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DOMENICA 20 DICEMBRE 2009 D omenica La PACO IGNACIO TAIBO II Due grandi scrittori e un maestro dell’illustrazione per la festa più felice e dolente dell’anno In esclusiva per i lettori di Repubblica S olo adesso, quando gli autunni di Veracruz si annunciano più per lo scric- chiolio delle mie ossa che per la comparsa degli uragani del nord, quei tem- porali crudeli che penetrano da nordest a sudest nel Golfo del Messico con dense ondate di nuvoloni neri, sollevando venti che castigano la grazia del- le palme e l’abituale indolenza dei miei compaesani; solo adesso decido di tornare, in questi giorni che precedono il Natale. E sarà una storia sempli- ce, dato che i fatti non ammettono trame letterarie, né la memoria più falsità di quan- te non ne imponga l’arteriosclerosi ai ricordi. Sarà così? O piuttosto ciò che dovrò rac- contare è come nel rifugio del passato si può vivere in un altro modo questo presente. (segue nelle pagine successive) PAULO COELHO « L a fede è ancora viva nel cuore degli uomini», si disse il prete, allor- ché vide la chiesa affollata. Erano tutti lavoratori del quartiere più povero di Rio de Janeiro, e quella notte si erano riuniti lì con un uni- co scopo: ascoltare la Messa di Natale. A quel pensiero, provò una sensazione di contentezza. Con passo solenne, si diresse verso il centro dell’altare. Fu allora che udì una voce. Diceva: «A, b, c, d...». Gli sembrò la voce di un bambino — che disturbava la solennità della funzione. Tutti si voltarono nella sua direzione, infastiditi. Ma la voce non s’interruppe: continuò a ri- petere: «A, b, c, d...». (segue in controcopertina) Racconti Natale di Nelle pagine successive PIETRO CITATI GIPI LICIA GRANELLO CARLO PETRINI IRENE MARIA SCALISE VITTORIO ZUCCONI ILLUSTRAZIONE DI GIPI di Repubblica Repubblica Nazionale

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DOMENICA 20DICEMBRE 2009

DomenicaLa

PACO IGNACIO TAIBO II

Due grandi scrittori e un maestrodell’illustrazione per la festapiù felice e dolente dell’annoIn esclusiva per i lettori di Repubblica

Solo adesso, quando gli autunni di Veracruz si annunciano più per lo scric-chiolio delle mie ossa che per la comparsa degli uragani del nord, quei tem-porali crudeli che penetrano da nordest a sudest nel Golfo del Messico condense ondate di nuvoloni neri, sollevando venti che castigano la grazia del-le palme e l’abituale indolenza dei miei compaesani; solo adesso decido ditornare, in questi giorni che precedono il Natale. E sarà una storia sempli-

ce, dato che i fatti non ammettono trame letterarie, né la memoria più falsità di quan-te non ne imponga l’arteriosclerosi ai ricordi. Sarà così? O piuttosto ciò che dovrò rac-contare è come nel rifugio del passato si può vivere in un altro modo questo presente.

(segue nelle pagine successive)

PAULO COELHO

«La fede è ancora viva nel cuore degli uomini», si disse il prete, allor-ché vide la chiesa affollata. Erano tutti lavoratori del quartiere piùpovero di Rio de Janeiro, e quella notte si erano riuniti lì con un uni-co scopo: ascoltare la Messa di Natale. A quel pensiero, provò unasensazione di contentezza. Con passo solenne, si diresse verso ilcentro dell’altare. Fu allora che udì una voce. Diceva: «A, b, c, d...».

Gli sembrò la voce di un bambino — che disturbava la solennità della funzione. Tuttisi voltarono nella sua direzione, infastiditi. Ma la voce non s’interruppe: continuò a ri-petere: «A, b, c, d...».

(segue in controcopertina)

RaccontiNatale

di

Nelle pagine successive

PIETRO CITATI

GIPI

LICIA GRANELLO

CARLO PETRINI

IRENE MARIA SCALISE

VITTORIO ZUCCONI

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di Repubblica

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(segue dalla copertina)

ome ci fu un allora e poi seguì la lunga parentesi del dopo e infine que-sto letargo, preludio del viaggio verso il nulla. Viaggerò con il passato,con i testimoni fantasmi involontari. E nel raccontare, settant’anni do-po, chissà che la senilità dei miei caratteri vacillanti non renda piùgrandi i vecchi amici, chissà che uno non cresca nella memoria di qual-che centimetro. Il tempo è un traditore della fedeltà storica, se è veroche la storia esiste, perché impone un’altra fedeltà più dura, quella del-le colpe e degli amori. Ciò nonostante, ho bisogno di voi, vi convoconella tempesta, chiamo la vostra eco, angeli miei.

Il monsone tropicale si presenta assieme a loro; un uragano dal no-me tenero, Melanie, che fa a pezzi le barche dei pescatori e che si è an-nunciato qualche ora fa con una pioggia fitta, a cascata, accompagna-ta da venti che fanno piegare le palme regine e nella loro giustizia get-tano per strada e trascinano le antenne della televisione; distruggonoi vetri, fanno volare le lenzuola che qualcuno distrattamente ha la-sciato stese in terrazzo. In lontananza, nel Golfo del Messico, i fulminicominciano a rompere il cielo con un’irregolarità inquietante. I ricor-di vengono da lì. Sono l’unico che stia convocando i suoi fantasmi?Non dovrei. Tutti, anche voi, involontari lettori, avete bisogno di po-polare questo miserabile pantheon vuoto in cui avete trasformato lavostra vita, di riempirlo di arcangeli fiammeggianti, di eroi commisu-rati ad altri tempi.

E dunque, sia. Il vento fa sbattere le persiane contro i vetri, scheg-giando il legno, spezzando i rami degli alberi; fischia potente, onnipo-tente, quasi come Verdi nella sua più sublime pacchianeria. Metto sulmio vecchio giradischi Aida, questa storia assurda di antichi egizi dipaccottiglia avvolti in tappeti e tende e trasportati nel secolo Dician-novesimo, e alzo il volume al massimo. Oggi nessuno protesterà nelvecchio caseggiato. Non gliene importa niente a nessuno se il vecchiopazzo ascolta la musica a tutto volume in un pomeriggio di tempesta,e comincio a narrare.

IILa donna dell’agenzia di viaggi ha una calza smagliata e non cerca

di nasconderlo. È una squallida agenzia di viaggi in una traversa dellungomare, che annuncia in vetrina la stessa offerta di un viaggio a LasVegas di cinque anni fa. Ha smesso di piovere, ma le tracce dell’uraga-no sono ancora presenti.

— Pullman fino a Città del Messico, volo Iberia per Barcellona conscalo a Madrid, poi volo Alitalia per Roma e treno per Napoli.

— C’è un aereo per Napoli — risponde la donna dopo aver frugatoin un mucchio di carte per cinque minuti.

— Voglio andarci in treno.È un’agenzia dell’era antecedente ai computer, l’agenzia che un uo-

mo del secolo Diciannovesimo come me si meritava: frasi al telefono,appunti scritti a mano con una matitina, controllo di agende e, comeconcessione alla modernità, un fax malandato.

— Avrà bisogno di una sedia a rotelle?Anche se sono tentato di rispondere: «Mi vede così vecchio, signo-

rina?», mi limito a un semplice: «Ho il mio bastone», e le mostro il ba-stone nero con impugnatura d’argento che ha una lunga, lunghissimastoria.

— E quando vuole partire?— Dopodomani, lunedì.Mentre esco dall’agenzia, il sole di Veracruz si fa largo tra la nebbia

e brilla con splendore. La tempesta ciclonica è solo un ricordo.

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il racconto/1Un uomo con un’identità falsa

e un passato di fantasmi torna a casa

Per chiudere i conti l’ultima volta

PACO IGNACIO TAIBO II

Gli angeli impossibilidi Napoli

Tutti, anche voi, involontari lettori, avete bisogno di popolarequesto miserabile pantheon vuoto in cui avete trasformato la vostra vita,

di riempirlo di eroi commisurati ad altri tempi‘‘

‘‘

IIISalgo sul pullman abbandonando questi indumenti falsi che mi

hanno protetto per tutta una lunghissima vita, sotto questo nome pre-sunto e questa maschera che non è mia, maschera di un altro morto.Lascio dietro di me il porto di Veracruz, così diverso da quello che vidie di cui mi innamorai settantatré anni fa nell’autunno degli uragani;anno di brogli elettorali e di contadini morti, di politici narcotrafficantie di gangsterismo, anno di coppie eccitate che ballano quel ballo ine-guagliabile che è il danzón, dove la coppia si fonde nello spazio di duepiastrelle o quattro mattoni, sul pavimento di un parco dove l’aria è in-trisa dell’odore di banane mature.

