Campane di Posina - Anno 2004-2005

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Bollettino Parrocchiale Campane di Posina-Laghi-Fusine-Castana 2004-2005

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CAMPANE DI POSINA FUSINE, CASTANA e LAGHI

Sede: Piazza G. Marconi 36010 POSINA (Vicenza) tel. 0445 748118

Pubblicazione PRO MANOSCRITTO delle Parrocchie di: S. Margherita V.M. in Posina, S. Rocco in Fusine, S. Pietro Apostolo in Castana e S. Barnaba in Laghi

Stampa: Stab. Tip. G. Fuga & Figli - Arsiero

In copertina: Posina dall'alto Foto: Roberto Lorenzato

Un ringraziamento a tutti i collaboratori

Le offerte raccolte dalla distribuzione del bollettino sono destinate alle opere parrocchiali.

Il Signore ama chi dona con gioia!

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Si apre una finestra... È la prima volta che scrivo nel nostro "Campane di Posina" e mi sono detto che que­

sta è un'occasione da non perdere per entrare in silenzio nelle vostre case, nelle contra­de, tra i nostri emigrati.

Credo anche sia giusto esprimere con don Roberto (parroco insieme a me) il mio gra­zie a quanti in diversi modi, mi hanno aiutato ad entrare in questa nuova realtà, a quan­ti mi hanno spalancato le porte delle loro case e del loro cuore come anche l'ospitalità che mi ha fatto sentire subito "in famiglia".

Non so quanto possano interessarvi i sentimenti che nascono nel mio cuore, ma sono convinto che si diventa amici soprattutto quando si è capaci di comunicare qualcosa di sè stessi.

Nel mese di maggio dell'anno scorso stavo tranquillamente preparando le ultime atti­vità dell'anno pastorale ed il campo scout in parrocchia di Bertesinella, quando una tele­fonata... davvero mi ha cambiato la vita!

Il Vescovo infatti mi ha chiamato e proposto di essere parroco assieme a don Roberto con e per voi della Val Posina e di Arsiero.

Una finestra si è spalancata, anche se a dire il vero però finora ho guardato soltan­to. In silenzio, con dolcezza, in punta di piedi, senza troppo disturbare, comincio solo ora a conoscere i primi volti, le prime storie, le nostre contrade. Insieme con don Roberto, ho goduto dei primi paesaggi, dei colori della natura e del silenzio che ti fa pregare, anche se non lo vuoi. Là in fondo c'è il Pasubio con tutta la sua maestosità e la sua storia, la Perlona, il Monte Spin, ... il Gamonda, il Monte Majo, il Priaforà, le contrade, i sentieri ora appena trac­ciati che parlano di strada, di fatiche, di sacrifici, di incontri, di nostalgia.

La natura, diceva Baden Powell, fondatore del Movimento Scout, è anch'essa parola di Dio, la grammatica, il libro che ti porta alla meraviglia, alla scoperta, all'incontro e così mi sono messo subito a studiare questa "grammatica" davvero speciale ed unica.

Ho voluto avvicinarmi pian piano a voi per imparare. Ho visto gli occhi e le mani dei nostri anziani: occhi limpidi e belli, mani che parlano ancora oggi di sacrifici, di lavo­ro, di lacrime, di ricordi. Sopra la credenza di ogni cucina, il luogo "sacro" di ogni casa, trovo le fotografie di bisnonni, nonni, genitori, parenti emigrati all'estero presenti nel cuore e negli affetti di ogni famiglia, tanto che nei primi incontri con alcuni di voi, il pen­siero correva là, guardando le fotografie ingiallite dal tempo.

Desidero con don Roberto, farmi compagno di viaggio, avere l'atteggiamento dell'a­scolto più che della parola per portare a ciascuno il "sorriso di Dio" la Sua vicinanza specie nei momenti della solitudine, dell'amarezza, della croce.

In questo farmi vicino, vorrei che il mio affetto, se non la pia presenza, sia anche là dove vivono e lavorano i nostri emigranti che anche adesso, credo, si portano dentro il profumo dei nostri boschi, della terra ed il ricordo "geloso ed unico" della casa e della contrada da cui sono partiti.

Anche loro sappiano attraverso questo primo augurio, di esser presenti in modo diverso, ma non per questo meno forte, nel mio cuore, nella mia preghiera, riconoscen­do in loro tante storie fatte anch'esse di amarezza e di sacrificio. Appena arrivato, mi sembrava giusto, sono entrato quasi subito nelle nostre chiese, costruite in anni non certo facili dal lavoro dei nostri anziani: lì ho trovato i segni di una

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Posina è... incontrarsi

fede semplice ma forte, ma anche i segni degli "acciacchi del tempo". Tutte le nostre case, anche quelle là su in alto nelle contrade, cerchiamo di renderle

belle e accoglienti. Mi domando: "E la Casa del Signore?" Sono convinto che la vogliamo altrettanto bella, pulita, rimessa a nuovo perchè la chiesa è il luogo che il Signore si è scelto per "piantare la sua tenda tra le nostre tende", per "piantare la sua casa tra le nostre case", là dove lavoriamo, fatichiamo, camminiamo.

È per questo, non per altro, che mi auguro ci sia una risposta per il restauro della nostra chiesa in cui probabilmente siamo stati battezzati, in cui abbiamo imparato a conoscere il Signore.

Lo sappiamo come le offerte ordi­narie non sono suffi­cienti per coprire le spese ordinarie: ora c'è bisogno di un sup­plemento di carità da parte di tutti per la manutenzione straor­dinaria.

Approfitto di que­ste pagine per chiede­re scusa se in questo primo incontro non ho potuto (non volu­to!) avvicinare tutti come sarebbe stato giusto e mio dovere, credo anche che sap­piate essere vicini a questo prete che però vi vuole bene essendo questa della Val Posina e di Arsiero la mia famiglia.

don Stefano

Non ultimo, rin­grazio quanti in diver­so modo con tenacia, come coordinatore o con l'apporto di arti­coli hanno reso possi­bile questo numero di "Campane di Posina, Laghi, Fusine, Casta­na".

7 ragazzi del catechismo con le loro insegnanti e don Roberto

Foto: Roberto Lorenzato

Gruppo Escursionistico di Posina a Malga Bisorte

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Antichi splendori

La grande migrazione avvenuta nei secoli scorsi tra il XIX-XX sec. (1800-1900), cambiò di molto l'aspetto e l'i­dentità di numerose contrade di Posina; se in talune contrade si pote­va contare su abili artigiani, o altre figure simili, con l'emigrazione tutto cambiò.

Numerose contrade si spopolavano improvvisamente, per la guerra e successivamente per la mancanza di lavoro, furono sicuramente queste alcune delle cause più deleterie del fenomeno.

A distanza di molti anni non c'è stato ancora quel ritorno sperato alle contrade, molte cose sono cambiate. Lo stile di vita, le comodità, la men­talità della gente, il boom economico registrato dopo la metà del 1900, hanno influenzato la vita di molti.

Ciò nonostante esistono delle ecce­zioni: d'accordo, oggi le contrade sono state recuperate dai nuovi proprietari, almeno così qualcosa è rimasto custodito. Per comodità di ricavare notizie ed elementi di ricerca, mi sof­fermerei sull'abitato di via Munari: un tempo si contavano quattro osterie, due di esse ave­vano la "corte" per il gioco delle bocce (dal Costa e dal Castello); c'erano pure tre prati­canti "scarpari" (calzolai) Smittarello, Losco Ettore e Dante; una "ovarola" (Melina) che praticava il baratto con sapone per candeg­giare; un veterinario conosciuto con il nome di Riccardo; un ufficio postale; una "stazione metereologica" gestita da una signora (madre di Smittarello Arduino detto Totò) e per concludere ai Munari vi era la residenza del Podestà: l'industriale signor Gaetano.

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Particolare di via Munari con residenti ed emigranti nell'estate 2004.

Foto: Roberto Lorenzato

Chissà se la stessa via ricevette il toponimo dall'antico mestiere del mugnaio (munaro). Sembra di sì, se pensiamo che poco lontano dall'abitato, a valle, esistevano numerosi mulini.

Tutte queste figure elencate con il passare del tempo e il manifestarsi degli eventi, spa­rirono, si estinsero, rendendo vuoto e silen­zioso il caseggiato.

A distanza di parecchi anni con l'apertura del negozio "la Botteghetta" lì nella stretta di via Munari, pensando alle cose appena scrit­te, mi chiesi: "Chissà se il timone del tempo ha invertito la rotta...".

Roberto Lorenzato

[email protected]

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W l'acqua! A Peralto per un giorno si respira ancora l'atmosfera di più di 50 anni fa...

