Diritto ecclesiastico comparato

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tÑÑâÇà| w| Z|ÉätÇÇ| ZxÇà|Äx 1 DIRITTO ECCLESIASTICO cÜÉyA ZtxàtÇÉ WtÅÅtvvÉ cÜÉyA ZtxàtÇÉ WtÅÅtvvÉ cÜÉyA ZtxàtÇÉ WtÅÅtvvÉ cÜÉyA ZtxàtÇÉ WtÅÅtvvÉ Sotto l’aspetto istituzionale, il diritto è una risposta organizzata e legale che lo Stato dà ai bisogni dei cittadini, ma è anche un atto autorappresentativo della società, cioè cittadini e non, associazioni, società e formazioni di persone organizzate in genere fino ad arrivare allo Stato. Il diritto ecclesiastico è la legislazione dello Stato che disciplina i rapporti tra Stato e formazioni religiose e la stessa libertà religiosa. Il diritto ecclesiastico si distingue dal diritto canonico, ma per la Chiesa cattolica lo ius ecclesiasticum è il diritto canonico stesso. Quindi la terminologia usata in Italia è impropria, perché il diritto ecclesiastico è il diritto della Chiesa, cioè quello che noi chiamiamo diritto canonico, mentre quello che noi chiamiamo diritto ecclesiastico è in realtà il diritto morale o etico. Per la Chiesa lo ius publicum ecclesiasticum internum, è l’ordinamento dello Stato Città del Vaticano (poteri di governo, organi legislativi, eccetera), mentre lo ius publicum ecclesiasticum externum regola i rapporti tra la Santa Sede e i singoli stati. Il diritto ecclesiastico ha una pluralità di fonti, quali la costituzione, il diritto privato, il diritto internazionale privato (il matrimonio) e pubblico (il concordato), il diritto del lavoro (la libertà religiosa dei lavoratori), il diritto penale (i delitti contro la religione oggi abrogati), il codice di procedura (il giuramento e il dovere di testimoniare dei sacerdoti), le leggi regionali. Per questa ragione in origine era definita una scienza di rapina in quanto le sue norme si trovano in diverse leggi e codici. Possiamo anche dire che il diritto ecclesiastico si occupa dei rapporti tra religione e Stato. Per questo la gerarchia delle fonti del diritto ecclesiastico ha vari livelli: 1. La Costituzione. 2. Le norme di derivazione concordataria - leggi ordinarie, ma essendo norme che derivano dal concordato hanno una resistenza maggiore, di cui la più importante è la legge 222/1985 che disciplina gli enti ecclesiastici e il sostentamento del clero. 3. La legge ordinaria (ad esempio la legge 1159/29 ancora in vigore per le confessioni che non hanno stipulato intese, la legge matrimoniale 847/29 che attua il matrimonio concordatario). 4. La legge regionale. Con la nuova formulazione, l’art. 117 Cost. indica le materie esclusive dello Stato, mentre le restanti sono di competenza delle regioni. L’art. 117 Cost. 2° comma, lettera c) detta che la confessione religiosa è materia di esclusiva competenza statale, ma ci sono comunque una serie di materie di competenza esclusiva delle regioni che indirettamente toccano i rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose e l’esercizio della libertà collettiva. Ad esempio la legislazione urbanistica, materia di competenza esclusiva delle regioni, le cui norme devono prevedere e regolamentare la costruzione degli edifici per il culto. In queste materie si trovano sia atti unilaterali delle regioni, le leggi regionali, ma anche una serie di accordi tra regioni ed autorità ecclesiastiche locali come, ad esempio, gli accordi per inserire i cappellani negli ospedali. 5. I regolamenti. Il prof. Tedeschi ha definito il diritto ecclesiastico una scienza di mezzo con norme provenienti da svariati settori dell’ordinamento giuridico. Infatti si trovano norme di diritto costituzionale. internazionale, norme relative ai rapporti tra Stato e religioni di minoranza e norme di diritto comune come matrimonio, adozione, anagrafe, assistenza religiosa, beni culturali e demaniali, edilizia, giuramento nel processo, immigrazione, inquinamento acustico, istruzione, eccetera. Queste sono le c.d. res mixtae (cose miste), materie di competenza dell’ordinamento civile, ma dove l’elemento religioso è così importante che lo Stato limita la sua autonomia per collaborare con le autorità ecclesiastiche per meglio tutelare la libertà religiosa di tutti. Un esempio è il concordato con

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DIRITTO ECCLESIASTICO

cÜÉyA ZtxàtÇÉ WtÅÅtvvÉcÜÉyA ZtxàtÇÉ WtÅÅtvvÉcÜÉyA ZtxàtÇÉ WtÅÅtvvÉcÜÉyA ZtxàtÇÉ WtÅÅtvvÉ Sotto l’aspetto istituzionale, il diritto è una risposta organizzata e legale che lo Stato dà ai bisogni dei cittadini, ma è anche un atto autorappresentativo della società, cioè cittadini e non, associazioni, società e formazioni di persone organizzate in genere fino ad arrivare allo Stato. Il diritto ecclesiastico è la legislazione dello Stato che disciplina i rapporti tra Stato e formazioni religiose e la stessa libertà religiosa. Il diritto ecclesiastico si distingue dal diritto canonico, ma per la Chiesa cattolica lo ius

ecclesiasticum è il diritto canonico stesso. Quindi la terminologia usata in Italia è impropria, perché il diritto ecclesiastico è il diritto della Chiesa, cioè quello che noi chiamiamo diritto canonico, mentre quello che noi chiamiamo diritto ecclesiastico è in realtà il diritto morale o etico. Per la Chiesa lo ius publicum ecclesiasticum internum, è l’ordinamento dello Stato Città del Vaticano (poteri di governo, organi legislativi, eccetera), mentre lo ius publicum ecclesiasticum externum regola i rapporti tra la Santa Sede e i singoli stati. Il diritto ecclesiastico ha una pluralità di fonti, quali la costituzione, il diritto privato, il diritto internazionale privato (il matrimonio) e pubblico (il concordato), il diritto del lavoro (la libertà religiosa dei lavoratori), il diritto penale (i delitti contro la religione oggi abrogati), il codice di procedura (il giuramento e il dovere di testimoniare dei sacerdoti), le leggi regionali. Per questa ragione in origine era definita una scienza di rapina in quanto le sue norme si trovano in diverse leggi e codici. Possiamo anche dire che il diritto ecclesiastico si occupa dei rapporti tra religione e Stato. Per questo la gerarchia delle fonti del diritto ecclesiastico ha vari livelli: 1. La Costituzione. 2. Le norme di derivazione concordataria - leggi ordinarie, ma essendo norme che derivano dal

concordato hanno una resistenza maggiore, di cui la più importante è la legge 222/1985 che disciplina gli enti ecclesiastici e il sostentamento del clero.

3. La legge ordinaria (ad esempio la legge 1159/29 ancora in vigore per le confessioni che non hanno stipulato intese, la legge matrimoniale 847/29 che attua il matrimonio concordatario).

4. La legge regionale. Con la nuova formulazione, l’art. 117 Cost. indica le materie esclusive dello Stato, mentre le restanti sono di competenza delle regioni. L’art. 117 Cost. 2° comma, lettera c) detta che la confessione religiosa è materia di esclusiva competenza statale, ma ci sono comunque una serie di materie di competenza esclusiva delle regioni che indirettamente toccano i rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose e l’esercizio della libertà collettiva. Ad esempio la legislazione urbanistica, materia di competenza esclusiva delle regioni, le cui norme devono prevedere e regolamentare la costruzione degli edifici per il culto. In queste materie si trovano sia atti unilaterali delle regioni, le leggi regionali, ma anche una serie di accordi tra regioni ed autorità ecclesiastiche locali come, ad esempio, gli accordi per inserire i cappellani negli ospedali.

5. I regolamenti. Il prof. Tedeschi ha definito il diritto ecclesiastico una scienza di mezzo con norme provenienti da svariati settori dell’ordinamento giuridico. Infatti si trovano norme di diritto costituzionale. internazionale, norme relative ai rapporti tra Stato e religioni di minoranza e norme di diritto comune come matrimonio, adozione, anagrafe, assistenza religiosa, beni culturali e demaniali, edilizia, giuramento nel processo, immigrazione, inquinamento acustico, istruzione, eccetera. Queste sono le c.d. res mixtae (cose miste), materie di competenza dell’ordinamento civile, ma dove l’elemento religioso è così importante che lo Stato limita la sua autonomia per collaborare con le autorità ecclesiastiche per meglio tutelare la libertà religiosa di tutti. Un esempio è il concordato con

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la Santa Sede, da cui deriva che l’Italia è un paese concordatario insieme alla Spagna, Portogallo, alcuni Länder1 tedeschi, la Polonia, eccetera. Altri paesi, invece, hanno una legislazione separatista, come la Francia e, in maniera diversa, gli Stati Uniti, cioè un sistema giuridico in cui il legislatore opera in piena autonomia, senza concordare le norme con le autorità religiose. In tal modo la legislazione garantisce la libertà religiosa, ma senza interferenze del potere spirituale sul potere politico e viceversa. Ad esempio si è liberi di sposarsi esclusivamente con il rito religioso, ma non vengono riconosciuti gli effetti civili del matrimonio, cioè l’atto non ha alcun valore per lo Stato. Al contrario, fino al 1929, in Italia, per un retaggio ottocentesco, il matrimonio civile doveva precedere quello religioso, mentre in Francia, se il sacerdote non ottemperava a questa prescrizione commetteva un reato. In sintesi nei paesi separatisti la tutela della libertà religiosa individuale è garantita da un totale distacco dell’ordinamento giuridico per le questioni religiose. Ad esempio, in un ordinamento separatista non vi è l’insegnamento della religione nelle scuole pubbliche. Oltre che in Francia, U.S.A. e in Turchia, il sistema separatista vigeva anche nei paesi del blocco sovietico, ma era completamente diverso da quello occidentale, in quanto creava una serie di limitazioni all’esercizio del culto con il fine di eliminarlo dal contesto sociale, perché la religione era considerata una forma di dissenso all’ideologia marxista-leninista. Ma l’apice del sistema separatista viene raggiunto con la Costituzione albanese che nel 1967 dichiara l’ateismo di Stato. Oltre ai recenti sistemi separatista e concordatario, ve ne sono altri due, retaggio del passato ancora presenti eccezionalmente: il sistema cesaropapista e la teocrazia. Nel cesaropapismo, il Capo dello Stato, Principe o Re è anche il capo della religione. E’ un sistema nato nella Roma imperiale che con l’editto di Costantino del 311, quando l’Imperatore romano diventa anche capo della Chiesa convocando concili, nomina i vescovi, stabilisce dogmi, eccetera. Questo sistema si trova ancora oggi in alcuni paesi scandinavi e in Gran Bretagna, dove la Regina è formalmente il Capo della Chiesa anglicana, anche se in concreto è l’arcivescovo di Canterbury. Un sistema opposto al cesaropapismo è la teocrazia che si ha quando il Capo della Chiesa è anche Capo dello Stato, come accadeva fino a quando il Papa era anche Capo dello Stato Pontificio. Attualmente una forma di teocrazia si trova in Iran dove la Costituzione del 1979 prescrive la subordinazione dello Stato alla guida del clero sciita, per cui i grandi Ayatollah2 decidono diverse cariche pubbliche. Il diritto ecclesiastico deve considerare due aspetti essenziali: da un lato deve curare i rapporti tra Stato e istituzioni religiose e dall’altro deve garantire la libertà religiosa individuale. Negli anni ‘40 il diritto ecclesiastico è stato definito una legislatio libertatis con cui si voleva dire che la sua filosofia è quella di garantire la libertà religiosa individuale. Il diritto ecclesiastico deve garantire i rapporti tra le diverse Istituzioni religiose, legislatio

libertatis, ma soprattutto il principio supremo di laicità dello Stato.

1 La Repubblica Federale Tedesca è uno Stato costituito da 16 Stati federali detti “Länder”. Tre di questi sono le cosiddette “città-stato”: Berlino, Brema e Amburgo. Anche i Länder hanno un proprio Parlamento (“Landtag”), dove siedono i rappresentanti locali, e un proprio Governo (“Landesregierung”). I capi di governo dei Länder vengono chiamati “Ministerpräsident” (Primo Ministro), tranne che nelle città-stato dove si parla del “Erster Bürgermeister” o “Regierender Bürgermeister” (borgomastro). Le elezioni per i parlamenti dei Länder si tengono separatamente e indipendentemente da quelle per il Parlamento nazionale. La durata della legislatura non è uguale in tutti i Länder: in alcuni si vota ogni quattro anni in altri ogni cinque. 2 Ayatollah (arabo: للا ةي��; persiano: للاتي��) è un titolo di grado elevato che viene concesso agli esponenti più importanti del clero sciita. Il termine significa segno di Dio e coloro che hanno questo titolo sono esperti in studi islamici come la giurisprudenza, l'etica, la filosofia ed il misticismo. Solitamente essi insegnano in scuole islamiche (hawza). Al di sotto del grado di ayatollah vi è il grado di Hojjatoleslam (Prova o Autorità dell'Islam). Non vi è un modo gerarchicamente preciso con cui si possa raggiungere il titolo di Ayatollah: solitamente esso viene concesso ad uno esperto di studi religiosi che abbia ottenuto la stima, il rispetto e l'ammirazione dei suoi superiori e dei suoi pari grazie alla propria conoscenza del canone islamico ed alla sua condotta, dopo il completamento dei suoi studi nella Hawza. Il più delle volte ciò viene attestato da una sorta di diploma rilasciato dai suoi insegnanti. Una volta ottenuto il titolo, un Ayatollah può render pubbliche le proprie interpretazioni autentiche delle leggi religiose (Corano, Sunna, Ijma' e 'Aql), insegnando in una Hawza secondo le proprie competenze e fungendo da punto di riferimento e giudice in materia religiosa.

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La Santa Sede e Città del Vaticano La Santa Sede è il governo della Chiesa universale. Ha una rilevanza giuridica all’interno dell’ordinamento italiano in quanto possiede diversi beni nel territorio dello Stato italiano. La Santa Sede differisce dalla Città del Vaticano che è invece uno stato estero, anche se il governo della Santa Sede è anche quello della Città del Vaticano. Quando è coinvolta l’attività magisteriale della Chiesa partecipa la Santa Sede, per esempio il concordato, il trattato sulla non proliferazione delle armi nucleari e la partecipazione all’ONU quale osservatore permanente è con la Santa Sede. Invece per questioni territoriali e monetarie partecipa lo stato Città del Vaticano. La Chiesa ha una struttura gerarchicamente organizzata al vertice del quale c’è il Papa che è anche il Sovrano dello stato di Città del Vaticano, come dispone l’art. 1, comma 1, della Costituzione vaticana del 2001: “Il Sommo Pontefice, Sovrano dello Stato della Città del Vaticano, ha la

pienezza dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario.” Il diritto canonico, nel 2° libro – il popolo di Dio – nella parte che disciplina la costituzione gerarchica della Chiesa e precisamente il canone 361, definisce: “Con il nome di Sede Apostolica o

Santa Sede, si intendono nel codice non solo il romano Pontefice, ma anche, se non risulta

diversamente dalla natura della questione o dal contesto, la Segreteria di Stato, il Consiglio per gli

affari pubblici della Chiesa e gli altri organismi della curia romana.” Nell’ordinamento canonico, per Finocchiaro con il termine Santa Sede s’intende: • In senso stretto il Sommo Pontefice, • In senso lato il Papa e la Curia romana che è il complesso delle istituzioni di governo della

Chiesa. Questa è composta dagli organismi individuati dal canone 361 quali la Segreteria di Stato, il Consiglio per gli affari pubblici della Chiesa, Congregazioni, Pontifici consigli, i tribunali, gli uffici e le pontificie commissioni, i pontifici comitati e le commissioni cardinalizie.

Il canone 360 detta quali sono gli altri organismi della Curia romana che collaborano con il Papa nel governo della Chiesa universale: “La Curia Romana mediante la quale il Sommo Pontefice è solito

trattare le questioni della Chiesa universale e che in suo nome e con la sua autorità adempie alla

propria funzione per il bene e al servizio delle chiese è composta dalla segreteria di Stato Papale,

dal consiglio per gli affari pubblici della Chiesa, dalle congregazioni, dai tribunali e da altri

organismi. La loro costituzione e competenza vengono definite dalla legge peculiare.” Questa legge è la “Pastor bonus (buon pastore)3”, promulgata da Giovanni Paolo II il 28 giugno 1988. Nell’ordinamento italiano, la Santa Sede è un ente ecclesiastico con personalità giuridica per antico possesso di Stato, una forma di riconoscimento riservato ad enti secolari, soprattutto enti che l’avevano conservata anche con le leggi eversive, emanate dopo l’unificazione del Regno d’Italia. Per ottenere il riconoscimento bisogna presentare una serie di documenti, come l’atto costitutivo, che è difficile reperire dopo tantissimo tempo, ragion per cui, con la motivazione per antico

possesso di stato, sono esentati da questa incombenza. L’art. 2 del concordato del 1929 detta: ”L’Italia riconosce la sovranità della Santa Sede nel campo

internazionale come attributo inerente alla sua natura, in conformità alla sua tradizione ed alle

esigenze della sua missione nel mondo.” Cioè la Santa Sede, oltre ad avere personalità giuridica nel diritto italiano, gli è riconosciuta anche nel diritto internazionale. Questo concetto, oggi appare scontato, ma fino al 1929 gli era stata riconosciuta una personalità giuridica, di fatto, in quanto la Santa Sede non era ancora uno Stato sovrano, ma ha conservato la personalità giuridica di diritto internazionale anche dopo la fine dello Stato pontificio, proprio perché organo di governo della Chiesa universale.

3 Le leggi della Chiesa sono denominate, e contraddistinte, con le prime due parole latine del loro testo.

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La legge delle Guarentigie4, del 13 maggio 1871, concedeva una serie di garanzie assicurate dalla legge al Pontefice, ma lo legava, alle sorti politiche e militari del Regno d’Italia. Una situazione ancora più delicata se si considera che anche il governo della Chiesa universale viene legato al nuovo stato, in quanto il Papa, è ne è il capo, risiede nel Regno d’Italia. A questa situazione fu posto rimedio con i patti Lateranensi, con cui nasce lo stato Città del Vaticano che in un primo momento non fu riconosciuto dalla dottrina internazionale etichettandolo come “pied à terre del Papa”, “parodia5 di Stato”, eccetera. Questa dottrina risentiva del fatto che il Vaticano è uno stato diverso dagli altri e con alcune caratteristiche particolari: • E’ lo stato più piccolo del pianeta con una superficie di 0,44 Kmq e una popolazione di 780

abitanti (stima 2004). • il Vaticano è uno stato enclave, cioè completamente circondato da un altro stato e all’interno di

un’altra città, per cui la sua esistenza dipende dai servizi forniti dallo Stato italiano come poste, trasporti, comunicazioni, acqua, fogna, ferrovia, eccetera. In questo senso vi è un’apposita norma nell’art. 6 del concordato del 1929.

• I confini sono costituiti dalle mura Vaticane, più quello di piazza San Pietro delimitato dal colonnato del Bernini e definito confine aperto. In base al trattato del 1929 questo confine deve essere sempre aperto, tranne nel caso di cerimonie nel qual caso la piazza è chiusa.

• Quando la piazza è aperta, la polizia italiana accede liberamente, ma si arresta davanti alla scalinata della basilica di San Pietro. Quando la piazza è chiusa si arresta prima del colonnato del Bernini e la vigilanza è assicurata solo dalle guardie svizzere.

• In base ad una convenzione con l’Italia, i reati previsti da entrambe le legislazioni, possono essere perseguiti dalla giustizia italiana, su richiesta delle autorità vaticane. Per Cardia, si è scelto di lasciare il giudizio penale e l’eventuale espiazione della pena alla giustizia italiana per due ragioni: o L’amministrazione della giustizia penale ha un costo troppo elevato, in relazione all‘esigua

casistica del Vaticano. o Per motivi di opportunità, in quanto è disdicevole per un’autorità morale avere una casa

circondariale, con tutto quello che è legato all’amministrazione della giustizia penale. • La cittadinanza è funzionale. Questo perché non si acquista come avviene in Italia6, ma solo in

funzione dell’ufficio ricoperto e cioè: o cardinali, o funzionari dello Stato Città del Vaticano, insieme alle loro famiglie (coniuge e i figli fino

alla maggiore età).

4 A conclusione di una lunga serie di dibattiti sul destino da riservare allo Stato Pontificio, il Parlamento italiano approva una legge, denominata "delle guarentigie" (garanzie assicurate dalla legge), che garantisce alla Chiesa il libero esercizio dei suoi poteri spirituali e la piena sovranità pontificia sui palazzi apostolici. Ispirata al principio di Cavour «libera Chiesa in libero Stato», la legge consta di due titoli. Il primo, dedicato alla Santa Sede, senza concedere alcuna sovranità territoriale al Papa, gli lascia i Palazzi Vaticano e Lateranense e la Villa di Castelgandolfo, riconoscendogli tutti gli onori sovrani e dichiarandolo esente dalla giurisdizione penale italiana. La legge punisce gli attentati e le ingiurie al Pontefice con le stesse pene stabilite per gli attentati e le ingiurie al Re, concede al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede le stesse guarentigie e prerogative accordate al corpo diplomatico accreditato presso il Re e consente al Pontefice di continuare a tenere i consueti corpi armati: guardia svizzera, guardia palatina, gendarmi. Lo Stato si impegna inoltre a corrispondere una dotazione annua di L. 3.225.000, ma tutto questo non basterà perché il Papa accetti la Legge delle guarentigie. Protesta, anzi, dicendo che questa non garantisce la sua indipendenza e infatti, finché essa rimarrà in vigore, non uscirà mai dal Vaticano e non riscuoterà nemmeno la dotazione. Il secondo titolo della legge, invece, «Relazioni tra Chiesa e Stato», non è che una molto timida applicazione dei principi separatisti. Lo Stato rinuncia al controllo sulla pubblicazione delle nuove leggi ecclesiastiche e in genere sugli atti delle autorità ecclesiastiche, al giuramento di fedeltà dei Vescovi e alla nomina dei Vescovi in quelle regioni dove il Re rivendicava tale diritto. Restano, però, sottoposti al controllo governativo quegli atti che concernono beni degli enti ecclesiastici. 5 Cioè l’imitazione scadente di uno stato. 6 La legge 15 febbraio 1992, n. 91, ai sensi dell'art. 1 comma 1, stabilisce che è cittadino per nascita: a) il figlio di padre o di madre cittadini (Ius Sanguinis); b) b) chi è nato nel territorio della Repubblica se ambo i genitori sono ignoti o apolidi, o se il figlio non segue la cittadinanza dei genitori, secondo

la legge dello Stato di questi (Ius Soli). Per il comma 2º, è cittadino per nascita il figlio d'ignoti trovato in Italia, se non si prova il possesso di un'altra cittadinanza. Inoltre acquisiscono automaticamente la cittadinanza italiana i cittadini vaticani al cessare dei diritti di dimora nella piccola enclave romana.

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La cittadinanza si perde quando il cardinale o il funzionario va in pensione o termina il suo ufficio e in questo caso si riprende la cittadinanza di provenienza e, se questo non è possibile, si assume quella italiana. Per Cardia questa regola è necessaria ad evitare il sovraffollamento di uno stato piccolissimo. Ma questa stessa caratteristica esclude, per Cardia, che lo stato Città del Vaticano sia uno stato teocratico, perchè essenzialmente non vi è una popolazione, in quanto la cittadinanza è solo transitoria. Per Finocchiaro, e gran parte della dottrina, è uno stato teocratico in cui il capo della religione è anche il capo dello stato e dove sono presenti i tre elementi costitutivi dello stato (territorio, popolazione e sovranità).

• E’ uno stato neutrale, come detta l’art. 24 del concordato del 1929: “La Santa Sede, in relazione

alla sovranità che le compete anche nel campo internazionale, dichiara che essa vuole rimanere

e rimarrà estranea alle competizioni temporali fra gli altri Stati ed ai congressi internazionali

indetti per tale oggetto, a meno che le parti contendenti facciano concorde appello alla sua

missione di pace, riservandosi, in ogni caso, di far valere la sua potestà morale e spirituale. In

conseguenza di ciò la Città del Vaticano sarà sempre ed in ogni caso considerata territorio

neutro ed inviolabile.” Per questa ragione la Santa Sede non partecipa alle organizzazioni internazionali dove è deliberato l’uso della forza e infatti partecipa, quale osservatore permanente, all’U.N.U. solo perché ne riconosce il valore internazionale. Per la stessa ragione, partecipa anche all’OSCE7 (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione europea), dove nell’atto di adesione è specificato che la Santa Sede si asterrà dal prendere decisioni relative all’uso della forza.

