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DOMANDA DI DIVISIONE GIUDIZIALE DEI BENI EREDITARI. RILEVANZA DELL’ALLEGAZIONE DELLE PROVE DELLA PROPRIETA’ E DEI TRASFERIMENTI PREGRESSI di Vittorio Santarsiere Corte di Appello di Roma, 1 giugno 2011 n. 2480 - Pres. Paone, Est. Di Marzio - V.G. e V.G. (Avv. Gamberale) c. V.M.R. (Avv. Graziani) SUCCESSIONE EREDITARIA - DIVISIONE GIUDIZIALE - CERTIFICATI IPOCATASTALI - PRODUZIONE - NECESSITA’ - OMESSO DEPOSITO - DOMANDA DI ATTRIBUZIONE DEI BENI IMMOBILI - IMPROCEDIBILITA’ (C.c., artt. 713; 1111; 1113. C.p.c., art. 784) Nell’adìre il giudice per la divisione di comunione ereditaria, è indispensabile l’allegazione alla domanda dei certificati storici catastali e della documentazione concernente le iscrizioni e le trascrizioni relativamente ai beni nell’ultimo ventennio, quanto meno della relazione notarile in sostituzione, attestante le risultanze delle visure catastali e dei registri immobiliari. Ciò per consentire al giudice di verificare la presenza di condizioni ostative dell’azione divisoria, quali quelle afferenti alla sussistenza del diritto dominicale in capo alle parti del giudizio, nonché l’esistenza eventuale di altri litisconsorti necessari (creditori o aventi causa da un partecipante alla comunione) a norma degli artt. 1113 c.c e 784 c.p.c. L’allegata dichiarazione di successione non prova la qualità per formulare domanda di divisione, né permette di accertare la integrità del contraddittorio e non compete al giudice di ordinare alle parti la produzione documentale o di conseguirla per CTU. In assenza di certezza sulla proprietà dei beni dell’asse ereditario, su eventuali loro vincoli o pregiudizi, come, pure, sulla integrità del contraddittorio, che solo una idonea documentazione potrebbe determinare, la domanda va dichiarata improponibile. (Nel caso di specie le mancate allegazioni comportano la indeterminabilità dei presupposti della domanda, sicché non può adottarsi alcuna statuizione in merito).

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DOMANDA DI DIVISIONE GIUDIZIALE DEI BENI EREDITARI. RILEVANZA

DELL’ALLEGAZIONE DELLE PROVE DELLA PROPRIETA’ E DEI TRASFERIMENTI

PREGRESSI

di Vittorio Santarsiere

Corte di Appello di Roma, 1 giugno 2011 n. 2480 - Pres. Paone, Est. Di Marzio -

V.G. e V.G. (Avv. Gamberale) c. V.M.R. (Avv. Graziani)

SUCCESSIONE EREDITARIA - DIVISIONE GIUDIZIALE - CERTIFICATI IPOCATASTALI -

PRODUZIONE - NECESSITA’ - OMESSO DEPOSITO - DOMANDA DI ATTRIBUZIONE

DEI BENI IMMOBILI - IMPROCEDIBILITA’ (C.c., artt. 713; 1111; 1113. C.p.c., art.

784)

Nell’adìre il giudice per la divisione di comunione ereditaria, è indispensabile

l’allegazione alla domanda dei certificati storici catastali e della documentazione

concernente le iscrizioni e le trascrizioni relativamente ai beni nell’ultimo

ventennio, quanto meno della relazione notarile in sostituzione, attestante le

risultanze delle visure catastali e dei registri immobiliari. Ciò per consentire al

giudice di verificare la presenza di condizioni ostative dell’azione divisoria, quali

quelle afferenti alla sussistenza del diritto dominicale in capo alle parti del

giudizio, nonché l’esistenza eventuale di altri litisconsorti necessari (creditori o

aventi causa da un partecipante alla comunione) a norma degli artt. 1113 c.c e

784 c.p.c.

L’allegata dichiarazione di successione non prova la qualità per formulare

domanda di divisione, né permette di accertare la integrità del contraddittorio e

non compete al giudice di ordinare alle parti la produzione documentale o di

conseguirla per CTU.

In assenza di certezza sulla proprietà dei beni dell’asse ereditario, su eventuali

loro vincoli o pregiudizi, come, pure, sulla integrità del contraddittorio, che solo

una idonea documentazione potrebbe determinare, la domanda va dichiarata

improponibile.