In occasione del 50° anniversario della costruzione delle fontane nelle contrade della Val di Riofreddo, grazie alla "legge sulla mon­tagna" del 1952, abbiamo deciso, con la grandissima collaborazione dell'associazione "Le Cinque Valli", di fare festa per un bene preziosissimo, proprio l'acqua. L'idea è partita due anni fa dalla "bambina più piccola della contrada" nel 1953, la signo­ra Ivana Comparin, che oggi ha ceduto il tito­lo a Soraya Busato e che guardando vecchie fotografie ha pensato di ricordare e far cono­scere a tutti la vita della gente delle nostre contrade e le fatiche di ogni giorno, quando non esistevano ancora gli acquedotti, le lava­trici, tutte le comodità che noi abbiamo. Rovistando tra i vecchi ricordi abbiamo recu­perato fotografie, documenti, attrezzi, vestiti e siamo riusciti ad allestire due piccoli musei,

Momento di festa in Contrà Peralto

ricostruendo la camera degli sposi, la cucina della signora Cecilia e l'angolo degli attrezzi del signor Giovanni. Tutti quelli che ci sono venuti a trovare, cam­minando tra le quattro contrade di Crosara, Peralto, Maga e Cise e ascoltando le "ciacole" di tre "esperte guide turistiche" (Michele Berta che ha anche immortalato le pose ed i momenti più belli della giornata, Susi che ha coordinato le varie attività ed io che li ho affiancati cercando di imparare l'arte!) hanno potuto scoprire le bellezze ancora quasi sco­nosciute e le storie della gente della valle. Abbiamo sistemato il vecchio sentiero che, prima dell'arrivo del nuovo acquedotto, gli abitanti di Peralto seguivano per andare alle "tre fontane" a prendere acqua e che prose­gue fino a Crosara tra boschi e campi. A mezzogiorno non potevano mancare natu­

ralmente gli gnoc­chi della Irma e per i coraggiosi escur­sionisti che affron­tavano la "Lispa" in contrada ad aspet­tarli vi era un abbondante ristoro. Al pomeriggio ci sono venuti a trova­re, per allietare la festa, il "Ludobus", per la gioia dei più piccoli e più tardi il gruppo di danze popolari "I

Tirinballo" ed il coro "Monte Caviojo". Tra canti, balli e scorpacciate varie

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però alla fine della giornata non doveva mancare un momen­to più serio. Ringraziamo infatti il nostro parroco Don Stefano che ha bene­detto l'acqua delle fontane, riunendo tutti i presenti alla festa in un momento di preghiera. Abbiamo lavorato tanto e per noi è stata una grande occasione per mette­re "in mostra" ciò che ci è tanto caro e che vogliamo recuperare e salvaguardare nel tempo.

Ringraziamo ancora tutti quelli che ci hanno aiutato per questa giornata e, oltre alle persone già nominate, anche l'As­sociazione Culturale ed il Piccolo Coro di Castana, la Comunità Montana e il Comune d'Arsiero. Il nostro lavoro non è finito e questa festa è solo l'inizio!

Sperando di ottenere sempre degli ottimi risultati, veniteci a trovare!!!

Vi aspettiamo.

Vanessa Busato e il "Gruppo di Peralto"

Incanto di Natale a Laghi

Cavallaro: Chiesetta S. Valentino

Il paese di Laghi si è vestito a festa prima e dopo Natale, nel giorno della Vigilia e nel giorno di Santo Stefano, per accogliere chi ha voluto condividere l'emozione dell'accensione del presepio nel lago, del corteo dei pastori con le zampogne, delle luci del mercati­no in piazza. Appena arrivato l'imbrunire si sono accese le luci del presepio costruito nell'acqua e il riflesso ha assunto le forme di una magia. Subito dopo un corteo di fiaccole è partito dai laghetti e si è sno­dato per un breve percorso fino alla piazzetta, assieme ai pastori, al loro gregge di pecore, al suono delle zampogne. Attorno al cam­panile era allestito il mercatino: si poteva acquistare, per la gioia dei bambini, la calza della befa­na, quella di un tempo con pochi dolci, le carrube, i mandarini, le noci, le mele di Laghi e della valle. Nelle bancarelle anche i prodotti della terra, i fagioli, le patate, i formaggi, le pere di

Foto: Omar Oliviero

antiche varietà. Negli stand della Pro Loco, addobbati con rami d'a­bete, veniva servito il vin brulé con l'aroma delle spezie, la cioc­colata calda e si potevano assag­giare i famosi gnocchi di Laghi. Nel mezzo della piazza, accanto ad un grande falò si potevano ascoltare i canti e le musiche delle nostre tradizioni. Un piccolo salbanelo, l'omino fantastico delle nostre antiche fiabe, è stato il simbolo di questa suggestiva manifestazione, ricreato in picco­le statuette assieme all'anguana, all'orco e alla stria. Il giorno di Santo Stefano la chie­sa di S. Barnaba si è riempita come ogni anno in occasione del concerto: un appuntamento importante che ha più di dieci anni e che ha visto la partecipa­zione di tre gruppi corali.

L'appuntamento è per il prossimo Santo Natale d'incanto, a Laghi.

Nadia Dal Molin

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Posina si riscopre cimbra

Si può affermare che Posina, dopo essere stata dimenticata da storici, linguisti ed esperti di toponomastica sia cimbra che veneta, si riscopre in buona parte di origine cimbra. D'altronde essendo circondata da zone di colonizzazione teutonica non poteva essere diversamente (senza ovviamente dimenticarci dei nomi e insediamenti vene­to-latini).

Lo conferma l'accurata ricerca che da qual­che anno sta impegnando De Pretto Renato e Lorenzato Roberto, assessore allo sport e alla cultura della nuova amministrazione comunale da poco insediata, entrambi forte­mente appassionati della loro valle.

La ricerca è nata qualche anno fa nell'in­tento di fermare nel tempo i numerosi nomi di luogo presenti ancora nella tradizione orale delle persone più anziane che, fino agli anni '50-'60, praticando un lavoro prevalen­temente agricolo e boschivo erano a contat­to quotidiano con questi microtoponimi.

La prima parte consisteva nel raccoglierli contrada per contrada, una raccolta che è durata più di un anno (grande soddisfazione ha dato l'accoglienza, la collaborazione e le calorose chiacchierate fatte con le persone interpellate).

Si sono raccolti più di mille nomi dei quali circa 300 di origine cimbra.

A questo punto sembrava doveroso intra­prendere il difficile lavoro di dare un signifi­cato ai nomi raccolti, pur con la consapevo­lezza dei propri limiti. Il metodo adottato è stato quello del confronto con libri di illustri studiosi, libri di toponomastica, vocabolari cimbri, veneto antico, latino medievale, ecc. Inoltre, cosa molto importante, il confronto con il significato dato e il luogo così chiama­to.

Si scopre così, che a Posina i primi insedia­menti furono intorno al 1000, rari insedia­menti forse all'inizio stagionali per sfruttare i

grandi pascoli sui monti più alti, i quali con i loro nomi di origine latina (per esempio: Pasubio, Novegno, Monte Alba, Vaccareze, Cima Quaro, Malga Buse, Passo della Borcola, Passo Xomo, Campedello, Campiglia, ecc.) confermano la provenienza dalla pianura.

In seguito dopo la discesa delle prime qua­ranta famiglie bavaresi documentate nel 1053 sui monti del veronese e vicentino, chiamate dai vescovi e dai signorotti allora feudatari per dissodare e mettere a coltura la zona montana, seguirono altri piccoli gruppi di famiglie o comunità.

Si può dire con approssimazione che i primi coloni tedeschi si insediarono a Posina poco prima del 1200, lo testifica la nota studiosa fiorentina, Giulia Mastrelli Anzilotti in "Gli insediamenti cimbri dei tredici comuni vero­nesi e dei sette comuni vicentini", estratto da Archivio per l'Alto Adige, rivista di studi alpi­ni 1988, la quale afferma: un documento databile 1200 che è conservato nell'archivio trentino dello statthalterei-archiv di Innsbruk, parla di coloni tedeschi chiamati sull'Altopiano di Folgaria e di Lavarone dai signori di Caldonazzo e fra tali coloni c'è un Enrico de Posena e Posena è senza dubbio Posina nel vicentino.

Aggiunge: un altro documento datato 16 febbraio 1216 e riportato nel Codex Vangianus attesta come il vescovo di Trento Federico Vanga conceda che, sempre sull'Altopiano di Folgaria, vengano costruiti 20 masi dallo stesso Enrico de Posena e dal suo compaesano Ulrico. Questi sono i primi due documenti nei quali si nomina per la prima volta il nome di Posina.

Il periodo della colonizzazione cimbra, quindi, continuò fino al 1300-1400 circa sovrapponendosi a insediamenti neolatini. La loro provenienza era dalla Baviera meridio­nale, dal Tirolo occidentale, dall'Oberinntal, dall'Oetzstal e da altre zone.

A Posina si parlò cimbro fino al 1600 e un

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mistilingue fino al 1700. Questa gente lasciò nella toponomastica e specialmente nei microtoponimi la testimonianza della loro lingua e delle loro attività, prevalentemente boscaioli e roncatori. Lo testimoniano i vari nomi di luogo raute = zona disboscata, ronco, praca, frata che segnò nelle centinaia di piccoli che si ripetono con lo stesso significato. I carbonai lasciarono gli spiazzi dove si faceva il carbone di legna. Poi segui­rono lavoratori di supporto come beber (contrada e anche cognome attuale) con il significato di tessitore; leder (contrada e cognome attuale) che significa lavoratore del cuoio; rader (contrada e cognome attuale) vuol dire ruotaio; serman (cognome attuale) e sermani (contrada) signifi­ca tosatore; rozzer = cavallaro; stoner = lavoratore della pietra (scalpellino); taizze (contrada Griso nel 1700) e soprannome taiz = tedesco; telder (contrada) = le valli; axe (contrada) = luogo della lepre; nolle (contrada) = cima o costa di monte scoscesa, lam-bre (contrada) = luogo di sassi; monte perlona = slavina dell'orso; el tale = la valle; val del pache = valle del torrente; bainerche = costa dei vignali; e altri: tapelucche, cassetale, caseneche, moiental, cafraute, rotempale, pernipale.

Contrà Leder, alle pendici del M. Majo. Il nome di fattura cimbra richiama l'antico mestiere

dei lavoratori del pellame o del cuoio.

Foto: Roberto Lorenzato

pletamente tradotti in veneto o italiano; lo dimostra l'estimo del 1707 dell'archivio di Stato di Vicenza nel quale si attesta, un certo Iseppo Gaigar detto "pruchele" nel Maso del Pruchele, e nel 1733 lo stesso Iseppo Gaigar detto "pontesello" nel Maso del Pontesello.

Naturalmente questa ricerca verrà raccolta in un libro con l'intento di aver dato un con­tributo per capire da questi nomi, l'influenza di secoli di attività sulla trasformazione agri­cola e forestale del territorio.

Renato De Pretto

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Poi altri nomi di contrade veneto latine, quali leparo = luogo della lepre; molesini = terreno molle, umido; pistore = fornaio; benetti da benedetto; ligheli = chi ha giurato fedeltà al proprio padrone (periodo del feu­dalesimo). Poi una serie di contrade, nella parte bassa della valle Maraschini, Fornasa, Morini, Bagattini, Caprini, ecc.