L’art. 11 del concordato del 1929 dispone: “Gli enti centrali della Chiesa cattolica sono esenti da

ogni ingerenza da parte dello Stato italiano (salvo le disposizioni delle leggi italiane concernenti

gli acquisti dei corpi morali), nonché dalla conversione nei riguardi dei beni immobili.” Questa norma è stata interpretata dalla giurisprudenza come un esenzione degli enti centrali dalla legislazione italiana, ma noi non abbiamo una definizione di questi enti. Infatti nulla è detto al riguardo nei canoni 360 e 361 del codice canonico, dalla legge “Pastor bonus” e neanche il concordato lateranensi lo indica. Comunque la non ingerenza non può essere interpretata come esenzione dalla giurisdizione e ancora meno dalla legge penale, invece l’art. 11 è stato voluto per scongiurare la possibilità di reintroduzione di leggi eversive che potessero colpire gli enti centrali della Chiesa cattolica. Per Cardia e Finocchiaro, la giurisprudenza ha interpretato l’art. 11 in maniera ampia facendo rientrare anche lo I.O.R.8 - L'Istituto per le Opere di Religione una specie di banca vaticana, in cui alcuni alti dirigenti sono stati condannati per il coinvolgimento nel crac del banco Ambrosiano, ma assolti dalla Cassazione in quanto il Vaticano ha opposto la questione che lo I.O.R. è un ente centrale della Santa Sede. Alla stesse conclusioni è giunto con una sentenza il Tribunale di Roma, alla radio Vaticana, nel processo sulla presunta nocività delle onde elettromagnetiche e le morti sospette per leucemia. Una successiva sentenza della Corte di Cassazione, il 9 aprile 2003, non accoglieva tuttavia tale interpretazione, e rinviava quindi la causa al Tribunale. Il 23 ottobre dello stesso anno iniziava quindi una nuova fase del processo, durata un anno e mezzo, che dopo numerose udienze è giunta a conclusione con la sentenza la condanna a 10 giorni di arresto, con sospensione della pena, per il Padre Borgomeo, Direttore Generale della Radio, e per il card. Tucci, presidente del Comitato di 7 I compiti prioritari dell’OSCE sono: il consolidamento della democrazia nei paesi membri; la prevenzione delle guerre e l’intervento umanitario e politico-diplomatico nelle aree interessate da conflitti bellici; la promozione di un ordine politico ed economico internazionale basato sulla cooperazione tra stati; il superamento delle differenze politiche, economiche e sociali e la promozione di un comune sistema di sicurezza. L’OSCE ha compiuto sinora missioni in diversi paesi, tra cui Bosnia, Croazia, Kosovo, Georgia, Lettonia, Tagikistan, Ucraina, Cecenia. 8 L'Istituto per le Opere di Religione (IOR) ha lo scopo "di provvedere alla custodia e all´amministrazione dei beni mobili e immobili trasferiti o affidati allo IOR medesimo da persone fisiche o giuridiche e destinati a opere di religione e carità" (Art.2 dello Statuto). Viene considerato la banca centrale della Chiesa Cattolica Romana ed è situato nella Città del Vaticano. La banca è gestita da professionisti bancari che riferisce direttamente ad un comitato di cardinali, ed infine al Papa (o al cardinale Camerlengo durante un interregnum). L'attuale presidente è Angelo Caloia che è stato membro dell'Opus Dei. Il vice-presidente è Virgil Dechant, un americano dell'Ordine dei Cavalieri di Colombo.

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gestione della Radio fino al 2000, assolve invece l’ing. Pacifici, vice direttore tecnico. La condanna comprende anche il pagamento delle spese processuali, mentre un risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili dovrebbe essere liquidato in separata sede. Il processo è attualmente in corso nella fase di appello. Un altro caso, dei tanti, c’è stato sull’Opera romana pellegrinaggi in relazione al licenziamento di un suo dipendente e anche in questo caso, al ricorso del dipendente, è stato opposto che trattasi di ente della diocesi di Roma, dove il capo è il vicario del Papa, quindi è un ente centrale della Santa Sede, tesi accettata dalla Cassazione con la sentenza 15 aprile 2005, n. 7791, per carenza di potestà giurisdizionale del giudice italiano nei confronti di enti di diritto internazionale al di fuori dei provvedimenti di contenuto esclusivamente patrimoniale.

Religione e confessione religiosa Il termine confessione religiosa usato nella Costituzione italiana è una terminologia prettamente cristiana, perché il termine confessione è adottato dalle chiese protestanti per distinguersi dalla cattolica. Il confessionalismo è un fenomeno protestante americano e quindi già nella scelta del temine confessione religiosa, non semplicemente religione come hanno fatto altre costituzioni europee, è una chiara impronta della cultura e della sociologia dell’epoca. I costituenti, nella scelta del termine di confessione religiosa, si rifacevano ad un panorama religioso definito nel senso cristiano, dove le religioni diverse dalla cattolica erano solo quelle cinque o sei esistenti allora in Italia. La religione è la propensione individuale della persona verso valori comuni insostituibili e supremi tanto forti da legare comportamenti e rapporti personali (re = cosa) e (ligo = legare), cioè cosa che lega oppure re come terzo al disopra del popolo che va rispettato e unisce. La confessione, invece, è un’organizzazione di persone che si riconoscono appartenenti alla stessa fede che può essere ideologica, filosofica, ma anche religiosa. Mentre la fede è il rapporto di esclusività che nasce rispetto ad una verità rivelata ed è sempre espressione del valore imprescindibile e insostituibile che la persona attribuisce a ciò che proviene da un altro; in sintesi affidarsi ad un altro (ad esempio la fede politica). Per questo il legislatore ha specificato confessione religiosa. Invece per religione si intende il movimento teologico e la sua organizzazione. Per Esposito la confessione è una realtà sociale istituzionalmente destinata alla realizzazione del

fine religioso, ma questa definizione non specifica cosa sia il fine religioso. Per Finocchiaro può essere confessione religiosa soltanto se questa ha una originale concezione del

mondo che investe oltre ai rapporti tra uomo e Dio, pure i rapporti fra uomo e uomo. Cioè la religione deve avere una serie di regole per guidare i rapporti tra uomini e Dio e tra i suoi stessi fedeli. Ma questa definizione di Finocchiaro mostra dei limiti in quelle religioni che non hanno un rapporto diretto tra uomo e Dio, ad esempio per alcune correnti del buddismo Dio non esiste. Altri autori definiscono una confessione religiosa su criteri di carattere storico e sociologico. Ad esempio è confessione religiosa solo se è considerata tale dalla società; per Gismondi oltre all’opinione sociale è necessaria una radicata presenza nella società; per altri ancora all’opinione sociale ed alla radicata presenza è necessario aggiungere l’esistenza di un certo numero di fedeli. Quest’ultimo è il c.d. criterio numerico, criticato dal Finocchiaro in quanto in origine la stessa religione cattolica era formata da un piccolo gruppo di adepti. Diversa da queste è la tesi dell’autoreferenziazione o autoqualificazione, rigettata dalla Corte Costituzionale e dalla Cassazione, proveniente dalla dottrina statunitense, per la quale è confessione religiosa quella che definisce se stessa come tale. Questo tesi è basata sul principio che lo Stato è laico e che non gli spetta stabilire cosa è religione e quindi è la religione stessa che deve definirsi tale; ne consegue che lo Stato si dovrebbe limitare a prendere atto della definizione che la religione da di se stessa. Questa tesi ha il grave difetto di qualificare religioni anche le sette o associazioni estremiste in generale, inoltre è una tesi che può essere valida per un paese separatista quali gli

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U.S.A. dove la religione non comporta nulla per lo Stato, ma per l’Italia è diverso in quanto è un paese concordatario, la religione comporta una serie di agevolazioni fino al finanziamento pubblico. La sentenza della Corte costituzionale, 27 aprile 1993, n. 195 interessata dalla Congregazione cristiana dei Testimoni di Geova sull’eccezione di costituzionalità in riferimento alla legge della Regione Abruzzo 16 marzo 1988, n. 29, recante "Disciplina urbanistica dei servizi religiosi", su una norma per sussidi e suoli per la costruzione di edifici di culto per la Chiesa cattolica e altre confessioni munite di intesa, ai sensi dell’art. 8 della Costituzione. La Consulta accoglie il ricorso della Congregazione cristiana dei Testimoni di Geova perchè limitare l’aiuto pubblico alle sole confessioni con intesa costituisce una violazione dell’art. 8: “Tutte

le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge”. L’intesa non è un obbligo per la confessione religiosa tanto che ci sono alcune confessioni che non vogliono l’intesa o altre la vorrebbero, ma per motivi politici e non giuridici, viene negata dallo Stato. Inoltre, se lo Stato o la Regione interviene con una legge per favorire la libertà di culto delle confessioni religiose, non si può distinguere tra confessioni che hanno l’intesa da quelle sprovviste, perché altrimenti si viola l’art. 8 della Costituzione. Premesso questo, bisogna però poter distinguere una confessione religiosa da altre associazioni non religiose. La Consulta ha stabilito che sono confessioni religiose, oltre quelle che hanno un’ intesa con lo Stato, anche altre, ma per individuarle non basta il criterio dell’autoqualificazione e prescrive tre principi per riconoscerle: • precedenti riconoscimenti pubblici, • lo statuto che ne esprime chiaramente i caratteri (richiamato dallo stesso art. 8 della

Costituzione, anche se lo statuto è una facoltà, non un obbligo della confessione religiosa), • dalla comune considerazione. Per la dottrina, allo scopo di verificare l’esistenza della confessione religiosa, era necessario un contenuto ideologico originario, una normativa organica condivisa da una comunità e non un piccolo gruppo, eccetera. I limiti alla libertà religiosa sono dati dall’art. 19 della Costituzione, per il quale non sono ammesse le confessioni religiose aventi riti contrari al buon costume, dal rispetto della persona nei suo diritti personalissimi, dalla tutela della salute (art. 32 Cost.), dalle prescrizioni relative ai principi relativi all’essenza della Costituzione ed ai suoi valori supremi (come il Concordato). In sintesi la libertà religiosa non può contrastare con altri principi costituzionali e mancando la libertà religiosa, non c’è neanche la confessione religiosa. Un altro tentativo di definire una confessione religiosa lo troviamo con la sentenza della Corte di Cassazione penale, sez. II, 9 febbraio 1995, n. 5838, riguardante la questione della Chiesa di Scientology9 condannati da un tribunale per associazione a delinquere per aver raggirato alcune persone approfittando della loro fragilità psicologica, al fine di sottrarre grosse somme di denaro. Quel tribunale penale aveva anche affermato che il disegno criminoso non era opera di alcuni esponenti di Scientology, ma della stessa organizzazione della confessione creata con il fine di estorcere denaro approfittando della fragilità di alcune persone.

9 Scientology: dal latino scio, conoscere, sapere, e dal greco logos, parola o forma esterna con cui viene espresso e reso noto il pensiero interiore. Scientology è una religione del ventesimo secolo che comprende un vasto insieme di conoscenze derivanti da alcune verità fondamentali, la principale delle quali è questa: l’uomo è un essere spirituale dotato di capacità che vanno ben oltre quelle che egli considera di avere normalmente. Egli non solo è in grado di risolvere i propri problemi, di raggiungere le mete che si è prefisso e di conseguire una felicità duratura, ma può anche raggiungere nuovi stati di consapevolezza mai sognati prima. Secondo i principi religiosi di Scientology, non viene richiesto a nessuno di accettare nulla come un credo. Niente è vero per me, a meno che non sia stato io a osservarlo. Ed è vero in base alla mia osservazione. Oggi, nel mondo dello spettacolo, l'avvicinamento dell'attore Tom Cruise alla dottrina di Scientology è stata una delle cause della rottura con la sua ex moglie Nicole Kidman. L’attrice, che pure inizialmente aveva condiviso lo stessa professione di fede del marito, in seguito si sarebbe riavvicinata al cattolicesimo. Ma non è finita; il suo credo nella possibilità di migliorare l'esistenza attraverso il controllo della mente è stato anche la causa della sua prima, grande lite con la dolce Katie Holmes, la compagna da cui ha avuto un figlio.

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Per stabilire se ciò che hanno fatto gli Scientology è esercizio di libertà religiosa o altro, bisogna preliminarmente stabilire se Scientology sono una confessione religiosa, perché l’esercizio del culto non può essere considerato reato, purché non abbia riti contrari al buon costume (art. 19 Cost.). Per la Cassazione i tre requisiti indicati dalla Corte costituzionale, con sentenza n.195/1993, sono un punto di partenza obbligato per qualificare una confessione religiosa, ma non sono necessariamente gli unici e quindi possono aggiungersene altri. La Cassazione respinge la sentenza del giudice di secondo grado perché non si può affermare che i riti degli Scientology sono atti illeciti, e quindi l’associazione a delinquere, se prima non si stabilisce se questi sono o meno una confessione religiosa. Analogo problema si è posto con la sentenza della Corte di Cassazione penale, sez. VI, 8 ottobre 1997, n. 9476, sempre riguardante la questione degli Scientology, dove è ribadito che questa è una confessione religiosa e non si può far risalire la responsabilità di alcuni dirigenti all’intera comunità degli Scientology, ma deve essere imputata ai singoli responsabili. Inoltre la Corte di Cassazione, in occasione di questa sentenza, ha dato alcuni criteri per definirla: il corredo di principi e valori esterni all’uomo, il numero significativo di persone che esprimono una fede riconoscendosi uniti in quei valori religiosi. La risoluzione della Comunità europea del 22 maggio 1984, sulle nuove confessioni religiose in Europa, stabilisce alcuni criteri per individuare le religioni e distinguerle da associazioni che paventano falsamente di essere confessioni religiose. Questa risoluzione stabilisce che i membri di una confessione religiosa non devono essere obbligati ad assumere impegni prima della maggiore età, la partecipazione ad una confessione religiosa non deve impedire ai suoi aderenti di mantenere i contatti con la famiglia d’origine, gli aderenti non devono essere obbligati a devolvere il proprio patrimonio all’organizzazione di cui dovranno far parte, i fedeli devono avere un lasso di tempo per riflettere e devono avere il tempo di poter consultare persone esterne alla confessione religiosa come familiari, amici e legali sulla questione, eccetera. Tutto questo serve ad evitare la proliferazione delle sette che affliggono la società e infatti questa risoluzione è stata all’origine di alcune leggi varate dagli stati dell’Unione proprio per contrastare il fenomeno delle sette. Vi è anche da aggiungere che i parametri dettati dalla risoluzione toccano anche religioni importantissime come la stessa Chiesa cattolica; ad esempio le suore di clausura che devono tagliare ogni rapporto con il mondo esterno e che quindi sono direttamente interessate da questa risoluzione. Un altro esempio è il voto di povertà di alcuni religiosi per il quale si dona, con testamento, tutti i beni ad un istituto religioso al momento di ricevere i voti solenni e perpetui di povertà. Il progetto di Costituzione Europea10 all’art. 52 si occupa delle chiese, associazioni o comunità religiose, equiparandole però alle organizzazioni filosofiche e non confessionali. 10 Il 29 ottobre 2004, i capi di Stato o di governo dei 25 Stati membri e dei 3 paesi candidati hanno firmato il trattato che istituisce una Costituzione per l'Europa, che era stato adottato all'unanimità il 18 giugno 2004. Il trattato potrà entrare in vigore soltanto quando sarà ratificato da ciascuno dei paesi firmatari secondo le proprie procedure costituzionali dei vari paesi. Le procedure previste dalle Costituzioni, in questo senso, non sono identiche e comportano l'uno o l'altro dei due tipi di meccanismi seguenti, o addirittura entrambi: • la via «parlamentare»: il testo è approvato in seguito al voto di un testo riguardante la ratifica di un trattato internazionale dalla o dalle camere

parlamentari dello Stato; • la via «referendaria»: un referendum viene organizzato e sottoposto direttamente ai cittadini che si pronunciano a favore o contro il testo del

trattato. Queste due formule possono conoscere varianti o combinazioni a seconda dei paesi o di altre esigenze, ad esempio quando la ratifica del trattato esige, a motivo del contenuto di questo testo, un adeguamento preventivo della Costituzione nazionale. Una volta avvenuta la ratifica, ufficialmente notificata da tutti gli Stati firmatari (deposito degli strumenti di ratifica), il trattato potrà entrare in vigore e prendere effetto in linea di massima, secondo quanto in esso stabilito, il 1° novembre 2006 Nei referendum in Francia e nei Paesi Bassi, svoltisi rispettivamente il 29 maggio e il 1º giugno 2005, la maggioranza degli elettori ha votato “no” al testo della Costituzione. A fronte di questi risultati, il Consiglio europeo del 16 e 17 giugno 2005 ha ritenuto la scadenza del 1º novembre, che era stata inizialmente prevista per l’entrata in vigore della Costituzione, non più perseguibile, in quanto gli Stati che non hanno ancora ratificato il trattato non saranno in grado di fornire una buona risposta prima della metà del 2007. Tutti gli Stati membri, che abbiano o non abbiano ratificato la Costituzione, si sono così presi una pausa di riflessione, da utilizzare anche per dibattiti e chiarimenti. Nel corso della presidenza austriaca del primo semestre 2006, il Consiglio europeo esaminerà lo stato di avanzamento dei dibattiti sulla ratifica del trattato costituzionale. Il processo di ratifica da parte degli Stati membri non è stato dunque abbandonato. Il calendario sarà, se del caso, adattato alle circostanze nei paesi in cui non è ancora avvenuta la ratifica.

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Tra le organizzazioni non confessionali vi sono quelle umanitarie non governative come Amnesty International, Telefono Azzurro, Emergency, Medici Senza Frontiere, eccetera le quali si differenziano dalla religione perché alla base dell’associazione non vi è una fede. Inoltre, per le confessioni religiose gli scopi umanitari non sono primari e le loro attività sono garantite dal diritto di libertà religiosa, mentre per le associazioni benefiche sono primari gli scopi umanitari, la tutela dei diritti umani, eccetera e le loro attività sono garantite dal diritto ordinario. Bisogna anche aggiungere che il rinnovato ruolo pubblico delle religioni a livello internazionale è dato anche dall’importanza di queste nella risoluzione di conflitti internazionali. Questa è una svolta, in quanto durante la guerra fredda le religioni erano ininfluenti nelle controversie tra gli stati, rilevanti erano solo le ideologie politiche e il potere economico e militare, mentre oggi sono importanti quanto altre questioni, un esempio è il conflitto israeliano-palestinese,. Il primo comma dell’art. 52 sancisce: “L'Unione rispetta e non pregiudica lo status di cui godono

negli Stati membri, in virtù del diritto nazionale, le chiese e le associazioni o comunità religiose.” Quindi in Italia si può avere il concordato con la Chiesa cattolica e le intese con le altre confessioni religiose, mentre gli altri paesi dell’Unione adottano altre regole per disciplinare i rapporti con le varie religioni. Il secondo comma detta: “L'Unione rispetta ugualmente lo status di cui godono, in virtù del diritto

nazionale, le organizzazioni filosofiche e non confessionali.” In pratica vengono equiparate le confessioni religiose alle organizzazioni filosofiche e non confessionali ed è il frutto delle pressioni di alcuni paesi che nella loro legislazione (come la Costituzione belga) hanno norme analoghe. Il terzo comma detta: “Riconoscendone l'identità e il contributo specifico, l'Unione mantiene un

dialogo aperto, trasparente e regolare con tali chiese e organizzazioni.” Quindi, anche se i rapporti tra gli stati e le chiese sono una questione interna agli ordinamenti statuali, l’Unione mantiene comunque aperto il dialogo con le confessioni religiose e le organizzazioni filosofiche e non confessionali, riconoscendo il loro ruolo nello sviluppo della società nell’Unione. Dagli anni ‘80 in poi, si diffondo in Italia e in Europa una serie di religioni prima sconosciute come il buddismo, l’islam11, induismo, eccetera, inizia così il pluralismo religioso.

Il diritto ecclesiastico nella Costituzione italiana Nello studio delle fonti del diritto ecclesiastico usiamo la partizione di Francesco Finocchiaro che le divide in fonti di cognizione e di produzione. � fonti di cognizione sono quelle che ci consentono di conoscere il diritto: la Costituzione, le leggi

ordinarie, i regolamenti. � fonti di produzione sono i procedimenti attraverso i quali sono legittimamente posti in essere le

norme di diritto ecclesiastico. L’articolo 1 della Costituzione è ontologicamente il numero 1, cioè ha un importanza intrinseca che ispira tutti gli altri articoli. “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro.” Il primo comma del primo articolo della Costituzione esordisce con la parola Italia che non definisce e usa solo in questa occasione. L’Italia non viene definita come entità. Lascia una certa fluidità nella sua rappresentazione per indicare ciò che nel cuore, nella storia, nell’intelligenza12 dei suoi cittadini è sentito come Italia. In questo modo il suo significato si adatta ai tempi in un’Italia profondamente cambiata dal dopoguerra ad oggi, basti vedere come è cambiata nel rapporto con le religioni. Nel periodo postbellico vi era solo la cattolica e pochissime altre; oggi, secondo i dati del ministero dell’Interno, le confessioni religiose in Italia sono circa 130, con una distribuzione sperequata. Secondo 11 L’Islam non è una religione nuova in Italia, infatti nel 900, X secolo, Bari è stato perfino l’unico emirato arabo in Italia. Infatti, secondo alcuni, in corrispondenza dell’odierna basilica di San Nicola (santo nato a Mira in Turchia) vi è un pavimento in mosaico con una fascia con caratteri cufici (segni grafici di scrittura usati dagli arabi fra il VII e l'VIII secolo, impiegati in campo artistico come motivo decorativo) dietro l’altare in quanto risale all’antica moschea che sorgeva sullo stesso suolo della basilica. Anche a Taranto vi è stata una comunità araba intorno all’anno 1000 di area maghrebina (Africa mediterranea). Gli arabi furono cacciati definitivamente dall’Europa occidentale nel 1492. 12 Essere intelligenti significa leggere dentro. L’intelligenza è anche la capacità di cogliere i nessi esistenti fra i vari momenti dell'esperienza.