(Nel caso di specie le mancate allegazioni comportano la indeterminabilità dei

presupposti della domanda, sicché non può adottarsi alcuna statuizione in

merito).

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(Omissis) - L’impugnazione, nel suo aspetto centrale, sviluppato col primo

motivo, verte sull’argomento posto dal primo giudice a sostegno della

dichiarazione di improponibilità, secondo cui gli originari attori non avrebbero

depositato la documentazione indispensabile allo scrutinio della domanda di

divisione proposta.

La soluzione adottata con la sentenza impugnata è in effetti conforme ad un

indirizzo che il Tribunale di Roma ha ribadito in assai numerose occasioni e che

si riassume nella massima secondo cui: “L’omessa rituale produzione dei

certificati storici catastali e della documentazione concernente le iscrizioni e

trascrizioni nel ventennio anteriore ovvero di relazione notarile sostitutiva è

indispensabile per verificare la sussistenza di condizioni dell’azione di divisione,

quali la sussistenza del diritto dominicale in capo alle parti del giudizio e

l’esistenza di altri eventuali litisconsorti necessari (creditori o aventi causa da un

partecipante alla comunione) ex art. 1113 c.c. e 784 c.p.c.; di conseguenza, in

difetto della suddetta tempestiva produzione, è inammissibile in radice la

domanda di divisione ereditaria (Trib. Roma 16 luglio 2004, in Corr. merito,

2005, 1, 23), nello stesso senso possono leggersi, senza pretesa di completezza,

le sentenze dello stesso tribunale (Omissis).

Il menzionato indirizzo trova fondamento, oltre che sulla regola generale

secondo cui la divisione può essere domandata soltanto da ciascuno dei coeredi

(art. 713 c.c.) ovvero dei comunisti (art. 1111 c.c.), sicché l’esistenza della

menzionata qualità costituisce indispensabile condizione dell’azione, la cui

ricorrenza va verificata d’ufficio, sul principio dell’universalità della divisione, del

quale è espressione l’art. 784 c.p.c., ove è stabilito che le domande di divisione

ereditaria e di scioglimento di qualsiasi altra comunione debbono (essere)

proposte in confronto di tutti gli eredi o condomini e dei creditori opponenti se

vi sono, avuto riguardo al disposto dell’art. 1113 c.c. Di guisa che, incombendo

dunque sul giudice adìto con la domanda di divisione la doverosa verifica

officiosa, per un verso, della qualità di coerede-comunista in capo a colui il

quale formula la domanda, nonché, per altro verso, della integrità del

contraddittorio, con riguardo a tutti i possibili litisconsorti necessari, è

indispensabile che la parte attrice depositi la documentazione a tal fine

./.

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necessaria; la medesima documentazione, in breve che occorre al creditore

procedente (oltre al titolo esecutivo) per sottoporre ad esecuzione forzata

immobiliare i beni del debitore alla stregua di quanto previsto dall’art. 567 c.c.,

ossia l’estratto del catasto, nonché i certificati delle iscrizioni e trascrizioni

relative all’immobile pignorato effettuate nei venti anni anteriori alla

trascrizione del pignoramento o, altresì, un certificato notarile attestante le

risultanze delle visure catastali e dei registri immobiliari. Documentazione quella

indicata per l’appunto necessaria a verificare che le parti stiano dividendo beni

effettivamente ed oggettivamente propri (e non semplicemente beni tra le parti

incontestatamente propri) e che non vi siano altri soggetti titolari della qualità

di litisconsorti necessari.

La documentazione necessaria alla esatta individuazione e proprietà del bene

ed all’accertamento della eventuale esistenza di iscrizioni e/o trascrizioni

pregiudizievoli, anche ai fini e per gli effetti di cui all’art. 1113 c.c., acquista

particolare rilevanza, altresì, per l’individuazione delle modalità esecutive della

divisione e, segnatamente, per l’accertamento sulla eventuale commerciabilità

dei beni. E, in definitiva, in assenza di certezza sulla proprietà degli stessi e

sull’assenza di vincoli o pregiudizi, conseguibile solo attraverso idonea

documentazione, non è possibile dunque adottare alcuna statuizione in merito,

sicché la domanda va dichiarata improcedibile.