I nostri tempi hanno perso la vocazione all’eroismo, il senso tragicoe comico della vita che non è altro che una farsa romantica con conse-guenze obbligate. Uomini e donne che vissero con la necessità che nonvi fosse nessuna distanza, nessuna, neanche minima, tra le parole e leazioni; esseri umani che fecero che ogni parola si firmasse con il suoatto corrispondente.

O forse sì, forse esistono tra le ceneri di falò che dovranno illuminarcitutti. Ma questi sono i miei fantasmi. Non amerò mai nessuno quantoloro. Non mi darò riposo, fino a riunirmi nel paradiso egualitario doveoggi riposano i loro sogni. So di essere un uomo strano. Non per nullaho vissuto per ottantatré anni innamorato di un mucchio di morti.

IVQualcuno ha avuto l’idea di farmi sedere accanto a una suora sul-

l’aereo. Insiste per raccontarmi il film che ci hanno messo. Non le pre-sto attenzione, tento di immaginare come si vedano da sotto le nuvo-le che vediamo da sopra. Quando uno va in cerca della più rimandatadelle mete, non ammette distrazioni anche se vive in una nuvola di co-stanti fantasticherie. Non avevo mai usato un aereo per lasciare il Mes-sico. È vero, avevo preso, credo di ricordare, delle navi. Non andai inNicaragua con i soldi per Sandino con la nave? Una nave tedesca, l’Il-se qualcosa, dove tra l’altro si mangiava benissimo: ossobuco, che orachiamo chamorros e loro chiamavano in qualche altro modo. E usciidal Messico anche in macchina per andare a vedere Pancho Villa inTexas, in una città chiamata El Paso, perché nel suo nome trovava lasua ragion d’essere, dato che ci si passava. Accompagnai Villa in unataverna gestita da un greco. Pancho non si fidava di me, non gli piace-vano gli italiani, aveva avuto dei problemi con un parente di Garibaldie gli era rimasta la diffidenza, la pura diffidenza. Villa non beveva, pren-deva acqua minerale e latte maltato alla fragola e non si toglieva il cap-pello. La suora che ho accanto non ha la cuffia. Le nuvole viste da so-pra non mi piacciono. Sono stato troppo terrestre per apprezzarle.

VScendo dal treno a Napoli alle prime luci del mattino, nella piazza di

una stazione che non riconosco, vari venditori di giornali si affannanocon dei pacchi, un gruppo di studenti semiaddormentati mi incrociaurtandomi; in mezzo alla piazza c’è un uomo in piedi sul sedile dellasua moto che colpisce un semaforo con un martello. Sorrido. In qual-che modo, quella palma vibrante nella prima luce stanca del giorno el’ammazza-semafori mi riconciliano con il passato remoto.

Prima trasgressione, a una dozzina di metri, mentre contemplo lavetrina di una pasticceria e mi sciolgo nell’odore di farina appenainfornata e degli zuccheri, accendo la prima sigaretta di un pacchettoche i medici messicani mi hanno proibito. La tosse mi fa quasi cadere,devo avanzare con calma nella via del peccato.

(segue nelle pagine successive)

L’AUTORE

Paco Ignacio Taibo II

(Gijón 1949) vive

a Città del Messico

Fra i suoi ultimi titoli,

pubblicati da Marco

Tropea Editore,

Un rivoluzionariochiamato Pancho,

Il quaderno verdedel CheIn Messico è appena

stato pubblicato ToniGuiteras, un hombreguapo,

in uscita in Italia

a maggio 2010

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40 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 20DICEMBRE 2009

il racconto/1La strada è invasa da venditori

di presepi. Mentre si avvicina la finedell’anno si avvicina un’altra fine

LE TAVOLE

I disegni

che illustrano

queste pagine,

la copertina

e la controcopertina

sono di Gipi

Il suo ultimo libro

è Diario di fiumee altre storieIn questi giorni

Gipi è in tournée

con lo spettacolo

teatrale Essedice(giannigipi.blogspot.

com)

Un tempo fui maestro in Messico, farmacista, comunista, clandestino,giornalista, marito. Ricordo mestieri con cui mi sento compliceCredo di essere stato anche padre, soldato, malato, fruttivendolo‘‘

‘‘© RIPRODUZIONE RISERVATA

È(segue dalle pagine precedenti)

la vigilia di Natale, si avvicina la fine dell’anno, la strada è invasa dai ven-ditori di personaggi del presepio, l’industria locale più potente, la realtàdella realtà. Pastorelli e re magi. Il quartiere puzza di orina di gatto, bam-bini bizzosi, vicoli a sinistra e a destra, nulla è cambiato. Le macchine in-seguono i pedoni. Questa città mi restituisce il sorriso. Hanno rotto i se-mafori, hanno dichiarato che l’anarchia è l’unico modo per circolare.Funziona. Motociclisti contromano, frotte di ciclisti assassini, perfinodisabili su sedie a rotelle contromano cercano di cacciare un pedone.

Era una città di maghi e non di credenti, san Gennaro, il patrono del-la città, non era un santo, era un pronosticatore di buoni matrimoni, cu-ratore di malattie veneree, ciarlatano dai rimedi impossibili. Uno pseu-do-santo e ciarlatano ammesso nel santorale e incatenato alla sculturalignea, catturato perché si elevasse al cielo e la burocrazia celeste non locastigasse per aver fatto dei favori ai napoletani. Vecchie che vendonoquattro accendini e mezza dozzina di sigarette su un tavolino pieghe-vole. Di che vivono? Il ragazzo con la giacca jeans slavata, seduto sul se-dile posteriore di un motorino parcheggiato mi guarda con occhi pre-datori. Lo contemplo, cerco i suoi occhi e poi sollevo il bastone puntan-dolo verso di lui.

— Ho 93 anni e il mio sguardo uccide — gli dico. Il ragazzo distoglie losguardo. Gli ho parlato in dialetto napoletano. La lingua mi è tornata inbocca macchiando la lingua, denso, scivolando tra i denti. Come è tor-nato il linguaggio? Per quanto tempo è rimasto lì nascosto? Da quantotempo non parlavo la lingua originale?

VII vecchi quartieri spagnoli sono tagliati in due da un colpo di spada,

Spaccanapoli, una strada stretta e dritta che va verso il mare. Ci va? Nonmi ricordo. Vi si accede passando davanti a una statua romana di dub-bia origine con una cornucopia diventata patrona del quartiere. La don-na spiega i presagi dalla finestra. Dà i numeri del lotto a beneficio di dueragazzini che l’ascoltano sotto la finestra. Se hai sognato un asino, il set-te. Se gli uccelli che stavano mangiando davanti alla moto non sono vo-lati via quando hai acceso il motore, il 31. Al lotto si può vincere solo co-sì. Non si tratta di fortuna né di azzardo, si tratta della corretta interpre-tazione del futuro. Se si conferma giorno dopo giorno, si tratta di unascienza, o no?

Napoli è una città ideale per scrivere un romanzo. È la miglior città delmondo per scrivere un romanzo. Il sole, nel pomeriggio, si deposita suPompei come se fosse un perfetto uovo fritto e i semafori non funziona-no. La strada è popolata da rumori e da librerie, l’odore dell’aglio ti pas-sa davanti, ti morde e prosegue; da qualche parte c’è il mare, eterno a Na-poli, perché il suo odore ci accompagna sempre.

VIITossisco. Ultimamente la mia tosse è come uno spasimo senza suo-

no, qualcosa di vuoto che non si riversa nella voce ma avanza verso l’in-terno dei polmoni distruggendo qualcos’altro. Sono un caso da barzel-letta, tossisco indentro e sembra che mi sgretoli, che la fragile architet-tura ossea venga giù.