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un’indagine dell'Eurispes13, rilasciata nel 2006 e ripresa dal Corriere della Sera, l'87,8% della popolazione si proclama cattolico (il 36,8% è praticante), il 9,5% non è religioso e solo il 2,7% della popolazione è frammentato in tutte le altre religioni. Le confessioni religiose che hanno chiesto allo Stato di stipulare un’intesa sono circa 30, di cui 2 hanno firmato l’accordo con il Governo, restando in attesa dell’approvazione del Parlamento. In sintesi, i costituenti con il termine Italia hanno introdotto un elemento di assoluta indeterminatezza che favorisce le dinamiche sociali, cioè l’Italia non è determinabile in una fase storica, ma lo è in relazione al periodo storico che vive. La Repubblica, dal latino “res publica” cosa pubblica, è l’insieme di tutti i soggetti fisici, giuridici, istituzionali, sociologici, anche esterni alla nazione, come avviene per l’Unione Europea, che la compongono. Prima di essere sinonimo di organizzazione (forma di governo rappresentativo), la Repubblica è sinonimo di composizione e aggregazione, quindi è l’insieme di quei soggetti che hanno delegato i propri rappresentanti per scrivere la legge fondamentale di coesistenza: la Costituzione. Questo concetto è fondamentale anche per comprendere la logica dei giudizi per l’accettazione delle parti civili nei processi penali come, ad esempio, l’ammissione delle associazioni per la difesa dei consumatori nei processi tra un cliente contro una grande industria o del Telefono Azzurro in un processo per pedofilia. Queste associazioni sono riconosciute in quanto soggetti che compongono la Repubblica. Bisogna anche dire che l’Italia è una Repubblica, che indica una forma di governo rappresentativo, ma è anche una Repubblica democratica cioè il governo rappresenta il popolo che ne ha la sovranità. Il comma continua con questa incidentale: “fondata sul lavoro”. La prima bozza dell’art. 1 enunciava “fondata sui lavoratori”, ma questa formulazione apparve troppo restrittiva, in quanto escludeva i disoccupati, i pensionati, i troppo giovani per lavorare. Invece la nostra Repubblica è fondata sulla dignità del lavoro, inteso come produzione non solo di beni, ma anche di servizi, idee, rapporti, processi, benessere spirituale, fisico, eccetera. In sintesi, per la Costituzione il lavoro è inteso nel suo significato ontologico e cioè l’elaborazione di qualcosa. Per queste ragioni lo Stato non è la Repubblica, ma è la rappresentazione organizzata nel suo livello massimo. Le fonti del diritto ecclesiastico di livello costituzionale più importanti sono gli articoli 2, 3, 7, 8, 19 e 20. L’art. 2 riguarda i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali. La libertà religiosa è uno dei diritti inviolabili dell’uomo, mentre le confessioni religiose sono garantite come formazioni sociali. L’art. 3 riguarda il principio di uguaglianza la quale sancisce la pari dignità sociale e l’uguaglianza

davanti alla legge senza distinzione di religione, oltre a sesso, razza, eccetera. Con gli articoli 7 e 8 si afferma il carattere concordatario del nostro ordinamento: • l’art. 7, con il concordato, regola i rapporti tra Stato e Chiesa cattolica su base bilaterale, • l’art. 8, con le intese, regola i rapporti tra lo Stato e le altre confessioni religiose. Quindi i costituenti, confermando la legislazione del 1929, hanno deciso che l’Italia non avrebbe avuto un ordinamento separatista, ma concordatario cioè legiferando in accordo con la Chiesa cattolica e con le altre confessioni religiose. L’art. 7, il più discusso di tutta la Carta Costituzionale, nella bozza della Costituzione formava l’art. 5 includendo anche l’attuale art. 8. La bozza di art. 5, voluta dal segretario del P.C.I. Palmiro Togliatti, stabiliva che lo Stato è indipendente e sovrano nei confronti di ogni organizzazione religiosa ed ecclesiastica. In questo modo non veniva affermata l’indipendenza della Chiesa e si

13 Istituto di studi politici economici e sociali.

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evitava la sua influenza sullo Stato; in sintesi si affermava la supremazia dello Stato sulla Chiesa e non la parità dettata dalla formulazione definitiva dell’art. 7. Infine la bozza dell’art. 7 prevedeva che i rapporti tra Stato e Chiesa dovevano essere regolati in termini concordatari, evitando il riferimento esplicito ai patti Lateranensi voluti dal regime fascista, ma la sua definitiva formulazione, segna la scelta dei costituenti di riferirsi esplicitamente ai Patti Lateranensi, al di là degli effetti giuridici. Da quanto emerge dagli atti della Costituente, la scelta politica fu appoggiata dal segretario del Partito Comunista Italiano Togliatti, per non riaprire il contenzioso con la Chiesa e mantenere lo status quo, cioè lo stato di equilibrio, garantendo la continuità di questi rapporti bilaterali anche per il futuro, in quanto la Chiesa era interessata a lasciare inalterato il Concordato del 1929. Alla fine l’accordo sull’art. 7 si raggiunse all’unanimità e furono decisive le posizione dei comunisti, in primo luogo quella di Togliatti che osservò che un paese distrutto dalla guerra, bisognevole di tutto, non si può permettere guerre di religione. In sintesi la pax religiosa imponeva l’accettazione dei Patti e di quel sistema. La scelta dei costituenti, fu dettata inoltre dal fatto che l’Italia postbellica usciva da una guerra civile, dovuta alla nascita della Repubblica di Salò, alla guerra partigiana e al successivo sgretolamento del regime fascista, per cui si voleva unire il popolo con la religione, fin troppo diviso politicamente, e garantire l’appoggio della Chiesa al neogoverno repubblicano. Oltre a Togliatti, un’altra proposta di rilievo fu quella di Tupini che chiedeva il richiamo alle norme internazionali nella Costituzione, riconoscendo la sovranità della Chiesa cattolica e del suo ordinamento giuridico. La proposta di Tupini fu criticata da Calamandrei che aveva avvertito che una tale formulazione di quell’articolo avrebbe portato alla costituzionalizzazione dei Patti, cioè avrebbe attribuito alle norme del concordato la stessa forza dei singoli articoli della Costituzione e questo non era possibile perché il Concordato, di epoca fascista14, conteneva delle disposizioni non in linea con il testo costituzionale. Per Giuseppe Dossetti, famoso canonista, invece richiamare i Patti nella Costituzione non significa renderli parte integrante della Costituzione, ma vuol dire solo vincolare lo Stato a non disciplinare in via unilaterale i rapporti con la Chiesa cattolica, cioè l’art. 7 deve essere considerato solo una norma sulla produzione giuridica o di procedura per l’emanazione delle norme interessate dal concordato. La posizione di Dossetti fa cadere tutte le riserve in sede costituente, portando all’approvazione dell’articolo nella formulazione attuale e diventando il criterio interpretativo di giurisprudenza e dottrina. La formula del primo comma dell’art. 7 è riportata anche in un’enciclica15 di Papa Leone XIII, Immortale Dei, del 1885, con l’unica differenza che questa non mette l’aggettivo ciascuno. Secondo alcuni, l’articolo segue pedissequamente un tratto dell’enciclica, perché risente della formulazione canonistica, e in particolare la parte che studia i rapporti con gli stati, voluta dal Dossetti, inconsapevolmente riproposta nell’art. 7. Per altri invece, la cosa è intenzionale per far si che la Costituzione riprendesse la teoria canonistica sui rapporti tra Stato e Chiesa. Il primo comma dell’art. 7: “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine,

indipendenti e sovrani”, nei primi anni ’50 fu considerato dalla dottrina privo di valore perchè inutile. Infatti, soprattutto i laici, considerano improprio inserire nella Costituzione un riferimento alla sovranità della Chiesa, unico caso in Europa, come è inopportuno inserire un riferimento alla sovranità di qualsiasi altro stato nella Costituzione.

14 Secondo alcuni ecclesiasticisti la stessa sottoscrizione dei patti contrasta con la logica dello stato etico-fascista, perché questo stato ammette solo il suo potere rifiutando qualsiasi divisione con chiunque altro. Quindi, quando lo Stato fascista ha sottoscritto i Patti con la Chiesa in qualità, di soggetto di potere equipollente al suo, in un certo senso ha ammesso una forma di dualismo. Per questo il prof. Battaglia ha detto che c’è un elemento germinale di democraticità nella logica dei Patti. 15 Lettera circolare apostolica che il Papa indirizza ai vescovi e ai prelati di tutta la Chiesa, su argomenti di fede o sociali.

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Per altri, invece, l’affermazione del primo comma è importante perché, in relazione al fatto che i rapporti tra Stato e Chiesa sono su base concordataria, il riconoscimento della sovranità della Chiesa comporta anche un riconoscimento dell’originalità dell’ordinamento canonico, collocato allo stesso livello dell’ordinamento dello Stato ed eliminando la possibilità di instaurare un regime cesaropapista o giurisdizionalista16. In questo modo viene superata la teoria della statualità del diritto, di matrice ottocentesca, per la quale solo lo Stato può produrre diritto e trova applicazione la teoria di Santi Romano17 sulla pluralità degli ordinamenti giuridici per il quale, oltre al diritto emanato dallo Stato, vi sono altri enti e istituzioni che possono produrre diritto, fra queste le confessioni religiose e in maniera particolare la Chiesa cattolica. Un'altra particolarità del primo comma dell’art. 7 è la dicitura “ciascuno nel proprio ordine” che indica quelle materie in cui la Chiesa o lo Stato hanno competenza esclusiva e si differenziano dalle materie di interesse misto, res mixtae, regolate dai Patti Lateranensi. Il problema sta nella difficoltà di definire, in concreto, quali sono le materie in cui lo Stato o la Chiesa ha competenza esclusiva e questo rende dubbia l’applicazione reale dell’affermazione “ciascuno nel proprio ordine”. Comunque, quando bisogna decidere sulla competenza di una materia, la competenza è dello Stato, definita dalla dottrina la competenza delle competenze, cioè è lo Stato che dice fin dove arriva l’ordine della Chiesa e dove inizia l’ordine temporale. Possiamo anche affermare che per lo Stato non esistono res mixtae, ma esistono situazioni affrontate di volta in volta e, in mancanza di strumenti giuridici come i Patti Lateranensi, sono decise dallo Stato perchè ha la competenza delle competenze. Come è accaduto con l’art. 7, si decise di estendere i rapporti bilaterali anche ad altre confessioni religiose, segnando un cambiamento sostanziale rispetto all’1 dello Statuto Albertino e al concordato del 1929 che riservava un regime bilaterale solo alla Chiesa cattolica; tutti gli altri culti erano disciplinati in maniera unilaterale con la legge ordinaria 1159/29, sui culti ammessi, e con il relativo regolamento di attuazione approvato con Regio Decreto 28 febbraio 1930, n. 289. Infatti l’art. 1 dello Statuto Albertino dettava: “La Religione Cattolica, Apostolica e Romana è la

sola Religione dello Stato. Gli altri culti ora esistenti sono tollerati conformemente alle leggi”. Questo consentiva di privilegiare la Chiesa cattolica, mentre le altre religioni venivano disciplinate dalla legge sui culti ammessi che già il titolo, indica un trattamento sfavorevole rispetto alla Chiesa cattolica, in quanto è lo Stato che ammette i culti in presenza di determinati requisiti. Invece i costituenti del 1947 decisero di estendere il regime di rapporti bilaterali tra Stato e Chiesa anche alle altre confessioni religiose, introducendo l’art. 8 della Costituzione. Il primo comma: “Tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge” indica tutte le confessioni, quindi anche la cattolica, mentre il secondo comma dell’art. 8 riguarda solo le religioni diverse dalla cattolica: “Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno il diritto di

organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico

italiano”. In questo modo è sancita la parità tra l’ordinamento dello Stato e gli statuti delle altre confessioni religiose che ne rappresentano il loro ordinamento. Infatti nell’intesa con lo Stato italiano, la chiesa Valdese ha inserito all’art. 2 : “La Repubblica italiana dà atto dell'autonomia e

della indipendenza dell'ordinamento valdese”. Diverso è invece il rapporto con le associazioni non religiose, in quanto lo Stato ha una superiorità in relazione a quanto prescrive l’art. 2 Cost. In sintesi, lo Stato, regola i rapporti tra Stato e Chiesa con il concordato (art. 7 Cost.), con le intese per le confessioni religiose che ne sono munite (art. 8

16 Il giurisdizionalismo è la Dottrina politica tendente a subordinare la vita istituzionale della Chiesa allo Stato. 17 Santi Romano, giurista nato a Palermo nel 1875 e morto a Roma nel 1947, fu professore di diritto amministrativo nella università di Camerino e successivamente insegnò diritto costituzionale nelle università di Milano, Modena, Pisa. Nel 1928 divenne presidente del Consiglio di Stato e professore incaricato di diritto costituzionale all'università di Roma. Tra la sua vasta produzione è bene citare la monografia, L'ordinamento giuridico, del 1918 (opera cui si farà costante riferimento) in cui il Romano si qualifica come istituzionalista. Santi Romano è uno dei massimi rappresentanti dello istituzionalismo ovvero di quella dottrina secondo cui il diritto si identifica con la realtà sociale più comprensiva, vale a dire con la società organizzata od organizzazione sociale, con l' istituzione.

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Cost.), con la legge per i culti ammessi per le altre confessioni religiose e per tutte le associazioni di carattere non religioso applica l’art. 2 della Costituzione: “La Repubblica riconosce e garantisce i

diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali, ove si svolge la sua

personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e

sociale”. La bilateralità dei rapporti tra Stato e confessioni religiose, non si trova solo negli articoli 7 e 8 della Costituzione, ma anche in tutti i rapporti tra amministratori e autorità religiose locali di tutte le confessioni. L’applicazione concreta dell’art. 8 si ebbe solo nel 1984, dopo ben 36 anni dall’entrata in vigore della Costituzione, in occasione dell’intesa tra lo Stato e la Chiesa Valdese18. Il terzo comma dell’art. 8 dispone: “I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base

di intese con le relative rappresentanze”. Questo indica che lo Stato regola i rapporti solo con le confessioni religiose e con ognuna può stipulare intese. Vi è una differenza tra il secondo comma dell’art. 7 “I loro rapporti sono regolati dai Patti

Lateranensi” e il terzo comma dell’art. 8 “I loro rapporti con lo Stato sono regolati dalla legge…. omissis…”, in quanto l’art. 7 indica un rapporto precostituito e non modificabile (se non con una procedura particolare) costituito dai Patti Lateranensi, mentre l’art. 8 demanda i rapporti tra lo Stato e le altre confessioni religiose alla legge ordinaria e anche se fondata su un atto bilaterale, resta un atto agganciato a valutazioni politiche, pertanto modificabili. Il procedimento per varare un’intesa con una confessione religiosa, inizia con la nomina di una commissione apposita da parte del Presidente del Consiglio (che avviene con D.P.C.M.) della quale fa parte una rappresentanza della confessione religiosa. Una volta che l’intesa è approvata dal Consiglio dei Ministri, viene presentata alle Camere inserita in un disegno di legge per la ratifica. Per poter stipulare un’intesa con una religione, occorre che vi siano tre elementi: • l’aggregazione deve essere una confessione religiosa; • il Governo deve esprime una valutazione favorevole a sottoscrivere l’intesa, restando comunque

il Parlamento non obbligato a ratificarla; • deve esserci una rappresentanza apicale della confessione religiosa, designata al suo interno

anche sulla base dei suoi statuti. Per questo terzo elemento ci sono difficoltà a stipulare un’intesa con l’Islam19, perché i musulmani20 non hanno una gerarchia e quindi non hanno un capo che rappresenta tutti i fedeli, ma 18 Intesa siglata nel 1984 e approvata con la legge n. 449 dell'11 agosto 1984, successivamente integrata con la legge n. 409 del 5 ottobre 1993 in virtù della quale la confessione partecipa all'otto per mille del gettito IRPEF. 19 Islam significa sottomissione e rappresenta il rapporto tra l’uomo e Dio. L’uomo per poter entrare in paradiso si deve sottomettere alla legge divina e più si sottomette, più sale nel cielo; infatti il paradiso è rappresentato come una serie di cieli sovrapposti di cui quello più vicino a Dio è l’ultimo, il settimo cielo. 20 Musulmano significa fedele. in base alla legge religiosa (Shari’a), il fedele deve seguire i cinque pilastri dell’Islam: 1) la testimonianza di fede; 2) le 5 preghiere rituali; 3) l'elemosina canonica; 4) il digiuno durante il mese di Ramadan; 5) il pellegrinaggio alla Mecca (almeno una nella vita). In linea di massima i musulmani si dividono in due grossi gruppi, gli sciiti e sunniti. Con il termine Sciismo si indica il principale ramo minoritario dell'Islam. Gli sciiti si differenziano dai sunniti sulla questione della guida della comunità islamica (Umma), dal momento che considerano unica legittimata a regnare la Famiglia del profeta Muḥammad), mentre per i sunniti qualsiasi fedele di media capacità religiosa, non necessariamente discendente del Profeta, può guidare a pieno titolo un governo islamico. Col tempo gli Sciiti si sono differenziati dai sunniti anche su alcuni istituti giuridici (ammettono, ad esempio, la legittimità del matrimonio a tempo prefissato e considerano che dal Corano raccolto all'epoca del califfo Uthmān b. Affān siano stati espunti alcuni passaggi e una sura intera che indicavano la successione di ‘Alī a Muḥammad), ma il fatto che non si siano differenziati dai sunniti negli aspetti dogmatici non consente che si parli per essi di eresia, ma solo di una variante dell'Islam. Lo sciismo, minoritario in termini assoluti (10% massimo dei fedeli musulmani di tutto il mondo), è maggioritario in Iraq, in Libano e in alcune aree del Golfo Persico e del tutto prevalente in Iran, dove lo sciismo fu forzatamente imposto dalla dinastia dei Savfavidi (1501-1722). Il Sunnismo, orientamento nettamente maggioritario dell'Islam - circa il 90% dell'intero mondo islamico - prende il suo nome dal termine arabo "Sunna" (consuetudine), riferita al profeta dell'Islam Muhammad e ai suoi Sah ba (Compagni). Nato per ultimo nella discussione teologica islamica, il Sunnismo si differenzia essenzialmente dallo Sciismo (organizzatosi come dottrina prima del Sunnismo) per il suo netto rifiuto di riconoscere la pretesa degli Sciiti che la guida della Comunità islamica (Umma) dovesse essere riservata alla discendenza del profeta Muhamm ad attraverso sua figlia Fātima bt. Muhammad e suo cugino Alī ibn Abī Tālib. Secondo il Sunnismo invece alla guida politica e spirituale (non strettamente religiosa però) della Comunità poteva accedere qualunque musulmano pubere, di buona moralità, di sufficiente dottrina e sano di corpo e di mente. Il fatto di essere Meccano o, almeno, Arabo, era un elemento preferenziale ma non essenziale. Sotto questo profilo il Sunnismo respingeva quindi recisamente la pretesa dei kharigiti che la guida della società islamica fosse riservata al migliore dei credenti: qualità difficile da individuare e ancor più difficile

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solo delle guide spirituali del loro cammino di fede, ad esempio l’imam. Lo stesso U.C.O.I.I.21 non rappresenta la totalità degli islamici italiani. Inoltre, mentre per la nostra cultura un cittadino italiano, può essere cattolico, buddista, protestante eccetera, un islamico marocchino non scinde la religione dalla nazionalità e quindi, se si trova in Italia, frequenterà moschee di marocchini e non di algerini o di altre nazionalità. Questo rende più difficile la ricerca di una rappresentanza univoca per i fedeli di religione islamica. Per tutti questi motivi, secondo alcuni autori, l’istituto delle intese è superato e pertanto va abbandonato sostituendolo con una legge generale sulla libertà religiosa. A questo proposito diversi disegni di legge sono stati presentati in Parlamento e ultimamente ad aprile e a luglio 2006. Le caratteristiche di questi disegni di legge sono: • deve attuare i principi costituzionali; • abrogare la legge 1159/29 “legge sui culti ammessi”; • assicurare a tutti quello che le intese garantiscono solo ad alcuni; poi, se vi è necessità, si

faranno intese solo per aspetti peculiari. I criteri per individuare una confessione religiosa non sono dati dalla legge, ma sono stati indicati dalla Corte costituzionale con la sentenza 195/93 e dalla Corte di cassazione con la sentenza 5838/95. Inoltre una confessione religiosa può essere individuata dal Governo, dai giudici di merito e perfino dagli amministratori pubblici, ma solo lo Stato può avere rapporti istituzionali (concordato e intese) con le confessioni religiose, perché così è sancito dagli artt. 7 e 8 della Costituzione. Per il prof. Dammacco, a differenza del concordato che è un atto di diritto internazionale e quindi di diritto esterno, le intese sono atti di diritto interno perché la relativa commissione è nominata unilateralmente e per una parte della dottrina le intese sono atti politici il cui elemento giuridico è la legge di approvazione. Un’altra parte della dottrina ha osservato che se le confessioni religiose hanno ordinamenti giuridici primari, come detta la Costituzione, un intesa stipulata con una rappresentanza di un ordinamento giuridico primario non può essere un semplice atto politico, ma ha un valore maggiore. Per Francesco Finocchiaro, le intese, pur non trattandosi di atti di diritto internazionale, sono atti diritto esterno creato con la volontà di due soggetti posti sullo stesso piano. Per Cardia22 le intese non sono atti politici, ma atti di diritto pubblico interno vincolanti che una volta sottoscritti, lo Stato non può non osservarli. Per la dottrina prevalente, l’intesa è frutto di una scelta politica. Il Governo, anche se una confessione religiosa lo chiede ed ha i requisiti per ottenerla, può non stipularla, ne’ iniziare le trattative. Ad esempio, i primi a chiedere un’intesa furono i Testimoni di Geova già negli anni ’70, ma la richiesta è stata ignorata per anni dal Governo (anche quando furono stipulate intese con altre religioni), perché questa confessione chiedeva l’obiezione totale dal servizio militare, era contraria ad alcuni trattamenti sanitari, come le trasfusioni, eccetera. Per questo non si voleva dare un riconoscimento pubblico ad una religione che creava dei problemi di coesistenza con lo Stato. La questione sembra risolversi nel 2000, quando vengono stipulate due intese: una con i Testimoni di Geova e l’altra con i Buddisti. Entrambe vengono criticate dalla dottrina in quanto intese molto simili alle sei già esistenti, come se le religioni fossero tutte uguali ed avessero tutti le stesse

da mantenere, perché un semplice peccato, anche non grave, avrebbe fatto perdere tale qualità all'Imam ("Guida", ma intesa qui come sinonimo di califfo) e lo avrebbe fatto decadere dal suo supremo ufficio. 21 Unione delle Comunità ed Organizzazioni Islamiche in Italia. L'UCOII nasce sulla scia dell'USMI quando l'Islam sunnita "delle moschee" in Italia, a causa del boom dell'immigrazione, non si presta più a essere rappresentato da un organismo dichiaratamente studentesco. Per iniziativa di membri del Centro culturale islamico di Milano e Lombardia, l'UCOII è costituita ad Ancona nel 1990. Dopo avere "ereditato" le strutture dell'USMI, emerge come la realtà musulmana italiana più diffusa e radicata sul territorio, con una forte influenza dei Fratelli Musulmani, e si candida subito a essere interlocutore dello Stato italiano in vista dell'Intesa. All'UCOII fanno capo 122 associazioni, orizzontali (territoriali) e verticali (nazionali di settore), che svolgono attività di ordine sociale, assistenziale, di informazione e mediazione istituzionale, cui fanno capo a loro volta un'ottantina di moschee dove si svolgono pratiche rituali e una più ridotta attività di carattere culturale; vi sono inoltre quasi trecento luoghi di preghiera che non hanno ancora lo status di moschea e talora sono ubicati in appartamenti privati. Attraverso congressi, campeggi, attività culturali, rapporti con le autorità politiche, l'UCOII persegue il suo scopo della costruzione di un Islam italiano. 22 Prof. Carlo Cardia, professore di diritto canonico ed ecclesiastico all’università Romatre.

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necessità, benché le intese sono concepite dai costituenti per recepire le differenze tra le varie religioni e i loro aspetti peculiari. Queste due intese, benché stipulate dal Governo, furono affossate in Parlamento senza essere mai discusse e quindi ratificate. Per Finocchiaro, Cardia e la parte maggioritaria della dottrina, come la confessione non ha diritto ad iniziare la trattativa con il Governo, al tempo stesso non ha diritto alla legge di approvazione da parte del Parlamento, anche se resta la responsabilità politica del Governo che ha sottoscritto l’intesa. Per Andrea Guazzarotti (costituzionalista), vi è un rimedio giuridico nel caso il Parlamento non esamini l’intesa sottoscritta dal Governo, in quanto la confessione religiosa avrebbe il diritto di interessare l’autorità giudiziaria per porre la questione alla Consulta sul conflitto di attribuzioni tra i poteri del Parlamento e del Governo. Per la dottrina minoritaria, l’intesa è dettata espressamente dalla Costituzione, “i loro rapporti con

lo Stato sono regolati dalla legge sulla base di intese”, e quindi lo Stato deve almeno valutare la richiesta della confessione religiosa. Tornando alle due intese in attesa di ratifica da parte del Parlamento, quelle con l'Unione Buddhista Italiana (U.B.I.)23 e con i Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova24, lo stesso Consiglio dei Ministri di allora non ha stabilito se queste sono o meno confessioni religiose. In particolare la perplessità sul buddismo deriva dal fatto che, non originando da un alveo culturale occidentale, poteva risultare difficile individuare quella religione come confessione. Doveva rispondere su questo dubbio il ministro dell’Interno (Enzo Bianco), il quale non partecipò alla riunione e quindi la questione venne rinviata. Tra le peculiarità di queste due confessioni, l'Unione Buddhista Italiana non è una delle religioni del libro25 ed è il primo accordo con una religione orientale nella storia della Repubblica, mentre per la Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova, alcuni obiettano che non si tratta di una confessione religiosa, ma addirittura di una setta cioè un gruppo con una propria organizzazione che ha un elemento intollerabile per l’ordinamento italiano: non vi è libertà di entrare o uscire dall’associazione26, come accade per la religione islamica, dove chi l’abbandona è considerato apostata27. Questo la rende non democratica, e pertanto in contrasto con l’art. 1 della Costituzione, “l’Italia è una Repubblica democratica… omissis…”, quindi costituita da associazioni democratiche. Lelio Basso28, durante la costituente, sostenne che non esisteva solo la religione cattolica in Italia, ma vi erano religioni anche più antiche, come l’ebraismo e più recenti come l’Esercito della

23 Intesa tra la Repubblica Italiana e l'Unione Buddhista italiana siglata a Roma il 20 marzo 2000, durante la XIII legislatura presieduta dal Presidente D’Alema. 24 Testo del 18 novembre 1999, approvato a maggioranza dal Consiglio dei Ministri il 21 gennaio 2000 e sottoscritto dal Governo il 20 marzo 2000, durante la XIII legislatura presieduta dal Presidente D’Alema.. 25 Le religioni del libro sono così chiamate perché sono quelle in cui Dio si è rivelato agli uomini e la rivelazione raccolta in un libro (dal greco biblos). Dette confessioni sono tre: ebraica, cattolica e islamica. Per le altre religioni, invece, esistono i testi sacri, ma sono compilazioni umane non rivelate che assumono il valore di sacertà (sacralità) perché ritenute lo strumento indicante l’unico percorso che consente all’uomo di raggiunge la trascendenza. 26

Per entrare è necessario essere sottoposti ad una serie di valutazioni e per uscire è necessario che la richiesta sia ratificata da un organo interno. 27 Il termine apostasia (dal greco απο, apo, "lontano, distaccato", στασις, stasis, "restare") rappresenta la rinuncia formale rispetto alla propria religione e la successiva adesione ad un'altra o a ideologie non religiose. In senso stretto, il termine è riferito alla rinuncia e alla critica della propria precedente religione. Una vecchia e più ristretta definizione di questo termine si riferiva ai cristiani battezzati che abbandonavano la loro fede. Chi commette apostasia è un apostata, tuttavia sono pochi gli ex credenti che si autodefiniscono apostati, perché generalmente considerano questo termine come dispregiativo; in riferimento alla nuova religione si utilizza il termine convertito o il termine deconvertito per l'adesione a ateismo e agnosticismo, entrambi i termini hanno in sé un significato positivo, il secondo interpreta la perdita della fede in una religione come un aumento della razionalità e del rispetto verso il metodo scientifico. Molte religioni considerano l'apostasia un vizio, una degenerazione della virtù della pietà nel senso che quando viene a mancare la pietà, l'apostasia ne è la conseguenza; spesso l'apostata viene fatto bersaglio di condanne spirituali (ad esempio la scomunica) o materiali ed è rifuggito dai membri del suo precedente gruppo religioso. 28 Lelio Basso nacque a Varazze da una famiglia Liberal borghese. Nel 1916 lui e la sua famiglia si traferirono a Milano, dove egli frequentò la scuola di grammatica Berchet. Nel 1921 si iscrisse alla Facoltà di Legge dell'Università di Pavia e diventò membro del Partito Socialista Italiano. Studiò la dottrina Marxista e fu al fianco di Piero Gobetti durante la fase della sua “Rivoluzione Liberale”. In gioventù Lelio Basso lavorò per giornali e riviste quali “Critica sociale”, “Il Caffé”, “Avanti!”, “Coscentia”, “Quarto Stato” e “Pietre”, che diresse nel 1928, inizialmente da Genova, dopo da Milano. Nel 1925 si laureò in Legge con una tesi sul concetto di libertà nel pensiero Marxista.

