DODICI VIGNETTE FRA TANTE - Photographers

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D unque, si è raggiunto un altro livello del conflitto di civiltà. La umma si è ritrova- ta unita e compatta nel condannare la satira danese, e le pressioni violente contro l’Euro- pa per la richiesta di scuse e la punizione dei colpevoli si sono dispiegate. Un po’ come tra fine Ottocento e inizi Novecento in Europa scendevano in piazza folle nazionalistiche per inneggiare a conquiste coloniali, o per contrastare altri stati, ostili o nemici, così og- gi la xenofobia si è trasferita sul piano reli- gioso. Governi di paesi islamici convocano ambasciatori, qualche ambasciata è già stata bruciata, alcune fatwe sono pronunciate e lanciate contro i sacrileghi. Alcune voci sagge si sono levate in Euro- pa. Si è difesa la libertà di stampa, di critica, di satira. Si è fatto appello al senso di re- sponsabilità per non favorire gli estremismi islamici con provocazioni inutili. Si è ricor- dato che il povero cristianesimo è da tempo dileggiato, umiliato, nei suoi simboli e nelle sue figure più sacre, da penne e giornali che ritengono la dissacrazione religiosa quasi un nuovo diritto umano per i suoi autori. Si è av- vertito che in quelle vignette c’è una venatu- ra di antisemitismo quantomeno nello stile del disegno, dovendoci ricordare che anche gli arabi sono semiti. Sono tutte cose giuste, e verrebbe quasi da pensare che la miccia danese può servire al- la vecchia Europa anche per riflettere sui propri errori e peccati. Ma con tante appren- sioni. Cosa potrà accadere a Parigi, Berlino, o Praga, se imam musulmani lanceranno fatwe contro spettacoli considerati osceni, o lesivi della dignità della donna? E cosa potrà accadere se in altri quartieri d’Europa ‘con- quistati’ numericamente dagli islamici si det- teranno regole sui giornali da pubblicare, sui libri da leggere nelle scuole, e via di seguito? L’Europa sarà mondata dai suoi peccati, o in- sieme alle colpe perderà l’anima cristiana della libertà? Eppure, sopra tutte queste cose giuste, o comunque discutibili, sovrasta qualcosa di immenso, di tanto grande che quasi nessuno riesce a notarlo. Quelle stesse masse, quegli stessi governi, quegli stessi dignitari mussul- mani che oggi protestano sono gli stessi che esaltano i kamikaze, o tacciono di fronte agli sgozzamenti degli ostaggi. E l’Europa non ha mai veramente protestato per queste conni- venze o complicità. Quegli stessi governi, que- gli stessi dignitari mussulmani che esigono il rispetto per i simboli dell’Islam sono gli stes- si che negano ogni forma di libertà religiosa nei propri paesi, e assistono silenziosamente a progrom di cristiani, o ebrei, ieri in Indo- nesia, oggi e domani in Sudan, e in tante ter- re dell’Islam. E l’Europa, con i suoi governi, la sua stampa, i suoi intellettuali, non ha mai veramente protestato e posto il problema del- la sistematica distruzione dei diritti fonda- mentali dell’uomo in tanta parte del mondo. Ho letto da qualche parte che il primo mi- nistro della Turchia ha lamentato l’eccessiva libertà di stampa esistente in Europa. Siamo così giunti al grottesco, con il rovesciamento dei piani. Non è l’Europa che chiede alla Tur- chia apertura civile e libertà religiosa per en- trare in Europa, ma è la Turchia che pone condizioni al vecchio continente. Ciò che ci impedisce di parlare a voce alta Le guerre religiose sono divenute così del tutto asimmetriche. Di fronte al mondo mu- sulmano che lamenta solidale e compatto mancanza di rispetto, l’Europa si spezzetta, tace o balbetta, ed è incapace di chiedere al- l’Islam che sia bandita la violenza dalla reli- gione, che siano rispettati alcuni elementari diritti della persona. Addirittura nel rappor- to tra governi – abilitati per principio a chie- dere reciproche garanzie – non v’è traccia di una posizione europea che ponga le grandi questioni della libertà e della sicurezza per tutti coloro (cristiani, ebrei, laici) che vivono in tanti paesi musulmani, teocratici, confes- sionali, o moderati che siano. Certo, in questa pavidità vi possono essere ragioni contingenti. Non voler aprire nuovi terreni di conflitto, evitare di provocare i fon- damentalisti, comprensione verso aree geo- politiche che si trovano indietro sul terreno dell’evoluzione civile, e via di seguito. Ma le ragioni contingenti stanno distruggendo l’o- rizzonte più ampio, stanno vanificando il ruo- lo culturale dell’Europa nel suo insieme. C’è qualcosa di più profondo che impedisce agli europei di parlare a voce alta, di rispondere, di controbattere con civiltà ma con fermezza a chi reclama rispetto e semina violenza, a chi invoca la religione e pratica la persecu- zione o l’emarginazione degli altri, a chi chie- de sensibilità e agisce con le fatwe. Ho come l’impressione che a guardar den- tro di noi alla ricerca di queste profondità si possa rimanere sconcertati. C’è il rischio di scoprire che non crediamo veramente più a nulla, che non abbiamo radici, né cristiane, né liberali, né politiche, solide. E questo è un problema che esiste anche a prescindere dal- le vignette danesi perché riguarda la nostra evoluzione e la nostra identità attuale. Carlo Cardia C’ è qualcosa di straordinariamente ipo- crita nelle reazioni violentissime alle famose vignette pubblicate in Olanda sul profeta Mohammad. Un osservatore sceso da un altro pianeta crederebbe che questa sia la prima volta che qualcuno osa fare satira su temi religiosi, oppure che ciò ac- cada raramente, ma susciti sistematica- mente reazioni di sdegno corale in un mondo che è profondamente devoto. Re- sterebbe stupito nell’apprendere che po- co tempo fa un signore è venuto a dire, nel corso di una ascoltatissima trasmissione della televisione italiana, che il crocefisso è un ripugnante cadaverino appeso, senza che nessuno scendesse per strada, senza che le autorità religiose cristiane prote- stassero in modo più che flebile, mentre è accaduto che molti difendessero quelle parole in nome della libertà di espressio- ne. Che dire poi della religione ebraica? Il nostro extraterrestre, girando per emero- teche, biblioteche, librerie si troverebbe di fronte a uno sterminato campionario di ingiurie blasfeme, per lo più ad opera di quel mondo islamico che scende in piazza a protestare contro le vignette, e dei suoi alleati in occidente. Costoro si stracciano le vesti – e promettono di stracciare i “ne- mici” ben più che le loro vesti (abbiamo visto in televisione troppi cartelli esaltan- ti bin Laden, gli attentati alle Torri Ge- melle e la sorte di Theo van Gogh) – di- chiarando che quelle vignette, pubblicate in Danimarca e riprese da molti altri gior- nali europei, feriscono i sentimenti reli- giosi e il rispetto di ciò che è sacro per un musulmano. Non si mette in discussione – si dice – la legittimità della satira politica: