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DOMANDA DI DIVISIONE GIUDIZIALE DEI BENI EREDITARI. RILEVANZA
DELL’ALLEGAZIONE DELLE PROVE DELLA PROPRIETA’ E DEI TRASFERIMENTI
PREGRESSI
di Vittorio Santarsiere
Corte di Appello di Roma, 1 giugno 2011 n. 2480 - Pres. Paone, Est. Di Marzio -
V.G. e V.G. (Avv. Gamberale) c. V.M.R. (Avv. Graziani)
SUCCESSIONE EREDITARIA - DIVISIONE GIUDIZIALE - CERTIFICATI IPOCATASTALI -
PRODUZIONE - NECESSITA’ - OMESSO DEPOSITO - DOMANDA DI ATTRIBUZIONE
DEI BENI IMMOBILI - IMPROCEDIBILITA’ (C.c., artt. 713; 1111; 1113. C.p.c., art.
784)
Nell’adìre il giudice per la divisione di comunione ereditaria, è indispensabile
l’allegazione alla domanda dei certificati storici catastali e della documentazione
concernente le iscrizioni e le trascrizioni relativamente ai beni nell’ultimo
ventennio, quanto meno della relazione notarile in sostituzione, attestante le
risultanze delle visure catastali e dei registri immobiliari. Ciò per consentire al
giudice di verificare la presenza di condizioni ostative dell’azione divisoria, quali
quelle afferenti alla sussistenza del diritto dominicale in capo alle parti del
giudizio, nonché l’esistenza eventuale di altri litisconsorti necessari (creditori o
aventi causa da un partecipante alla comunione) a norma degli artt. 1113 c.c e
784 c.p.c.
L’allegata dichiarazione di successione non prova la qualità per formulare
domanda di divisione, né permette di accertare la integrità del contraddittorio e
non compete al giudice di ordinare alle parti la produzione documentale o di
conseguirla per CTU.
In assenza di certezza sulla proprietà dei beni dell’asse ereditario, su eventuali
loro vincoli o pregiudizi, come, pure, sulla integrità del contraddittorio, che solo
una idonea documentazione potrebbe determinare, la domanda va dichiarata
improponibile.
(Nel caso di specie le mancate allegazioni comportano la indeterminabilità dei
presupposti della domanda, sicché non può adottarsi alcuna statuizione in
merito).
- I -
(Omissis) - L’impugnazione, nel suo aspetto centrale, sviluppato col primo
motivo, verte sull’argomento posto dal primo giudice a sostegno della
dichiarazione di improponibilità, secondo cui gli originari attori non avrebbero
depositato la documentazione indispensabile allo scrutinio della domanda di
divisione proposta.
La soluzione adottata con la sentenza impugnata è in effetti conforme ad un
indirizzo che il Tribunale di Roma ha ribadito in assai numerose occasioni e che
si riassume nella massima secondo cui: “L’omessa rituale produzione dei
certificati storici catastali e della documentazione concernente le iscrizioni e
trascrizioni nel ventennio anteriore ovvero di relazione notarile sostitutiva è
indispensabile per verificare la sussistenza di condizioni dell’azione di divisione,
quali la sussistenza del diritto dominicale in capo alle parti del giudizio e
l’esistenza di altri eventuali litisconsorti necessari (creditori o aventi causa da un
partecipante alla comunione) ex art. 1113 c.c. e 784 c.p.c.; di conseguenza, in
difetto della suddetta tempestiva produzione, è inammissibile in radice la
domanda di divisione ereditaria (Trib. Roma 16 luglio 2004, in Corr. merito,
2005, 1, 23), nello stesso senso possono leggersi, senza pretesa di completezza,
le sentenze dello stesso tribunale (Omissis).