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salvezza29, i metodisti30, i luterani31 e perfino religioni introdotte dagli americani. Al riguardo bisogna aggiungere che il Trattato di Pace firmato con gli U.S.A. prevede anche la libertà di religione per gli americani presenti sul nostro territorio. L’articolo 8 fu inserito, non per il numero delle religioni al di fuori della cattolica, sostanzialmente solo due, Valdese ed Ebraica, ma per il loro peso nella società. I costituenti scelsero tra due proposte del primo comma dell’art. 8: “Tutte le confessioni religiose

sono egualmente libere davanti alla legge”, quella che fu scelta, e un’altra proposta non accettata: “Le confessioni religiose sono eguali davanti alla legge”. Uguaglianza davanti alla legge, significa definire una condizione di parità sulla base di criteri legislativi preordinati, cioè è la legge che dice come si è eguali rispetto ad un altro. La proposta accettata del primo comma dell’art. 8 “Tutte le confessioni religiose sono egualmente

libere davanti alla legge” sta a significare che tutte le aggregazioni, identificabili come confessioni religiose, in quanto soggetti della Repubblica, sono egualmente libere davanti alla legge, comprese quelle non ancora identificate come tali al momento dell’entrata in vigore della Costituzione. Viene riconosciuta così la libertà, caratteristica peculiare delle confessioni religiose, che prevale sul carattere dell’uguaglianza inserito nella bozza di articolo non accettata: “Le confessioni religiose

sono eguali davanti alla legge”. Mentre gli artt. 7 e 8 Cost. riguardano i rapporti tra Stato e Chiesa e tra Stato ed altre confessioni religiose, gli artt. 19 e 20 Cost. riguardano la libertà religiosa individuale e collettiva ed è l’unica norma sull’argomento. La libertà religiosa garantita dall’art. 19 non riguarda solo i cittadini, ma tutti gli individui (italiani, stranieri e apolidi): “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in

qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitare in privato o in

pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume”; invece la libertà di circolazione (art. 16 Cost.), la libertà di riunione (art. 17 Cost.) e la libertà di associazione (art. 18 Cost.) sono garantite ai soli cittadini. Dopo la Liberazione Lelio Basso fu eletto Vice-Segretario dello PSIUP e, nel 1946, divenne Deputato dell'Assemblea Costituente. Egli si trovava nella Commissione, formata da 75 membri, che dovevano scrivere il testo della Costituzione e contribuì in particolar modo alla formulazione degli articoli 3, 8 e 49. Dal 1946 al 1968 fu costantemente eletto alla Camera dei Deputati. Fu eletto Senatore nel 1972 e nel 1976. 29 L’Esercito della Salvezza (inglese Salvation Army) è una organizzazione religiosa di origine metodista, fondata nel 1865 da William Booth a Londra con lo scopo di diffondere il cristianesimo e portare aiuto ai bisognosi. L'Esercito della Salvezza afferma che è possibile e necessario, in un mondo vocato al materialismo, vivere un cristianesimo visibile, gioioso ed attivo. Nel 1887 l’Esercito della Salvezza arrivò in Italia. Dopo un inizio difficile a Roma, grazie al Maggiore James Vint, l’opera ripartì stabilmente nel 1890 da San Giovanni, nelle valli valdesi, in seguito al lavoro del Col. Fritz Malan. In pochi anni l’Esercito della Salvezza si diffuse nelle principali città italiane (1893 a Torino, 1894 a Firenze, 1897 a Livorno, 1898 a Milano, 1899 a Venezia e Bologna) fino all'inizio del periodo fascista, che porto alla chiusura di alcune sale di culto nel 1935, alla soppressione del “Grido di Guerra” (l’organo ufficiale dell’Esercito) nel 1939, e culminò con la chiusura dell’Opera nel 1940. Diversi Ufficiali furono internati ed altri mandati al confino. A livello mondiale, l’Esercito della Salvezza è arrivato nel 2005 ad essere operante in 111 nazioni, nelle quali continuano ad essere vissute ed applicate le stesse metafore militari in uso ai tempi del Fondatore. 30 Il Metodismo, o movimento metodista, è una dottrina cristiana fondata dal pastore anglicano John Wesley nel XVIII secolo. L'intenzione di Wesley era originariamente quella di creare un movimento di risveglio all'interno della Chiesa anglicana che portasse a una maggiore attenzione agli evidenti problemi sociali della Gran Bretagna all'epoca della rivoluzione industriale; solo in seguito il metodismo assunse i connotati di dottrina indipendente dalla matrice anglicana. Il movimento metodista si diffuse velocemente in Gran Bretagna e in Nord America e, attraverso l'opera dei suoi missionari, anche nel resto del mondo. Attualmente è presente in quasi tutti i paesi e conta oltre settanta milioni di fedeli. Una delle caratteristiche del Metodismo è l'avere oltre ai pastori, uomini e donne, un rilevante numero di predicatori laici, che ricevono una accurata preparazione teologica che in seguito esercitano con la predicazione nelle comunità. Sebbene le donne non avessero inizialmente accesso al sacerdozio, Wesley dimostrò la propria propensione in questo senso consentendo fin da subito che le donne predicassero pubblicamente, atteggiamento decisamente progressista nella società del Settecento. 31 Con il termine Luteranesimo si indica la teologia sviluppata da Martin Lutero e le dottrine professate dalle chiese evangelico-luterane nate dalla Riforma protestante, che si ispirarono a lui e ai teologi che ne raccolsero l'eredità. Il luteranesimo inteso come teologia delle chiese evangelico-luterane è esposto in diversi scritti sistematici o Confessioni di Fede. Il primo testo (e di maggior impatto politico - religioso) fu quello redatto nel 1530 dal teologo e amico di Lutero Filippo Melantone, la Confessio Augustana, una esposizione moderata e priva di polemica delle dottrine riformate indirizzata a Carlo V in cui si rivendicava la continuità delle dottrine riformate con la Chiesa antica e la coerenza con le Scritture. Questa confessione, insieme ad altri scritti, venne inserita nel Liber Concordiae del 1580, che divenne la base teologica e dogmatica delle chiese luterane. Il luteranesimo venne riconosciuto come religione "istituzionalizzata" nel Sacro Romano Impero con la (Pace di Augusta), che sancì il principio del cuius regio, eius religio, cioè l’obbligo per i sudditi dell'Impero di professare la religione cattolica o quella della Confessio Augustana (ad esclusione di ogni altra), nel caso dovesse coincidere con quella del principe cui erano sottoposti. In caso contrario era riconosciuto il diritto di emigrazione.

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Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede significa: • che non può essere apposto alcun vincolo all’appartenenza religiosa e alla professione della

fede, se non in alcuni casi ben precisi e limitati imposti dalla legge; • che non si può obbligare una persona a professare o a cambiare una religione; • essere liberi di non avere una fede religiosa. Hanno diritto a professare liberamente la propria fede religiosa tutti, non solo i cittadini, compresi stranieri e apolidi che si trovano sul territorio nazionale. Il limite alla libertà di religione è riferito al culto in pubblico ed è dato dai riti contrari al buon

costume32.

Il rito è un insieme di regole, in un determinato contesto sociale, per manifestare i valori che si perseguono. Quando il rito è contrario al buon costume non si può esercitare, ma resta la libertà di religione. In altre parole, l’esternalizzazione di una confessione religiosa contraria al buon costume non è ammessa, ma la fede interiore è sempre ammessa. Questa libertà di fede dell’individuo è un concetto che si lega alla libertà di pensiero sancito dall’art. 21: “Tutti hanno diritto di manifestare

liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.” Nelle manifestazioni dei culti religiosi, il limite del buon costume corrisponde al sentire comune della popolazione, in un determinato periodo storico. Ad esempio I bambini di Dio33, i quali hanno riti di iniziazione con atti sessuali, anche con minori, e comunque in circostanze create per diminuire la capacità di discernimento delle persone. L’art. 20 riguarda gli enti e le associazioni: “Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto

d’una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, ne di

gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività”, cioè enti e associazioni religiose non possono essere sottoposti a tasse superiori a quelli di altri enti, ne essere sottoposti a dei limiti di carattere legislativo. In realtà, oggi, questi enti sono favoriti dalla legislazione, soprattutto fiscale, ma i costituenti vollero evitare la reintroduzione di leggi eversive, con cui furono soppressi alcuni ordini religiosi e confiscato il patrimonio degli enti ecclesiastici per la necessità dell’Erario di incamerare questi beni e di combattere la c.d. manomorta34 ecclesiastica.

32 Il costume è il modo in cui abitualmente un individuo si comporta. E’ anche la condotta morale, ma pure le usanze, le abitudini, i modi di vivere che caratterizzano una società. 33 Recentemente questa setta di origine cristiana ha cambiato il nome in "Famiglia dell'amore". Venne fondata dal pastore evangelico David Berg in California nel 1969, ma ha ora la sua sede principale a Montreal, in Canada. Nel momento della sua massima espansione aveva più di 250 mila adepti, che vivevano in comuni di circa 5000 persone. La predicazione di Berg inizia nel 1965, dopo un'apparizione del profeta Geremia che gli preannuncia l'imminente fine del mondo, ottenendo un notevole successo nei movimenti underground californiani. Anche grazie ad un rifiuto totale del "sistema", che coinvolge lo Stato, la proprietà e soprattutto la famiglia, con la quale il fedele deve rompere ogni legame. Il punto centrale della dottrina consiste nel riconoscere Berg come profeta di Dio e la sua parola come rivelazione divina. Poco rimane del cristianesimo ortodosso: non esiste la Trinità, Gesù non è Dio ed ebbe rapporti sessuali con tutte le donne del suo seguito. Ecco, proprio l'etica sessuale del movimento è stato uno dei principali motivi di scandalo e di scontro con la setta, fonte di innumerevoli procedimenti giudiziari. Dalla morale sessuale dei bambini di Dio è esclusa solo l'omosessualità maschile, mentre sono ammesse poligamia, lesbismo, incesto, rapporti tra e con i bambini. Tutto viene giustificato ed esaltato come manifestazione della diversità del gruppo e come anticipazione di un mondo nuovo. Molto controversa un'altra pratica del gruppo, enunciata da Berg nel 1974: il flirty fishing o "pesca amorosa". In pratica le giovani adepte venivano invitate a bruciare i loro reggiseni, indossare camicette trasparenti e usare le loro attrattive sessuali per fare nuovi proseliti. E' stato proprio grazie alle enormi controversie suscitate dal gruppo di Berg che il movimento anti sette ha conosciuto negli Stati Uniti e altrove un grande successo. 34 Manomorta, ovvero possesso inalienabile. Indicò anche il divieto fatto a vassalli e contadini di disporre dei beni propri, la tassa pagata per togliere tale divieto, il diritto del feudatario a succedere nell'eredità del vassallo morto senza eredi maschi, le entità esenti da tasse di successione, i beni di tali entità. Successivamente la manomorta rimase come diritto prevalentemente feudale (di origine longobarda) e ecclesiastico. La manomorta ecclesiastica fu favorita dalle numerose donazioni accumulate dalla Chiesa nel corso dei secoli: un patrimonio ingente che nel sec. XVIII fu contestato dal potere politico. Nel Regno delle Due Sicilie, il ministro Tanucci varò tra il 1775 ed il 1780 diverse norme per eliminare i privilegi feudali. Furono introdotte tassazioni anche sulle donazioni e successioni ecclesiastiche, pur nel rispetto della funzione della Chiesa di scolarizzare i giovani e provvedere alle necessità dei contadini e dei poveri. Alla fine del secolo, con la Rivoluzione Francese, i liberali rivoluzionari, fedeli alla dottrina massonica, fecero incamerare e si distribuirono tra di loro tutti i beni ecclesiastici. L'esempio fu seguito dal Piemonte nel 1860 che incamerò le terre ecclesiastiche delle Due Sicilie, vendendole ai liberali e rastrellando così il capitale dal Sud che servì ad industrializzare il Nord. L'istituto della manomorta comunque sopravvisse per le successioni agli "enti morali", quasi tutti riconducibili a personaggi graditi alla dinastia piemontese. Ad esse si applicava l'imposta di manomorta dello 0,90%. L'avvento della Repubblica ha messo fine a questo vecchio istituto con la legge 31 luglio 1954, n. 408.

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L’art. 33 detta: “L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento.” Poi il secondo comma aggiunge “La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti

gli ordini e gradi.” Bisogna dire che fino alla metà dell’800 i privati e soprattutto la Chiesa cattolica si occupavano dell’istruzione, in particolare per le scuole superiori. Con lo Statuto Albertino, 1848, e soprattutto con la legge Casati del 1859, l’istruzione diventa pubblica e successivamente con la legge Goppino del 1877 veniva introdotto l’obbligo scolastico elementare. In sintesi, da un lato l’istruzione passava dalla Chiesa allo Stato e dall’altro veniva garantita l’istruzione elementare per tutti. In quegli anni, si vedeva in maniera negativa l’influenza della Chiesa, erano state emanate le leggi eversive e l’istruzione aveva un’impronta fortemente statalista in virtù della legislazione separatista. L’istruzione resta fondamentale nel ventennio fascista, per formare dei cittadini allineati ai principi del regime, ma cambia l’atteggiamento con la Chiesa cattolica. In quel periodo fondamentale fu la riforma Gentile del 1923, in parte ancora oggi in vigore, con cui si ha il primo segnale del mutamento dell’atteggiamento del regime fascista nei confronti della Chiesa: viene istituito l’insegnamento obbligatorio della religione cattolica a fondamento dell’istruzione nelle scuole. Con la riforma Gentile, anche se continua a favorire le scuole pubbliche rispetto alle private, si ha un riavvicinamento tra Stato e Chiesa che porterà al concordato del 1929, all’istituzione della religione di Stato e al passaggio dello stato da separatista a confessionista. Il concordato del 1929 non prevede nulla sulle scuole gestite dalla Chiesa, solo l’art. 35 afferma: “Per le scuole di istruzione media tenute da enti ecclesiastici o religiosi rimane fermo l’istituto

dell’esame di Stato ad effettiva parità di condizioni per candidati di istituti governativi e candidati

di dette scuole.” Il terzo comma dell’art. 33 della Carta fondamentale del 1948 enuncia: “Enti e privati hanno il

diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato” e in questo modo viene sancita la libertà di insegnamento. Ma le scuole non statali, per rilasciare un titolo di studio riconosciuto dallo Stato, devono osservare il quarto comma: “La legge, nel fissare i diritti e gli

obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai

loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali”, cioè devono seguire i programmi ministeriali. Da questo concetto emerge che la prima distinzione da fare, all’interno del sistema di istruzione, è tra scuole statali, scuole paritarie e scuole private che sono quelle che rilasciano titoli di studio non riconosciuti dallo Stato. Il “senza oneri per lo Stato” riportato nel terzo comma dell’art. 33, è stato interpretato da alcuni autori in maniera estensiva, cioè lo Stato non deve avere alcun onere per le scuole non statali. Per Dalla Torre35, invece, questo inciso della Costruzione deve essere inteso nel senso che lo Stato non deve avere oneri solo per la costruzione di nuove scuole non statali, ma quelle parificate, essendo riconosciuta la loro funzione sociale dallo Stato, devono essere aiutate anche 35 Giuseppe Dalla Torre Del Tempio di Sanguinetto - Magnifico Rettore della LUMSA e docente ordinario presso la Facoltà di Giurisprudenza - è nato a Roma il 27 agosto 1943. Ha conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l’Università di Roma “La Sapienza” (1967) ed in diritto canonico presso la Pontificia Università Lateranense (1968). Ha iniziato la propria attività scientifica presso l’Università di Modena, è quindi divenuto assistente ordinario presso l’Università di Bologna. Nel 1980 ha vinto il concorso per professore ordinario. Chiamato dalla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bologna, dal 1980 al 1990 vi ha insegnato Diritto ecclesiastico; vi ha anche tenuto per supplenza il corso di Diritto costituzionale dal 1987 al 1990. Attualmente è Rettore della Libera Università Maria Ss. Assunta, presso la quale ha insegnato Istituzioni di Diritto pubblico e, ora, Diritto ecclesiastico e Diritto Canonico. Tiene corsi su rapporti tra Chiesa e Comunità politica in Università Pontificie. E’ vice presidente del Coordinamento Regionale delle Università del Lazio (CRUL), fa parte del Comitato di Presidenza della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI) e del Consiglio Universitario Nazionale (CUN). Fa parte del Consiglio scientifico dell’Istituto “Enciclopedia Treccani”, dell’Istituto Nazionale di Studi Romani come corrispondente scientifico, dell’Accademia Nazionale di Scienze Lettere e Arti di Modena come socio onorario e dell’Istituto Luigi Sturzo. E’ membro del Comitato scientifico – organizzatore delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani, di cui è vicepresidente. E’ componente del Consiglio di Amministrazione dell’Ospedale pediatrico “Bambino Gesù” e del C.d.A. della Fondazione Accademia di Santa Cecilia. Riveste l’uffcio di Presidente del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano e consultore di alcuni dicasteri pontifici. E’ membro del Gran Magistero dell’Ordine Equestre del S.Sepolcro di Gerusalemme e Presidente onorario nazionale dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani. Ha partecipato, come segretario della delegazione governativa, ai lavori della Commissione paritetica per la revisione del Concordato fra Italia e Santa Sede (1976 - 1983) ed è stato membro del Comitato Nazionale di Bioetica dal 1990 al 2002. Ha al suo attivo oltre cento pubblicazioni scientifiche, tra monografie e saggi, su tematiche relative al diritto canonico, al diritto ecclesiastico italiano ed al diritto pubblico.

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finanziariamente, soprattutto in quelle realtà in cui la scuola parificata supplisce alle carenze della scuola statale. Questa tesi, oltre ad essere minoritaria della dottrina, non è accettata dalla giurisprudenza. Recentemente alcune regioni hanno cercato di superare il dettato costituzionale del “senza oneri per

lo Stato”. La prima è stata la regione Lombardia, dove la presenza di scuole cattoliche è importante, che ha introdotto il sistema del buono scuola, con il quale non vengono sovvenzionate direttamente le scuole non statali, ma vengono parzialmente rimborsati i cittadini che iscrivono i propri figli in queste scuole. Questa normativa è fondata sul concetto che i cittadini che si rivolgono alle scuole parificate, pagano le tasse senza usufruire dell’istruzione pubblica e in più si fanno carico di pagare la scuola non statale, anche se questa è una loro scelta. Inoltre bisogna tenere presente che il diritto di frequentare scuole religiosamente orientate deriva dalla libertà religiosa, tanto che vi sono alcuni paesi separatisti che finanziano in maniera massiccia le scuole confessionali, come la Francia e il Belgio, perché ne riconoscono il ruolo e l’importanza sociale. In questo senso è la tesi di Dalla Torre per il quale è sbagliato dire che la scuola pubblica è statale e la scuola confessionale è parificata, in quanto le scuole sono pubbliche statali oppure pubbliche paritarie perché entrambe sono pubbliche, rilasciano un titolo equipollente e quindi entrambe svolgono una funzione sociale. La legge 62/2000 - Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all'istruzione – definisce le scuole paritarie e “in particolare per quanto riguarda l'abilitazione a

rilasciare titoli di studio aventi valore legale, le istituzioni scolastiche non statali, comprese quelle

degli enti locali, che, a partire dalla scuola per l'infanzia, corrispondono agli ordinamenti generali

dell'istruzione, sono coerenti con la domanda formativa delle famiglie”. Le scuole confessionali devono avere un progetto educativo che indica l'eventuale ispirazione di carattere culturale o religioso. Ma la legge 62/2000 precisa che “non sono comunque obbligatorie

per gli alunni le attività extra-curriculari che presuppongono o esigono l'adesione ad una

determinata ideologia o confessione religiosa”, ad esempio, seguire una messa. Anche tre delle intese tra Stato e confessioni religiose hanno delle norme che prevedono il diritto di aprire scuole confessionali e cioè: • l’art. 13 dell’intesa, del 1986, con l’Unione delle chiese cristiane Avventiste del 7° giorno; • l’art. 12 dell’intesa, del 1987, con l’Unione delle comunità ebraiche italiane; • l’art. 12 dell’intesa, del 1993, con della Chiesa Evangelica Luterana. Per quanto riguarda la religione islamica, la proposta di intesa prevede l’insegnamento della religione musulmana all’interno delle scuole statali, come avviene per la cattolica, anche se in altre proposte vi è solo l’istituzione di scuole confessionali. Per quanto riguarda i docenti delle scuole confessionali, l’orientamento della giurisprudenza è di ritenere giusti i licenziamenti di insegnanti non in linea con la confessione religiosa della scuola, per la salvaguardia della libertà religiosa dell’istituto scolastico e degli studenti che hanno fatto una scelta religiosamente orientata. Più particolare è la questione per le università cattoliche (ad esempio l’Università cattolica del Sacro Cuore, la LUMSA - Libera Università degli Studi Maria SS. Assunta) per le quali il concordato del 1984 all’art. 10, 3° comma, prevede: “Le nomine dei docenti dell’Università

cattolica del Sacro Cuore e dei dipendenti istituti sono subordinate al gradimento, sotto il profilo

religioso, della competente autorità ecclesiastica”. Ma in questo senso si era già mossa la Corte costituzionale con la sentenza n. 195 del 1972 sul caso prof. Cordero, titolare della cattedra di diritto processuale penale presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, licenziato perché il suo insegnamento non era in linea con la Chiesa.

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Su questo caso la Consulta da torto a Cordero perché sulla libertà di religiosa del professore prevale la libertà religiosa dell’Università e degli studenti i quali, scegliendo un ateneo cattolico, hanno scelto un insegnamento religiosamente orientato. Analogo è il caso del prof. Lombardi Vallauri, prof. di filosofia del diritto dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano espulso per eterodossia, cioè seguiva opinioni discordanti da quella della religione cattolica36, provvedimento confermato dal Consiglio di stato, sez. VI, 18 aprile 2005, n. 1762. I Patti lateranensi I Patti Lateranensi sono atti di diritto esterno con contenuto e caratteristiche internazionali che disciplinavano i rapporti tra Stato italiano e Santa Sede prima della fondazione della Repubblica e della Costituzione. Il secondo comma, dell’art. 7 della Costituzione “I loro rapporti sono regolati dai Patti

Lateranensi, le modificazioni dei Patti accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di

revisione costituzionale”, indica i due tipi di procedimenti per modificare i Patti Lateranensi: � Con legge ordinaria, se la modifica dei Patti è bilaterale tra Stato e Chiesa. Il procedimento

bilaterale è privilegiato, in quanto solo se non è possibile si ricorre al secondo. � Con legge costituzionale, con la procedura aggravata prevista dall’art. 138 della Costituzione, se

la modifica è unilaterale dello Stato. I Patti Lateranensi sono stati introdotti nella Costituzione per due motivi: 1. Per assicurare la prevalenza al carattere bilaterale delle relazioni tra Stato e Chiesa. 2. Per motivi politici, in quanto la forza della componente cattolica all’interno dell’assemblea

costituente indusse a dare garanzie formali alla Chiesa cattolica. Il governo insediatosi dopo la guerra, è stato di coalizione nazionale: ne facevano parte tutti i partiti37 che componevano il comitato nazionale di liberazione ed era a maggioranza cattolica.