Si sta consultando anche la toponomastica storica dell'archivio di Stato di Vicenza, atti notarili dal 1500 e estimi dal 1700 al 1800, gli unici rimasti, con discreti risultati. Molti dei nomi trovati sono scomparsi e altri com-

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ulteriori chiarimenti

In riferimento all'articolo da me scritto e pubblicato su Campane di Posina 2002-2003, pag.19, mi si è fatto notare che, prima di scrivere che Giovanni Stedile è stato effettivamente attendente di Garibaldi a Caprera, avrei dovuto documentarmi di più. In aggiunta mi è stato detto che Stedile non era tra i Mille di Garibaldi, e questo è vero. Infatti già sapevo che tra i Mille di Garibaldi c'era un altro Posenato, un certo Giovanni Lighezzolo, menzio­nato anche su una targa pre­sente a Porta Castello, a Vicenza. Su questa targa sono incisi i nomi dei Garibaldini di Vicenza e provincia, partiti per l'eroica impresa. Su queste cose avrei da fare alcuni chia­rimenti:

1°: il Bollettino Parrocchiale non è un libro di storia Ben lungi dall'esserlo, il nostro amato Bollettino Parrocchiale ha riportato in tanti anni diversi fatti, storie ed avvenimenti. In modo par­ticolare sono stati descritti avvenimenti quotidiani che riguardano la vita del paese e dei suoi abitanti, nonché sto­rie di varia natura descritte da persone della valle, ed altro ancora. Alcuni racconti sfiora­no la leggenda e a volte le storie riportate vengono, per diversi motivi e non in modo intenzionale, leggermente modificate o alterate col pas­sare del tempo.

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Il mio articolo ha riportato i fatti descritti da Remo Dall'Osto, nipote di Giovanni Stedile. È noto a tutti qui in paese che questo amato garibaldino, era stato effettivamente atten­dente di Garibaldi. Chi non dovesse credere, per ragioni sue, a questi fatti riportati da Remo, non dovrebbe fare altro che andare a trovare Remo in persona, per conte­stargli la sua storia o per chie­dergli chiarimenti. Comunque, prima di arrivare a questo, posso dire di avere trovato un'altra testimonianza scritta riportata su un libro edito nel 1989, dal titolo "Tra Astico e Posina", scritto dal dott. Antonio Brazzale dei Paoli, edizioni "La Serenissima". A pag. 63 del libro è riportato che Giovanni Stedile fu attendente di Garibaldi a Caprera.

Occorre capire che il Bollettino Parrocchiale è un giornalino serio, come lo è sempre stato, ma di modesta fattura. Non si può pretende­re che chi riporta delle storie sul Bollettino vada a docu­mentarsi alla biblioteca Bertoliana di Vicenza e che impieghi tempo a dismisura per ottenere precise ed inconfutabili documentazioni che attestino un fatto. Questo lo si può e lo si deve fare quando si scrive un libro mirato ad un preciso argo­mento, in questo caso di sto­

ria. Spesso nel Bollettino si riportano storie narrate dagli stessi paesani e non è il caso di non credere a queste sto­rie, anche perché, in molti casi, sono fatti noti anche ad altre persone o cose già risa­pute.

2°: la spedizione dei Mille è solo una delle innumerevo­li imprese di Garibaldi Forse qualcuno pensa che chi non è elencato tra i Mille di Garibaldi, non abbia fatto parte delle sue schiere di combattenti. In effetti, Garibaldi ha combattuto molte battaglie ed è stato veramente un grande eroe del Risorgimento. Insieme a lui hanno combattuto migliaia e migliaia di uomini, che cre­devano in lui e nelle idee del Risorgimento. Non è possibile rilegare qualunque nome di garibaldino solo alla spedizio­ne dei Mille. Pensate che Giovanni Stedile non aveva ancora compiuto 13 anni quando ci fu l'ardua impresa dei Mille. Mentre Giovanni Lighezzolo aveva quasi 37 anni quando partecipò alla leggendaria spedizione.

3°: vedo con piacere che Campane di Posina è letto con attenzione Nonostante alcune difficoltà, di varia natura, negli anni, questa modesta pubblicazio­ne ha continuato a vivere e a testimoniare la vita del paese. So che Campane di

GIOVANNI STEDILE:

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Posina è sempre atteso con interesse dagli abitanti della valle. Ora il suo a p p u n t a m e n t o annuale è nel perio­do estivo. Bisogna cercare di mantene­re viva questa inte­ressante e caratteri­stica pubblicazione, cercando di farla uscire almeno una volta all'anno. Chi ha qualche racconto, qualche fatto o qual­che idea che ritenga possa essere inserita nelle pagine del Bollettino, si faccia avanti, scrivendo di persona, se può, o esponendo la sua storia a chi si occupa di raccogliere i vari articoli da pubblicare (Roberto Lorenzato, nella maggior parte dei casi). Ritengo che sia di fonda­mentale importanza non perdere

Campane di Posina. Posina, negli anni, ha perso diverse cose. Non facciamo in modo che anche questo appunta­mento annuale con il Bollettino Parrocchiale venga a mancare irrimedia­bilmente. Sarebbe una grave perdita per tutti.

Agosto 2004

Roberto Salerno [email protected]

L'ultima delle "Terragnole" La mostra mercato tenutasi l'ulti­ma Domenica di Ottobre, mi ha dato l'occasione di conoscere una persona veramente particolare: la signora Ines Gerola classe 1931 dai Scottini, contrada di Terragnolo. La Ines sicuramente si può definire l'ultima delle "Terragnole", così venivano chia­mate in Valposina le donne tren­tine che, nell'anteguerra, dalla val di Terragnolo attraverso il passo della Borcola calavano a Posina per commerciare. In val di Terragnolo erano cono­sciute come le "Ovarole" perché di solito erano le uova oggetto di commercio.

Uova in cambio di mele, piantine di ortaggi vari, farina di grano

lavoro. In epoca post-bellica le "terragno­le" usavano esclamare: "andiamo in Italia". Questa curiosa afferma­zione è ancora ricordata oggi dalla signora Ines, rimembrando le figure più anziane del suo paese, ma soprattutto ricordando le origini Sud-tirolesi, con le tradi­zioni e culture, mentalità, che distinguevano i due stati, quello italiano e quello austriaco. Con la signora Ines è stata una breve e piacevole chiaccherata, conclusasi con una stretta di mano ed una foto ricordo. Arrivederci ai prossimi racconti.

Roberto Lorenzato [email protected]

La signora Ines Gerola classe 1931. L'ultima delle "Terragnole".

Foto: Roberto Lorenzato

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saraceno, ciliegie, salumi, formaggi. Ines racconta che quando praticava questo lavoro, utilizzava qualsiasi mezzo di fortuna per scendere in valle, verso la fine degli anni 1960 proprio sul fini­re di questa attività, giun­geva in paese anche in auto assieme ad un certo Livio. Non solo a Posina pratica­vano questo mestiere, ma le "Ovarole" si dirigevano anche a Valli del Pasubio, Arsiero, Vallarsa, calcando i vari sentieri e strade di collegamento dei citati paesi. Solo la neve dei mesi invernali interrompeva temporaneamente questo

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Austriaci e italiani fratelli nel ricordo Omaggio comune alle vittime della Grande guerra

di Giovanni Matteo Filosofo

La storia dell'uomo è fatta di sangue. Soltanto ricordando le tragedie passate ci può essere un futuro migliore. Se poi la memoria acco­muna i nemici di ieri e li fa fratelli, allora si può sperare nella pace. È stata questa la trama del pellegrinaggio commemorativo per

Foto: Roberto Lorenzato

le vittime del monte Majo e della val Posina durante 41 mesi di battaglie combattute nella Grande Guerra. Il paese, tutto pavesato di tricolore e degli stendardi biancorossi, ha accolto quanti sono saliti per un appuntamento atteso. Il corteo guidato dal drappello delI'VIII Genio Guastatori della "Folgore", comandato dal ten. Matteo Tuzi, è dapprima sfilato in parata, sulle musiche della Banda di Arsiero: una breve sosta meditativa al capitello del Cristo mutilo, seguita dalla deposizione di corone al monumento ai caduti, nell'ex cimitero milita­re. Poi, il trasferimento a contrà Cervi, lungo

la strada della Borcola, il luogo del ricordo attorno alla suggestiva chiesetta della Madonna di Monte Majo. Un posto d'onore è spettato alla folta delega­zione della Croce Nera dell'alta Austria, testi­monianza viva di sentimenti d'amicizia e di una visione sovranazionale della storia. Valori che hanno spinto ben dieci sindaci ad essere

presenti accanto al vicepre­fetto Scipioni, al rappresen­tante della Provincia Luciano Zerbaro, al presi­dente dell'Ana provinciale Giuseppe Galvanin, e al gen. Luciano Bocus dell'Ancr del Vicentino. Il presidente della Croce Nera Friedrich Schuster ha cedu­to la parola al suo vice Karl Harner per ricordare i 15 anni di profonda amicizia che lega Posina all'Austria. Poi, nelle inconsuete vesti di oratore ufficiale, il sinda­co di Posina Paolo Pertile, ha voluto ricordare gli orro­ri della Grande Guerra, che

ha toccato profondamente anche la valle, di altri conflitti successivi, e di quelli tuttora in corso. "L'evoluzione - ha detto - ha prodotto cultura, regole, valori, ma il vecchio e atavico tarlo dell'aggressività è ancora presente nel­l'animo dell'uomo. Per questo, le insicurezze e le paure permangono, nonostante la luce della pace". La pace, una speranza viva anche nell'omelia del cappellano militare, mons. Claudio Vanetti, insignito dalla Croce Nera con la massima onorificenza per i suoi servizi resi su vari fronti.