Il menzionato indirizzo trova fondamento, oltre che sulla regola generale
secondo cui la divisione può essere domandata soltanto da ciascuno dei coeredi
(art. 713 c.c.) ovvero dei comunisti (art. 1111 c.c.), sicché l’esistenza della
menzionata qualità costituisce indispensabile condizione dell’azione, la cui
ricorrenza va verificata d’ufficio, sul principio dell’universalità della divisione, del
quale è espressione l’art. 784 c.p.c., ove è stabilito che le domande di divisione
ereditaria e di scioglimento di qualsiasi altra comunione debbono (essere)
proposte in confronto di tutti gli eredi o condomini e dei creditori opponenti se
vi sono, avuto riguardo al disposto dell’art. 1113 c.c. Di guisa che, incombendo
dunque sul giudice adìto con la domanda di divisione la doverosa verifica
officiosa, per un verso, della qualità di coerede-comunista in capo a colui il
quale formula la domanda, nonché, per altro verso, della integrità del
contraddittorio, con riguardo a tutti i possibili litisconsorti necessari, è
indispensabile che la parte attrice depositi la documentazione a tal fine
./.
- II -
necessaria; la medesima documentazione, in breve che occorre al creditore
procedente (oltre al titolo esecutivo) per sottoporre ad esecuzione forzata
immobiliare i beni del debitore alla stregua di quanto previsto dall’art. 567 c.c.,
ossia l’estratto del catasto, nonché i certificati delle iscrizioni e trascrizioni
relative all’immobile pignorato effettuate nei venti anni anteriori alla
trascrizione del pignoramento o, altresì, un certificato notarile attestante le
risultanze delle visure catastali e dei registri immobiliari. Documentazione quella
indicata per l’appunto necessaria a verificare che le parti stiano dividendo beni
effettivamente ed oggettivamente propri (e non semplicemente beni tra le parti
incontestatamente propri) e che non vi siano altri soggetti titolari della qualità
di litisconsorti necessari.
La documentazione necessaria alla esatta individuazione e proprietà del bene
ed all’accertamento della eventuale esistenza di iscrizioni e/o trascrizioni
pregiudizievoli, anche ai fini e per gli effetti di cui all’art. 1113 c.c., acquista
particolare rilevanza, altresì, per l’individuazione delle modalità esecutive della
divisione e, segnatamente, per l’accertamento sulla eventuale commerciabilità
dei beni. E, in definitiva, in assenza di certezza sulla proprietà degli stessi e
sull’assenza di vincoli o pregiudizi, conseguibile solo attraverso idonea
documentazione, non è possibile dunque adottare alcuna statuizione in merito,
sicché la domanda va dichiarata improcedibile.
- Né può essere condiviso, in proposito, l’assunto di parte appellante secondo
cui la documentazione in questione avrebbe dovuto essere acquisita mediante
ordine impartito alla parte ovvero mediante C.T.U. Sotto il primo aspetto,
infatti, par di capire dalla lettura dell’atto di appello che gli appellanti, laddove
affermano che il giudice “avrebbe dovuto ordinare l’esibizione in giudizio alla
parte attrice” (pag. 9 dell’atto d’appello), abbiano inteso riferirsi all’ordine
previsto dell’art. 210 c.p.c., giacché altri ordini in tal senso il codice di rito non
prevede: ma, in proposito, la non pertinenza del richiamo normativo è palese,
giacché l’ordine previsto dalla citata disposizione non può essere impartito
d’ufficio, ma richiede al contrario l’istanza di parte (in questo caso l’istanza della
convenuta).
Erroneamente, d’altronde, si invocherebbe, a sostegno dell’esistenza di un
dovere del giudice di impartire l’ordine di produzione documentale la previsione
dettata dall’art. 183 c.p.c., secondo la quale, nel testo attualmente vigente
(sovrapponibile però a quello precedente): “Nell’udienza di trattazione … il
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- III -
giudice richiede alle parti, sulla base dei fatti allegati, i chiarimenti necessari e
indica le questioni rilevabili d’ufficio delle quali ritiene opportuna la
trattazione”. E’ infatti evidente che una simile interpretazione della norma
comporterebbe uno stravolgimento dei fondamentali princìpi ordinatori del
processo civile, quale processo di parti: è agevole osservare che non compete al
giudice - quantomeno nel procedimento di cognizione ordinaria - indicare alle
parti l’onere probatorio che le stesse devono assolvere, spettando viceversa al
medesimo semplicemente di verificare, secondo quanto stabilito proprio
dall’art. 115 c.p.c., richiamato dagli appellanti, se le prove proposte dalle parti
siano o meno idonee allo scopo. Ciò esime dall’osservare ulteriormente che,
anche sul piano strettamente operativo, un invito alla produzione operato dal
giudice all’udienza di trattazione non avrebbe nessun senso, ben potendo
essere effettuate le produzioni documentali successivamente, entro la
scansione temporale a detto preciso scopo dettata dall’art. 183, attuale sesto
comma, c.p.c.