Nel secondo comma dell’art. 7 della Costituzione, c’è un riferimento esplicito ai Patti Lateranensi38 a cui la dottrina e la giurisprudenza ha dato negli anni un valore diverso. Per capire da dove nasce questo riferimento esplicito bisogna risalire all’unificazione dello Stato Italiano. Dopo lo sgombero delle truppe francesi, l'Esercito Italiano entra in Roma il 20 settembre 1870, ponendo fine allo Stato Pontificio e al regno temporale dei papi. In relazione al fatto che il Papa non poteva essere trattato come un qualsiasi vescovo, viene promulgata la legge delle Guarentigie il 13 maggio 1871 che concedeva una serie di garanzie reali al Pontefice. Il Papa non accettò la legge delle Guarentigie perché le norme erano garantite da una legge, cioè un mero atto unilaterale di uno Stato, non concordato con la Santa Sede che invece aspirava ad un atto bilaterale, oltre ad avere comunque un potere temporale. La legge delle Guarentigie si ispirava al principio cavouriano del "libera Chiesa in libero Stato", cioè ad una forma di separatismo liberale che durò fino al 1929 e resta l’unico periodo di legislazione separatista della storia d’Italia. Dopo aver lanciato la scomunica maggiore contro quanti avevano attuato o favorito l'usurpazione, Pio IX si chiuse nei palazzi vaticani dichiarandosi prigioniero e appellandosi alle potenze cattoliche. In risposta alla legge delle Guarentigie, fu emessa

36 Il processo ecclesiastico è stato avviato dal cardinale Pio Laghi, prefetto della Congregazione per l'educazione cattolica. L'interessato non ha avuto il testo degli addebiti che gli avrebbero consentito una difesa. Fuori dunque dal patto internazionale sui diritti civili, peraltro mai sottoscritto dalla Santa Sede. L'istruttoria è stata svolta in segreto dal domenicano Georges Cottier, responsabile del comitato che ora indaga sull'Inquisizione. Vi ha partecipato anche don Velasio De Paolis, l'unico che l'interessato ha incontrato. L'espulsione è stata notificata con la lettera del rettore della Cattolica Adriano Bausola del 4 novembre 1998 e giunta a Lombardi poche ore prima del Consiglio di facoltà. 37 Divisi in tre componenti: la sinistra (socialisti, marxisti, comunisti), i cattolici (con i laici) e i liberali. 38 Patti lateranensi, firmati l'11 febbraio 1929 dal cardinale Pietro Gasparri e Benito Mussolini, stabilirono il mutuo riconoscimento tra il Regno d'Italia e la Città del Vaticano. Presero il nome del palazzo di San Giovanni in Laterano in cui avvenne la firma degli accordi, furono negoziati tra il Cardinal Segretario di Stato Pietro Gasparri per conto della Santa Sede e Benito Mussolini, come Primo Ministro italiano.

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l'enciclica "Ubi nos" del 15 maggio, con la quale fu ribadito il principio che il potere spirituale non potesse andare disgiunto da quello temporale. Nel 1874 la Curia romana giunse a vietare esplicitamente ai cattolici la partecipazione alla vita politica, in particolare alle elezioni con la formula del "non expedit" (non conviene). Soltanto dopo alcuni decenni, nell'età giolittiana, questo divieto sarebbe stato attenuato e poi progressivamente eliminato, fino al completo rientro dei cattolici, sia elettori che eletti, nella vita politica italiana. Il 31 ottobre 1922 diviene presidente del Consiglio Benito Mussolini, acceso anticlericale, ma giunto al potere, per aumentare il consenso popolare aveva bisogno dell’appoggio della Chiesa cattolica in un periodo storico in cui grande era l’influenza della religione sul popolo italiano. Per questa ragione comincia le trattative per risolvere la c.d. questione romana, cioè l’esilio in San Pietro del Papa privo del potere temporale. Già con il suo insediamento, Mussolini aveva iniziato un opera di riavvicinamento alla Chiesa cattolica ad opera del suo ministro della Pubblica Istruzione Giovanni Gentile (1922-1924) che con la riforma scolastica39 istituisce nelle scuole pubbliche l’obbligo dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole di ogni ordine e grado, facendole acquistare un ruolo fondamentale, e con programmi che dovevano tenere presente il patrimonio dottrinale cattolico in tutte le materie. Questo percorso di pacificazione tra lo Stato e la Chiesa cattolica raggiunse l’apice con la firma dei patti del Lateranensi l'11 febbraio 1929. I Patti sono costituiti da tre atti:

• Il trattato, che si apre in nome della Santissima Trinità, crea lo Stato della Città del Vaticano e riconosce l'indipendenza e la sovranità della Santa Sede e al Papa una serie di prerogative relative ai capi di stato. Viene è reintrodotta la religione di Stato, prevista dall’art. 1 del trattato, come già prevedeva l’art. 1 dello Statuto Albertino: “La Religione Cattolica,

Apostolica e Romana è la sola Religione dello Stato. Gli altri culti ora esistenti sono

tollerati conformemente alle leggi”. • Il concordato di 45 articoli e, come il trattato, si apre in nome della Santissima Trinità.

Contiene una serie di norme res mixtae, cioè tutte quelle norme di interesse per lo Stato e per la Chiesa, quali, ad esempio, il matrimonio, gli edifici per il culto, i giorni festivi, ordinariati militari, eccetera. Con il concordato vengono cancellati una serie di atti repressivi quali le leggi eversive, gli impedimenti agli ordini religiosi di esistere, eccetera.

• La convenzione finanziaria che prevedeva il risarcimento di 750 milioni di lire e di ulteriori azioni di Stato consolidate al 5 per cento al portatore, per un valore nominale di un miliardo di lire per i danni finanziari subiti dallo Stato Pontificio in seguito alla fine del potere temporale, oltre all'esenzione, al nuovo Stato denominato Città del Vaticano, dalle tasse e dai dazi sulle merci importate. Questa convenzione ripagava anche il Vaticano delle leggi

eversive, promulgate nel luglio del 1866 e nell’agosto del 1867 per requisire gran parte degli immobili della Chiesa e ordini religiosi ed enti ecclesiastici soppressi e confiscati, perchè considerati inutili. Tra questi vi erano gli ordini di vita contemplativa (ad esempio le suore di clausura) e i gesuiti. Con le leggi eversive gli immobili della Chiesa, come i conventi, sono diventati, scuole, licei, caserme, ospedali, tribunali, eccetera. In questo modo si combatteva la manomorta, cioè l’eccessiva ricchezza della chiesa. La convenzione

39 La sua riforma scolastica fu elaborata assieme a Radice. Dal punto di vista strutturale la riforma Gentile, varata nel 1923, modula la scuola secondo un ordinamento gerarchico e centralistico. Una scuola di tipo aristocratico, cioè pensata per i migliori e non a tutti che viene rigidamente suddivisa di due livelli: uno primario per il ramo classico-umanistico relativo ai dirigenti e un livello professionale per il ramo scientifico per il popolo. Le materie scientifiche furono messe in secondo piano, avendo importanza solo a livello professionale. L'obbligo scolastico fu innalzato a 14 anni e fu istituita la scuola elementare da sei ai dieci anni. L'allievo che terminava la scuola elementare aveva la possibilità di scegliere tra i licei ginnasio e scientifico oppure gli istituti tecnici. Solo i licei permettevano l'accesso all'università, in questo modo veniva effettuata una profonda divisione tra le classi sociali. La religione è insegnata obbligatoriamente a livello primario, in quanto Gentile riteneva che tutti i cittadini dovessero possedere una concezione religiosa cattolica perché è la religione dominante in Italia. La scuola dopo la riforma Gentile divenne molto selettiva e severa, introducendo anche l'esame di Stato.

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riguardava anche, poste, ferrovia, comunicazioni, acqua, eccetera in quanto il Vaticano è uno stato enclave.

Attraverso il concordato, il Papa acconsentì di sottoporre i candidati vescovi ed arcivescovi al Regno d’Italia che dovevano giurare fedeltà allo Stato italiano prima di essere nominati, e di proibire al clero di prendere parte alla politica. L'unico vescovo che non è obbligato a giurare fedeltà all'Italia è colui che fa le veci del Pontefice nella sua qualità di vescovo di Roma: il Cardinale Vicario, attualmente Camillo Ruini. Questa eccezione, prevista dal Concordato, è fatta proprio in segno di rispetto all'indipendenza del Papa verso all'Italia. Lo Stato italiano conformò le sue leggi sul matrimonio a quelle della Chiesa cattolica ed esentò il clero dal servizio militare. I Patti reintrodussero di religione di Stato, con importanti conseguenze sul sistema scolastico pubblico, come l'istituzione dell'insegnamento della religione cattolica tuttora esistente seppure con modalità diverse. In sintesi, l’Italia, con la firma dei Patti del 1929, diventa uno stato confessionista che riaffermava il dettato dell’art. 1 dello Statuto Albertino. Tra le conseguenze negative, vi fu quella di costringere ad andare via dalle loro case i Valdesi, in conseguenza alla requisizione dei loro beni passati poi alla Chiesa cattolica, per emigrare al sud Italia (ad esempio in Basilicata e Sicilia) dove fondarono delle comunità che hanno creato grandi opere sociali. Con il concordato del 1929, infine, vi è anche un tentativo del regime fascista di usare la Chiesa cattolica per far sostenere le sue scelte politiche, cioè si tentò una specie di asservimento della religione al regime fascista ed alla sua politica, in quanto Chiesa di Stato. Un esempio vi fu quando Mussolini decise in gran fretta di inviare le truppe italiane nella campagna di Russia40, per non mancare ad una vittoria che presumeva rapida. Il Duce voleva dare alla spedizione il valore di una crociata contro il comunismo41 e approfittando del fatto che anche il Papa aveva emanato un’enciclica critica nei confronti di questo, chiese alla Santa Sede un intervento pubblico prima della spedizione militare in Russia. Il Papa, tramite il suo segretario di Stato, fece sapere a Mussolini che non era necessario ritornare sull’argomento, un modo diplomatico per lasciare la Santa Sede estranea alla scelte politiche e militari del regime fascista. Dopo la Costituzione repubblicana del 1948, Corte costituzionale e Cassazione avevano legittimato nelle loro sentenze, sia pure in modo diverso, le norme di privilegio riservate alla Chiesa cattolica contenute nel Concordato del 1929. Nel 1982 la Corte costituzionale emana due sentenze, la numero 16 e la 18, riguardanti il matrimonio concordatario, con cui cambia il suo orientamento in relazione ai Patti Lateranensi. Per la prima volta, queste due sentenze dichiarano costituzionalmente illegittime alcune norme del Concordato del 1929 e della legge 810/29 che ha dato esecuzione ai Patti Lateranensi utilizzando i principi supremi della Costituzione ”di quei principi, cioè, alla stregua dei quali (come è stato

affermato da questa Corte, nelle sentenze n. 30 e seguenti del 1971, e ribadito nella stessa sentenza

n. 1 del 1977) l'art. 7 della Costituzione consente che anche le norme delle leggi che hanno reso

esecutivo il Concordato tra Santa Sede e Italia, possano essere sindacate” (Corte costituzionale, 2 febbraio 1982, n. 18) e in questo caso il principio della giurisdizione e della sovranità dello Stato. A questo punto la Chiesa è indotta ad accettare una riforma del Concordato del 1929, fino a quel momento osteggiato dalla Santa Sede, per evitare che altre norme vengano abrogate dai giudici costituzionali e per concordare con il potere politico la riforma dei Patti. Questo nuovo accordo fu definito di libertà, perché serviva a risolvere i problemi derivanti dal contrasto di alcune norme del concordato, ancora legate ad un ordinamento confessionista quale era quello del 1929, con i principi di uno stato democratico che garantisce la libertà e l’uguaglianza religiosa.

40 CSIR (Corpo di Spedizione Italiano in Russia) e ARMIR (Armata Italiana in Russia) indicano le spedizioni dell'Esercito Italiano sul fronte orientale tra il 1941 e il 1943. 41 Il Papa l’aveva definita un errore dal punto di vista teologico.

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Per queste ragioni, nel 1984, si giunse ad una modifica del concordato firmata dal primo ministro Bettino Craxi e dal cardinal Casaroli, dopo un lungo lavoro della commissione paritetica (in quanto il concordato è un atto di diritto esterno) con la quale anche se si aboliva l’anticostituzionale riferimento alla «sola religione dello Stato», si introduceva l’ora di religione alle scuole materne, sostituendo nel contempo la congrua con il meccanismo dell’8 per mille, molto più vantaggioso per la Chiesa. Con l'Accordo del 1984 vengono introdotte molteplici e sostanziali innovazioni al Concordato del 1929, integralmente sostituito dalle nuove disposizioni. Il nuovo Concordato si configura come l’accordo-quadro dei principi fondamentali che regolano l'indipendenza dei rispettivi ordini dello Stato e della Chiesa e individuano i punti essenziali, sui quali ricostruire il sistema dei loro rapporti con l'articolato rinvio ad ulteriori successive intese su specifiche questioni, da stipulare tra le autorità statali ed ecclesiastiche. La prima di tali intese è stata quella sulla riforma degli enti e beni ecclesiastici e del sistema di sostentamento del clero, a cui sono seguite quelle sulla nomina dei titolari di uffici ecclesiastici, sulle festività religiose riconosciute agli effetti civili, sull'insegnamento della religione cattolica nelle scuole, sul riconoscimento dei titoli accademici delle facoltà approvate dalla Santa Sede, sull'assistenza spirituale alla Polizia di Stato, sulla tutela dei beni culturali di interesse religioso e degli archivi e biblioteche ecclesiastiche. Il nuovo concordato venne ratificato con la legge 25 marzo 1985, n. 121 - esecuzione dell’accordo con la Santa Sede del 1984. Questa legge è definita una legge tipica in quanto è una legge ordinaria, ma è anche atipica perchè recepisce la riforma del concordato. Questa legge, anche se è una legge ordinaria, può essere modificata con un’altra legge ordinaria solo a seguito di un nuovo accordo con la Chiesa cattolica e quindi con un atto bilaterale, altrimenti se viene modificata con un atto unilaterale si richiede un procedimento di revisione costituzionale ai senti dell’art. 7 della Costituzione. In questo modo una legge ordinaria diviene norma di livello costituzionale e per questo legge atipica. Dall’interpretazione sistematica degli articoli 7 e 8 della Costituzione si ricava principio che al di là delle due opzioni dettate dall’art. 7, il legislatore italiano segue il principio pattizio, cioè le norme diritto ecclesiastico sono sempre concordate con la Chiesa e quindi sono tutti atti bilaterali tra Stato e Santa Sede. L’art. 1 del nuovo concordato detta: “La Repubblica italiana e la Santa Sede riaffermano che lo

Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, impegnandosi

al pieno rispetto di tale principio nei loro rapporti ed alla reciproca collaborazione per la

promozione dell’uomo e il bene del paese.” Questo articolo si collega all’art. 7 della Costituzione Italiana ed è anche l’articolo ontologicamente più importante del nuovo concordato in quanto stabilisce un rapporto di collaborazione tra Stato e Chiesa per la promozione dell’uomo e il bene del

paese. Questo articolo esprime il principio di laicità dello Stato ed esclude anche la possibilità che l’Italia possa diventare uno stato confessionale. L’art. 2 detta: “La Repubblica italiana riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere

la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione. In

particolare è assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di

esercizio del magistero e del ministero spirituale nonché della giurisdizione in materia

ecclesiastica.” Nel quadro del libero insegnamento, la Repubblica Italiana riconosce alla Chiesa il diritto di insegnamento della religione cattolica e questo per due ragioni: • perché la cultura religiosa è un valore; • perché i principi del cattolicesimo appartengono al patrimonio culturale del popolo italiano. L’art. 9 n. 1 detta: “La Repubblica italiana, in conformità al principio della libertà della scuola e

dell’insegnamento e nei termini previsti dalla propria Costituzione, garantisce alla Chiesa cattolica

il diritto di istituire liberamente scuole di ogni ordine e grado e istituti di educazione. A tali scuole

che ottengano la parità è assicurata piena libertà ed ai loro alunni un trattamento scolastico

equipollente a quello degli alunni delle scuole dello Stato e degli altri enti territoriali, anche per

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quanto concerne l’esame di Stato.” Con questo articolo Stato e Chiesa cattolica sanciscono congiuntamente il principio della liberà della scuola e dell’insegnamento che si collega all’art. 33 della Costituzione italiana. La Chiesa cattolica ha il diritto di istituire liberamente scuole di ogni

ordine e grado, università esclusa perché, per un retaggio del passato, veniva vista di competenza dello Stato. L’art. 9 n. 2 detta: “La Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo

conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano,

continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione

cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado. Nel rispetto della libertà

di coscienza e della responsabilità educativa dei genitori, è garantito a ciascuno il diritto di

scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento. All’atto dell’iscrizione gli studenti o i

loro genitori eserciteranno tale diritto, su richiesta dell’autorità scolastica, senza che la loro scelta

possa dar luogo ad alcuna forma di discriminazione.” Lo Stato continuerà ad assicurare, nel quadro

delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole significa che l’istruzione non deve essere di dottrina, ma di cultura al pari degli altri insegnamenti della scuola. In questo senso, già la Legge 30 luglio 1973, n. 477, all’art. 4, stabilisce i principi di carattere generale per i docenti sulla libertà di insegnamento che deve essere “nel rispetto della coscienza

morale e civile degli alunni e del diritto di questi al pieno e libero sviluppo della loro personalità” e allo stesso modo deve essere inteso l’insegnamento della religione nelle scuole. L’art. 9 n. 2 del concordato del 1984 quando detta: “nel quadro delle finalità della scuola” usa il plurale perché si riferisce, oltre all’insegnamento di cultura, anche alla finalità educative ed educare significa anche tirare fuori, cioè far emergere le potenzialità della persona per favorire l’evoluzione dell’individuo e della società, ma anche guidare lo studente all’uso responsabile delle conoscenze. Infine bisogna aggiungere che l’insegnamento della religione cattolica è facoltativo42 e scelto dai genitori dello studente minore nel rispetto della libertà di coscienza del ragazzo e anche della libertà di indirizzo religioso che vogliono imprimere i suoi genitori. Una legge del 1986 ha stabilito una presunzione di maturità per il minore di 18 anni, ma maggiore di 14, il quale può scegliere se avvalersi o meno dell’insegnamento della religione cattolica. Purtroppo questa legge non prevede correttivi per tutelare il minore quando con una decisione dettata dalla sua immaturità, può precludersi la possibilità di avere un insegnamento di cultura non meno importante di altri. Infine, c’è stata un’intesa concordataria tra il ministro della pubblica Istruzione e il presidente della C.E.I. sulle caratteristiche dell’insegnamento e degli insegnanti della religione cattolica.

Il principio di laicità dello Stato Oggi resta ancora la diversità tra le norme del diritto ecclesiastico nate prima della Costituzione repubblicana e quelle successive. Ad esempio, nel codice penale, per i delitti contro il sentimento

religioso, vi sono pene ridotte per quelli contro i culti ammessi dallo Stato (art. 406 c.p.), rispetto a quelli per il turbamento di funzioni religiose del culto cattolico (art. 405 c.p.)43. Questo avviene perché il codice penale, come altre leggi prerepubblicane come la legge matrimoniale del 1929, risente dell’indirizzo politico dell’epoca e dell’articolo 1 dello Statuto Albertino che prevedeva la religione cattolica come religione dello Stato.

42 Secondo la raccolta annuale "rilevazioni integrative" del Ministero dell'Istruzione per l'anno 2005, gli studenti delle scuole superiori che decidono di non avvalersi e di non frequentare l'insegnamento della religione cattolica sono il 37,6%. La normativa prevede che ad ogni classe corrispondano le ore previste di insegnamento anche se fosse presente un solo alunno ad avvalersi, questo rende impossibile accorpare le classi per gli studenti che vogliono seguire l’insegnamento della religione. Gli ultimi dati disponibili risalgono al 2001, quando gli allora quasi 25000 insegnanti di religione sono costati allo Stato italiano oltre 620 milioni di euro. 43 Articolo dichiarato costituzionalmente illegittimo con C. Cost. 9 luglio 2002, n. 327 “nella parte in cui, per i fatti di turbamento di funzioni

religiose del culto cattolico, prevede pene più gravi, anziché le pene diminuite stabilite dall’art. 406 del codice penale per gli stessi fatti commessi

contro altri culti”.

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La stessa legge 24 giugno 1929 n. 1159, ancora oggi in vigore, l’unica che disciplina anche i rapporti con l’islam, prevede una serie di controlli per i culti ammessi nello Stato che non sono in linea con i principi costituzionali, ma fanno parte di una concezione legata a quel periodo storico nel quale era visti con sospetto i culti diversi dalla religione cattolica, perché ritenuti potenzialmente eversivi. La presenza di queste leggi, ancora in vigore, precedenti alla Costituzione repubblicana, pone dei problemi in ordine al profondo cambiamento della società italiana dagli anni venti ad oggi in quanto le confessioni religiose sono aumentante e come contro negli ultimi 20 anni vi è stata una sostanziale assenza di produzione normativa nel diritto ecclesiastico. Questa immobilità del legislatore ha costretto la Consulta a modificare le norme precedenti alla Costituzione a colpi di sentenze per eliminare gli aspetti di incostituzionalità. Ulteriore prova di inoperosità del legislatore, è la stessa definizione di Stato laico data dalla Corte costituzionale con la sentenza 12 aprile 1989, n. 203, in relazione ad una eccezione di costituzionalità sulla legge 25 marzo 1985, n. 121 e l'art. 5, lettera b), numero 2 del Protocollo addizionale che regolamentano l’insegnamento alternativo alla religione cattolica, la quale ha sancito che nel nostro ordinamento vige un principio supremo di laicità anche se l’aggettivo laico non è espressamente usato dalla nostra Carta fondamentale. Questo principio essenziale viene inserito dalla Corte con un obliga dictum (detto altrimenti), cioè con un affermazione non direttamente collegata alla norma esaminata, ma che contiene dei principi che la Consulta tiene ad affermare. Per laicità dello Stato facciamo riferimento ad una caratteristica peculiare dell’organizzazione

della comunità civile, lo Stato, rispetto alle relazioni con le confessioni religiose. In altre parole, la laicità esprime il distacco dell’ordinamento dello Stato dalle religioni, quindi esprime l’autonomia dei poteri e degli organi dello Stato rispetto al potere religioso. Lo Stato laico guarda con attenzione al fenomeno religioso, non per condividerlo (altrimenti sarebbe uno stato confessionista), ma per governarlo nel rispetto dell’autonomia degli ordinamenti religiosi. Questo significa consentire il libero esercizio della fede ed evitare contrasti tra appartenenti a confessioni diverse, come sancisce l’art. 19 della Costituzione. La laicità è un principio cristiano che nasce dalla frase di Gesù Cristo “date a Cesare quello che è di

Cesare e a Dio quel che è di Dio”. Gli avversari di Gesù (farisei, sostenitori del re Erode, spie) lo tentano con un quesito: “È lecito o no pagare il tributo a Cesare”, cioè la tassa imposta dai dominatori romani? Domanda trabocchetto, perché a una sua risposta affermativa sarebbe scattata l'accusa di collaborazionismo, e a una negativa quella di sovversione. Ma Gesù replica con una controdomanda: “Mostratemi la moneta del tributo” e ottenutala: “Di chi è questa effigie e questa iscrizione?”. “Di Cesare”, sono costretti a rispondergli. E lui: “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”. Al che gli avversari si allontanano stupiti e ammutoliti. Narrato in termini molto simili dagli evangelisti Matteo, Marco e Luca, questo celebre episodio è stato utilizzato nel corso dei secoli, e ancora oggi, come fondamento per legittimare la separazione fra potere politico e religioso, fra Stato e Chiesa. Vediamo il percorso che ha qualificato lo Stato italiano come laico. Fino al 1989, con la sentenza della Corte costituzionale 12 aprile 1989, n. 203, la laicità non era mai stata espressa come principio dell’ordinamento dello Stato. Un riferimento vi è solo nella riforma del concordato del 1984, nel punto 1 del protocollo addizionale: “Si considera non più in vigore il principio, originariamente richiamato dai Patti

lateranensi, della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano.” Questa norma esprime una aconfessionalità dello Stato che è stato interpretato da alcuni come ad un inizio del riconoscimento del principio di laicità. Il nuovo concordato ripropone, però, sia pure in termini nuovi, due istituti centrali del concordato del 1929: la disciplina dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche e il riconoscimento da parte dello Stato del matrimonio contratto secondo le norme del diritto canonico.