Mercoledì 28 luglio 2004 da "Il giornale di Vicenza"

Momento della celebrazione dei caduti del Monte Maio alla Contrà Cervi.

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P o s i n a . A l l a c h i e s a d e l l a M a d o n n a d i M o n t e M a j o

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La famiglia Costabeber in Brasile Nel nostro Bollettino parrocchiale sono trascrit­ti nelle sue edizioni interessanti notizie e infor­mazioni relazionate con i discendenti degli emigranti della Val di Posina. Come discenden­te della terza generazione della famiglia di Costabeber Luigi e Apolonia Benetti, rimetto questa collaborazione. Nella piccola città di Posina, in provincia di Vicenza, il mese di marzo del 1883, trascorre­va come al solito tranquillo così come l'attività dei suoi abitanti. Faceva freddo e le cime e pendici delle gigantesche montagne che cir­condano la località rimanevano ancora coperte di gelo. Ma c'era un'eccezione: un piccolo numero di famiglie vivevano giorni di preoccu­pazioni e d'angoscia. Siccome avevano deciso di emigrare in Brasile, cominciarono a prepara­re il lungo e penoso viaggio. Una di queste famiglie era Costabeber Luigi, sua moglie Benetti Apolonia e sei piccoli figli: Pietro (14 anni), Giovanni Battista, Leopoldo, Giuseppe ed Antonio, quest'ultimo sei mesi di vita. Luigi e Apolonia, dopo tanto riflettere e discutere la questione, optarono per l'emigra­zione. L'Italia povera e sovrappopolata non aveva più condizione di mantenere i suoi figli, invece il Brasile disponeva di abbondanza di terra e faceva in Italia un grande sforzo per accogliere l'immigrazione italiana. I Costabeber, nonostante l'amarezza di lasciare il luogo di nascita, i parenti, gli amici e cono­scenti, di affrontare il sacrificio di un lungo e penoso viaggio, di abitare in un altro paese, con lingua, clima, usi e costumi differenti, hanno deciso di emigrare. Nei primi giorni di aprile di quell'anno, assieme a un gruppo di famiglie posenate, si imbarca-rano sulla nave Patagonia con destinazione Brasile. Nel giorno 3 maggio, dopo i sacrifici di un viaggio in terza classe, stanchi, arrivarono al porto di Rio de Janeiro. La gioia fu immensa. Dopo giorni di attesa i posenati furono imbar­cati con destinazione a Porto Alegre (capitale dello stato del Rio Grande do Sul). È stato un percorso di 8 giorni in una nave di cabotaggio.

Fino a destinazione, 4a Colonia Imperiale di Silveira Martins, furono trasportati via fiume fino a Rio Pardo e dopo 6 giorni, seguirono a piedi e con l'ausilio di un carretto tirato da buoi, attraversando boschi e campi. Della sede della Quarta Colonia, furono incam­minati alla terra a loro destinata nella Linha Seis Dois. Il terreno era montagnoso e coperto di una foresta quasi impenetrabile. Arrivarono in una notte molto fredda e si accamparono sotto grossi alberi, in una valle, al margine del fiume Guradamor.

Dopo un penoso lavoro di disboscamento e coltivazione della terra, la famiglia Costabeber aveva già abbondanza in casa e un poco per vendere. In Brasile sono nati i tre ultimi figli: Catarina, Joao e Maria. Nove dei dieci discen­denti di Apolonia e Luigi si sposarono ed ebbe­ro un totale di 82 figli. Un'alta media di 8,2 per coppia. Davanti all'impossibilità di mantenere tanta gente nell'area di terra inizialmente destinata, dopo il matrimonio dei 9 figli, con eccezione di Giuseppe, tutti gli altri reimmigra­rono in nove regioni di colonizzazione del nord del Rio Grande do Sul. L'agricultura fu sempre la principale attività economica. Eppure, negli ultimi anni, un grande numero di discendenti hanno scelto l'esercizio di altre professioni di livello superiore: medici, dentisti, agronomi, ingegneri, computisti, economisti, ecc. Sicuramente, oggi la discendenzia supera 3.000 persone. Cirilo Costabeber della terza generazione, nel suo recente libro LA NOSTRA GENTE che contiene l'albero genealogico della famiglia di Luigi e Apolonia Costabeber è riuscito ad elencare 2.631 nomi. RIUNITA LA DISCENDENZA COSTABEBER. Qui al sud del Brasile è comune alle famiglie, principalmente d'origine italiana e tedesca, sparse nel paese, fare incontri periodici per fra­ternizzare, per consolidare i legami di parente­la tra fratelli, cugini ed amici delle diverse generazioni, per ricordare gli anni di lavoro e di difficoltà degli antenati, per potere trasmette­re ai loro discendenti migliori condizioni di vita

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e finalmente, per rafforzare lo spirito di italia­nità. La discendenza Costabeber cominciò anche a fare i suoi incontri itineranti. Il primo è stato fatto a Pejucara, nel giorno 3 maggio 1998. Il secondo a Silveira Martins, sede dell'antica Quarta Colonia. Il terzo, a Sao Luiz Gonzaga. Il quarto ed ultimo nella città di Ijuì, nel nord del Rio Grande do Sul. Il quinto avverrà nella mia città di Santa Maria nell'anno 2006. Tutti gli appuntamenti furono di due giorni di attività. Il primo è dedicato a una rotta turistica nella città sede dell'evento. La sera una conferenza sul tema dell'immigrazione e colonizzazione nel luogo visitato e finalmente cena. Nel secondo, domenica, la mattina le cerimonie religiose. Fino alle ore dieci nel salone parroc­chiale, c'è il ritrovo dei partecipanti, iscrizioni e merenda. In seguito, comincia l'atto principale dell'incontro con la solenne celebrazione della S. Messa. Nel 3° incontro, il vescovo della dio­cesi di Santo Angelo, D. Estanislau Amadeu Kreutz e sei sacerdoti, furono i celebranti. Nell'ultimo evento i celebranti furono il vesco­vo emerito della diocesi di Cruz Alta, D. Jacob Roberto hilgert, Frei Aleir Antopnio Gallina e Pe. Virgilio Costabeber. Risalto che il Pe.

Vergilio è discendente di terza generazione degli emigranti Luigi ed Apolonia. Ancora in chiesa, dopo la messa si sono fatti i saluti del presidente della commissione della festa e del sindaco del comune locali. In quella opportuni­tà, io ho fatto la presentazione del libro LA NOSTRA GENTE, nel quale ho elencato i nomi di 2631 discendenti degli emigranti Costabeber. Durante la manifestazione, dopo la messa, si è fatta una sfilata di macchine per le vie della città fino al club, dove si è pranza­to con musica, canzoni italiane, balli e incoro­nazione della regina della festa, che nel 2003 è stata la signorina Ana Libera Costabeber Searton. Alle ore 18.00 fine della festa.

Questo articolo è stato scritto affinché i pose-nati e il loro discendenti sparsi nel mondo sap­piano il destino di una delle loro famiglie di emigranti, che con il loro lavoro fecero la terra scelta, più ricca, più prospera e più felice, ma anche per raccomandare ad altre famiglie l'e­sempio e sentano la gioia di fare incontri fami­gliari.

Cirilo Costabeber

Chi desiderasse scrivere storie di altre famiglie di Posina emigrate nel mondo, è ben accetto.

Verranno pubblicate sui prossimi bollettini.

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Santa Messa del secondo Incontro discendenza Costabeber nella chiesa di Sant'Antonio a Silveira Martins

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CIRILO COSTA BEBER nato il 27 aprile 1920 a Cachoeira (Brasile) originario di Posina residente a Santa Maria Brasile

Cirilo Costa Beber è un emigrato di terza generazione, che non ha mai dimenticato e non ha mai voluto dimenticare le sue origini italiane e la difficile strada percorsa dal nonno, che partì nel 1883 da Posina.

Questo suo amore per la terra d'ori­gine è oggi molto evidente in tutte le cose che egli ha saputo fare, con intelligenza, tenacia e quel pizzico di fortuna che "arride agli audaci". Uomo colto e imprenditore di sicu­ro successo in varie imprese com­merciali, con un fatturato comples­sivo che nel solo 2000 ha superato i 15 milioni di dollari, egli ha voluto ricordare la sua terra d'origine inse­rendo sempre, nelle ragioni sociali delle sue attività, nomi quali "Posina" e "Italia"; origine e storia di emigrazione che ha anche onora­to con libri da lui scritti e pubblica­ti, quali "Na terra do sonhos", "La storia della famiglia Costa Beber", "La storia dell'economia del muni­cipio di Santa Maria". Fondatore e oggi Consigliere del Circolo Vicentini di Santa Maria, dove egli vive ed opera, anche in qualità di Presidente della Camera di Commercio della Città ed espo­nente di spicco dell'economia loca­le, ha saputo essere punto di riferi­mento per la Comunità italiana e tramite qualificato per il costante mantenimento dei rapporti fra gli emigrati in Brasile e la terra d'origi­ne vicentina.