- Né può essere condiviso, in proposito, l’assunto di parte appellante secondo

cui la documentazione in questione avrebbe dovuto essere acquisita mediante

ordine impartito alla parte ovvero mediante C.T.U. Sotto il primo aspetto,

infatti, par di capire dalla lettura dell’atto di appello che gli appellanti, laddove

affermano che il giudice “avrebbe dovuto ordinare l’esibizione in giudizio alla

parte attrice” (pag. 9 dell’atto d’appello), abbiano inteso riferirsi all’ordine

previsto dell’art. 210 c.p.c., giacché altri ordini in tal senso il codice di rito non

prevede: ma, in proposito, la non pertinenza del richiamo normativo è palese,

giacché l’ordine previsto dalla citata disposizione non può essere impartito

d’ufficio, ma richiede al contrario l’istanza di parte (in questo caso l’istanza della

convenuta).

Erroneamente, d’altronde, si invocherebbe, a sostegno dell’esistenza di un

dovere del giudice di impartire l’ordine di produzione documentale la previsione

dettata dall’art. 183 c.p.c., secondo la quale, nel testo attualmente vigente

(sovrapponibile però a quello precedente): “Nell’udienza di trattazione … il

./.

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giudice richiede alle parti, sulla base dei fatti allegati, i chiarimenti necessari e

indica le questioni rilevabili d’ufficio delle quali ritiene opportuna la

trattazione”. E’ infatti evidente che una simile interpretazione della norma

comporterebbe uno stravolgimento dei fondamentali princìpi ordinatori del

processo civile, quale processo di parti: è agevole osservare che non compete al

giudice - quantomeno nel procedimento di cognizione ordinaria - indicare alle

parti l’onere probatorio che le stesse devono assolvere, spettando viceversa al

medesimo semplicemente di verificare, secondo quanto stabilito proprio

dall’art. 115 c.p.c., richiamato dagli appellanti, se le prove proposte dalle parti

siano o meno idonee allo scopo. Ciò esime dall’osservare ulteriormente che,

anche sul piano strettamente operativo, un invito alla produzione operato dal

giudice all’udienza di trattazione non avrebbe nessun senso, ben potendo

essere effettuate le produzioni documentali successivamente, entro la

scansione temporale a detto preciso scopo dettata dall’art. 183, attuale sesto

comma, c.p.c.

Sotto il secondo aspetto, poi, è superfluo aggiungere che la C.T.U. ha lo scopo

di recare ausilio al giudice nell’esame delle materie che richiedono speciale

competenza tecnica, ma non può mai e in nessun caso – salvo che nell’ipotesi di

C.T.U. percipiente, evidentemente estranea al caos in questione – supplire

all’osservanza dell’onere probatorio gravante sulle parti (ex permultis Cass. 6

aprile 2005 n. 7097). La C.T.U. non può cioè risolversi in una relevatio ab onere

probandi, né in uno strumento per aggirare preclusioni ormai maturate;

tantomeno può avere funzione esplorativa, salvo il limite in cui essa diventa lo

strumento di accertamento di situazioni rilevabili solo con ricorso a determinate

cognizioni tecniche - ma non è ovviamente il caso delle produzioni documentali

in potere della parte interessata - nel caso già indicato dell’accertamento

percipiente.

- Quanto al rilievo probatorio della denuncia di successione, alla quale, si badi

bene, non risulta affatto fosse nella specie allegata la documentazione che il

primo giudice ha ritenuto mancante - l’opinione della S.C., ferma nel tempo, è

che essa non valga, di per se sola, almeno per regola, neppure a comprovare

l’accettazione tacita dell’eredità (tra le tante, di recente Cass. 11 maggio 2009 n.

10796), sicché è del tutto fuor di luogo ritenere che essa potesse comprovare la

sussistenza della qualità necessaria alla formulazione della domanda di divisione

e l’integrità del contraddittorio in proposito formatosi.

./.

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- IV -

- Resta da dire che la produzione in questa sede della relazione notarile cui si è

fatto cenno nel riassumere i motivi di impugnazione è inammissibile, stante il

disposto dell’art. 345 c.p.c. Va sull’argomento richiamato il principio secondo

cui: “Nel rito ordinario, con riguardo alla produzione di nuovi documenti in

grado di appello, l’art. 345, terzo comma, c.p.c. va interpretato nel senso che

esso fissa sul piano generale il principio della inammissibilità di mezzi di prova