quel che è inaccettabile è ferire i senti- menti religiosi dell’Islam, profanare ciò che per l’Islam è più sacro. A chi ha osser- vato che in tanti paesi islamici viene con- dotta una forsennata campagna razzista antiebraica è stato replicato ancora una volta che trattasi soltanto di satira politi- ca, che riguarda gli israeliani, tutt’al più gli ebrei, e non la religione ebraica. Un piccolo florilegio di esempi – per lo più tratto dal volume di Joël e Dan Kotek, “Au nom de l’antisionisme”, Paris, Com- plexe, 2003 – permette di vedere quanto sia falsa questa dichiarazione di innocen- za. Molti altri esempi si potrebbero dare, ma ci limitiamo a pochi significativi, che – se tanto dà tanto – avrebbero dovuto su- scitare un’ondata di proteste e di sdegno almeno paragonabile a quella cui stiamo assistendo. Che cosa sia la Bibbia ebraica lo spie- gava la vignetta di un quotidiano del Kuwait (1): sembra un libro, ma è soltanto un contenitore di pugnali, bombe e pisto- le. Che si tratti della Bibbia ebraica viene ricordato ai distratti apponendo sulla co- pertina sia il candelabro a sette braccia che la stella di David. Un giornale libane- se riservava una sorte analoga al Talmud, che appare soltanto come il contenitore di un fucile con cui un cecchino nascosto tru- cida un povero palestinese (2). Che i testi sacri ebraici siano un oggetto diabolico è tema ricorrente, come si vede da un’altra vignetta (3) pubblicata in Egit- to nel 1992, in cui il forcone del diavolo è il candelabro a sette braccia (la Menorah) cui è appesa la Bibbia. Non sono dissacranti e blasfeme nei confronti dell’ebraismo simili “satire”? Che dire allora della vignetta pubblicata da Al Ahram Weekly on line (Al Ahram è il massimo quotidiano governativo in Egitto) in cui il razzismo viene addirittura indica- to come il contenuto delle tavole della leg- ge? Un rabbino mostra difatti la scritta raz- zismo incisa sulle tavole di pietra (4). Un’ampia casistica di offese alla reli- gione ebraica e ai suoi testi può essere tro- vata nei manuali scolastici palestinesi, lautamente finanziati con i fondi dell’U- nione europea: anche qui ci limitiamo al- l’aspetto strettamente religioso. (Consi- gliamo in merito la lettura del libro di Y. Manor, “Les manuels scolaires palesti- niens. Une génération sacrifiée”, Paris, Berg, 2003). Vi si parla del Talmud come di un libro di odio e di sangue, di cui si ri- portano brani inventati che appaiono trat- ti di peso dai Protocolli dei Savi di Sion. «Coloro che non sono ebrei, sono porci cui Dio ha dato forma umana in modo da farli servire gli ebrei» (“Storia degli Arabi e del mondo moderno”, livello 12, ANP, Ramal- lah). Ma non soltanto il Talmud, bensì an- che la Torah sarebbe un manuale che in- segna agli ebrei come meglio odiare e ster- minare i loro avversari (Ibidem). In molti di questi testi si ripropone agli allievi il quesito di come gli ebrei ritengono di “spe- gnere la luce di Allah” e si “dimostra” che gli ebrei erano addirittura nemici dei pro- feti e di Dio. Inoltre, la tematica del deici- dio è ripresa in “Educazione Islamica” (li- vello 4, seconda parte, ANP, Ramallah), do- ve si afferma che Allah inviò Gesù come Messaggero, gli ebrei cercarono di ucci- derlo, ma Allah lo salvò… Non si vorrà certo dire che il tema del deicidio non sia particolarmente offensivo e atroce per gli ebrei: esso è alle radici di una persecuzione bimillenaria nei loro confronti basata su una tematica teologica. Ebbene, quel tema è un luogo comune del- la campagna antiebraica nel mondo isla- mico, e ha trovato ampia eco nella satira occidentale, e di certo non si tratta di sati- ra politica: perché mai altrimenti tirare in ballo l’uccisione di Gesù Cristo? Gli esem- pi sono tanti che non si sa da dove iniziare. Ci limitiamo a pochi casi emblematici. La vignetta (5) palestinese di Al-Istiqlal è talmente efferata da non aver bisogno di commenti. La vicenda dell’occupazione della Chie- sa della Natività a Betlemme ha dato la stura a “satire” del genere. Una vignetta (6) di Arabia.com del 7 aprile 2002 presenta quello che è ormai un classico – il soldato israeliano che trucida di nuovo Gesù – e che è stato ripresentato in tutte le salse e infinite volte, per esempio dal nostro Fo- rattini (anzi, visto che la vignetta (7) di Fo- rattini è apparsa il 3 aprile si potrebbe ri- tenere che sia servita di modello). E ancora negli stessi giorni, il 6 aprile, con scarsa fantasia un giornale danese (da- nese…) pubblica una vignetta (8) analoga: i Palestinesi barricati nella chiesa della Na- tività dicono di trovarsi bene là dentro e Cristo risponde: «Non mi parlate degli ebrei» (come se lui non lo fosse stato: igno- ranti, oltre che blasfemi). Potremmo continuare a lungo sulla ster- minata vignettistica antiebraica e feroce- mente offensiva della religione che dilaga nei paesi islamici. Ci limiteremo invece a due soli esempi tratti dalla satira europea filopalestinese. Il primo esempio riguarda il dileggio feroce del precetto ebraico di nutrirsi secondo i principi della kasherut. In una vignetta (9) di Libération del 2001, Arafat osserva i corpi squartati esposti dal macellaio Sharon e commenta: «Non è neppure kasher». Si tratta peraltro di una vignetta che ne copia, anche qui con scar- sa fantasia, una francese degli anni Qua- ranta, dovuta a Ralph Soupault, un comu- nista seguace di una corrente di antisemi- tismo sociale. La vignetta (10) di Web.matin.com del 2001 si riferisce alle proteste legate al ten- tativo di mettere sotto accusa in Belgio Sharon per crimini di guerra. Essa recita: «Il Belgio è divenuto un nemico. Giudicare un macellaio non ha nulla a che vedere con l’antisemitismo». E, per darne una pro- va, il vignettista (11) fa ben più che dell’an- tisemitismo: scantona sul terreno religioso e dileggia la pratica ebraica della circon- cisione…Ancor più volgare è la vignetta (12) di Cuore che ripropone la solita effe- rata leggenda dei quattromila impiegati ebrei che sarebbero stati assenti dalle Tor- ri Gemelle il giorno in cui furono abbattu- te, a riprova che si sarebbe trattato di una congiura ebraica. Cosa dicono gli ebrei rappresentati nel solito modo caratteristi- co della vignettistica antisemita da che mondo è mondo? Non siamo andati al la- voro perché “si doveva circoncidere il pu- po”… E il commento è: «Circoincidenze, eh?». A questo punto, pochi commenti fina- li. Non saremo certamente noi a giustifica- re un simile genere di satira. Ma un conto è condannarla, combatterla, persino proce- dere contro di essa per vie legali, altra co- sa è chiedere la limitazione della libertà di stampa. Malgrado il carattere efferato di molte di quelle vignette “satiriche” e il lo- ro evidente carattere blasfemo per un ebreo credente, vi sono state proteste, an- che energiche, ma nessuno si è sognato di mettere in atto iniziative di