Testimonianze del passato tra Posina

ed il Sud-Tirolo

Abina Costa (1910) Aspettate che vi racconto la mia storia... Sono venuta a 14 anni alla "màsera" di S. Giorgio di Rovereto, con mia sorel­la maggiore. Quattordici anni eh! e mia sorella ne aveva sei di più, quindi venti. Ero la più giovane, ma ero grande come sono adesso... e là sono rima­sta, il primo anno, sui trentotto, quaranta giorni. E dopo è venuta una qui di Volano, che aveva l'osteria, e mi ha preferita qui, al bar. La più piccola eh! Mia madre "no, no te lasso nar, te sei massa zòvena...". Dunque, partire da Posina, venute su a piedi dalla Borcola, sei ore di cammi­no; ero giovane, con le scarpe brutte. Siamo arrivate alla "màsera" e là mi mettono con tutta questa brigata - eravamo in venticinque, ventotto, non mi ricordo quante, tutte da Posina... fino al '25, '26 erano tutte da Posina le donne della "màsera", dopo hanno cominciato ad andare queste qua del Trentino. In fondo era anche una bellezza, perchè alla sera canti si facevano! Si andava per Rovereto, al cine... una bellezza era... Noi venivamo su perchè le trentine non volevano andare alla "màsera", erano signore, questa è la verità.

lo mi ricordo, perchè ho 69 anni, stavano molto bene i trentini; le vicentine erano "lavoratore", loro andavano "no le sbazilàva"; le più tante restavano qui quaranta giorni, per il tabacco verde e dopo tornavano ancora su. Dopo hanno preso quelle del Trentino e quelle di laggiù non le hanno più volute. E allora, quelle laggiù sono andate tutte a servizio; se andate giù non trovate più nessuno; troverete quattro vecchie come me... Qua stavamo bene; guardate che in ogni casa avevano una serva, qua a Volano. Tutti, quasi, per noi era una miseria... Veniva giù a prenderci uno qui da S. Giorgio, ho in mente ancora il nome, Berto; era anni che veniva giù e poi le ragazze si "congiugavano" l'una all'altra; vieni tu, vieni tu, vieni tu e così si combinavano 24 ,28 ,30 ragazze. Molte andavano a Mori, a Tierno, sempre vicentine; Posina, Laghi, Fusine. Ma quello che tirava su le donne era soprattutto Raffaello. Era uno con l'oca­rina, brigante, fino eh! drittone... era da Posina ma era sempre in giro qui in Trentino.

Lui andava su, suonava l'ocarina e mandava giù le donne di quei paesi, che erano miseri perchè allora non c'erano strade e portavano tutto a spalle; sassi, terra, tutto a spalle... Questo "omenèt" andava anche in Folgaria, edu-

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catissimo, sempre pulito, con la farfalletta e suonava questa ocarina; erano sempre quelle ma suonava anche bene e poi faceva il giro col piattino. E reclutava le donne per la "màsera"... o se qualcuna voleva andare in servizio, conosceva tutte le famiglie quassù "trovème 'na putèla" e lui arrivava con questa ragazza, la accompagnava su. E un po' qui, un po' lì ci guadagnava sopra. Allora venivano tutti a piedi, perchè c'era una strada infame, mia come adesso. Venivano quassù perchè ai nostri paesi non c'era niente; legna e boschi ma basta... Adesso non c'è più nessuno; le famiglie sono in America, in Francia, sono andati via tutti; tornano quan­do hanno una sessantina di anni per fare un po' di riposo. Aria buona, aria sana, ma, cari miei, non c'è lavoro per vivere. Già allora gli uomini giovani erano via, in America, in Francia; a casa c'erano solo gli anziani; o bambini o anziani. Quando venivamo qua, stavamo anche bene, eravamo ben viste. Qualcuna ci ritornava anche la primavera per i "cavalieri"; o a servizio o a zappare...

Noi, da Posina, eravamo allegrissime tutte; queste di qua non parlavano, erano gelose... noi, sangue vivo, sangue bello, anche laggiù ai nostri paesi! Abbiamo sempre ballato, ci sono più balli di qua "qua se' tuti cetinàzi"... lo, a dir la verità, sono andata poche volte a ballare, perchè ero piccola, ma le altre, ciò, diciotto, vent'anni, ventiquattro... me non mi prendevano neanche con loro, perchè ero troppo piccola e mi facevano stare a casa a lustrare le scarpe, a tutte! Una volta a quattordici anni non eravamo niente, non come adesso che a dodici anni sono già signorine! E cantavamo... mi ricordo che cantavamo al Berto "oggi è l'ultimo giorno, doma­ni è la partenza, farem la riverenza a quelle che resta qua"; ma brave, brave di cantare! E poi andavamo anche a vendemmia per il Berto e ci diceva "cantè! canté" perchè non mangiassimo uva, perchè 24, 25 di quelle lì te ne mangiavano... quelle "donàze", che erano grande e grosse, "famàe"! Ma era bello, sapere... io non ho goduto niente, perchè non sapevo niente, ma quelle grandi si godevano; ritornavano a casa a mezzanot­te, l'una, e io ero già a letto... ero piccola... Anche morosi ne avevano tanti, facevano come tutte le donne... ma non ne sono rimaste qua molte. Certo che laggiù invece, non è rimasto più nessuno. lo abitavo alla "Costa", eravamo in otto famiglie prima della guerra, poi è stata bombardata ed è diventata un piano... Guardate, noi siamo partiti il 24 maggio; mi ricordo come se fosse adesso, avevo sei anni, compiuti in aprile. lo e il mio povero papà; avevamo quattro vacche, due manzi; a me hanno dato il secchio per mungere, un "fazòl" sulla testa... mi viene ancora da piangere. Mi ha messo davanti a tutte queste bestie e lui dietro; io con le "sgàlamare" e abbia­mo camminato tutta la notte. Ero piccola e mi sono addormen­

tata; all'alba mi sono svegliata a Velo d'Astico, che mio padre mi aveva portata, poveretto! Mia madre invece - viene da pian­gere a pensarci - con un bambino di otto mesi, e una di quat­tro anni, una di nove, una nipotina di dodici e la nonna, pove­ra vecchia di ottant'anni, è scappata per il "Colo". È una storia da scriverci un libro, questa; ho pianto abbastanza io... Invece che venire dalla nostra parte, sono andati diretta­mente a Schio. La mattina mi sveglio e non trovo più mia madre. C'erano le bestie, ma cosa ne faccio io delle bestie? Io volevo mia madre... vedevo tutti questi soldati venire dentro; cavalli, soldati, con tutti questi cannoncini, questi schioppi. E mio padre che non c'era perchè era andato in cerca della moglie, che era scappata con due maiali... pensate! Finalmente sono arrivati! Per strada avevano venduto tutto e avevano comprato un car­rettino, perchè mia nonna era vecchia e non ce la faceva a camminare e tutti questi bambini... Insomma, dopo otto giorni ho rivisto mia madre; ero disperata, disperatissima a non vederli più, a non veder altro che quelle puttane di vacche che avevo lì... Un poco per volta ci siamo ritrovati e abbiamo ripre­so a camminare; dormivamo, un giorno sotto un portico, un giorno sul fieno, un giorno in strada e sempre avanti finchè ci siamo trovati a Longare... pieni di "piòci"! tutti pieni, perchè si dormiva assieme, altro che quelli del Vietnam! a quali condizio­ni... Per fortuna che mio padre aveva con lui parecchi soldi. E a Longare ci avevano raccolti tutti assieme, i profughi e il gover­no ci dava il rancio, come i militari; si andava con un "bandòm"; un po' di minestra, un po' di formaggio, un pane lungo così. Poi siamo stati fortunati, perchè a Torresela, lì vicino, mio padre ha trovato una vecchia casetta e siamo stati lì tutta la guerra. Li ci siamo "spiòciati", messi un po' a posto ma abbiamo preso la rogna; e chi non aveva la rogna aveva qualla malattia che se la prendi muori subito, una specie di colera. Non avevi da lavar­ti, da bere... e ne morivano anche cinque, sei in una famiglia! Della rogna ho ancora i segni sulle gambe... Nel '18 siamo tornati ancora a Posina, con tutto questo bazar di figli; invece, era morta la nonna. Siamo entrati in casa e abbiamo visto sopra di noi il cielo...! Ecco quello che abbiamo trovato.

E nella seconda guerra, le case gliel'hanno bombardate e poi bruciate, nella mia contrada, perchè era zona partigiana; però si sono sbagliati, perchè i partigiani erano in un'altra contrada. E la nostra l'hanno rasa al suolo, hanno fatto un piano! Nel '24 ho cominciato a venire quassù. Avevo quattordici anni.

Testimonianza raccolta nei Corsi sperimentali per lavoratori - 150 ore di Rovereto nell'a.s. 1978-79 il 28.3.1979

Umberto Mojentale [email protected]

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A scuola di avventura sul Pasubio Trekking, roccia e ponte tibetano

E sul laghetto Main si apprendono anche i segreti per vogare sulla canoa indiana

Elvise Lighezzolo "l'esplorato­re", è ritornato nella sua Posina, per dare gli ultimi ritocchi alle attrezzature del centro Trekking & Avventura, aperto dal '99 in Contrà Lighezzoli, lungo la strada per Passo Xomo. È lì che Elvise, posinate di nascita, ma poi cittadino del mondo per il servizio venten­nale svolto in una base missi­listica, e ancor più per le sue innumerevoli spedizioni, spesso in solitario, compiute nel deserto sahariano, sui fiumi siberiani della Ciucotka, oltre il Circolo Polare Artico, nell'Amazzonia, nella Terra del fuoco, a Cape Horne e in Patagonia, ha investito i risparmi di una vita. L'obiettivo: attrezzare un cen­tro operativo, adatto a corsi estivi di addestramento, cia­scuno della durata di una set­timana, in cui la selvaggia Val Posina e la vicina area pasu-biana sono un'ideale palestra d'addestramento per giovani e adulti.

"Il corso - dice lo stesso esploratore - si prefigge di far divertire e di dare una solida educazione ambientale. Scopriremo insieme fiori, fun­ghi, frutta selvatica, piante ed

erbe medicinali, animali e tracce, minerali e fossili della zona; verranno insegnate tec­niche per superare le insidie della montagna; si apprende­rà l'abc di roccia, come la discesa a corda doppia, il pas­saggio su torrenti e canaloni col ponte tibetano, l'uso, sul laghetto Main, della canoa indiana; tecniche di orienta­mento, cartografia, uso della bussola, lettura delle carte topografiche, costru­zione di rifugi e bivac­chi".

Lo scopo non è quello di costruire dei Rambo. "Infatti - sottolinea Lighezzolo - i corsi sono aperti a tutti, per vincere le proprie paure e scoprire i pro­pri limiti, in simbiosi con una natura ancora incontaminata. Dopo i primi allena­menti, il vero e proprio trekking, della durata di tre giorni, si farà sul Pasubio, con pernotta­mento e pasti al rifugio Papa e al Lancia, e ritorno al campo base". Una vacanza, quindi, diversa, nella verde val Posina.

