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Il mistero delle Antiche Creature Mattotti | Kramsky orecchio acerbo

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Il mistero delle Antiche Creature

Mattotti | Kramsky

orecchio acerbo

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Il mistero delle Antiche Creature

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© 2007 Jerry Kramsky (testo)

© 2007 Lorenzo Mattotti (illustrazioni)

© 2007 orecchio acerbo s.r.l.

viale Aurelio Saffi, 54

00152 Roma

www.orecchioacerbo.com

Grafica: orecchio acerbo

Stampa: Telligraf, Civita Castellana - Viterbo

Fotolito: Studio Bondani - Roma

È vietata la riproduzione,

anche parziale,

con qualsiasi mezzo effettuata,

compresa la fotocopia,

anche a uso interno

o didattico.

Lorenzo Mattotti | Jerry Kramsky | Il mistero delle Antiche Creature

orecchio acerbo

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Si trovarono avvolti dalla penombra di piante secolari. Sentieri intrecciati passavano accanto a gabbie vuote e ar-rugginite e costeggiavano dei recinti. In ciascun recinto era ricreato un paesaggio diverso: crepacci rocciosi, ramisecchi e contorti, dune di sabbia. Sembrava un giardino zoologico abbandonato. Arrivarono a uno stagno pieno di alghe, con una barca mezza affondata e coperta di muschio. Appena Rocco sichinò a toccarne la superficie con la mano, dall’altra riva salì un muggito spaventoso e il rumore dell’acqua smos-sa da qualcosa di molto grosso. I due bambini scapparono con il cuore in gola. Ripassarono nel buco, rimisero alloro posto le pietre e filarono via. Sul muro vicino allo stagno, nascosto dalle fronde, era dipinto un enorme pesce. Di una razza sconosciuta.

In un vecchio quartiere c’era un parco circondato da un alto muro.

Non vi entrava più nessuno da così tanto tempo che anche il suo cancello era stato murato. Maura e Rocco passa-vano quasi sempre di là, tornando dalla scuola. Due amici inseparabili: un ragazzino con molta fantasia e una bam-bina più coraggiosa di tanti maschi.Un giorno Rocco si era messo, senza un perché, a tirare sassi oltre la cinta. “Non farlo mai più!” lo aveva ammoni-to Eleonora, l’anziana vagabonda, vecchia almeno quanto il quartiere “Farai arrabbiare le Antiche Creature”. AMaura era scappato da ridere ed Eleonora, offesa, se n’era andata senza spiegare più nulla. Raccogliendo i ciottoli, Rocco si era accorto di alcune pietre smosse alla base del muro. Il pertugio si poteva allar-gare facilmente. “Andiamo a scoprire chi sono queste Antiche Creature” propose Maura. Si infilarono nel passaggio ed entrarono nel parco.

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Rocco pensava continuamente alla loro avventura in quello strano giardino abbandonato. “Forse gli animali una volta erano rinchiusi nelle gabbie e ora circolano liberi fra piante e cespugli.”“Se fossero bestie feroci si sentirebbero i loro ruggiti oltre il muro” commentò Maura. “Magari hanno imparato a rimanere in silenzio, nascoste nel loro piccolo regno.”“O sono rimasti solo i loro fantasmi che vagano tra gli alberi?” disse Maura. Poi si fermò perché il discorso diven-tava troppo pauroso. Eppure morivano dalla voglia di scoprire quel mistero.Avevano chiesto ai grandi se si ricordavano di un vecchio zoo, nel quartiere. No, nessuno ne aveva mai sentito par-lare. Neppure quelli che abitavano lì da tantissimo tempo.

Al pomeriggio Maura e Rocco correvano sui pattini lungo il canale.

Scese la notte e il parco rimase completamente deserto. Nulla si muoveva tra le forme grigie degli alberi. La lunanon si era levata e neppure i gufi osavano posarsi sui rami. Proprio vicino allo stagno c’era una casa rotonda col tetto ormai coperto dalle foglie cadute nel tempo. Allo scoc-care della dodicesima ora la porta si aprì e nel buio brillò una luce tremolante. Una figura ammantellata si inoltrònel parco. Entrò in una gabbia e la liberò dai rampicanti. La sua lampada illuminò il dipinto di una figura biancae alata che usciva da un bosco di radici aggrovigliate. Fuori dal parco, nelle strade del quartiere, tutto taceva. Il fischio di una bestia che non sembrava di questo mon-do, si alzò nel silenzio della notte. Altri versi le fecero coro.