questo tipo: chiedere conto e scuse al presidente della Repubblica Italiana delle vignette dei gior- nali italiani; chiedere conto e scuse ai pre- sidenti greci o danesi delle vignette sui lo- ro giornali; invitare i proprietari dei gior- nali a cacciare i loro direttori; assaltare le ambasciate dei paesi arabi e islamici in Eu- ropa o negli Stati Uniti; chiedere scuse uf- ficiali a tutti i presidenti o capi politici dei paesi arabi o islamici in cui sono state pub- blicate quelle vignette; chiedere scuse uffi- ciali da parte della Lega Araba; chiedere scuse ufficiali a tutte le autorità religiose del mondo islamico o la recitazione di un “mea culpa”. Eppure, nel caso del mondo islamico, simili richieste avrebbero avuto fondamento, perché è difficile negare che la stampa, in molti di quei paesi, sia sotto- posta a uno stretto controllo di regime, o addirittura dica ciò che il regime vuole. Ebbene, tutto ciò non è avvenuto, e le proteste hanno distinto i ruoli e gli ambiti, in ossequio a una visione liberale e sulla base dei principi più elementari della con- vivenza democratica. È lecito deplorare un vignettista o un umorista, è possibile que- relarlo, è più che ragionevole chiedere che si scusi, ma il principio della libertà di opi- nione e della indipendenza dei poteri e della libertà della stampa è intangibile. In Francia, l’umorista Dieudonné, autore di tirate antisemite di violenza inaudita, è al centro di aspre polemiche e di denunce, ma nessuno si è sognato di chiedere al pre- sidente Chirac di presentare le scuse per l’esistenza di questo individuo. Il giorno in cui venisse accettato il principio che il po- tere esecutivo può intervenire sull’eserci- zio della stampa e sulle libertà fondamen- tali, sarebbe la morte della democrazia li- berale, che è una delle più grandi conqui- ste dell’occidente. Dispiace constatare che, nelle discus- sioni di questi giorni si stia facendo strada una confusione inaccettabile da parte di parecchie autorità religiose. Sembra che la difesa del principio della libertà di stampa e secondo cui l’esecutivo non può avere il diritto di limitare le libertà, implichi l’ac- cettazione del contenuto delle vignette, la complicità nei confronti di chi dileggia la religione. Un simile atteggiamento dimo- stra insensibilità nei confronti del valore dei principi dello stato liberale e dà adito all’accusa di non capire che la messa in di- scussione di questi principi implica una vi- sione teocratica dello stato, la stessa che vediamo all’opera in certi paesi islamici con esiti tragici. Dispiace constatare che, a livello politi- co, siano state fatte dichiarazioni che non hanno alcun senso se non quello del tenta- tivo di placare e compiacere per mere ra- gioni di opportunità. Il Dipartimento di sta- to americano ha emesso una condanna del- le vignette del tutto condivisibile in quan- to al loro contenuto, ma che non si capisce come possa promanare da un’autorità isti- tuzionale, soprattutto in un paese in cui la satira anche più dissacrante non ha mai conosciuto limiti, se non quelli dell’azione legale a posteriori. Le reazioni caotiche e contraddittorie che si stanno manifestando in occidente, scompongono i fronti e creano schieramen- ti inediti. Le ragioni di questa grande con- fusione sono state bene spiegate da André Glucksmann: la religiosità non c’entra nul- la o almeno non dovrebbe entrarci: “ci so- no religiosi tolleranti, e atei che muoiono di paura, pronti a piegarsi di fronte al ri- catto”. E, come ha detto Glucksmann, quel che molti non capiscono o fanno finta di non capire – per paura o per l’errato calco- lo di poter così difendere meglio la propria religiosità – è che “se cediamo si introduce la sharìa in Europa”. Quelle autorità reli- giose, cristiane ed ebraiche, che credono di poter restaurare un maggior rispetto per le loro religioni, e per la religione in genera- le, accodandosi all’offensiva islamica, ca- dono in un trabocchetto e compiono un tra- gico errore. Essi dimenticano che l’Islam integralista non ha alcuna intenzione di di- fendere la libertà religiosa, tantomeno quella delle altre fedi religiose, bensì sol- tanto l’intangibilità e la supremazia della propria. Essi trascurano che non è così che si difende l’Islam tollerante, poiché gli isla- mici “tolleranti” che si accodano a questa offensiva lo sono a parole, e sono in realtà dei campioni del doppio linguaggio. Per quanto riguarda i musulmani che vi- vono fuori o dentro l’occidente occorre- rebbe ricordare due cose. La prima è che non si ha il diritto mora- le di scatenare una campagna di queste di- mensioni contro una satira ritenuta offen- siva, quando non soltanto non si dice una parola contro la satira violentemente bla- sfema e offensiva nei confronti di altre re- ligioni, come quella ebraica, che dilaga nel mondo islamico; ma addirittura la si giu- stifica. Chi si impanca a chiedere scuse ai governi, e addirittura al Papa, e si straccia le vesti per i sentimenti offesi dovrebbe, in primo luogo, per rendersi minimamente credibile, deplorare espressioni come quelle contenute negli esempi che abbia- mo dato sopra. Al contrario, esse vengono comunemente giustificate come legittime espressioni della sofferenza del popolo pa- lestinese per la “criminalità” ebraico- israeliana. Pertanto, una campagna che si accompagna alla giustificazione di analo- ghi atti offensivi compiuti contro altre reli- gioni è la prova di quanto dicevamo sopra: e cioè di un’intenzione integralista e di una volontà di sopraffazione. La seconda è che in occidente si vive sulla base dei principi sopra ricordati, e che il rispetto a questi principi è dovuto tanto quanto è lecito difendere con i mezzi offerti dalla legge il rispetto dei propri sen- timenti. Fare causa a chi si ritiene ci abbia offeso è legittimo – naturalmente ricorren- do alla magistratura e non emettendo fatwe o incitando al delitto –, chiedere in- terventi dei governi a limitazione della li- bertà di stampa, assaltare ambasciate o ri- tirare gli ambasciatori è una vergogna. Noi che viviamo in occidente dobbiamo fare alcune riflessioni. Quel che sta acca- dendo è l’ennesima prova di una dichiara- zione di guerra, “guerra di civiltà”. Una co- sa odiosa, la “guerra di civiltà”, ma ancora una volta dobbiamo chiederci chi la stia di- chiarando e conducendo. Ha ragione Mag- di Allam: siamo a un tornante decisivo. Se si cede sui principi fondanti della demo- crazia liberale, è finita. È già troppo che delle autorità istituzionali abbiano chiesto scusa. È indecente che un finanziere fran- co-egiziano abbia licenziato il direttore di un giornale. Dobbiamo chiederci cosa ab- biano in mente i numerosi musulmani resi- denti in Europa che, in questi giorni, si spendono a giustificare e difendere questa campagna. Fanno così perché non hanno capito e assimilato i principi fondanti del- le