Esperienze comunque guidate, oltre che da

Lighezzolo, da veri esperti, come gli istruttori del soccor­so alpino di Arsiero, della scuola di canottaggio di Padova e da personale medi­co. Le iscrizioni sono aperte. Per informazioni anche sull'e­quipaggiamento, che ciascun corsista deve portare con sè, ci si può rivolgere ai numeri telefonici 338 6910022, 049 638635, 0445 748002.

Elvise Lighezzolo durante un'esercitazione

presso la diga del Main.

Foto: Roberto Lorenzato

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Posina. I corsi organizzati dal 1999 da Elvise Lighezzolo in Contrà Lighezzoli

di Giovanni Matteo Filosofo

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Posina 2004 Mi è stato chiesto di scrivere qualcosa su Posina per collaborare alla stesura del Bollettino Parrocchiale "Campane di Posina". Per me, non Posenate, ha fatto molto piacere ricevere que­sto invito e fornire così qualche mia impressione. Cosa posso dire di Posina, non lo so, oppure sì. Che mi piace, si vive rilassati, si respira un'aria diversa e di notte si vede il cielo con tutte le stelle a portata di mano, che c'è 'silenzio'; cose che, dove vivo io, poco più di 60 km da Posina, sono solo un ricordo ormai.

Come ho conosciuto Posina

Fino a due anni fa, ad agosto, questo nome mi diceva poco. Se ho iniziato a frequentare la valle lo devo solo a mia moglie Daniela perché lei ha volu­to fare una ricerca sulle sue origini, scoprendo così che il suo bisnonno era originario di Posina, contrà Bettale, ed emigrò a Chiampo nel lontano 1872 prendendo il cognome Bettali. Come ho detto, abbiamo visitato Posina per la prima volta nell'agosto del 2003. Non so se è stato l'entusiasmo di mia moglie nel vedere quei luoghi, ma c'è stato qualcosa dentro di me che mi ha fatto sentire non estra­neo di quei posti. Da allora siamo venuti quasi tutti i mesi a fare un giretto e nell'agosto 2004 abbiamo trascorso tutto il mese a Posina, in contrà Bettale. In quel periodo abbiamo avuto la fortuna di conoscere molte persone del luogo ed anche alcuni emigrati conosciuti prima solo 'virtualmente' tramite il sito di "Posina e la sua gente" (http://groups.msn.com/Posinaelasuagente)

creato da Roberto Salerno in Internet. Ci siamo quindi ritrovati con Didier Beber e sua figlia Mathilde, Javier Silvestri e Anna, ed altre persone che non sto ad elencare.

Le Contrà

Ne abbiamo visitate parecchie: dalla contrà Balan, a Fuccenecco, fino al Griso. Ce ne sono di molto belle e curate, mentre altre sono abbandonate se non addirittura disabitate e questo è un grosso problema non solo di Posina ma di tutti i paesi montani: l'ab­bandono della gente, dei luoghi. Questo è un duro prezzo da pagare a questa società moder­na che ci ammalia con tutte le sue comodità e ci fa perdere cultura e tradizioni.

La Gente

Forse un po' chiusa? Non direi. Forse legata alle proprie origini di paese montano, gente un

pò "dura" perché abituata ad arrangiarsi per vivere la dura vita di montagna. Qualcuno, non ricordo chi, mi chiedeva se Posina e la sua valle fosse un luogo dimenticato o ameno... A me non sembra che la Val Posina sia un luogo dimenticato, forse un po' riser­vato; ameno lo è di certo. Ho trovato questa valle molto bella e ricca di storia, purtroppo anche legata alla Grande Guerra, ma comungue viva ed operosa. Ho partecipato alla manifestazione di fine luglio svolta in contrà Cervi in ricor­do dei Caduti sul monte Majo durante la Grande Guerra. Sono rimasto sorpreso

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nel vedere i nemici di una volta uniti a noi italiani a manifestare per un mondo migliore, e soprattutto insieme per non dimenticare la grande tragedia italiana e austriaca avvenuta in questi luoghi. Ho assistito anche al matrimonio di Stefano e Clara e al battesimo della pic­cola Alessia e mi ha colpito la semplici­tà della cerimonia senza quel lusso sfrenato che sono abituato a vedere nelle pianure. Auguro loro tanta felicità.

Anche per questo dico che la Val Posina non è un luogo dimenticato, ma ricco delle piccole cose che servono per vivere bene e che la civiltà frenetica a cui siamo ormai, purtroppo, abituati, ci ha fatto perdere. Come dicevo prima, ho avuto la fortuna di conoscere Javier e Anna, due ragazzi argentini, anche loro alla ricerca delle proprie origini, e nel giorno della Mostra Mercato, il 31 ottobre, assieme a Daniela e Roberto Salerno, abbiamo fatto una passeggiata fino all'ottava galleria del Pasubio. Dai loro sorrisi credo che abbiamo lasciato a questa coppia un ricordo indelebile per questa piccola escursio­ne fuori programma. Erano entusiasti nel vedere quei posti, la giornata nel pomeriggio è stata stupen­da e il panorama che si vedeva da lassù ora potete immaginarlo.

Per me l'anno 2004 e stato qualcosa, sotto certi aspetti, di indimenticabile e la Val Posina, con la sua gente, ha contribuito anche a questo. Ringrazio tutti e a presto.

Adelino Fioraso / Daniela Bettali [email protected] [email protected]

Biblioteca Comunale di Posina Con la scadenza del mandato comunale, decade anche il comitato di gestione della biblioteca, in atte­sa del suo rinnovo di persone. In questi ultimi cinque anni, il gruppo bibliotecario nonostante un avvio non certamente felice, con il trascorrere del tempo è andato consolidandosi. All'interno si è riusciti a crea­re un'atmosfera di gruppo e di lavoro ideale per por­tare a termine un programma veramente impegnati­vo per il nostro paese. In attesa di una nuova Pro Loco, il comitato della biblioteca è riuscito con l'impe­gno, la costanza, l'aiuto di molte persone del paese a portare a termine il suo mandato con parecchie sod­disfazioni. Dalla scuola, alle attività ludiche-culturali, alle gite ed escursioni, alla sagra, ecc. Con l'aiuto del volontariato si è potuto concludere felicemente que­sti cinque anni. Il comitato uscente augura ai futuri componenti della biblioteca un sincero buon lavoro per il futuro del nostro piccolo paese.

Un componente

Alcuni componenti volontari per le varie manifestazioni culturali a Posina.

Foto: Roberto Lorenzato

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Il diario del Colonnello Chiapparini

Il Colonnello Michelangelo Chiapparini: un nome cono­sciuto soltanto quando la Signorina Elvira Losco fece leggere la sua "Ode a Posina" a mio padre e a me, in occa­sione del nostro primo viag­gio a Posina, nel 1960. Ma non siamo mai riusciti a cono­scerlo personalmente. Nonostante la fittissima corri­spondenza con mio padre, il Colonnello ha sempre rifiutato di incontrarlo a Viareggio, dove abitava, o a Lucca dove era Presidente dell'Associazione Combattenti e Reduci. Scelta sua, legata (come scriveva) alle sue con­dizioni di salute. Non sapeva­mo quasi nulla della sua per­manenza in Val Posina. Era necessaria la pubblicazio­ne di alcune parti del suo "Diario" per conoscerlo vera­

mente, e l'Amministrazione Comunale di Posina ha fatto un'opera egregia, nel pubbli­carlo, con una documentazio­ne fotografica eccezionale. Mi ha interessato molto leg­gerlo. Ho avuto un'altra pagi­na della storia della Vallata, scritta da "chi c'era", in un periodo successivo a quello in cui mio padre operava in una zona adiacente, sempre nel Settore Alta Val Posina. Soprattutto è stato interes­sante il confronto tra le modalità di operazione delle due Armi. Mio padre, ufficiale di Fanteria, sorvegliava lo sbocco delle vallate dal Monte Majo, in una logorante guerra di posizione. Il Tenente Chiapparini, ufficiale di Artiglieria, "sparacchiava" (secondo la sua definizione) a protezione e difesa dei

Bersaglieri. Dall'alto della postazione della sua batteria, tra il Passo dell'Ometto e gli Alberghetti, cercava di distruggere le armi pesanti austriache, spesso con buon successo. Non solo: come ufficiale di collegamento, aveva la possibilità di incon­trare gli ufficiali degli altri reparti, e di avere così un quadro degli avvenimenti. L'entusiasmo del Tenente Chiapparini, nel prendere il suo posto al comando della 598° batteria, risalta dalle parole del suo diario: "Posso dire che il 22 marzo 1918 fu uno dei giorni più belli della mia vita". La responsabilità non gli pesava. Era pronto a tutto, con i suoi artiglieri. Ogni sua riga dimostra l'orgoglio, la gioia di essere chiamato a quell'incarico, e la cura e l'at­tenzione con cui seguiva tutto e tutti.

Erano i giorni che facevano forse già sentire come la fine delle ostilità fosse vicina, mentre mio padre era in zona nel periodo più "caldo": si preparavano, alla fine del 1916 e nel 1917, mesi molto duri, compresa la disfatta di Caporetto.

Il 12 giugno 1918 il Ten. Chiapparini scriveva come la carenza dell'artiglieria, in quell'occasione, fosse stata forse decisiva. Orgoglio di Artigliere o realtà? Non so. Le Memorie di mio padre non

Frontespizio del libro "Un artigliere sul Pasubio"

18 - Campane di Posina

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aiutano, per questo. Per i giorni della disfatta parla­no solo di lotta corpo a corpo, nella zona di Caporetto, dove mio padre fu fatto prigioniero il 25 ottobre 1917 e suc­cessivamente decorato di Medaglia d'Argento. Al termine delle ostilità, il Ten. Chiapparini potè vedere gli effetti deva­stanti prodotti dai tiri della sua batteria su quel­la del suo misterioso avversario, il capitano ungherese Hammer, che si trovava ai Sogli Bianchi. La sua soddisfazione fu immensa.