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“Smettila” ripeteva l’altra. “Certe notti, invece, cantavano come angeli. Sembrava di essere in paradiso.” “Ma smet-tila.” “Fossi stata più giovane, avrei scavalcato il muro per raggiungerle”, aveva concluso Eleonora, ma la sua ami-ca teneva le mani sulle orecchie per non ascoltarla. Maura e Rocco si guardarono, proseguendo in silenzio verso lascuola. Loro due sapevano come oltrepassare quel muro, ma ne avevano paura.Dopo le lezioni il pomeriggio era talmente bello, il cielo così chiaro, e la loro curiosità tanto forte, che i due amicientrarono di nuovo nel parco. Non si sentiva alcun rumore e ogni cosa era in pace.

E se un tentacolo appiccicoso fosse spuntato fuori per ghermirli? – pensavano, e acceleravano il passo. Una volta,appena girato l’angolo, inciamparono in un materasso di stracci e cartone. Quella notte Eleonora, che dormiva do-ve le capitava, si era sistemata proprio lì con la sua amica Lucilla. Appena svegliate, avvolte in coperte logore, sta-vano già discutendo con tanta foga che non fecero nemmeno caso ai due ragazzi.“Ti dico che a mezzanotte le Antiche Creature mi hanno chiamata!” urlava Eleonora. “Ma finiscila” rispondeva Lu-cilla. “Ti dico che le ho sentite, eccome! Facevano versi orribili, da cornacchie e da serpenti” proseguiva la prima.

Nei giorni seguenti quando Rocco e Maura camminavano lungo il muro del parco trattenevano il fiato.

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cio di un grande affresco si illuminò a chiazze. Nel soffitto si aprì una botola e una figura grottesca scese la scala achiocciola. Rocco e Maura abbassarono la testa, intimoriti. Il nuovo arrivato si piazzò davanti al dipinto, voltandoloro le spalle. Aveva gambe umane ma anche la coda di un enorme pesce. Versò sull’affresco del colore vermiglioe, con veloci pennellate, lo modellò in due pesci dalle lunghe corna. Appena ebbe terminato, parlò agli animali di-pinti. “Non vi dimenticherò mai” sospirò. L’eco della stanza faceva rimbombare la sua voce come arrivasse da mol-to lontano o, addirittura, da sottoterra. Per l’emozione, a Maura sfuggì un ooh di sorpresa. Il pittore si girò di scattoe li osservò con il suo muso da cernia. A loro non restava che fuggire.Si nascosero nella gabbia vuota più vicina.

I due ragazzi si presero per mano. In mezzo alle piante di un giardino inselvatichito, circondato da alte mura, leombre di rami e foglie fanno immaginare le forme più strane. Dal folto del parco giungeva l’eco di una musica di altri tempi. La seguirono. Usciva dalla casa rotonda in riva allostagno. Sbirciarono da una delle piccole finestre nell’unica stanza, tonda e scura. Sopra un antico grammofono, gi-rava un disco d’opera, proprio nel punto in cui una voce celestiale canta la canzone più dolce e triste, chiamata ro-manza. Alla fioca luce che entrava dalle finestrelle s’intravedevano pesanti drappi e stoffe, abbandonate per terraalla rinfusa. Improvvisamente sentirono il rumore dei passi di qualcuno che stava camminando sul tetto e, di col-po, i raggi del sole penetrarono dal lucernario, liberato dalle foglie che l’oscuravano. Il paesaggio di nuvole e ghiac-

Si alzò il vento e cominciò a sibilare fra gli alberi.