VIIISalgo su un pulmino davanti alla porta dell’albergo per una di quelle

escursioni programmate. Sono in compagnia di una mezza dozzina dituristi inglesi, silenziosi, distratti, come se pensassero a un’altra cosa,come se fossero in un altro posto, come se non fossero mai usciti dallaloro isola. Visito le rovine evitando la guida turistica, una piccola giap-ponese con l’accento romano dotata di un enorme ombrello che solle-va per indicare la strada. Ricordo la desolazione, mi torna incontro. È lapiù grande tomba a cielo aperto del mondo. Salvato dal non misericor-

dioso passaggio del tempo, tutto è rimasto come se gli abitanti della cittàfossero stati rapiti da un incubo monumentale nel mezzo della notte.Una statua stranamente moderna mi sorprende. Si tratta del calco ingesso delle forme essenziali di un uomo accosciato che si copre il voltotravolto dalla lava. È del 35, viene dagli scavi di Maiuri, che si svolsero al-cuni anni dopo la mia partenza da Napoli. Lo osservo attentamente, ve-do l’orrore e vedo me stesso.

Non riesco a trovare gli angeli ma devono essere da queste parti. Unostrano paradosso, una città con degli angeli nascosti, molto prima che ilcristianesimo uscisse dalla Palestina. Nella casa della fontana. Un an-gelo sulla fontana. Alle sue spalle, un meraviglioso arco decorato pro-tegge l’uscita dell’acqua. Casa di Venere, un dipinto, dietro alla Venerenella sua conchiglia, un angioletto con il corpo immerso nell’acquasporge il viso rubicondo e le ali. E nuovamente alle spalle di Venere, inuna pittura murale, un angelo infantile e stupidotto si affaccia distratto.Sono venuto a vedere gli angeli impossibili.

IXUn acciottolato che anni fa non mi avrebbe dato fastidio oggi rende

incerto il mio passo. La nebbia cresce. Chi sono e che ci faccio qui? Ci fuuna rivoluzione in Messico migliaia di anni fa, e poi ci fu una guerra mon-diale e un’altra ancora, questo lo ricordavo e poi la nebbia si mangiavail resto, si mangiava tutto tra la storia che sto raccontando e il giorno incui cominciai a raccontarla. Guardo nella mia borsa, cerco il mio passa-porto, per vedere come mi chiamo e quanti anni c’è scritto che abbia. Eil resto? Nient’altro che polvere, ricordi dei ricordi originali. Dice che michiamo Luciano Dorantes, dice che ho novantatré anni. Dice che sononato nel porto di Veracruz, Repubblica messicana; ma è una menzogna.Penetro nella nebbia e il sole di Napoli illumina parzialmente lo spazio.Nacqui in questa città e ci sono tornato per morire.

Cammino per Napoli. Il quartiere di San Lazzaro, la via di San Biagiodei Librai, strada che sbuca sul mare percorrendo un lungo e variopin-to percorso. Finestre con piante, bucato steso ai balconi, a uno dei qua-li è appeso un paliacate, un fazzolettone messicano. Molte case stannoin piedi per caso, strutture metalliche sostengono miracolosamente i re-sti dell’edificio, puntellando le rovine, impedendone il crollo. La magi-ca geometria del disastro che uno che ha vissuto in Messico conosce be-ne.

XUn tempo fui maestro in Messico, farmacista, comunista, clandesti-

no, giornalista, marito. Credo di ricordare parole, mestieri con cui misento complice, affettuosamente in obbligo. Ci furono altri tempi tra loieri che torna e mi domina la testa e l’oggi. Credo di essere stato anchepadre, soldato, malato, fruttivendolo. Ricordo… Una donna mi offredelle sigarette che tiene sciolte su un tavolino. Ne compro una. Io fumo?Fumavo, un tempo fumavo. Quando ho smesso? L’accendo, tossisco.La gola ritrova penosamente nel suo graffio il vecchio e nobile vizio. Lanuvola di fumo sale dalla mia bocca verso il cielo.

All’improvviso, la sensazione che il ritorno sia avvenuto, di essere tor-nato dal passato remoto, dal Messico e dalla storia, si realizza; con essa,la chiara sensazione che questo tornare era la condizione del perdono.Di un perdono così tardivamente concesso da aver poco sapore. Il solealle mie spalle mentre scendo verso il mare mi fa una lunga, lunghissi-ma ombra. Mi fermo e altero il viaggio, altero il senso del viaggio, mi gi-ro, cammino verso il sole, un sole brillante, terribile che mi acceca, na-poletano di sicuro, messicano quasi, che entra nella strada provocandoun’esplosione, che brucia tutto, che scioglie le retine nella luce. Il cuorescoppia. E cammino in avanti, verso la fine. Muoio.

Traduzione di Luis E. Moriones © 2009 Paco Ignacio Taibo II

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Non amare Dickens è unpeccato mortale: chinon lo ama, non amanemmeno il romanzo; enon capisce che l’artedell’Ottocento ha forse

raggiunto il suo culmine quando hamescolato il folle riso con la più imper-territa discesa nelle tenebre. Dostoev-skij e Tolstoj, Conrad e Joyce, Kafka eDylan Thomas lessero Dickens con lapassione, l’entusiasmo e l’«incoerentegratitudine», che egli richiede da cia-scuno di noi. Vissero insieme a lui; abi-tarono dentro di lui; e appresero daquel «rozzo romanziere popolare» i più

sottili artifici letterari. Chi imparò da luila tecnica del romanzo criminale, chi lapresentazione dei personaggi, chi ilgioco delle voci narrative, chi il dialogofluviale; chi amò i «divini idioti» o i sim-boli o il calore analogico delle immagi-ni. Tutti, in una parola, scorsero inDickens un grande specchio — uno diquegli specchi incrinati e velati, che tal-volta si trovano nelle soffitte — dovescoprire se stessi.

Se il secolo scorso fu un tempo di“mostri” letterari, Dickens fu il più mi-sterioso di questi mostri. Comprendia-mo le persone e i libri di Balzac e di Do-stoevskij; ma quale figura fu più straor-dinaria e assurda di quella di Dickens?Nessuno possedette il suo fiduciosocandore e la sua bonomia e nessuno fupiù allucinato; nessuno conobbe comelui la vita colorata e felice di ogni giornoe nessuno si inoltrò con tale fervore nelregno delle tenebre; era luminosissimoe notturno; superficiale e profondo;abitava soltanto cogli uomini reali eparlava soltanto cogli spettri; era inge-nuo e sapeva tutto; lieto e pieno di or-rori; gioioso e divorato dalle ossessioni.

Oggi, la qualità della sua immaginazio-ne ci riesce stranissima. Nulla la distin-gueva da quella dei grandi creatori,Shakespeare o Cervantes; eppure era,al tempo stesso, la fantasia narcisisticaed euforica dei suoi giovinastri, la fan-tasia insaziabilmente ciarlante dellesue donne, la fantasia megalomane diMicawber, la fantasia cialtronesca deimediocri guitti, dei burattinai, degliosti e dei vagabondi, che attraversanolo spazio affollatissimo dei suoi libri.

Così possiamo chiedere a Dickens lecose più contrastanti: i prodigi dei so-gni e delle Mille e una notte e le più atro-ci volgarità giornalistiche. Un deliziosoe sfacciato romanzo di burattini diven-ta sotto i nostri occhi un arduo roman-

zo simbolico; e dei pupazzi (o, come di-ceva Orwell, «delle piccole e scintillan-ti miniature, dipinte su dei coperchi ditabacchiera»), che ignorano qualsiasilegge psicologica, finiscono per rivelar-ci le più inquietanti verità del cuore. Isuoi libri possono insegnare le astuziepiù truculente ai romanzieri popolari;e le più rare astuzie letterarie agli scrit-tori sperimentali.

Nel 1843, quando aveva trentun an-ni, Dickens pubblicò Il canto di Natale,che in questi giorni la Walt Disney pre-senta nei cinema di tutto il mondo. Lafortunatissima serie natalizia conti-nuò: nel 1844, Le campane; nel 1845, Ilgrillo del focolare; nel 1848, La lotta perla vita e Lo stregato. Nel 1852, i cinqueracconti vennero raccolti in una edi-zione complessiva, Libri di Natale.

Il protagonista del Canto di Nataleera l’avarissimo Scrooge, «chiuso, con-trollato e solitario come un’ostrica».Nessuno era più freddo di lui. Il freddoche aveva dentro gli gelava il viso, gli af-filava il naso appuntito, gli raggrinzivale gote, gli arrossava gli occhi, gli illivi-diva le labbra. Detestava le feste di Na- IL

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culturaLa Disney riscopre la conversione

dell’avaro Scrooge. Benvenutinel migliore dei mondi impossibili

CHRISTMASCAROL

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La risata di Dickens

Enciclopedia Treccani.Da oggi in 2 volumi.