nostre democrazie? In tal caso, dovrem- mo stimolarli fermamente a cercare di comprenderli, assimilarli e rispettarli. Tan- ti immigrati – come fu il caso della mia fa- miglia – sono venuti in Europa perché era- no attratti dai suoi ideali e dai suoi princi- pi di vita, ne sono divenuti fautori ed han- no seguito le sue leggi scrupolosamente. Al- trimenti, avrebbero potuto, e dovuto, resta- re dov’erano. Se, invece, costoro agiscono così perché hanno capito benissimo qual è la posta in gioco, e pertanto parlano con un doppio linguaggio – cioè vogliono vedere fi- no a che punto le nostre società sono capa- ci di difendere i principi su cui sono fon- date, e provocare un cedimento che le spin- ga parecchi gradini in basso, verso il loro disfacimento e il loro asservimento – allora il discorso cambia. Perché saremmo allora al tornante decisivo di cui parla Magdi Al- lam. E che può essere l’inizio di una di- sgregazione senza rimedio, soprattutto se il mondo religioso occidentale confonde la difesa della propria causa e della lotta con- tro l’irreligiosità e il relativismo morale con la lotta contro le vignette, e contribuisce co- sì a distruggere le basi della società in cui vive accodandosi, magari senza neppure rendersene conto, a una deriva integralista. Se questi impulsi suicidi non prevalgono, potremmo sperare di trovarci di fronte al manifestarsi dell’errore tipico di tutte le ideologie totalitarie: le quali alla fine han- no sempre fallito per eccesso di presunzio- ne e di prepotenza. Giorgio Israel L a libertà d’espressione è autentica sol- tanto se tollera perfino le parole e le im- magini ripugnanti. Ci sono dei limiti, certo, perché è ingiusto offendere la dignità e i sen- timenti degli altri. Ma come si misurano, que- sti limiti? Negli stessi giorni in cui esplodeva la rabbiosa protesta di molti islamici contro le vignette sataniche, s’accendeva l’indigna- zione degli ebrei e dei democratici italiani contro gli striscioni e i vessilli nazifascisti sventolati nello stadio della capitale. Il para- gone è futile? Non troppo, per chi ricorda i forni e le croci uncinate dei lager. Chiaro: tra i due episodi c’è una differenza sostanziale, che però non risiede soltanto nella libertà o nelle implicazioni religiose, ma soprattutto nell’intensità e nell’estensione delle risposte. Noi democratici, offesi dalle svastiche, non abbiamo bruciato i vessilli della Roma, non abbiamo assaltato il Campidoglio, non abbia- mo boicottato le magliette di Panucci, non ab- biamo distrutto Trigoria. Il campo di Perrot- ta è stato squalificato per una giornata, le au- torità hanno auspicato la sospensione della partita, in caso di recidive balordaggini. Tut- to qui. Gli islamisti, invece, hanno incendiato le bandiere della Danimarca, perché un quo- tidiano danese aveva pubblicato le caricatu- re di Maometto, hanno aggredito ambasciate, centri commerciali e chiese, coinvolgendo nell’assedio anche altri paesi nei quali alcu- ni giornali avevano riprodotto i disegni incri- minati. Smettiamola di citare Voltaire come esempio di tolleranza. Chiunque abbia letto il suo “Dizionario filosofico”, sa perfettamen- te che nessuno come lui denigrava e ridico- lizzava ogni religione. Limitiamoci a confes- sare i nostri sentimenti d’oggi. E diciamo la verità: nemmeno a noi sembra giusto sfottere il Crocefisso, come ha fatto serenamente Vau- ro, sul Manifesto. Per i cristiani, oltretutto, il Nazareno è proprio Dio, non soltanto un Pro- feta. Sbeffeggiare gli ebrei, poi, è infame e vietato. Chi nega la Shoah, rischia (purtroppo) la galera, in alcuni paesi: può testimoniarlo lo scrittore David Irving. Però, in genere, le nostre reazioni sono mirate e composte. I cri- stiani, se insultati, possono offendersi, ma non organizzano vendette armate. Scrive Gui- do Rampoldi, sulla Repubblica, che il regista Theo van Gogh dipinse Gesù come “un pesce marcio di Nazareth”. E nessuno lo toccò. Ma lo sgozzarono, quando descrisse le miserie di certi costumi musulmani. Quel che preoccupa, o spaventa, è soprat- tutto la quantità incandescente delle proteste islamiste (ampiamente istigate e strumenta- lizzate) , che sono capaci di accendere mani- festazioni di massa, anche violentissime, con- tro qualche vignetta sgarbata. E la rivolta scoppia dal Mediterraneo all’Oceano India- no: diventa pretesto per arroganze politiche, con risultati spesso feroci. Non dimentichia- mo che in Nigeria, nel 2002, ci fu un massacro (più di 200 morti) perché una giornalista osò scrivere che forse al Profeta sarebbe piaciu- ta come sposa una reginetta di bellezza. Dov’era l’offesa? Dov’è il limite invalicabile della suscettibilità religiosa? Maometto, in fondo, non fece voto di castità, anzi impalmò parecchie donne. L’estensione della protesta maomettana sembra, oltretutto, irragionevol- mente squilibrata, a chi vive nell’occidente secolarizzato e pluralista. Ma bisogna consi- derare che la stragrande maggioranza dei paesi musulmani è retta da regimi dittatoria- li, dove è facile persuadere le moltitudini che ciò che pubblicano i giornali democratici (quelli danesi, per esempio) coincida con ciò che ordisce un governo o, addirittura, con ciò che pensa il popolo. E questo non è nuovo. Negli anni Settanta ero a Lahore (Pakistan), dove un partito islamico cercava di abbatte- re il governo di Alì Bhutto (poi lo impiccaro- no). La rivista Newsweek aveva pubblicato un articolo sgradito a quel movimento, e ciò sca- tenò una caccia a tutti gli americani. Erava- mo in tre, un pomeriggio. Fummo accerchia- ti da una turba inferocita che ci puntava le pi- stole in faccia. Strillai (mentendo) che erava- mo tutti italiani e ce la cavammo. Ma questo era il clima, che certamente è peggiorato. Scrisse Régis Debray: “Le merci si globa- lizzano, la gente si tribalizza”. Aveva ragione, secondo me. Gli estremisti musulmani, oggi, sono spietati contro i “blasfemi”, contro i di- versi e contro gli infedeli quanto lo erano molti occidentali, nel buio dell’altro ieri. Que- sto è il tempo (la cultura) dove abitano i fon- damentalisti maomettani. Noi speriamo che s’avvicinino, che diventino come noi. Ma non possiamo escludere che le loro violenze sca- tenino reazioni irresponsabili e che c’indu- cano a diventare fanatici e cattivi come loro, per difendere la nostra Belle Epoque, le no- stre certezze, il nostro benessere. Per ora, questo pericolo ci sembra lontano. Per ora, ma fino a quando? Giuliano Zincone Quelli che dicono:“Non disegnare il volto di Dio invano” ANNO XI NUMERO 32 - PAG I IL FOGLIO QUOTIDIANO MARTEDÌ 7 FEBBRAIO 2006 La fatwa sull’Europa Le condizioni grottesche poste a un continente pavido, che si spezzetta, tace o balbetta Emulazioni blasfeme Smettiamola di citare Voltaire e auguriamoci che non ci inducano a diventare fanatici come loro DODICI VIGNETTE FRA TANTE 1 2 3 4 6 7 8 9 10 11 12 5

