Documenti storici Recoaro, Valli e Posina

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Giacomo Bologna Collezione di documenti storici comprovanti l'origine cimbrica dei popoli di Recoaro, Valli e Posina Ristampa Edizioni Taucias Gareida Giazza (Verona) 1980

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Collezione di documenti storici comprovanti l'origine cimbrica dei popoli di Recoaro, Valli e Posina

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Giacomo Bologna

Collezione di documenti storici comprovanti l'origine cimbrica

dei popoli di Recoaro, Valli e Posina

Ristampa Edizioni Taucias Gareida

Giazza (Verona) 1980

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SCHIO 1876.

TIPOGRAFIA L. MARIN E COMP.

COLLEZIONE D I D O C U M E N T I S T O R I C I

Per cinque anni Chirurgo primario del la Città ed Ospitale di Rovigo. Membro della Commissione spedita nel 1835 dall' I. R. Governo Austriaco a Genova onde stu-diare la prima invasione del Cholera Marbus in Italia. — Socio degli Atenei di Rovigo, Treviso, Bassano e dell'Accademia Olimpica in Vicenza. — Corrispondente della Società Imperiale dei medici Russi di Wilna, e di quella medico-chirurgica di Bologna. — Chirurgo di Stato Maggiore e Comandante Direttore d'Ambulanza nell' ex armata veneta durante il memorabile assedio 1848-49. — Membro della Commissione delle polveri e nitri per la difesa di Venezia. — Ispettore onorario della Veneta Società Montanistica. — Scopritore ed illustratore delle due fonti minerali Felsinea in Valdagno, e Giuliana in Recoaro. — Autore e promotore della perforazione dei Pozzi Artesiani in Venezia. — Autore di dieci memorie idrologiche sopra le fonti minerali di Recoaro pubblicate nelle tre lingue Francese, Italiana e Tede-sca. — Per dieci anni I. R. Medico Ispettore delle fonti di Recoaro. — Autore e promotore dello Stabilimento sanitario militare, eretto dall' I. R. Governo Austriaco,

ed ora usufruttato dalla Regia armata.

COMPROVANTI L'ORIGINE CIMBRICA

DEL POPOLO

DI RECOARO, VALLI E POSINA

raccolti ed ordinati dal

DOTT. GIACOMO BOLOGNA DOTTOR IN MEDICINA, CHIRURGIA ED OSTETRICIA

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AL CAVALIERE

GIUSEPPE AB. CAPPAROZZO

PREFETTO DELLA BARTOLIANA

IN V I C E N Z A

SOLERTE CULTORE DELLE PATRIE STORIE

QUESTO UMILE LAVORO

L ' A U T O R E

D. D. D.

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Il motivo dello stemma comunale di Recoaro Terme è una dimostrazione della cimbricità della popolazione. Tale simbolo si riscontra a Gallio nei Sette Comuni Vicentini.

LO STEMMA COMUNALE DI RECOARO TERME

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PREFAZIONE

L'accidente che mi fece nascere a Schio capo­luogo morale di queste Comuni, l' esercizio conti­nuato della medicina per oltre 30 anni in mezzo a queste popolazioni, la cognizione della lingua tedesca e della sua letteratura e la fortuna infine della mia invernale residenza in Bologna sede di una ricca biblioteca, tutto questo mi mise in grado di conoscere le condizioni etnografiche di questi tre Comuni Recoaro, Valli e Posina e di comprovarne con documenti storici la loro origine cimbrica.

Tali materiali ed altri erano destinati per la stampa di un' opera completa sopra Recoaro, che manca assolutamente, essendo che tutta la letteratura intorno a Recoaro si limita a delle memorie speciali e non mai ad un vero Corpus Juris come lo pos­siedono tutte le fonti eguali a Recoaro all'estero, e veramente fa meraviglia il vedere il coraggio di pubblicare delle memorie sopra Recoaro e le sue Fonti dopo un mese di soggiorno sul luogo.

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Lo stato malfermo di mia salute mi fa temere di non potere pubblicare la mia ideata e completa opera sopra Recoaro, e perciò mi sono risolto di pubblicare questa prima serie di documenti, i quali saranno susseguiti da tutti gli altri trattanti la geologia, mineralogia, patologia, dietetica etc.. che potranno essere usufruttati dai venturi plagiari pirati che si degneranno di saccheggiare i miei scritti.

Sperando che questo non succeda, ringrazio intanto il pubblico per l' indulgenza con cui vorrà onorarmi leggendo questo mio piccolo lavoro.

Recoaro 10 Luglio 1876.

DOTT. GIACOMO BOLOGNA.

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I CIMBRI

I Cimbri, che qualche autore indebitamente chiama Cimmerii, sono il popolo più antico che si sappia abbia abitato la penisola ove trovasi attual­mente l' Holstein, il Jutland e lo Schleswig, e si è da essi che questa penisola assunse il nome di Cher-soneso Cimbrico. Questa penisola deve essere stata anticamente ben più estesa, come sembra per il gran numero di soldati che forniva, e così pure per un gran numero d' isole che se ne sono staccate e che senza dubbio facevano parte del continente.

Ancora è molto verosimile che i Cimbri, che al tempo della Romana Repubblica fecero quella grande invasione, non la abbiano intrapresa per capriccio, ma che vi fossero costretti da una im­provvisa innondazione. Strabone è di questo senti­mento (Lib. vij.) e lo Storico Floro lo conferma; Cimbri Theutoni atque Tigurini ab extremis Galliæ

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profugi quum terras eorum innundasset Oceanus no-vas sedes toto orbe quaerebant (Flor. Epitom.) Nell'e­poca storica moderna noi abbiamo degli esempi del terreno innondato dal mare su questa penisola. Ma Strabone sedotto da false memorie erra quando mette il Chersoneso Cimbrico alla sinistra dell'Elba tra questo fiume e il Reno, unito ai Sicambri.

Sembra ch'egli non avesse cognizione del rap­porto che si fece ad Augusto dopo che la sua flotta aveva rasato le coste del mare del nord. Plinio lo dice: (Cap. 67 Lib. 2) L'Oceano settentrionale fu in parte percorso sotto gli auspicii di Augusto, la sua flotta avendo fatto vela fino al promontorio dei Cimbri. Inoltre egli spiega ciò ch'egli intende per questo promontorio dei Cimbri. « Questo promonto­rio dei Cimbri, egli scrive, (Lib. 4 Cap. 13) prolun­gandosi nel mare assai lontano forma una penisola chiamata Cartis. » Tutti i geografi moderni conven­gono che questo sia il Capo di Skager; e partendo da questo capo fino ad Alberg ne risulterà una penisola ove trovasi il paese di Wensusset, ed è questa penisola e non tutto il Chersoneso Cimbri-co, che Plinio chiama Cartis. Ma frattanto esiste una difficoltà da sciogliersi e si è questa, che la flotta di Augusto non andò che alla imboccatura dell'Elba e non si avanzò fino al nord del Cher­soneso, e così non si può asserire che il promon­torio dei Cimbri, fino al quale esso si portò, fosse il Capo Skager, e perciò occorre di cercarlo assai più vicino all'Elba, e questo vi è ben lontano. Tolomeo è il più antico geografo che abbia parlato

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del Chersoneso Cimbrico. Io citerò quello ch'egli ci lasciò scritto, ma in luogo di fermarmi alle la­titudini e longitudini che egli ci dà, le quali sono del tutto inesatte, essendo egli stato tratto in errore da false relazioni, aggiungerò la spiegazione che di questo ci somministra Cluvier.

Tolomeo descrive il contorno del Chersoneso e lo divide in circuito e di spazio in spazio ch'egli chiama estensione (Ezoche). L'estensione dopo l' Elba si trova nella contrada di Wester Hener. La estensione che segue si allarga fino al Capo Bo-wensberg. L'altra estensione la più settentrionale da questa parte si è il Capo Herrwit, e la sua parte la più orientale è la stessa che il promontorio dei Cimbri secondo Plinio, che al giorno d'oggi si chia­ma Skager. L'altra estensione che segue questa, si è la penisola di Rabbel ove presentemente trovasi Grimmstede. L'ultima estensione trovasi in faccia dell' isola di Aslen ove trovasi il villaggio di Nubel. Volgendosi verso l' Oriente nel punto ove la pe­nisola si unisce al continente, trovasi la Wagria, contrada dell' Holstein in faccia all' isola di Femeren, poi trovasi il fiume Chalusus, denominato oggi la Trave, che sbocca nel mare a Lubeck sotto il nome di Travemunde.

Secondo un'altra versione i Cimbri erano il popolo più settentrionale della Germania. Il loro nome, secondo Plutarco, significa ladri briganti fi­libustieri (Plutarco vita di Mario) e Pompejus Festus asserisce che i ladri erano chiamati Cimbri nella antica lingua gallica (Cimbri gallica lingua latrones

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dicuntur). Alcuni e molti autori tedeschi indignati da una tale ingiuriosa espressione ed interpreta­zione si sono scatenati contro Festo e Plutarco. Spenner nelle sue Notæ Germanicarum antiquita-tum (Lib. V. Cap. I.) crede che a torto fu data questa interpretazione, imperciocchè, egli dice, noi diciamo kämpfen guerregiare e Kämpfer un corag­gioso soldato. Il vocabolo latro che nella lingua latina significa ladrone, anticamente aveva altro si­gnificato, dinotando un soldato e particolarmente una guardia del corpo. Plauto nel miles gloriosus et primum, si esprime col vocabolo latrones per significare dei soldati e latrocinari far la guerra o servire nella stessa. I Romani, avendo conosciuto che il nome di Cimbri significava guerrieri, lo spie­garono con l'equivalente latino con la denomina­zione di latrones, però che in allora aveva un altro significato più favorevole. I danni e saccheggi ope­rati in seguito da questi popoli fecero sì che in latino furono sempre chiamati col medesimo nome. I geografi greci confusero i Cimbri coi Cimmerii (Strab. lib. 7. e Stefano il geografo).

Infine, dopo tutte le citazioni fatte, devonsi considerare i Cimbri come una stirpe della grande nazione Germanica come li descrive Plinio. Germa-norum genera quinque. Windelici quorum pars Bur-gundiones, Warini, Carini, Guttones, alterum genus Ingewiones quorum pars Cimbri Teutoni ac Cau-cherum gens (Histor. natur. Lib. IV. Cap. 14). E secondo Leosche (Litteratura Celtica Thes. XV.) I Cimbri, i Cherusii e Swevi sono gli antenati degli

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attuali tedeschi i quali sorpassata la Selva Ercinia assoggettarono tutta la Germania. Dopo la totale dis­fatta che toccò ai Cimbri per opera di Mario sotto Verona, il resto di essi, sembra, si dessero alla pi­rateria, applicandosi alla marina, ed egualmente dei Sassoni si resero celebri, e si confusero cogli stessi, cosicchè il loro nome scomparve insensi­bilmente. Li chiamavano però ancora Cimbri all'epoca di Onorio, e Claudiano li menziona in quei versi :

Heu Teutonico quondam patefacta furori Colla catenata vidit squallentia Cimbri. Te Cimbrica Thetys Divisum bifido consumit Renum meatu.

Il nome di Cimbri essendosi poco a poco spento, assunsero quello di Juti dal Jutland. Sol­tanto nel Medio Evo si trova menzionata di nuovo la denominazione di Cimbri, e questo dal Gherar-dacci nella sua Storia di Bologna, e così si esprime: « Fu anche liberalmente trattato l'esercito del Car­dinal Albornotio che era di diverse nazioni, come di Tedeschi, Francesi et Cimbri senza riceverne prezzo alcuno e questo per parte di Matteo Visconti Arcivescovo di Milano. »

Nel 1200 Giovanni de Surdis detto Caccia-fronte Vescovo di Vicenza per dissidii feudali fu ucciso proditoriamente da un prete di Monte di di Malo, e nella sua sepoltura sopra la porta late­rale del Duomo si legge:

ECCLESLE DUM JURE SUO TUTATUR INIQUO

VASSALLI GLADIO CIMBRI SECURE NECATUR.

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I geografi greci (Strabone Lib. vij. e Stefano il geografo) confusero i Cimbri coi Cimmerii, ed erano persuasi che i Cimmerii dopo la palude Meo-tide conosciuti da Omero erano una colonia dei Cimbri. Strabone asserisce esplicitamente nel suo Lib. vij. che i Cimbri erano dei briganti che me­diante la forza delle loro armi arrivarono fino alla palude Meotide, e così diedero il loro nome di Cimmerio a questo Bosforo, equivalente al Bosforo Cimbrico, poichè i Greci chiamano anche Cimmerii i Cimbri. Nel suo XI libro egli dice che fino dal tempo di Omero il Bosforo Cimmerio aveva questo nome, e che fino d'allora la potenza dei Cimmerii era assai grande. Plutarco dice ancora più positi­vamente che i Cimmerii non erano che un piccolo distaccamento dei Cimbri settentrionali, ed ecco come si esprime dopo di aver premesso alcuni suoi giudizii: « Alcuni pretendono che queste nazioni fa­cevano parte dei Cimmerii conosciuti dagli antichi Greci, e che questa piccola parte avendo preso la fuga, essendo stata scacciata dai Sciti, essa passò dalla palude Meotide in Asia sotto di un capo chia­mato Lygdami. Ma gli altri, che erano in maggior numero ed i più guerrieri abitavano in sull'estre­mità della terra vicina all'Oceano settentrionale in un paese sempre coperto di spesse tenebre, e così coperto da impenetrabili foreste, che il sole non poteva mai penetrare coi suoi raggi a causa della altezza e spessore loro, che d'altronde sono si vaste e tanto profonde che s'estendono fino alla foresta Ercinia. Eglino vivevano sotto questa parte del cielo

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ove l'elevazione del polo è si alta a causa della de­clinazione dei circoli paralelli, che è quasi il punto verticale di questi popoli, e che le notti eguali al giorno dividono il tempo in due parti eguali, » e così prosegue: « Plutarco si fu quello cho somministrò ad Omero l'idea della favola del suo inferno, ch'egli colloca nel paese dei Cimmerii ». Ecco adunque il punto d'onde partirono questi barbari per discen­dere in Italia. Dapprima furono essi chiamati Cim­merii e poscia Cimbri, senza che i loro costumi influissero sopra questa loro denominazione. In tutto questo havvi poca esattezza da parte di Plu­tarco, imperciocchè tutto il paese dei Cimbri esten­dendosi appena dal 57 al 35 di latitudine, egli è ben lontano di possedere l'elevazione del polo o il polo stesso per punto verticale. Così pure è una chi­mera l'eguaglianza dei giorni e delle notti, la quale come in tutto il resto dell' Europa non avviene che all'epoca degli equinozii. In secondo luogo Omero non si è mai sognato di collocare il suo inferno nel Chersoneso Cimbrico, e nemmeno fra i Cimmerii; ma bensì in Italia nella Campania vicino al lago d'Averno, e nelle vicinanze di Baja e Cuma. Le tenebre Cimmeriche, che non convengono che a questo ultimo luogo, furono trasportate nella Scizia e nella Cimbria, così fu data occasione allo Sve­dese Professor Rudbeck di trasportare i Cimerii dell'antichità nel fondo della Scandinavia e nella Lapponia, perchè questo buon uomo aveva la de­bolezza di voler attirare per amore o per forza nella sua patria tutto quello che leggeva di straordina-

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rio. Secondo lui la Svezia era una specie di de­posito dal quale egli poteva trar fuori tutto quello che poteva raccogliere dagli scritti antichi. Ma ri­torniamo a Plutarco, il quale s'inganna di nuovo quando crede che il popolo di cui si tratta fosse dapprima chiamato dei Cimmerii, e poscia dei Cim­bri. Egli doveva dire tutto al contrario. Il loro vero nome era quello di Cimbri, e non fu che per la ne­gligenza dei Greci che questo nome trovasi confuso con quello dei Cimmerii, popolo del tutto differente, anche quando fosse certo che provenissero l'uno dal­l'altro. I Francesi ed Alemanni sono popoli assai di­versi, sebbene sieno assai vicini, e che i Franchi sie-no venuti di là del Reno cioè dalla Germania. Sembra che la spedizione dei Cimbri contro i Romani non sia la loro prima impresa, e Plutarco dice, che molto tempo avanti avevano percorsa l'Europa; pertanto essa è la prima di cui ci siano pervenuti i dettagli. Quintiliano parlando d'essi dice: « Questa nazione che aveva di già percorso tutta la terra e che si era resa formidabile per le sue vittorie, fu arrestata per il valore di Mario. » Gli storici romani hanno forse esagerata la rotta di questo popolo. La sua disfatta non fu totale, così che non se ne potesse salvare un corpo assai considerabile, impotente a tentare una rivincita, ma bensì abbastanza nume­roso per compiere una regolare ritirata.