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Da questi due istituti nasce il principio di laicità dello Stato, espresso dalla sentenza della Corte costituzionale 12 aprile 1989, n. 203, nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 9, punto (recte

44: numero) 2, della legge 25 marzo 1985, n. 12145, una norma a contenuto costituzionalmente vincolato in quanto rientra nella fattispecie dell’art. 8, secondo comma, che disciplina anche l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche e dell'art. (recte: punto) 5, lettera b), numero 2, del Protocollo addizionale. Le norme della legge 121/85 erano state investite della questione di legittimità costituzionale in relazione ai principi di libertà religiosa e uguaglianza delle confessioni religiose davanti alla legge espressi dagli articoli 3, 7, 8, 19, 20 della Costituzione. Dall’interpretazione sistematica delle norme costituzionali la Corte ricava il principio supremo di laicità dello Stato, ma spiega anche come questo principio non contrasta con l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche e pertanto dichiara costituzionalmente legittima la legge 121/85. Secondo lo schema adottato fino alla sentenza del 1989, la Corte costituzionale si esprimeva sulle norme costituzionali solo nel caso in cui non sia stato rispettato il procedimento aggravato dettato dall’art. 138 della Costituzione, ma questo non risolveva il problema nel caso di leggi costituzionali46 in contrasto con altre norme costituzionali. Un problema non nuovo, su cui si sono confrontati i maggiori giuristi del XX secolo come Kelsen47, Schmitt48, Santi Romano, eccetera che la Consulta italiana ha risolto ricorrendo ai principi supremi dello Stato, in quanto superiori alle stesse norme della Costituzione, è possibile verificare la legittimità delle stesse leggi costituzionali. In altre parole la Consulta stabilisce che la verifica della legittimità costituzionale di leggi costituzionali, può essere fatta solo in rapporto ai principi supremi della Costituzione e non in rapporto alle singole norme della Carta fondamentale. Fino al 1989 questi principi costituivano solo materia di giurisprudenza manipolativa o additiva49, cioè create attraverso l’interpretazione della Consulta, ma formalmente inesistenti nella Costituzione. La Corte costituzionale con la sentenza del 2 febbraio 1982, n. 18, (sul matrimonio concordatario) aveva già individuato due principi supremi della Costituzione: la sovranità dello Stato e la giurisdizione. Ma questi principi sono scritti nella stessa Costituzione. 44 Recte significa “correttamente”, quindi punto due o “correttamente” numero 2. 45 Ratifica ed esecuzione dell'accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranensi dell'11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede 46 Le leggi costituzionali sono norme integrative della Costituzione e si differenziano dalle leggi di revisione costituzionale che invece modificano norme preesistenti, infatti sono nettamente divise nel primo comma dell’art. 138 della Costituzione. 47 Hans Kelsen (1881 - 1973) fu uno dei giuristi più importanti del Novecento. Di famiglia ebrea, studiò scienze giuridiche a Vienna e si laureò nel 1911 in diritto dello Stato e filosofia del diritto. Kelsen è noto come il capostipite novecentesco della dottrina liberal-democratica del diritto su base giuspositivista. Per Kelsen la legge è norma positiva (cioè "posta" dagli uomini e non dal trascendente). La norma inoltre è relativa, cioè senza alcun fondamento di Verità. Non si può parlare, secondo la sua prospettiva, di una legge naturale, almeno non nell'ambito giuridico. Secondo la teoria di Kelsen, infatti, il Diritto è costituito solo ed esclusivamente dalle norme positive e valide dell'ordinamento giuridico, qualsiasi precetto esse contengano (giuspositivismo). Lo studioso pone come base di ogni ordinamento le norme sulla produzione del diritto oggettivo (le c.d. fonti del diritto) e crea il concetto di Grundnorm (norma fondamentale), norma che pone a fondamento del rispetto dell'ordinamento stesso. In altri termini, ogni norma è giustificata dalla conformità alla norma ad essa superiore gerarchicamente, sino ad una norma cardine (tipicamente uno statuto o una costituzione). Kelsen fu tra i fondatori della dottrina pura e viene considerato uno degli autori della costituzione austriaca del 1920. Uno dei suoi principali "avversari" fu Carl Schmitt. La teoria delle fonti che sottostà alle idee su esposte ebbe notevole impatto nell'ondata costituzionale successiva alla seconda guerra mondiale, in particolare per quanto concerne la previsione della corte costituzionale negli ordinamenti costituzionali. 48 Carl Schmitt (1888 - 1985) fu un filosofo politico e uno dei più noti, ma anche discussi, teorici tedeschi di diritto pubblico e internazionale. Il suo pensiero, le cui radici affondano nella religione cattolica, ruotarono attorno alle questioni del potere, della violenza e dell’attuazione del diritto. Tra i concetti chiave ci furono, nella loro lapidaria formulazione, lo “stato d’eccezione”, la “dittatura” (Diktatur), la “sovranità" e il “grande spazio” e le definizioni da lui coniate come “teologia politica”, “custode della costituzione”, “compromesso di formula dilatorio”, “la realtà della costituzione”, o formule dualistiche come “legalità e legittimità”, “legge e decreto” e “amico e nemico”. Schmitt oggi viene certamente descritto come un “terribile giurista”, un teorico discusso e ostile alle democrazie liberali, ma è allo stesso tempo indicato come un “classico del pensiero politico”, non ultimo per l’influenza esercitata sul diritto pubblico e sulla scienza del diritto nella prima Repubblica Federale Tedesca (per esempio riguardo al “voto di sfiducia costruttivo” e ai solidi vincoli posti in caso di modifica costituzionale). 49 La norma è estensiva, o additiva, avviene quando la Corte costituzionale aggiunge una parte della norma per specificarla in un determinato senso e in questo modo la legge prende un’altra connotazione.

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Invece la sentenza del 12 aprile 1989, n. 203, è una vera innovazione della giurisprudenza costituzionale, in quanto viene creata una norma Costituzionale, definita giurisprudenza creativa, perchè viene inserito il principio della laicità dello Stato che formalmente non esiste nella Costituzione. In altri termini, la Corte costituzionale crea formalmente e sostanzialmente, non individua, il principio supremo della laicità dello Stato: • formalmente in quanto emerge dagli articoli 2, 3, 7, 8, 19, e 20 della Costituzione; • sostanzialmente perché, dice la Corte, il principio di laicità “implica non indifferenza dello Stato

dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in

regime di pluralismo confessionale e culturale”. Questo concetto di laicità espresso dalla Consulta non implica una indifferenza dello Stato per la religione, come può avvenire per i paesi separatisti, ma una garanzia della libertà religiosa a favore del pluralismo sia confessionale che culturale. Quest’ultima è un’altra grande novità della sentenza 203/89, in quanto riconosce anche le differenze tra le confessioni religiose dovute alle diverse culture sia del popolo italiano che degli altri popoli. In sintesi viene sancito il pluralismo religioso e quello culturale. L’art. 36 del concordato del 1929 considera fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica

l’insegnamento della dottrina cristiana, mentre per l’art. 9 dell’Accordo di revisione del concordato lateranensi del 1984 i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo

italiano. Questo rende costituzionalmente legittimo l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche. Per la Corte “Il genus ("valore della cultura religiosa") e la species ("principi del cattolicesimo nel

patrimonio storico del popolo italiano") concorrono a descrivere l'attitudine laica dello Stato-

comunità, che risponde non a postulati ideologizzati ed astratti di estraneità, ostilità o confessione

dello Stato-persona o dei suoi gruppi dirigenti, rispetto alla religione o ad un particolare credo, ma

si pone a servizio di concrete istanze della coscienza civile e religiosa dei cittadini.” Cioè viene legittimato l’insegnamento della religione cattolica perché lo Stato riconosce il valore della cultura

religiosa, come valore generico (genus), e il valore specifico (species) dato dai principi del

cattolicesimo nel patrimonio storico del popolo italiano. In sintesi dalla sentenza della Corte costituzionale del 12 aprile 1989, n. 203 si ricavano tre principi: • principio supremo di laicità dello Stato che non implica indifferenza dello Stato davanti alla

religione, ma riconoscimento del valore della cultura religiosa (genus) e del patrimonio storico specifico della religione cattolica (species).

• La garanzia della libertà di religione, tanto che oggi è facoltativa e non più obbligatoria come con il Concordato del 1929.

• Il riconoscimento del pluralismo confessionale e culturale” del popolo italiano. Dal 1989 ad oggi la Corte costituzionale è ritornata sul principio supremo di laicità dello Stato per circa venti volte e in cinque casi ha individuato principi nuovi: • Con la sentenza del 14 gennaio 1991, n. 13, sancisce che l’insegnamento della libertà religiosa

deve svolgersi nel rispetto della libertà di coscienza, un principio che viene prima della libertà di religione. Inoltre i “non avvalentisi”, cioè coloro che decidono di non seguire la religione cattolica, non sono tenuti ad altro impegno scolastico. E’ il c.d. stato di non obbligo, diverso dalla facoltà di scelta che indica la possibilità tra l’insegnamento religioso e un altro insegnamento.

• Con la sentenza del 27 aprile 1993, n. 195, sancisce il principio di uguaglianza in relazione alla disparità generata da una legge della regione Abruzzo che dava diritto al finanziamento pubblico per la costruzione di luoghi di culto solo alla religione cattolica e alle confessioni con intesa e la negava a tutte le altre.

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• Con la sentenza del 18 ottobre 1995, n. 440, la Corte ha giudicato illegittimo l’art. 724, primo comma, del codice penale, relativo alla bestemmia, limitatamente alle parole: "o i Simboli o le Persone venerati nella religione dello Stato", in quanto la religione di Stato non esisteva più, formalmente dall’entrata in vigore della legge 121/85, e perché questa norma era in contrasto con il principio di uguaglianza.

• L’art. 40250 del codice penale, vilipendio della religione cattolica, viene dichiarato illegittimo perché riguarda solo la religione cattolica.

• Gli art. 40351, 40452, 40553, del codice penale, vengono dichiarati illegittimi solo in relazione al differente regime sanzionatorio.

Sulla questione dell’esposizione dei simboli religiosi, una circolare ministeriale del 2002 invita i dirigenti delle scuole pubbliche, tra le altre cose, a destinare nelle scuole uno spazio per la preghiera ed il raccoglimento e ribadisce l’obbligo di esporre il Crocifisso nelle aule. Successivamente sulla questione, il TAR del Veneto promuove, con ordinanza del 14 gennaio 2004, la questione di legittimità alla Corte costituzionale per violazione del diritto i libertà religiosa. Con l’ordinanza 15 dicembre 2004, n. 389, definita pilatesca, la Corte giudica inammissibile il quesito perché riguarda dei regolamenti, mentre la Consulta si occupa solo di leggi. La questione ritorna al TAR del Veneto che con la sentenza 22 marzo 2005 n. 1110 ordina che il crocifisso rimanga nelle aule perché quando le disposizioni regolamentari “non contrastano con il principio della laicità

dello Stato repubblicano, emergente dalla Corte costituzionale, laddove dispongono l'obbligatoria

esposizione nelle aule della scuola pubblica del Crocifisso, inteso quale simbolo di una particolare

storia, cultura e identità nazionale oltre che espressione di alcuni principi laici della comunità e,

dunque, non solo contrastante ma addirittura affermativo e confermativo del principio di laicità

medesimo”. Per il TAR del Veneto il principio di laicità è un concetto cristiano che nasce dalla famosa frase di Gesù Cristo: “date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”. Il Consiglio di Stato, con la sentenza del 13 gennaio 2006 n. 556, afferma il principio della c.d. laicità relativa, in relazione alla differenza con l’ordinamento francese e statunitense, in quanto la laicità “è

relativa alla specifica organizzazione istituzionale di ciascuno Stato, e quindi essenzialmente

storica, legata com’è al divenire di questa organizzazione”. In sintesi ogni stato intende la laicità in maniera autonoma, in relazione alle diverse origini storiche. Vi è da aggiungere che la questione del Crocifisso nelle aule coinvolge la libertà religiosa collettiva, mentre le questioni legate ai simboli religiosi personali (crocifissi al collo, foulard per islamici, eccetera) coinvolgono la libertà religiosa individuale. Questo secondo caso interessa la Francia e altri paesi separatisti, dove i Crocifissi nelle aule e i simboli religiosi similari non sono ammessi,

50 Art. 402. Vilipendio della religione dello Stato. Chiunque pubblicamente vilipende la religione dello Stato è punito con la reclusione fino a un anno 51 Art. 403. Offese alla religione dello Stato mediante vilipendio di persone. Chiunque pubblicamente offende la religione dello Stato mediante vilipendio di chi la professa, è punito con la reclusione fino a due anni. Si applica la reclusione da uno a tre anni a chi offende la religione dello Stato, mediante vilipendio di un ministro del culto cattolico. La Corte costituzionale, con sentenza 18-29 aprile 2005, n. 168, ha dichiarato l'illegittimità dell’articolo, nella parte in cui si prevede, per le offese alla religione cattolica mediante vilipendio di chi la professa o di un ministro del culto, la pena della reclusione rispettivamente fino a due anni e da uno a tre anni, anziché la pena diminuita stabilita dall'art. 406 del codice penale. 52 Art. 404. Offese alla religione dello Stato mediante vilipendio di cose. Chiunque in luogo destinato al culto, o in un luogo pubblico o aperto al pubblico, offende la religione dello Stato, mediante vilipendio di cose che formino oggetto di culto, o siano consacrate al culto, o siano destinate necessariamente all'esercizio del culto, è punito con la reclusione da uno a tre anni. La stessa pena si applica a chi commette il fatto in occasione di funzioni religiose, compiute in un luogo privato da un ministro del culto cattolico. La Corte costituzionale, con sentenza 10-14 novembre 1997, n. 329, ha dichiarato l'illegittimità del primo comma, nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a tre anni, anziché la pena diminuita prevista dall'art. 406 del codice penale. 53 Art. 405. Turbamento di funzioni religiose del culto cattolico. Chiunque impedisce o turba l'esercizio di funzioni, cerimonie o pratiche religiose del culto cattolico, le quali si compiano con l'assistenza di un ministro del culto medesimo o in un luogo destinato al culto, o in un luogo pubblico o aperto al pubblico, è punito con la reclusione fino a due anni. Se concorrono fatti di violenza alle persone o di minaccia, si applica la reclusione da uno a tre anni. La Corte costituzionale, con sentenza 1-9 luglio 2002, n. 327, ha dichiarato l'illegittimità dell’art. 405, nella parte in cui, per i fatti di turbamento di funzioni religiose del culto cattolico, prevede pene più gravi, anziché le pene diminuite stabilite dall'articolo 406 del codice penale per gli stessi fatti commessi contro gli altri culti.

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mentre lo sono quelli personali non ostensibili, ma in tal modo viene toccata anche la libertà religiosa individuale. Per Silvio Ferrari54 è vecchio il modo di vedere il diritto ecclesiastico un ottica istituzionalistica, cioè partendo dai rapporti tra istituzione Stato e istituzione Chiesa, ormai superato dalla legislatio

libertatis che meglio tutela la libertà religiosa. La controversa questione del crocifisso nelle scuole pubbliche non si risolve appendendo o rimuovendo un simbolo religioso, perché in ogni caso sarà violata libertà di religione di qualcuno (esponendo il crocifisso per i non cattolici e rimuovendolo per i cattolici), ma probabilmente aggiungendo un altro simbolo religioso, se vi sono studenti di un'altra religione, anche perché in Italia vi sono pochissime confessioni che hanno un seguito rilevante. Questa soluzione può essere una forma di pluralismo religioso e un’occasione per informare gli studenti sulle religioni seguite dai loro compagni di classe. La questione del velo Esistono diversi tipi di veli in uso tra le musulmane. Le differenze sono di tipo culturale e geografico. In Medio oriente abbiamo: • abaya (Golfo Persico), nero, lungo dalla testa ai piedi, leggero, sovente indossato su jeans e

camice colorate, lascia completamente scoperto il volto, spesso truccato molto bene. • chador (Iran): generalmente nero, indica sia un fazzoletto sulla testa, sia un mantello su tutto il

corpo. • niqab (Arabia Saudita): nero, ammanta l'intera figura, con una fessura all'altezza degli occhi. In oriente: • burqa (Afganistan): per lo più azzurro, nasconde tutta la figura, con una griglia all'altezza degli

occhi. Lo usavano le donne afgane già prima della conversione all’Islam, è una forma di abito tradizionale.

In Nord africa • haik (soprattutto Marocco ed Algeria): bianco, di cotone, copre dalla testa ai piedi, sovente

anche il volto. Altri • hijab: fazzoletto ampio, di colori diversi, cela orecchie, nuca e capelli. In Italia, possiamo dire che burqa e chador sono vietati, perché il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza proibisce di presentarsi mascherati in luoghi pubblici. Inoltre una circolare del Ministero dell’Interno del 1995 autorizza l’uso di foto con il velo per i documenti di identità per le donne musulmane, mentre in altri paesi europei questo divieto resta. Nei luoghi pubblici, comprese scuole e luoghi di lavoro, l’uso del velo è consentito, purché si trattai di un semplice foulard (hijab) che lasci scoperto il volto. Il terzo comma dell’art. 36 della legge 40/98 - Disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero – detta: “La comunità scolastica accoglie le differenze linguistiche e

culturali come valore da porre a fondamento del rispetto reciproco, dello scambio tra le culture e

della tolleranza; a tale fine promuove e favorisce iniziative volte alla accoglienza, alla tutela della

cultura e della lingua d'origine e alla realizzazione di attività interculturali comuni.” Quindi portare un abbigliamento che affermi la propria identità culturale è considerato un valore. Per analogia, può essere vista la sentenza della Cassazione, Sezione Lavoro, 9/4/1993 n. 4307, per un problema simile a quello del velo, posto in ambito lavorativo, con cui ha stabilito che il lavoratore non è vincolato ad un certo abbigliamento dovendo rispettare solo norme di igiene e sicurezza, a meno che non debba indossare una divisa aziendale.

54 Silvio Ferrari è direttore del master in diritto comparato delle religioni, professore ordinario di diritto canonico all’Università di Milano, Professore invitato. Dal 1994 è professore di Diritto canonico all’Università di Milano, dal 1998 è professore di relazioni tra Stati e Chiesa alla Katholieke Universiteit di Lovanio, dal 2000 insegna al DEA in Droit et Religion all’Università di Strasburgo e dal 2002 è docente di Storia del Diritto canonico alla FTL. È inoltre membro di molti organismi scientifici, del comitato scientifico dell’Istituto DiReCom e dal 1984 Direttore della rivista “Quaderni di diritto e politica ecclesiastica”.

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Questa sentenza nasce da un fatto diverso: Il Gruppo Industriale Busnelli ricorre per Cassazione a seguito della sentenza del Tribunale di Monza che ha ritenuto illegittima la sanzione di tre ore di multa comminata al suo dipendente Gesuino Bussu, il quale è stato successivamente licenziato per assenza ingiustificata, e ha disposto la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, il pagamento delle retribuzioni maturate e il risarcimento del danno. Il giudice di secondo grado ha ritenuto che la pretesa della società di imporre al dipendente l'uso dei pantaloni lunghi, quale condizione per essere ammesso al lavoro, era priva di giustificazione in mancanza di una esplicita norma o di un uso aziendale in tal senso; nè era applicabile il contratto collettivo nazionale del settore laddove sanziona comportamenti contrari alla sicurezza o all'igiene. La Cassazione dà ragione al lavoratore e, per analogia, offre un precedente che chiarisce in senso permissivo l’uso dei foulard sul luogo di lavoro, purché non contrasta con l'igiene e la sicurezza. Il disegno di legge sulla libertà religiosa in Italia, nulla prevede sui simboli religiosi e anche le due bozze di intesa con la comunità islamica nulla prevedono sui simboli religiosi, ma solo la possibilità di indossare il velo per le foto dei documenti personali, un diritto già riconosciuto. In sintesi, la legislazione italiana, alla luce del principio di libertà religiosa e laicità, non prevede limitazioni all’uso di simboli religiosi o abiti religiosi nei luoghi pubblici. La Cassazione penale con la sentenza 4 aprile 2006 n. 11919 ha condannato, con l’aggravante dell’odio e la finalità della discriminazione etnica, razziale e religiosa, un uomo che aveva strappato per strada il velo ad una donna. La Cassazione ha stabilito che togliere con violenza il velo dal capo ad una donna musulmana è un aggravante, perché lede l’integrità morale di persone appartenenti ad una religione diversa da quella cattolica.

L’intesa con la Tavola valdese La Tavola valdese rappresenta due chiese: quella Valdese e quella Metodista. L’intesa è la prima siglata tra lo Stato italiano e una confessione religiosa nella storia della Repubblica. E’ stata firmata nel 1984, approvata con la legge n. 449 dell'11 agosto 1984, e successivamente integrata dalla legge n. 409 del 5 ottobre 1993 e dal 1994 partecipa all'otto per mille del gettito IRPEF. L’intesa è di tipo esterno perché elaborata da plenipotenziari55 in una commissione paritetica nella quale, la parte del Governo italiano, era formata dalla stesse persone che trattavano con la Chiesa cattolica per la sottoscrizione del nuovo concordato del 1984. Il primo comma dell’art. 2 dell’Intesa sancisce: “La Repubblica italiana dà atto dell'autonomia e

della indipendenza dell'ordinamento valdese”. Con questo articolo lo Stato accetta l’autoqualificazione di questa confessione religiosa, il suo ordinamento autonomo e indipendente e quindi sovrano, perché l’autonomia e l’indipendenza definiscono la sovranità. L’affermazione di questo articolo non lo troviamo in nessuna intesa, ad eccezione di quella con la religione ebraica e del Concordato con la Chiesa cattolica. Sull’insegnamento della religione, l’intesa all’art. 9, al primo comma, detta: “La Repubblica

italiana prende atto che la Tavola valdese, nella convinzione che l'educazione e la formazione

religiosa dei fanciulli e della gioventù sono di specifica competenza delle famiglie e delle chiese,

non richiede di svolgere nelle scuole gestite dallo Stato o da altri enti pubblici, per quanti hanno

parte nelle chiese da essa rappresentate, l'insegnamento di catechesi56

o di dottrina religiosa o

pratiche di culto.” In sintesi la Tavola valdese afferma che l’insegnamento della religione è di competenza specifica delle chiese e delle famiglie e quindi non richiede di svolgere nelle scuole

gestite dallo Stato o da altri enti pubblici tale insegnamento. Possiamo anche dire la Chiesa valdese non ritiene la religione un insegnamento di cultura al pari di altre materie, ma solo catechesi o dottrina religiosa o pratiche di culto. Di questa volontà, lo Stato

55 Persone investite di pieni poteri nel trattare e concludere un accordo diplomatico. 56 L’insegnamento a voce dei principi della religione cristiana.