Sotto il secondo aspetto, poi, è superfluo aggiungere che la C.T.U. ha lo scopo
di recare ausilio al giudice nell’esame delle materie che richiedono speciale
competenza tecnica, ma non può mai e in nessun caso – salvo che nell’ipotesi di
C.T.U. percipiente, evidentemente estranea al caos in questione – supplire
all’osservanza dell’onere probatorio gravante sulle parti (ex permultis Cass. 6
aprile 2005 n. 7097). La C.T.U. non può cioè risolversi in una relevatio ab onere
probandi, né in uno strumento per aggirare preclusioni ormai maturate;
tantomeno può avere funzione esplorativa, salvo il limite in cui essa diventa lo
strumento di accertamento di situazioni rilevabili solo con ricorso a determinate
cognizioni tecniche - ma non è ovviamente il caso delle produzioni documentali
in potere della parte interessata - nel caso già indicato dell’accertamento
percipiente.
- Quanto al rilievo probatorio della denuncia di successione, alla quale, si badi
bene, non risulta affatto fosse nella specie allegata la documentazione che il
primo giudice ha ritenuto mancante - l’opinione della S.C., ferma nel tempo, è
che essa non valga, di per se sola, almeno per regola, neppure a comprovare
l’accettazione tacita dell’eredità (tra le tante, di recente Cass. 11 maggio 2009 n.
10796), sicché è del tutto fuor di luogo ritenere che essa potesse comprovare la
sussistenza della qualità necessaria alla formulazione della domanda di divisione
e l’integrità del contraddittorio in proposito formatosi.
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- IV -
- Resta da dire che la produzione in questa sede della relazione notarile cui si è
fatto cenno nel riassumere i motivi di impugnazione è inammissibile, stante il
disposto dell’art. 345 c.p.c. Va sull’argomento richiamato il principio secondo
cui: “Nel rito ordinario, con riguardo alla produzione di nuovi documenti in
grado di appello, l’art. 345, terzo comma, c.p.c. va interpretato nel senso che
esso fissa sul piano generale il principio della inammissibilità di mezzi di prova
“nuovi” - la cui ammissione, cioè, non sia stata richiesta in precedenza - e,
quindi, anche delle produzioni documentali, indicando nello stesso tempo i limiti
di tale regola, con il porre in via alternativa i requisiti che tali documenti, al pari
degli altri mezzi di prova, devono presentare per poter trovare ingresso in sede
di gravame (sempre che essi siano prodotti, a pena di decadenza, mediante
specifica indicazione degli stessi nell’atto introduttivo del giudizio di secondo
grado, a meno che la loro formazione non sia successiva e la loro produzione
non sia stata resa necessaria in ragione dello sviluppo assunto dal processo):
requisiti consistenti nella dimostrazione che le parti non abbiano potuto
proporli prima per causa ad esse non imputabile ovvero nel convincimento del
giudice della indispensabilità degli stessi per la decisione. Peraltro, nel rito
ordinario, risultando il ruolo del giudice nell’impulso del processo meno incisivo
che nel rito del lavoro, l’ammissione di nuovi mezzi di prova ritenuti
indispensabili non può comunque prescindere dalla richiesta delle parti”
(Omissis) Cass. 26 giugno 2007 n. 14766. Cass. 11 maggio 2010 n. 11346).