I resti delle due armate cioè quelli della Gallia si fermarono nella stessa. E Giulio Cesare dice nei suoi commentarii che gli Acquduatichi erano figli dei Cimbri e dei Teutoni. Sul Reno si trovano le

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Harudes sinonimo di Charudi, popolo che Plinio mette nel Chersoneso Cimbrico, e così pure di al­cuni altri popoli che stanchi dell'insuccesso di una lunga e penosa spedizione ed avendo dimenticato la loro patria, verso la quale erano attratti, si fer­marono nei luoghi ove si trovavano, come i resti della battaglia Cimbrica nei campi Raudi, come ve-drassi in seguito nel corso della presente opera. La loro patria era ancora convenientemente popolata, e formavano ancora una non spregievole nazione, allorquando dopo guerreggiato i Romani inviarono ad Augusto ambasciadori per chiedergli l'obblìo del passato, garantendo un migliore avvenire e presen­targli in dono, come un pegno di pace, un Vaso Sa­cro in forma di caldaja. Tacito parlando dei Che-ruschi e dei Fosi aggiunge: « I Cimbri occupano lo stesso Golfo della Germania, e sono i più vicini all'O­ceano. Questa nazione non è molto estesa presente­mente, ma la sua gloria e fama suonano ancora gran­di, e la fama delle sue imprese si spande ancora lontana e sopra l'una e l'altra sponda si vedono dei campi e dei larghissimi spazii il cui circuito lascia ancora a giudicare della forza e della potenza di questo popolo e giustifica ciò che si narra delle sue grandi spedizioni. »

Cluvier cerca nella Gallia questi spazii, ed in questo è seguito da Ablancourt che li mette sul Reno. Althammer, Kirchmayer ed altri credono per qualche grande opera eseguita dai Cimbri nel loro paese stesso. Per esempio esiste tra il Golfo di Slye ed il fiume Treie una grande diga della

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quale ancora restano i maestosi avanzi, e Pontanus che scrisse l'Istoria della Danimarca, crede che Tacito accennasse a questa opera. Egli è vero che il nome che porta di Danenwerk ovvero l'opera dei Danesi, e la testimonianza degli Annali che fis­sano l'epoca della sua costruzione al secolo di Carlo Magno, non si accordano sopra di questa an­tichità; ma si cerca di eludere questa obbiezione dicendo che quest'opera non fu allora eretta ma bensì restaurata.

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DOCUMENTI.

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DOCUMENTO I.

ETIMOLOGIA DI RECOARO

Avvenne di Recoaro quello che suole accadere comunemente quando una famiglia di basso stato viene improvvisamente fa­vorita da improvvisa e straordinaria fortuna. In allora tutti i genealogisti adulatori si sforzano di rinvangare antichi documenti comprovanti la nobiltà di questi pervenuti. Così fu di Recoaro, di cui nessuno si occupava, fino a tanto che non fosse scoperta ed usata la sua fonte minerale. In allora si pensò a nobilitare il suo nome, e prima si disse che Recoaro veniva da Recubare verbo latino che significa riposare, alludendo alla sua posizione che impediva il proseguire. Ma questa etimologia non reggeva alla critica, perchè in nessun documento antico si menziona Re­coaro come derivante da Recubare. In allora si pensò a farlo derivare da Rex Aurum, ma anche questa definizione cadeva da se, mentre non havvi traccia di miniera d' oro. Infine si ri­corse al Rex Aquarum, ma anche questo non si sostiene perchè venne a giorno dopo scoperta la fonte. La vera etimologia di Recoaro si trova nelle due voci Teutoniche Rech Rok e Roche cioè rupe scoglio, e da Ar altezza sommità cacumine. Negli antichi documenti si scrive Requaro, quindi Reck e Ar cioè rupe elevata locus excelsum. Probabilmente dalla sommità del monte Spitz. La desinenza Ar trovasi ripetuta in Recoaro come Av-snikar Sberrar Fungar Falgar.

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II.

I CIMBRI INVADONO LA VENEZIA

Nell' Jutland e nelle isole vicine, ossia nella odierna Dani­marca abitava una Scitica gente, Cimbra chiamata. Vicino avea nell' Holstein e nella bassa Sassonia altra Scitica nazione che era la Teutona, da cui discesero gran parte dei popoli Germanici Teutisci o Tedeschi. Ambedue erano originari dai Cimmerii, e nu­merosi. Sottoposto il loro paese alle sommersioni dell'Oceano, ed ambedue numerose troppo, risolsero di emigrare altrove. Marcia­rono verso il cuore della Germania, ma i Boi, Winnili e Slavi li re­spinsero. Voltarono perciò verso l'Olanda e la Fiandra, e giunsero al Reno. Vinte molte genti, molte unitesi a loro, in numero immenso rifluirono verso il Danubio, lo passarono, e presero seco gli Scordi-sci nell'Austria e nell'Ungheria poco prima fuggiti per timore dei Romani. Inondarono il Norico ossia la Carintia, la Stiria e le vicine contrade, i cui abitanti cercarono soccorso dai Romani, i quali ingelositi della marcia dei Cimbri e Teutoni, radunarono un'ar-mata nella Venezia ed un'altra al di là dell'Adriatico e la fecero andar incontro ai Scordisci, settantasette anni dopo la fondazione di Aquileja.

A. AV. CRISTO 115. L'Oste immensa dei Cimbri bruciando ville e borghi dei Norici arrivò all'Alpi, che questi separavano dal Veneto. Vuolsi che fossero quelle superiori ad Udine, quelle della Carnia nostra, in mezzo alle quali passa il precipitoso Ta-gliamento. Altri però stimano che i Cimbri penetrassero per quelle del Cadorino, per mezzo delle quali scende la Piave. Sia come si vuole, i Barbari internavansi certamente nelle Alpi Tar-visane, Noriche, e Carniche che il Friuli circondano, e il Con­solo L. Carbone si portò colà con un esercito di Romani e Socj, per fare ad essi fronte. Spedì delle spie per sapere il numero, e la posizione del nemico, e seppe come erano dietro a saccheggiare le valli dei Norici. Allora inviò al campo dei Cimbri

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— 15 — alcuni ufficiali per dire ai medesimi che in pace lasciassero i Norici amici dei Romani, che non potean soffrire di vederli mo­lestati da chi che sia. O fosse la fama del nome Romano, o fosse che Carbone volesse tenere a bada i Barbari, questi, come pare, sospesero le ostilità e mostraronsi pronti di venire a trattati. Ma il Consolo intanto fece sfilare i Legionarii per mezzo delle cupe valli e folte selve di quelle montagne, ed improvviso attaccò il cam­po dei Barbari, che però si difesero con tal valore che respinsero i Romani, anzi pare che li mettessero in disordine. Furono sul punto anzi di batterli per intero, se non sopravveniva una improv­visa procella. Il vento turbinoso, il fracasso dei tuoni, la pioggia e la grandine copiosa stordirono e divisero i combattenti e salva­rono i Romani. Tanta era l'oscurità del cielo, che questi erra­rono divisi e dispersi per le balze selvose tre giorni interi avanti di potersi riunire. Così almeno gli Storici: ma essi parlano tanto confusamente, che bene intenderli non si può. Convengono che battuti furono i Romani, ma è da credersi che lo fossero pure i Cimbri o almeno ambedue gli eserciti soffrissero assai in quel­l'incontro, e tutti e due patissero e provassero danno e timore, come spesso accader suole nelle battaglie date entro alle gole delle montagne. Certo è che i Cimbri, Teutoni e Scordisci invece di prevalersi del loro vantaggio e scendere nella Venezia, vol­tarono verso il Tirolo e il Trentino, e per le Alpi di tali pro­vincie marciarono nella Svizzera. Come ciò dunque se piena vit­toria avessero ottenuto di Carbone, la cui trista fede fu però punita con gran perdita di gente ch'egli fece e con la fuga della sua armata? Dicesi che seducesse con l'oro le guide stesse dei Barbari, perchè li conducessero ne' passi cattivi delle montagne. Comunque sia il terrore dei Veneti calmossi alquanto vedendo altrove inviarsi l'oste barbarica.

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III.

SECONDA INVASIONE DEI CIMBRI nel Veneto

Appena terminata la guerra Giugurtina da Cajo Mario ne­mico dichiarato dei nobili e del Senato, Roma e l' Italia tutta caddero nella massima desolazione per l'accaduto sul Rodano e nella Provenza. Erasi colà spedito una grossissima armata per opporsi ai movimenti dei Barbari; ma comandata da cattivi e dis­cordi generali. I Cimbri i Teutoni e i loro alleati la distrussero tutta quanta con maggiore strage ancora di quella di Canne. Dicesi che rimasero morti quasi 80 mille romani ed itali e 40 mille servi e schiavi. Sole dieci persone si salvarono coi due cattivi condottieri. Città non fuvvi in Italia che non avesse parte in tanta ruina, ma l'ostinazione romana non mai doma, sul mo­mento diedesi a levare nuove truppe in Italia per difendersi dai Barbari. Voleva il Senato che le comandasse uno del suo partito, volea il contrario la plebe, e vinsela essa, eletto venendo C. Mario. I Cimbri per la loro leggerezza, o perchè temessero il passo delle Alpi Pennine, Cozie, e Marittime, dopo una tanta vittoria, in luogo d'invadere l'Italia, retrocessero fino ai Pirenei tentando di entrare in Spagna, Ma respinti dai Romani rifluirono nuovamente verso l'Italia e non potendo nessun paese alimentare l'immensa moltitudine loro, si divisero in due corpi. Uno forma-ronlo i Teutoni ed altri, ed uno i Cimbri con altri barbari: quelli volendo entrare in Italia per il Piemonte, e questi per la Venezia. In conseguenza i primi marciarono verso il Rodano, dove erasi portato Mario colle nuove leve italo-romane. I secondi tennero via più lunga attraversando le Gallie, l' Elvezia, la Rezia per arrivare ai varchi appunto delle Alpi Retiche, e Trentine dove l'Adige passa sopra Verona.

A. AV. CRISTO 103. — Ciò saputosi in Italia mentre Mario in Provenza teneva a bada i Teutoni, fece che per tempo il col-

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— 17 — lega suo Quinto Latuzio Catullo buon poeta, e in conseguenza non buon guerriero, accorresse nella Venezia con un esercito. Egli marciò sopra Verona e trincierossi di qua e di là dall'A­dige nella vallata di Roveredo, mentre il verno era ancora in vigore. Non si sà il perchè, ma poco tempo dopo ritirò le legioni più sotto, e due campi formò verso Canale, Rivole, e Costermann, che vuolsi tal nome allora acquistasse da Castro romano. So­pra il profondo letto del fiume costrussero i Romani un ponte per unire i due campi, e presidiarono anche un Castello Alpino, che fu forse Monte Pastello in Val Pollicella. Arrivarono final-mente i Cimbri che ormai la primavera era innoltrata, e l'arrivo loro atterrì la Venezia, afflitta anche da una terribile innondazione del Po che nella parte sua marittima fece perire migliaja d'uomini ed animali verso lo Stagno Argentino, e le campagne di Spina e Adria. La moltitudine dei Cimbri era tale che copriva tutte le valli e le montagne, e tal mostra fecero di coraggiosa ferocia, che ne imposero ai Romani e agli Itali, gente tutta reclutata di nuovo. Per passar l'Adige gonfio allora per le disciolte nevi, molte squadre si buttarono dentro a corpo perduto, e perirono nei gorghi e nei vortici. Credettero coi corpi e cogli scudi fermar la corrente, ma travvolti e sommersi, l'esempio loro fermò la forza degli altri. Svelsero invece gli abeti e pini e interi lan­ciandoli nel fiume, facean che con fracasso andassero ad urtare il ponte dei Romani. Infine molti tenendosi ai tronchi di quelle piante, molti appoggiandosi sui loro larghi scudi ma leggieri perchè fatti di vimini, passarono l'Adige. I due campi romani in allora furono presi in mezzo, e su pei monti e scogli ancora più fiera mostra fecero i Cimbri. Vedeansi molti di costoro coricarsi sul proprio scudo, e così sdrucciolare con esso dalla vetta dei monti fino al basso sopra la neve e il gelo. Molti balzavano di di rupe in rupe come caprioli, e urlando tutti in una volta facean eccheggiare e tuonare le valli per molte miglia d'intorno. Erano i Cimbri allora quali ora sono i montanari della Norvegia dissopra a Drontheim. Uomini quasi giganti, di biondissimo crine, occhi cerulei, roseo colore, forma erculea, carnagione bianchissima, coraggiosi, arditi, allegri, insensibili al freddo, ed ai geli, che affrontavano a petto e a capo ignudi, molli di sudore, non temendo

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— 18 — di ravvoltolarsi nella neve. (1) Tali sono i montanari norvegi, unici avanzi, e discendenti dai prischi Cimbri e Teutoni. (2) Pa-revano pigmei gl'Itali al lor paragone, per cui ad onta degli sforzi di Catullo con somma confusione vollero abbandonare il gran campo. Nella ritirata chiusa tra i nemici ritrovossi una in­tera legione, il cui Tribuno voleva già rendersi, ma un Centurione irritato uccise quel vile, e con la forza aprissi il passo in mezzo ai barbari, salvando la legione. Poco dopo abbandonarono i Ro-mani anche il piccolo campo, e la montagna tutta e 1' alveo dell'Adige. Resistè lungamente il solo presidio del Castello Alpino, e non si arrese che a patti onorevoli giurati dai barbari sopra un Toro di metallo che, qual Divinità tutelare, menavano seco nel viaggio.