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Era solo un altro dipinto e Maura ne rimase talmente incantata da dimenticare quello che stava succedendo. “Soche bestia è: un Ippogrifo, a scuola abbiamo letto una leggenda che ne parlava.” Proprio in quell’istante dal parcosi levò un verso agghiacciante, metà grido d’aquila, metà ruggito di belva. “È questo il verso che fa l’Ippogrifo?” do-mandò Rocco rabbrividendo.I rami più intricati si agitavano come se qualche grossa bestia stesse tentando di aprirsi un varco. Tra gli alberi sisentivano barriti, ululati e nitriti. Rocco e Maura si rannicchiarono, abbracciati, in un cantuccio. “Che razza di ani-mali vivevano qui dentro?” chiese Rocco spaventato. Alle loro spalle, la porta della gabbia si chiuse con uno scatto metallico. Ora erano imprigionati senza via di scam-po. Ed ecco che, come a un comando, le fiere tacquero. Una voce cavernosa ma invisibile minacciò: “Per questa vol-ta vi lascerò andare, ma non osate tornare mai più!”. Qualcuno gettò tra le sbarre una grande chiave di ferro. “Oraprovate ad attraversare il parco senza farvi prendere” sibilò un ghigno malvagio.Maura raccolse la chiave e aprì la gabbia. Trascinò Rocco a perdifiato verso il passaggio segreto. Però, fra gli alberi, sismarrirono. Sentivano le belve alle loro spalle, ma vedevano soltanto l’erba agitarsi, dov’era più alta. “Sono davverogli spettri degli animali scomparsi” disse Rocco. I due ragazzi raggiunsero il muro nel punto sbagliato, non c’eranopassaggi ed era troppo alto per poterlo scavalcare. Si arrampicarono allora su un albero le cui fronde toccavano lasommità della cinta. Purtroppo un ramo si spezzò sotto i piedi di Maura e lei si trovò a penzolare, appesa per un sof-fio, faccia a faccia con una specie di drago. Per fortuna era una statua di gesso colorato. Grazie al braccio di Rocco eaiutandosi perfino con le unghie riuscì a risalire la parete. Insieme saltarono dall’altra parte, con un gran ruzzolone.

Un minaccioso animale volante si gettava in picchiata tra ripidi crepacci, verso il fiume.

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quello non ne voleva proprio sapere. Niente regali per la signorina. Doveva pur raggranellare qualche soldo pervivere, lui. E poi qualcuno gli aveva già rubato le cose più preziose: il grammofono antico e la raccolta di dischi d’o-pera. “Suonandoli mi pareva d’essere in paradiso: sentivo gli angeli.” Maura ricordò quando la vecchia Eleonoraaveva pronunciato la stessa frase. Ricordò anche le bestie nel parco e lo spavento di quel giorno che cercava di di-menticare.Passò ancora del tempo. L’essere solitario intrecciò una criniera identica a quella della chimera. Una creatura cheaveva nutrito e accarezzato ogni giorno, bella e affettuosa nonostante l’aspetto feroce. Passeggiò per le dune sab-biose, travestito da felino. Non gli piaceva il rumore che arrivava dalla città. Non era così forte, un tempo. Quandocon lui, nel giardino, abitavano le Antiche Creature.

Graffiati dalle spine, le magliette strappate dai rami, se ne andarono silenziosi, pensando alle scuse da inventareper spiegare punture e strappi. Passò del tempo. Ogni notte, dalla casa in riva allo stagno, usciva una figura diversa, né del tutto uomo né comple-tamente animale. Con folti ciuffi di pelo o ali piumate, con corna ritorte o lunghi artigli. Unico, oscuro abitantedel parco, che cambiava sempre aspetto. S’aggirava solitario per le gabbie, sistemandole. Maneggiando lunghipennelli ritoccava le bestie dipinte, quasi si aspettasse di vederle prendere vita. “Quanti lunghi anni abbiamo tra-scorso assieme” sospirava e apriva una scatola dal coperchio d’argento dove custodiva gelosamente i richiami conle loro voci, vi soffiava dentro e le chiamava. Ma rispondeva solo il silenzio.Passò altro tempo. Un giorno, Maura tentò di farsi regalare un ciondolo da un venditore di cianfrusaglie. Ma

Rocco e Maura promisero sulla loro amicizia di non mettere mai più piede nel parco.

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Non voleva ripensare a qualcosa che gli metteva ancora paura: un parco circondato da un muro e un passaggio segreto.