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Dunque, si è raggiunto un altro livello delconflitto di civiltà. La umma si è ritrova-

ta unita e compatta nel condannare la satiradanese, e le pressioni violente contro l’Euro-pa per la richiesta di scuse e la punizione deicolpevoli si sono dispiegate. Un po’ come trafine Ottocento e inizi Novecento in Europascendevano in piazza folle nazionalisticheper inneggiare a conquiste coloniali, o percontrastare altri stati, ostili o nemici, così og-gi la xenofobia si è trasferita sul piano reli-gioso. Governi di paesi islamici convocanoambasciatori, qualche ambasciata è già statabruciata, alcune fatwe sono pronunciate elanciate contro i sacrileghi.

Alcune voci sagge si sono levate in Euro-pa. Si è difesa la libertà di stampa, di critica,di satira. Si è fatto appello al senso di re-sponsabilità per non favorire gli estremismiislamici con provocazioni inutili. Si è ricor-dato che il povero cristianesimo è da tempodileggiato, umiliato, nei suoi simboli e nellesue figure più sacre, da penne e giornali cheritengono la dissacrazione religiosa quasi unnuovo diritto umano per i suoi autori. Si è av-vertito che in quelle vignette c’è una venatu-ra di antisemitismo quantomeno nello stiledel disegno, dovendoci ricordare che anchegli arabi sono semiti.

Sono tutte cose giuste, e verrebbe quasi dapensare che la miccia danese può servire al-la vecchia Europa anche per riflettere suipropri errori e peccati. Ma con tante appren-sioni. Cosa potrà accadere a Parigi, Berlino,o Praga, se imam musulmani lancerannofatwe contro spettacoli considerati osceni, olesivi della dignità della donna? E cosa potràaccadere se in altri quartieri d’Europa ‘con-quistati’ numericamente dagli islamici si det-teranno regole sui giornali da pubblicare, suilibri da leggere nelle scuole, e via di seguito?L’Europa sarà mondata dai suoi peccati, o in-sieme alle colpe perderà l’anima cristianadella libertà?

Eppure, sopra tutte queste cose giuste, ocomunque discutibili, sovrasta qualcosa diimmenso, di tanto grande che quasi nessunoriesce a notarlo. Quelle stesse masse, queglistessi governi, quegli stessi dignitari mussul-mani che oggi protestano sono gli stessi cheesaltano i kamikaze, o tacciono di fronte aglisgozzamenti degli ostaggi. E l’Europa non ha

mai veramente protestato per queste conni-venze o complicità. Quegli stessi governi, que-gli stessi dignitari mussulmani che esigono ilrispetto per i simboli dell’Islam sono gli stes-si che negano ogni forma di libertà religiosanei propri paesi, e assistono silenziosamentea progrom di cristiani, o ebrei, ieri in Indo-nesia, oggi e domani in Sudan, e in tante ter-re dell’Islam. E l’Europa, con i suoi governi,la sua stampa, i suoi intellettuali, non ha maiveramente protestato e posto il problema del-la sistematica distruzione dei diritti fonda-mentali dell’uomo in tanta parte del mondo.

Ho letto da qualche parte che il primo mi-nistro della Turchia ha lamentato l’eccessivalibertà di stampa esistente in Europa. Siamocosì giunti al grottesco, con il rovesciamentodei piani. Non è l’Europa che chiede alla Tur-chia apertura civile e libertà religiosa per en-trare in Europa, ma è la Turchia che ponecondizioni al vecchio continente.

Ciò che ci impedisce di parlare a voce altaLe guerre religiose sono divenute così del

tutto asimmetriche. Di fronte al mondo mu-sulmano che lamenta solidale e compattomancanza di rispetto, l’Europa si spezzetta,tace o balbetta, ed è incapace di chiedere al-l’Islam che sia bandita la violenza dalla reli-gione, che siano rispettati alcuni elementaridiritti della persona. Addirittura nel rappor-to tra governi – abilitati per principio a chie-dere reciproche garanzie – non v’è traccia diuna posizione europea che ponga le grandiquestioni della libertà e della sicurezza pertutti coloro (cristiani, ebrei, laici) che vivonoin tanti paesi musulmani, teocratici, confes-sionali, o moderati che siano.

Certo, in questa pavidità vi possono essereragioni contingenti. Non voler aprire nuoviterreni di conflitto, evitare di provocare i fon-damentalisti, comprensione verso aree geo-politiche che si trovano indietro sul terrenodell’evoluzione civile, e via di seguito. Ma leragioni contingenti stanno distruggendo l’o-rizzonte più ampio, stanno vanificando il ruo-lo culturale dell’Europa nel suo insieme. C’èqualcosa di più profondo che impedisce aglieuropei di parlare a voce alta, di rispondere,di controbattere con civiltà ma con fermezzaa chi reclama rispetto e semina violenza, achi invoca la religione e pratica la persecu-zione o l’emarginazione degli altri, a chi chie-de sensibilità e agisce con le fatwe.

Ho come l’impressione che a guardar den-tro di noi alla ricerca di queste profondità sipossa rimanere sconcertati. C’è il rischio discoprire che non crediamo veramente più anulla, che non abbiamo radici, né cristiane,né liberali, né politiche, solide. E questo è unproblema che esiste anche a prescindere dal-le vignette danesi perché riguarda la nostraevoluzione e la nostra identità attuale.

Carlo Cardia

C’è qualcosa di straordinariamente ipo-crita nelle reazioni violentissime alle

famose vignette pubblicate in Olanda sulprofeta Mohammad. Un osservatore scesoda un altro pianeta crederebbe che questasia la prima volta che qualcuno osa faresatira su temi religiosi, oppure che ciò ac-cada raramente, ma susciti sistematica-mente reazioni di sdegno corale in unmondo che è profondamente devoto. Re-sterebbe stupito nell’apprendere che po-co tempo fa un signore è venuto a dire, nelcorso di una ascoltatissima trasmissionedella televisione italiana, che il crocefissoè un ripugnante cadaverino appeso, senzache nessuno scendesse per strada, senzache le autorità religiose cristiane prote-

stassero in modo più che flebile, mentre èaccaduto che molti difendessero quelleparole in nome della libertà di espressio-ne. Che dire poi della religione ebraica? Ilnostro extraterrestre, girando per emero-teche, biblioteche, librerie si troverebbedi fronte a uno sterminato campionario diingiurie blasfeme, per lo più ad opera diquel mondo islamico che scende in piazzaa protestare contro le vignette, e dei suoialleati in occidente. Costoro si straccianole vesti – e promettono di stracciare i “ne-mici” ben più che le loro vesti (abbiamovisto in televisione troppi cartelli esaltan-ti bin Laden, gli attentati alle Torri Ge-melle e la sorte di Theo van Gogh) – di-chiarando che quelle vignette, pubblicatein Danimarca e riprese da molti altri gior-nali europei, feriscono i sentimenti reli-giosi e il rispetto di ciò che è sacro per unmusulmano. Non si mette in discussione –si dice – la legittimità della satira politica:quel che è inaccettabile è ferire i senti-menti religiosi dell’Islam, profanare ciòche per l’Islam è più sacro. A chi ha osser-vato che in tanti paesi islamici viene con-dotta una forsennata campagna razzistaantiebraica è stato replicato ancora unavolta che trattasi soltanto di satira politi-ca, che riguarda gli israeliani, tutt’al piùgli ebrei, e non la religione ebraica.