Tutta l'immensa piena barbarica liberamente così entrò nella pianura Veronese, Mantovana e Vicentina. Pare che i Cimbri l'occupassero fino al Po, e pare altresì che Catullo si ritirasse colle legioni al di là del Mincio e del Chiese sul Bresciano. Egli in aperta pianura non potea far fronte ai barbari con le truppe che avea, e perciò forse, presidiata Verona, e Mantova, ritirossi di là dei detti fiumi. Certamente non si legge che nessuna città fosse presa dai Cimbri, che ignorantissimi erano nell' arte de­gli assedii. Peccato che perduti i libri di Livio, malamente co­noscere ora possiamo le direzioni dei barbari, e quelle dei ro­mani. Sappiamo solo, che era tanto il timore, che alcuni uffiziali fuggirono fino a Roma, dove ricevettero però il condegno castigo ; e che se i Cimbri fossero a dirittura marciati verso di essa, sarebbesi trovata in grave pericolo. Ma incantati dalla bellezza e fecondità delle nostre campagne perdettero il tempo a botti­narle. Certamente che un paese nè più ricco nè più ameno non avean ancora veduto, ed infatti Floro scrive che nella Venezia, dove più che altrove deliziosa e morbida mostrasi l' Italia, i Cimbri col vino, e coll' uso delle carni cotte affievolirono i loro corpi e rallentarono il loro vigore. Direi perciò che forse venissero a patti cogli abitanti, di certo essendovisi trattenuti lungamente. E ciò diede tempo forse ai romani di raccogliere più truppe, e

(1) Flor. Epit. lib. 3 c. 3 Vegezia Dere militari. (2) l'antopid dereb. Norvegis.

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— 19 — portarsi sù i Medoaci e sul Po, e insieme a quelle di Catullo di là del Mincio trattenere qui fermi i barbari. Da Floro pare che in prima bruciassero i Cimbri e case e ville, poi quieti se ne stes­sero nelle occupate campagne, assistiti anche dai popoli alpini. Sappiamo di più, che Cornelio Silla, allora molto giovane, militava nelle truppe di Catullo e che distinguevasi per valore per pru-denza ed attività. Seppe egli solo provvedere di viveri l'armata tratta dai Cenomani ed Insubri, e frenare i movimenti di alcune alpine nazioni, che in quei tumulti macchinavano delle novità. Forse fu tutto anche suo il merito di tener come fermi e bloccati i nemici per quasi un anno nelle pianure veronesi e mantovane patteggiando eglino, come diceva, probabilmente cogli abitanti, altrimenti non avrebbero potuto sussistere, poichè erano una mol­titudine immensa.

Intanto Mario nella Provenza quando vide i Teutoni in marcia verso l' Italia gli assaltò e li distrusse interamente. Fu tanta l' uccisione di quei miseri, che i Marsigliesi coll'ossa loro formarono chiusure ai loro oliveti e vigneti. Subito dopo corse in Italia, già essendo la primavera, e unì l'esercito suo nel Cre­monese e nel Bresciano a quello di Catullo, e probabilmente per la Postumia avvicinossi alla pianura veronese, ed ai Cimbri, accam­pandosi e fermandosi per molti mesi fra il Mincio e l'Olio. Credesi ch'ei volesse stringere vieppiù ed affamare i Cimbri, quasi con essi tenendo la stessa regola che aveva tenuto coi Teutoni nella Provenza. In questa, perchè poche truppe aveva novizze ancora nella guerra, accampossi tra i rami e le paludi del Rodano. Lasciò che i barbari lo motteggiassero e insultassero, così avvezzando i suoi soldati a vederli senza sorpresa ed a sdegnarsi dei loro insulti e bravate. Perchè pure i soldati suoi alla fatica si av­vezzassero, secondo 1' uso Romano, impiegolli a scavare un canale dal Rodano al mare, intanto pizzicando il nemico con piccoli combattimenti e togliendo ad esso i foraggi e viveri. Ora anche qui vedendo Catullo di non aver più di 22500 uomini di truppe, e lui pure averne circa 32000, sicchè fra Itali e Romani non erano in tutto che 57000 uomini, mentre i barbari passavano i 200 mille, volle affamarli e stancarli, e avvezzava poco alla volta i soldati suoi a non temerli.

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— 20 — Infatti sappiamo che 1' estate era giunta, nè i Cimbri avean

potuto muoversi dal veronese, per cui risolsero d' inviare a chie­dere la pace ai Romani, nuove dei loro fratelli Teutoni, e terreno da stabilirsi in Italia insieme con quelli. Se per un anno intero mai dei Teutoni ebbero novella, segno è questo altresì che dal mantovano e veronese non potevano muoversi. Ai loro Legati Mario rispose altero, che terra per sempre avevano avuto i Teu­toni nella Provenza essendo ivi la campagna coperta delle loro ossa spolpate, e che ben presto un pari possesso avrebbero avuto anche i Cimbri delle terre Italiche. Fece poscia comparire dinanzi ai Legati i Re dei Teutoni carichi di catene, perchè dubitare non potessero di quanto loro diceva, indi licenziolli. I Cimbri infuriati mandarono uno dei loro Re chiamato Beorix in persona al Campo Romano per sfidar Mario a battaglia campale. Accettò egli la disfida, anzi per quanto dicesi il giorno ed il luogo fissò, il primo pare ai 31 Luglio, il secondo nella vasta ciottolosa campagna di Verona detta allora Al-Gauri, o i campi Cauri, ora la Cà dei Carri. Anche ciò prova che i Barbari erano chiusi, e non potevano muoversi, altrimenti non sarebbero venuti ad una tale risoluzione, nè dovuto per dir così dipendere da Mario per dar battaglia. Nel giorno pertanto suddetto schieraronsi gli Itali e Romani in quella patente pianura, forse tra Goito, Mantova, e Verona, scelta aposta da Mario per farvi giuocare la cavalleria di cui abbon­dava, mentre ne diffettavano i Barbari, ponendo le Legioni di Silla e Catullo nel centro, e le sue più numerose sulle ali, che fece sporgere anche assai all'infuori, perchè voleva con queste sole attaccare e battere l'inimico. I Cimbri coprivano da se soli mezzo il paese, tanti erano ; e basti il dire che la loro infanteria schierossi in un quadrato della profondità di 5 miglia..

IV.

BATTAGLIA CIMBRICA

Posti in ordine di battaglia Cimbri e Romani, mentre avan­zavano gli uni contro gli altri, la cavalleria dei Barbari che a

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— 21 — parte stavasi, si mosse, girò, e fece mostra di voler urtare i Romani di fianco. Mario subito mosse la sua cavalleria, e con essa urtò di fronte quella dei Barbari. Dopo breve tempo la ruppe e cacciolla in fuga. Fu allora che lasciandosi egli traspor­tare dalla voglia di inseguirla trascorse troppo avanti, e quasi per un momento scordossi la sua infanteria. La pugna dei ca­valli sollevò un polverio così fitto, che non si discernea tre passi lungi da se, sicchè e Mario retrocedendo stentò a conoscere e ritrovare i suoi, e le ali sue si allargarono troppo, e in conse­guenza tutto il gran corpo dei Cimbri piombò sul centro del­l'armata romana sulle truppe di Catullo. L'impareggiabile disci­plina romana fece però che queste non si mossero, ma ferme con ben intesa ordinanza lunge tennero i Barbari, opprimendoli con serrate scariche d'armi missili. Quando li viddero stanchi dal terribile calore del giorno ed abbrucciati da un sole tanto ar­dente in quella terra aperta e sassosa, allora piombarono loro addosso, e dopo breve resistenza li smossero, li atterrirono, e ne fecero orribil carneficina a colpi di scure e di spada. Intanto Mario che correva per mezzo dell'oscurità della polvere volata in su pel calpestio di tante migliaja di cavalli ed uomini, riuscì finalmente a tornare nel luogo del conflitto, ma giunse mentre in piena fuga que' di Catullo avean posto i Barbari. Costoro scapparono al loro campo, dove le donne furiose cominciarono a ferire e battere i loro mariti, perchè alla pugna ritornassero. Vedendo ciò inutile, tratte dalla disperazione si trincierarono alla meglio dietro i carri ed alle tende e case di legno (Wagemburg) all'uso scitico piantate su quelli, ivi i propri figli strozzando e trucidando, schiacciando in terra, poi se stesse uccidendo, per cui poche schiave caddero in mano dei Romani.

Fu trovata una giovane Cimbra pendente da un laccio con due pargoletti già uccisi che avevasi legati alle gambe. Insomma quelle misere mostrarono quanto amavano l'onore ed abbomina-vano la schiavitù. Simile condotta avean tenuto in Provenza le donne Teutoniche, dopo di avere chiesto indarno a Mario di aver salvo l'onore, e di poter servire le vestali in Roma. Quel­l'uomo rozzo ed inplacabile rise a tale proposta, e ne risero con esso i Romani, quasi dimentichi della prima generosità e virtù. Dei

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— 22 — Cimbri poi un grandissimo numero si uccise con le proprie spade, altri si appicarono, e perfino alcuni legaronsi alla coda degli spa­ventati e disciolti cavalli. Bojorix e Lutowich due dei loro Re si tra­fissero insieme, Clodich e Lecovich con altri capi rimasero schiavi con 60 mille de' loro. Quantità di grossi Alani difendevano il cam­po Cimbrico contro i Romani, perchè i fatti successi nella rotta dei Teutoni, furono confusi poi con quelli dei Cimbri. Così ebbe fine la famosa spedizione Cimbrica, e la battaglia dei campi Cauri, dove dicono esser rimasti trucidati 120 mille Barbari, perchè non vollero gl' Itali loro dar quartiere. Non ci voleva poi meno di quella vastissima campagna per contenere tanta moltitudine, il numero de' Barbari essendo immenso, comprendendovi le donne, i figli, e gli schiavi e servi. Oltre i Cimbri eranvi molte altre nazioni Galliche ed Elvetiche, infatti dopo la battaglia grossi corpi di Tigurini, nazione che al Reno abitava, fuggirono e si sal­varono entro le Alpi Noriche. (1) Mario e le genti sue pretende­vano di aver fatto tutto in quella giornata, ma Catullo e Silla e i Legionarj loro pretendevano con giustizia di aver quasi soli guadagnata la vittoria. Que' di Catullo non avevano perduto che pochissimi soldati, e al nemico avevano tolto 32 stendardi, ed il famoso Toro di metallo; que' di Mario non ne avevano preso che due, e di più visitati i cadaveri dei Cimbri uccisi, si viddero quasi tutti trafitti co' pilj sui quali stava inciso il nome di Catullo, mentre pochi mostravano quello di Mario. Conoscendo il carattere di costui, Catullo prima dell'azione aveva potuto usare di tal arte. Ma pure l'Italia fanatica per Mario, a lui solo attribuì quell'il­lustre vittoria, e nei campi veronesi a costui perciò furono alzati i militari trofei. Erano questi lunghe antenne, sulle quali simme­tricamente disponevansi usberghi, scudi, elmi, spade ed altre armi tolte al nemico. Spesso collocavansi su colonne di marmo, ed una infatti o più allora ne furono erette per tal oggetto. È vero che in Giulio Ossequente leggesi che ciò fu nei campi Mutinensi, ma come altrove dicevamo, nulla ebbero a che fare le terre di Modena coi Cimbri, e deve esservi errore dei copisti nel testo di Giulio. Il popolo Romano poi acclamò Mario il terzo salva­tore di Roma, decretogli un magnifico trionfo, e trofei nel Cam-

(1) Floro Epit. Vellei Patercul.

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— 23 — pidoglio. Infatti sommo era stato il pericolo corso, perchè tredici anni durarono circa le gite dei Cimbri, e chi sa quali eventi in una parte della Venezia causarono essi, che sapersi non possono per la perdita del libro di Tito Livio, che trattava della guerra Cimbrica.

INVASIONE E BATTAGLIA CIMBRICA nei Campi Raudi vicino a Verona

(Testo di Floro nella sua Epitome)

Marius sublatis funditus Theutonis, in Cimbros convertitur Hi jam (quis crederet) per hyemen quæ altius Alpes levat Triden-tinis jugis in Italiam provoluti ruina descenderant Athesin flu-men non ponte, nec navibus sed quadam stoliditate barbarica pri-mum corpori aggresi postquam retinere amnem manibus et cly-peis frustra tentaverunt ingesta obrutum sylva transiluere, et si statim infesto agmine urbem petissent, grande discrimen esse, sed in Venetia quæ fere tractu Italiæ mollissima est, ipsa soli cœlique clementia robur elanguit. Ad hoc panis usu carnisquæ coctæ et dulcedine vini mitigatos Marius in tempore aggressus est. Jam die puguæ a nostro Imperatore petierunt et sic proximum dedit. In patentissimo quem Raudium vocat campo procurrere, millia inde ad sexaginta ceciderunt, hinc trecentis minus; per omnem diem conciditur Barbaros. (1) Istic quoque Imperator addiderat virtuti dolum secutus Hannibalem artemque Cannarum, primum nebulosum noctu ab hosti inopinatus occureret, tum ventosum quoque ut pulvis in oculo et hora ferretur ; tum acie conversa in Orientem ut quod ex captivis mox cognitum est, ex splendore ga-learum ac repercussum quasi ardere cœlum videretur. Nec minor

(4) Plutarcus tamen scribit CXX millia cæsa et IX millia capta fuisse. Dopo la battaglia Cimbrica ai Campi Cauri sotto Verona furono innalzati trofei a Mario.

A. AV. CRISTO 58. Cesare per cattivarsi il partito mariano assai forte nel Veneto fece rialzare i Trofei di Mario innalzati nel Veronese, e fatti atterrare da Silla 28 anni avanti.

A. AV. CRISTO 44. Nella Campagna Veronese forse per violento turbine alla morte di Augusto Cesare, i trofei di Mario si volsero dal Sud al Nord, e nelle Alpi fracassarono al-cune montagne. Iulius Obsequens de Prodigis.