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contenuti

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tare il giallo degli aranci e dei limoni;uve passe, mandorle bianchissime,stecche di cannella; frutti canditi glas-sati e spruzzati di zucchero; fichi secchisuccosi e polposi; e le modeste prugnefrancesi asprigne nelle loro cassette de-coratissime.

Gli occhi dei passanti penetravanonelle cucine natalizie, dove si estende-va una luminosa collezione di coperchilucenti, padelle pulitissime, lucidi scal-davivande, pentole splendenti. Nel ca-minetto il fuoco prese vigore, e brucia-va alto e chiaro. Era il genio della cuci-na. Scoppiettava scintillando; a volteruggiva come se volesse fare musicaanche lui; a volte fiammeggiava, am-miccava, scherzava sui ciuffi d’agrifo-glio; a volte il suo ardore si faceva tur-bolento, passava ogni limite, e con unsonoro fracasso buttava nella stanzauna pioggia di innocue scintille, e nellasua esultanza saltava e ballava come unpazzo su per il largo, vecchio caminet-to. Una calda luce rossastra imporpo-rava la sala; e se il cuoco attizzava il fuo-co, il cuore di tutti si inteneriva.

Un ospite chiese: «Che cos’è?» «È unostufato», rispose il cuoco schioccandole labbra, «dove ci sono delle interiora eun piede di manzo» (nuovo schiocco)«e la pancetta» (nuovo schiocco) e «del-le fette di bue» (quarto schiocco), e «pi-selli, cavolfiori, patatine nuove edasparagi, che cuociono tutti insieme inun sugo succulento». Con quale pas-sione tutti mangiavano e bevevano.

chia torre della chiesa diventò invi-sibile, e batté tra le nuvole leore e i quarti con rintocchiprolungati e tremuli. Ilprofessor Redlaw, un vec-chio studioso di chimica,stava nascosto nella suastanza appartata, permetà laboratorio e permetà biblioteca: solo, in mez-zo ai propri strumenti e ai libri,con l’ombra che la lampada velata get-tava sul muro come un mostruoso sca-rafaggio; immobile tra una folla di figu-re spettrali, suscitate dal guizzare delfuoco sugli oggetti che lo circondava-no. Tutto era spettro, fantasma, figurastregata: gli spettri si congiungevano esi moltiplicavano, per minacciare defi-nitivamente la vigilia di Natale.

Poi, tutto si capovolse. Il freddo, la te-nebra, la nebbia, gli spettri, i fantasmiscomparvero. Persino il vecchio, ava-rissimo Scrooge ritrovò ogni siepe, ognipalo, ogni angolo, ogni strada, ogni ru-scello della casa della sua infanzia. Sco-pri in se stesso il calore dell’immagina-zione; e improvvisamente il suo cuoreintirizzito si intiepidì e diventò affet-tuoso. Il nipote disse a voce alta: «Sonosicuro di aver sempre pensato al Nata-le, quando si avvicina, come a un gior-no felice, un giorno d’allegria, di bontà,

tale, i giorni in cui il mondo si scalda, sinutre, prende fuoco. Diceva: «Bastacon il lieto Natale! Che cos’è in fin deiconti la ricorrenza di Natale, se non ilgiorno di pagare i conti senza aver sol-di in tasca?»

La sera della vigilia di Natale Scroogeuscì dal suo ufficio. Gli orologi avevanoappena battuto le tre, ma faceva giàbuio: non c’era stata luce durante l’in-tera giornata. Il freddo penetrava, mor-deva, tagliava i visi. Il genio del freddosedeva sulla soglia delle case in cupameditazione. La nebbia penetrava daogni fessura, da ogni buco di serratura,ed era tanto fitta che le case apparivanocome fantasmi. Qualcuno andava in gi-ro con le torce accese, per indicare lastrada ai cavalli delle carrozze. La vec-

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 43DOMENICA 20DICEMBRE 2009

Lo scrittore amava le belle giornate,i giovani col cuore leggero, la fantasiaardente, lo spirito elastico e il robustoappetito. Amava i buoni, ma a patto

che fossero buffi e ridicoli

Non esiste scrittore, nel quale la gioia dimangiare, di nutrirsi, di appropriarsi ilcibo, di trasformarlo in sangue, linfa vi-tale, carne, — sia così intenso come inDickens.

Quando Dickens apriva il suo occhiodilatato, la realtà lo allietava sempre. Loriempiva di una allegria furiosa, eccita-va il suo estro e il suo genio, lo esaltava;qualche volta ci pare che nessuno si siadivertito tanto come lui a passeggiaresulla terra. Come avrebbe potuto an-noiarsi, il giovane Dickens? Così caricodi vitalità, così ardito, così prorompen-te di gioia, così irrispettoso, così felice diessere al mondo, di scrivere, di giocarecon le immagini, di estrarre da sé unagalleria interminabile di personaggi. Atratti una misteriosa ilarità lo attraver-sava, lo colmava, ed egli non riusciva ainterromperla, quasi fosse stato per-corso da una zampillante e scrosciantefontana di birra.

Amava le belle giornate, quando ilsole è a picco nel cielo senza nuvole e icolori vibrano di felicità; i giovani colcuore leggero, la fantasia ardente, lospirito elastico e il robusto appetito; so-prattutto i giovani incoscienti e irre-sponsabili, che vivono alla giornata;tutti coloro che portano intorno il colo-re e il contagio della gioia. Non aveva ri-spetto per nessun valore costituito,nemmeno per quelli che esaltava; nonsopportava la pomposa serietà e gra-vità degli adulti. Amava il riso dei pove-ri, nato dal candore, dalla miseria, dal-l’incontenibile allegria vitale; l’imma-ginazione che si prende gioco dellarealtà; tutte le forme della follia, di cuiera così largamente dotato e di cui do-tava così largamente i suoi personaggi.Amava i buoni, ma a patto che fosserobuffi e ridicoli. Tra di loro prediligeva ivecchi putti, come i Cheeryble e i Bof-fin, questi canuti angioloni innocenti efurbeschi, questi folletti salterellanti egiocherellanti, che ficcano il naso dap-pertutto; e i dolci e infantili figli del Van-gelo e di Don Chisciotte, i «poveri di spi-rito», i «divini idioti», gli infimi nellascala della ragione, ai quali qualcunoha affidato il compito di salvare la terra.

Come diceva Chesterton, egli «di-chiarò due cose essenziali sulla vita —che è risibile e che è vivibile... Il meritodel mondo non era, per lui, di essere or-dinato e spiegabile; ma di essere sel-vaggio e completamente inesplicato. Ilmerito del mondo era precisamenteche nessuno di noi avrebbe mai potutoconcepire una simile cosa, che noi neavremmo rifiutato la semplice idea co-me un miracolo e un’assurdità. Essoera il migliore dei mondi impossibili».

P. S. I racconti di Natalesono pubbli-cati dalla Bur (traduzione di Maria Lui-sa Fehr, introduzione di Stefan Zweig,448 pagine, 13 euro).

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di gentilezza, di carità, d’indulgenza».La vigilia di Natale diventò un pae-

saggio di negozi, di cucine, di fuoco, diriso, di fantasia. I negozi da pollivendo-lo erano aperti a metà, mentre quelli deifruttivendoli raggiavano in tutto il lorosplendore. Si vedevano castagne gran-di, rotonde e panciute: rustiche cipollespagnole di pelle bruna alzavano gli oc-chi al vischio appeso al soffitto. Vi era-no pere e mele ammucchiate in alte pi-ramidi appetitose; grappoli d’uva don-dolavano da grossi ganci; mucchi dinocciole muschiose e brune, che con laloro fragranza facevano ricordare lepasseggiate nei boschi; mele delNorfolk, grasse e scure, facevano risal-

I DISEGNILe tavole

di queste

pagine

sono tratte

da I racconti

di Natale

di Charles

Dickens illustrati

da Carlo Nicco

(Utet, 1939)

Repubblica Nazionale

spettacoli44 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 20DICEMBRE 2009

Aveva cominciato comelustrascarpe in Connec-ticut, terzo di dieci figli diun bottegaio chiamatoPhilo Barnum. Alla finedella sua vita, quando la

morte lo spense nel sonno a ottant’an-ni, sarebbe stato il mondo a lucidare lesue scarpe e insignirlo di un titolo chenessuno potrà mai più contendergli:«l’Uomo che inventò lo show busi-ness». Tutto quello che oggi vediamo esubiamo nell’Era della pubblicità, dellatelevisione, della politica spettacolo,degli effetti speciali, dei “mostri” reali oimmaginari, vengono da lui, PhineasTaylor Barnum, dall’uomo che enunciòla legge fondamentale della società deiconsumi: «Tutta l’umanità è formata dapotenziali clienti».