“nuovi” - la cui ammissione, cioè, non sia stata richiesta in precedenza - e,

quindi, anche delle produzioni documentali, indicando nello stesso tempo i limiti

di tale regola, con il porre in via alternativa i requisiti che tali documenti, al pari

degli altri mezzi di prova, devono presentare per poter trovare ingresso in sede

di gravame (sempre che essi siano prodotti, a pena di decadenza, mediante

specifica indicazione degli stessi nell’atto introduttivo del giudizio di secondo

grado, a meno che la loro formazione non sia successiva e la loro produzione

non sia stata resa necessaria in ragione dello sviluppo assunto dal processo):

requisiti consistenti nella dimostrazione che le parti non abbiano potuto

proporli prima per causa ad esse non imputabile ovvero nel convincimento del

giudice della indispensabilità degli stessi per la decisione. Peraltro, nel rito

ordinario, risultando il ruolo del giudice nell’impulso del processo meno incisivo

che nel rito del lavoro, l’ammissione di nuovi mezzi di prova ritenuti

indispensabili non può comunque prescindere dalla richiesta delle parti”

(Omissis) Cass. 26 giugno 2007 n. 14766. Cass. 11 maggio 2010 n. 11346).

Nel caso di specie, non ricorre evidentemente l’ipotesi del documento non

potuto produrre in primo grado per causa non imputabile, trattandosi di

documentazione ovviamente preesistente, né quella del documento

indispensabile. Sulla nozione di indispensabilità, per particolare vanno ricordati

due aspetti:

i) per un verso la stessa connotazione dell’indispensabilità quale decisiva

influenza causale che si riassume nella massima secondo cui: “In tema di

giudizio di appello, l’art. 345, terzo comma, c.p.c., come modificato dalla l. 26

novembre 1990 n. 353, nell’escludere l’ammissibilità di nuovi mezzi di prova, ivi

compresi i documenti, consente al giudice di ammettere, oltre alle nuove prove

che le parti non abbiano potuto produrre prima per causa ad esse non

imputabile, anche quelle da lui ritenute, nel quadro delle risultanze istruttorie

già acquisite, indispensabili, perché dotate di un’influenza causale più incisiva

rispetto a quella che le prove rilevanti hanno sulla decisione finale della

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controversia” (Cass. 16 ottobre 2009 n. 21980, di recente, tra le altre);

ii) per altro verso l’inammissibilità di un aggiramento, attraverso il giudizio di

indispensabilità, dei congegni di preclusione e decadenza che ordinano il

giudizio di primo grado, principio, quest’ultimo, compendiato nella massima

secondo cui: “Nei giudizi instaurati dopo il 30 aprile 1995, non trova più

applicazione il principio secondo cui l’inosservanza del termine per la

produzione di documenti deve ritenersi sanata qualora la controparte non abbia

sollevato la relativa eccezione in sede di discussione della causa dinanzi al

collegio: l’art. 184 c.p.c., nel testo novellato dalla legge 26 novembre 1990 n.

353, non si limita infatti a prevedere l’eventuale assegnazione alle parti di un

termine entro cui dedurre prove e produrre documenti, ma stabilisce

espressamente il carattere perentorio di detto termine, in tal modo

sottraendolo alla disponibilità delle parti (stante il disposto dell’art. 153 c.p.c.),

come del resto implicitamente confermato anche dal successivo art. 184 bis, che

ammette la rimessione in termini, ma solo ad istanza della parte interessata ed

a condizione che questa dimostri di essere incorsa nella decadenza per una

causa ad essa non imputabile. Pertanto, nel giudizio di appello l’eventuale

indispensabilità dei documenti, in tanto può essere valutata dal giudice, in

quanto si tratti di documenti nuovi, nel senso che la loro ammissione non sia

stata richiesta in precedenza e che comunque non si sia verificata la decadenza

di cui all’art. 184 c.p.c., la quale è rilevabile d’ufficio, in quanto sottratta alla

disponibilità delle parti” (Cass. 20 novembre 2006 n. 24606).

Ciò premesso, la produzione della sentenza (documentazione) non può in

questo caso essere ritenuta indispensabile sotto entrambi i profili:

- e perché la documentazione in questione non possiede affatto una decisiva

influenza causale, dal momento che, lungi dal comportare un automatico

accoglimento della domanda attrice, aprirebbe soltanto la strada all’ulteriore

corso del giudizio divisionale;

- e perché, come espressamente considerato del giudice di primo grado, la

documentazione in questione non è stata prodotta entro i termini allo scopo

previsti dall’ordinamento. (Omissis)

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Sommario: 1. Nozione. - 2. Norme di legge. - 3. Oggetto. - 4. Tutela

giurisdizionale

1. Nozione

All’apertura della successione di V.L. furono chiamati a succedergli il coniuge

superstite ed i figli G., G., M.R. e P. Il de cuius aveva redatto testamento e, in

breve, decedevano anche la vedova, tacitata con altri beni (presumibile legato

in sostituzione di legittima) ed il figlio P.