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— 24 — cum uxoribus eorum pugna quam cum ipsis fuit quum objectis undique palustris atque carpentis alte desuper quasi e turribus lanceis contisque pugnarent. Perinde speciosa mors earum fuit quam pugna. Nam quum missa ad Marium legatione libertatem ac sacerdotium impetrassent, nec fas erat, suffocatis elisisque infan-tibus suis aut mutuis concidere vulneribus aut vinculo crinibus suis facto arboribus jugisque plaustrorum pependerunt. Bojoris rex in acie dimicans impigre nec inultus occubuit. Tertia Tigurorum ma-nus quæ quasi subsidio Noricos incederat tumulos in diversa lapsi fuga ignobili et latrociniis evanuit. Hunc lætum tamque felicem li­beratæ Italiæ assertique imperii nuncium non per homines uti solebat populus Romanus accepit, sed per ipsos si credere fas est deos. Quippe eodem die quo gesta est res visi pro æde Castoris et Pollucis juvenes laureati Prætores tradere frequensque in spe-ctaculo rumor victoriæ Cimbricæ dixit.

TRADUZIONE DELLA INVASIONE E BATTAGLIA CIMBRICA (Dall'Epitome di Foro)

Essendo i Teutoni rimasti totalmente disfatti, Mario rivolse le sue forze contro i Cimbri. Questi barbari (chi il crederebbe?) nel cor dell'inverno, che ha per costume d'innalzar maggiomente le cime delle Alpi con le nevi, si trovarono ruzzolati ruinosamente in Italia dalle sommità delle montagne di Trento. Arrivati al fiume Adige non tentarono di passare per via di ponti, o di barche, ma con una stoltezza barbara gettandosi alla prima nel fiume, si sforzavano di ritenere il suo corso con le braccia, e con gli scudi; ma vedendo che in ciò perdevano tempo, si posero a ri­coprire il letto del fiume con alberi, e così passarono all'altra riva. E veramente se costoro fossero andati alla drittura verso Roma con sì potente esercito, si sarebbe corso un gran pericolo. Ma si fermarono nella provincia di Venezia dove l'aria è la più dolce di tutta Italia, onde l'amenità della terra e dell'aria rese

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— 25 — languido il loro vigore, Mario seppe molto bene valersi dell'op­portunità del tempo per assalirli, non avendolo voluto far se non dopo aver questi, con l'uso del pane e della carne cotta e con con la dolcezza del vino, deposta la loro fierezza. (1) Avevano do­mandato questi al nostro Generale il giorno della battaglia, e così fu assegnato loro il giorno prossimo seguente. La giornata si com­mise in una larghissima campagna detta di Raudio. Cadettero dei nemici al numero di sessantamila, e de' nostri meno di un terzo. Ne si fece altro per tutto quel giorno che uccider Bar­bari. Il nostro Generale si valse non meno dell'arte, che del va­lore, ad imitazione di Annibale nel fatto di Canne. Prima s'in­contrò in un giorno nebbioso per assalire il nemico impensata­mente, poi ventoso, perchè portasse la polvere in faccia al me­desimo. Finalmente furono indirizzate le schiere verso l'oriente, a fin che dallo splendore e riflesso delle celate, pareva che il Cielo ardesse, come poi fu saputo dai prigionieri medesimi. Nè la guerra fu minor con le loro mogli, perchè essendo queste salite sopra i carri, e le carrette, che d'intorno avevano sbar­rate, combattevano da esse come da torri con lancie e picche. Ma alla fine la morte loro fu più bella della battaglia, poichè avendo domandato a Mario col mezzo de' loro ambasciatori di poter ri-maner libere, e farsi sacerdotesse, ed essendo stato loro negato come cosa illecita, si diedero a far morir tutti i fanciulli loro, parte soffocandone, e parte schiacciandone con le pietre, ed esse poi s'uccisero scambievolmente fra di loro col ferro, e facendo corde dei loro capelli s'appiccarono parte negli arbori, e parte nelle cime dei loro carri. Bojori re loro combattendo morì in battaglia da uomo valoroso, e non senza essersi ben vendicato. La terza battaglia fu dei Tigurini ed Ambroni, i quali, per ve­nire in soccorso e rinforzo degli altri, se ne stavano sui monti Alpini dalla parte dei Norici. Non più presto ebbero sentore di questa rotta, che si diedero in una fuga vergognosa, commettendo molti latrocinii per li luoghi ove passavano. Questa nuova di tanta letizia, e così felice per la libertà d'Italia e dell' Imperio non

(1) La medicina moderna prescrive la dieta fellina cioè l'uso delle carni crude. Ho rimarcato un caso in cui questa dieta cambiava l'indole dell'uomo. Un fanciullo di 10 anni che per un anno fece uso della carne cruda diventò aggressivo graffiando e mordendo i famigliari. Guarì ritornando all'uso delle carni cotte.

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— 26 — ricevette il popolo Romano dagli uomini, com' è solito, ma dalli Dei stessi (s' è lecito di così credere) poichè nel medesimo giorno in cui successe la battaglia, furono veduti alle porte del Tempio di Castore e Polluce due giovani coronati di lauro, che pre­sentarono lettere al Pretore, e nel tempo stesso si udì una voce per tutto il Teatro, che diceva che noi avevamo vinto fe­licemente i Cimbri. Può dunque succedere cosa più segnalata e più meravigliosa di questa? Come se i Romani, sollevati sopra i suoi monti, si fossero trovati presenti allo spettacolo della guerra conforme si usa nei giuochi gladiatorii, nel medesimo tempo che i Cimbri erano perditori nella battaglia, il popolo Romano faceva allegrezza in Roma per la vittoria.

Sembra che questa chiaroveggenza non fosse infrequente fra i Romani come lo proverebbe il seguente fatto che si aggiunse a conferma di quanto asserisce Floro.

Mentre ciò succedea a Farsaglia, nella Venezia succedea pure un fatto assai singolare, ma come verissimo raccontato da Lucano, Plinio, Plutarco, Giulio Obsequente, Aulo Gellio, Sillio Italico, e da alcuni padri della Chiesa ed altri.

Vivea allora in Padova certo Cornelio Veneto famoso in tutta quanta l'Italia per santità e rigorosa virtù. Egli era già del Col­legio degli Auguri ed occupava in Padova le cariche più ono­revoli. Era di una famiglia distinta, e mentre di là del Golfo stavasi combattendo, un giorno egli come augure portossi al san­tuario di Gerione Apono per esercitarvi le sacre funzioni. Salito sulla cima di monte Grotto o di monte Ortone stava spiando se uccelli apparivano e il loro volare, in mezzo a folto popolo. Al­l' improvviso egli stette immobile e in atto di uom rapito in alta visione, tacque un pezzo e poi rotto il silenzio e come agitasselo un furor sacro descrisse una battaglia anzi la battaglia farsalica che vedea chiara avanti di sè. Descriveva la carica data e rice­vuta, le evoluzioni, le mosse, il polverio, il rugghio della pugna, lo squillar delle trombe, le grida di chi muore od è ferito, ve­deva e udiva insomma quel conflitto, e descrivealo a quegli astanti che nulla vedevano e udivano. Stanco e rifinito gridò per ultimo: Cesare hai vinto, ed a te diedero i numi vittoria illustre. Indi si tolse la corona che come Augure in capo portava, giu-

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— 27 — rando che ripresa non l'avrebbe, se prima l'esito confermata non avesse la sua predizione. In fatti poco appresso ebbesi nella Ve­nezia la nuova della vittoria di Cesare, ottenuta nel giorno e nell'ora stessa che Cornelio predicevala in Abano.

V.

I RESTI DELLA DISFATTA OSTE CIMBRICA si annidano fuggendo nei monti Veronesi

e Vicentini

Se si getta uno sguardo sulla carta geografica del Veronese indubitatamente ne risulta che gli avanzi dell'armata Cimbra non aveva altro scampo che quello di guadagnare i Colli d'Ilasi e poi ascendendo rifuggiarsi in quella parte che ora chiamasi dei Tredici Comuni, e come abbiamo rimarcato, gli avanzi di quella armata costituivano ancora un corpo da potersi salvare mediante una ordinata ritirata, e Floro stesso ce lo conferma con quel passo nella sua Epitome: Tertia Tigurorum manus quæ quasi subsidio Noricos incederat tumulos in diversa lapsi fuga igno­bili et latrociniis evanuit: E perciò la storia ci avverte che non ostante la vittoria di Mario, il Senato appena riavutosi dalla paura dei Cimbri e Teutoni, bandì un Decreto che tantosto fossero spediti alle gole delle Alpi presidii romani, per tener d'occhio e ripulsare qualunque incursione dei nuovi barbari. È comune opinione che quei pochi Cimbri che vivi scamparono da tanta strage si riducessero in questi nostri monti che ora sono li Sette Comuni, ed ivi nascondendosi e salvandosi in quei valloni e in quelle altissime selve vi si fermassero, fatto disegno di non più ritornare a casa, e talmente vi si annidarono, che ancora oggidì vi sono i loro posteri, i quali col linguaggio che non è nè italiano nè tedesco, danno certo indizio della loro origine. (Castellini Storia di Vicenza 1783). Cosicchè il Vicentino fu guardato dai Caspi, Proculi, Barbi, Vetturii, Clodii, Saloni, Ari, Volumni, Fabii,

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— 28 — Aureliani e Marcellini ; il Veronese dai Macri, Valeri, Secondi ed Ortuli, Bassano, Belluno e Cividale, Dai Sartoriani, Flavi i Ortilii, Furoni, Upsidii e Massimi.

VI.

STATO FISICO DELL' ALTO VICENTINO

all'epoca dell'Invasione Cimbrica

Intanto essendosi la Repubblica romana impadronita di tutta l'Italia, a niuna cosa attese maggiormente, che a munire i passi per li quali le genti barbare potessero entrare nell'Ita­lia. Tra queste genti che con ruberie continue travagliavano il nostro territorio e tutti gli altri luoghi che erano vicini ai monti sono da Strabone citati i Leponti, i Trentini e gli Stoni con altre piccole nazioni abitanti nei monti Taurisci, Reti e Norici, che col nostro territorio confinano a settentrione. Costoro a-dunque divenuti molto fieri e crudeli per la strettezza del vi­vere, che li spingeva a questo, oppure dell'asprezza dei luoghi inselvatichiti non cessavano di fare con le loro incursioni danni infiniti nel Vicentino, Veronese, Trevisano e Bellunese, calando per quelle difficilissime strade che l'istesso Strabone ci descrive così dicendo : « Ivi in alcune parti sono le strade tanto strette ed anguste che ai viandanti ed ai giumenti non pratici dei luoghi sogliono causare delle vertigini. Sono queste strade molto lubriche ai passaggieri in modo, che niun si fida per quelle, se non nella estate quando pel calor del sole sono liquefatte le nevi. In capo a queste strade si avevano fabbricati fortissimi castelli, dai quali partendosi molestavano i paesani e passeggieri, che andavano ai confini romani, depredando i beni ed abbrucciando le case con ogni sorta di crudeltà. I boschi in quei luoghi erano talmente estesi e cresciuti che occupavano tutte le strade, nè più si ve-deano i villaggi, essendo il tutto divenuto stanza di ladroni e di fiere, il che durò fino a Giulio Cesare che fece aprire le strade e tagliare i boschi. » (Castellini, Storia di Vicenza).

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— 29 —

VII.

ESTRATTO DALLA GAZZETTA DI VENEZIA Novembre 1858

I L C A M P E T T O

S i g . R e d a t t o r e .

Dovendo per officio assistere ogni anno al periodico ciclo della nascita gioventù e tramonto di queste Peonie acque, non voglio lasciar scorrere l' attual periodo senza darle qualche cenno di quelle novità che occorsero. E prima d'ogni cosa l' avverto che non si aspetti dissertazioni mediche sulla virtù medicatrice di

queste ninfe, che avendo cominciato con la Regina Lelia ora ar­rivarono al numero di sei ministre gratuite di sanità di quanti ne sorseggiano le salutari onde, e di questo mi dispensa la lunga successione di scritti che cominciando da Graziano professore di Padova finiscono fino ad ora con quelli dell' umile e divoto scri­vente.

Adunque le dirò che per leggenda popolare si sapeva che sulle vette della sovraposta montagna del Campetto doveva esi­stere sepolto e nascosto un idolo d'oro custodito da sotterranei spiriti pronti a distrugggre chiunque avesse osato di rintracciarlo, e questa credenza era tanto più radicata dal fatto, che il fu Parroco Pozza di Fongara intrapreso qualche scavo su quel luogo aveva ritrovato molte monete romane che andarono poi miseramente disperse. Allettati da questi indizii e vivendo nel secolo della locomotiva e del telegrafo che dimesticò un poco la nostra razza col diavolo, feci il proposito di visitare quel luogo. Dirò esser stata l'anima di tutti il Chiarissimo Conte S. Vitale di Parma, che alla nobiltà del Casato aggiungendo quella della altezza delle parentele, e le più egregie doti della mente e del

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— 30 — cuore vi associò i suoi due virtuosissimi figli, uno dei quali assai doto nella antiquaria e numismatica. Arrivati dopo tre ore di viaggio sul luogo che dicevasi guardato dai temuti custodi, si osservarono tre aperture, due delle quali abbastanza comode per dar addito a discendere in una specie di volto, costrutto da uomini rozzi, osservando però che la imboccatura era costruita di pietre grossolanamente dalla mano dell'uomo lavorate. Non si potè però progredire nelle volte sotterranee a cagione che alcune grosse pie­tre cadute vietavano l'inoltrarsi, perciò si limitammo a scavare il terreno intorno alla apertura situata a levante, ed il frutto di queste ricerche si fu di trovare alcune monete romane abbastanza con­servate, fra le quali una di Aureliano con la leggenda AURELIAN.

CÆSAR IMP. e nell'esergo PIA SENUS; le altre appartengono a M. Aurelio Giuliano Tiranno a Costante I. a Costanzo e Costan­tino Magno, si rinvennero pure alcuni frammenti di urne ed un frammento di vetro celeste che dalla sua forma apparteneva cer­tamente ad un vaso. I mandriani, che per loro mestiere scorrono per quei luoghi, ci dissero che non di rado trovarono altre di queste monete ma che, credendole di nessun valore le getta­rono via.