Un piccolo florilegio di esempi – per lopiù tratto dal volume di Joël e Dan Kotek,“Au nom de l’antisionisme”, Paris, Com-plexe, 2003 – permette di vedere quantosia falsa questa dichiarazione di innocen-za. Molti altri esempi si potrebbero dare,ma ci limitiamo a pochi significativi, che –se tanto dà tanto – avrebbero dovuto su-scitare un’ondata di proteste e di sdegnoalmeno paragonabile a quella cui stiamoassistendo.

Che cosa sia la Bibbia ebraica lo spie-gava la vignetta di un quotidiano delKuwait (1): sembra un libro, ma è soltantoun contenitore di pugnali, bombe e pisto-le. Che si tratti della Bibbia ebraica vienericordato ai distratti apponendo sulla co-pertina sia il candelabro a sette bracciache la stella di David. Un giornale libane-se riservava una sorte analoga al Talmud,che appare soltanto come il contenitore diun fucile con cui un cecchino nascosto tru-cida un povero palestinese (2).

Che i testi sacri ebraici siano un oggettodiabolico è tema ricorrente, come si vededa un’altra vignetta (3) pubblicata in Egit-to nel 1992, in cui il forcone del diavolo èil candelabro a sette braccia (la Menorah)cui è appesa la Bibbia.

Non sono dissacranti e blasfeme neiconfronti dell’ebraismo simili “satire”?Che dire allora della vignetta pubblicata

da Al Ahram Weekly on line (Al Ahram è ilmassimo quotidiano governativo in Egitto)in cui il razzismo viene addirittura indica-to come il contenuto delle tavole della leg-ge? Un rabbino mostra difatti la scritta raz-zismo incisa sulle tavole di pietra (4).

Un’ampia casistica di offese alla reli-gione ebraica e ai suoi testi può essere tro-vata nei manuali scolastici palestinesi,lautamente finanziati con i fondi dell’U-nione europea: anche qui ci limitiamo al-l’aspetto strettamente religioso. (Consi-gliamo in merito la lettura del libro di Y.Manor, “Les manuels scolaires palesti-niens. Une génération sacrifiée”, Paris,Berg, 2003). Vi si parla del Talmud come diun libro di odio e di sangue, di cui si ri-portano brani inventati che appaiono trat-ti di peso dai Protocolli dei Savi di Sion.«Coloro che non sono ebrei, sono porci cuiDio ha dato forma umana in modo da farliservire gli ebrei» (“Storia degli Arabi e delmondo moderno”, livello 12, ANP, Ramal-lah). Ma non soltanto il Talmud, bensì an-che la Torah sarebbe un manuale che in-

segna agli ebrei come meglio odiare e ster-minare i loro avversari (Ibidem). In moltidi questi testi si ripropone agli allievi ilquesito di come gli ebrei ritengono di “spe-gnere la luce di Allah” e si “dimostra” chegli ebrei erano addirittura nemici dei pro-feti e di Dio. Inoltre, la tematica del deici-dio è ripresa in “Educazione Islamica” (li-vello 4, seconda parte, ANP, Ramallah), do-ve si afferma che Allah inviò Gesù comeMessaggero, gli ebrei cercarono di ucci-derlo, ma Allah lo salvò…

Non si vorrà certo dire che il tema deldeicidio non sia particolarmente offensivoe atroce per gli ebrei: esso è alle radici diuna persecuzione bimillenaria nei loroconfronti basata su una tematica teologica.Ebbene, quel tema è un luogo comune del-la campagna antiebraica nel mondo isla-mico, e ha trovato ampia eco nella satiraoccidentale, e di certo non si tratta di sati-ra politica: perché mai altrimenti tirare inballo l’uccisione di Gesù Cristo? Gli esem-pi sono tanti che non si sa da dove iniziare.Ci limitiamo a pochi casi emblematici.

La vignetta (5) palestinese di Al-Istiqlalè talmente efferata da non aver bisogno dicommenti.

La vicenda dell’occupazione della Chie-sa della Natività a Betlemme ha dato lastura a “satire” del genere. Una vignetta (6)di Arabia.com del 7 aprile 2002 presentaquello che è ormai un classico – il soldatoisraeliano che trucida di nuovo Gesù – eche è stato ripresentato in tutte le salse einfinite volte, per esempio dal nostro Fo-rattini (anzi, visto che la vignetta (7) di Fo-rattini è apparsa il 3 aprile si potrebbe ri-

tenere che sia servita di modello).E ancora negli stessi giorni, il 6 aprile,

con scarsa fantasia un giornale danese (da-nese…) pubblica una vignetta (8) analoga: iPalestinesi barricati nella chiesa della Na-tività dicono di trovarsi bene là dentro eCristo risponde: «Non mi parlate degliebrei» (come se lui non lo fosse stato: igno-ranti, oltre che blasfemi).

Potremmo continuare a lungo sulla ster-minata vignettistica antiebraica e feroce-mente offensiva della religione che dilaganei paesi islamici. Ci limiteremo invece adue soli esempi tratti dalla satira europeafilopalestinese. Il primo esempio riguardail dileggio feroce del precetto ebraico dinutrirsi secondo i principi della kasherut.In una vignetta (9) di Libération del 2001,Arafat osserva i corpi squartati esposti dalmacellaio Sharon e commenta: «Non èneppure kasher». Si tratta peraltro di unavignetta che ne copia, anche qui con scar-sa fantasia, una francese degli anni Qua-ranta, dovuta a Ralph Soupault, un comu-nista seguace di una corrente di antisemi-tismo sociale.

La vignetta (10) di Web.matin.com del2001 si riferisce alle proteste legate al ten-tativo di mettere sotto accusa in BelgioSharon per crimini di guerra. Essa recita:«Il Belgio è divenuto un nemico. Giudicareun macellaio non ha nulla a che vederecon l’antisemitismo». E, per darne una pro-va, il vignettista (11) fa ben più che dell’an-tisemitismo: scantona sul terreno religiosoe dileggia la pratica ebraica della circon-cisione…Ancor più volgare è la vignetta(12) di Cuore che ripropone la solita effe-rata leggenda dei quattromila impiegatiebrei che sarebbero stati assenti dalle Tor-ri Gemelle il giorno in cui furono abbattu-te, a riprova che si sarebbe trattato di unacongiura ebraica. Cosa dicono gli ebreirappresentati nel solito modo caratteristi-co della vignettistica antisemita da chemondo è mondo? Non siamo andati al la-voro perché “si doveva circoncidere il pu-po”… E il commento è: «Circoincidenze,eh?». A questo punto, pochi commenti fina-li. Non saremo certamente noi a giustifica-re un simile genere di satira. Ma un conto ècondannarla, combatterla, persino proce-dere contro di essa per vie legali, altra co-sa è chiedere la limitazione della libertà distampa. Malgrado il carattere efferato dimolte di quelle vignette “satiriche” e il lo-ro evidente carattere blasfemo per unebreo credente, vi sono state proteste, an-

che energiche, ma nessuno si è sognato dimettere in atto iniziative di questo tipo:chiedere conto e scuse al presidente dellaRepubblica Italiana delle vignette dei gior-nali italiani; chiedere conto e scuse ai pre-sidenti greci o danesi delle vignette sui lo-ro giornali; invitare i proprietari dei gior-nali a cacciare i loro direttori; assaltare leambasciate dei paesi arabi e islamici in Eu-ropa o negli Stati Uniti; chiedere scuse uf-ficiali a tutti i presidenti o capi politici deipaesi arabi o islamici in cui sono state pub-blicate quelle vignette; chiedere scuse uffi-ciali da parte della Lega Araba; chiederescuse ufficiali a tutte le autorità religiosedel mondo islamico o la recitazione di un“mea culpa”. Eppure, nel caso del mondoislamico, simili richieste avrebbero avutofondamento, perché è difficile negare chela stampa, in molti di quei paesi, sia sotto-posta a uno stretto controllo di regime, oaddirittura dica ciò che il regime vuole.