Se il suo nome è per sempre legato alcirco moderno, alla riscoperta e al-la commercializzazione dei ten-doni a righe eretti nelle spia-nate e nelle piazze d’armicon leoni in gabbia, nani,ballerine, acrobati, elefan-ti, contorsionisti e domato-ri in perizoma leopardato,delle sfilate di meraviglieesotiche che attraversava-no con fino a sessanta carri lecittà americane scatenando

VITTORIO ZUCCONI dro III, l’imperatore Napoleone III, e dauna reggia privata costruita in stile revi-val ottomano nel Connecticut chiamata“Iraniana”, era nato non dal super ele-fante Jumbo trasportato a New York dal-lo zoo di Londra o dall’ingaggiodell’“Usignolo della Scandinavia”, unacantante svedese dalle voce angelicache i ricchi di New York, gli Astor, i Van-derbilt, i Carnegie, pagavano fino a sei-mila dollari di oggi per ascoltare.

L’intuizione che lo rese immortale, ol-tre che favolosamente ricco, era il corol-lario della sua prima legge, quella su un

mondo popolato di potenziali clienti.«Senza la promotion — spiegava nellesue memorie, che regalava ad altri edito-ri senza chiedere royalties pur di diffon-dere il proprio messaggio — dunquesenza pubblicità diremmo oggi qualco-sa di terribile potrebbe accadere: nien-te». Non è quello che vendi, ma «come»lo vendi che richiama i polli nell’aia, an-che se una frase attribuita a lui, «c’è unpollo nato ogni minuto, se lo incontri cel’hai fatta» è falsa. Il suo primo colpo, fat-to poco dopo essere sbarcato a New York,da allora la capitale mondiale del marke-

l’eccitazione e la fantasia dei tempi sen-za cinema, radio o televisione, la storiadi questo ineguagliabile imbonitore èmolto più importante dell’avventura diuno spacciatore di donne barbute, difoche sapienti o di sirene imbalsamate,fabbricate con il torso di una scimmiaimpagliata e cucita con la coda di undelfino.

La creazione del circo moderno, quel-lo che oggi altre forme di intrattenimen-to insieme con il ribrezzo per l’umilia-zione di magnifici animali minaccianodi estinzione, fu infatti soltanto l’ultimadelle sue imprese, un’idea che lui stessoaveva definito «l’hobby di un vecchio».Lo lanciò quando aveva già sessantunanni e una vita trascorsa a produrre spet-tacoli incredibili, attrazioni mostruose,incantesimi per un pubblico assetato dimeraviglie lo aveva reso il primo «milio-nario dello show business» e l’america-

no più famoso nel mondo alla finedell’Ottocento, come scris-

sero le necrologie sui gior-nali di New York e di Wa-

shington, contagiateanche post mortemdalla sua abilità per leiperboli. Il suo suc-cesso, ormai mon-diale, sancito da

udienze con la Re-gina Vittoria, lo

Zar Alessan-

ting e della industria pubblicitaria, vennequando aveva venticinque anni, nel1835. Ingaggiò una vecchietta afroame-ricana, Joice Het, che per qualche tempoaveva girato nei paesi della provinciaamericana raccontando le memorie el’esperienza di schiava nelle case di ricchipiantatori del Sud, dai quali era fuggita.Barnum ebbe un’idea migliore.

Con una campagna martellante di let-tere ai giornali, allora molto più di oggiavidi di storie sensazionali e di feuilletona effetto, sparse la notizia che Joice ave-va centosessant’anni ed era la stata lanutrice del piccolo George Washingtonnella sua casa natale in Virginia. Wa-shington era, in quel 1835, morto da ap-pena trentasei anni. Parenti e personeche lo avevano conosciuto erano ancoravivi eppure un fiotto, poi un fiume di cu-riosi, accorsero, pagando venticinquecentesimi a testa, per ascoltare la vec-chia, inferma donna raccontare l’infan-zia del «padre dell’America». Quandomorì, poco dopo, un Barnum indignatopagò di tasca sua un’autopsia condottadai migliori anatomopatologi del tempo

che conclusero seccamente che Joicenon poteva avere più di no-

vant’anni e dunque nonavrebbe mai potutoessere la balia e lababysitter di Wa-

shington, pratica-mente suo coetaneo.

L’uomo che volle farsire del tendone

C’era una volta un lustrascarpeche inventò il più grande spettacolo

mai visto, a Natale e non solo

POSTERNell’immagine grande, Curious Exhibition of Men

and Women,Barnum & Bailey circus poster, 1902;in alto, Blacaman, Hindu Animal

Hypnotist, Hagenbeck-Wallacecircus poster, 1938;nell’altra pagina, Hillary Long

Who Puts His Skates Upon

His Head, Ringling Bros.circus poster, 1917

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Repubblica Nazionale

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 45DOMENICA 20DICEMBRE 2009

Un altro imbonitore, un altro magliaro,ne sarebbe stato distrutto. Non Barnumche aveva imparato la lezione fonda-mentale che poi generazioni di impresa-ri, venditori di elisir di lunga vita, truffa-tori di Borsa e naturalmente politicantiavrebbero assimilato e sfruttato: i clien-ti — il pubblico — credono a quello chevogliono credere.

Nel tempo del trionfo positivista, ametà dell’Ottocento, anche l’innaturalesembrava naturale. Sul successo dellafalsa balia di Washington, costruì il mu-seo delle cose impossibili, proprio difronte a una della chiese più celebri diManhattan, la cattedrale di San Paolo,dove il primo presidente americano ave-va giurato fedeltà alla Costituzione. Ac-canto a strumenti scientifici autentici,studiati per dare un certo cachet allepanzane, esibì una collezione di ciò chelui stesso chiamava lo humbug, un’e-spressione presa dalla più famosa favo-la natalizia di Charles Dickens e che si-gnifica, detto brutalmente, «balle». Pro-dusse il «Generale Pollicino», un nano dicinque anni che vestiva in alta uniformee costringeva a fumare sigari mostruosisorseggiando bourbon, cose che oggiavrebbero portato all’immediato arre-sto e alla condanna di P. T. Barnum.

Accanto al generale, spuntò un am-miraglio tascabile e una marinaretta inminiatura, formando la troupe «dei lilli-puziani innamorati»: la piccola sposò ilgenerale, preferito all’ammiraglio, in unmatrimonio solenne al quale partecipòanche il sindaco. Nacque un verbo: «bar-numizzare», trasformare il nulla in even-ti, la credulità in realtà. Arrivò la sirenaimpagliata, mezza scimmia e mezzo del-fino, con le foche letterate che si fingevasapessero leggere, le immancabili don-ne cannone specialmente sensazionaliin quegli anni di fame, il cane tessitoreche faceva funzionare un telaio, Changed Eng i gemelli siamesi. E poi spetta-coli musicali con «menestrelli negri», inrealtà bianchi con il nerofumo in faccia,per prendere in giro il Sud, i sudisti e iproprietari di schiavi.

Tra il 1841 e il 1864, quando il localebruciò incendiato da spie inviate dal-la Confederazione, dai sudisti, furio-si per la propaganda antischiavitù eper i soldi che Barnum passava agli

va cinquecento dollari a tutti coloro chesmascheravano medium e comunica-tori con l’aldilà, «infami speculatori sul-la disperazione e il lutto» e, come avreb-be fatto Houdini anni dopo, personal-mente svelava i trucchi dei «maghi», co-noscendoli bene. Tentò fortuna anchein politica, e fu eletto, prevedibilmente,deputato, da quel perfetto conoscitoredei «clienti», in veste di elettori, che era.