Ora adunque volendo commentare il fatto della presenza di queste monete sulla bocca del vôlto esplorato dirò anche io la mia opinione. Esaminando strategicamente il luogo suddetto si vede che esso domina perfettamente la pianura Veneta e Vero­nese nonchè l'altipiano dei Tredici Comuni, e si scorge ad oc­chio nudo parte del Lago di Garda e la città stessa di Verona. In vista adunque della posizione favorevole di questo luogo sem­bra che i Romani vi avessero stabilito un presidio militare nell' estate e che approfittassero di questi vôlti sotterranei per convertirli in sepolcreti, collocarvi le urne con le ceneri dei sol­dati morti e abbruciati dietro il sapientissimo igienico rito Greco­romano. E a questa opinione conduce il fatto che le monete si trovano sulla bocca del vôlto e non altrimenti, per cui è da cre­dersi che caduto l'impero ed abbandonati quei presidii, le orde susseguenti avide di rapina abbiano violato il riposo delle ceneri di quegli eroi che per secoli palmo a palmo difesero l'impero, e che trasportando le urne al di fuori le spezzassero per ritro-

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— 31 — varvi monete di valore; ma ingannati nel loro intento gettassero quelle di rame sulla bocca del vôlto, e a questo tanto più ci conferma l'aver ritrovato sul luogo i frammenti d' urne e del vaso vitreo. In quanto poi alle caverne o vôlti sotterranei questi sono di fattura ed origine dei popoli Cimbri, i quali, secondo Tacito, ave­vano il costume di ripararsi sotto essi. (1) Eguali sotterranei o sepolcreti si scoprirono nei Tredici Comuni nel 1734 in S. Anna del Faedo, e l'anno 1781 in un campo del Sig. Agostino Prun-ner, e similmente sull'erba di Purstal. (2)

Ed a questo proposito mi permetta che io incastri in questo scritto anche la mia opinione sull'origine dei Tredici o Sette Comuni. Io per me li ritengo originati dagli avanzi dell' innume­revole stuolo battuto e disperso da Mario sotto le mura di Ve­rona. E prima di tutto dirò che gli Storici Romani li chiamavano Cimbri, e con tal denominazione pure vengono anche menzionati non solo dai moderni, ma bensì anco dal volgo dei nostri paesi. Gettando poi uno sguardo topografico sul luogo del combatti­mento si vede che i resti dell'armata battuta non avevano altro scampo di salute che gettarsi sui monti, e così da quei fug­gitivi ebbero origine i Tredici Comuni, Recoaro, Valli, Posina ed i Sette Comuni. Di tutti questi luoghi, soltanto i Tredici e Sette Comuni conservano ancora la lingua tedesca. In Recoaro, Valli e Posina restano però i cognomi, i nomi delle terre e delle contrade e molti vocaboli del tutto tedeschi. Si dice perfino che i Sette e i Tredici Comuni derivassero da coloni tedeschi trapiantati in Italia da Teodorico. Ma questa opinione sente del ridicolo pen­sando che se quel Re voleva gratificare i tedeschi, padrone come era d'Italia, li avrebbe collocati in luoghi ben migliori di quelle selve sterili come dovevano essere in allora i suddetti luoghi. Facendo uno studio di quella origine sui luoghi, si trovano ancora i cognomi derivanti dai paesi ove sortirono quelle torme, p. e. si trovano i Sbabi da Schwaben o Svew, Franchi da Franken Franconia, Frisi o Frisoni dalla Frisia Friesenland, A-grimani Angelman o Angelmänner popoli del Weser nonchè i Cat-

(1) Salent subterraneos specus aperire eosque multo insuper fimo onerant Tacit. (2) Berstall corrotto da Burgstall che significa mansione di castello.

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— 32 — ter discendenti dai Catti. Molte cose più interessanti si potrebbero ancora scoprire, ma questo lo lascio a quei chiarissimi ed illu­strissimi che hanno tempo e denaro.

Recoaro Novembre 1858 DOTT. GIACOMO BOLOGNA.

MONETE TROVATE SUL MONTE CAMPETTO

M. AURELIO GIULIANO Tiranno; detto anche Sabino Giuliano. Essendo Correttore dei Veneziani, dopo la morte dell' Imperatore Numeriano, si dichiarò Imperatore l'anno 283, Fu poi vinto ed ucciso dall'esercito di Carino nei campi Veronesi dopo mesi un­dici di tirannide. Così nel Trattato della rarità delle Medaglie Antiche, compilato da Vincenzio Natale Scotti.

COSTANTE I. Figlio di Costantino Magno e di Fausta, suc­cesse al padre nell' Impero l' anno 337 unitamente con i fratelli.

Due sono le monete, rinvenute, cioè di Costante I. Sul ro­vescio di una si vede un trofeo, sull'altra una vittoria. Tutte due sono di nessuna rarità.

Un' altra medaglia sembra di COSTANTINO MAGNO.

È da osservarsi che all' imboccatura d' una delle Grotte di Monte Campetto, tra i frantumi d'orci, ed alcune monete che vi erano, abbiamo pur trovato un pezzetto di vetro d'ampolla, che con probabilità si può credere un resto di vasellino lacrimatojo o cenerario.

I Romani avevano diversi modi di accampare secondo le stagioni

Stativa Castra Hiberna et æstiva Castra. Fabium cum una legione in h iberam remittit, ipse cum tribus legionibus hiemare constituit cum tanti motus Galliæ existerunt, totam hyemem ipse cum exercitu manere decrevit.

CÆSAR DE BELLO GALLICO.

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— 33 — Che i Romani lungamente stanziassero in tutti quei luoghi

confinanti con popolazioni non sottomesse lo provano i numerosi monumenti in varii luoghi esistenti e dispersi anche in Tirolo, fra i quali ve ne sono alcuni assai importanti che ricordano che dei presidii ivi furono stabiliti, e che, sistemate le provincie e le milizie nei tempi consolari ed in quei dell'impero, una legione ivi dimorava detta la Rapace e quivi non solo stava questa le­gione ma anche in tutta la Val Sabbia Bresciana che sta appunto nella parte occidentale delle Giudicarie a piedi delle Alpi retiche.

In Castel di Stenico:

M. VULPIUS

BELLICUS VET. LEG xx

V. V. SIRI EI SUIS

In Lavallo Val Sabbia: F. I I

M. CORNELIO

LEC . . . AEMILI . . . .

SEG RAPAX DEF

San Giorgio di Poja: FORTUNA REDUCI

L VALERIUS. JUSTUS

Ex VOTO

IL CAMPETTO

Una prova patente e materiale conservata fino ai nostri giorni sono i ruderi ed i resti di monete, vetri e vasi che si trovano sul Basto nella località del monte Campetto. Questo luogo è elevato circa 1500 metri e chiamasi Basto per la so­miglianza che presenta con questo arnese trovandosi a cavallo dei due versanti. Da questo punto si gode di un magnifico pa­norama, poichè a Levante si signoreggia tutta la pianura italica fino alle Alpi e all'Appennino, al Nord il vasto altipiano dei Sette Comuni, e a Ponente si vede la sottoposta città di Ve­rona e quasi tutto lo specchio del Lago di Garda, cosichè i ro­mani per tenere in rispetto gli avanzi dei Cimbri rifuggiatisi in

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— 34 — quei monti non potevano sciegliere luogo più adatto a respin­gere qualunque invasione. Una popolare tradizione sparse e man­tenne fino ai nostri giorni la fama che in quel luogo sta sep­pellito un vitello d'oro, ma che chiunque ne intraprendesse la scoperta sarebbe stato trasportato da un turbine. I mandriani che nell' estate pascolano le greggi su quel monte furono quelli che raccolsero e monete e resti di antichità. II fu benemerito Pozza parroco di Fongara fece una interessante raccolta di tali oggetti che fatalmente dopo la sua morte andarono sperperati.

VIII.

DENOMINAZIONI ANGLOSASSONI TEUTONICHE di alcune pezze di terra situate in Recoaro

contenute nel Sommarione Censuario eseguito nel primo Regno d'Italia nel 1807

A Ascante, deriva da asche frassi­

no. La montagna detta Aschi-burg citata da Tolomeo. Memo-ratus videbitur antiquitus dic-tus Aschenbyrg a moltitudine hujus arboris.

Acker, campo coltivato. Aussebbe, da aw campum pra-

tus, campus pascuus, e da ebbe piano.

Angrante, da anger pratum e raute quadratura prato qua­drato.

Amprobise, da ampfer, aceto­sella genus lupatii ab acerbo sapore sic dictum. In botanica dicesi rumex acetosella. È co­

nosciuto dal volgo sotto il nome di pane e vino. Da quest'erba si cava il sale d'acetosella so­stanza velenosa. Viddi mori­re avvelenato in Recoaro un giovinetto che aveva mangia­to una grande quantità di questa erba. Perciò Ampfer-wiese, prato fertile di aceto­sella.

Alon Accar, da aker campo. Aol. Angarante, dal sassone anger

prato e raute quadratura. Per­ciò campo quadrato.

Alpeche, da alp bianco eche bosco, bosco bianco.

Asnicar, contrada da as otti-

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— 35 — mo e ar alto, luogo alto, a-prico.

Alberbiese, usato in senso fi­gurato da alber stupidus, sto-lidus, absurdus, significa prato sterile.

Alpeche, da alp pascolo e eche bosco.

Angacker, da ange terra ve­getabile campo di superficie humosa

Arunacker, da ar vittuaria an­nona, omnis terra proventus, perciò aranacker campo assai fertile.

Arle.

B Baffelan, scoglio a picco di e-

norme grandezza situato e di­stinto nella cresta che divide Recoaro dal Tirolo, veduto da lungi sembra un busto umano da worffel faccia.

Bast, sommità di un giogo in Campetto che si mostra a gui­sa di basto.

Bissele. Beglesod Balte, da Walt luogo munito. Begar, da Weg, via e ar alto. Balpese. Braunbeche, bosco nero folto

da braun bruno e eche bosco. Bronbache, rigagnolo torbido

da braun bruno e bach ru­scello.

Becheben, du bech, bacino e ebben piano.

Borzache, da borst rotto, e aker campo, campo rotto.

Besorte, da bos aspro selvag­gio cattivo incolto, e ort luo­go, luogo incolto selvaggio.

Binkele diminutivo di Wink sinuoso tortuoso.

Bulgor, da bulg sano Bescore. Brauseneche, da brausen ru­

moreggiare e eche selva. Brauserebbe, da brausen e eb­

be piano. Balpon. Bussifulli, da busch, cespuglio

e voll pieno, luogo folto co­perto di siepi e cespugli.

Bornara. Bescore. Brack, terra incolta.

C Camonda, dall' Anglossasone

kaw, pronunzia kau e mund munde, sbocco e passaggio, sbocco di un fiume o torrente, perciò passaggio o sfogo delle vacche. Travemunde portus reipublicæ Lubecensis ad o-stium Trave e così pure Tan-germunde, Wernermunde Den-dermunde.

Clame. Craghe Clamare.

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— 36 — Conottele. Cachebise, da cachel cacabus pignatta, olla di terra, da kachel forno offen fornax te­stacea, e wiese prato, prato alle fornaci fittili

Canebeche. Conoselle Cornanbiser, da korn frumento

e wiese prato. Cheserle. Cubillo. Conchie. Chiotte. Craisenbeche, da kreis circolo

e beke bacino, terra circolare depressa come un bacino.

Crocello. Chiel Cobe. Culbalte. Crechier. Cutterle diminutivo di kut, cu-

cullus. Criselle, diminutivo di kreis, piccolo circolo.

Caracor. Cuccomoor, sortume fangoso

da cucche pratus figurato e moor sortume.

E Eccherle, diminutivo di eche

bosco, piccolo bosco. Estacher, da est levante e a-

ker campo, pezzo di terra che guarda il levante.

Erstacher, da erst primo prin­cipale e aker campo.

Erla, da erl, bedola bettula, pianta.

Erzeghi, da herzog duce con­dottiere d'armi.

Ebben, da ebbe, plurale campi piani.

Engerle, da eng angusto stretto. Echara, selva alta. Ecche, da ecche silva cedua,

item septimentum, ex cæsis implicatisque fruticibus, hic sensus oritur ab hacken cæ-dere bosco ceduo.

Ebbelle, diminutivo di ebbe, piccolo piano, piccola pezza di terra piana.

F Fenerest. Flare. Fregian, da frei libero, e an

prima, fondo libero. Fontegrass. Fragiecche, da frey libero e

ecche bosco, selva libera ad uso comune.

G Grimische. Gieselle, da giessen, scorrere

versare diminutivo di giessen significa piccolo ruscello.

Grobacre, da grobb figurato incolto e ackre campo, campo incolto.

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— 37 — Giochele, da Joch, giogo di­

minutivo, piccolo giogo col quale si passa da una valle all'altra.

Gierbise, prato pronto fertile da gierig promptus e wiese prato.

Ganbise. Ganna. Grobbe, da grobb, incolto. Ghertelle, diminutivo di garten

orto, quindi orticello. Grestelle. Garstige, da garstig, cattivo,

malagevole, così vien chiamato il tratto più scosceso dalla strada che conduce da Re-coaro alle Valli.

Giaus.

L Loreche Langarte, da lang lungo e arte

prato. Laibech, da laiben coagulare

e eche selva, luogo ove si metteva a coagulare il latte.

Laiben, non si usa che nel si­gnificato di coagulare il san­gue o il latte, da labes coa-gulum a laben coagulari, dici­tur proprie de fluidis præci-pue de sanguine et lacte.

Lon. Langenbach da lang lungo e

bach ruscello. Laita, sentiero, strada dal sas­

sone laita.

Len Lauber, luogo fronzuto, da saub,

fronda. Langeplezze, piazza lunga. Linte, da lind, tiglio. Langebise, da lang lungo e

wiese prato, prato lungo. Laitelle, diminutivo di laita,

sentiero. Leer, vuoto, spoglio. Lemberle. Lammetron. Lagecar, dall'anglosassone la-

ga, lag, langhe e dal teutono laghe situs locus sedes cam­pus.

Loche, buco da rota. Looch, idem. Leiseberche, da leis orbita,

e werk opera lavoro. Lambre, rovine precipizio. Langebbe. da lang lungo

ebbe piano, piano lungo. Laussie. Langecche, bosco lungo.

Leni. Loffele, diminutivo di loffel

cucchiaio. Longe, da lang lungo. Lammaston, da lamm agnello

e da stone pietra sasso del­l'agnello.

M Mandel, cancello di un tumulo,

mandel, cancellum circa tu-mulum.

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— 38 — Mangerholde. Mandelache, campo con cancel­

lo di tumulo. Mittereche, da mitter in mezzo

e eche selva, selva di mezzo, anglosassone.

Morderacher da mord assas­sinio e acker campo, campo dell'assassinio. Tedesco mord assassinio, morderer assassi­no, anglosassone murd mur­der.

Milaron. Mendeste. Mogeracher, da mager magro

sterile e acker campo, campo magro

Mondelbise, prato circondato da cancello.

Mitterechele, da mitter in mezzo e echele diminutivo di eche, piccola selva di mezzo.

Mordereche, da mor locus a-quosus, ulicinosus, paludosus e eche selva.

Muleche, da mül molino voce celtica e eche selva, selva vicina al molino.

N Norenthal. Nogre. Nebele, da neb nebbia, nebula

olim etiam calico qui a ne­bula est rupor aut exalatio aquæ vel terra quæ infirmam aeris regionem obsurgat.

Nache. Norde, pezzo di terra respi-

ciente al nord. Neche. Negrant. Nocke. Nabe. Niesegarde, da Wiese prato e

Garte orto. Nikolufrat.

O Ongare. Orte, da ort luogo sito. Olghelon. Onare.

P Porebe, da por alto, altus, e

ebbe piano, pianalto. Pogaraste. Podene. Petzewise, da petze scortum me-

retrice e wiese prato, prato della meretrice.

Plelze. Proche. Presde. Prendele. Platerebbe, piano spianato. Picegor. Paschefratt. Pegorgebise. Paxeran. Pockele. Preckele.

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— 39 — Praute.