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italiano ne prende atto, cioè accetta questa decisione della Tavola valdese e la condivide come propria. Sempre l’art. 9, al secondo comma, detta: “La Repubblica italiana, nell'assicurare l'insegnamento

della religione cattolica nelle scuole pubbliche, materne, elementari, medie e secondarie superiori,

riconosce agli alunni di dette scuole, al fine di garantire la libertà di coscienza di tutti, il diritto di

non avvalersi delle pratiche e dell'insegnamento religioso per loro dichiarazione, se maggiorenni, o

altrimenti per dichiarazione di uno dei loro genitori o tutori.” Come si può notare nell’intesa troviamo uno specifico riferimento alla Chiesa cattolica, ma anche alla libertà di coscienza di tutti e al diritto di non avvalersi delle pratiche e dell'insegnamento

religioso. Il non avvalersi nell’intesa con la Tavola valdese è un principio restrittivo rispetto a quello sottoscritto nel coevo concordato del 1984 con la Chiesa cattolica che, allo stesso articolo e comma, garantisce invece il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi dell’insegnamento della religione. Questa restrizione al solo non avvalersi ha un valore politico, voluto dalla Tavola valdese, al fine di marcare la differenza con la Chiesa cattolica e per non precludere la possibilità agli alunni di fede Valdese di seguire, volendo, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche. Inoltre nell’intesa si fa riferimento alle scuole pubbliche, materne, elementari, medie e secondarie

superiori, mentre nel concordato del 1984 sono citate le scuole pubbliche non universitarie di ogni

ordine e grado. Infine l’art. 9, al terzo comma, detta: “Per dare reale efficacia all'attuazione di tale diritto,

l'ordinamento scolastico provvede a che l'insegnamento religioso ed ogni eventuale pratica

religiosa, nelle classi in cui sono presenti alunni che hanno dichiarato di non avvalersene, non

abbiano luogo in occasione dell'insegnamento di altre materie, né secondo orari che abbiano per i

detti alunni effetti comunque discriminanti.” Il principio di non discriminazione, per gli alunni che hanno deciso non avvalersi dell’insegnamento religioso, è stato oggetto di numerosi ricorsi davanti al giudice ordinario e amministrativo, in quelle scuole che avevano inserito l’ora di religione alla prima o all’ultima ora della giornata per sfruttare la minore attenzione degli alunni in quelle due fasce estreme dell’orario delle lezioni o la tentazione dei ragazzi di lasciare l’aula un’ora prima o arrivare un ora dopo in classe. Sulla questione, importante è la sentenza della Corte costituzionale, 12 aprile 1989, n. 203, già trattata per aver istituito il principio supremo di laicità dello Stato, che in relazione all’insegnamento religioso, la Consulta ha sancito che “per quanti decidano di non avvalersene

l'alternativa è uno stato di non-obbligo.” Lo studente può utilizzare in tre modi lo stato di non-obbligo: studiando materie alternative, restando nell’istituto scolastico per approfondimenti (ad esempio studiare in biblioteca) oppure andare a casa sotto la responsabilità educativa dei genitori, se minore, come dispone l’art. 9, comma 2, del concordato del 1984. Per altre intese, ad esempio quella con le Assemblee di Dio57, una chiesa cristiana evangelica pentecostale, l’insegnamento della religione non è un problema, in quanto è riconosciuto il carattere pluralistico della scuola, sancito nell’art. 8 dell’intesa (garanzia della libertà di conoscenza di non avvalersi di insegnamenti religiosi in genere) e nell’art. 9 (carattere pluralistico dell’insegnamento scolastico) dell’intesa con detta confessione. In seguito questo schema è stato seguito anche per le intese con altre confessioni religiose. Il primo comma dell’art. 11 dell’intesa dispone: “La Repubblica italiana, attesa la pluralità dei

sistemi di celebrazione cui si ispira il suo ordinamento, riconosce gli effetti civili ai matrimoni

celebrati secondo le norme dell'ordinamento valdese, a condizione che l'atto relativo sia trascritto

nei registri dello stato civile, previe pubblicazioni alla casa comunale.” Questo comma differisce dall’art. 8 – comma 1- del concordato del 1984 “Sono riconosciuti gli effetti civili ai matrimoni

57 Legge 22 novembre 1988, n. 517 - Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e le Assemblee di Dio in Italia.

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contratti secondo le norme del diritto canonico, a condizione che l’atto relativo sia trascritto nei

registri dello stato civile, previe pubblicazioni nella casa comunale.” Innanzi tutto perché nell’intesa con Tavola valdese, vengono riconosciuti gli effetti civili del matrimonio con il presupposto della pluralità dei sistemi di celebrazione cui si ispira l’ordinamento della Repubblica; mentre nel nuovo concordato “sono riconosciuti gli effetti civili ai matrimoni contratti secondo le

norme del diritto canonico”, senza alcun presupposto. Inoltre, per la Tavola valdese i matrimoni sono celebrati, mentre diventano contratti solo quando sono trascritti nei registri dello stato civile, invece per la Chiesa cattolica il matrimonio è contratto direttamente. Infine la formulazione dell’intesa con la Tavola valdese lascia libertà ai suoi fedeli di non scegliere il rito Valdese. Un punto di unione tra i due accordi, è dato dal fatto che per entrambi il ministro di culto che celebra il matrimonio non deve essere necessariamente cittadino italiano, come invece è essenziale per le altre confessioni religiose munite di intesa. L’art. 11 dell’Intesa nel secondo e terzo comma dispone: “Coloro che intendono celebrare il

matrimonio secondo le norme dell'ordinamento valdese debbono comunicare tale intenzione

all'ufficiale dello stato civile al quale richiedono le pubblicazioni.

L'ufficiale dello stato civile, il quale abbia proceduto alle pubblicazioni richieste dai nubendi,

accerta che nulla si oppone alla celebrazione del matrimonio secondo le vigenti norme di legge e

ne dà attestazione in un nulla osta che rilascia ai nubendi in duplice originale.” Con la concessione del nulla osta, si conclude il procedimento preliminare alla celebrazione del matrimonio. Il nulla osta contiene aspetti divergenti nel quarto comma dell’art. 11 dell’intesa, rispetto all’art. 8 del nuovo concordato: per la Chiesa cattolica viene rilasciato senza condizioni, mentre per la Tavola valdese oltre a precisare che la celebrazione nuziale seguirà secondo le norme dell'ordinamento

valdese e nel comune indicato dai nubendi, deve altresì attestare che ad essi sono stati spiegati, dal

predetto ufficiale, i diritti e i doveri dei coniugi, dando ad essi lettura degli articoli del codice civile

al riguardo.” Altra differenza sostanziale tra intesa con la Chiesa valdese e il concordato sta nell’eventuale fine del matrimonio: per la Chiesa cattolica vi è la nullità con sentenza dei tribunali ecclesiastici delibata dalla Corte d’appello, mentre la Chiesa valdese demanda tutto allo Stato, in quanto nulla esprime in questo senso. L’intesa con la Chiesa Cristiana Avventista del 7° giorno

58

L'Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7° giorno, articolazione italiana delle Chiese avventiste, ha stipulato nel 1986 un'intesa ratificata con legge 22 novembre 1988, n. 516. L’art. 18 regolamenta il matrimonio e al numero 1 detta: “La Repubblica italiana riconosce gli

effetti civili ai matrimoni celebrati di fronte ai ministri di culto delle Chiese cristiane avventiste

aventi la cittadinanza italiana, a condizione che l'atto di matrimonio sia trascritto nei registri dello

stato civile, previe pubblicazioni presso la casa comunale.” Questa norma differisce dalla omologa contenuta nell’art. 11 dell’intesa con la Chiesa valdese: “La Repubblica italiana, attesa la pluralità

dei sistemi di celebrazione cui si ispira il suo ordinamento”, infatti qui vi è un riferimento esplicito all’ordinamento della Chiesa valdese che per la Chiesa avventista non compare, anche se implicitamente viene egualmente riconosciuto.

58 La Chiesa avventista del 7° giorno è presente in Italia sin dal 1864. Attualmente sono oltre un centinaio le chiese ed i luoghi di culto aperti al pubblico. La Chiesa avventista del 7° giorno confessa la fede trinitaria e cristologica dei primi simboli cristiani. Essa accoglie le dottrine protestanti esemplificate nelle formule Sola Scriptura, Sola Fide, Sola Gratia. Dopo il fallimento delle profezie di Miller, essa non propone oggi più date relativamente al Secondo Avvento di Cristo. Essa piuttosto pone l'accento sulla storicità di questo evento e sulla necessità del ravvedimento personale. Essa accoglie il Decalogo come suprema legge morale per l'umanità. Il settimo giorno, il giorno dedicato al riposo è considerato il sabato e non la domenica, come in altre chiese cristiane. La Chiesa avventista del 7° giorno rigetta la dottrina dell'immortalità dell'anima e crede che l'immortalità promessa da Dio sarà data ai credenti di ogni epoca soltanto alla risurrezione che avverrà alla seconda venuta di Cristo. I maggiori riti praticati nella Chiesa avventista del 7° giorno sono il battesimo, che non viene però conferito in età infantile, e la Santa Cena, cioè la comunione, che viene preceduta dal rito della lavanda dei piedi, secondo l'esempio dato da Gesù Cristo all'ultima Cena.

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Nell’intesa con la Chiesa avventista viene solo detto che i matrimoni sono celebrati di fronte ai

ministri di culto, senza alcun riferimento al pluralismo religioso dell’intesa Valdese. In sintesi è il matrimonio previsto dall’art. 83 c.c. - matrimonio celebrato davanti a ministri dei culti ammessi nello Stato – con qualche aggiornamento. L’intesa con le Assemblee di Dio L’intesa con le Assemblee di Dio, stipulata anche nel 1986, è stata ratificata con la legge 22 novembre 1988, n. 517 (differisce solo di un numero rispetto alla Chiesa Avventista. Questa confessione non partecipa alla ripartizione dell’8 per mille per le quote non espresse. L’art. 12 regolamenta il matrimonio e al numero 1 detta: “La Repubblica italiana riconosce gli

effetti civili ai matrimoni celebrati di fronte ai ministri di culto delle ADI aventi la cittadinanza

italiana, a condizione che l'atto relativo sia trascritto nei registri dello stato civile, previe

pubblicazioni nella casa comunale.” Una norma del tutto simile alla omologa dell’art. 18 dell’intesa con la Chiesa avventista.

L’intesa con la l'Unione delle Comunità ebraiche L’intesa con la l'Unione delle Comunità ebraiche italiane, stipulata nel 1987, è stata ratificata con la legge 8 marzo 1989, n. 101. L'Unione delle Comunità ebraiche italiane raggruppa e rappresenta le comunità dei poco più di 30.000 ebrei italiani nei rapporti con lo Stato. L’art. 14 regolamenta il matrimonio e al numero 1 detta: “Sono riconosciuti gli effetti civili ai

matrimoni celebrati in Italia secondo il rito ebraico davanti ad uno dei ministri di culto di cui

all'articolo 3 che abbia la cittadinanza italiana, a condizione che l'atto relativo sia trascritto nei

registri dello stato civile, previe pubblicazioni nella casa comunale.” In sintesi è il matrimonio previsto dall’art. 83 c.c. - matrimonio celebrato davanti a ministri dei culti ammessi nello Stato – con qualche aggiornamento, ad esempio i coniugi possono rendere dichiarazioni al ministro di culto sul riconoscimento o legittimazione dei figli e sulla scelta del regime patrimoniale. Questa confessione, che è più antica della cattolica, prevede ancora il ripudio, un altro problema importante che va contro la donna. Sia nella società ebraica che in quella musulmana - la legislazione è molto simile - esiste il divorzio concesso dai tribunali religiosi. In entrambe le religioni, solo l’uomo può chiedere il divorzio; alla donna non è permesso farlo, e ancor meno se questa è cristiana. L’ultimo comma dell’art. 14 detta: “Resta ferma la facoltà di celebrare e sciogliere matrimoni

religiosi, senza alcun effetto o rilevanza civile, secondo la legge e la tradizione ebraiche.” L’intesa con la Chiesa Evangelica Luterana L’intesa con la Chiesa Evangelica Luterana, stipulata nel 1993, è stata ratificata con la legge 29 novembre 1995, n. 520. L’art. 13, n. 1, sul matrimonio detta: “Ferma restando l'autonomia della CELI e delle sue Comunità

in materia religiosa e di culto, la CELI riconosce allo Stato italiano esclusiva giurisdizione per

quanto concerne gli effetti civili del matrimonio.” La Chiesa luterana pur affermando la sua autonomia, riconosce la giurisdizione esclusiva allo Stato sugli effetti civili del matrimonio. Per la parte restante l’articolo è molto simile a quello delle altre intese. L’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche Ai sensi dell’art. 5 del protocollo addizionale dell’accordo di revisione del concordato lateranensi del 1984, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole “è impartito – in conformità alla

dottrina della Chiesa e nel rispetto della libertà di coscienza degli alunni - da insegnanti che siano

riconosciuti idonei dall’autorità ecclesiastica, nominati, d’intesa con essa, dall’autorità scolastica.

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Nelle scuole materne ed elementari detto insegnamento può essere impartito dall’insegnante di

classe, riconosciuto idoneo dall’autorità ecclesiastica, che sia disposto a svolgerlo.” Con successiva intesa tra le competenti autorità scolastiche e la Conferenza episcopale italiana, esecutiva con il D.P.R. 16 dicembre 1985 n. 751, sono stati determinati: 1) i programmi dell’insegnamento della religione cattolica per i diversi ordini e gradi delle scuole pubbliche; 2) le modalità di organizzazione di tale insegnamento, anche in relazione alla collocazione nel quadro degli orari delle lezioni; 3) i criteri per la scelta dei libri di testo; 4) i profili della qualificazione professionale degli insegnanti. L’art. 4, del D.P.R. 751/85, ribadisce che l'insegnamento della religione cattolica, impartito nel

quadro delle finalità della scuola, deve avere dignità formativa e culturale pari a quella delle altre

discipline e “deve essere impartito in conformità alla dottrina della Chiesa da insegnanti

riconosciuti idonei dall'autorità ecclesiastica e in possesso di qualificazione professionale

adeguata”. In sintesi i requisiti degli insegnanti della religione cattolica sono tre: 1. devono essere conformi alla religione, 2. idonei dall'autorità ecclesiastica, 3. in possesso di qualificazione professionale adeguata. Mentre gli insegnanti delle scuole cattoliche devono essere graditi all’autorità ecclesiastica, nelle scuole pubbliche devono essere idonei per il vescovo diocesano il quale valuta le caratteristiche morali ed ecclesiali del docente e non la sua qualificazione professionale. Ai sensi dell’art. 4, del D.P.R. 751/85, sotto il profilo professionale, nelle scuole secondarie di

primo e secondo grado l'insegnamento della religione cattolica può essere affidato a chi abbia

almeno uno dei seguenti titoli: a) titolo accademico (baccalaureato59, licenza o dottorato) in teologia o nelle altre discipline ecclesiastiche, conferito da una facoltà approvata dalla Santa Sede; b) attestato di compimento del regolare corso di studi teologici in un Seminario maggiore60; c) diploma accademico di magistero in scienze religiose, rilasciato da un Istituto di scienze religiose approvato dalla Santa Sede che è il titolo di studio di una parte degli insegnanti di religione laici; d) diploma di laurea valido nell'ordinamento italiano, unitamente a un diploma rilasciato da un istituto di scienze religiose riconosciuto dalla Conferenza episcopale italiana che è il titolo di studio della maggioranza degli insegnanti di religione laici. Nella scuola materna ed elementare l'insegnamento della religione cattolica può essere impartito dagli insegnanti che abbiano frequentato nel corso degli studi secondari superiori l'insegnamento

della religione cattolica, o comunque siano riconosciuti idonei dall'ordinario diocesano. In altre parole la maestra o il maestro possono insegnare religione se questa è stata una materia nel loro corso di studio o, se questo non è accaduto, che comunque siano riconosciuti idonei dall'ordinario

diocesano. Nel caso in cui l'insegnamento della religione cattolica non venga impartito da un insegnante della scuola, può essere affidato a sacerdoti, diaconi e a chi è fornito della Laurea specialistica in scienze per l’educazione per l'insegnamento nelle scuole materne ed elementari, oppure a chi, fornito di altro diploma di scuola secondaria superiore, abbia conseguito almeno un diploma rilasciato da un Istituto di scienze religiose riconosciuto dalla Conferenza episcopale italiana. In virtù di questa legge gli insegnanti di religione dovevano essere nominati dal provveditorato, previa idoneità dell’ordinario diocesano, senza un concorso. Questo sistema creava una forma di precariato permanente che è stato per anni al centro di un dibattito politico e giuridico, perché

59 Il baccalaureato è, nel curriculum studiorum delle facoltà teologiche della Chiesa cattolica, il primo titolo di studio che si ottiene. È riconosciuto equivalente a un diploma universitario dallo stato italiano. I titoli seguenti sono la licenza e il dottorato. 60 Il seminario minore è un collegio che corrisponde al liceo per i più giovani, mentre il seminario maggiore è un insegnamento di livello universitario presente in Puglia solo a Molfetta.

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l’idoneità del docente doveva essere rinnovata annualmente. In sintesi, l’insegnante di religione non poteva essere mai di ruolo e questo comportava anche un danno economico, in quanto la nomina era valida da settembre a giugno, quindi luglio ed agosto non erano retribuiti, ne vi erano ferie pagate. A distanza di 18 anni, a questa situazione ha posto rimedio la legge 18 luglio 2003 n. 186 la quale sancisce l’immissione in ruolo degli insegnanti di religione a seguito di regolare concorso. Il motivo del ritardo di questa legge è dovuto al fatto che l’immissione in ruolo degli insegnati è subordinata all’idoneità rilasciata dall’autorità ecclesiastica. La legge 186/03, all’art. 4 comma 3, risolve la questione con questa norma: “L'insegnante di religione cattolica con contratto di lavoro a

tempo indeterminato, al quale sia stata revocata l'idoneità, ovvero che si trovi in situazione di

esubero a seguito di contrazione dei posti di insegnamento, può fruire della mobilità professionale

nel comparto del personale della scuola, con le modalità previste dalle disposizioni vigenti e

subordinatamente al possesso dei requisiti prescritti per l'insegnamento richiesto, ed ha altresì

titolo a partecipare alle procedure di diversa utilizzazione e di mobilità collettiva previste

dall'articolo 33 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.” In altre parole, se viene revocata l’idoneità o diminuiscono i posti a disposizione61, per il calo degli studenti che scelgono l’insegnamento della religione cattolica, il docente può fruire della mobilità professionale nel

comparto del personale della scuola e, se non ha i requisiti per questo, può essere impiegato in mansioni amministrative. Questa legge è stata motivo di numerosi ricorsi, in particolare il Consiglio di Stato, con la sentenza 27 settembre 2006 n. 5648, ha stabilito che i docenti di religione, non possono partecipare ad un concorso riservato ai precari storici, perché all’epoca del concorso non vi era il ruolo per l’insegnamento della religione. Anche la Corte costituzionale 20 luglio 2006 n. 297 si è espressa sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, della legge 186/03 nella parte in cui detta che per accedere al primo concorso per insegnati di religione essi dovevano aver “prestato continuativamente servizio

per almeno quattro anni nel corso degli ultimi dieci anni”. La Consulta ha sancito che “nel valutare

la conformità a Costituzione della norma impugnata, occorre tener conto del suo carattere

eccezionale rispetto al contesto normativo in cui è inserita. Essa, infatti, disciplina il primo

inquadramento in ruolo di una categoria di insegnanti che ha operato tradizionalmente con un

rapporto di servizio costituito mediante incarico annuale e non in base a concorso.” In sintesi, respinge il ricorso perché il criterio impiegato in questa legge è un’eccezione giustificata dal fatto che è stato il primo concorso, dopo anni di precariato dei docenti di religione. Inoltre “il legislatore

– nell’ambito delle possibilità di scelta compatibili con i principi costituzionali – ha ritenuto che

l’espletamento continuativo, nell’ultimo decennio, per quattro anni, dell’insegnamento della

religione cattolica costituisce indice di una più sicura professionalità e, su tale base, ha delimitato

l’accesso al concorso per la copertura dei primi posti nel ruolo organico dei docenti.” Il matrimonio Sul matrimonio si è maggiormente evoluto il rapporto tra Stato e Chiesa cattolica, come dimostra il concordato del 1984 che ha notevolmente trasformato questo istituto rispetto al concordato del 1929. In quasi tutti gli stati precedenti alla nascita del Regno d’Italia, il matrimonio era disciplinato solo dal diritto canonico per cui i non cattolici non potevano sposarsi. La situazione si ribalta con l’unità d’Italia, quando dal 1° gennaio 1866 lo Stato introduce il matrimonio civile obbligatorio e toglie ogni valore giuridico al matrimonio religioso, sull’esempio di altre legislazioni dell’epoca come quella francese.

61 Oggi la media chi sceglie l’insegnamento della religione cattolica è intorno al 70%, con delle punte in alcune regioni del 90 ed in altre di picchi del 40%.

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Il matrimonio religioso restava, ma l’unico valido era quello davanti all’ufficiale di stato civile. In questo modo, chi voleva sposarsi in chiesa con un matrimonio legittimo, doveva fare una doppia celebrazione: prima davanti all’ufficiale di stato civile e poi davanti al ministro di culto. In questo periodo lo Stato afferma la sua competenza esclusiva non solo sul matrimonio, ma su tutto lo status delle persone, come la nascita e la morte, che fino ad allora era stata una funzione della Chiesa cattolica. Infatti l’anagrafe italiana parte dall’unità del Regno d’Italia e per sapere informazioni relative al periodo antecedente (ad esempio vedere quanti erano i cittadini di Taranto nel 1850) bisogna consultare i registri dei battezzati degli archivi parrocchiali diocesani. Per questa ragione il battesimo, fino all’unificazione italiana, costituiva anche l’ingresso formale di un cittadino nella società civile. Il cambiamento epocale della legislazione sull’anagrafe dei cittadini è ancora più importante per il matrimonio, in quanto crea una famiglia e un nuovo soggetto politico. Per questa ragione acquista valore giuridico solo il matrimonio civile, mentre quello cattolico diventa una manifestazione puramente religiosa. Inoltre, negli altri paesi, il matrimonio civile doveva precedere quello religioso e il sacerdote doveva accertarsi che il matrimonio civile fosse stato contratto, altrimenti rischiava pene pesanti, mentre nell’Italia postunitaria, questo obbligo non c’era. Il matrimonio civile era utilizzato, in linea di massima, nelle città, in quanto allora l’Italia era una nazione prettamente agricola e con un alto tasso di analfabetismo e questo comportava che nelle campagne l’obbligo di questo matrimonio restava ignorato da buona parte della popolazione che continuava a sposarsi solo in chiesa, pensando di essere in regola, e restando così non sposati per lo Stato, con tutti i problemi che questo creava per il riconoscimento dei figli, per le successioni, eccetera. Si ha una svolta nel 1929 con la disciplina del matrimonio concordatario, cioè il matrimonio canonico che ha effetti civili. Con il concordato si hanno in questo modo tre tipologie di matrimonio: • il matrimoni religioso, l’unico presente prima dell’unificazione dell’Italia fino al 1865,

disciplinato dal diritto canonico e celebrato in chiesa; • il matrimonio civile, l’unico riconosciuto dallo Stato unitario dal 1866 fino al 1929 e

disciplinato dallo Stato; • il matrimonio concordatario, in vigore dal 1929, che è quello canonico integrato da una

determinata procedura che lo rende di valore identico a quello civile. Il matrimonio concordatario è disciplinato dall’art. 34 del concordato del 1929. Al primo comma detta: “Lo Stato italiano, volendo ridonare all’istituto del matrimonio, che é a base della famiglia,

dignità conforme alle tradizioni cattoliche del suo popolo, riconosce al sacramento del matrimonio,

disciplinato dal diritto canonico, gli effetti civili.” Abbiamo quindi un testo giuridico di carattere internazionale che riconosce il matrimonio quale sacramento62, cioè lo Stato da un valore teologico ad un istituto fino a quel momento solo giuridico. Inoltre, quale sacramento, diventa soggetto al codice canonico e quindi indissolubile. In sintesi questa norma esclude la possibilità di introdurre il divorzio nel nostro ordinamento, in quanto il matrimonio definito sacramento, non è più una tipologia di negozio giuridico, ma viene assoggettato alla legislazione ecclesiastica. Il secondo e terzo comma dello stesso articolo detta: “Le pubblicazioni del matrimonio come sopra

saranno effettuate, oltre che nella chiesa parrocchiale, anche nella casa comunale. Subito dopo la

celebrazione il parroco spiegherà ai coniugi gli effetti civili del matrimonio, dando lettura degli

articoli del codice civile riguardanti i diritti ed i doveri dei coniugi, e redigerà l’atto di matrimonio,

del quale entro cinque giorni trasmetterà copia integrale al Comune, affinché venga trascritto nei

registri dello stato civile.” Un volta iniziata la procedura per il matrimonio concordatario, la 62 Il sacramento è la testimonianza formale, che passa attraverso gesti umani, di una realtà trascendentale. Nella teologia cattolica è un atto rituale, istituito permanentemente da Gesù Cristo, quale mezzo precipuo (di importanza primaria) di santificazione e di salvezza dell’uomo. Per il diritto canonico il matrimonio ha un valore maggiore rispetto al diritto civile ed è l’alleanza eterna tra un uomo e una donna.

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trascrizione prescindeva dalla volontà dei nubendi che in questo modo venivano sposati civilmente anche senza volerlo. Infatti la trascrizione del matrimonio poteva essere richiesta non solo dagli sposi, ma da chiunque avesse interesse (parroco, eredi, terzi interessati in genere). Il quarto comma dello stesso articolo detta: “Le cause concernenti la nullità del matrimonio e la

dispensa dal matrimonio rato e non consumato sono riservate alla competenza dei tribunali e dei

dicasteri ecclesiastici.” Questo comma istituisce una riserva di giurisdizione per i tribunali e dei

dicasteri ecclesiastici, cioè il matrimonio concordatario nasce e termina seguendo la disciplina del diritto canonico. Il divorzio non esisteva nel nostro ordinamento e il giudizio su eventuali motivi di nullità del matrimonio rato e non consumato era di competenza esclusiva dei tribunali ecclesiastici. Mentre la nullità del matrimonio è dichiarata dal tribunale ecclesiastico dopo un regolare processo, la dispensa pontificia per il matrimonio rato e non consumato è di competenza del vescovo diocesano data dopo un procedimento amministrativo, senza le adeguate garanzie per le parti. In sintesi, con la riserva di giurisdizione, lo Stato si spoglia completamente dei suoi poteri su questa materia per trasferirli a tribunali e dicasteri ecclesiastici. Il quinto e sesto comma dello stesso articolo detta: “I provvedimenti e le sentenze relative, quando

siano divenute definitive, saranno portate al Supremo Tribunale della Segnatura, il quale

controllerà se siano state rispettate le norme del diritto canonico relative alla competenza del

giudice, alla citazione ed alla legittima rappresentanza o contumacia delle parti. I detti

provvedimenti e sentenze definitive coi relativi decreti del Supremo Tribunale della Segnatura

saranno trasmessi alla Corte di appello dello Stato competente per territorio, la quale, con

ordinanze emesse in camera di consiglio, li renderà esecutivi agli effetti civili ed ordinerà che siano

annotati nei registri dello stato civile a margine dell’atto di matrimonio.” Questa norma sancisce l’automaticità degli effetti civili delle sentenze che in questo modo venivano automaticamente e immediatamente iscritte sui registri di stato civile, senza alcun controllo giurisdizionale dell’autorità giudiziaria italiana L’ultimo comma dell’art. 34 detta “Quanto alle cause di separazione personale, la Santa Sede

consente che siano giudicate dall’autorità giudiziaria civile.” La disciplina del matrimonio già inserita nel concordato, divenne poi oggetto della legge 27 maggio 1929 n. 847, c.d. legge matrimoniale, che ancora oggi è in vigore. Per il codice canonico tutti hanno diritto a celebrare il matrimonio, tuttavia stabilisce che alcuni non possono avere la capacità matrimoniale a causa di impedimenti, fondamentali perché sono causa di nullità. Per il codice canonico, questi impedimenti sono: • L’età, 14 anni per le donne e 16 per l’uomo, ma le singole conferenze episcopali nazionali

possono determinare un limite diverso. A seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 16 del 2 febbraio 1982 e del nuovo concordato del 1984, la C.E.I. si è uniformata alla legislazione italiana con il limite di 18 anni per entrambi i sessi.