Due figli e la figlia eredi viventi predisposero tre lotti dei beni devoluti, in

natura e conguaglio, che si attribuirono in modo informale, sebbene le porzioni

contenessero immobili. Nacque contrasto tra un fratello e la sorella circa il

conguaglio da corrispondere dal primo alla seconda ed una indennità di

occupazione di due appartamenti, che costei avrebbe dovuto versare al fratello.

Veniva adìto il tribunale dai due fratelli contro la sorella, chiedendo che costei

trasferisse le due unità immobiliari urbane ad uno degli attori e corrispondesse

l’indennità predetta. In subordine, configurandosi la mancata accettazione della

divisione stragiudiziale bonaria, si chiese di ricostituire l’eredità e procedere a

divisione giudiziale.

La convenuta, nel costituirsi, deduceva di non dovere alcuna indennità di

occupazione degli appartamenti, non avendone avuto il possesso esclusivo, e

che la citazione era nulla per indeterminatezza.

Dice una risalente pronunzia di legittimità che il giudizio divisorio si svolge in

due fasi, l’una diretta ad accertare il diritto alla divisione, l’altra a determinarne

il contenuto (1). Nel caso che ci occupa è mancata l’allegazione alla domanda

dei certificati storici catastali e delle visure dei registri immobiliari, sicché il

giudice non ha potuto verificare l’intento delle parti di volere dividere beni

propri, né constatare l’interezza del contraddittorio. E, nel difetto dei

presupposti essenziali, fu dichiarata dal tribunale la improponibilità della

domanda.

Come osservato in dottrina, “presupposto” significa requisito che deve

esistere prima di un atto, perché da questo discendano determinate

conseguenze. Gli interpreti configurano presupposti processuali i requisiti che

debbono preesistere al rapporto, vale a dire prima dell’atto col quale si chiede

./.

(1) Cass. 5 dicembre 1972 n. 3510, inedita.

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la tutela giurisdizionale, che è la domanda. Tali requisiti si dicono anche

presupposti di validità o procedibilità, che se non esistessero prima della

proposizione della domanda il processo si arresterebbe subito, senza pervenire

alla pronunzia sul merito (2).

La relazione alternativa per ministero di notaio è stata presentata nel secondo

grado, ma, per l’art. 345, comma 3, c.p.c., in sede di appello non sono ammessi

nuovi mezzi di prova, compresi i documenti, salvo evenienze che non ricorrono

nella controversia de qua.

Ha osservato la Cassazione come nel giudizio di appello è inammissibile la

produzione di nuovi documenti, a meno che la parte sia stata nella impossibilità

senza colpa di produrli ovvero il giudice non li reputi indispensabili (quindi

necessari) per la decisione (3).

Anche in dottrina si rileva che la citazione deve contenere la domanda di

divisione e l’oggetto della stessa, cioè il patrimonio ereditario in comunione da

dividere. Una delle due fasi della divisione volge all’accertamento del diritto alla

divisione ed alla determinazione delle porzioni (4).

L’appello viene proposto dagli stessi attori verso la convenuta del primo grado

su tre motivi, primo e più assorbente dei quali è la improponibilità della

domanda, statuita in primo grado, per mancanza della documentazione. Il

secondo motivo afferisce a ritenute violazione ed applicazione di norme di legge

sulla disponibilità e valutazioni riguardo alla pretesa di pagamento della

indennità di occupazione di due appartamenti ad opera dell’appellata. Il terzo

motivo concerne le spese di giustizia, che il primo giudice avrebbe dovuto

compensare tra le parti per giusti motivi e soccombenza reciproca.

2. Norme di legge

Sotto la rubrica “Facoltà di domandare la divisione”, sancisce l’art. 713, comma

./.

(2) C. Mandrioli, Diritto processuale civile, I, Giappichelli, Torino, 2011, 39 (agg.

Carratta).

(3) Cass. 26 giugno 2007 n. 14766, in Juris data.

(4) A. Mora, Lo scioglimento della comunione ereditaria. La divisione, in Trattato

di diritto delle successioni e donazioni diretto da Bonilini, IV, Comunione e

divisione ereditaria, Giuffrè, Milano, 2009, 265

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1, c.c. che i coeredi possono sempre domandare la divisione. Dal che si inferisce

la imprescrittibilità del diritto in capo, però, ai soli coeredi.