R Riegelamoor, sito ove trovasi

la Fonte Regia, da riegen scorrere, e moor paludoso, sortumoso, acquitrinoso.

Restand. Rotolon. Rostele, diminutivo di rost. Rotocerok. Ronco. Raichele. Rebe, da reb vignale. Rebele, diminutivo di rebe,

piccolo vignale. Raute, da recut, quadratura Ron. Regesod. Rosta. Roteche, selva o bosco rosso,

da Rot rosso e eche selva. Raumbise, da Raum spazio, e

wiese prato, prato assai lar­go, spazioso.

Rindolar. Richelere.

S Sparapron. Spiel, da spiel giuoco. Stede. Stedele. Spitz, da spitz acuto accumi-

nato. Senebbe, da schön bello e ebbe

piano, bel piano. In Germania

sotto questo nome esiste un gran bosco piano e che si estende nella Westfallia da Paderborn passando per le contee di Lippe, Ravensburg e Riestig, fino a Osnabruck.

Sangrobe. Stock, bastone. Santeck. Spiotgen. Sampletz. Stedele. Sleghe. Spors. Slabarek. Schwanzer, Caudato , da sch-

wanz coda. Sbolte. Spinerle, da pinnen filare. Spricke. Slissgorte, dal verbo schliessen

chiudere, e garten orto, orto chiuso.

Stue. Sion. Secbise, da see sia lago sta­

gno, prato vicino ad un sta­gno.

Slanichese. Saron. Scolk. Sbanacon. Scarte. Soventhal. Slamacora, da schlam fango

e aker campo, campo sor­tumoso, umido, fangoso.

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IX.

VOCI ANGLOSASSONI restate nel dialetto attuale parlato in Recoaro,

Valli e Posina.

— 40 —

T

Torfebise, da torf torba e wiese prato, prato torboso.

Timon. Tel. Thune. Trincke. Trogher, campo orrido, da trog

secco adusto. Taller.

V

Vegri. Vanfrutt. Valerghele. Viseloche, da wiese prato e

loche buco. Wiesefresser, prato che divora,

da wiese prato e fresser di­voratore, prato sterile,

Z Zon. Zamber Zoger Zennewiese.

X Xaplut. Xentele. Xantegheghe. Xaure. Xuntra Xoste. Xon. Xacre.

K Kachel, vas fictile, inde com­posita kachel-ofen fornax te­stacea, offen kachel testa fornaciolis, sorania Germanis habent kuchli fornax, kachlu testa fornacialis.

Rippe Costa, rippamene, carne di costa. Springo, usasi figurato per uomo audace, violento, da spring lesto,

agile, temerario, deriva dal teutono sprinko, locusta. Rautera, da rauter, crivello da biade, Crote, rospo da kröte.

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— 41 — Hutta, usasi figurato, dicesi una vigna selvaggia chiamata in dia­

letto capellara, quindi vite, Utta, da hut, cappello. Klaffa, sasso, da klippen, scoglio. Speerlinke, serpentello, orbarolo, coluber fragilis. Leichestosse, da eidechse, eidochse, chiamasi la salamandra. Snattera, da schnattern, raganella specie di istromento di legno che

si adopera nella settimana santa. Snarcare, da schnarchen, ruzzare, ronfare. Petuffare, battere, da betupfen toccare, battere. Randelstaude, Rododendron, Rosa alpina, da Staude frutex, e

da Rand, orlo, ora. Rosta, da Rösten. Terere super graticulam. Mosa, uccello, da meise cingallegra. Rasamoche, squajardola, da Gras erba e mücke mosca. Questo

volatile resta sempre a terra nell'erba. Morche, da morke, spongiola. Fungus niger, dallo svedese mörk,

tenebrosus fuliginosus. Zecca, camera sconta nelle gallerie delle miniere, da Ziehen tra-

here quia metalla extrahuntur a fodinis. Stollo, galleria mineraria, da stoll cuniculus locus offossus et

trabitus fultis in metallo fodini. Zecchenada. Fare una Zecchenada, darsi spasso in buona società.

Compotatio, da Zechen festinare. Rosta, termine minerario, da rösten abbrustolare, dicesi del muc­

chio minerale a cui si dà fuoco per scacciare il zolfo. Riffa, lotteria, da riff numero. Garbaria, da gerberei, luogo ove si acconcia le pelli. Pacchetta, carne affumicata da pökel. Serretola, forbicina, da scheere forbice, specie d'insetto che ha

la coda foggiata a forbice. Schlosser, saliscendi, in volgare bajardello, specie di catenaccio

di legno mobile per chiudere la porta. Crusnobe, uccello dal becco in croce, da kreutz croce e schnabel

becco, becco in croce. Snattera, da knuttern, crepitare, gnut fragor et gnatra tumultum

strepitum.

Gose, dall'anglosassone gose, oca.

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— 42 — Stocherle, dal diminutivo di stock piccoli bastoni che servono a

sostenere i fagiuoli. Kunegle, Reattino, il più piccolo uccello dei nostri climi, dimi­

nutivo di könig. Swanzerle, diminutivo di Schwanz, coda, chiamasi un sentiero

che si distende sinuoso a guisa della coda di un cane. Trinkeloche, canale lungo scavato nel sasso da cui sorte una fonte.

da trinken bevere e loocke buco. Grattiston, dall'anglosassone great grande e stone sasso, rupe

smisurata a picco che esiste sulla montagna della Ronchetta, a Valli.

Sea, pronunzia sia, dall' anglosassone piccolo stagno, e anche mare. Sblatterare, ciarlare, da sblattern. Cubele, da kubel, vaso, ordigno con cui si fa il butirro. Cuccherla, sommità di un monte simile ad una focaccia, diminutivo

di kuchen focaccia. Benna, slitta o carro a due ruote con un gran cesto che serve

a trasportar il letame nei campi, da benne, wenne, wen, wegen, benna lingua gallica, genus vechiculi appellatur unde vocantur combenones in eadem benna sedentes.

Berlick, significa volgarmente diavolo, voce figurata dal teutono berlick, aperta manifesta malitia.

Giacchetta, dal tedesco Jacke giubba. Tette, mammelle, dal teutono tuette mammella. Insinichio, addiettivo; significa, stupido, ebete, dal goto sinis,

vecchio decrepito. Herzego, da herzog, da heer armata e zog conduttore, da ziehen

condurre, comandare, quindi Herzog duca, duce. Albe, albero sempre verde, taxus baccata, dalla voce teutona

eiben baum, albero, pianta velenosa, anglosassone iserw-three francese if. Schimmerus in diction Anglosassone, ante tormen-torum inventum est ex hoc ligno majores nostri laudatissimos arcus confecerunt quorum usu vicinis gentibus longe precellue-runt et ingentem hostium stragem summa cum gloria sæpe ediderunt ideoque singulis in cæmeteriis plantari lucrarunt quæ ubique in hodiernum diem perennant.

E anche da eibe arco e baum albero eiben baum, albero da

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— 43 — arco, Cativulus rex Eburnorum taxo cuius magna in Gallia Germaniaque copia est, se esanimavit. Albero venefico. Cæsar commentar.

Canopo, minatore, da knapp voce sassone, servus vel socius opificiis, wolknapp, servus fullonis, müllknapp, servus molitoris, bergknapp servus a metallis fodinis.

Cucco, in senso figurato, da cucco uccello cuculus; si dice di un uomo scemo, stolido, e semplice, dal sassone Chauche, vox in Sassonia reliqua ein gauck stolidus insanus, gouca, cucchi stulti. Notkerus psalm XCIII vers. 8.

Slitta, dal teutono schlitte. Canagola, specie di chiodo di legno con cui si chiude un cerchio

che serve assicurare le vacche alla grippia, dall'anglosassone kow, pronunzia kau, vacca o nagel chiodo.

Gertele, voce comune alle Valli, Recoaro, Posina, deriva da gar-ten orto e giardino, diminutivo di Garten.

Pesarico, colonello o divisione di Recoaro, deriva da Biese corrotto di wiese prato e rich ricco. Luogo ricco di pascoli e praterie.

Brose, croste tignose del capo o quelle che precedono la gua­rigione di una piaga, dal teutono brose crosta del pane.

Sgranfignare, rubare deriva da greifen prendere e baffen por­tar via.

Sleppa, schiaffo dall'anglosassone slapp, schiaffo. Brocco, dicesi del germogliare delle gemme, dal teutono brocken,

sorcuclus, germen. Smerlecco, aggettivo, dinota sapore insipido delle vivande, gusto

ributtante da schwer sber, pesante, contrario e ributtante, da lecken, piatanza, smerlecco, piatanza disgustosa.

Fersa, malattia cutanea dei bambini, morbillo, da ferzezze, erugo, rubigo, erugine, rubigine, v. Notkerus in psalm. 177 45 48.

Finco, dall'anglosassone fink, finco, fringella. Ganzega, dicesi il pranzo che si dà agli operai quando hanno

messo in coperto un fabbricato, fare la ganzega equivale a celebrare il compimento dell' opera con una cena, o refezione, da ganzer integrum completo finito, opponitur daudo. Quad funti Ganzan sinan, dixi inventurum integrum suum filium. Ot-fried III 2.

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— 44 — Gastaldo, da Gast o kast, ospes ospite, gast conviva hospes qui

convivio excipitur, at sicut romanis hospes et is qui excipit, appellatur ita et Germanis, ac Francis, sed Longobardis, ga­staldi vocat vide mox. Wachter gloss. germ.

Sluzzo, mingherlino, da luzzil, parum parvus levis. Wachter gl. ger. Bagerla, carrettella, carrozzella, diminutivo di wagen carro, car­

rozza, vettura. Pozzo, da puzza e puzzo. Otfried 14,16,5868. II. Raffare, rubare, da refan, levare auferre. Fiffare, lagnarsi, piagnucolare, zufolare, da pfeife zufolo e pfeiffen

zufolare. Feffe, zufolo flauto da pfeife. Broa, broare, da brühen. In idioma brocken, versare dell'acqua

bollente sopra di un corpo, da brudel fumo, vapore, e da brö-den fumo bollente.

Rindola, da riendel, da rinnen scorrere, dicesi dei fluidi, cana­letto incavato dalla scorza di un albero che si applica alle fontane per raccoglierne l'acqua, proviene anche da rindel, di­minutivo di rinde, scorza.

Roto, da roth, röth rosso, rot ruber rosso e rote rubicondo, rudd, voce cambrobrittanica, rudd, rosso rubeus, moor-rudd mare rubrum mare rosso.

Rast, da rast requies, riposo, franco resti, Ottfried lib. V. cap. XL. ver. 75.

Ioh, se gevvisso westin Thas, er stuant restin Ut, certo cognoscerent Quod rexurrexit a qui etc. (restin). Rasta vetus est vocabulum

teste Hyeronimo cujus in Ioelem verba sunt. Nec mirum si una quoque gens certa viarum spatia suis appellatur nominibus, cum latini mille passus vocent, et galli leucas et perse parasanga, germanici rattas, saxonibus adhuc hodie rasten vel resten est vero a labore, vel ab itinere quiescere. Giorg. Fabricius, origin saxonicar.

Rozzo o Rotzo, sembra il primo luogo abitato nei Sette Comuni, da rotz rupes anglosassone, hrusam, franco roz, olandese rote rotze, in francese roc roche, rocher. Ottifried. lib. V. cap. VII.

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— 45 — Marium, tes thoso io n'erthoz. Stuant, uzanu thes grabes roz. Maria nullo tædio loci affecta, Stabat, extra petram, (roz) sepulchri.

Spitz, dicesi di una sommità di monte acuto, da spitz acutus ac-cuminatus, monte visitato in Recoaro.

Cere, esclamazione figurata, p. e., se tu caschi nelle mie cere! espressione d' ira, vuol dire: se tu caschi nelle mie mani stai fresco ! da scheere forbice, mani armate, violenti.

Berro, porco da razza dall'anglosassone bor, e dal tedesco, beer. Baga, da balg otre, vox celtica antiquissima Gallis, Brittanis,

Gothis, Saxonibus et Francis usitata. Baito, capanna dei mandriani abitata in estate sulle montagne,

da beiten, manere morari cunctari, a simplici biden, oritur bedd locus manendi de quo supra et hinc porro battaib, mansio vel sedes Gepidorum. Vide Sommer in diction. anglosaxone.

Becco, dall'anglosassone bucca, hircus caper. Bracco, cane da caccia, dall'anglosassone brache, lat. barbarus,

braccus, specimen saxonis, lib. III v. 47. Winde, (levrieri), hers-hunde, saugis und brachen mach men wol gelden mit ore ge-licke, verstagos, canes venaticos, et braccos compensare licet horum similibus. Cod. anglosaxon.

Sitta, saetta fulmine, da seyten freccia. Truffa, da drug o trugh, frode inganno. Grippare, rubare, da grüppen. Criare, gridare vociare, da kry, voce alemanna. Alp, alb, alba, al Tretto, a Recoaro e Valli, pascolo di pecore,

da alp e auwe, pratum, helvetis in hunc usque diem. Alp est pecudum pascum, zu alp führen, pecus ad pascendum ducere, alpihörner, (corno dei pastori) tubæ pastoriciæ ex arboris cor-ticibus contexti (Wachter Glossar. Germanic).

Palosso da palast. Ballasck, spada curva, voce unnica, gladius ob-longus et ab utraque parte acutus.

Guanto, da want, voce teutona copri mano, chyroteca. Bissing, derivato e corrotto, da messing ottone, lega di rame e

zinco. Slimego, untuoso, viscoso, scorrevole, mucoso, dall' aggettivo

schleimig.

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— 46 — Solaro, da söler voce teutona, solarium. Giang Pilatus widari

mit hionotho in ten solari. Sit Pilatus retro cum ipso sola­rium, Noterius in Evangelarium.

Springo, da sprinko, locusta, springo si dice di un uomo agile ardito manesco, simile alla locusta che salta.

Tina, dalla voce teutona tenne, vas grande ligneum, tam lava-tionibus, quam condiendi vini paratum.

Velo, Comune del distretto di Schio con antico castello, dal teu-tono wellicke procaciter defendere.

Guasti, dal teutono wasti, desertum, luogo incolto devastato. Ebbe, voce usata in Recoaro, Valli e Posina, significa luogo

piano, dal teutono, ebben, ebbon, ebban. Ism, in angl. nist ana eban. Ecce in angelo non est coequalis imago Dei. Isidor contra judeos, in Schilter, Thesaur. antiquit. teutonicarum.

Albergo, da herberg, castra statio munita militantium, albergo rifugio, posto fortificato per soldati, ab her, exercitus, et bergen defendere, munire, dal teutono herr esercito e bergen munire, fortificare difendere.

Locre, da locker, soffice, spugnoso, molle, dicesi tempo locre quando lo strato della neve caduta è molle e penetrata d'acqua per cui si sprofonda il piede, in tedesco moderno thauwetter.

Susio, dicesi quel rumore che suol precedere ed accompagnare il temporale, dal verbo sausen rumoreggiare sussurrare.