Nel caso di specie, non ricorre evidentemente l’ipotesi del documento non
potuto produrre in primo grado per causa non imputabile, trattandosi di
documentazione ovviamente preesistente, né quella del documento
indispensabile. Sulla nozione di indispensabilità, per particolare vanno ricordati
due aspetti:
i) per un verso la stessa connotazione dell’indispensabilità quale decisiva
influenza causale che si riassume nella massima secondo cui: “In tema di
giudizio di appello, l’art. 345, terzo comma, c.p.c., come modificato dalla l. 26
novembre 1990 n. 353, nell’escludere l’ammissibilità di nuovi mezzi di prova, ivi
compresi i documenti, consente al giudice di ammettere, oltre alle nuove prove
che le parti non abbiano potuto produrre prima per causa ad esse non
imputabile, anche quelle da lui ritenute, nel quadro delle risultanze istruttorie
già acquisite, indispensabili, perché dotate di un’influenza causale più incisiva
rispetto a quella che le prove rilevanti hanno sulla decisione finale della
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controversia” (Cass. 16 ottobre 2009 n. 21980, di recente, tra le altre);
ii) per altro verso l’inammissibilità di un aggiramento, attraverso il giudizio di
indispensabilità, dei congegni di preclusione e decadenza che ordinano il
giudizio di primo grado, principio, quest’ultimo, compendiato nella massima
secondo cui: “Nei giudizi instaurati dopo il 30 aprile 1995, non trova più
applicazione il principio secondo cui l’inosservanza del termine per la
produzione di documenti deve ritenersi sanata qualora la controparte non abbia
sollevato la relativa eccezione in sede di discussione della causa dinanzi al
collegio: l’art. 184 c.p.c., nel testo novellato dalla legge 26 novembre 1990 n.
353, non si limita infatti a prevedere l’eventuale assegnazione alle parti di un
termine entro cui dedurre prove e produrre documenti, ma stabilisce
espressamente il carattere perentorio di detto termine, in tal modo
sottraendolo alla disponibilità delle parti (stante il disposto dell’art. 153 c.p.c.),
come del resto implicitamente confermato anche dal successivo art. 184 bis, che
ammette la rimessione in termini, ma solo ad istanza della parte interessata ed
a condizione che questa dimostri di essere incorsa nella decadenza per una
causa ad essa non imputabile. Pertanto, nel giudizio di appello l’eventuale
indispensabilità dei documenti, in tanto può essere valutata dal giudice, in
quanto si tratti di documenti nuovi, nel senso che la loro ammissione non sia
stata richiesta in precedenza e che comunque non si sia verificata la decadenza
di cui all’art. 184 c.p.c., la quale è rilevabile d’ufficio, in quanto sottratta alla
disponibilità delle parti” (Cass. 20 novembre 2006 n. 24606).
Ciò premesso, la produzione della sentenza (documentazione) non può in
questo caso essere ritenuta indispensabile sotto entrambi i profili:
- e perché la documentazione in questione non possiede affatto una decisiva
influenza causale, dal momento che, lungi dal comportare un automatico
accoglimento della domanda attrice, aprirebbe soltanto la strada all’ulteriore
corso del giudizio divisionale;
- e perché, come espressamente considerato del giudice di primo grado, la
documentazione in questione non è stata prodotta entro i termini allo scopo
previsti dall’ordinamento. (Omissis)
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Sommario: 1. Nozione. - 2. Norme di legge. - 3. Oggetto. - 4. Tutela
giurisdizionale
1. Nozione
All’apertura della successione di V.L. furono chiamati a succedergli il coniuge
superstite ed i figli G., G., M.R. e P. Il de cuius aveva redatto testamento e, in
breve, decedevano anche la vedova, tacitata con altri beni (presumibile legato
in sostituzione di legittima) ed il figlio P.
Due figli e la figlia eredi viventi predisposero tre lotti dei beni devoluti, in
natura e conguaglio, che si attribuirono in modo informale, sebbene le porzioni
contenessero immobili. Nacque contrasto tra un fratello e la sorella circa il
conguaglio da corrispondere dal primo alla seconda ed una indennità di
occupazione di due appartamenti, che costei avrebbe dovuto versare al fratello.
Veniva adìto il tribunale dai due fratelli contro la sorella, chiedendo che costei
trasferisse le due unità immobiliari urbane ad uno degli attori e corrispondesse
l’indennità predetta. In subordine, configurandosi la mancata accettazione della
divisione stragiudiziale bonaria, si chiese di ricostituire l’eredità e procedere a
divisione giudiziale.
La convenuta, nel costituirsi, deduceva di non dovere alcuna indennità di
occupazione degli appartamenti, non avendone avuto il possesso esclusivo, e
che la citazione era nulla per indeterminatezza.