Il circo equestre fu un’idea tardiva, ap-punto un «hobby senile». Ma l’archetipoche sarebbe poi stato riprodotto all’infi-nito, prima del suo tramonto, che avreb-be sedotto poeti come Maxim Gorki e ar-cigni dittatori comunisti, fu suo. L’infini-to rosario di carovane prima e poi di va-goni ferroviari attraversavano le grandipianure e i monti per rovesciare me-raviglie inimmaginabili su tutta l’u-manità dispersa in un continentespopolato, fu sua, come suo era iltreno che acquistò per il trasporto.L’annuncio dato da un clown cheentrava in città polverose o fango-se gridando «The circus is in town,the circus is in town», il circo arri-va, è una sequenza che si è stam-pata nella memoria genetica diogni americano, anche di coloroche ormai non frequentano i palaz-zi dello sport nei quali si esibisconogli eredi di Barnum, il “RinglingBrothers Circus”. Certamente, Phi-neas T. Barnum, l’inventore del marke-ting e delle promozioni, aveva pensato lapropria morte diversamente dal silen-zioso passaggio nel sonno. Ma si era, ge-nio della pubblicità, fino in fondo caute-lato. È sepolto nel cimitero che lui avevafatto costruire per se stesso.

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eserciti delle giubbe blu, trentotto milio-ni di «polli» pagarono i loro venticinquecentesimi per visitare il museo di Bar-num, un numero di persone superiore altotale degli abitanti degli Stati Uniti, chenel 1860 erano trentadue milioni, provadi ripetute frequentazioni. E quando de-cise di ingaggiare in esclusiva per unatournée americana di sessanta giorniJennie Lind, soprano svedese che avevadeliziato le corti europee ma era del tut-to ignota oltre oceano, ipotecò tutte lesue proprietà per pagarle l’ingaggioinaudito di mille dollari per sera. Dopouna settimana, aveva non soltanto recu-perato l’investimento e pagati i debiti,ma quadruplicato il capitale. Lo slogan,lo “spot” aveva raggiunto il bersaglio:«Venite ad ascoltare la voce dell’angeloche vi porterà lontani dalle miserie dellavostra vita». Una vita che, nella Manhat-tan dove lo sterco dei cavalli lastricava lestrade, e nuovi immigrati senza docu-menti e senza futuro brulicavano in ter-mitai umani, aveva disperato bisogno diechi angelici.

Eppure Barnum, forse ben conscio diun’altra classica legge del commercioamericano secondo la quale «nessunoha mai fatto bancarotta vendendo reli-gioni», si proclamava un uomo profon-damente spirituale. Nel suo museo aBroadway esibiva il tronco di un ulivosotto il quale Gesù e i suoi apostoli si sa-rebbero riparati dal sole della Palestina.Un falso, ma non molto più falso dellapanoplia di reliquie che nell’Europa del-le indulgenze e della ribellione luteranacircolavano. Come tutti gli imbonitori,detestava gli altri spacciatori di menzo-gne, chi «scherza con l’anima, che èquanto di più prezioso abbiamo». Offri-

IL LIBRO

Le illustrazioni che pubblichiamosono tratte da The Circus

1870-1950 di Linda Granfield,Dominique Jando e FredDahlinger Jr, a cura di NoelDaniel. Pubblicato da Taschen,(670 pagine, 150 euro) il volume di grande formatoraccoglie storie, segreti e immagini del più grandespettacolo del mondo

Repubblica Nazionale

46 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 20DICEMBRE 2009

Che si celebri a casa o che sidecida di sperimentare al ristorante

qualche “ricetta d’autore”, il cenone del 24e il pranzo del 25 si annunciano all’insegna del

“comfort food”, che non a caso nasce e dilaga inAmerica dopo il crac del 1929. E dunque piatti che

vengono da lontano, che ricordano le lunghe preparazioninella cucina di famiglia ma che tengono anche conto dei

comandamenti ecologisti. Piatti non più ostentati come statussymbol ma scelti in base alla sostanza e alla stagione

LICIA GRANELLO

C’è chi sposta la bilancia nel ripostiglio e chi raddoppia le camminate al parco. Chi preno-ta l’aspic di pollo in gastronomia e chi resuscita la ricetta dei cappelletti di mammà. Chiprenota il cenone al ristorante per ritrovare il gusto del cotechino d’antàn e chi per to-gliersi lo sfizio di assaggiare tutti, ma proprio tutti i dolci del carrello. La tavola di Nataleè lo specchio alimentare in cui riflettiamo la nostra immagine di golosi repressi, frettolo-si frequentatori dei pasti in bilico perenne tra la dannazione dei precetti dietologici (c’è

sempre un buon motivo per negarsi l’agognato boccone), il tempo tiranno e l’inossidabile fascino del buonmangiare.

Le feste di fine anno rappresentano il migliore degli alibi per soddisfare la prepotente nostalgia delcomfort food, inteso come sequenza di cibi con addosso il profumo d’infanzia, tradizionali, consistenti,consolatori. Una nostalgia direttamente proporzionale alla necessità di ripagare cuori e pance dalle affli-zioni della crisi economica. Se è vero che il termine comfort food nasce e dilaga in America con il crac delleborse del ’29, mai come quest’anno in Italia i menù si adeguano alla necessità di coccole gourmand. Unatendenza che ne racchiude cento, dalla preoccupazione per i cambiamenti climatici a quella per le allergiealimentari, dal maggior rispetto per Madre Terra e per il benessere animale alla voglia di chilometro zero.

Così, in questo dicembre da fred-do fin dentro le ossa, pranzi, cenee cenoni casalinghi sono all’inse-gna del «meno lusso, più sostan-za».

Non è solo questione di salmo-ne e caviale (anche perché alleva-menti intensivi e produzioni sur-rogate hanno spalancato da tem-po le porte della grande distribu-zione). A cambiare, è il concettostesso di cibo delle feste: non piùostentato come uno status sym-bol, ma pensato e scelto con at-tenzione. E se non è etico, che siaalmeno meditato: polli ruspanti,carni ben frollate (con nota di me-rito per le parti meno nobili mapiù saporite), pesci cosiddetti po-veri, verdure di stagione. Al di làdell’acquisto d’impulso — nonresistiamo davanti al vassoio deimarron glacé — e di quello d’e-mergenza (c’è sempre un invitatovegano, celiaco, allergico) i menùdelle feste hanno recuperato il va-lore sociale della celebrazione.

Si parte da lontano, con il ritodella spesa. Per molti anni, so-prattutto chi poteva permetter-selo ha delegato la scelta di ingre-dienti e materie prime ai bottegaidi fiducia: salumiere, macellaio,fruttivendolo. In molti casi, per ri-sparmiare tempo e non correre ri-schi di defaillance catastrofiche,abbondavano le richieste dipronti-in-tavola (lasagne, zam-

pone e puré su tutti). La lista dettata al telefono o precipitata tra le mani del negoziante dopo aver lasciatola macchina in tripla fila. E, un attimo dopo la consegna a domicilio, sacchetti e pacchetti aperti alla velo-cità della luce per rimediare eventuali, ferali dimenticanze. Qualcosa è cambiato. In prospettiva 2010, ab-biamo recuperato la necessità di essere parte in causa nella costruzione dell’evento. Le arance e il mo-scato per il panettone, le verdure da infornare e il ripieno degli agnolotti, i formaggi da spiluccare prima

dei dolci e il trionfo della frutta secca, la salsiccia fresca e il rosso giusto per l’arrosto. Decidere — guar-dare, annusare, toccare — quello che metteremo in tavola per condividere il tempo della festa è tor-

nato a essere parte del gioco.A premiare chi comunque festeggerà al ristorante, l’impegno dei giovani cuochi d’autore, che in-

terpretano benissimo questo sentimento diffuso, mettendo le moderne tecniche culinarie al ser-vizio di ingredienti antichi: così, il brodo perde grasso ma acquista sapore grazie a cotture len-

tissime e profumate, lo zampone si trasforma in farcitura per tortelli e le cipolline brasate increma aromatica. In quanto ai dolci, il tempo degli agrumi natalizi genera mousse e sorbet-

ti, mentre la frutta secca si trasforma in croccanti irresistibili.Se siete dei temerari del fai-da-te natalizio, attingete ai consigli sapienti e irriverenti

del super-cuoco fiorentino Fabio Picchi, in libreria con I dieci comandamenti per nonfare peccato in cucina. Scoprirete che perfino i crostini con i fegatini di pollo, lai-

ci e carnali passepartout del mangiare quotidiano in riva all’Arno, possonotramutarsi in cibo da festa benedetta, a patto di “battezzarli” con buon

brodo di cappone.