L’abitante del parco si stese all’ombra, sull’erba di un recinto. Aveva appena dipinto la scena di un sogno: la scim-mia cornuta, animale solitario, che si lascia penzolare dai rami del sicomoro gigante, e scruta l’orizzonte a guardiadella Valle della Notte. Ma qui, nel giardino ormai selvatico, simili piante non spuntavano e nemmeno la scimmiacervo esisteva più. Lui stesso era diventato un essere solitario. Abbandonò la tavolozza del verde, ormai del tuttoconsumata, e se ne andò.

Al mercato, il Signor Alburro, il fruttivendolo, non si decideva a servirlo. Stava litigando col suo garzone. “Sem-pre la stessa storia, ma la prossima volta che mancherà della merce, sarai licenziato” diceva il Signor Alburro,sventolando un cavolfiore sotto il naso del garzone. “Non è colpa mia, ma di quell’uomo col mantello che arrivaall’alba: appena mi volto, porta via qualcosa” si difendeva il poveretto. “Ho provato a inseguirlo ma, mi cascassela lingua, quello è scomparso dentro un muro!” “Se continui a bere sambuca la mattina, ti licenzio ugualmente”aveva borbottato il fruttivendolo. Nel frattempo Rocco se n’era già andato, senza verdura.

Una volta la mamma mandò Rocco a comprare la verdura per preparare la cena.

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Nessuna bestia li assalì. Tra gli alberi addormentati, si sentiva ancora la stessa musica d’opera dell’altra volta. Dal-la casa in riva allo stagno trapelava un filo di luce. Si avvicinarono cercando di non fare il minimo rumore.Quando si affacciarono alla finestra videro un vecchio che indossava un costume da animale ma, senza maschera, ilsuo volto non era affatto mostruoso, aveva solo capelli incolti e folte basette. Era attorniato dalle bestie fantasticheda lui stesso dipinte. L’ultima era un mastodonte delle Montagne Azzurre, ritratto mentre guarda spuntare le rosedi palma, di cui è ghiotto. “Dove siete scomparsi?” si lamentava il pittore tenendo la testa fra le mani ossute “Siete ormai troppo lontani per-fino per ricordarvi di me”.

Rocco e Maura giocavano insieme fino a sera e a volte, dopo cena, sedevano su un muretto facendo a gara nel rac-contarsi storie. Accadde che riparlarono del parco. Secondo loro erano stati i fantasmi a rubare il grammofono alrobivecchi ed erano sempre loro a portar via la verdura dal mercato. Però cosa se ne fanno degli spettri di un gira-dischi e del cibo? Sarà perché in estate ci si sente più temerari e le cose misteriose fanno meno paura, ma Maura eRocco pensarono che là dentro doveva esserci qualcuno in carne ed ossa. E le Antiche Creature forse erano anima-li ormai vecchi e sdentati che mangiavano solo verdura. Maura si alzò con un colpo di coraggio e Rocco la seguì senza protestare. Poco dopo, sotto la luce brillante della lu-na piena, i due si erano già infilati nel parco.

Arrivò l’estate e la scuola finì.

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Creature affascinanti li osservavano: bestie formate da animali diversi, figure massicce che volavano frai lampi, un essere slanciato che passeggiava lungo la palude con l’eleganza di un trampoliere. Ognuno diloro li rimproverava per l’intrusione nel loro mondo segreto. Rocco prese la minuscola macchina fotografica che teneva quasi sempre in tasca e scattò delle foto. Ai lam-pi del flash, il pittore alzò lo sguardo. Era ben più inquietante di quello delle belve dipinte. Si alzò in piedi: eraaltissimo. Nonostante la vecchiaia, i suoi movimenti avevano agilità da pantera, la voce rabbia d’elefante. “Viavevo ordinato di non tornare più, ora sarete puniti!”. Maura e Rocco corsero via a gambe levate.Attorno allo stagno, una passerella si perdeva fra le canne e Rocco scelse quella direzione per nascondersi. Ma giàal primo passo il legno marcio si sfondò e il ragazzino cadde a testa in giù nell’acqua fangosa. Nonostante si agi-tasse con tutta la sua forza, sprofondava sempre più, e non ce l’avrebbe mai fatta a risalire. Allora, con gli occhi pie-ni di lacrime e il cuore di coraggio, Maura affrontò il vecchio supplicandolo: “Non volevamo fare nulla di male.Aiutalo, ti prego, o morirà”. E il pittore infilò le lunghe gambe nella fanghiglia, vi immerse le braccia nervose e tiròfuori Rocco dallo stagno.Poi, con fare scorbutico, condusse i ragazzi nella stanza rotonda. Coprì Rocco con una pesante tenda e lui stesso sene avvolse una sulle spalle, perché i loro vestiti erano fradici e infangati. Davanti al camino, mentre si asciugava-no, il vecchio raccontò la propria storia.