Per l’art. 784 c.p.c., le domande di divisione ereditaria o di scioglimento di

qualsiasi altra comunione debbono proporsi in confronto di tutti gli eredi o

condomini e dei creditori opponenti se vi sono.

Da queste due norme si inferisce l’impellenza dei presupposti della domanda

di divisione: porre il giudice in grado di accertare il titolo di coerede o comunista

in capo a chi redige la domanda di divisione ed agli altri condividendi; accertare

l’integrità del contraddittorio riguardo a tutti i litisconsorti necessari.

Rileva la Corte giudicante che la documentazione occorre per verificare se le

parti stiano dividendo beni effettivamente ed oggettivamente propri. L’assenza

di certezza sulla proprietà dei cespiti, nonché l’assenza di certezza su eventuali

vincoli pregiudizievoli gravanti su di essi non rendono possibile adottare alcuna

statuizione in merito.

Ancora, la documentazione che si richiede volge ad assicurare che siano

costituiti tutti i soggetti titolari della qualità di litisconsorti necessari. Il giudizio

divisorio richiede necessariamente il litisconsorzio tra tutti i coeredi ed i

creditori opponenti, se ve ne sono. Qualora il difetto di contraddittorio fosse

rilevato in corso di giudizio, il giudice dovrà ordinarne l’integrazione entro

termine perentorio.

La norma dell’art. 345, comma 3, c.p.c. consente al giudice di ammettere

nuove prove, quando le parti non avessero potuto produrle prima per causa ad

esse non imputabile oppure quelle da lui ritenute indispensabili, nel quadro

delle risultanze acquisite. Come rileva la giurisprudenza, tale facoltà va

esercitata in modo non arbitrario, perché il giudizio di indispensabilità, positivo

o negativo, deve palesarsi con provvedimento motivato (5).

3. Oggetto

La sentenza in commento fa il punto su contenuti poco indagati, ma non

irrilevanti a base di una divisione giudiziale: la sussistenza del diritto dominicale

in capo alle parti del giudizio; la chiamata in giudizio di tutti gli eredi, creditori

opponenti, se vi fossero, ed altri aventi titolo.

./.

(5) Cass. 16 ottobre 2009 n. 21980, in Rep. Foro it., 2009, v. Appello civile n. 42.

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Costituisce indispensabile presupposto dell’azione di divisione la comproprietà

dei beni da parte dei condividendi, posto che la divisione può domandarsi solo

da ciascuno dei coeredi. A tal fine si richiede all’attore di allegare alla domanda

l’estratto catastale e le risultanze delle iscrizioni e trascrizioni relative agli

immobili di che trattasi, intervenute negli ultimi venti anni. Oltre questo tempo,

le vicende non interessano, perché vi sarebbe l’usucapione.

I documenti stessi potrebbero essere attestati anche mediante certificato per

ministero di notaio. E si tratta di documentazione impellente per la esatta

individuazione dell’oggetto del rapporto, avente, altresì, rilevanza nella scelta

delle modalità esecutive della divisione, nonché per la commerciabilità dei

cespiti.

Compete al giudice adìto la verifica di tutti i possibili litisconsorti necessari,

per la integrità del contraddittorio, desumibile dalla stessa documentazione per

accertare la proprietà dei beni devoluti, in quanto la divisione deve produrre gli

effetti verso tutti gli aventi titolo.

Come precisato in giurisprudenza, il litisconsorzio necessario verso tutti i

coeredi trova applicazione nei giudizi aventi ad oggetto la divisione dei beni

ereditari finché non sia cessato lo stato di comunione mediante l’attribuzione ai

singoli coeredi delle quote ad essi spettanti. Definito il giudizio di divisione, in

caso di opposizione al precetto intimato da coerede per conseguire il rilascio dei

beni attribuitigli, sono litisconsorti necessari solo i coeredi che abbiano la

detenzione dei detti beni (6).

Osservato in dottrina che il giudizio di divisione volge ad accertare il diritto di

ciascun condividente ad una quota in diritto di proprietà esclusiva su

corrispondente porzione di beni. Il giudizio ha natura contenziosa se alcuno dei

condividendi sollevasse contestazione, altrimenti natura volontaria (7).

Evidenziato dalla giurisprudenza il carattere unitario del giudizio di divisione,

da considerare processo unico avente ad oggetto l’accertamento del diritto di

ogni condividente alla quota ideale dell’asse ereditario e la sua trasformazione

./.