I sapori

ZamponeEcco l’insaccato ad alto rischio:meravigliosamente morbido e carnaleo stopposo e bruciastomaco,a seconda di qualità, prezzo e numerodi additivi in etichetta. Di rigore,la compagnia di lenticchie e purè

Capitone Come magnificamente raccontaEduardo nel suo Natale in casa

Cupiello, non esiste cenone senza i tranci della anguilla femminainfarinati e fritti (spesso in compagniadel baccalà ), o marinati con l’aceto

Tortellini in brodoAttraversa buona parte dell’Italia,il primo piatto che assomma la culturadella pasta al lusso della carne,declinata in mille ricette di ripieniSono d’obbligo: sfoglia elastica,ripieno saporito e brodo di cappone

TorroneChe arrivi da Alicante o prendail nome dal Torrazzo di Cremona,la passione per il mix di miele, biancod’uovo e frutta secca (mandorle,nocciole, pistacchi) in chiave morbidao croccante non conosce flessioni

PanettoneIl pan de Toni sta vivendouna seconda giovinezza grazie alle associazioni che proteggono la ricetta originale: pasta lievitatanaturalmente, burro, uvette e canditidi qualità. Asciugatura a testa in giù

RICETTE TRADIZIONALI

Complice la crisi, sarà un Natalecolor nostalgia: cibi al profumo

d’infanzia, tradizionali e consolatori

Festaa tavola

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Il grande alibiper poter esagerare

Repubblica Nazionale

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 47DOMENICA 20DICEMBRE 2009

Anolini in brodoFilippo Chiappini Dattilo (AnticaOsteria del Teatro, Piacenza)unisce grana padano e parmigianostravecchio al brasato di manzoe maiale per il ripieno dei raviolini di sfoglia sottile in brodo di cappone

Tortelli di cotechinoAlfredo Russo (Dolce Stil Novo,Venaria Reale, Torino) utilizza comefarcitura un impasto di lenticchiecotte, frullate con rossi d’uovoe carne di cotechino. I tortellisi servono spadellati con extravergine

FalsomagroPino Cuttaia (La Madia, Licata) sottraela carne all’involtino, conservandoil cacio “ragusano” in fonduta conprezzemolo e cipollotto per la farcialiquida dei tortelli. Nel piatto, uovocotto a bassa temperatura e tartufo

Timballo al ragùGennaro Esposito (Torre del Saracino,Vico Equense, Napoli) interpretail timballo natalizio: le candeledi Gragnano, farcite con mozzarella,caciocavallo e pomodoro, vengonocondite con il più verace dei ragù

Zuppetta d’agrumiGiancarlo Morelli (Osteriadel Pomiroeu, Seregno, Milano)prepara una piccola macedoniadi ananas e arance. Sopra, un parfaitdi frutta secca, con uvetta, mandorle,noci e nocciole. Fichi e datteri a decoro

Quando non c’eraaltra scelta

che il biologicoCARLO PETRINI

Se penso alle cene di Natale della miainfanzia o gioventù e provo a rac-contarle sono sicuro che d’acchito vi

sembrerò nostalgico, perché mangiavociò che voglio mangiare oggi. Ma non vo-glio passare per tale, anche perché non èuna questione di nostalgia: allora non sistava né meglio né peggio, si stava diver-samente.

Il cibo non era più buono o più cattivoin senso assoluto: era un’altra cosa, percome veniva percepito e per come ce lo siprocurava o preparava, per il valore che glisi dava. Per esempio i ravioli del plin li piz-zicava mia nonna a mano uno per uno e ilripieno era a base di avanzi; oppure pre-parava i ravioli un po’ più grandi con den-tro ris e coj(riso e cavolo). Se ci si concede-va un sontuoso e fumante bollito, bovini egalline non avevano di certo mai fatto tan-ta strada prima di arrivare nel piatto. Giàallora la carne bovina piemontese era lamigliore che si potesse trovare in tutti imacellai della mia città, di averne d’altraprovenienza neanche se parlava; inoltre,per quanto riguarda i pennuti, c’erano piùaie e quindi sicuramente più galline a por-tata di mano. Il cappone di Morozzo, a po-chi chilometri dalla mia Bra, in provinciadi Cuneo, non aveva certo bisogno di Pre-sìdi Slow Food per essere salvato dallascomparsa: tante donne del luogo conti-nuavano amorevolmente ad allevare leloro bestie seguendole passo passo tuttol’anno fino all’omonima fiera dicembri-na, una vera festa affollata da quelli che

volevano un buon cappone per Natale. Daquesto punto di vista la microeconomia diterritorio era floridissima.

Il “chilometro zero” e il biologico eranociò che c’era a disposizione, non un’op-zione tra le tante. Non erano né necessitàné virtù: procurarsi il cibo tanto lontano ofare attenzione che non fosse cresciuto abase d’innaffiamenti chimici erano coseche neanche si pensavano, sarebberosuonate pure un po’ stonate se fosse statofacile averne.

Se dunque consiglio un cenone con iprodotti del territorio, se invito a compra-re direttamente dai contadini, verdure distagione, da agricoltura sostenibile, checosa sono? Un nostalgico perché è ciò chemangiavo da piccolo, in occasione del Na-tale ma anche di tutti gli altri giorni del-l’anno? No, mi sembra di dare un consi-glio di buon senso visto che questi pro-dotti li abbiamo ancora a portata di mano,sia dal punto di vita “logistico” sia da quel-lo economico. Il cibo locale e di stagionecosta meno ed è buono. È dunque un con-siglio che dà ragione al portafoglio, se pro-prio vogliamo parlare di prezzo e non divalore, al palato — sfido chiunque a soste-nere il contrario, e, se praticato con un’in-telligente sobrietà, anche allo stomaco.

Ogni territorio d’Italia ha i suoi piatti diNatale tradizionali, e sono nati da ciò cheoffriva l’agricoltura locale: continuare latradizione fa bene a noi e al territorio, ed èmolto piacevole. Senza nessuna nostalgia.E nessuna malinconia, perché se per esem-pio preferiremo buttare via un pezzettinodi preziosa tredicesima in un anonimo esciapo salmone, allevato chissà dove echissà come, mi sa che piuttosto sarà il ca-so di parlare di quel tipo di sentimento.

RICETTE D’AUTORE

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Da La Bohème

I blog di NataleMolti i dolci natalizi, e non, proposti

dai blog Anice e cannelladi Paola Sersante, uno dei più

frequentati foodblog italiani;e Sogni di zucchero

di Maria Letizia Bruno

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Giacomo PucciniCome?… pranzare in casa?

Pranzare in casa è maleOggi ch’è

la vigilia di Natale!Mentre il Quartiere Latino

le sue vie addobbadi salsicce e leccornie?

Repubblica Nazionale

le tendenze48 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 20DICEMBRE 2009

Ai regali è destinato il quindici per centodelle tredicesime, ma il cadeau

più prezioso lo scegliamo per noi stessi

Èil simbolo della festa. Il completa-mento del regalo. Per i più piccinirappresenta la gioia della sorpresa.Quella manciata di secondi di pathosche precedono la scoperta del dono.L’adrenalina che annulla, in un solo

momento, i tanti giorni di febbrile attesa. È ilfiocco. Dopo averlo slegato, niente sarà più cosìmeraviglioso. Almeno sino al Natale successivo.

Quest’anno la spesa media per i regali si assestasui 300 euro, fa sapere la Confcommercio. Solo il3,7 per cento degli italiani spenderà più di mille eu-ro. Ad aspettare prudentemente la tredicesima,per provvedere agli acquisti natalizi, sono solo il28,9 per cento. Secondo il rapporto Confesercen-ti-Swg la somma delle tredicesime sarà di 39,3 mi-liardi. Di questo “malloppo” il quindici per centosarà usato, dagli italiani, per i pensieri da metteresotto l’albero. E, fra gli acquisti, trionfano al primoposto i prodotti alimentari. Seguono abbiglia-mento e libri. Ciascuno comprerà, in media, settedoni. Si punta al pensiero utile e personalizzato. Ilcadeau più caro sarà comunque per se stessi. Peramici e parenti bastano un libro o un cd. Ed ecco,allora, che il fiocco deve essere seducente per com-pensare la mancanza di sostanza.