Gli occhi degli animali,dai quadri, sembravano fissarsi proprio sui due ragazzi.

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sa creata. Finché il mattino del grande incidente, nella penombra del cielo bigio, mi accorsi che le gabbie eranostate aperte e gli antichi animali scomparsi. Svenni e la mia mente si oscurò per giorni interi.”“Non scoprii mai chi lo aveva fatto. Da allora non ho più voluto abbandonare questo posto. So che stanno pertornare.”“La prima ad arrivare sarà Piuma della Notte, la mia preferita. Ha la pelle azzurra, le ali da rapace e lunghe gambeda ballerina. Tutti gli altri la seguiranno.”“Se ci fosse ancora il grande Gatto Falena, forse, gli avrei chiesto di divorarvi per meglio custodire il mio segreto.”

“Non racconteremo nulla a nessuno, Eustacchio” promisero Maura e Rocco.

“Io, Eustacchio, Guardiano del Giardino, ho dipinto i loro ritratti in ricordo di quando vivevano qui, nelle loro ca-se con le sbarre. Molto tempo fa.”“Giunsi da queste parti, vagabondo. La guerra era appena terminata. Scappavo dalle rovine e dalle tante ferite. Eroun artista, un pittore, ma non volevo più ritrarre gli uomini, che si erano combattuti così a lungo fra loro, senza ra-gione. Quando vidi le Antiche Creature ne rimasi stregato. Le avevano catturate in terre remote e rinchiuse nellegabbie di questo giardino. Chiesi di poterle accudire.”“Le nutrivo. Riordinavo i recinti. Ascoltavo le loro voci. Le giornate passavano come la corrente di un fiume e lorovi facevano scivolare la tristezza della prigionia. Si lasciavano accarezzare dall’aria, ascoltando il respiro della na-tura che noi umani copriamo con il nostro rumore, dimenticando di farne parte né più né meno di ogni altra co-

“Le Antiche Creature sbucheranno da una tempesta e mi porteranno via con loro.”

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Spesso il pittore imitava le voci delle Antiche Creature e spiegava le abitudini di quegli animali scomparsi. Così,mescolando le tempere, Rocco ascoltò il richiamo del Trillo Albino quando si smarriva nella foresta. Così Eustac-chio, mentre si bagnava nella parte limpida dello stagno, mostrò ai due ragazzi come facevano i Pesci Cervo a stri-sciar fuori dall’acqua per scaldarsi al sole. Così Maura imitò il passo dondolante dell’Airone Lepre, che camminavagiornate intere senza mai stancarsi.“Ora dipingerò l’ultimo ritratto”, disse un giorno a sorpresa Eustacchio. “Quello di Corno Maggiore, che con la suaforza immensa trascinerà il carro con sopra la mia casa, portandomi via per sempre. Ma devo essere solo. Andate-vene e tornate domani”.

Di nascosto gli portavano cose buone da mangiare o vestiti dei loro genitori, passati di moda e inscatolati nel ri-postiglio. Pian piano lui si fidò di loro e divennero buoni amici.Lo aiutavano a sistemare i recinti, a riordinare il parco e addirittura, sotto la sua guida, a restaurare i grandi af-freschi. Eustacchio era convinto che, in qualunque parte del mondo fossero i suoi amati animali, finché i colori dei dipin-ti fossero rimasti lucidi e freschi, a loro non sarebbe potuto accadere nulla di male. E che avrebbero superato qual-siasi difficoltà sulla strada del ritorno, perfino vulcani o sabbie mobili. Era una specie di incantesimo, reso possibiledal suo grande amore per loro.

