla cultura ermetica e cabalista, uomini come Giulio

Camillo o Egidio da Viterbo, padre generale degli agostiniani, avrebbero

potuto condividere e certamente condividevano molte delle richieste

che Martin Lutero, agostiniano a sua volta, aveva avanzato, tuttavia rimaneva

tra i due fronti una distanza incolmabile. L’ antropocentrismo

radicale di Ficino e Pico della Mirandola affonda le sue radici nella tradizione

ermetica. Lo stesso incipit dell’ Orazione sulla dignità dell’uomo

è un richiamo all’Asclepio:

Rispettabilissimi Padri, ho letto, nei testi Arabi, che Abdallah saraceno

interrogato su che cosa, in questa sorta di scena del mondo, considerasse

sommamente mirabile, rispose che non scorgeva nulla di più

mirabile dell’uomo.

10 G. Camillo, L’idea di eloquenza, in F. Scaramuzza, op. cit., p. 269

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Page 25: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

Con questo detto concorda la frase di Mercurio:

Grande miracolo è, o Asclepio, l’uomo.11

Citazione da un passo che merita di essere letto per intero:

O Asclepio, grande miracolo è l’uomo, essere degno di reverenza e

d’onore; egli si spinge infatti verso la natura divina, quasicché egli stesso

sia un dio; egli è familiare con la stirpe dei demoni, poiché sa di avere con

essi comune origine; egli disprezza quella parte della sua natura che è

solo umana, riponendo ogni sua speranza nel carattere divino dell’altra

parte.

12

L’ermetismo è equidistante da Riforma e Controriforma, fratello negletto

della rivoluzione scientifica ha continuato a condurre il potere

seminale del suo messaggio radicalmente umanista, nella clandestinità,

servendosi di società massoniche e di riti esoterici. In qualche occasione,

come dimostra la piramide nella banconota da un dollaro, ha

ottenuto notevoli risultati.

11 Pico della Mirandola, Oratio de hominis dignitate, 1486

12 Ermete Trismegisto, Asclepio, VI

13 Cfr H. Bey, Geroglifici e denaro, in Il giardino dei cannibali, Shake, 2010. pp.

114-115. Nel medesimo testo c’è anche un interessantissimo saggio su Bomarzo:

Oniricografia, nel paesaggio di sogno di Polifilo

25

Page 26: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

VICINO ORSINI

Pierfrancesco, detto Vicino, nasce a Roma nel 1523 da Giancorrado

e Clarice Orsini. Il padre è cugino di Bartolomeo d’Alviano ed è considerato

da Calvesi quasi un alter ego del celebre condottiero. La madre

appartiene, invece, al ramo degli Orsini di Castello, alleati e parenti dei

Medici.

Vicino trascorre la sua infanzia alla corte di Clemente VII Medici,

cugino del cardinal Franciotto Orsini, nonno di Vicino. Il cardinal

Franciotto è tra i pochi che durante il Sacco di Roma del 1527 può

riparare, assieme al Pontefice, nella imprendibile fortezza di Castel

Sant’Angelo.

Vicino era allora un bambino di quattro anni e quattro anni era durata

la felice stagione del mecenatismo di Clemente; ad alcuni era parsa

una nuova primavera, era invece un’estate di San Martino recisa dalle

picche dei mercenari luterani rimasti senza capo e senza paga.

Forse le cose sarebbero andate diversamente se Benvenuto Cellini

non avesse ucciso Carlo III di Borbone, capitano delle truppe inviate

da Carlo V. Cellini faceva parte dell’ampia schiera di artisti richiamati

a Roma dal progetto di rinascita promosso da Clemente. A seguito del

Sacco tutti lasciarono la città. Rosso Fiorentino va a Fontainebleau dove

incontra il Delminio, Jacopo Sansovino, col figlio Francesco, parte alla

volta di Venezia.

26

Page 27: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

Anche Vicino si allontana da Roma. Si suppone che abbia trascorso

la giovinezza tra la corte medicea, i territori della Serenissima e la

Tuscia. Sul finire degli anni trenta Roma non si era ancora ripresa dal

dramma del Sacco e molti aristocratici ripiegarono nel più sicuro entroterra.

La Tuscia era un territorio reso sicuro dall’accordo tra le due

famiglie dominanti: i Farnese, allora al Soglio con Paolo III, e l’antica

dinastia degli Orsini.

Viterbo in quel periodo giocò un ruolo molto importante nello scacchiere

politico della Penisola e non solo. Vi risiedono il Pole, membro

della famiglia reale inglese, e Vittoria Colonna che, oltre ad appartenere

ad una delle più antiche e potenti famiglie romane, poteva vantare il

titolo di Marchesa d’Avalos. Suo marito, in qualità di comandante delle

truppe imperiali, nella battaglia di Pavia aveva fatto prigioniero il re di

Francia e consegnato l’Italia agli spagnoli.

Accanto al Pole a alla Colonna s’erano schierati alcuni degli uomini

più brillanti e potenti dell’epoca. Tra gli altri spiccavano i nomi di Bernardo

Ochino e di Pietro Carnesecchi, appartenente alla casa Medici e

protonotario apostolico.

Nel 1541, Vicino è a Viterbo per assistere alla rappresentazione di

una commedia a lui dedicata, la Cangiaria. Allo spettacolo sono presenti

il Pole e Vittoria Colonna. Nello stesso anno gli spirituali stavano

ottenendo un risultato che avrebbe potuto cambiare le sorti della

storia. Nella Dieta di Ratisbona, fortemente voluta dall’Imperatore, i

teologi cattolici e quelli protestanti avevano trovato un accordo. La tesi

27

Page 28: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

era talmente avanzata che il Papa fu costretto a disconoscere i risultati

di Ratisbona. Di più, l’ala intransigente ottenne l’istituzione del Santo

Uffizio. A partire dal 1542 comincia l’accerchiamento ai membri della

cosiddetta ecclesia viterbiensis. Bernardo Ochino, come abbiamo visto,

ripara all’estero, il Carnesecchi sarà giustiziato, il Pole inquisito, Vittoria

Colonna si salva solo in virtù della sua prematura scomparsa. Ma,

nel 1542, Vicino è già tornato a Venezia.

Nella città lagunare il suo destino si lega a quello di Giulio Camillo.

Il cerchio delle comuni frequentazioni si salda nel gruppo d’intellettuali

radunati attorno a Gabriele Giolito de’ Ferrari, figura invisa all’Inquisizione

per aver pubblicato testi in odore di eresia. Per l’eterodosso

editore, assieme al bomarzese Fortunio Spira, lavorarono: Giuseppe Betussi,

Ludovico Domenichi, Francesco Sansovino, Bernardo Tasso e il

Molza. Sappiamo che tutti questi autori furono connessi col Delminio

e che tutti ebbero rapporti con Vicino.

Gran parte delle informazioni sulla vita dell’Orsini a Venezia le ricaviamo

da un libello a lui dedicato: Il Raverta, scritto da Giuseppe

Betussi per Giolito. Il testo prende il suo nome dal vescovo Ottaviano

Della Rovere, detto Raverta, che era a sua volta intimo di Giulio Camillo.

Betussi immagina che il Della Rovere dialoghi con la poetessa Franceschina

Baffo e Ludovico Domenichi. Per ben due volte i personaggi

si ritrovano a parlare di Giulio Camillo, iterazione che sarebbe stata

fuori luogo qualora non ci fossero stati contatti diretti tra il dedicatario

dell’opera e il Delminio.

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Page 29: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

Nel 1544 cambia tutto: Giulio Camillo muore e Vicino si sposa con

Giulia Farnese. Era stato un matrimonio politico. Gli Orsini controllavano

gran parte del Lazio settentrionale, avevano castelli e casate a

Bracciano, Monte Rotondo, Pitigliano, Mugnano…, i Farnese erano

una potenza emergente. Paolo III Farnese stava ponendo le basi del ducato

di Castro e di Parma. L’accordo si concludeva sotto la supervisone

del potentissimo cardinale Alessandro Farnese che, dal castello di Caprarola,

s’era fatto arbitro dei destini della Tuscia.

Vicino era giunto a Roma assieme alla sua amante, Adriana della

Roza, morta improvvisamente dopo pochi mesi. In una lettera del

gennaio ‘44, Giuseppe Betussi, nell’esprimere cordoglio per la perdita

dell’amante, non rinuncia a consolare l’amico ricordandogli i grandi

vantaggi derivati dal suo matrimonio:

Se altro non s’havesse trovato da questa perdita, è nato almeno che

non è riputato da poco, ma assai, che vi siete congiunto di congiugale et

onesto amore con quella Ill. Giulia Farnese, et con così saldo legame, che

non si potrà scorre per altro, che per morte. È adunque poco questo? Sete

unito a sì nobile famiglia, & vi sete fatto figliuolo, non che parente, di

un tanto Pontefice. Et era ben dritto , che due si fatti legnaggi si fossero

congiunti, che partoriranno ancora al mondo di quei famosi Heroi, de

quali tal città gode di essere stata tante volte madre. Perche mi rallegro

molto di sì felice acquisto: come anco poco mi sono attristato della primiera

perdita.14

Nel ’45 Vicino è ancora a Roma, chiamato a dirimere una controversia,

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Page 30: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

sorta tra Sangallo e Michelangelo, su questioni di architettura

militare. Evidentemente per l’Orsini era stata segnata una carriera che

ripercorresse quella del padre, Giancorrado, compagno d’arme di Bartolomeo

d’Alviano. Il biennio 1546-47 lo trascorre a fianco dell’Imperatore,

nella campagna contro la lega di Smalcalda. Tornato dalla Germania,

può mettere mano ai lavori di ammodernamento del palazzo,

cui era legato da vincoli testamentari, solo a partire dal luglio del 1548

14 Giuseppe Betussi a Vicino Orsini, 20 gennaio 1544. L’intero epistolario di Vicino

Orsini è riportato in appendice nel fondamentale testo di H. Bredekamp, Vicino e

il Sacro Bosco di Bomarzo, Roma, Edizioni dell’elefante, Roma 1985.

Quando, raggiunti i venticinque anni, entra in possesso della sua eredità.

Intanto aveva lasciato Venezia, alla volta di Firenze, il suo vecchio

amico Ludovico Domenichi. Questi, alla fine del decennio, entra in

possesso del manoscritto inedito dell’Idea del Teatro e, nell’aprile del

1550, dà alle stampe il capolavoro di Giulio Camillo. Il testo conobbe

un notevole successo, tanto che Ludovico Dolce, per Giolito, ne curò

una seconda edizione già nel 1552. Immediatamente sorsero cicli pittorici

ispirati all’Idea. Restano tracce di questi interventi nel trattato del

Taegio, La Villa (1559), e nella romana galleria Spada. Ma il progetto

bomarzese era decisamente più ambizioso: Vicino voleva tradurre in

pietra l’intero Teatro.

Nel barco, l’area di caccia nella quale l’elemento selvatico prendeva il

sopravvento su quello geometrico dominante nel giardino all’italiana,

30

Page 31: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

la forte pendenza del terreno e la presenza di massi erratici costituivano

uno scenario perfetto per mettere in scena il grandioso teatro del mondo

ideato dal Delminio. Nasce così il Sacro Bosco.

Già nel 1552 Vicino firma e data il completamento della prima fase

dei lavori. Segue una lunga pausa. Vicino partecipa ad una sfortunata

campagna contro l’Imperatore e trascorre il biennio 1553-55 nelle carceri

francesi. Nel ’56, per conto dei Farnese, torna in Francia e a Fontainebleau

può vedere la reggia dipinta con suggestioni iconografiche tratte

da Giulio Camillo. L’anno seguente partecipa al massacro di Montefortino.