Ma il fiocco è anche moda. Le donne grazie aquel sapiente nodo, nella stagione 2010 riscopro-no il gusto della femminilità. Spietate guerriere ar-mate di calzari e bracciali a foggia di serpenti, soloquest’estate, poche settimane fa, avevano intimo-rito gli uomini e il pubblico delle sfilate. Un eserci-to compatto, sceso dall’Olimpo, per combattere laquotidiana sfida metropolitana. Alzi la mano chi,durante i mesi caldi, non ha ceduto alle lusinghe diun sandalo gladiatore. Deposte le armi, sono di-ventate deliziose Lolite e sognanti principesseche, al posto delle tuniche, sfoggiano fiocchi diogni dimensione. Il loro spirito battagliero, dura-to pochi giorni, è precipitosamente tramontatocon i primi freddi. Per difendersi da un inverno,che si annuncia lungo e faticoso, devono aver pen-sato che evidenziare la femminilità sia la sola stra-tegia vincente. E, per ravvivare guanti, cerchietti ecappotti più o meno maxi, ricorrere al fiocco sem-bra un obbligo.

A ben guardare, però, nella storia il fiocco non èstato solo un ornamento femminile. Piuttosto unsegno di nobiltà. Nella gerarchia ecclesiastica,tanto per fare un esempio, la dignità di sacerdoteera rappresentata da un fiocco, mentre due fiocchiindicavano il canonico, tre il vescovo, quattro l’ar-civescovo, e cinque corrispondevano al rango dicardinale. Anche le regine ne hanno sempre fattoun uso generoso. L’iconico abito della sovranaMaria Antonietta, recentemente resuscitato nellaversione cinematografica voluta da Sophia Cop-pola, era un trionfo di fiocchi dai colori pastello. Lamoglie di Luigi XVI nominò addirittura un mini-stro della moda, l’ambiziosa sarta parigina Mada-me Rose Bertin, per assicurarsi che fiocchi, nodi,ghirlande e gonne a paniere fossero perfettamen-te calibrati.

Rococò, o semplicemente classico, è un veropeccato non avere almeno un fiocco nel guarda-roba. A riaccenderli di fascino contemporaneo ciha pensato, qualche mese fa, il geniale stilista-ar-tista Martin Margiela. Immediatamente a seguiretutti i grandi dell’haute couture, giocando conquest’ornamento, hanno ingentilito moda e mo-di. Non solo femminili. Perché a foggia di fiocco èil cravattino preferito dagli uomini per il brindisi difine anno.

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Fiocchi

IRENE MARIA SCALISE

UN TOCCO DI MALIZIADelizioso cappellinoin feltro violettofirmato CamomillaÈ disponibilein vari colorie ha un piccolo fioccolateraleper aggiungereun tocco di malizia

SEDUZIONE VERTIGINOSATacco vertiginoso

di Santonie plateau davanti

Sul lato, come elementodecor, un fiocconero che rende

la scarpa adattaper la gran sera

MODA RETRÓHa un gusto retró l’originale“composizione” bijoux griffata DiorMette insieme un fiocco nei colorimoda e tre medaglie antiche

Quando il dono è last minute

SENZA TEMPOClassico e super chicil sandaloStuart Weitzmancon un doppio fioccoUn modelloche non conoscestagioni ed è adattoa ravvivare gli abiti scuri

SPIRITO MODERNOCappelli dalla foggia anticae dallo spirito modernoproposti da Borsalinoin un bel blu profondoPer ravvivare lo stileclassico, ecco l’elementomoda del fiocco ripetutosu entrambi i lati

Repubblica Nazionale

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 49DOMENICA 20DICEMBRE 2009

SCULTURE UNICHEScarpa scultura per Roger Vivier

Il tacco e il plateau sono in orometallizzato e, sul davanti,

un fiocco esplosivo le rendeassolutamente uniche

CALORE DA FIAMMAPiumino Crust in nylon rossofiamma con chiusura zipHa l’imbottitura in ovattae pesa soltanto 120 grammi

CASUAL REVERSIBILEPiacerà alle più

sportive la magliain cotone bianco

Coast Webercon un fiocco nero

in raso contrastantericamato sul davanti

Si può indossarecon i jeans ma anchecon la gonna classica

in velluto nero

ELEGANZA VEZZOSAÈ un capolavoro di eleganzavezzosa il fiocco di Chanelin bianco e nero. La magliadi lana è intrecciata con pizzoe mini perline

DIAMANTI NERIAnelli con fiocco di diamanti

per Pomellato. Si può scegliereun pavé nero più aggressivo

o quello classico più luminoso

RASO INTIMOPer sedurre secondo le regole

dell’ultima moda c’è il completointimo di raso nero di Sisley

Reggiseno a balconcino e mini slipEntrambi decorati da un fiocco

NOTTI MAGICHEDiamanti taglio

brillante, diamantineri e pendente

di turcheseSono gli orecchini

proposti da ViscontiUn incanto

da indossareper Capodanno

BICOLORE ACIDOEcco le ballerine firmate

Camper: hannoun divertente fiocco

bicolore in colori acidiE lo stesso tono di colore

è ripreso sul tallonedella scarpa

OXFORD DA SERAImpeccabile la scarpa maschile

Oxford da sera stringata neraÈ realizzata su misura da Rivolta

(in via della Spiga, Milano)Perfetta con il classico completo

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Repubblica Nazionale

PAULO COELHO

il racconto/250 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 20DICEMBRE 2009

Un bambino mormora qualcosadurante la Santa Messa

“Padre, non so come si parla a Dio”

(segue dalla copertina)

desso smettila!» disse il prete. A queste parole, il ra-gazzino parve uscire da uno stato di trance. Spa-ventato, guardò le persone intorno e arrossì per lavergogna. «Perché ti comporti così? Non ti rendiconto che disturbi la cerimonia?». Il bambino ab-bassò il capo; le lacrime velarono i suoi occhi.«Dov’è tua madre?» lo incalzò il prete. «Non ti ha in-segnato come ci si comporta durante la Santa Mes-sa?».

Con il capo chino, il ragazzino rispose: «Mi scu-si, padre, ma io non so come si prega: non ho maiimparato a farlo. Sono cresciuto nelle strade, sen-za padre né madre. Oggi è il giorno di Natale, e io hosentito il bisogno di parlare con Dio. Ma poichénon so quale lingua capisce, ho pensato di pro-nunciare tutte le lettere che conosco, una dopol’altra. Mi sono detto che, lassù, Lui avrebbe potu-to prenderle e usarle per creare parole e frasi di Suogradimento».

Il bambino si alzò. «Adesso me ne vado, però»,disse. «Non voglio dar fastidio a tutte queste per-sone, a questa gente che sa comunicare molto be-ne con Dio». «No, vieni con me», replicò il prete.Prese per mano il ragazzino e lo condusse all’alta-re. Poi si rivolse ai fedeli: «Prima della messa, sta-sera reciteremo una preghiera particolare. Do-manderemo a Dio di comporre le parole che desi-dera udire. Ogni lettera corrisponderà a un mo-mento di quest’anno, nel quale siamo riusciti acompiere una buona azione, a lottare coraggiosa-mente per un sogno, o a pregare senza profferireverbo. Gli chiederemo di mettere in ordine le lette-re della nostra vita, auspicando che esse Gli con-sentano di creare parole e frasi di Suo gradimento».

Il prete socchiuse gli occhi e cominciò a recitarel’alfabeto. Alcuni istanti dopo, tutte le persone pre-senti nella chiesa stavano già dicendo: «A, b, c, d...».

Traduzione Rita Desti© Paulo Coelho

Published by arrangements with Sant Jordi Aso-ciados Agenda Literaria S. L., Barcelona

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L’AUTORE

Le opere di Paulo Coelho(Rio de Janeiro, 1947)hanno venduto oltrecentotrenta milionidi copie. In Italiaè pubblicatoda Bompiani. Tra i suoilibri, L’alchimista,Manuale del guerrierodella luce (1997),Il cammino di Santiago(2001), Il vincitore è solo(2009). A gennaio usciràAmore, una raccoltadelle più belle frasid’amore di Coelho

Il sacerdote socchiuse gli occhie cominciò a recitare l’alfabeto:

“A, b, c, d...”‘‘

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Preghieradella Vigilia

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