I due ragazzi tornarono ancora molte altre volte a trovare Eustacchio.

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Parte della cinta del parco era crollata. Eleonora e Lucilla, le due vagabonde, gironzolavano fra i tronchi sradicati.Il lucernario della casa rotonda era infranto, quadri e affreschi ridotti a macchie incomprensibili. Eleonora parlava a vanvera, Lucilla tentava invano di interromperla. “Ti dico che stanotte ho visto Eustacchio.” “Finiscila.” “Poi le bestie sono sbucate fuori dalle nuvole e l’hanno portato via ululando.” “Ma smettila, era solo l’ambulanza.”In quel mentre arrivarono Rocco e Maura, con una borsa piena di colori. Osservarono sgomenti il parco distrutto.

Ma l’amicizia fra loro tre era un bellissimo gioco e un fantastico segreto. L’indomani, però, lo trovarono tanto tri-ste da sembrare ancor più vecchio. “I colori sono finiti” disse. “Se non terminerò la mia opera, forse loro non potranno più tornare”.“Te ne porteremo noi di nuovi” lo rassicurò Rocco, e decise di raccogliere tutti i colori suoi e di Maura più quellidegli altri compagni di scuola, con la scusa di farsi un murale in camera. “Domani li avrai” disse Maura.

Quella stessa notte, una tempesta furiosa si scagliò sulla città. Tutte le luci si spensero. Caddero tegole dai tetti e lecantine si allagarono. Il vento urlava buttando all’aria ogni cosa. Quando si placò, si era ormai fatto giorno.

A volte, i due ragazzi non sapevano bene se credere fino in fondo a Eustacchio

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porgendole ai due ragazzi, e loro subito le aprirono. Vi erano dipinti tutti gli animali fantastici che ormai conosce-vano, solo l’ultimo non lo avevano mai visto. Era il Gatto Falena. La barba appuntita e il ciuffo parevano proprioquelli di Eustacchio, le ali il suo mantello. Quasi si fosse trasformato per rincorrere i suoi amici ritrovati.Mentre Maura e Rocco camminavano verso casa, sbalorditi dal regalo di Eleonora, lei li chiamò:“Tornerà un giorno, sapete?” disse.“Ma finiscila, finiscila” la interruppe Lucilla.E continuò senza smettere, sempre più lontana. I due bambini la sentirono fin quasi sotto casa e s’immaginarono,per gioco, che non si sarebbe fermata mai più.

“Ho qualcosa per voi da parte di Eustacchio”. “Lo conosci anche tu?” si stupì Maura. “Sicuro, bambina, da quandotu non eri ancora nata” s’intromise Lucilla “lui era il guardiano del vecchio zoo e quando tutti gli animali sonoscappati, ha perso la ragione dal dispiacere”. “Ma chi era stato ad aprire le gabbie?” chiese Rocco. “Lui stesso, per-ché voleva liberarli e fuggire lontano con loro” rispose Eleonora, mentre frugava nella sua sacca. “E che bestie era-no?” domandò Maura. “Grandi e pericolose” ricordò Lucilla. “C’erano tigri, leoni e anche l’ippopotamo”. “Non èvero, erano animali antidiluviani” si spazientì Eleonora. “Hanno portato Eustacchio nel loro mondo” mugugnava.“Ma smettila, smettila, sarà finito in qualche ospedale da vecchi, dove ci mettono quando abbiamo troppa tosse”commentò Lucilla, ma di colpo si zittì perché l’altra aveva tirato fuori tele e pergamene arrotolate. “Ecco” disse,

Eleonora corse loro incontro: “Vi stavo aspettando”.

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Una sera d’estate, incontrai Rocco e Maura e mi raccontarono questa storia. Al principio non ci volevo credere.

Allora mi hanno portato con loro nel piccolo museo della scuola, dove le tele

erano state appese.

Quegli strani animali dipinti sembravano vivi e nessun pittore avrebbe potuto immaginarli tanto bene senza averli visti con i propri occhi. Allora ho capito che, in qualche misteriosa parte del mondo, le Antiche Creature esistono davvero.

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Finito di stampare nel mese di ottobre 2007

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