Dice una risalente pronunzia di legittimità che il giudizio divisorio si svolge in
due fasi, l’una diretta ad accertare il diritto alla divisione, l’altra a determinarne
il contenuto (1). Nel caso che ci occupa è mancata l’allegazione alla domanda
dei certificati storici catastali e delle visure dei registri immobiliari, sicché il
giudice non ha potuto verificare l’intento delle parti di volere dividere beni
propri, né constatare l’interezza del contraddittorio. E, nel difetto dei
presupposti essenziali, fu dichiarata dal tribunale la improponibilità della
domanda.
Come osservato in dottrina, “presupposto” significa requisito che deve
esistere prima di un atto, perché da questo discendano determinate
conseguenze. Gli interpreti configurano presupposti processuali i requisiti che
debbono preesistere al rapporto, vale a dire prima dell’atto col quale si chiede
./.
(1) Cass. 5 dicembre 1972 n. 3510, inedita.
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la tutela giurisdizionale, che è la domanda. Tali requisiti si dicono anche
presupposti di validità o procedibilità, che se non esistessero prima della
proposizione della domanda il processo si arresterebbe subito, senza pervenire
alla pronunzia sul merito (2).
La relazione alternativa per ministero di notaio è stata presentata nel secondo
grado, ma, per l’art. 345, comma 3, c.p.c., in sede di appello non sono ammessi
nuovi mezzi di prova, compresi i documenti, salvo evenienze che non ricorrono
nella controversia de qua.
Ha osservato la Cassazione come nel giudizio di appello è inammissibile la
produzione di nuovi documenti, a meno che la parte sia stata nella impossibilità
senza colpa di produrli ovvero il giudice non li reputi indispensabili (quindi
necessari) per la decisione (3).
Anche in dottrina si rileva che la citazione deve contenere la domanda di
divisione e l’oggetto della stessa, cioè il patrimonio ereditario in comunione da
dividere. Una delle due fasi della divisione volge all’accertamento del diritto alla
divisione ed alla determinazione delle porzioni (4).
L’appello viene proposto dagli stessi attori verso la convenuta del primo grado
su tre motivi, primo e più assorbente dei quali è la improponibilità della
domanda, statuita in primo grado, per mancanza della documentazione. Il
secondo motivo afferisce a ritenute violazione ed applicazione di norme di legge
sulla disponibilità e valutazioni riguardo alla pretesa di pagamento della
indennità di occupazione di due appartamenti ad opera dell’appellata. Il terzo
motivo concerne le spese di giustizia, che il primo giudice avrebbe dovuto
compensare tra le parti per giusti motivi e soccombenza reciproca.
2. Norme di legge
Sotto la rubrica “Facoltà di domandare la divisione”, sancisce l’art. 713, comma
./.
(2) C. Mandrioli, Diritto processuale civile, I, Giappichelli, Torino, 2011, 39 (agg.
Carratta).
(3) Cass. 26 giugno 2007 n. 14766, in Juris data.
(4) A. Mora, Lo scioglimento della comunione ereditaria. La divisione, in Trattato
di diritto delle successioni e donazioni diretto da Bonilini, IV, Comunione e
divisione ereditaria, Giuffrè, Milano, 2009, 265
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1, c.c. che i coeredi possono sempre domandare la divisione. Dal che si inferisce
la imprescrittibilità del diritto in capo, però, ai soli coeredi.
Per l’art. 784 c.p.c., le domande di divisione ereditaria o di scioglimento di
qualsiasi altra comunione debbono proporsi in confronto di tutti gli eredi o
condomini e dei creditori opponenti se vi sono.
Da queste due norme si inferisce l’impellenza dei presupposti della domanda
di divisione: porre il giudice in grado di accertare il titolo di coerede o comunista
in capo a chi redige la domanda di divisione ed agli altri condividendi; accertare
l’integrità del contraddittorio riguardo a tutti i litisconsorti necessari.
Rileva la Corte giudicante che la documentazione occorre per verificare se le
parti stiano dividendo beni effettivamente ed oggettivamente propri. L’assenza
di certezza sulla proprietà dei cespiti, nonché l’assenza di certezza su eventuali
vincoli pregiudizievoli gravanti su di essi non rendono possibile adottare alcuna
statuizione in merito.