(6) Cass. 21 aprile 1988 n. 3098, in Rep. Foro it., 1988, v. Divisione n. 26.

(7) G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle successioni, Utet, Torino,

2010, 350.

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in diritto di proprietà esclusiva (8).

4. Tutela giurisdizionale

La parte appellante ha sostenuto che la documentazione omessa poteva essere

acquisita mediante ordine impartito alla parte ovvero a mezzo CTU. Tale

assunto è confutato dalla Corte romana, richiamando due norme processuali

che prevedono l’ordine del giudice di esibire in giudizio un documento, art. 210

c.p.c., ma non può impartirsi di ufficio, bensì ad istanza di parte. Non invocabile,

altresì, un dovere del giudice di impartire l’ordine di produrre un documento ex

art. 183 c.p.c., perché il processo civile, quale processo di parti, comporta la

incompetenza del giudice ad indicare l’onere probatorio, che le stesse debbono

assolvere.

Come osservato acutamente in dottrina, il magistrato giusdicente non può

esercitare la funzione giurisdizionale di ufficio. La impossibilità di cumulare nella

stessa persona le figure del giudice e della parte (come da vivace rivelazione

delle massime: nemo iudex sine actore; ne procedat iudex ex officio) risponde ad

una esigenza logica, che, se si identifica con il proprium della funzione

giurisdizionale, ha contorni più vasti della tutela giurisdizionale dei diritti, intesa

nel senso seguito dai conditores del codice del “42 (9).

Le condizioni di ammissibilità della domanda vanno tenute ben distinte dal

presupposto-base di natura sostanziale (cioè dell’esistenza effettiva del diritto

tutelabile), su cui dovrà poi fondarsi l’accoglimento della domanda.

L’accertamento della eventuale carenza delle condizioni di ammissibilità è

rilevabile anche di ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo e

determina la pronunzia di un provvedimento di inammissibilità o della

improponibilità della domanda. Si tratta di una decisione che i pratici

definiscono merito in senso lato, ricollegandosi comunque all’intrinseco della

domanda. E tale pronunzia, coerentemente, è suscettibile di acquisire l’autorità

del giudicato sostanziale, facendo stato fra le parti (eredi ed aventi causa) a

norma dell’art. 2909 c.c. I presupposti nel caso di inesistenza viziano ex tunc la

valida instaurazione del rapporto processuale. Vi sono, tuttavia, eccezioni, come

./.

(8) Cass. 17 maggio 1995 n. 5415, in Rep. Foro it., 1995, v. Divisione n. 29.

(9) V. Andrioli, Lezioni di diritto processuale civile, Jovene, Napoli, 1973, 205.

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il difetto di rappresentanza (art. 182, comma 2, c.p.c.), che, pur mancando alla

proposizione della domanda possono sopravvenire in corso del processo,

quanto meno fino al momento di decisione della controversia (10).

Altra voce dottrinale osserva che la concezione del c.d. diritto di azione non si

considera più quale diritto ad un provvedimento di merito favorevole all’attore,

ma come diritto ad un provvedimento sul merito della domanda proposta.

Questo è condizionato affinché dalla prospettazione dei fatti contenuta risulti la

coincidenza dell’attore e del convenuto con gli affermati titolari, dal lato attivo e

passivo, del rapporto giuridico dedotto in giudizio, nonché con l’interesse a

promuovere l’azione. Si è pervenuti a riunire le figure delle condizioni

dell’azione e dei presupposti nella più moderna categoria delle condizioni di

deducibilità della causa nel merito (11).

Nella riportata controversia, l’accertamento riguardo ai litisconsorti necessari

è rimasto impedito, come il capitolo del diritto dominicale in capo alle parti, per

difetto di documentazione della domanda. Ora, la divisione dell’eredità deve

realizzarsi con la partecipazione di tutti i chiamati alla successione, nonché altri

aventi titolo. Costoro vanno evocati in giudizio, trattandosi di un caso tipico di

litisconsorzio necessario.

Il consenso di tutti i partecipi della comunione determina l’efficacia

dell’accordo, la mancanza di alcun litisconsorte determina la inefficacia.

L’elemento caratterizzante del litisconsorzio è la partecipazione alla comunione,

non la qualità di erede. Va detto che rilevano i litisconsorti che partecipano alla

comunione al momento della proposizione della domanda, sicché non occorre

integrare il contraddittorio verso l’acquirente di un bene controverso in

pendenza del giudizio. Non è litisconsorte necessario il legittimario pretermesso

col testamento, questi, qualora tacitato con legato in sostituzione di legittima,

non è partecipe della comunione da dividere. Lo stesso dicasi del coerede che

ha ceduto la propria quota, qui si costituisce alla procedura il cessionario

subentrato.