Le poche righe scritte il 4 novembre 1918 termina­no come terminavano sempre le lettere scritte a mio padre: VIVA L'ITALIA! Al suo entusiasmo, al suo amore per la Val Posina si deve la ricostruzione della Chiesetta della Madonna del Monte Majo, a Cervi. Il 28 luglio 1968 il Col. Michelangelo Chiapparini non potè assistere alla grande cerimonia: si era riunito ai suoi artiglieri caduti in battaglia. Ma l'ultima domenica di luglio Posina lo ricorda e lo onora sempre.

Primavera 2005

Augusta Ficalbi

Ferragosto a Fusine È tradizione ormai incontrarsi a Fusine per il giorno di Ferragosto. Un folto gruppo di amici parenti, qual­che emigrato danno corpo all'ormai con­sueto pranzo comu­nitario organizzato dal gruppo volontari della parrocchia di Fusine. Nell'estate del 2003 non potei aderire causa impegni, ma nell'Agosto del 2004 accettai volentieri di esserci. È un momento di aggregazione tra parecchie persone, è l'occasione per incontrarsi con amici che non si vedono da tempo, giovani e meno giovani. Da notare che la festa nella piccola frazio­ne, inaugura i festeggiamenti il 14 Agosto con vari intratte­nimenti, il 15 per il giorno dell'Assunta, ed il 16 che è la festa del patrono della comu­nità. Sono tre giorni molto impe­gnativi per lo staff. Fra i vari intrattenimenti, mi ha incuriosito in particolare la mostra di pittura allestita nella saletta adiacente all'ex coope­rativa. Complimenti alle autrici Monica e Lara Zambon com-

Fusine - Agosto 2004 Monica e Lara Zambon

alla loro mostra di pittura.

Foto: Roberto Lorenzato

pagne di scuola un tempo, che con vero impegno e capacità hanno sfoderato il meglio di sè con paesaggi e natura. Brave davvero. Intanto, dopo le brevi chiac­chierate con i residenti, giun­ge l'ora di salutarsi, e dirsi un arrivederci al prossimo anno, là sul Cimone ampie nuvole si stagliano nell'azzurro del cielo, forse in giro un breve tempo­rale avrà fatto il suo corso.

Roberto Lorenzato [email protected]

Campane di Posina - 19

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Tappe della vita (dati aggiornati al 30 giugno 2005)

POSINA Battesimi

Defunti

Lighezzolo Alessia di Stefano e Clara Ines Canzoneri Alessia di Massimiliano e Lorena Dall'Osto Diego di Daniele ed Elisa Lefevre Camilla di Jean Marie e Charlotte

Fuccenecco Luigi Canderle Giovanni Alberto Lorenzato Gelindo Losco Lucio Zambon Caterina Ida Dal Pra Luigina Zambon Carlotta

FUSINE Battesimi Muraro Irene di Enrico e Raffaella

Defunti Maraschin Primo Canavicchio Aldo Caprin Aldo

CASTANA Battesimi Comparin Erik di Giorgio e Cristina

Rader Eleonora di Roberto e Maria Luigia Zanotello Matteo di Massimiliano ed Elisa

Defunti Cornolò Maria Comparin Carmela

LAGHI Battesimi Calgaro Davide di Flavio e Cristina

Lissa Vanessa di Loris e Giovanna

Defunti Lissa Vittorio Sartori Giannico Lissa Italo Igino Menara Maria Mogentale Marcellina Mogentale Ernesto Dal Molin Marcellina

La montagna, una nebbia Alle volte, la montagna sembra proprio ci attragga in un modo che si avverte più intenso e insistente, quando il tempo si vede che è instabile e incerto. Quando accade, come oggi, che a uno squarcio di azzurro segue sempre più spes­so un addensarsi di nubi sospinte da cor­renti su in alto, mentre tuona lontano tra le creste e le cime . E allora può succedere che si sente incompreso un richiamo che invoglia a percorrerla su tracciati isolati e sperduti, come andando a cercare nei luo­ghi dintorno una inconscia metafora di pro­blemi e fatiche del mondo che è dentro, come fossero momenti della vita in cui urge il bisogno di esternare, nel mondo di fuori, inquietudini e domande rimaste sospese.

Queste valli, non è sempre cielo azzurro, colori vivaci e la vista che spazia su contra­de e declivi, procedendo su sentieri e per­corsi evidenti; spesso anche si incontra questo tempo che, se forse non minaccia di pioggia, porta lento a inghiottire i crinali e i costoni, mentre intorno scolora di grigio. Ho lasciato da poco le stalle Campiello, tra le tracce nel bosco qualche raggio di sole, alle rade ogni tanto si spazia lontano verso pascoli e malghe, altipiani e paesi. Giunto ai prati e ai muretti, alle Zolle di dentro, ci sono nuvole basse che indugiano lente tra le piante e la strada. Si comprende che in alto, verso malga Toraro, sarà solo la neb­bia. Uno squarcio di azzurro, quasi fatto più intenso, si intuisce che è l'ultimo, mentre ancora dal basso sopraggiungono sparse altre nubi.

Alla malga, tutto intorno s'acquieta, e la nebbia la si coglie dinanzi, luminosa, avvol­gente, alternante di luci e di ombre. Ora tutto è diventato più immobile e fermo, e ogni tanto improvvisa al mio passo si profi­la una sagoma scura vicina, per un attimo

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penso a qualcuno che incrocio, a un incon­tro che ho atteso negli anni; ma ora è un tronco spezzato di un abete colpito dal ful­mine, ora un masso imponente che sovra­sta il sentiero o una macchia di verde più scuro sul costone che è a lato. Questo mondo di ombre e di luci sembra un gioco che sospinge a riandare ad incontri creduti perduti che invece ancor vivi ci restano dentro. Il sentiero segnato l'ho smarrito da tempo, mi ritrovo con i passi stentati tra gli arbu­sti e i rami di macchie di mughi, e ogni tanto minuscole rade di prati senza uscita. Tutto intorno è silenzio e una luce diffusa, l'incertezza si è fatta tutt'uno con l'am­biente, non ostile, tranquillo, che accoglie in un senso di calma profonda. E ripenso al passaggio ai Casoni Viosa, stamattina, il sentiero percorso e il tracciato che ho innanzi non sono più cosa mia, ora conta soltanto il presente, questo mondo di nebbia e di luce è oramai più importante del percorso in pro­gramma. Ci sono nebbie diverse, rifletto, alle volte sono scure e opprimenti il respiro, questa invece è leg­gera, trasparente, come fosse un invito a cercare trac­ciati diversi. Altre nebbie mi vengono a mente. Da ragazzi, alle Pale, già al Rosetta il sentiero si inoltrava nelle nuvole, si avvistava con ansia gli ometti di pietra traversando l'intero altopiano, si viveva come un gioco eccitante e si fosse bendati. A Forcella di Sopra final­mente i cartelli, c'era un po' di paura ma più intensa la gioia di sapere di uscirne. Poi, più tardi, scendendo, improvvisa si apriva la vista, inattesa si stendeva la valle, S. Lucano, Col di Prà, c'era quasi un rimpianto che riandava al percorso su in alto, fatto solo di suoni ovat­tati e di luce diffusa...

E comprendo che allora la nebbia era il gioco di tene­re il sentiero, mentre ora la nebbia è qualcosa più intenso e sofferto, ci sospinge a trovare la forza di lasciare i sentieri battuti di sempre, e cercare un altro­ve. I sentieri battuti, i tracciati segnati di rosso, alle volte, succede, li si vive come fossero binari, obbligan­ti, come fossero tracce che alla fine distolgono da un andare più vero. Quasi stessi sognando, mi sorprendo a pensare che esistono altri sentieri, che è fatica trovare come fosse­ro segreti, si vorrebbe portarli alla luce... Ogni tanto mi arresto e mi pongo in ascolto trattenen­do il respiro: ci sono pascoli e mandrie, campanacci

Foto: Adelino Fioraso

lontani, poi mi accosto al ciglione del prato, c'è un dirupo di rocce scoscese che mi illudo per un attimo sia la via per uscirne. La montagna si è fatta un'attesa e nient'altro, e così sono venuto a cercarla, senza vista sui profili dei monti, senza neanche i colori, senza neanche un sentiero e una meta, senza avere il piace­re di percorrerla. Resta solo un legame essenziale, questo bianco soffuso che accoglie e che sospinge a lasciare le solite prese, un contatto quasi cieco e pro­fondo in cui tutto sembra farsi sospeso, le certezze quotidiane tutte insieme si sono messe distanti, resta solo il presente. Sento i passi che cercano risposta, sento l'erba e la terra che pesto, sento i sassi e i rami dei mughi che mi chiudono dovunque il passaggio, ma non scorgo il sentiero, c'è un incontro che manca, che può essere vicino, a due passi, non mi è dato trovarlo, il tracciato è nascosto.

Giunge un soffio improvviso di vento, è il levarsi della brezza serale, e d'un tratto comprendo che, solo un'al­tra mezz'ora, e tutto questo mondo si dissolverà. Torneranno le cose a collocarsi come sempre, torne­ranno le malghe, le piante dei boschi, le montagne e il sentiero, anche il tempo presente non sarà come prima, tornerà vincolato tra passato e futuro. Sento farsi imminente il congedo, come fosse una sorta di addio; sento che questo mondo senza tracciato, que­sto smarrimento, questo distacco senza tempo, tra poco tutto si dissolverà. Mentre arranco a fatica tra mughi ed arbusti, come sussurrate da queste nebbie che già iniziano a diradare, mi riaffiorano le parole del poeta, appuntate sulla guida: "Viandante, il sentiero non esiste, il sentiero si fa camminando".