Ancora, la documentazione che si richiede volge ad assicurare che siano
costituiti tutti i soggetti titolari della qualità di litisconsorti necessari. Il giudizio
divisorio richiede necessariamente il litisconsorzio tra tutti i coeredi ed i
creditori opponenti, se ve ne sono. Qualora il difetto di contraddittorio fosse
rilevato in corso di giudizio, il giudice dovrà ordinarne l’integrazione entro
termine perentorio.
La norma dell’art. 345, comma 3, c.p.c. consente al giudice di ammettere
nuove prove, quando le parti non avessero potuto produrle prima per causa ad
esse non imputabile oppure quelle da lui ritenute indispensabili, nel quadro
delle risultanze acquisite. Come rileva la giurisprudenza, tale facoltà va
esercitata in modo non arbitrario, perché il giudizio di indispensabilità, positivo
o negativo, deve palesarsi con provvedimento motivato (5).
3. Oggetto
La sentenza in commento fa il punto su contenuti poco indagati, ma non
irrilevanti a base di una divisione giudiziale: la sussistenza del diritto dominicale
in capo alle parti del giudizio; la chiamata in giudizio di tutti gli eredi, creditori
opponenti, se vi fossero, ed altri aventi titolo.
./.
(5) Cass. 16 ottobre 2009 n. 21980, in Rep. Foro it., 2009, v. Appello civile n. 42.
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Costituisce indispensabile presupposto dell’azione di divisione la comproprietà
dei beni da parte dei condividendi, posto che la divisione può domandarsi solo
da ciascuno dei coeredi. A tal fine si richiede all’attore di allegare alla domanda
l’estratto catastale e le risultanze delle iscrizioni e trascrizioni relative agli
immobili di che trattasi, intervenute negli ultimi venti anni. Oltre questo tempo,
le vicende non interessano, perché vi sarebbe l’usucapione.
I documenti stessi potrebbero essere attestati anche mediante certificato per
ministero di notaio. E si tratta di documentazione impellente per la esatta
individuazione dell’oggetto del rapporto, avente, altresì, rilevanza nella scelta
delle modalità esecutive della divisione, nonché per la commerciabilità dei
cespiti.
Compete al giudice adìto la verifica di tutti i possibili litisconsorti necessari,
per la integrità del contraddittorio, desumibile dalla stessa documentazione per
accertare la proprietà dei beni devoluti, in quanto la divisione deve produrre gli
effetti verso tutti gli aventi titolo.
Come precisato in giurisprudenza, il litisconsorzio necessario verso tutti i
coeredi trova applicazione nei giudizi aventi ad oggetto la divisione dei beni
ereditari finché non sia cessato lo stato di comunione mediante l’attribuzione ai
singoli coeredi delle quote ad essi spettanti. Definito il giudizio di divisione, in
caso di opposizione al precetto intimato da coerede per conseguire il rilascio dei
beni attribuitigli, sono litisconsorti necessari solo i coeredi che abbiano la
detenzione dei detti beni (6).
Osservato in dottrina che il giudizio di divisione volge ad accertare il diritto di
ciascun condividente ad una quota in diritto di proprietà esclusiva su
corrispondente porzione di beni. Il giudizio ha natura contenziosa se alcuno dei
condividendi sollevasse contestazione, altrimenti natura volontaria (7).
Evidenziato dalla giurisprudenza il carattere unitario del giudizio di divisione,
da considerare processo unico avente ad oggetto l’accertamento del diritto di
ogni condividente alla quota ideale dell’asse ereditario e la sua trasformazione
./.
(6) Cass. 21 aprile 1988 n. 3098, in Rep. Foro it., 1988, v. Divisione n. 26.
(7) G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle successioni, Utet, Torino,
2010, 350.
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in diritto di proprietà esclusiva (8).