È la sua ultima azione militare. Nel ’58 è a Firenze in missione

diplomatica presso i Medici, quindi, a trentacinque anni, si ritira dalla

scena pubblica.

Il decennio si chiude con l’istituzione dell’Indice dei libri proibiti.

Cadono sotto il duro controllo dei funzionari romani interi rami dello

scibile: tutti i libri di astrologia e magia, tutti i testi editi da stampatori

protestanti, l’intera opera di autori come Erasmo e Rabelais.

L’Index e il controllo dell’Inquisizione, che non risparmiava le lettere

private, renderà sempre più opaco il linguaggio epistolare e, di conseguenza,

complicherà il lavoro di individuazione delle fonti.

Vicino difficilmente indica il titolo dei libri che avidamente richiede

ai suoi amici. Talvolta gli sfugge una citazione, e si tratta di autori

proibiti come Rabelais o Cornelio Agrippa. Spesso preferisce parlare di

autori stravaganti, mentre sdegna altri testi che potrebbero piacere ai

31

Page 32: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

‘chietini’. I chietini sono i teatini, l’ordine che deve il nome all’episcopus

theatinus, ovvero il vescovo di Chieti, il cardinal Gian Pietro Carafa.

Il Carafa fu il vero stratega della Controriforma, ma i pontefici non

apportarono soluzioni di continuità. Pio IV si è reso responsabile del

più grande eccidio della Controriforma italiana. A Guardia Piemontese,

in quattro giorni dell’estate 1561, furono uccisi duemila abitanti da

bande di irregolari pagate venti ducati per ogni eretico vivo e dieci per

ogni morto. Grande Inquisitore era il Ghislieri, successore di Pio IV e

santificato col nome di Pio V.

Non v’erano dunque le condizioni perché Vicino potesse considerare

un ritorno alla vita politica o militare. Nel 1573, due anni dopo la

battaglia di Lepanto in cui aveva perduto il figlio Orazio, scrive:

Hora sia come voglia io amo più starmene in questi boschi che immerso

nelle fallacie et ambizioni delle Corti, et massime in quella di Roma.

15

C’è un nuovo pontefice, Gregorio XIII, ma nulla è cambiato. Vicino

non lascerà più Bomarzo e qui morirà il 28 gennaio del 1585.

15 Vicino Orsini a Giovanni Drouet, 14.8.1573.

32

Page 33: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

BOMARZO

All’epoca di Vicino, Bomarzo costituiva un organismo bilanciato,

organizzato attorno a due poli: il palazzo e il parco, uniti dal borgo e

dal giardino.

Dal castello, l’Orsini osservava la valle del Tevere e il bosco. Nelle

terrazze che circondavano i suoi appartamenti, ora ripartite tra uffici

comunali e case private, ci sono iscrizioni utili a comprendere il progetto

di Vicino.

La prima è collocata in una nicchia dell’ala orientale:

NOSCE TE IPSUM

SIC

NON VIRI LOCIS

VINCE TE IPSUM

ERIS

SED LOCA VIRIS

VIVI TIBI IPSI

33

Page 34: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

FELIX

HONESTANTUR

Conosci te stesso, vinci te stesso, vivi per te stesso. Così sarai

felice. Nella rilettura di Vicino il motto socratico s’accompagna

ad una fiera dichiarazione di autosufficienza. Non sono gli uomini

che acquisiscono onore dai luoghi, ma i luoghi in virtù degli

uomini. Prepotente emerge l’orgoglio dell’Orsini e la sua determinazione

a trasformare un piccolo e povero feudo di provincia

in qualcosa che i suoi parenti, nelle corti di Roma e Firenze, non

avrebbero neppure saputo immaginare.

Oltrepassato l’appartamento, nella cui stanza privata c’è un mirabile

e integro reticolo di lesene in maiolica su cui campeggia la sigla di Vicino,

è possibile raggiungere la terrazza esposta sul lato occidentale. Qui

troviamo due epigrafi, entrambe inscritte all’interno di un falso arco

a tre fornici. Il precedente iconografico di questa struttura tripartita

è in una tavola dell’Hypnerotomachia Poliphili. Come Polifilo nel suo

giardino incantato, l’ospite di Vicino deve scegliere quale porta attraversare.

BENE VIVERE ET LAETARI

MEDIVM TEN V ERE BEATI

E(DE) B(IBE) E(T) LUDE

POST MORTEM NELLA

VOL(UPTAS)

34

Page 35: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

SPERNE TER(RENA)

POST MOR(TEM) VERA

VOL(UPTAS).

Per raggiungere una vita lieta, la via di Vicino passa per una soluzione

mediana tra gli eccessi biblici del re Sardanapalo (mangia, bevi

e divertiti, dopo la morte non c’è alcun piacere) e il disprezzo dei beni

terreni (disprezza i beni terreni, dopo la morte c’è il vero piacere) 16.

Nella parete EST, un nuovo quesito.

DIRIGE GRESSUS MEOS D(OMI)NE

QUID ERGO

SAPIENS DOM(IN)ABITUR

ASTRIS

FATO PRUDENTIA MINOR

Anche in questo caso l’argomentare procede per frasi contrapposte,

la prima dichiara il primato del sapiente sugli astri, la seconda il predominio

incondizionato del fato sull’individuo. Le asserzioni alternative

sono separate dall’interrogativo quid ergo, cosa dunque? L’iscrizione

apicale affronta l’aporia della ragione affidandosi alla guida del Signore

nel cammino individuale.17

35

Page 36: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

È un cammino difficile, irto di ostacoli. La struttura del cosmo neoplatonico

non sembrava lasciare spazio alla libertà del singolo. Il tema

natale, ovvero la posizione nel flusso energetico al momento della generazione,

non solo influenza la morfologia fisica e il carattere degli

individui alla nascita, ma predeterminava opportunità e vincoli. Occasioni

che si innescavano con la logica rigorosa di un sistema meccanico.

Il gioco dei pianeti e dello zodiaco poteva aprire porte o dare vita ad

16 Terrazzo a Sud-Ovest, parete Nord

17 Terrazzo a Sud-Ovest, parete Est

imprese sfortunate in quanto poste sotto una cattiva stella. Qualunque

cosa, anche intraprendere un viaggio, un’attività o un matrimonio, appariva

soggetta ad influenze provenienti dal quadro astrale.

Si comprende, quindi, come l’interrogativo posto da Vicino fosse

tutt’altro che ozioso. E, avvalendoci di un’immagine moderna, potrebbe

essere così riformulato: se il cosmo è simile ad una tastiera in cui le

ottave sono composte da sette note e da dodici tasti, sette come i giorni

o i pianeti e 12 come i mesi o le costellazioni dello zodiaco, come può

l’individuo trovare la propria linea melodica o accordo, senza essere

schiacciato da un meccanismo immenso che procede con la logica spietata

di un carillon?

Il palazzo pone i quesiti che il Sacro Bosco deve affrontare, gli appartamenti

di Vicino sono il motore intellettuale di quel sistema perduto

che era Bomarzo.

36

Page 37: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

DAL PALAZZO AL SACRO BOSCO

L’abitato di Bomarzo si estendeva verso meridione, nella direzione

di Viterbo. Nel versante nord-occidentale del Palazzo, quello rivolto al

Sacro Bosco, la rupe della fortezza digradava rapidamente verso il giardino

che arrivava sino al fondo della valle.

Già all’epoca dei Lante, a partire quindi dal 1600, il giardino lascia

il posto a coltivazioni. In particolare, i documenti parlano di un frutteto18.

Ma alla metà del Cinquecento, a Bomarzo come a Bagnaia e Caprarola,

accanto al palazzo c’era un giardino all’italiana, con il suo rigoroso

andamento geometrico. Oltre il fosso, l’intera zona era disseminata

di blocchi di peperino, più o meno imponenti, affioranti dal terreno.

Tutt’oggi, negli orti che costeggiano il cosiddetto Parco dei Mostri, è

possibile osservarne alcuni utilizzati come ricoveri per attrezzi o come

stalle. Sono scavati o parzialmente interrati, abbandonati o coperti da

filari di vigne.

Considerata l’abbondanza d’acqua, garantita dalla presenza di un

ruscello, Vicino Orsini decise di trasformare i massi erratici disposti

nella zona di interconnessione tra il giardino e il Sacro Bosco, in fontane

monumentali.

L’ingresso moderno sorge in un punto che Vicino aveva destinato ad

un piccolo lago artificiale. L’arco d’accesso, le sfingi che lo fronteggiano

e le erme che conducono, sulla sinistra, ad un mascherone araldico, non

occupano la loro posizione originaria. Il mascherone, probabilmente

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Page 38: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

un Proteo sormontato da un globo e un castello, aveva quindi una funzione

molto più marginale di quella contemporanea. Il castello che domina

il globo, immagine del mondo, è un elemento celebrativo della

famiglia Orsini. La presenza del Proteo, simbolo utilizzato da Camillo

per rappresentare l’elemento lunare nel suo grado più semplice, è in sintonia

con la natura del luogo. La luna è infatti il pianeta di riferimento

dell’acqua, essa è il pianeta che sovrintende alle fasi della vita. Divinità

femminile regola le maree, la crescita, la decrescita e la generazione.

18 Sofia Varoli Piazza, Paesaggi e giardini della Tuscia. De Luca, 2000

Tralasciando, per il momento, le sculture recentemente dislocate, il

visitatore che intenda comprendere la logica di Vicino deve dirigersi

verso l’ingresso antico. Bisogna quindi tornare indietro e cercare di

raggiungere il livello più basso del barco, quello prossimo al ruscello.

Trascurata la gigantomachia, su cui avremo modo di tornare, s’incontra

dapprima la fontana del Festina lente, il motto augusteo che invitava

ad affrettarsi con lentezza, qui simboleggiato dall’incontro ossimorico

tra la gigantesca testuggine e la rapidissima fama che la sormonta.

Segue la fontana del Pegaso, mitico cavallo cui era attribuito il potere

di interrompere i terremoti con un colpo di zoccolo e di far sgorgare

sorgenti d’acqua. Come testimoniano i disegni di Giovanni Guerra, la

fontana era circondata da muse e divinità. Vicino celebrava quindi il

suo giardino come un nuovo Parnaso. La forza delle arti pareva costituire

la sola ancora di salvezza in un mondo preda di insicurezze e

distruzione. La colonna spezzata e l’albero bruciato, che introducono

al Pegaso, ci offrono il quadro di un mondo in crisi, sia da un punto di

38

Page 39: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

vista naturale che umano.

L’area di interconnessione con il giardino termina poco più in basso,

accanto ad un fontanile, non visitabile in quanto attualmente esterno al

muro di cinta del Parco, accanto al quale gli ospiti dell’Orsini potevano

lasciare il cavallo per cominciare l’itinerario attraverso il Sacro Bosco.

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Page 40: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

IL PIAZZALE EGIZIO

Lasciatosi alle spalle il giardino, il visitatore si apprestava ad intraprendere

il suo percorso iniziatico. Dopo una breve salita, il sentiero

appariva chiuso da due sfingi. Abbiamo qui una prima analogia con

l’Idea, il testo di Camillo si apre infatti con un proemio in cui è raccomandato

al sapiente di celare la verità con l’uso di simboli, il passo

prosegue così:

A questo habbiamo da aggiunger che Mercurio Trismegisto dice, che

il parlar religioso e pien di Dio viene ad esse violato quando gli sopraviene

moltitudine volgare. La onde non senza ragione gli antichi in su le

porte di qualunque tempio tenevano o dipinta, o scolpita una sphinga,

con quella imagine dimostrando che delle cose di Dio non si dee se con

enigma far publicamente parole19.