Ebbene, tutto ciò non è avvenuto, e leproteste hanno distinto i ruoli e gli ambiti,in ossequio a una visione liberale e sullabase dei principi più elementari della con-vivenza democratica. È lecito deplorare unvignettista o un umorista, è possibile que-relarlo, è più che ragionevole chiedere chesi scusi, ma il principio della libertà di opi-nione e della indipendenza dei poteri edella libertà della stampa è intangibile. InFrancia, l’umorista Dieudonné, autore ditirate antisemite di violenza inaudita, è alcentro di aspre polemiche e di denunce,ma nessuno si è sognato di chiedere al pre-sidente Chirac di presentare le scuse perl’esistenza di questo individuo. Il giorno in

cui venisse accettato il principio che il po-tere esecutivo può intervenire sull’eserci-zio della stampa e sulle libertà fondamen-tali, sarebbe la morte della democrazia li-berale, che è una delle più grandi conqui-ste dell’occidente.

Dispiace constatare che, nelle discus-sioni di questi giorni si stia facendo stradauna confusione inaccettabile da parte diparecchie autorità religiose. Sembra che ladifesa del principio della libertà di stampae secondo cui l’esecutivo non può avere ildiritto di limitare le libertà, implichi l’ac-cettazione del contenuto delle vignette, lacomplicità nei confronti di chi dileggia lareligione. Un simile atteggiamento dimo-stra insensibilità nei confronti del valoredei principi dello stato liberale e dà aditoall’accusa di non capire che la messa in di-scussione di questi principi implica una vi-sione teocratica dello stato, la stessa chevediamo all’opera in certi paesi islamicicon esiti tragici.

Dispiace constatare che, a livello politi-co, siano state fatte dichiarazioni che nonhanno alcun senso se non quello del tenta-tivo di placare e compiacere per mere ra-gioni di opportunità. Il Dipartimento di sta-to americano ha emesso una condanna del-le vignette del tutto condivisibile in quan-to al loro contenuto, ma che non si capiscecome possa promanare da un’autorità isti-tuzionale, soprattutto in un paese in cui lasatira anche più dissacrante non ha maiconosciuto limiti, se non quelli dell’azionelegale a posteriori.

Le reazioni caotiche e contraddittorieche si stanno manifestando in occidente,scompongono i fronti e creano schieramen-ti inediti. Le ragioni di questa grande con-fusione sono state bene spiegate da AndréGlucksmann: la religiosità non c’entra nul-la o almeno non dovrebbe entrarci: “ci so-no religiosi tolleranti, e atei che muoionodi paura, pronti a piegarsi di fronte al ri-catto”. E, come ha detto Glucksmann, quelche molti non capiscono o fanno finta dinon capire – per paura o per l’errato calco-lo di poter così difendere meglio la propriareligiosità – è che “se cediamo si introducela sharìa in Europa”. Quelle autorità reli-giose, cristiane ed ebraiche, che credono dipoter restaurare un maggior rispetto per leloro religioni, e per la religione in genera-le, accodandosi all’offensiva islamica, ca-dono in un trabocchetto e compiono un tra-gico errore. Essi dimenticano che l’Islamintegralista non ha alcuna intenzione di di-

fendere la libertà religiosa, tantomenoquella delle altre fedi religiose, bensì sol-tanto l’intangibilità e la supremazia dellapropria. Essi trascurano che non è così chesi difende l’Islam tollerante, poiché gli isla-mici “tolleranti” che si accodano a questaoffensiva lo sono a parole, e sono in realtàdei campioni del doppio linguaggio.

Per quanto riguarda i musulmani che vi-vono fuori o dentro l’occidente occorre-rebbe ricordare due cose.

La prima è che non si ha il diritto mora-le di scatenare una campagna di queste di-mensioni contro una satira ritenuta offen-siva, quando non soltanto non si dice unaparola contro la satira violentemente bla-sfema e offensiva nei confronti di altre re-

ligioni, come quella ebraica, che dilaga nelmondo islamico; ma addirittura la si giu-stifica. Chi si impanca a chiedere scuse aigoverni, e addirittura al Papa, e si stracciale vesti per i sentimenti offesi dovrebbe, inprimo luogo, per rendersi minimamentecredibile, deplorare espressioni comequelle contenute negli esempi che abbia-mo dato sopra. Al contrario, esse vengonocomunemente giustificate come legittimeespressioni della sofferenza del popolo pa-lestinese per la “criminalità” ebraico-israeliana. Pertanto, una campagna che siaccompagna alla giustificazione di analo-ghi atti offensivi compiuti contro altre reli-gioni è la prova di quanto dicevamo sopra:e cioè di un’intenzione integralista e diuna volontà di sopraffazione.

La seconda è che in occidente si vivesulla base dei principi sopra ricordati, eche il rispetto a questi principi è dovutotanto quanto è lecito difendere con i mezziofferti dalla legge il rispetto dei propri sen-timenti. Fare causa a chi si ritiene ci abbiaoffeso è legittimo – naturalmente ricorren-do alla magistratura e non emettendofatwe o incitando al delitto –, chiedere in-terventi dei governi a limitazione della li-bertà di stampa, assaltare ambasciate o ri-tirare gli ambasciatori è una vergogna.

Noi che viviamo in occidente dobbiamofare alcune riflessioni. Quel che sta acca-dendo è l’ennesima prova di una dichiara-zione di guerra, “guerra di civiltà”. Una co-sa odiosa, la “guerra di civiltà”, ma ancorauna volta dobbiamo chiederci chi la stia di-chiarando e conducendo. Ha ragione Mag-di Allam: siamo a un tornante decisivo. Sesi cede sui principi fondanti della demo-crazia liberale, è finita. È già troppo chedelle autorità istituzionali abbiano chiestoscusa. È indecente che un finanziere fran-co-egiziano abbia licenziato il direttore diun giornale. Dobbiamo chiederci cosa ab-biano in mente i numerosi musulmani resi-denti in Europa che, in questi giorni, sispendono a giustificare e difendere questacampagna. Fanno così perché non hannocapito e assimilato i principi fondanti del-le nostre democrazie? In tal caso, dovrem-mo stimolarli fermamente a cercare dicomprenderli, assimilarli e rispettarli. Tan-ti immigrati – come fu il caso della mia fa-miglia – sono venuti in Europa perché era-no attratti dai suoi ideali e dai suoi princi-pi di vita, ne sono divenuti fautori ed han-no seguito le sue leggi scrupolosamente. Al-trimenti, avrebbero potuto, e dovuto, resta-re dov’erano. Se, invece, costoro agiscono