Paolo Campogaliiani

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La leggenda della montagna Vaccaresse

A proposito di storie strane, sentite un pò queste! Gli anziani raccontano che un tempo la malga Vaccaresse era tutto un suono di campanelli e di campanacci, mentre le bestie vagavano in cerca dei pascoli migliori. Gli uomini salivano dai paesi sottostanti per fare l'aiutante "casaro", e fra i compiti loro asse­gnati vi era quello di portare il burro nel fondo del Buso delle Vaccaresse, dove, anche in estate esisteva un certo accumulo di neve. Per agevolare la discesa era stato calato un tronco d'albero. Una volta, racconta il nostro testimone, un ragazzo, scendendo lungo il fusto sentì qualcosa di misterioso, come se qualcuno lo avesse afferrato per un piede. Immaginatevi lo spavento del povero casaro! Gli anziani raccontano pure che molti anni prima un riccone del posto che non aveva mai fatto carità alcuna, giunto al traguardo della sua vita, lasciò scritto per testamento che nessuno avrebbe ricevuto un soldo di eredità se egli non fosse stato sepolto nel monumento funebre da lui fatto costruire; voleva dimostrare a tutti che il suo potere

andava al di là della morte. I parenti quando fu morto legarono saldamente la cassa ad un carro tirato da un robusto mulo, ma all'im­provviso sorse un turbine di vento ed un forte odore di zolfo, ed il carro sparì inghiottito dal Buso delle Vaccaresse che era a diretto con­tatto con l'inferno. Un altro testimone affer­ma che gli abitanti di Fusine chiamano la voragine suddetta "Buso dei pichè" (degli impiccati). Si narra che a Fusine esisteva un certo Nane abilissimo artigiano, che con pochi colpi riusciva a fabbricare una "broca". Nane era innamorato della Rosa e sognava di fare una famiglia con lei. Ma il padre di lei si oppose categoricamente e la costrinse a spo­sare uno di città. Nane, disperato, si impiccò vicino al buso. Ancora adesso nelle notti illu­ni si può sentire il suono della sua fisarmoni­ca che fa le serenate a Rosa. E ancor più tre­mendo fu ciò che capitò a due abitanti di Velo. Una domenica essendo uno di loro rimasto in malga per sorvegliare, sentì uscire dal buso un urlo fragoroso che con un cre­scendo terribile durò un paio d'ore. Poi, fra

fumi rossastri gli apparvero tre­dici individui avvolti in sacri paramenti arrovesciati, che sal­modiando inni a lui ignoti fecero attorno al nero abisso una spa­ventosa tregenda. Il malgaro, deciso a vendere cara la pelle, si armò di coraggio e del fucile e si appostò in un luogo opportuno, ma il pover'uomo fu addirittura terrorizzato quando vide uscire uno scheletro che si unì dinocco­landosi alla ridda degli altri per poi tutti assieme, con ululi assor­danti dileguarsi nel baratro.

Gianluca Maraschin

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L'occhio del Priaforà è tornato all'antico splendore Luglio 2004. Torno a Posina dopo qualche mese di assenza; final­mente un periodo di ferie mi attende. Come sempre mi guardo un po' in giro cercando qualche novità o qual­che cambiamento avve­nuto negli ultimi mesi. I terreni verdi non anco­ra assaliti dal bosco, sono sempre più rari. Ogni anno che passa mi colpisce sempre più il settore del Xomo, con il suo pascolo verde visibi­le da Posina, sempre più ristretto. Anche la con­trada di Cucco è sempre più nascosta dalla vegetazione incombente e dalla via Canova si vede spuntare nel mezzo del bosco un solo camino.

Le occhiate tra i monti si susseguono..., ma ecco che qualcosa di diverso si presenta alla vista: il "buso" del Priaforà... Erano già molti anni che il foro era sempre più coperto dalla vegetazione e quindi sem­pre meno visibile. Con un cannocchiale, si poteva vedere chiaramente che davanti al buso le piante avevano coperto la vista per oltre tre quarti. Andando avanti di questo passo, nel giro di qualche anno, non si sarebbe più vista la luce passare attraverso questo foro così caratteri­stico. Ora, come per incanto, l'occhio risplende di vivida luce, come una volta. Ma cosa può essere successo? Da "voci" che girano in paese, sembra che un gruppo di giovani arditi di Posina e dintorni

Prima di salire al Priaforà sosta presso Campedello.

Foto: Roberto Lorenzato

siano saliti fin lassù, per fare "piazza pulita" di tutto ciò che ostruiva l'occhio immoto del Priaforà. Una vera e propria operazione chi­rurgica, con strumenti quali la motosega e la menara. Un'operazione unica al mondo, per­chè credo che mai sia stata compiuta un'ope­razione del genere su un occhio, con questi strumenti. Penso che questi giovani, a dire il vero anche di mezza età, abbiano un particolare affetto per la propria valle e certamente non voglio­no perdere tutto ciò che di caratteristico ha. Ora tutti possono guardare lassù per rimirare pienamente questa meraviglia della natura, non dimenticando, nel contempo, di ricordare i fatti d'arme avvenuti in quei luoghi e in tutti i monti del circondario. Ora l'occhio del Priaforà è nuovo e fulgido, come allora, come sempre.

Agosto 2004 Roberto Salerno

[email protected]

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Sogli bianchi: sentiero dei partigiani lungo le crode di guerra e pace

Il 28 Agosto 2004, per chiudere in bellezza le ritempranti ferie a Posina, io, Romea, Antonio C. e Renzo D. decidemmo di percorrere la cre­sta sommitale sul versante est dell'accrocaro del Pasubio. L'idea mi venne guardando una vecchia mappa di Cesco Zaltron. Così con la complicità del tempo buono, dai 1207 mt. del passo della Borcola con il sentiero europeo E5 iniziammo a risalire la boscosa omonima costa. Alla sorgente Fontanel del Moro inizia­no gli aperti e distesi pascoli della ex malga costa (1845mt.) ora frequentati dai camosci e dai galli di montagna. Il sentiero sale lentamente tra questi fioriti prati a cavallo tra la val Gulva e la val Caprara il cui bordo precipita dai dirupati sogli bianchi sull'alta val Posina. Superati i ruderi della malga si scende leggermente lungo l'affilata cresta con la gradita e rara presenza di ele­ganti orchidee (scarpette della Madonna). Quindi risalendo si evidenziano i capisaldi e trinceramenti della prima linea Austro-unga-

I soji bianchi presso la Costa della Borcola

rica presidiata, nella guerra 15-18, dall'arti­glieria del cap. Hammer che doveva difender­si dall'avversario italiano ten. Chiapparini insediato sulla ben visibile testata opposta del Nido d'aquila. Si segue sempre il fronte Austriaco quasi pia­neggiante sui 2000 mt. di quota e, il pensie­ro non può non andare a quei valorosi euro­pei in guerra! Inoltre questo intrigante ed affascinante sentiero veniva frequentato, 25 anni più tardi, dai partigiani che combatteva­no ancora i teutonici fratelli. Poi le armi ven­nero riposte ed ora si chiama nella prima parte, sentiero della Pace. Senza fatica seguendo la logica direzione di "ometto in ometto" si arriva alla selletta di quota 2077 mt. ed in breve alle sette croci a più antico ricordo di sanguinoso scontro tra pastori. Pochi minuti e il nostro itinerario termina alla chiesetta S. Maria del Pasubio, a quota 2070 mt. Dopo il pranzo al sacco, con alcuni rumo­rosi ma simpatici veci alpini non paghi, salia­

mo sulla cima Palon. Si ritorna alla chiesetta e, da qui giù per la selvaggia val Caprara osservando, ora da sotto la Sky-line del sentiero percorso. Nel tardo pomeriggio, alla luce di un luminoso tramonto, da Posina vol­giamo lo sguardo al "castello" dei sogli bian­chi, lassù in alto, simbolo di questa particolare e appagante escursione.

Posina 4 Giugno 2005

Renzo Fiorenzato

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Un saluto Anche quest'anno, puntualmente, il nostro bollettino par­

rocchiale porta le notizie e le novità che riguardano la nostra comunità nelle case di tutti i posenati.

Di questo dobbiamo un ringraziamento particolare all'a­mico Roberto Lorenzato che con costanza si prodiga affinché non si perda questa importante tradizione. Campane di Posina, infatti, permette anche a chi risiede lontano di avere notizie sul paese d'origine.

Per la prima volta ho il piacere di scrivere come Sindaco, una carica che ricopro con orgoglio in quanto ritengo che Posina sia ancora legata ai valori della famiglia e della per­sona, valori nei quali anch'io credo fermamente.

Ringrazio tutti per l'opportunità che mi è stata concessa e vi confermo che il mio massimo impegno, per i prossimi cinque anni, sarà quello di lavorare per migliorare e far cre­scere la nostra comunità.

Con l'occasione porgo un saluto a tutti i posenati, in Italia ed all'estero, con la certezza che il legame con il nostro paese rimarrà sempre vivo.

Il Sindaco Andrea Cecchellero

Il neosindaco Andrea Cecchellero giura fedeltà alla Repubblica.

Foto: Roberto Lorenzato

La Gioia Mi ricopre come il muschio fa con il sasso, teneramente con gli occhi, di neve avvolge i miei rami spogli, mi protegge con le sue ali materne nel nido dell'infinita maternità, accarezza il freddo mio corpo come vento soffiato da labbra sconosciute. Mi sospinge nell'altalena della vita lasciandomi senza fiato, mi accoglie come vento vergine negli abbracci di chi incontro, mi sussurra dolci parole attraverso chi mi sta accanto. Sfiora con tocco lieve i tasti della mia vita come se l'avesse vista nascere,

Irma Lovato

mi strapazza con la sua sobrietà, mi ubriaca con la sua spontaneità, fa sgorgare da me piccole gocce salate che non so fermare e mi rialzo fradicia di lei. È la gioia: colorata farfalla che incurante delle stagioni si posa sulla mia piccola anima.

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