Oltre le sfingi era visibile il tempio di Iside con all’esterno la maschera

di Giove Ammone e, sulla destra, due obelischi. L’insieme si offriva

come un sorprende angolo d’Egitto.

La fascinazione di Vicino per l’Egitto è certa ed è, tra l’altro, documentata

da un suo scambio epistolare con Annibal Caro in cui, in

risposta ad una specifica domanda dell’Orsini, l’amico descrive le mutazioni

e le corrispondenze tra divinità egizie e greche20. In particolare

tornano nella lettera le associazioni tra Venere ed Iside e quella tra Giove

e Ammone.

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Page 41: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

L’interesse che gli intellettuali del Rinascimento manifestavano per

l’Egitto era derivato dalla riscoperta di opere attribuite a mitici autori:

Ermete Trismegisto e Orapollo. Testi ritenuti antichissimi erano, in realtà,

manoscritti elaborati nell’ambito della cultura greca in un periodo

compreso tra il IV e il VI secolo dopo Cristo. Le assonanze che gli umanisti

verificano tra questi testi e tematiche agostiniane o neoplatoniche,

19 G. Camillo, L’idea del Teatro, in L’idea …op. cit., p. 59

20 Annibal Caro a Vicino Orsini del 12.12.1564.

invece di destare sospetti, apparivano come prove della continuità di

un’unica tradizione che, prescindendo dalle singole credenze popolari,

aveva accomunato filosofi e maghi.

Per quel che riguarda il greco antico, gli umanisti non avevano acquisito

competenze filologiche paragonabili ai livelli toccati con il latino.

Quindi non fu loro possibile esercitare un’opera di demistificazione.

Al contrario, l’autenticità dei manoscritti pseudo-egizi fu certificata

dall’autorità di Marsilio Ficino cui dobbiamo la nascita di un neoplatonismo

ermetico o egiziano. Il pensiero ficiniano è caratterizzato dalla

certezza che l’anima umana e la natura divina siano sostanzialmente

analoghe. L’ipotesi dell’origine divina dell’anima è coerente con una

visione dell’universo panteisticamente interpretato come un animale

vivente attivato dall’energia creante del dio-luce.

Questa centralità del sole pone le premesse concettuali per la rivoluzione

eliocentrica, una rivoluzione fatta propria da Giordano Bruno, il

41

Page 42: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

più entusiasta dei filosofi egizi. Bruno riteneva che i geroglifici fossero la

lingua degli dei. Gli ideogrammi erano percepiti come modello di una

comunicazione crittata per difendere le sacre verità dal volgo e figura di

un modo di conoscere divino. Così Dio aveva concepito le Idee e così l’anima

aveva potuto contemplare gli archetipi nella fase di apprendimento

originario e prenatale. Il linguaggio iconico costituiva quindi il punto

d’incontro ideale per arte della memoria, platonismo ed egizianismo.

La convinzione che i geroglifici non fossero una scrittura fonetica

ma un linguaggio iconico, si basava sull’opera di Orapollo, una raccolta

di geroglifici interpretati simbolicamente. L’opinione era errata ma, alla

metà del XVI secolo, gli Hieroglyphica, l’unico trattato sulla scrittura

egizia pervenutoci dall’antichità, godevano ancora di un indiscusso

prestigio. Come vedremo Vicino cita Orapollo nell’antro di Iside, mentre

Pierio Valeriano21, amico ed ammiratore di Giulio Camillo, dà alle

stampe nel 1556 un suo Hieroglyphica in cui è evidente l’impatto che

ebbe nella cultura ermetica la pubblicazione dell’Idea del Teatro.

21 Il bellunese Pierio Valeriano, poeta e uomo di scienza, scrisse anche un compendio

del trattato di astronomia più diffuso nel medioevo ed in uso in tutte le università

sino al XVII secolo, il De sphaera mundi del Sacrobosco. Il Compendium in

sphaeram, edito nel 1537, è dedicato al cardinale Alessandro Farnese.

42

Page 43: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

LE ISCRIZIONI

Per accedere al piazzale egizio, il visitatore doveva quindi superare

le due sfingi, che, anche nella collocazione attuale, hanno mantenuto i

loro supporti in peperino con iscrizioni.

Quella delle iscrizioni è una delle molte difficoltà che attendono chi

voglia confrontarsi con il Parco. Il committente ha ampliato, modificato,

reinterpretato la sua costruzione, mantenendola come un’opera

in divenire per circa trent’anni. I lavori nel giardino sono iniziati nel

1550 o, al più tardi nel 1551, e sono stati condotti sino al principio degli

anni Ottanta. Come vedremo alcune opere, quali la gigantomachia, l’elefante

e la panca etrusca, sono presumibilmente tarde, altre, come il

teatro, le Sfingi, Iside e la Venere dormiente, sono invece precocissime.

Maurizio Calvesi, ai cui studi dovremo fare costantemente riferimento,

ritiene che gran parte delle epigrafi siano state introdotte al termine

dei lavori nel tentativo di accentuare l’unitarietà del progetto. Talvolta

lo scarto temporale tra due iscrizioni pur adiacenti registra il mutare

dell’ideologia di Vicino, trascorso da un giovanile neoplatonismo ad un

solido scetticismo nella sua età più matura. Per quel che attiene ai versi

incisi nei monoliti che sostengono le sfingi è ragionevole ipotizzare che

siano stati introdotti in un periodo tardo. Le ragioni che sostengono

questa prima conclusione è data dalla presenza, nella sfinge di sinistra,

di un riferimento alle sette meraviglie, elemento che costituisce una

sorta di leit motiv del giardino. L’iscrizione:

CHI CON CIGLIA INARCATE

43

Page 44: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

ET LABRA STRETTE

NON VA PER QUESTO LOCO

MANCO AMMIRA

LE FAMOSE DEL MONDO

MOLI SETTE

Va posta in relazione con altre due che incontreremo successivamente,

sullo schienale di una panca:

CEDAN ET MEMPHI E OGNI ALTRA MARAVIGLIA

CH EBBE GIA L MONDO IN PREGIO AL SACRO BOSCO

CHE SOL SE STESSO ET NVLL ALTRO SOMIGLIA

E accanto alla gigantomachia:

SE RODI ALTIER GIA FV DEL SVO COLOSSO

PUR DI QUEST IL MIO BOSCO ANCHO SI GLORIA

E PER PIV NON POTER FO QVANT IO POSSO

44

Page 45: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

Tutti questi versi risalgono presumibilmente alla metà degli anni

settanta e sono contemporanei a quelli con cui Giovan Matteo Toscano

celebra il Teatro di Giulio Camillo, cui debbono rendere omaggio le

sette meraviglie del mondo22.

A Bomarzo, un riferimento al Delminio potrebbe essere celato in

quel moli sette. L’iscrizione infatti non si configura come un indovinello

o un invito, essa è una constatazione, costruita da due proposizioni

speculari, in virtù delle quali si preannuncia che il Parco è immagine

del mondo, che esso è il mondo in quanto espressione dell’incontro dei

sette elementi fondamentali.

La sfinge parla in modo obliquo ed è quindi probabile che in un

sottotesto lasci risuonare un indizio per il visitatore.

La seconda iscrizione invece parla di arte e di inganni:

TU CH’ENTRI QUA PON MENTE

PARTE A PARTE

ET DIMMI POI SE TANTE

MARAVIGLIE

SIEN FATTE PER INGANNO

O PUR PER ARTE.

I due studiosi che più hanno contribuito a fare luce sul Parco, Horst

22 I. M. Toscanus, Peplus Italiane, Lutetiae Parisiorum, 1578, p. 85, in F. A. Yates,

L’arte della memoria, Einaudi 1993, p. 126.

Bredekamp e Maurizio Calvesi, evincono da queste parole significati

45

Page 46: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

affatto opposti. Secondo Bredekamp, si tratta di un riferimento al consueto

gioco manierista di confusione tra arte e natura.

In giardini e cortili coevi sovente il confine tra natura e artificio

è volutamente inestricabile. Pietre e conchiglie diventano materia di

opere d’arte, d’altro canto l’architetto e lo scultore in virtù di un uso

spregiudicato del non finito e del bugnato sembrano gareggiare con

la natura. Nel giardino mediceo di Boboli, i Prigioni di Michelangelo

paiono parte integrante della grotta del Buontalenti, l’effetto è molto

suggestivo, ma è espressione di una forzatura. Michelangelo aveva realizzato

i Prigioni per la tomba di Giulio II, un monumentale tentativo

di sintesi del mondo neoplatonico. Gli Schiavi dovevano rappresentare

lo sforzo dell’uomo di sollevarsi dalla materia nel suo cammino verso la

luce, in una evidente citazione del mito della caverna. Filosofia, scienze

e religione si fondevano in uno sforzo di elevazione che era azione mistica.

Quindi, sebbene la ricollocazione degli Schiavi abbia finito col sostenere

l’equivoco di una subordinazione del non finito all’ingannevole

continuità tra arte e natura, è opportuno sottolineare che il linguaggio

del Buonarroti è il medesimo di Giulio Camillo e di Vicino.

La morfologia delle opere presenti nel Sacro Bosco non autorizza,

in alcun modo, a supporre l’esistenza di accorgimenti stilistici atti a

suggerire una confusione tra arte e natura. Le sculture e le architetture

sono lavorate in modo netto, si integrano nell’ambiente come manufatti

autonomi e in assenza di trompe l’oeil.

Quanto detto sembra dar ragione a Calvesi che, forte di un serrato

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Page 47: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

confronto stilistico con testi di Bernardo e Torquato Tasso, interpreta

il termine inganno come sinonimo di “incantesimo”23. L’interrogativo

celerebbe quindi un tranello, una falsa alternativa tra i due poli, solo

apparentemente opposti, di arte e inganno. Il quesito sembra orientare

il visitatore verso l’arte magica.

Il confine tra stregoneria, illecita, e magia naturale, normalmente

accettata dalla scienza rinascimentale, non era chiaramente definito. La

questione era di individuare il punto in cui la ricerca e l’emulazione del

divino sfociassero in empietà. In tutte le pratiche magiche vibra l’ombra

23 M. Calvesi, Gli incantesimi di Bomarzo, Bompiani, 2009, p. 179

del demoniaco, in esse riecheggia l’antica promessa del serpente: eritis

sicut dei, mangiate il frutto della vita e diverrete dei. Sin dove era legittimo

spingersi?

Paracelso, il più grande alchimista del tempo, dichiarò di essere

giunto a creare un homunculus per via di alambicchi, lasciando macerare

insieme sangue, sperma e argilla. La leggenda vuole che, negli stessi

anni, il rabbino di Praga avesse creato un golem. Esperto di Talmud,

Jehuda Löw era riuscito a rinnovare il gesto della Genesi imprimendo

nell’argilla la parola di Dio.

Molteplici erano dunque le strade che il Rinascimento esperiva nel

tentativo di trasformare la creatura in creatore. Pico della Mirandola fu

il primo a realizzare una fusione tra tradizione cabalistica ed ermetica.