Mose, farinata, pulmentariun, voce teutona. 2 Tho quad inther heilant. E not habet ihr muoses ? Dicit ergo eis Jesus, pueri, nunquid pulmentarium (muoses)

non habetis? Tatianus syri harmon. Ev. cap CCXXXVI ver. 2. Laga, bugia dall'anglosassone laugh, longa, lage, lugge, luggu

e laga. Lingan, mentire. Luginari, bugiardo Lugine, bugia falsità menzogna. Pekero, da becker, beckia, bacar bicchiere. Zaonara, contrada delle Valli, dal teutono zauner, zaun, locus

septimento cinctus, demus villa, prædium, hortus, latissimo si­gnificatu, zaun sepes, terreno cinto di siepi.

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— 47 — Grippia, mangiatoja dal teutono krippha.

In krippha n'an anlegita. Tha man thaz fihunerita. In præsepe is ponebatur, ubi oves alebatur. Ottfried. Evangelis, lib. I. Schilter Thesaur antiquit, teutonicar.

Badanare, osservare con curiosità, da baitan teutono, investigare, ricercare.

Tangaro, dicesi di un individuo di corto ingegno, stupido, inerte, poco intelligente, dal teutono temgruam voce celtica, modifi­cata in tacain, litt. 1411 codic. reg. 165, chap. 119: i cellui pierre s'appellait le suppliant arlot tacain, boure qui vautt, autant dire en langage du pais de part de là garçon, truant, bastardt.

Sisola, frutto del ziziphus paliurus, somiglia al capezzolo della femmina umana, dal teutono zisse capezzolo.

Cappone, dal verbo goto kupanem o kapanen castrare, cappo­ne gallo castrato.

Bigolo, sorte di pasta figurato in fili più o meno grossi, dal teutono biegen, bagen, biogen, che significa piegare contorcere.

Brazzavalle, sito nelle valli alla sorgente del torrente Leogra con cascata d'acqua, derivato da wasser acqua e fall caduta.

Sea, pronunzia sia, dal sassone sea, stagno, lago, mare, così chiamasi in Recoaro un piccolo stagno.

Stempele, colonna o sostegno di legno per sostenere il volto delle gallerie minerarie, dal sassone Stempel.

Recube, voce composta, da reh capriolo e kube barile sfondato, istrumento lasciato dagli antichi Cimbri, consiste in un barile di legno senza fondi, ed attraversato nel mezzo da un dia­fragma di pelle di pecora nel di cui centro havvi un foro che racchiude una fune la quale tirandola nelle due direzioni pro­duce un rombo che di notte si sente a 10 kilom. di distanza.

Stamberga, casa diroccata, rozzamente fabbricata, da stein pietra e bergen alloggiare, ripararsi. Le caserme dei Goti si chia­mavano steinbergen.

Slambroto, dicesi di un cibo disgustoso e mal preparato, da schlamm fango e brodt pane, pane o pietanza fangosa.

Bolca, dicesi sacco, bolca quello tessuto con stoppa a maglie

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— 48 — larghe, da boll stopposo, spongioso, boll werden, diventar stop­poso, montare, andare in seme.

X.

GLI AVANZI DEGLI ANTICHI CIMBRI rifuggiatisi nei Tredici Comuni Veronesi conservavano fino al

1300 il dialetto Teutono e non erano intesi dagli altri tedeschi, come apparisce dalla seguente poesia di Corna Fabbro da Soncino poeta che dimorava in Verona nel 1300.

Trovansi ancora sul terreno Veronese Una gentaglia molto disusata Dalli costumi d'ogni altro paese, Nelle montagne sta lor contrata E sono genti ombrose e sorprese, Vendono caro, e vogliono derrata Le mercanzie lor son legname Carbone bestiame uccellame.

Molte opinioni tien che questa fosse De Cimbri che rimasti di sua gente Quando che Mario tanti ne distrusse Che più volte di lor fu preminente E di poi in questo luogo si ridusse E fan dimora fino al dì presente Dacchè qui si ridusser come arena Che per discorsi un gran fiume mena.

Costoro son da gente di Latini Serrati intorno da ciascuna mano Dallo Levante sono i Vicentini E dall'altra tiene il piano, Dall'Aquilon confina coi Trentini Sempre tra lor todescando vanno La lingua loro al germanico pende Ma coi buoni tedeschi non s'intende.

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— 49 —

XI.

SIMBOLO APOSTOLICO nel dialetto attuale pei Sette Comuni

Ich clobe in an Gott Vater da mak allez, da hat geschàft in in hümmel un d' éarda: un in Jesu Christi saint anlóandar Sun ünzarn Herren, da ist gabéest concepíart vor arbot von me Halghen Spiriten: gabüartet von María Vergine: hat galáidet un­tar Pontio Pilato: ist gabéest ganághelt af z' kreüze, gastórbet, un bográbet: ist gant nidar in de hella: drai tage dárnaach ist auf gastánnet von tóaten, ist gant zu Hümmele: sitzet af de rechte von me Gott Vátere da mak allez : von da hatar zo kemman zo judicáran lenteghe un tóate. Ich clobe in den Halghen Spíriten, in de halghe Kercha cattolica, un haben toal von dar bool von Hóleghen, de vorghébenghe von sünten, z' derléntegen von toaten,

un an silléttan léeban af dandar belt. Asò zais.

Simbolo Apostolico delle Chiese Germaniche

estratto da un Codice dell'Abbazia di S. Gallo anno 812

Ich kelonbo an Gott allmachtigen Fatere skefen himeles unde erdo Unde an sinen Sun den gewichten haltare einigen unsren hesren der fone demo hailigen Gaiste infangen ward kenothafft war pi Pontio Pilato unde bi imo am crucem gestoftet irstorbt und begraben ward, zehelo fuor an demo dritten Toge fone tode irstuont, ze himde fuor dar zizzet ze Gotisteze und des allm-acthigen vater: dannan chimftiger ze irtelleine die er da alle lichum gesamme nunge. kelondo zehabenne clero heiligen geme-insame ablas dero sunden: gelonbe del Fleisches urstendede, gelondo ewigen lib. Amen.

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— 50 —

Orazione Domenicale

nell'attuale dialetto dei Sette Comuni

Unzar Vater vön me Hümmele, sai gaëart eür halgar namo; kemme dar eür Hummel ; sai gatáant allez baz ar belt iart, bia in Hümmel, asò af d'earda; ghetüz heüte ünzar proat von altághe ; un làcetüz naach ünzare schulle, bía bar lácense naach biar den da saint schullik üz; haltetuz gahütet von tentaciún; un hévetüz de übel. Asò saiz.

Orazione Domenicale

in antico teutono di Ottofrido Vescovo di Weissenburg anno 768

Vater unsér du in himele bist. Diu nomo werde geheilliget. Diu Riche come. Dein wille gistahe in erda fone wenigsgen also in himele fone

den enzilen. Unsir tagelich prot gib uns Unde scusre schulde belaz uns also ouh firlassen unseren schuld-

norem. Unde in dia chorunga ne leitist da unsile Inteso. Suntir irlose unsih fona demo uble.

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— 51 —

XII.

ELENCO DI CURATI E PARROCHI TEDESCHI nell'alto vicentino

e dipendenza delle due parrocchie di Recoaro e Rovegliana dalla Chiesa Matrice di Rotzo nei Sette Comuni

Fino dai tempi più remoti sembra che la plebe di Recoaro e Fongara rappresentata dalla Parrocchia unica di Rovegliana anticamente Roveglana, (dall'anglosassone row, rue, route, strada e land paese,) riconosceva per sua matrice la chiesa di Rotzo, (da rotz, roche, rupe scoglio eminente) prima chiesa fondata nei Sette Comuni. E nell'inventario de Bonorum de S. Gultrua de Rotzo trovasi la seguente partita. « Homines et comunia Recoari et Rovegiane sunt obbligata respondere Ecclesiæ S. Gultrue de Rotio unum cereum ponderis septem librarum ad stateram gros-sam in festo S. Gultrue semper. » L' atto porta la data 1272. Il popolo e le comuni di Recoaro e Rovegliana sono obbligati di corrispondere annualmente alla chiesa di S. Gertruda di Rotzo un cereo del peso a stadera grossa di libbre sette nel giorno della festa di S. Gertrude e questo per sempre.

Dall'introduzione del Cristianesimo nell' alto Vicentino fino al medio evo sembra che il clero fosse tedesco e questo perchè la popolazione era di origine germanica. In prova di tale asser­zione si adduce una serie di parrochi e cappellani tedeschi lascia­taci dal benemerito Padre Maccà di Vicenza, oltre a quelli ri­cordati in Posina, Valli e Rovegliana.

Marano 1432. Jacobus de Alemannia Capellanus Ste Mariæ de Marano.

Magrè 1388. Fecit costituit et ordinavit Dominum presbyterum Giorgium quondam Dominicum Teodosii de Regno Saxiæ.

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— 52 — Arsiero 1422. Presentibus venerabili viro domino presbytero

Jacobo quondam Johannis de Flandria et nunc rectore ecclesia-rum prædictæ villæ de Arserio.

Idem 1440. Per Dominum Jacobinum de Marpulia Alemannia. Magrè 1443. Presentibus Domino presbytero Johanne de

Alemannia Rectore S. Leontii de Magrade. 1444 Selva di Trissino. Inventarium omnium bonorum etc.

spectantium ecclesiæ S. Mariæ de Sylva Trissini factum per ho-nestum sacerdotem Dominum Corradinum quondam Johannis de Alemannia rectorem dictæ ecclesie.

1444 Cerealto. Inventarium omnium bonorum spectantium Ecclesiæ S. Catterinæ de Cerealto factum per presbyterum Con-radum de Alemannia.

1432 Castelgomberto. Venerabilis Dominus presbyter Johan-nes quondam Nicolai de Alemannia Rector Ecclesiæ S. Petri da Castelgumberto.

1426 Brogliano. Collectio presbyteri Johannis quondam Ni­colai de Alemannia pro ecclesia sive plebe S. Martini de Brojano (vacante) per absentiam presbyteri Ambroxii de Polonia olim dictæ plebis ultimi archipresbyteri.

1439 Brogliano. Testimonio domino presbytero Ilario quon­dam Johannis Laurentio de Alemannia, et de presenti Archipre-sbyter plebis S. Martini de Brojano.

Cornedo 1433. Henricus de Alemannia rector S. Johannis Baptistæ de Cornedo.

Quargnenta 1432. Petrus Emilianus Presbytero Nicolao de Menstenberg contulit ecclesiam S. Laurentii de Quargnenta va-cantem per absentiam presbyteri Henrici de Alemannia.

In questo catalogo trovandosi spesse volte citata la Diocesi d'Alemannia credo a maggior intelligenza notare che la Diocesi d'Alemannia comprendeva l'Alsazia, il Vescovato di Costanza, la Svizzera fino alla Reuss, i Grigioni, la Selva nera, la Svevia, Brisgau. Era un regno distinto dalla Baviera, Carlo il grosso si intitolava: Rex Alemanniorum et Bojariorum.

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— 53 —

XIII.

COGNOMI TEDESCHI restati nel popolo di Schio

Schlamma da Schlamm, Blech, Uken, Laita, Letter, Leyder, Scarpiero da Scharrpier, Alberti, Capponi, Toaldi, Beltrame da Bertram, e Pandolfo da Pandulf. — Longobardi, Vanzo da Vanz, haase Grieselin, Rieghellin, Raumer, Romer, Schiesaro e Sies-sere, da Schiesser, Corradi, Leard, Kalta, Lieba, Gardessan, Volk, Soster da Schuster, Redant, Sbaichiero da Schweicher, Zausa, Zaupa, Binke da Winke, Gaule da Gaul, Stochero da Stocher, Broccardo da Burchwardt Custos Castelli, Custode del Castello, Borghero da Bürger, Punar, Motterle, Geffe.

Cognomi e Famiglie di derivazione tedesca in S. Orso, vicino a Schio

Aliprandini, Bonato, Berlato, Bille, Binotto, Bidese, Bozziero, Borghero, Broccardo, Buzzacaro, Bertuzzo, Calgaro, Casalin, Cic-chelero, Ciscato, Corrà, Costabeber, Cumerlato, Dezen, Facci, Formilan, Fracasso, Frigo, Frizzo, Garduzzo, Inderle, Manfron, Maculan, Panozzo, Pedron, Pozzan, Quartiero, Rampon, Rondon, Saccardo, Sessegolo, Socche, Sigismondi, Stifan, Thiella, Zaffo-nato, Zaltron, Zicche, Zobele, Gualtiero.

Nel 1100. Tutta L'Italia era diggià Longobardizzata. I do­cumenti di quel secolo sono tutti ripieni di cognomi Longobardi come: Macherolfo, Landolfo, Pandolfo, Adenolfo, Gisolfo, Marad, Castelmann, Romualdo, Musando, Ademaro, Sidto, Rachis, Radel-grim, Adalberto, Adelzor, Radchis, Wieselgardo, Roderigo, Ber­tram.

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— 54 — Nel 1191 fra i Senatori romani si trovavano i Sassoni A-

stoldi, Astolfi, Tebaldi, Senebaldi, Franconi, Rainerii, Gulferani, Farulfi, Berarde, Roffredi, Berardi, Bulgamini, cosicchè la famiglia più antica e nobile di Schio sarebbe la Beltrame, discendente da due stipiti Longobardi Pandulf e Bertram.

Degno di osservazione però si è che con 200 anni di do­minazione i Longobardi non riuscirono a piantare nè la loro lin­gua nè le loro leggi, anzi finirono con l'addottare il linguaggio e le leggi del popolo conquistato. Sembra che l'elemento latino abbia una forza sua propria assimilatrice osservandosi che nella Val dell'Adige superiore la lingua italiana abbia progredito da un secolo a questa parte per più di 20 miglia.

Eguale osservazione faceva S. Agostino nel suo libro de Civitate Dei, lib. X. Egli dice: Imperiosa Roma non solum jugum verum etiam linguam domitis gentibus imposuit.

Famiglie e Contrade di Recoaro

di derivazione Germanica

Griffani, Teck, lacus piscina, Spannevello da spannfeld, Locre da locker, Chiel, Zischele, Preckele, Zulpi da zulp, Fonzerga da fon-zerg, Albe da alb, Monach, Frizzi da fritz, Sudiri, Ebbe, Balpes, Tol-lara da toller, Gattera da gatter o catter. Cattuari viri bellicosi a cat bellum vel viris a catti oriundi, Aasnikar, Kempele, Borga da burg, castello, Pellicher, Beschi da Besch, Erzego da herr e zog, condottieri d'armati, Sigismundi da siegesmund, bocca di vittoria, Merar, Angrimani, Arimanni, Erimanni, Herimanni, Angrivarii. Ge-nus nominum apud longobardos sed ignotæ conditionis quia de ser-mone longobardico nihil litteris proditum est. Altra versione an­grimani coloni inter Omisiam et Tinergium in vico Engern cujus nomen adhuc premit. Non certe ab angrei fen aggredi olim exti-mabant multi. Sed a loco habitationis hic ab anger pratum. Alpe da alp pascolo, Ratassene, Rieghellat, Camonda, contrada situata arcidosso dei due versanti Leogra ed Agno, di grande passaggio

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— 55 — per mettere in comunicazione i due versanti, deriva da kaw, an­glosassone vacca e mund o münde sbocco di fiume o torrente, perciò bocca o passaggio delle vacche, quindi in Germania esi­ste Travemunde porto della Repubblica di Lubecca in cui sbocca il fiume Trave, e così Tangermunde. Rovejana o Roveglana, da rauh scebro weg, via e land paese.