Rilevato in dottrina che, per l’art. 784 c.p.c., la domanda deve proporsi anche

./.

(10) L. P. Comoglio, C. Ferri, M. Taruffo, Lezioni sul processo civile, Il Mulino,

Bologna, 2005, 237 s.

(11) C. Punzi, Il processo civile, I, I soggetti e gli atti, Giappichelli, Torino, 2010,

13.

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nei confronti dei creditori opponenti, ma essi non sono litisconsorti necessari,

sicché la loro mancata citazione non renderebbe nulla la divisione (12).

All’esito del procedimento si pone una riflessione: la giustizia è un istituto

austero, che procede nella piena osservanza del principio di legalità, mai

potrebbe compiere la divisione di comunione ereditaria senza la certezza che le

parti abbiano il diritto dominicale sui beni devoluti e che tutte si siano costituite.

Viene, altresì, da domandarsi quid iuris a questo punto ?

Considerato che anche i beni immobili richiedono investimenti perché non

deperiscano e producano reddito/vantaggi, nessuno “vi porrebbe mano” se non

proprietario esclusivo, è, quindi, assurdo conservarne la comunione. Le parti

dovrebbero addivenire a convinzione che urge accordarsi e fare la divisione

bonaria per ministero di notaio, cedere qualcosa, rinunziare ad ogni arroganza

onde “fare di necessità virtù” pur di dare formali, definitivi assetti a tutti i

cespiti.

(12) S. Satta, C. Punzi, Diritto processuale civile, Cedam, Padova, 2000, 862.

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A B S T R A C T

La divisione dei beni ereditari per ministero del giudice muove

dall’accertamento dei presupposti processuali, la cui esistenza va prospettata in

primo grado dalle parti, allegando esauriente documentazione alla domanda. La

formalità si adempie mediante certificati storici catastali e visure dei registri

immobiliari al fine di conoscere l’esistenza del diritto dominicale in capo ai

condividendi e la completezza del contraddittorio.

All’uopo le risultanze catastali e le visure dei registri immobiliari potrebbero

commettersi ad un notaio che provvederebbe con relazione.

Trattasi di presupposti di validità o procedibilità, che se non esistessero alla

proposizione della domanda il processo non perverrebbe a pronunzia sul

merito.

Il giudice va posto in condizione di accertare il titolo di coerede dei condividendi

con gli eventuali vincoli pregiudizievoli sui beni e la costituzione avanti a sé di

tutti i litisconsorti necessari.

La divisione volge ad accertare il diritto dei condividendi alla propria quota in

proprietà esclusiva su corrispondente porzione di beni. Il giudizio, di natura

volontaria, diviene contenzioso se alcuno dei partecipi sollevasse contestazione.

Non è possibile, per espressa previsione normativa, che la documentazione

afferente ai presupposti della domanda, omessa alla introduzione del giudizio,

possa venire acquisita d’ordine del giudice. La funzione giurisdizionale non può

esercitarsi di ufficio dal giudice, sulla impossibilità di cumulare in un'unica

persona le figure del giudice e della parte (nemo iudex sine actore).

La carenza delle condizioni di ammissibilità della domanda determina la

pronunzia di improponibilità della domanda suscettibile di acquisire autorità di

giudicato sostanziale, facendo stato fra le parti. La inesistenza dei presupposti di

procedibilità viziano ex tunc la valida instaurazione del rapporto processuale.

Il diritto ad un provvedimento sul merito della domanda è condizionato alla

coincidenza dell’attore e del convenuto con gli affermati titolari del rapporto

giuridico dedotto in giudizio, nonché con l’interesse a promuovere l’azione. Si è

pervenuti a riunire le figure delle condizioni dell’azione e dei presupposti nella

categoria delle condizioni di deducibilità della causa nel merito.

La divisione giudiziale della eredità configura un caso tipico di litisconsorzio

necessario, il cui elemento distintivo è la partecipazione alla comunione, non la

./.

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qualità di erede. Così, non è litisconsorte necessario l’erede pretermesso,

mediante legato in sostituzione di legittima, peraltro neanche legittimario dopo

l’accettazione. E’, inoltre, disinteressato alla comunione da dividere il coerede

che avesse ceduto la propria quota, gli subentra il cessionario.