Sulla scia di Pico si misero Egidio da Viterbo e Achille Bocchi, il cui

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Page 48: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

palazzo mantiene intatta un’iscrizione in ebraico. Giulio Camillo si incontrò

con Egidio a Roma nel 1519 e si legò strettamente a Bocchi nella

Bologna degli anni Venti. Non solo, il Camillo, che sarebbe stato arrestato

per alchimia sul finire degli anni Trenta, ci lascia un’importante

testimonianza dell’approccio di matrice paracelsiano:

è il vero che ancor vive una persona mobilissima, dottissima e di santissimi

costumi ornata, la qual, benché vergognosamente, pur confessa

aver per artificio di lambicchi e di altri istromenti accomodati all’opera

già più anni prodotto un bambino, il qual, come prima venne alla luce,

fu abbandonato dalla vita. Il che se così fusse, e che uno eloquente scriver

ne volesse, avrebbe a riconoscer il nascimento dell’arte di colui, a cui non

mancano testimoni i quali arditamente affermano aver veduto quanto

ho detto.24

Alchimista, cabalista ed ammiratore dell’Asclepio, nel Delminio trovano

sintesi e raggiungono il loro culmine tutte le vie che il Rinascimento

maturo mise in campo nel tentativo di creare la vita.

Ancora nel 1614 Giuseppe Passi, in Della magic’arte, ouero della Magia

naturale, rimproverava a Giulio Camillo di aver utilizzato l’Asclepio,

24 G. Camillo, Trattato delle materie, in L’idea …op. cit., p. 130

48

Page 49: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

libro proibito intriso di magia nera.25 L’accusa si basava su questo tratto

dal Trattato delle Materie:

Ho già letto in Mercurio Trismegisto, che in Egitto già erano fabbricatori

di statoe, tanto eccellenti che condotta che haveano alcuna statoa

alla perfetta proporzione, ella si trovava animata da spirito angelico:

perché tanta perfezione non poteva star senza anima.26

La teoria platonica dell’amore, secondo cui tutto ciò in cui riluce

il bello è compartecipe della perfezione e quindi non può essere privo

di vita, era impugnata da scienziati e artisti come legittimazione della

magia.

L’ipotesi di Calvesi è dunque più che plausibile. Sin dai tempi di Edipo,

le sfingi costruiscono enigmi che sono rivelazioni e inviti alla ricerca

interiore. Edipo non sapeva di essere lui stesso l’animale a quattro,

due e tre zampe, oggetto dell’indovinello che gli era stato sottoposto.

Non ricordava di essersi trascinato carponi nella foresta, non sapeva

che il futuro lo avrebbe condotto allo skeptron, scettro regale e bastone

da cieco.

La Sfinge mistagoga (guida al mistero) a Delfi sovrastava l’imperativo

gnòthi sé autòn. Il motto “conosci te stesso” che torna nelle iscrizioni

di Palazzo Orsini. La sfinge insegna che sebbene la verità sia una sola,

ogni individuo deve farla propria percorrendo da solo il faticoso itinerario

della conoscenza. Già Clemente Alessandrino aveva colto due

sintonie fra Cristo e la Sfinge: entrambi asseriscono che il viaggio è faticoso

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Page 50: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

e che la conoscenza del mistero porta alla salvezza. Mentre

L’autore degli Atti di Andrea e Matteo del IV secolo, narra di un

incontro reale di Cristo con la Sfinge: Gesù entrò in un tempio, animò la

statua di una sfinge e, chiamandola celeste, la invitò a rivelare ai sacerdoti

astanti chi egli fosse. La Sfinge si soffermò sul rapporto tra ‘mistero’

e ‘rivelazione’.27

25 Yates, op. cit., p. 145

26 G. Camillo, Discorso in materia del suo Teatro in L’Idea … op. cit., p.31

27 F. Scaramuzza, op. cit., p. 487

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Page 51: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

Alla concezione classica della vita come viaggio di conoscenza e della

virtù come conquista della ragione e dell’esperienza, il cristianesimo

assomma il tema mistico della lotta interiore. Parliamo di misticismo e

mistero, o più propriamente di teologia negativa, in quanto la volontà

divina è divenuta imperscrutabile, mentre l’indagine introspettiva appare

un viaggio senza fine. Al motto paolino videmus nunc per speculum

in aenigmate, corrisponde l’inquieta ricerca di Agostino. Tra loro

l’apertura mistica di Plotino: L’insegnamento giunge solo a indicare la via e il viaggio; ma la visione sarà di colui che avrà voluto vedere.28

Contemporaneo di Agostino, Prudenzio fu il primo ad immaginare

un’opera epica totalmente incentrata su di una psichica battaglia tra

vizi e virtù. Nella Psicomachia, l’anima affronta i sette vizi capitali. Un

itinerario d’ascesi che è parallelo a quello descritto nel Corpo Ermetico.

Nel Pimander29 lo spirito torna all’unità riconsegnando, a ciascuno dei

sette cieli, le caratteristiche individuali che ha ricevuto alla nascita.

Il neoplatonismo rinascimentale quindi attingeva allo stesso patrimonio,

paolino e agostiniano, da cui traeva la sua linfa il protestantesimo.

Tuttavia l’ermetismo rimaneva ancorato ad una tradizione eroica

e cavalleresca che Lutero ignora. Per comprendere Bomarzo bisogna

risalire alla Psicomachia, transitando per i poemi allegorici di cui Prudenzio

aveva definito la matrice: il Roman de la Rose, la Commedia, i

Trionfi e, naturalmente, l’Hypnerotomachia Poliphili.

28 Plotino, Enneadi, VI, 9, 4

29 Cfr. E. Trismegisto, op. cit., I 25. Insieme all’Asclepio, il Pimander, considerato

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Page 52: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

il corrispettivo della Genesi, è il testo più noto tra quelli attribuiti ad Ermete Trismegisto.

IL TEATRO

Oltrepassate le sfingi, la prima cosa che si presentava alla vista era

l’antro di Iside sul basilisco. Attualmente l’antro è crollato e la statua di

Iside è seriamente danneggiata, tuttavia la leggibilità del gruppo non

è compromessa. La cifra egiziana è sottolineata dalla presenza di un

mascherone di Giove Ammone, che era collocato su una delle pareti

esterne della grotta. Nel comporre questo gruppo, Vicino ha ibridato

due geroglifici di Orapollo: Iside rappresenta l’anno, il basilisco, invece,

l’eternità. La fusione dei due simboli annuncia al viandante che le verità

cui sta per avere accesso sono attuali ed eterne.

Tra le sfingi e l’antro erano disposte sette erme, numi tutelari della

soglia, qui utilizzate per sottolineare la presenza di un limite. Sebbene le

erme siano state dislocate, nel Sacro Bosco la presenza di un confine è

ancora chiaramente percepibile. Forse anche per questo Daniel Spoerri

ha chiamato il suo giardino, ispirato a Bomarzo, Hic terminus haeret,

qui i confini si confondono. In qualche modo, il verso di Virgilio rende

perfettamente il sentimento che Vicino voleva ingenerare nei suoi

ospiti. Difficilmente, del resto, l’Orsini poteva aver dimenticato l’incipit

della Cangiaria, col prologo aperto da un Termino, una pietra sacra a

Giove, la cui funzione era di segnare limiti e soglie. Nel Sacro Bosco i

confini sono molto chiari, così come le vie d’accesso.

Per quanto privo dei due obelischi che lo coronavano, perno del

piazzale era, ed è, il teatro.30 Osservandolo si comprende immediatamente

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Page 53: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

l’imbarazzo degli interpreti. La struttura è impraticabile per una

qualunque rappresentazione: la pretesa scena è piccola, non ha relazione

ottica con i gradini e, soprattutto, è inclinata. L’anomalia si risolve non

30 Nella ricostruzione del piazzale seguiamo Bredekamp, tuttavia nessuna ipotesi

potrà essere verificata sintantoché non sarà avviata una rigorosa ricerca nell’area

antistante l’ingresso originario del Sacro Bosco. La zona in cui sono stati

individuati gli obelischi, assieme ad altri reperti di incerta ricollocazione, è esterna

all’area visitabile ed è stata oggetto solo di studi indiziari. Vedi in proposito il

saggio di Andrea Alessi, Il Sacro Bosco di Bomarzo: frammenti dall’oblio, in S.

Frommel e A. Alessi, Bomarzo: il Sacro Bosco, Electa, 2009, pp. 214-224.

Appena si comprenda che il teatro è pensato per essere osservato e non

calpestato da attori. L’ovale ricavato al centro della gradinata è inclinato

perché è disposto in prospettiva. Il teatro di Bomarzo è la macchina di

Giulio Camillo. C’è una sola variante, il Delminio aveva collocato le colonne

degli elementi nel punto più basso, qui sono disposte in alto, ma

è la morfologia del terreno che ha obbligato Vicino ad adottare una simile

soluzione. Gli scomparti sono collocati nel muro di terrazzamento

che sostiene il livello superiore. Attualmente questi riquadri sono vuoti,

probabilmente, come vuole Calvesi, essi erano occupati da specchi. La

rinnovata sintesi dell’unità poteva apparire ancora più evidente grazie

al gioco incrociato di superfici riflettenti.

La natura ibrida della costruzione, a metà tra quella teatrale e quella

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Page 54: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

anfiteatrale, poneva in accordo due istanze fondamentali e, apparentemente,

antitetiche. Se da un lato la circolarità della struttura consentiva

di ricavare uno spazio centrale per sottolineare il primato della condizione

umana, d’altro canto l’emiciclo offriva la possibilità di cogliere

l’unità del tutto, in virtù di una visione sinottica.

Il testo di Giulio Camillo non fornisce indicazioni per comprendere

la forma del dispositivo. Sul tema gli storici moderni hanno assunto

posizioni diametralmente opposte. La Yates ha sposato l’ipotesi della

forma teatrale, mentre Calvesi opta decisamente per una struttura circolare31.

La soluzione di Bomarzo, considerata anche la sua straordinaria

somiglianza con i teatri anatomici, si propone come una brillante

soluzione di sintesi tra morfologia teatrale e anfiteatrale.

Per quel che attiene alle iscrizioni, il caso del teatro è quello più complesso

dell’intero Giardino. Esse sono, infatti, di tenore completamente

differente. Alla base dei due obelischi sono iscrizioni brevi quanto importanti.

Nella prima è apposta la data e la firma:

VICINO ORSINO NEL MDLII

La seconda riporta un verso di Vittoria Colonna:

SOL PER SFOGAR IL CORE.

31 Cfr. Calvesi, Teatro o anfiteatro, pp. 4-7, in Il mondo virtuale di Giulio Camillo, a

cura di Viviana Normando e Natascia Moroni, da «Festina Lente», I (1997)

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Page 55: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

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Page 56: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

La data è l’unica certa che possediamo per l’intero parco, essa indica

la chiusura della prima fase dei lavori e, con la firma, attesta l’orgoglio

del committente. Orgoglio che sarebbe stato assolutamente fuori luogo

se avesse segnato la costruzione del solo teatro. Possiamo quindi ritenere

che nel 1552 l’intero piazzale d’ingresso, così come lo abbiamo appena

descritto, fosse portato a compimento.

La seconda iscrizione è, ad un tempo, semplice ed equivoca, l’ambivalenza

nasce dal contrasto tra l’apparente leggerezza del verso ed il

fatto, tutt’altro che lieve, che siano parole tratte da una poesia di Vittoria

Colonna.

Il 1552 s’era aperto con l’abiura del Domenichi, responsabile della

pubblicazione di un pamphlet di Calvino sul nicodemismo. La figura di

Nicodemo d’Arimatea, il criptocristiano che solo dopo la crocifissione

troverà il coraggio di recarsi a viso scoperto da Pilato per reclamare il

corpo di Cristo, era divenuta un riferimento costante. Già il Valdés,

consigliere spirituale di Vittoria Colonna, aveva suggerito di percorrere

la via del nicodemismo per non dover sottrarre tempo alla vita spirituale,

impelagandosi in inutili polemiche. Con l’affermarsi degli zelanti la

questione era diventata molto più scottante e pericolosa.