4. Tutela giurisdizionale
La parte appellante ha sostenuto che la documentazione omessa poteva essere
acquisita mediante ordine impartito alla parte ovvero a mezzo CTU. Tale
assunto è confutato dalla Corte romana, richiamando due norme processuali
che prevedono l’ordine del giudice di esibire in giudizio un documento, art. 210
c.p.c., ma non può impartirsi di ufficio, bensì ad istanza di parte. Non invocabile,
altresì, un dovere del giudice di impartire l’ordine di produrre un documento ex
art. 183 c.p.c., perché il processo civile, quale processo di parti, comporta la
incompetenza del giudice ad indicare l’onere probatorio, che le stesse debbono
assolvere.
Come osservato acutamente in dottrina, il magistrato giusdicente non può
esercitare la funzione giurisdizionale di ufficio. La impossibilità di cumulare nella
stessa persona le figure del giudice e della parte (come da vivace rivelazione
delle massime: nemo iudex sine actore; ne procedat iudex ex officio) risponde ad
una esigenza logica, che, se si identifica con il proprium della funzione
giurisdizionale, ha contorni più vasti della tutela giurisdizionale dei diritti, intesa
nel senso seguito dai conditores del codice del “42 (9).
Le condizioni di ammissibilità della domanda vanno tenute ben distinte dal
presupposto-base di natura sostanziale (cioè dell’esistenza effettiva del diritto
tutelabile), su cui dovrà poi fondarsi l’accoglimento della domanda.
L’accertamento della eventuale carenza delle condizioni di ammissibilità è
rilevabile anche di ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo e
determina la pronunzia di un provvedimento di inammissibilità o della
improponibilità della domanda. Si tratta di una decisione che i pratici
definiscono merito in senso lato, ricollegandosi comunque all’intrinseco della
domanda. E tale pronunzia, coerentemente, è suscettibile di acquisire l’autorità
del giudicato sostanziale, facendo stato fra le parti (eredi ed aventi causa) a
norma dell’art. 2909 c.c. I presupposti nel caso di inesistenza viziano ex tunc la
valida instaurazione del rapporto processuale. Vi sono, tuttavia, eccezioni, come
./.
(8) Cass. 17 maggio 1995 n. 5415, in Rep. Foro it., 1995, v. Divisione n. 29.
(9) V. Andrioli, Lezioni di diritto processuale civile, Jovene, Napoli, 1973, 205.
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il difetto di rappresentanza (art. 182, comma 2, c.p.c.), che, pur mancando alla
proposizione della domanda possono sopravvenire in corso del processo,
quanto meno fino al momento di decisione della controversia (10).
Altra voce dottrinale osserva che la concezione del c.d. diritto di azione non si
considera più quale diritto ad un provvedimento di merito favorevole all’attore,
ma come diritto ad un provvedimento sul merito della domanda proposta.
Questo è condizionato affinché dalla prospettazione dei fatti contenuta risulti la
coincidenza dell’attore e del convenuto con gli affermati titolari, dal lato attivo e
passivo, del rapporto giuridico dedotto in giudizio, nonché con l’interesse a
promuovere l’azione. Si è pervenuti a riunire le figure delle condizioni
dell’azione e dei presupposti nella più moderna categoria delle condizioni di
deducibilità della causa nel merito (11).
Nella riportata controversia, l’accertamento riguardo ai litisconsorti necessari
è rimasto impedito, come il capitolo del diritto dominicale in capo alle parti, per
difetto di documentazione della domanda. Ora, la divisione dell’eredità deve
realizzarsi con la partecipazione di tutti i chiamati alla successione, nonché altri
aventi titolo. Costoro vanno evocati in giudizio, trattandosi di un caso tipico di
litisconsorzio necessario.
Il consenso di tutti i partecipi della comunione determina l’efficacia
dell’accordo, la mancanza di alcun litisconsorte determina la inefficacia.
L’elemento caratterizzante del litisconsorzio è la partecipazione alla comunione,
non la qualità di erede. Va detto che rilevano i litisconsorti che partecipano alla
comunione al momento della proposizione della domanda, sicché non occorre
integrare il contraddittorio verso l’acquirente di un bene controverso in
pendenza del giudizio. Non è litisconsorte necessario il legittimario pretermesso
col testamento, questi, qualora tacitato con legato in sostituzione di legittima,
non è partecipe della comunione da dividere. Lo stesso dicasi del coerede che
ha ceduto la propria quota, qui si costituisce alla procedura il cessionario
subentrato.