così perché hanno capito benissimo qual èla posta in gioco, e pertanto parlano con undoppio linguaggio – cioè vogliono vedere fi-no a che punto le nostre società sono capa-ci di difendere i principi su cui sono fon-date, e provocare un cedimento che le spin-ga parecchi gradini in basso, verso il lorodisfacimento e il loro asservimento – allorail discorso cambia. Perché saremmo alloraal tornante decisivo di cui parla Magdi Al-lam. E che può essere l’inizio di una di-sgregazione senza rimedio, soprattutto se ilmondo religioso occidentale confonde ladifesa della propria causa e della lotta con-tro l’irreligiosità e il relativismo morale conla lotta contro le vignette, e contribuisce co-sì a distruggere le basi della società in cuivive accodandosi, magari senza neppurerendersene conto, a una deriva integralista.Se questi impulsi suicidi non prevalgono,potremmo sperare di trovarci di fronte almanifestarsi dell’errore tipico di tutte leideologie totalitarie: le quali alla fine han-no sempre fallito per eccesso di presunzio-ne e di prepotenza.

Giorgio Israel

La libertà d’espressione è autentica sol-tanto se tollera perfino le parole e le im-

magini ripugnanti. Ci sono dei limiti, certo,perché è ingiusto offendere la dignità e i sen-timenti degli altri. Ma come si misurano, que-sti limiti? Negli stessi giorni in cui esplodevala rabbiosa protesta di molti islamici controle vignette sataniche, s’accendeva l’indigna-zione degli ebrei e dei democratici italianicontro gli striscioni e i vessilli nazifascistisventolati nello stadio della capitale. Il para-gone è futile? Non troppo, per chi ricorda iforni e le croci uncinate dei lager. Chiaro: trai due episodi c’è una differenza sostanziale,che però non risiede soltanto nella libertà onelle implicazioni religiose, ma soprattuttonell’intensità e nell’estensione delle risposte.Noi democratici, offesi dalle svastiche, nonabbiamo bruciato i vessilli della Roma, nonabbiamo assaltato il Campidoglio, non abbia-mo boicottato le magliette di Panucci, non ab-biamo distrutto Trigoria. Il campo di Perrot-ta è stato squalificato per una giornata, le au-torità hanno auspicato la sospensione dellapartita, in caso di recidive balordaggini. Tut-to qui. Gli islamisti, invece, hanno incendiatole bandiere della Danimarca, perché un quo-tidiano danese aveva pubblicato le caricatu-re di Maometto, hanno aggredito ambasciate,centri commerciali e chiese, coinvolgendonell’assedio anche altri paesi nei quali alcu-ni giornali avevano riprodotto i disegni incri-minati. Smettiamola di citare Voltaire comeesempio di tolleranza. Chiunque abbia lettoil suo “Dizionario filosofico”, sa perfettamen-te che nessuno come lui denigrava e ridico-lizzava ogni religione. Limitiamoci a confes-sare i nostri sentimenti d’oggi. E diciamo laverità: nemmeno a noi sembra giusto sfottereil Crocefisso, come ha fatto serenamente Vau-ro, sul Manifesto. Per i cristiani, oltretutto, ilNazareno è proprio Dio, non soltanto un Pro-feta. Sbeffeggiare gli ebrei, poi, è infame evietato. Chi nega la Shoah, rischia (purtroppo)la galera, in alcuni paesi: può testimoniarlolo scrittore David Irving. Però, in genere, lenostre reazioni sono mirate e composte. I cri-stiani, se insultati, possono offendersi, manon organizzano vendette armate. Scrive Gui-do Rampoldi, sulla Repubblica, che il registaTheo van Gogh dipinse Gesù come “un pesce

marcio di Nazareth”. E nessuno lo toccò. Malo sgozzarono, quando descrisse le miserie dicerti costumi musulmani.

Quel che preoccupa, o spaventa, è soprat-tutto la quantità incandescente delle protesteislamiste (ampiamente istigate e strumenta-lizzate) , che sono capaci di accendere mani-festazioni di massa, anche violentissime, con-tro qualche vignetta sgarbata. E la rivoltascoppia dal Mediterraneo all’Oceano India-no: diventa pretesto per arroganze politiche,con risultati spesso feroci. Non dimentichia-mo che in Nigeria, nel 2002, ci fu un massacro(più di 200 morti) perché una giornalista osòscrivere che forse al Profeta sarebbe piaciu-ta come sposa una reginetta di bellezza.Dov’era l’offesa? Dov’è il limite invalicabiledella suscettibilità religiosa? Maometto, infondo, non fece voto di castità, anzi impalmòparecchie donne. L’estensione della protestamaomettana sembra, oltretutto, irragionevol-mente squilibrata, a chi vive nell’occidentesecolarizzato e pluralista. Ma bisogna consi-derare che la stragrande maggioranza deipaesi musulmani è retta da regimi dittatoria-li, dove è facile persuadere le moltitudini checiò che pubblicano i giornali democratici(quelli danesi, per esempio) coincida con ciòche ordisce un governo o, addirittura, con ciòche pensa il popolo. E questo non è nuovo.Negli anni Settanta ero a Lahore (Pakistan),dove un partito islamico cercava di abbatte-re il governo di Alì Bhutto (poi lo impiccaro-no). La rivista Newsweek aveva pubblicato unarticolo sgradito a quel movimento, e ciò sca-tenò una caccia a tutti gli americani. Erava-mo in tre, un pomeriggio. Fummo accerchia-ti da una turba inferocita che ci puntava le pi-stole in faccia. Strillai (mentendo) che erava-mo tutti italiani e ce la cavammo. Ma questoera il clima, che certamente è peggiorato.

Scrisse Régis Debray: “Le merci si globa-lizzano, la gente si tribalizza”. Aveva ragione,secondo me. Gli estremisti musulmani, oggi,sono spietati contro i “blasfemi”, contro i di-versi e contro gli infedeli quanto lo eranomolti occidentali, nel buio dell’altro ieri. Que-sto è il tempo (la cultura) dove abitano i fon-damentalisti maomettani. Noi speriamo ches’avvicinino, che diventino come noi. Ma nonpossiamo escludere che le loro violenze sca-tenino reazioni irresponsabili e che c’indu-cano a diventare fanatici e cattivi come loro,per difendere la nostra Belle Epoque, le no-stre certezze, il nostro benessere. Per ora,questo pericolo ci sembra lontano. Per ora,ma fino a quando?

Giuliano Zincone

Quelli che dicono: “Non disegnare il volto di Dio invano”

ANNO XI NUMERO 32 - PAG I IL FOGLIO QUOTIDIANO MARTEDÌ 7 FEBBRAIO 2006

La fatwa sull’Europa

Le condizioni grottesche postea un continente pavido,

che si spezzetta, tace o balbetta

Emulazioni blasfeme

Smettiamola di citare Voltairee auguriamoci che non ci inducano

a diventare fanatici come loro

DODICI VIGNETTE FRA TANTE

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