Due anni dopo la pubblicazione dell’Idea del Teatro, il Domenichi

s’era dunque imbarcato in una pericolosissima impresa, conclusasi con

una condanna al carcere a vita. Vicino, citando un verso all’apparenza

di puro disimpegno e mantenendosi nel quadro della più coerente e

nicodemita prudenza, trova il modo di scolpire su pietra la sua scelta

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Page 57: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

di campo. Questo elogio della prudenza sarà di lì a poco echeggiato dal

motto riportato nella casa pendente, tuttavia prima di affrontare questo

aspetto andiamo a chiudere con il teatro affrontando l’ultima iscrizione,

quella presente nel muro di sostegno.

La frase, frammentaria, è stata integrata da Calvesi

PER SIMIL VANITÀ MI SON ACCORTO

CHE IL TEMPO FUGGE E IL VIVER PARMI CORTO32

32 Attualmente è leggibile solo PER SIMIL VANITA MI SON AC N PARMI CORTO.

La ricostruzione di Calvesi è in Incantesimi, op. cit., p. 174

Parole amare in evidente contrasto con l’entusiasmo, la leggerezza

e la voglia di sfida che caratterizzano la nota di fondo delle epigrafi

alla base degli obelischi. Con questo distico, l’anziano Vicino sembra

voler porre una pietra tombale sul sogno della sua giovinezza e, forse,

di un’intera epoca.

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Page 58: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

LA CASA PENDENTE

Prima di procedere nel percorso iniziatico dobbiamo fermarci per

dare conto di quel particolarissimo edificio noto come ‘casa pendente’

collocato nell’area subito prima del teatro, più o meno in asse con la

posizione che originariamente dovevano occupare le sfingi.

Oramai tutti33 convengono sul fatto che la fonte iconografica della

casa sia una tavola del Symbolicarum Quaestionum di Achille Bocchi,

un testo portato a compimento nel 1555.

Braedekamp, servendosi del motto inciso in uno dei due medaglioni

alla base dell’edificio, tenta di rafforzare la sua lettura del Signore di Bomarzo

come di un surrealista ante litteram e quindi interpreta il motto

d’ascendenza aristotelica:

ANIMUS QUIESCIENDO FIT PRUDENTIOR ERGO

Con un invito al sogno, tuttavia la traduzione di quiescere con sognare

è palesemente una forzatura. Quiescere vuol dire stare in quiete,

riposare. Solo in casi isolati può significare dormire, ma si tratta del

sonno della morte, ad ogni modo mai può essere tradotto con sognare.

D’altra parte Calvesi, ritenendo che la casa sia voluta da Giulia Farnese,

conclude che l’iscrizione sia un inserimento tardivo di Vicino.

L’ipotesi è debole, infatti la scritta è evidentemente organica al medaglione

che la ospita e dev’essere contemporanea all’edificio. L’errore di

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Page 59: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

Calvesi deriva da un approccio che, in questo caso, è complessivamente

fuori fuoco. A suo avviso, la casa sarebbe stata realizzata da Giulia durante

l’assenza del coniuge e l’inclinazione manifesterebbe una fase di

estrema debolezza del casato Orsini-Farnese. Tesi poco credibile per

33 Con l’eccezione di Guidoni che, con una tesi suggestiva quanto poco documentata,

attribuisce la paternità del Sacro Bosco a Michelangelo e ne anticipa quindi la

realizzazione agli anni quaranta. Guidoni giunge, conseguentemente, alla

conclusione che la costruzione bomarzese sia l’antecedente della tavola del Bocchi.

Cfr E. Guidoni, Il Sacro Bosco di Bomarzo nella cultura europea, David Ghaleb

editore, 2006

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Page 60: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

differenti ragioni. Innanzitutto l’edificazione di un monumento alla

difficoltà è fuori dalla logica del tempo, in secondo luogo, qualora fosse

stato questo l’intento dell’edificio, apparirebbero spaesanti le iscrizioni

e incongrua la scelta del sito. C’è poi la questione temporale, nell’arco

di tempo compreso tra la redazione del Symbolicarum (1555) e la morte

di Giulia (1560), Vicino è stato in condizioni prolungate di difficoltà solo

nella fase finale della sua prigionia in terra di Francia. Considerando

che l’Orsini fu liberato già nell’estate del ’55, la forbice temporale appare

davvero troppo stretta perché Giulia potesse ottenere il libro, ideare il

progetto e farlo realizzare.

L’ipotesi di Calvesi diventa poi davvero remota se consideriamo la

vicenda del libro di Bocchi. Se infatti è vero che il Symbolicarum era

pronto già al principio del 1555, tuttavia la morte di Giulio III e quella

del successivo pontefice, Marcello II, resero impossibile l’ottenimento

dell’imprimatur papale. Il Bocchi dovette attendere l’insediamento di

Paolo IV per poter far circolare effettivamente il suo testo, giungiamo

così all’anno successivo. Opinione consolidata dalla presenza, nella Biblioteca

centrale di Napoli, di una copia del Symbolicarum datata 1556 e

caratterizzata da una dedica al patrono dell’Accademia Hermathena: il

cardinal Alessandro Farnese. A questo punto l’idea che Giulia Farnese

abbia potuto consultare il testo molti mesi prima dello zio appare davvero

una congettura azzardata.

Non resta che avanzare l’ipotesi più semplice, ovvero che Vicino Orsini

abbia esaminato il manoscritto napoletano negli anni, durissimi,

del pontificato Carafa e che ad esso abbia fatto ricorso quando decise

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Page 61: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

di costruire un monumento dedicatorio dell’intero parco al Cardinal

Madruzzo, giunto nel limitrofo feudo di Soriano nel 1560.

Per comprendere le ragioni di una scelta così eccentrica occorre tornare

ad affrontare alcuni dei temi di polemica politica e religiosa che,

negli anni del Concilio di Trento, attraversavano la vita culturale italiana.

Il primo dato da tenere a mente è che il cardinal Madruzzo era stato

uno dei personaggi più in vista del partito riformatore. Legatissimo

al Pole, il Madruzzo in qualità di Principe di Trento era stato ospite

del Concilio. Durante gli anni del pontificato Farnese aveva mantenuto

una posizione dialogante con i protestanti, scontrandosi, sin dalle sedute

inaugurali del Concilio, con il cardinal Ciocchi del Monte, che sarebbe

stato eletto papa col nome di Giulio III. L’elezione al soglio di Giulio

III corrisponde ad una fase di debolezza dell’ecclesia viterbiensis, accerchiata

e progressivamente annichilita dall’Inquisizione. Il Madruzzo,

tuttavia, non aveva cessato di sostenere le tesi del Pole anche negli anni

in cui la casa degli spirituali sembrava sul punto di cadere.

L’invito al riposo e alla prudenza rivoltogli dall’amico Vicino era

ben lungi dall’essere una mera esortazione alla virtù. La scelta di

un’immagine tratta dal Symbolicarum aveva poi un significato molto

forte. Grazie alla protezione del cardinal Farnese, il Bocchi poté inserire

nel Symbolicarum riferimenti significativi quanto pericolosi. Accanto

a quelle al Cardinale Alessandro, troviamo infatti tavole dedicate a

Reginald Pole, a Giulio Camillo e a Marco Antonio Flaminio.

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Page 62: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

Vicino, nel costruire la casa pendente, compie dunque un gesto perfettamente

in sintonia con il suo carattere e la sua politica. Apparentemente

si limita ad erigere un monumento bizzarro, in concreto sta

tracciando una rete di legami, evidenti ai contemporanei, e assicura che

la casa degli spirituali e degli irenisti sebbene penda tuttavia non cadrà,

esattamente come la casa nella tavola del Bocchi che, per quanto sembri

sul punto di cadere, “non cadit illa tamen34”.

34 Atqui casura dicas; casura videtur, Fallat ut invidiam, non cadit illa tamen.Achille

Bocchi, Symbolicarum Quaestionum, Bologna, 1555. Simbolo CXLVI

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Page 63: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

IL VIALE BASSO

Giulio Camillo, Ludovico Domenichi, Achille Bocchi, Cristoforo

Madruzzo, Reginald Pole, Marco Antonio Flaminio, Vittoria Colonna…

ai contemporanei non sfuggiva nessuno di questi riferimenti, ai

quali forse va aggiunto il nome di Pierio Valeriano.

Negli anni più difficili di Giulio Camillo, Valeriano era intervenuto

in difesa dell’amico con versi durissimi:

Qui vates temnit vatum non gaudet honore

Sit procul a tabulis turba profana pij35. (Chi disprezza i vati, non può

godere dell’onore dei vati – Stia lontana la turba profana dalla tavola del

pio). Il poeta bellunese si scaglia contro la turba profana che è incapace

di comprendere la tradizione occulta e che l’ermetismo tagliava programmaticamente

fuori dalla mensa degli iniziati. Molti anni dopo la

morte di Camillo, Valeriano tornerà con un suo Hieroglyphica (1556) a

rendere manifesto omaggio all’Idea del Teatro.

La passione per la scrittura sacra degli egiziani costituisce una delle

tracce più evidenti per seguire la parabola della scuola ermetica. In

questo filone s’inserisce a pieno titolo Achille Bocchi che dedica la tavola

CXLVII, simbolo immediatamente successivo a quello della casa

pendente, alle mistiche lettere degli egiziani. I geroglifici raffigurati nel

Symbolicarum sono quelli ideati da Francesco Colonna per la Pugna

d’amore in sogno di Polifilo, fonte iconografica imprescindibile per il Sacro

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Page 64: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

Bosco. Difatti l’Antro delle Ninfe, la prima opera che incontriamo

dopo il tempio di Iside, è la citazione quasi esatta di una stampa dell’edizione

francese dell’Hypnerotomachia del 154636. L’Antro delle Ninfe

è una ripresa letterale del secondo grado del Teatro. È Vicino stesso

a qualificare l’area come Antro in un’iscrizione, purtroppo anch’essa

mutila:

35 Pierio Valeriano, in Scaramuzza, op. cit., p. 469

36 Cfr. Calvesi, op. cit., p. 127

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Page 65: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

L’ANTRO LA FONTE IL LI ET

D’OGNI OSCURO PENSIERO ME GL

Probabilmente Camillo, che già stava lavorando al suo Teatro sin

dagli anni dieci, aveva avuto accesso all’edizione del 1518 dell’Antro delle

ninfe. Nel De Antrum Nynpharum, il discepolo di Plotino interpreta

un passo dell’Odissea come una metafora della generazione. Il libro comincia

così:

L’antro di Itaca descritto in questi versi da Omero è un enigma:

In capo al porto vi è un olivo dalle ampie foglie:

vicino è un antro, amabile, oscuro,

sacro alle Ninfe chiamate Naiadi;

in esso sono crateri e anfore

di pietra; lì le api ripongono il miele.

Le Ninfe sono quindi Naiadi, divinità d’acqua dolce, e vivono in un

antro amabile, oscuro e sacro. Tutt’intorno, come a Bomarzo, sono vasi

e crateri di pietra.

Adiacente all’Antro sono le Tre Grazie. Si tratta di un’immagine che

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Page 66: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

nel Teatro troviamo nella casella generata dall’incrocio tra il grado Antro

e la colonna di Giove37. Esse rappresentano la virtù nel dare e nel

ricevere.

L’ultima opera del viale è la gigantomachia. Vicino se ne gloria in

un’iscrizione:

SE RODI ALTIER GIA FV DEL SVO COLOSSO

PUR DI QUEST IL MIO BOSCO ANCHO SI GLORIA

E PER PIV NON POTER FO QVANT IO POSSO

37 Nella medesima casella Camillo colloca altri simboli, il più interessante

è Giunone sospesa. L’associazione delle Tre Grazie e di Giunone sospesa

è già presente nella Camera della Badessa, assieme ad evidenti elementi

egiziani, in una miscela perfettamente in sintonia con la cultura del

Delminio.