Elenco di alcuni Rettori Tedeschi

della Chiesa di Rovegliana

1424 Testimonio honesto viro Domino presbytero Johanne quondam Nicolai de Alemannia, rectore S. Margheri tæ de Ro­vejana.

1453 Honesto viro Domino presbytero Johannes quondam rectore S. Margheritæ de Rovejana.

1477 Testimonio venerabili viro Domino Michæle quondam Petri de Alemannia rectore ecclesiæ S. Margheritæ de Roveglana ac S. Antonii de Recoario. Nel 1533 furono divise le due par­rocchie.

Valli

Cognomi di famiglie e contrade

Kunegatti da kuhnegat, Mogre da moger, Scocchi da schok, Ariche da arick, Gertele, diminutivo di garten, piccolo orto, Gaicke da gaik, Biese da wiese prato, Orte da ort, luogo ubi­cazione, Cubbi da kubb, Brandeleri da brändler, incendiarii, Offiche da offick, Onegra, Zao mao, Hurma da Stürmer, assalitori ber­saglieri, Gisbente da kiës sabbia, e bant banco, Stonere da Stoner, anglosassone Frombolieri, Xaliche, Romera da römer, romani, forse prigionieri di guerra? Feccera da fechter, combattente,

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— 56 — Pozzera da pozzer, Bolf da wolf, lupo, Sberz da Schwertz, Ra­dera, Righera da rieger, Zonara da zaun, Auga, Meltera da malter, Cummerlati da kummerlat, Warma, contrada esposta al sol di mezzogiorno da warm caldo, Mau, Bolfe da wolf, lupo Leitera da leitter, Setter, Poger, Laisse, Cichelero da Ziegler capraro, Arnas Pensi da benz, Cavour era un benz di Cavour di origine teutono, Costabeber, Pogger, Smiderle diminutivo di Schmidt fabbro, Sbabi da Schwaben, Svevi. Gens antiquissima, maxima et vell nostri veteris Germaniæ, quam Anglosaxones si-vefas, cæteri suabon et suaben vocant. Ottfried, in Præfet ad Episcop, Salomon vers. 9. Lekzaich. therera buachi. In sentu in Suaborichi. Capitula horum librorum mitto vobis in Sweviam.

Elenco

Dei Rettori tedeschi della parrocchia di Valli dal 1370 al 1470

1370 Gherardus Corrad. 1390 Federicus Hyriprud. 1410 Bartolomeus de Misnia (Meissen). 1427 Dominicus de Alemannia. 1435 Alari de Alemannia. 1444 Walterus de Alemannia. 1450 Alphonsus de Saxonia. 1465 Wenceslaus de Alemannia. 1470 Vincentius de Alemannia. La Diocesi d'Alemannia comprendeva l'Alsazia, la Lorena,

il vescovato di Costanza, la Svizzera fino alla Reuss, i Grigioni, la Selva nera, la Svevia con Brisgau. Era un regno distinto dalla Baviera, Carlo il grosso s'intitolava Rex Alemanniorum et Bo-jariorum.

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— 57 —

Contrade e Famiglie di Posina

Beisse, da weiss. Toldare, da tolder. Betal. Rader. Lissa. Pruckele, da pruck. Lambre, da lamber. Gaun. Beber. Seder. Zomo, da zom. Saussa, da sauss. Mojenthal. Canderle, da kan-derle. Scorlessi, da scorrliess. Fuccichenechi, da fusskneckt, sol­dati di infanteria. Cucco, da cuch o keuck. Maja. Breneth. Ser-manni, da shermann. Puj. Pelle, da pell. Ronzi, da renz. Asa da haase, lepre.

Elenco

di alcuni Rettari della Chiesa di Posina

1403 Dominus Presbyter Johannes de Alemannia, Rector S. Margher i tæ de Posina.

1410 Henricus de Innsprug. 1428 Johannes Blanco de Alemannia.

Cognomi e luoghi

di derivazione germanica in Magrè vicino a Schio

Snichelotto, da snichelott. Bergozzo, da wehrgoss. Warlato, da wehrlat. Bizzego, da wiesseg. Bernecero, da wehrnezer. Danzo, da danz. Rossatto da rosschat. Ebberle. Giechelin, da giekelin. Luccarda, da looch, pronunzia luc, e hart. Panozzo da Pannosch. Pozza. Sandri da sander. Smiderle, diminutivo di schmidt fabbro. Tomiello. Bernerdele da wehrnerdel. Baice da weisse, Balasso, da wallasch. Baron. Brizzi, da britz. Ciscato, da ziskat. Cenzato,

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— 58 — da zenzat. Conzato, da Conzat. Gonzo, da gonz. Cucco, da kuch. Corà. Massignan. Cencherle, da zenkerl. Gresele, da kresel. Spil­lare, da spieler. Pojare, da pojar. Girardi, da gherardt. Griante. Gavasso, da kavasch. Gressar. Zaltron. Manfron. Massignan. Pa-nozzo, Ruaro. Rampon. Tresso. Viero.

Contrade

Castrazzan, da kastrazzan. Rovo, da row. Ebene, piano. Cor-bara. Sareco, da scharreck. Castellon. Baga. Tozzi. Kehle. Bar-balaita, da wart, loca munita et leit via, motus in via.

Voci e denominazioni

delle Contrade e Famiglie del Comune di Tretto

d'origine Germanica

Cerbaro, Greselini, Alba, Ballestrini, Covole, Romare, Pecare, Costa, Pozzani di sopra, Pozzani di sotto, Pedrocchi, Tiella, Por-naro, Bonati, Quartiero, Laita, Sostere, Falzoje, Zaffonati, Cisele, Zovi, Balare, Giara, Mazzega, Marzarotti, Marcare, Proveste, Snorche, Buzzacari, Cesura, Zanei, Gecheletti, Bogotti, Xausa, Righele, Conzati, Fazzi, Costenieri.

Bazzon, Bogotto, Buzzacaro, Bonato, Broccardo, Cerbaro, Crestana, Calgaro, Costeniero, Crosato, Ceresara, Dall'Alba, Del-lai, Frizzo, Federle, Faccin Facci, Feracin, Festaro, Galdeman, Greselin, Gonzato, Guli, Ligizzolo, Marzarotto, Pozzan, Pornaro, Penzo, Quartiero, Raumer, Reghellin, Righele, Zaffonato, Zordan.

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— 59 —

XIV.

TRADIZIONE

Ove mancano i documenti la tradizione è la guida più sicura per determinare le origini di un popolo.

Quando s'interroga uno dei Sette o Tredici Comuni egli vi risponde sempre se in singolare Ik pin an Cimbar, e se in plu­rale Bir sain Cimbarn. Cioè, sono o siamo Cimbri e non mai tedeschi. Il popolo Vicentino li chiama Cimbri, Sciaussi, (da deutsch) pronunzia daisch o crautari perchè si cibano di cavoli acidi Sau-erkraut Choucrute dei francesi.

Il Gallo era l'antico simbolo dei Cimbri, così pure del Co­mune di Recoaro.

Tale emblema trovasi dipinto nell'attuale Casa Canonica parrocchiale in una parete rivolta a settentrione con appiedi una iscrizione in lettere cabalistiche.

Se stimo e credo esser a proposito di trascrivere testual­mente quanto sopra di questo soggetto scrivevasi nella Miscel­lanea Lipsiensi nov Vol. pars. III. pag. 511, « Verum ob pu-gnacitatem eadem avis præcipue Marti sacra ab Aristophane (In avibus p. 580, Martis pullus nuncupatur cumque Eucherius Im­perii et Principis Symbolum appellat. Hac de caussa Galeae Idoli Jrminsul vel Ermensul in oppido S. Petri, in Monte Martis apud Saxones olim culti, ved. Histoir de l'Accademie des iscriptions, Meibomius Rerum germanicarum. T. III. p. 188. Fürstemberg monumenta Saxonica p. 102. Warferbach de Irminsula Saxonica, cujus descriptionem habemus apud Erastium et Maurinos insidebat Gallus gallinaceus. quod magnorum bellorum erat signum. Idcirco Gallum frequenter in insignibus sculpebant ut docent nonnulli (V. Beverlinch Magnum Teatrum vitæ humanæ T. IV. p. 323) ex Pausania auctoritate qui Idomeneum Minois Nepotem a Pasiphæ Solis filia oriundum, in scuto Gallo gallinaceo usum fuisse tra-didit. Item Tullius lib. II. de oratione, et Plinius lib. XII. XXXV.

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— 60 — C. IV. Gallum in foro romano et scuto pietum demonstrant, quem a Iulio Cæsare positum fuisse duetor est Quintilianus. Illum enim obstrepenti Helvio, ac sæpius urgenti qualem se tandem osten­surus esset, indigitasse narrat imaginem Galli, depictam in SCUTO

MARIANI CIMBRICI cui tune Helvius simillimus videbatur. Miscel­lanea Lipiensi nov. pars. III. pag. 511.

La statua dell'idolo di Ermensul nell' elmo aveva e portava scolpito un gallo.

In ea statua hominis armati imago erat cujus galeæ gallus insidebat thoraei insculptus ursus Clypeo de humeris dependenti leo : dextera vexillum tenebat cum in signi rosæ agrestis sinistra lancem æqualem.Georgius Fabbricius Originum Saxonicar lib. 2 etc.

La distruzione di Irminsul

Questa distruzione avvenne l'anno 772 dopo Cristo, prima della guerra Sassone nelle contee di Wormuss, da Carlo Magno decretata e con felici auspicii cominciata. Avea Egli a questa epoca circa trenta anni. Prosperi furono i cominciamenti della guerra, chè nel primo impeto fu espugnato Eresburgo fortissimo castello. Occupato il luogo si passò alla demolizione del Tempio, ciò che fu il totale eccidio di inveterata superstizione. Sapientemente operò Carlo, imperocchè mostrò ai Sassoni essere inane la fiducia che avevano posta nella tutela e patrocinio di imbelle divinità, di cui si facilmente riportò vittoria, ed i ruderi dissipati e sparsi giacevano avanti i loro occhi. E di più tolto il fomite e l'inci­tamento della idolatria, comodissimo adito aperse alla propaga­zione della vera religione

In quel Tempio, ricordo esser stati ritrovati molti e ricchi donativi di re, di principi e di genti, come sono doni votivi e e fra questi corone, scudi, vessilli, spade o arredi della sacra mensa d'ogni genere, come vasi, campane, timpani d'oro, turiboli ed anella ed altre cose molte d' oro, d' argento, di bronzo, in fine tesori di inestimabile prezzo ivi accumulati dalla inconsulta prodigalità di coloro che scioglieano i voti. Tutto questo divenne

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— 61 — preda del vincitore che distribuì in parte ai soldati perchè fos­sero più alacri nel combattere, e in parte fu destinata a pii usi in testimonianza di gratitudine. L' idolo stesso atterrato per con­tumelia dalla colonna fatta con arte fabbrile, e spezzata, e tutta la mole del sacro edifizio fu adeguata al suolo, il quale da molti secoli per la sua magnificenza era oggetto di grande ammira­zione ai visitatori. Dicesi che nella demolizione si impiegarono tre giorni interi, occupando in ciò una parte dell'esercito, men­tre l'altra in armi teneva indietro il nemico. Eravi in quel tempo una grande siccità, essendo all'asciutto ogni rivo, ogni fonte, e l'esercito cominciava a patir la sete; quando meriggiando esso, all' improvviso zampillò abbondante una fonte, dal beneficio della quale ristorati uomini ed animali, si prese il pio proposito di tor via l' infame superstizione. — Meibomius, delle cose Germaniche T. III. C. 1. p 6. intorno ad Irminsul primo Idolo dei Sassoni. —

Dopo questa strage, dopo aver disertata tutta la Sassonia, di aver sperperato tanti tesori d'arte raccolti nel distrutto tempio d' Irminsul, e di aver tuffati i Sassoni renitenti al Battesimo nei flutti dell'Elba, il pio Imperatore secondo il costume di quei tempi fece intervenire la Divinità con l'erezione di un tempio sulle rovine di quello d' Irminsul. Il Cardinal Baronio ci ha con­servata la Bolla d'istituzione di Papa Leone che trovo opportuno di ristampare perchè illustra la voce Rasta usata ancora in Re-coaro.

Leo Servus Servorum Dei. Karolo M. Imperatori Romanorum Augusto. Piæ tuæ in-

tentioni per omnia congaudentes, quod jubes. annuere non tar-damus. Igitur hunc montem Eresburg quem expugnatum cum tota Saxonia Deo obtulisti. et per nos B. Petro consecrasti. libe­rimi ab omni humana potestate esse et fratrum inibi ad Christi servitium adunatorum ditioni tantum modo parare censemus. Qui ne aliquid in hoc impedimenti patiantur neve regni vestri inva-soribus aliqua rebellandi fiducia præparetur. sed anathemate S. Petri interdicimus, ne quis unquam bellica in ipso monte præsidia collocare, aut decimas circa montem per duas Saxonicas Rastas. quas illue delegasti audeat diripere. Iloe (conservantibus) sit pax a Deo patre: infringentibus. excomunicatio et a Beatorum

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— 62 — collegio sit separatio, in æternum. Datum Eresburgii per manum Ioannis Bibliotecari et Cancellarii Ecclesie Romanæ Kal Jan. DCCCIV. Leon tertii 4 Inditione n. 8. Dedicationis Capellæ in Eresburg.

In hoc privilegio (quod obiter monere libet consideranda est vox Rasta, mere Germanica, usitata mediæ ætatis scriptoribus. Adamus Brementis: (Lib. 1. Cap. 23.) Locus Ramsola in Epi­scopatu Verdensis positus, ab Hamburgensis tribus disparatur Rastis. Quod Crancius Metrop. (Lib. 1. Cap. 34.) sic exponit, tribus disparatur rastis, hoc est passuum millibus Vetus est vo-cabulum teste Hyeronimo, cujus in Joelem verba sunt: Nec mi-rum si unaquæquæ gens certa viarum spatia suis appellat nomini-bus cum Latini mille passus vocent, et Galli Lecuas, et Persæ Parasangas et Germanici Rastas. Saxonibus adhuc hodie Rasten vel Resten est vel a labore vel ab itinere quiescere.

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