Rilevato in dottrina che, per l’art. 784 c.p.c., la domanda deve proporsi anche
./.
(10) L. P. Comoglio, C. Ferri, M. Taruffo, Lezioni sul processo civile, Il Mulino,
Bologna, 2005, 237 s.
(11) C. Punzi, Il processo civile, I, I soggetti e gli atti, Giappichelli, Torino, 2010,
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nei confronti dei creditori opponenti, ma essi non sono litisconsorti necessari,
sicché la loro mancata citazione non renderebbe nulla la divisione (12).
All’esito del procedimento si pone una riflessione: la giustizia è un istituto
austero, che procede nella piena osservanza del principio di legalità, mai
potrebbe compiere la divisione di comunione ereditaria senza la certezza che le
parti abbiano il diritto dominicale sui beni devoluti e che tutte si siano costituite.
Viene, altresì, da domandarsi quid iuris a questo punto ?
Considerato che anche i beni immobili richiedono investimenti perché non
deperiscano e producano reddito/vantaggi, nessuno “vi porrebbe mano” se non
proprietario esclusivo, è, quindi, assurdo conservarne la comunione. Le parti
dovrebbero addivenire a convinzione che urge accordarsi e fare la divisione
bonaria per ministero di notaio, cedere qualcosa, rinunziare ad ogni arroganza
onde “fare di necessità virtù” pur di dare formali, definitivi assetti a tutti i
cespiti.
(12) S. Satta, C. Punzi, Diritto processuale civile, Cedam, Padova, 2000, 862.
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A B S T R A C T
La divisione dei beni ereditari per ministero del giudice muove
dall’accertamento dei presupposti processuali, la cui esistenza va prospettata in
primo grado dalle parti, allegando esauriente documentazione alla domanda. La
formalità si adempie mediante certificati storici catastali e visure dei registri
immobiliari al fine di conoscere l’esistenza del diritto dominicale in capo ai
condividendi e la completezza del contraddittorio.
All’uopo le risultanze catastali e le visure dei registri immobiliari potrebbero
commettersi ad un notaio che provvederebbe con relazione.
Trattasi di presupposti di validità o procedibilità, che se non esistessero alla
proposizione della domanda il processo non perverrebbe a pronunzia sul
merito.
Il giudice va posto in condizione di accertare il titolo di coerede dei condividendi
con gli eventuali vincoli pregiudizievoli sui beni e la costituzione avanti a sé di
tutti i litisconsorti necessari.
La divisione volge ad accertare il diritto dei condividendi alla propria quota in
proprietà esclusiva su corrispondente porzione di beni. Il giudizio, di natura
volontaria, diviene contenzioso se alcuno dei partecipi sollevasse contestazione.
Non è possibile, per espressa previsione normativa, che la documentazione
afferente ai presupposti della domanda, omessa alla introduzione del giudizio,
possa venire acquisita d’ordine del giudice. La funzione giurisdizionale non può
esercitarsi di ufficio dal giudice, sulla impossibilità di cumulare in un'unica
persona le figure del giudice e della parte (nemo iudex sine actore).
La carenza delle condizioni di ammissibilità della domanda determina la
pronunzia di improponibilità della domanda suscettibile di acquisire autorità di
giudicato sostanziale, facendo stato fra le parti. La inesistenza dei presupposti di
procedibilità viziano ex tunc la valida instaurazione del rapporto processuale.
Il diritto ad un provvedimento sul merito della domanda è condizionato alla
coincidenza dell’attore e del convenuto con gli affermati titolari del rapporto
giuridico dedotto in giudizio, nonché con l’interesse a promuovere l’azione. Si è
pervenuti a riunire le figure delle condizioni dell’azione e dei presupposti nella
categoria delle condizioni di deducibilità della causa nel merito.
La divisione giudiziale della eredità configura un caso tipico di litisconsorzio
necessario, il cui elemento distintivo è la partecipazione alla comunione, non la
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qualità di erede. Così, non è litisconsorte necessario l’erede pretermesso,
mediante legato in sostituzione di legittima, peraltro neanche legittimario dopo
l’accettazione. E’, inoltre, disinteressato alla comunione da dividere il coerede
che avesse ceduto la propria quota, gli subentra il cessionario.