Sull’interpretazione della scultura non è stato raggiunto un accordo

tra i critici. La tradizione locale individua nell’eroe Ercole, Maurizio

Calvesi invece riconosce nel gruppo Orlando e il pastore. Si tratterebbe

del passo ariostesco in cui Orlando, impazzito, fa a pezzi un pastore.

L’ipotesi è sostenuta principalmente da una seconda iscrizione, purtroppo

mutila:

FIER GIGANTE

O SCEMPIO

ANGLANTE.

66

Page 67: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

Anglante può essere interpretato come SANGLANTE, insanguinato,

o come ANGLANTE, per cavalier d’Anglante, ovvero Orlando. Pur

volendo seguire il Calvesi nella integrazione dell’epigrafe, colpisce l’imperturbabilità

del preteso Orlando. Il suo volto impassibile contrasta

fortemente con l’espressione lacerante della vittima. Ariosto descrive la

follia del cavaliere, qui abbiamo, invece, un gesto razionale, cruento ma

pacato. Inoltre non è chiara l’inserzione dell’opera nel contesto generale

del parco. Calvesi ne fa un esempio a contrario, un modo di esaltare la

prudenza mostrando gli effetti della dismisura, la congettura appare

francamente debole e posticcia.

Se torniamo al modello del Delminio le cose si fanno molto più semplici.

Nel Teatro appaiono due immagini che potrebbero aver suggestionato

Vicino. All’intersezione tra il sole e il grado antro c’è Gerione

ucciso da Ercole. Questa prima supposizione configurerebbe il viale

come interamente dedicato all’Antrum Ninpharum. Il secondo simbolo

che potrebbe essere avvicinato al gruppo è la lotta tra Ercole e Anteo.

Ci troveremmo, in questo caso, all’incrocio tra Saturno e il grado Gorgone.

Il conflitto tra Ercole e Anteo rappresenta la vittoria dell’anima

razionale sull’io animale. Anteo è sollevato da terra e ucciso mentre è

preda di pulsioni incontrollate. Sarebbe impossibile dirimere la questione

se Vicino stesso non avesse inteso lasciare un indizio. Scolpita

nella corazza, quasi nascosta alle spalle dell’eroe nudo, vi è infatti l’immagine

di una gorgone. La traccia non potrebbe essere più chiara.

67

Page 68: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

Il possibile riferimento al cavalier d’Anglante va quindi letto come

una surcodificazione, un moltiplicare i livelli di senso. Si tratta di un’operazione

affatto consueta, l’associazione di citazioni, che all’occhio

moderno appare incongrua, era una pratica comune. Ercole era figura

del Cristo, e Orlando poteva essere utilizzato come immagine di cavaliere

solare, di un Ercole o di un combattente di Cristo. Paradossalmente

l’universalità del vero poteva essere testimoniata dalla molteplicità

dei simboli.

68

Page 69: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

LA DEA DORMIENTE E LA QUESTIONE DELLE DATE

Oltrepassato l’Ercole è possibile salire al livello superiore. Probabilmente

in origine vi si accedeva direttamente dall’Antro e si giungeva

direttamente alla dea dormiente38. Una scultura enigmatica sulla quale

gli storici non hanno maturato un parere unanime. Bredekamp vi riconosce

la ninfa Psiche, mentre Calvesi crede sia la maga Alcina.

Se invece fosse corretta l’ipotesi camilliana, ci troveremmo innanzi

ad una delle due dee presenti nell’asse planetario. Il contesto ambientale

potrebbe suggerire che si tratti della dea della caccia. Il tema iconografico

di Artemide dormiente nel bosco, con un cane di guardia, è piuttosto

consueto. La posizione della scultura, che guarda al piazzale d’ingresso,

potrebbe essere coerente con l’impianto generale del Sacro Bosco. Camillo

infatti sceglie di aprire il suo Teatro proprio con la Luna-Diana,

regina dell’acqua e quindi nume propizio alla generazione.

Tuttavia il vistoso bracciale ci induce a ritenere che si tratti di Afrodite.

Il tema giorgionesco della dea addormentata en plein air appare aggiornato

sulla produzione dell’ultimo Tiziano, con particolare alla Venere

con cane e pernice e alla Venere con organista. Il velo ad impedire il nudo

integrale, che ricorda la Venere allo specchio, è un tributo al clima pudico

imposto dal Concilio. Una variazione della sensibilità che lascia tracce

anche nella libera Venezia, come prova la polemica avviata da Ludovico

Dolce contro i nudi del Giudizio michelangiolesco nell’Aretino.

Quanto detto sin qui ci porta a ritenere che questa scultura sia stata

69

Page 70: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

realizzata a ridosso del 1560.

È una supposizione fragile che ci introduce alla questione della datazione,

una vicenda apertissima ed estremamente complessa per l’intero

Sacro Bosco. Pochi sono gli elementi stabili, la sola data sicura è, come

abbiamo visto, quella imposta da Vicino stesso alla base di un obelisco

nella zona d’ingresso. Un documento notarile del gennaio 1552 attesta

la presenza a Bomarzo dello scultore Francesco Moschino, elemento,

questo, che consiglia di attribuirgli le sculture del piazzale egizio.

38 Anche in questo caso il riconoscimento è contrastato, Bredekamp vi vede la ninfa

Psiche, mentre per Calvesi si tratterebbe della maga Alcina.

La prossimità fisica e una comunanza di linguaggio inducono a ritenere

che anche l’antro, le grazie e la dea dormiente siano state realizzate

negli anni cinquanta.

Una preziosissima lettera di Vicino Orsini al cardinal Farnese,

dell’aprile 1561, ci fornisce poi un altro appiglio documentario:

Io sto tuttavia intorno al mio boschetto per veder sello posso far veder

meraviglioso a Lei come a molti balordi che vi vengono, ma questo non averrà,

perché la maraviglia nascendo de l’ignorantia non può cader in Lei39.

Da queste poche righe si evincono alcune notizie fondamentali. La

prima, e la più evidente, è che il boschetto, al principio del 1561 è già

meta di visite ed è ad uno stato di avanzamento tale da essere meraviglioso

per molti balordi.

70

Page 71: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

La seconda è che alla base della costruzione c’è un progetto, che esiste

una chiave di lettura che gli ignoranti non possiedono.

La terza è che il giardino non può essere stato pensato da Vicino

come memoriale per la moglie, in quanto Giulia Farnese muore nel 1560

e non sarebbe stato tecnicamente possibile progettare, realizzare il giardino

e ricevere molte visite nel solo inverno 60-61.

La tesi della centralità di Giulia è del resto affascinante ma anacronistica.

Non esiste un solo riferimento alla moglie in tutto l’epistolario

di Vicino, nemmeno nelle tre lettere inviate ad Alessandro Farnese nei

mesi successivi alla prematura scomparsa della nipote. Con l’uomo che

aveva delineato il suo matrimonio, Vicino ragiona di questioni economiche

e legali, della sua salute e del boschetto, ma non fa un solo cenno

alla moglie40. La cosa non deve apparire insolita, il matrimonio tra due

membri dell’aristocrazia non aveva nulla a che fare con l’amore o la

passione. I coniugi erano tenuti al reciproco rispetto, essi erano parti

di un legame di sangue contratto tra due casate. In questo quadro va

inteso anche il tempietto classicheggiante eretto in memoria di Giulia

appena fuori il confine del Sacro Bosco. Il mausoleo è un monumento

di devozione e una testimonianza che con la morte di Giulia il contratto

39 Vicino Orsini ad Alessandro Farnese 22. 4. 1561

40 Lettere del 26 marzo, 20 e 22 aprile 1561

71

Page 72: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

tra gli Orsini e i Farnese non aveva perso d’efficacia. L’intreccio dei gigli

e delle rose, emblemi delle due dinastie, presente nella volta del tempio,

è un’inequivocabile affermazione di questo legame.

In un’altra lettera dello stesso aprile 1561, Vicino afferma di essere

a letto a causa di una rovinosa caduta ”dal muro del lago del mio boschetto41”.

Lo curava il medico del papa, Iacopo Sacchi, una vecchia conoscenza

di Vicino. L’archiatra era stato infatti l’autore della Cangiaria,

la commedia che aveva segnato l’ingresso in società del giovane Orsini.

Gli interventi di Annibal Caro, del 1564:

La lettera m’ha trovato in Frascati tanto occupato intorno a’ viali e

simili novelle de la mia vignetta, quanto forse non V.S. intorno a Teatri,

e mausolei del suo Bomarzo.42

e di Francesco Sansovino, riferito ad una visita del 1565:

Mi pare essere su loggia, laqual scopre tutto il paese & mena l’occhio

de riguardanti giù per quella collina, a piè della quale si uede il Teatro, il

lago, & il Tempio dedicato alla felice memoria dell’Illustriss. Sig. Giulia

Farnese già uostra consorte.43

Suggeriscono, con il loro loquace silenzio, che le opere colossali del

Sacro Bosco al 1565 non siano ancora state realizzate. Una stampa del

1564 che, come vedremo, costituisce un precedente iconografico del

gruppo con l’elefante ci conferma in questa supposizione. I lavori dovettero

72

Page 73: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

continuare almeno sino al 1573, quando Vicino scrive di un suo

scultore a cui è venuta voglia di vedere le grandezze di Caprarola.44

Nella seconda metà degli anni settanta il boschetto deve però essere

sostanzialmente concluso. Vicino è occupato in lavori di manutenzione

e di completamento. Le sculture sono colorate ed è presumibilmente

in questo momento che sono inserite la maggior parte delle iscrizioni.

41 Vicino Orsini ad Alessandro Farnese 20.4.1561

42 Annibal Caro a Vicino Orsini, 20.10.1564

43 Jacopo Sannazaro, Arcadia, Dedica di Francesco Sansovino a Vicino Orsini, 1570

44 Vicino Orsini ad Alessandro Farnese, 14.8.1573

IL PIAZZALE DI NETTUNO

Grazie al bacino artificiale, realizzato nel 1561, Vicino può attivare

fontane e giochi d’acqua, sia in basso, nell’area di interconnessione col

giardino, sia in alto, verso la grandiosa fontana con il dio barbuto.

Ancora un dio, dopo la Venere che rappresentava esplicitamente

uno dei numi tutelari del Teatro, siamo ora di fronte a Nettuno. Giulio

Camillo ricorre all’immagine di Poseidone per ben tre volte nella colonna

della Luna, a rappresentare l’elemento equoreo a differenti gradi

di complessità:

73

Page 74: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

Nettuno prometterà che nel suo volume si tratterà dell’elemento

dell’acqua purissimo e semplicissimo. Si dà alla Luna, per esser la reina

dell’umidità. Questa medesima sotto l’Antro significherà l’acquatico

e i suoi animali. Sotto i Talari tentare il guado, passar l’acqua, lavar

con acqua, bagnar, bere, spruzzare. E sotto Prometeo arti sopra l’acque,

come aquedutti, fontane artificiale, ponti, arzanà, arte navale e l’arte

del notare e pescare.45

Più volte, nella costruzione del suo Teatro, Camillo utilizza il medesimo

simbolo per rappresentare differenti tappe nel divenire mondo.

Così, la Fanciulla con vaso di odori in testa, collocata poco più avanti

nel piazzale di Poseidone, appare per tre volte nella colonna di Venere:

nell’Antro significherà tutti gli odori. E per esser il vaso di Venere, al

lei si dà. Sotto i Talari significa le nostre operazioni insieme agli odori

fuor d’arte, come odorare e portare odori. Ma sotto Prometeo contiene le

arti pertinenti ad odori e perfumieri.46

Accanto alla Fanciulla con vaso di odori, in cui Bredekamp riconosce

Cerere mentre Calvesi crede sia la figlia Proserpina, c’è il Vello

45 G. Camillo, L’idea del Teatro, in L’idea …op. cit., p. 75

46 G. Camillo, L’idea del Teatro, in L’idea …op. cit., p. 83

d’oro. Il mitico animale è stato trascurato da Calvesi, ma è presente nel

Teatro, nella colonna di Mercurio, a rappresentare:

74

Page 75: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

tutti gli oggetti che appartengono al giudizio del peso o del toccamento,

come grave e leggiero, aspro, molle, duro, tenero e simili; intendesi

nondimeno di quelle che son fuor dell’uomo. Questa medesima immagine

sotto Pasife significherà le cose medesime del corpo umano e sotto

i Talari significherà l’operazion senza arte di far duro, molle, aspro.47

Una sola volta, al grado Convivio nella colonna di Marte, troviamo

la Bocca Tartarea. La presenza di una tavola conviviale all’interno del

monumento più celebre dell’intero Sacro Bosco non si spiega quindi

con il ricorso ad una bizzarria, ma ancora come un indizio. Come tutte

le immagini collocate nell’area di pertinenza del dio guerriero, anche

la Bocca tartarea rimanda al fuoco e, difatti, Calvesi sottolinea la discendenza

del motivo iconografico da alcuni camini presenti nelle ville

del veronese e a Vicenza48. Ulteriore conferma della preponderante influenza

veneta nella formazione culturale di Vicino.

47 G. Camillo, L’idea del Teatro, in L’idea …op. cit., pp. 81-82

48 Cfr. Calvesi, Incantesimi … op. cit., p. 247

LEPANTO

Dopo l’esperienza del carcere, Ludovico Domenichi riprende il suo

lavoro di editore. Nel 1564 pubblica le Istorie di Paolo Giovio, un intellettuale

che molto si era esposto per la sua liberazione. In quest’edizione

c’è una tavola che è fonte iconografica per il gruppo con l’elefante e il

legionario. La ripresa è precisa, Bredekamp nota che “il diadema simile

ad una rosa sulla fascia frontale dell’elefante del Giovio avrà suggerito a

75

Page 76: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

Vicino di rivestire i lembi della bardatura con il suo simbolo araldico.”49

A conferma della datazione tarda dell’opera non vi è solo questo elemento,

anche in questo caso, come per la gigantomachia, è lo stesso

silenzio delle fonti a suggerire che il gruppo non fosse stato realizzato

nella prima metà degli anni sessanta. Calvesi propone una data posteriore

al 1571, il legionario morto sarebbe un monumento in memoria

del figlio Orazio, caduto nella battaglia di Lepanto. La guerra contro

i Turchi si presenta come l’ultimo episodio di un millenario conflitto

tra Oriente e Occidente. Una crociata alla quale Vicino s’era rifiutato

di partecipare, ancora giovane aveva deciso di abbandonare la carriera

militare in modo definitivo. Il massacro di Montefortino, l’ultima spedizione

cui aveva partecipato, lo aveva disgustato. La cittadina laziale,

colpevole di essersi ribellata al Papa era stata rasa al suolo e le sue macerie

erano state arate con il sale. Tutti gli abitanti erano stati massacrati

dalle truppe del Carafa, mentre le donne, che avevano condotte con sé

i bambini, furono bruciate vive dentro una chiesa nella quale avevano

sperato di trovare rifugio. L’ipotesi di Calvesi rende anche ragione

dell’importante variante che Vicino impone al modello camilliano.

Nel Teatro l’elefante appare nella colonna di Mercurio a rappresentare

gli dei favolosi, le false religioni. L’introduzione del legionario potrebbe

quindi essere un tributo al figlio sacrificato in pasto ai falsi dei e ai

suoi apostoli. Questa congettura è rafforzata dall’epistolario, infatti nel

corso dei suoi ultimi anni l’Orsini si lascia sfuggire giudizi sempre più

scettici nei confronti delle religioni e carichi di disprezzo nei riguardi

49 H. Bredekamp, op. cit., p. 152

dei ministri della Chiesa di Roma.

76

Page 77: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

In una lettera all’amico Drouet scrive che non vi è vita oltre la vita:

et così tirare avanti, sinché s’arriva al porto del fiume Lethe, et non

è poca consolatione a pensare che s’altri non curarà né parlarà più di

me, io non curarò, né parlarò manco d’altri et tornarò in quel medesimo

stato che ero nanzi che venissi di qua; et ben dice Seneca, che poca differenza

è da una candela nanzi che s’appicci, o dipoi che è smorzata.50

In un’altra cerca invece di consolarlo per la paura della morte, il relativismo

è spinto sino ad una sostanziale dichiarazione di ateismo:

Hor consoliamoci con altre sorti di consolazioni, e non più con li

pianti; noi dovemo fare, già che semo nella settimana santa, come li cristiani,

e creder che queste siano transitorie e quell’altre, ch’arremo da

haver di là, siano eterne e di altra qualità; se non ti piace questa, piglia

l’opinion Pitagorica, confortati con l’haver a saltar d’un corpo in un altro;

se non ti piace questa, piglia la Platonica, che doppo tante migliaia

d’anni là tornerai; se non ti piace questa altra, piglia l’Epicurea, e se non

ti piace nessuna, crepa, già che non si trova via de consolarti.51

Mentre nella sua ultima lettera, scritta nel Natale del 1583, chiede

all’amico di prendersi gioco dei membri del concistoro, di quelli vecchi

come di quelli nuovi, sebbene, prudentemente, sotto lo mantiello:

…, ma de gratia mi faccia un piacere: come voi vedete, questi cardinali,

tanto novi como vechi, per amor mio, fateli una ficha sotto lo

77

Page 78: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

mantiello, …52

50 Vicino Orsini a Giovanni Drouet, 28.7.1574

51 Vicino Orsini a Giovanni Drouet, 3.4.1583

52 Vicino Orsini a Giovanni Drouet, 26.12.1583

LA PANCA ETRUSCA

Nel livello di Nettuno sono presenti ancora due massi di peperino.

Dal primo è stato ricavato il gruppo del drago in lotta con i due leoni,

opera che, come vedremo, è strettamente connessa con i leoni presenti

nel livello superiore. Con il secondo monolito è stata invece ottenuta

una grandiosa panca etrusca. Si tratta di una realizzazione tarda che

pare posta a margine del progetto. Parte integrante della panca è un’iscrizione

che recita:

VOI CHE PEL MONDO GITE ERRANDO VAGHI

DI VEDER MARAVIGLIE ALTE ET STUPENDE

VENITE QVA DOVE SON FACCIE HORRENDE

ELEFANTI ORSI ORCHI ET DRAGHI

78

Page 79: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

Vale per questa quanto detto per la maggior parte delle iscrizioni,

si tratta di un intervento realizzato al termine dei lavori, con il chiaro

intento di unificare l’intero giardino. Non ci sono enigmi per questa

epigrafe, un semplice invito ai suoi ospiti, una piccola e autocelebrativa

sintesi delle meraviglie presenti nel boschetto. Tuttavia, la morfologia

della panca poteva dire qualcosa ai contemporanei di Vicino. Si tratta

infatti di una citazione del reperto etrusco presente nei giardini del

cugino Nicolò IV Orsini di Pitigliano. Al ramo di Pitigliano, gli Orsini

di Bomarzo erano legati da vincoli di parentela, alleanza ed amicizia.

Bartolomeo d’Alviano e Giancorrado, padre di Vicino, avevano combattuto

per Niccolò III, generale dell’esercito veneziano. Mentre Vicino

stesso aveva condiviso la campagna contro gli smalcaldici del 1546-47

con Niccolò IV. Già i contemporanei percepivano i giardini di Pitigliano

e quello di Bomarzo come realizzati in competizione l’uno con l’altro53,

evidente l’analogia tra le due finte panche etrusche che hanno un

comune precedente nella tomba della sirena di Sovana, collocata nei

territori del conte di Pitigliano.

53 cfr, Bredekamp, op. cit., p. 194 n. 34

79

Page 80: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

Tomba della sirena che, come osserva Bredekamp54, è un sicuro precedente

anche per un altro monumento finto etrusco che, sebbene posto

in una zona periferica del giardino, consideriamo ora per affinità tematica.

Le pseudo rovine del tempio etrusco, nel cui timpano è scolpita

a basso rilievo una favolosa creatura marina, ripropongono un motivo

apologetico del casato Orsini. Gli Orsini erano infatti celebrati dalla

letteratura cortigiana come discendenti dei primi coloni etruschi, giunti

in Italia dopo la guerra di Troia e chiamati dalle popolazioni locali

Populi Ursentini, a causa degli orsi condotti dall’Asia minore. Stando

allo storico Annio da Viterbo, Vicino poteva poi vantare un primato

del suo feudo in quanto a Piammiano era stato individuato il primo insediamento

etrusco nella penisola. I primi coloni, giunti dalla Meonia,

avrebbero costruito il mitico oppidum Meanum non lontano dal sacro

Bosco, nell’antico Piano dei Meoni o Piammiano.

Ma, al di là di connessioni più o meno pretestuose, queste realizzazioni

neoetrusche appaiono più che altro di valore ornamentale e sono

comunque estranee al progetto originario del Sacro Bosco.

54 Bredekamp, op. cit., p. 137

80

Page 81: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

LA NOTTE DI SAN BARTOLOMEO

Lasciato il livello di Poseidone, il visitatore raggiunge un terrazzamento

dominato da una panca che termina con una imponente figura

di donna. Si tratta di Cibele, cui Camillo ricorre quattro volte per significare,

nella colonna di Saturno, la terra e le sue arti. L’iconografia

è quella classica, che il Delminio riconduce a Lucrezio, la dea è turrita

ed è accompagnata da due leoni. Melanione ed Atalanta, posti da Giove

a difesa di Cibele, sono all’altro capo del piazzale, impegnati a fronteggiare

creature infernali colte nel momento della loro transizione da

sirene ad arpie. In quanto manifestazioni dell’Ade, le Arpie sono assimilabili

alle Furie che ritroviamo nel Teatro nella casella di intersezione

tra Prometeo e Marte:

Le Furie infernali, per esser esecutrici delle pene, conteneranno il barigellato,

cattura, carcere, tortura, supplicii.55

La corsa dei leoni non s’arresta qui, sono infatti ancora Melanione

ed Atalanta che balzano nel livello inferiore per aggredire il drago posto

accanto all’elefante. La centralità di questa lotta è sottolineata dalla

iscrizioni presenti in tre dei crateri presenti nel piazzale di Nettuno.

Purtroppo una solo è integra e recita:

NOTTE ET

GIORNO

81

Page 82: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

NOI SIAM VIGILI

ET PRONTE

A GVARDAR D’OGNI

INGIURIA QUESTA

FONTE

Il Parco si è aperto quindi ad una dimensione teatrale che mette in

55 G. Camillo, L’idea del Teatro, in L’idea …op. cit., p. 124

scena un vero e proprio dramma, un succedersi di eventi che è parallelo

al divenire del percorso verso il punto più alto del giardino, quel colle a

cui è teso l’intero itinerario.

Tuttavia, prima di riprendere il viaggio iniziatico, resta da sciogliere

un nodo: cosa rappresenta il drago? Nella macchina di Camillo non è

presente, a cosa dobbiamo questa variazione? Dobbiamo considerare

il drago come un emblema generico di creatura demoniaca? O, invece,

si tratta di un simbolo che i contemporanei potevano cogliere agevolmente?

Per dare una risposta a questo interrogativo possiamo far ricorso a

due elementi: datazione e collocazione. Il gruppo con il grado e i due

82

Page 83: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

leoni è disposto tra l’elefante e le arpie collocate nel livello superiore. Il

legame con le divinità infernali è sottolineato dalla presenza della coppia

di leoni. Nel piazzale di Cibele, Melanione ed Atalanta si limitavano

a tenere a bada gli agenti della tortura, del carcere e dei supplizi, qui,

al contrario, sono impegnati in una furiosa combattimento. L’azione è

drammatica, molto diversa dalla pur prossima lotta tra il legionario e

l’elefante. Vi è una solennità nelle sculture che devono ricordare Lepanto,

un’immobilità che contrasta fortemente con il dinamismo espressionista

del conflitto con il drago. Eppure le due opere devono essere

pressoché contemporanee. Appare fortemente probabile che Vicino abbia

proceduto nella costruzione del suo giardino per fasi ben definite,

in zone ben delimitate. Non vi sono documenti che alludano al drago

almeno sino al 1565 ed è ragionevole ipotizzare che anche questo monolito

sia successivo a Lepanto. L’indizio che ci spinge a valutare questa

ipotesi è la straordinaria somiglianza tra il drago di Bomarzo e lo

stemma pontificio di Gregorio XIII, eletto nel 1572, e distintosi immediatamente

per la sua feroce politica contro gli eretici. Il papa Boncompagni

accolse con gioia la notizia della strage degli ugonotti, il massacro

indiscriminato di decine di migliaia di calvinisti francesi, perpetrato

a freddo nella notte tra il 23 e il 24 Agosto. Gregorio XIII donò cento

scudi al messaggero che per primo l’informò dell’eccidio, ordinò che in

segno di festa sparasse il cannone di Castel Sant’Angelo, fece coniare

una medaglia commemorativa della strage ed incaricò Giorgio Vasari

di affrescare gli appartamenti regali del Vaticano con una rappresentazione

del più grande massacro perpetrato nell’età della Controriforma.

83

Page 84: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

L’11 settembre lo stesso Pontefice indisse una solenna funzione in cui

pose sullo stesso piano Lepanto e la notte di San Bartolomeo, infedeli

ed eretici56.

Vicino Orsini era passato indenne attraverso il pontificato di Giulio

III che pure aveva colpito duramente il suo amico Domenichi, aveva

partecipato al massacro di Montefortino ordinato da Paolo IV, aveva

saputo dell’eccidio di Guardia Piemontese avvenuto per volere di Pio IV

e aveva poi visto salire al Soglio il Grande Inquisitore, papa Ghislieri,

che del massacro era stato il vero mandante. In tutti quegli anni s’era

mantenuto in disparte, aveva lanciato segnali di dissenso ed inviti alla

prudenza. Ma Lepanto gli porta via un figlio e Gregorio XIII inaugura

il suo pontificato celebrando l’ennesima e la più grave carneficina del

secolo. Vicino coglie il nesso tra agenti del supplizio e mandanti, tra

inutili stragi e falsi dei. L’ironia lascia allora il posto al disgusto e alla

rabbia. Cibele, nume tutelare della terra, si vede costretta a difendere il

giardino e la fonte della vita.

56 Nel dispositivo di Camillo il Dragone cavalcato da Marte è detto “veleno di Dio”

e rappresenta, nella colonna di Marte a tre differenti gradi di intensità, la potenza

distruttrice, la crudeltà e la vendetta.

Nascosta tra le spire del drago bomarzese emerge una terza fiera il cui significato

è ancora incerto.

84

Page 85: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

85

Page 86: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

CERBERO, IL TERRAZZINO E PAN

Alle spalle di Cibele c’è un’ultima scalinata che ci conduce alla sommità

del colle. Per accedervi si deve affrontare Cerbero.

Scrive Camillo:

Cerbero è stato dipinto con tre teste a significar le tre necessità naturali,

che sono il mangiare, il bere et il dormire; le quali, perciò che

impediscono molto l’uomo dalla speculazione, finge Virgilio che Enea

per consiglio della Sibilla, volendo passar alla contemplazione delle cose

alte, gli gitta un boccone e di subito passa. Il che significa che, quantunque

noi abbiamo a soddisfare a queste tre necessità, con poco loro abbiamo

a soddisfare, se vogliamo avere tempo di contemplare.57

Il mostro tricefalo è l’ultimo ostacolo da superare per raggiungere il

grado di perfezione spirituale in cui è possibile la contemplazione del

mistero dell’universo. Dal terrazzino si apriva la vista delle cose terrene

e quelle celesti.

Il che più chiaramente esprimeremo con uno esempio. Se noi fossimo

in un gran bosco et havessimo desiderio di ben vederlo tutto, in quello

stando, al desiderio nostro non potremmo soddisfare: percioché la vista

intorno volgendo, da noi non se ne potrebbe vedere che una piccola parte,

impedendoci le piante circonvicine il vedere delle lontane: ma se vicino

a questa vi fosse una erta, la qual ci conducesse sopra un alto colle,

del bosco uscendo, dall’erta cominceremo a veder in gran parte la forma

86

Page 87: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

di quello; poi sopra il colle ascesi tutto intero il potremmo raffigurare.

Il bosco è questo nostro mondo inferiore, l’erta sono i Cieli, et il colle il

sopraceleste mondo. Et a voler bene intendere queste cose inferiori è necessario

di ascendere alle superiori: et di alto in giù guardando, di queste

potremmo haver più certa cognizione.58

57 G. Camillo, L’idea del Teatro, in L’idea …op. cit., p. 83

58 G. Camillo, L’idea del Teatro, in L’idea …op. cit., p. 63

È forse questo il passo, tratto dalle prime pagine dell’Idea, che nel

1550 offrì a Vicino lo spunto per la creazione del suo capolavoro. Il

bosco, il desiderio di conoscenza, il percorso iniziatico, l’ascesi verso

l’erta, il superamento delle passioni terrene rappresentate da Cerbero

e, infine, il raggiungimento della sommità del colle da cui è possibile

contemplare le cose inferiori e le superiori. La coincidenza nei termini,

nel progetto e nelle immagini è indubitabile.

Stando così le cose siamo in condizioni di comprendere l’importanza

ed il ruolo di una scultura, gravemente danneggiata, che oggi giace

riversa al suolo accanto a due orsi araldici. Si tratta di un Pan, divinità

disposta al primo grado della colonna centrale, quella dedicata al sole:

Pan, il quale perciò che con la testa significa il sopraceleste con le

corna d’oro che in su guardano, e con la barba i celesti influssi e con la

pelle stellata il mondo celeste, e con le gambe caprigne l’inferiore, sotto

questa figura ci saranno significati i tre mondi.59

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Il Pan è dunque l’immagine di sintesi cui l’iniziato giungeva al termine

del suo percorso d’ascesa.

Il progetto originario è condotto a compimento, ma è doppiato da

un’ombra di scetticismo che è venuta addensandosi nel corso degli anni

e dei decenni. Vicino interpreta Camillo con sempre maggior libertà,

inventa varianti che, pur non tradendo l’impianto delminiano, introducono

allusioni al vissuto personale del committente via via più evidenti.

Il giardino si fa traccia di una vita intera e si fa interamente carico

di dubbi e ripensamenti. Abbiamo visto come l’iscrizione tardiva che

l’Orsini fa inserire nel teatro, giungiusse a rimettere tutto in discussione.

Il neoplatonismo, la magia, l’Egitto e la possibilità di trasformare

le statue in uomini, appaiono all’ultimo Vicino come vanità. In una

lettera tarda, del 1580, il progetto è messo a nudo e, ad un tempo, privato

di valore:

et quando considero ch’hormai nel mio boschetto non ci ho da far

altra operatione, che la contemplatione delle cose inferiori et superiori,

59 G. Camillo, L’idea del Teatro, in L’idea …op. cit., p. 66

non ne ritraggo altro, che, stando astratto con la mente, parer una statua.

60

Ecco la conferma che il suo boschetto è il bosco di Giulio Camillo,

insieme all’amara constatazione che il grande talismano si è ritorto

contro il suo creatore. In luogo di dare la vita alla pietra, il Sacro Bosco

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Page 89: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

trasforma gli uomini in statue.

Vicino non rinuncia a sorridere di se stesso. L’ironia è l’ultima arma

che gli rimane. La userà contro i sapienti:

… alla fin fine questi barboni bianchi ch’hanno nome di savii danno

nel coglionorio più che gl’altri.61

La userà contro se stesso e per farsi beffe dell’ideologia aristocratica,

quando nasconde nel cuore stesso dell’emblema orsiniano una scimmietta

che fa le boccacce. La scimmia è celata dentro una rosa sostenuta

da un orso, disposto proprio accanto al Pan. Il principe di Bomarzo

sino all’ultimo continua a fare le fiche sotto lo mantiello e si diverte a tenere

assieme sacro e profano, dimensione pubblica e sfera privata, in un

complesso gioco di scatole cinesi. L’approccio guascone è sempre quello

della gioventù, ma Vicino è oramai stanco e pronto a morire:

non c’è più rimedio alli casi nostri, già è data la sententia et non

manca se non l’esecutione; io dico che bisogna pagare il debito alla Natura

et resolverse a farlo senza tante cerimonie et querele.62

Probabilmente crede di aver perso la sua sfida. Eppure chi, oggi, si

trovi ad attraversare il suo sogno di pietra, può affermare che davvero

LOCA VIRIS HONESTATUNTUR, i luoghi acquisiscono onore dagli

uomini. La visione del giovane ha sconfitta la scettica saggezza dell’anziano

60 Vicino Orsini a Giovanni Drouet, 15.1.1580 61 Vicino Orsini a Giovanni Drouet, 28.7.1574

62 Vicino Orsini a Giovanni Drouet, 8.8.1574

APPARATO ICONOGRAFICO

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APPARATO ICONOGRAFICO 75

Teatro anatomico di Leida

ipotesi di ricostruzioni del

Teatro di Giulio Camillo

Terrazze appartamento

di Vicino Orsini

Tavola della

Hypnerotomachia

Poliphili

Dettagli della stanza

di Vicino Orsini e Giulia Farnese

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Page 91: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

Planimetria del Sacro Bosco

Le lettere corrispondono alle tavole

dell’apparato iconografico

A: Sfingi

B: Erme

C: Iside su Basilisco

D: Teatro

E: Casa Pendente

Tavola dal Symbolicarum

Quaestionum (1555/56)

di Achille Bocchi

Veduta d’insieme del piazzale d’ingresso

F: Antro delle Ninfe

Tavola dall’ Hypnerotomachia Poliphili

G: Tre Grazie

Dettaglio della corazza di Ercole con testa di Gorgone

H: Ercole e Anteo

I: Venere

L: Nettuno

M: Fanciulla con vaso di odori in testa

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Page 92: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

N: Bocca tartarea con elefante e drago sullo sfondo

O: Elefante

Tavola da

Paolo Giovio, Delle istorie, 1564

P: Drago con fiere

Emblemi della famiglia Boncompagni

Medaglia commemorativa

della strage degli Ugonotti

Q: Cibele

R: Pan

S: Orso araldico

Dettaglio con scimmia sbeffegiante

T: Atalanta e Melanione con Sirena ed Arpia

U: Cerbero

V: Terrazzino

Z: Tempietto di Giulia Farnese

Dettaglio del tempio con la rosa degli Orsini e i gigli farnesiani

Immagine della tetractis e della piramide

Tavola dal Symbolicarum quaestionum di Achille Bocchi (1555/56)

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Page 93: Bomarzo Esoterica ANTONIO ROCCA

Finito di stampare nel mese di marzo 2013

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