• L’esistenza di un precedente matrimonio. • La differente appartenenza religiosa. • Per chi ha ricevuto l’ordine sacro, cioè è sacerdote. • Per il connubicidio. • Il ratto, cioè chi rapisce la persona per sposarla. E’ regolare se la persona rapita viene lasciata

libera, ma decide ugualmente di sposare il rapitore. Questo impedimento è importante perché, per il diritto canonico, il matrimonio nasce dal consenso dei nubendi.

• Per incapacità fisica.

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• Per simulazione del consenso63 che può essere totale o parziale. In questo secondo caso le cause sono: esclusione dell’indissolubilità, esclusione della prole (l’esclusione deve essere assoluta non momentanea), esclusione della fedeltà (si intende una relazione stabile al di fuori del matrimonio, non un rapporto occasionale) ed esclusione del bonum coniugum (bene dei coniugi)64. A differenza di quanto prevede il codice civile dove la simulazione deve essere conosciuta o conoscibile dall’altra parte a tutela del coniuge in buona fede e comunque entro un anno dal matrimonio, nel codice canonico è ammessa anche la riserva mentale e quindi può essere dichiarato nullo il matrimonio in cui l’altra parte non conosceva ne’ sospettava della simulazione e senza alcun limite temporale per l’esercizio di questo diritto.

• Per violenza e timore. Fino al 1970 lo Stato non si occupava della fine del matrimonio, lasciando la competenza esclusiva alla Chiesa cattolica. Inizia a cambiare la legislazione con alcune sentenze e leggi: • la legge 1 dicembre 1970, n. 898, disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio, • la sentenza della Corte costituzionale 32/71. • la sentenza della Corte di cassazione 913/73 che interviene sulla iscrizione sui registri di stato

civile delle sentenze dei tribunali ecclesiastici, e sulla automatica e immediata esecutività, affermando che questa può avvenire solo in contraddittorio tra le parti, cioè la Corte d’appello deve prima sentire le parti per dichiarare lo scioglimento degli effetti civili delle sentenze canoniche,

• la legge 19 maggio 1975, n. 151, riforma del diritto di famiglia. Sulla scia di questo nuovo orientamento giurisprudenziale e legislativo, fondamentali sono due sentenze della Corte costituzionale, la numero 16 e 18 del 2 febbraio 1982, che dichiarano incostituzionali alcune norme del concordato del 1929: • Riconosce la riserva di giurisdizione, ma elimina la possibilità del riconoscimento della

dispensa pontificia dal matrimonio rato e non consumato, in quanto non sono provvedimenti giurisdizionali, ma dell’autorità amministrativa.

• Introduce il procedimento di delibazione65 per le sentenze canoniche di nullità dei matrimoni, al pari delle altre sentenze emesse da stati esteri. La Consulta giudica incostituzionale l’esecuzione automatica nei registri dello stato civile delle sentenze dei tribunali ecclesiastici, perchè alla Corte d’appello spetta accertare: o che sia stato assicurato alle parti il diritto di agire e resistere in giudizio a difesa dei propri

diritti nel processo davanti ai tribunali ecclesiastici, o che la sentenza ecclesiastica non sia in contrasto con i principi dell'ordine pubblico italiano.

• Dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 12 della legge matrimoniale n. 847 del 1929 (disposizione abrogata nel concordato del 1984) nella parte in cui non prevedeva la minore età degli sposi, o di uno di essi, fra gli impedimenti alla trascrizione del matrimonio canonico.

Per l’art. 29, primo comma, della Costituzione “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia

come società naturale fondata sul matrimonio”. La Carta fondamentale non definisce il matrimonio, ma nel secondo comma individua la sua funzione primaria: “Il matrimonio è ordinato

sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia

dell’unità familiare.” La scelta dei costituenti è pluralista, in quanto individua le funzioni generali e lascia alla legge ordinaria la questione in dettaglio. In questo modo il dettato costituzionale è aperto

63 causa prevista anche dall’art. 123 - Simulazione - del codice civile italiano: “Il matrimonio può essere impugnato da ciascuno dei coniugi quando gli sposi abbiano convenuto di non adempiere agli obblighi e di non esercitare i diritti da esso discendenti. L'azione non può essere proposta decorso un anno dalla celebrazione del matrimonio ovvero nel caso in cui i contraenti abbiano convissuto come coniugi successivamente alla celebrazione medesima.” 64 Chi rifiuta al proprio coniuge il rispetto per la sua dignità umana e la comprensione di tutte le esigenze necessarie per la integrale realizzazione della sua personalità. 65 La delibazione o exequatur è la procedura giudiziaria che serve a far riconoscere, in un determinato Paese, un provvedimento giudiziario emesso dall'autorità giudiziaria di un altro Paese.

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anche a matrimoni con culti diversi da quello cattolico. Infatti, gli articoli 79 e seguenti del Codice Civile definiscono le tre tipologie ammesse: 1. matrimonio celebrato davanti a ministri del culto cattolico66, 2. matrimonio celebrato davanti a ministri dei culti ammessi nello Stato67; 3. matrimonio celebrato davanti all'ufficiale dello stato civile (sindaco o suo delegato). Per il matrimonio civile e concordatario, durante la celebrazione, devono essere letti ai nubendi gli articoli 143, 144 e 147 del codice civile: • Art. 143 Diritti e doveri reciproci dei coniugi - Con il matrimonio il marito e la moglie

acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri.” Il primo comma segue il principio di uguaglianza dettato dall’art. 3 della Costituzione e sancisce che i coniugi sono formati da marito e moglie, cioè persone di sesso diverso, uno dei pochi riferimenti espressi del codice civile a chi può unirsi in matrimonio. La parte restante dell’articolo detta: “Dal matrimonio deriva l'obbligo

reciproco alla fedeltà, all'assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell'interesse della

famiglia e alla coabitazione. Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie

sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni

della famiglia.” • Art. 144 Indirizzo della vita familiare e residenza della famiglia - I coniugi concordano tra loro

l'indirizzo della vita familiare e fissano la residenza della famiglia secondo le esigenze di

entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa. A ciascuno dei coniugi spetta il potere di

attuare l'indirizzo concordato. Concordare l'indirizzo della vita familiare significa stabilire per i coniugi l’obiettivo della loro convivenza, ad esempio avere figli, migliorare la posizione sociale ed economica della famiglia, eccetera. La convivenza quindi non è l’obiettivo, ma il mezzo per raggiungerlo, il c.d. indirizzo dettato dal codice. Possiamo anche affermare che questo articolo obbliga i coniugi ad un’assunzione di responsabilità per oneri derivanti dal matrimonio.

• Art. 147 “Doveri verso i figli - Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l'obbligo di

mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale

e delle aspirazioni dei figli.” Per i nubendi, il matrimonio concordatario conserva tutte le caratteristiche peculiari previste per l’ordinamento canonico, alle quali, attraverso la trascrizione, si aggiungono i contenuti caratteristici previsti per quello civile. Per una parte della dottrina il matrimonio concordatario è un matrimonio diverso in cui confluiscono due realtà distinte: il diritto canonico e quello civile. Entrambe hanno alla base la volontà della parti le quali possono anche decidere di celebrare due distinti matrimoni: civile e canonico, anche se molte curie si oppongono (ingiustamente) a questa possibilità. L’art. 8 dell’Accordo di revisione del concordato lateranensi stabilisce: “Sono riconosciuti gli effetti

civili ai matrimoni contratti secondo le norme del diritto canonico, a condizione che l’atto relativo

sia trascritto nei registri dello stato civile, previe pubblicazioni nella casa comunale.” Questa norma contiene tre aspetti importanti: • Viene usato il verbo contrarre, anziché celebrare (usato nel diritto canonico), per dare al

matrimonio maggiore rilevanza al valore giuridico rispetto a quello religioso. • Il matrimonio canonico acquista effetti civili a condizione che l’atto relativo sia trascritto nei

registri dello stato civile, quindi con il matrimonio concordatario la trascrizione della volontà dei coniugi, espressa nel matrimonio religioso, diventa valida anche per quello civile.

• Le previe pubblicazioni nella casa comunale, dimostrano che la volontà dei nubendi è stata anche espressa davanti all’ufficiale di stato civile con la promessa di matrimonio. Inoltre le

66 Art. 82 - Matrimonio celebrato davanti a ministri del culto cattolico - Il matrimonio celebrato davanti a un ministro del culto cattolico e regolato in conformità del Concordato con la Santa Sede e delle leggi speciali sulla materia. 67 Art. 83 - Matrimonio celebrato davanti a ministri dei culti ammessi nello Stato - Il matrimonio celebrato davanti a ministri dei culti ammessi nello Stato è regolato dalle disposizioni del capo seguente, salvo quanto è stabilito nella legge speciale concernente tale matrimonio.

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pubblicazioni nella casa comunale garantiscono i terzi che abbiano interesse, per eventuali opposizioni.

Riepilogando i nubendi fanno richiesta all’ufficiale di stato civile di contrarre matrimonio, il quale fa gli accertamenti di rito (ad esempio verifica che i nubendi non siano legati da un precedente matrimonio), poi pubblica la promessa di matrimonio nella casa comunale e decorso il tempo necessario (8 giorni compreso tra due domeniche), rilascia il nulla osta (un certificato) a celebrare il matrimonio in chiesa. Il ministro di culto68 che officia la cerimonia deve accertarsi che i nubendi abbiano la piena consapevolezza e responsabilità ad adempiere alle regole derivanti dal matrimonio canonico, sanciti dal canone 226 - Obblighi e diritti dei fedeli laici: “I laici che vivono nello stato

coniugale, secondo la propria vocazione, sono tenuti al dovere specifico di impegnarsi, mediante il

matrimonio e la famiglia, nell'edificazione del popolo di Dio.” Quindi oltre a verificare la piena responsabilità religiosa, l’officiante deve accertarsi anche delle responsabilità civili derivanti dal matrimonio e questo compito è adempiuto con la lettura degli articoli del codice civile e spiegando il loro significato ai nubendi. La violazione di questo compito comporta sanzioni amministrative e penali, perché in quel momento il ministro di culto assume anche la funzione di ufficiale di stato civile. L’art. 8 continua disponendo: “Subito dopo la celebrazione, il parroco o il suo delegato spiegherà

ai contraenti gli effetti civili del matrimonio, dando lettura degli articoli del codice civile

riguardanti i diritti e i doveri dei coniugi, e redigerà quindi, in doppio originale, l’atto di

matrimonio, nel quale potranno essere inserite le dichiarazioni dei coniugi consentite secondo la

legge civile.” Tra le dichiarazioni che i coniugi possono inserire nell’atto di matrimonio vi è il regime patrimoniale della famiglia69, il riconoscimento dei figli naturali, eccetera. Sempre l’art. 8 prevede che entro 5 giorni dalla celebrazione del matrimonio, il parroco, o suo delegato, trasmetterà uno dei due originali dell’atto di matrimonio all’ufficiale di stato civile, chiedendo, per iscritto, l’iscrizione del matrimonio nei registri entro 24 ore successive alla consegna

e successivamente l’ufficiale di stato civile ne dà notizia al parroco. L’obbligo di questa formalità da parte del parroco è a garanzia delle parti sull’efficacia dell’atto di matrimonio, diminuendo la possibilità di eventuali vizi formali. Gli effetti civili del matrimonio concordatario decorrono dalla data del matrimonio canonico e quindi hanno un effetto retroattivo rispetto alla trascrizione. Se l’ufficiale dello stato civile omette di effettuare la trascrizione, può essere fatta successivamente con la c.d. trascrizione tardiva. In questo caso, però, non è necessaria la richiesta del parroco, ma dei coniugi i quali devono rinnovare la loro volontà davanti all’ufficiale di stato civile. Su questo punto c’è una novità rispetto al concordato del 1929, dove egualmente era prevista la trascrizione tardiva, ma nel nuovo concordato la trascrizione può essere chiesta anche da un solo coniuge a condizione che l’altro vi acconsente o non si oppone70. La trascrizione tardiva non si effettua quando ne deriva pregiudizio per i terzi se: a) gli sposi non hanno l’età richiesta per la celebrazione prevista dalla legge civile; b) sussiste fra gli sposi un impedimento inderogabile per la legge civile. Questi sono elencati al

punto 4. del protocollo addizionale al concordato del 1984: 1) uno dei contraenti è interdetto per infermità di mente71; 2) sussiste tra gli sposi un altro matrimonio valido agli effetti civili; 3) gli impedimenti derivanti da delitto o da affinità in linea retta.

Per il nostro ordinamento, del quale la Santa Sede ne prende atto, la trascrizione è tuttavia ammessa quando l’azione di nullità non potrebbe essere più proposta.

68 Parroco o suo delegato. 69 In mancanza della scelta del regime patrimoniale sarà attribuita la comunione dei beni. 70 La non opposizione è una nuova figura giuridica e può essere esplicita o derivare da atti concludenti. 71 Per infermità di mente si ha nell’ipotesi di interdizione per incapacità di intendere e di volere che deve essere accertata dall’autorità giudiziaria.

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Per la giurisprudenza, vi è un caso in cui una parte può impugnare la trascrizione già effettuata, eccependo l’incapacità naturale verificata al momento della richiesta del nulla osta all’ufficiale di stato civile che deve comunque trascrivere il matrimonio anche se è a conoscenza dell’incapacità naturale. In questo caso si aprono due possibilità: • la parte impugna l’atto per incapacità naturale, • l’ufficiale di stato civile trasmette gli atti alla procura della Repubblica. Fino a qualche tempo non era possibile rivolgersi al giudice ordinario per dichiarare la nullità di un matrimonio celebrato con un ordinamento diverso da quello canonico, ma efficace agli effetti civili con l’iscrizione nei registri. Successivamente, una sentenza della Corte di cassazione lo ha ritenuto possibile, purché fossero osservate alcune condizioni; ma in seguito una sentenza della Corte costituzionale ha dichiarato ingiusta la posizione della Cassazione. La questione resterà irrisolta fino all’auspicata emanazione di una nuova legge matrimoniale che sostituisca la legge 27 maggio 1929 n. 847. Le persone di religione diversa dalla cattolica hanno due possibilità per sposarsi: 1. celebrare il matrimonio regolato dalle intese per i culti che l’hanno sottoscritta; 2. sposarsi con le modalità previste dall’art. 83 c.c. - matrimonio celebrato davanti a ministri dei

culti ammessi nello Stato – per le confessioni diverse dalla Cattolica e da quelle che hanno sottoscritto un’intesa. Per questo matrimonio i nubendi devono fare apposita richiesta all’ufficiale di stato civile ed indicare il nominativo del ministro di culto che può celebrare il matrimonio, perché costui sarà autorizzato alla celebrazione del matrimonio civile, ma con rito religioso e in un luogo distinto dalla casa comunale. In sintesi il ministro di culto diventa un delegato del sindaco per la celebrazione di quel matrimonio.

La riserva di giurisdizione La riserva di giurisdizione, citata nel quarto comma dell’art. 34 del concordato del 1929, “Le cause

concernenti la nullità del matrimonio e la dispensa dal matrimonio rato e non consumato sono

riservate alla competenza dei tribunali e dei dicasteri ecclesiastici” scompare nel nuovo concordato del 1984 significando che la riserva di giurisdizione è stata abrogata. Ci sono quattro elementi giuridici che certificano l’abrogazione: 1. La riserva di giurisdizione rappresenta una diminutio della potestà dello Stato, perché si priva

della sua autorità su una materia importante e per questo la sua competenza non può essere ridotta implicitamente. In altre parole, se lo Stato avesse voluto confermare la riserva giurisdizionale alla competenza dei tribunali e dei dicasteri ecclesiastici in materia di validità del matrimonio concordatario, avrebbe dovuto farlo in maniera esplicita.

2. L’art. 13 dallo stesso concordato del 1984 dispone: “Le disposizioni precedenti costituiscono

modificazioni del Concordato lateranense accettate dalle due parti, ed entreranno in vigore alla

data dello scambio degli strumenti di ratifica. Salvo quanto previsto dall’art. 7, n. 6, le

disposizioni del Concordato stesso non riprodotte nel presente testo sono abrogate.” Cioè il nuovo concordato modifica quello del 1929 abrogando tutto quello che non è confermato e siccome la riserva di giurisdizione non è menzionata, di fatto è abrogata.

3. Gli atti parlamentari relativi al nuovo accordo e in particolare la relazione presentata alla Camera dei Deputati, riportano l’intenzione esplicita del Governo di abrogare la riserva di giurisdizione. Quindi è abrogata anche per l’intentio legislatoris, uno dei criteri di interpretazione delle norme previste dall’art. 12 delle Preleggi72.

4. La norma che prevede la delibazione per il riconoscimento delle sentenze di nullità del matrimonio è una conferma implicita dell’abrogazione della riserva di giurisdizione, perché, se

72 Art. 12 Interpretazione della legge - Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore.

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è necessario un controllo su queste sentenze, significa che non può esserci una esclusività di giurisdizione, tanto che queste potrebbero essere non delibate dalla Corte d’appello.

La tesi della non abrogazione è motivata da tre elementi: 1. In riferimento al procedimento di delibazione, l’art. 8 comma secondo, lettera a, del nuovo

accordo, dispone che la Corte d’appello deve accertare che “il giudice ecclesiastico era il

giudice competente a conoscere della causa”. Usando il singolare, anziché il plurale i giudici, la norma indica che se i giudici competenti a dichiarare la nullità del matrimonio fossero stati quello ecclesiastico e quello civile, il testo del nuovo accordo avrebbe riportato il plurale anziché il singolare. Per questo, restando il giudice ecclesiastico l’unico giudice competente, implicitamente si afferma che la riserva di giurisdizione non è stata abrogata.

2. Sempre in riferimento al procedimento di delibazione, l’art. 4 del protocollo addizionale, lettera b, del nuovo accordo, dispone che la Corte d’appello “ai fini dell’applicazione degli articoli 796

e 797 del Codice italiano di procedura civile”, “dovrà tener conto della specificità

dell’ordinamento canonico dal quale è regolato il vincolo matrimoniale, che in esso ha avuto

origine” e se il vincolo matrimoniale è regolato dal diritto canonico, lo è sia nella sua origine che nella sua fine. Pertanto è solo il giudice ecclesiastico ad avere giurisdizione sul matrimonio ed è l’unico che decide quando questo vincolo può considerarsi nullo.

3. Sempre l’art. 4 del protocollo addizionale, lettera b numero 3), dispone che la Corte d’appello nel procedimento di delibazione deve in ogni caso non procedere al riesame del merito sulla sentenza del tribunale ecclesiastico e se il giudice ordinario non può entrare nel merito, significa che la competenza è del tribunale ecclesiastico e quindi resta la riserva di giurisdizione.

Detta disquisizione dottrinale ha un risvolto pratico: se la riserva di giurisdizione esiste, i cittadini italiani possono avere la nullità del matrimonio solo dai tribunali ecclesiastici, al contrario potranno rivolgersi anche al tribunale dello Stato. In questo secondo caso, i coniugi sposati in chiesa che successivamente hanno lasciato la fede cattolica, possono chiedere che sulla validità del vincolo matrimoniale si esprima l’autorità giudiziaria italiana e non quella ecclesiastica. Per Cardia, lo ius poenitendi esiste anche in questa materia ed è un diritto che i cittadini devono poter esercitare sulla validità del loro matrimonio. Dopo alterne vicende giurisprudenziali sulla questione, si è pronunciata la Corte costituzionale con la sentenza 421/1993. Per il giudice delle leggi la riserva di giurisdizione è abrogata, ma il giudice ordinario non può pronunciarsi sulla validità del vincolo canonico che è un presupposto esterno all’ordinamento dello Stato. In altre parole scompare la riserva di giurisdizione, quindi è possibile rivolgersi ai tribunali dello Stato, i quali non giudicheranno sulla validità del matrimonio concordatario, ma solo sulla validità della trascrizione, perché il matrimonio concordatario è contratto secondo le norme del codice canonico, una legislazione di uno stato estero dove l’autorità giudiziaria italiana è incompetente. Per Finocchiaro, con questa sentenza, in materia matrimoniale si crea una diarchia giurisdizionale tra Stato e Chiesa cattolica con possibili contrasti tra le sentenze dei due ordinamenti. Invece per Della Torre la riserva di giurisdizione esiste ancora, malgrado la sentenza della Consulta. Il Procedimento di delibazione L’art. 34 del concordato del 1929 stabiliva l’immediata efficacia delle sentenze dei Tribunali ecclesiastici, ma la Corte costituzionale, con la sentenza 2 febbraio 1982, n. 18 modifica questa norma del concordato, stabilendo che anche per le sentenze canoniche, come avviene per le altre sentenze di stati esteri, per essere efficaci per lo stato italiano, è necessario il procedimento di delibazione attualmente dettato dalla Legge 31 maggio 1995, n. 218 - Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato. L’art. 8, punto 2, dell’Accordo di revisione del concordato lateranensi, uniformandosi alla sentenza della Corte costituzionale 18/1982, stabilisce: “Le sentenze di nullità di matrimonio pronunciate dai

tribunali ecclesiastici, che siano munite del decreto di esecutività del superiore organo

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ecclesiastico di controllo, sono, su domanda delle parti o di una di esse, dichiarate efficaci nella

Repubblica italiana con sentenza della corte d’appello competente”. Tale decreto di esecutività è emesso dalla Supremo tribunale della segnatura apostolica. Per capire cosa significa questo è necessario conoscere, sia pur per sommi capi, l’organizzazione giudiziaria canonica. La conferenza episcopale italiana ha stabilito che in Italia i tribunali ecclesiastici sono: • Tribunale ecclesiastico regionale (in Puglia a Bari) ed è competente, principalmente, per le

cause di nullità per i matrimoni di tutta la regione; • Tribunale ecclesiastico interregionale (per la Puglia è a Benevento) ed è competente per le cause

di appello alle sentenze di nullità espresse dai tribunali ecclesiastici regionali; In Italia i tribunali apostolici sono tre: • La "Sacra Rota" - oggi denominata Tribunale Apostolico della Rota Romana

73, è il tribunale del Papa, si trova invece a Roma (Piazza della Cancelleria, 1 - Roma). Interviene in 3° grado sulle sentenze dei tribunali ecclesiastici solo se ci sono state due sentenze difformi.

• Supremo tribunale della segnatura apostolica competente per il decreto di esecutività delle sentenze emesse dai tribunali ecclesiastici.

• La Penitenzeria apostolica, è il c.d. foro interno, cioè la coscienza. Per diritto canonico i reati sono i peccati, anche se alcuni peccati non sono reati, come l’aborto. I peccati meno gravi sono assolti dal sacerdote, mentre quelli che più gravi, con pene che arrivano alla scomunica, sono giudicati dalla Penitenzeria apostolica.

Per dichiarare la nullità di un matrimonio canonico è indispensabile che sia dichiarato con due sentenze di due tribunali di diverso grado. In particolare, deve essere dichiarata la nullità dal tribunale ecclesiastico regionale e poi la causa (il libello) passa automaticamente al tribunale ecclesiastico interregionale per la ratifica della sentenza di primo grado; quindi non c’è un appello al tribunale sovraordinato, ma il passaggio avviene automaticamente. Si ricorre in appello al tribunale ecclesiastico interregionale solo quando una delle parti non è d’accordo sulla sentenza oppure se conferma il vincolo matrimoniale. La decisione per la ratifica della sentenza di primo grado, da parte del tribunale ecclesiastico interregionale, è basata sugli atti prodotti dal tribunale ecclesiastico regionale. Invece, se le parti ricorrono in appello, il tribunale ecclesiastico interregionale decide rifacendo il processo per intero e quindi riapre l’istruttoria, ascolta nuovamente le parti, i testimoni e anche eventuali nuovi testi. Se il tribunale di appello non ratifica la nullità espressa dal tribunale ecclesiastico regionale, è necessario anche il giudizio della Rota romana. Una sentenza di nullità emanata dal tribunale ecclesiastico regionale e ratificata dal tribunale ecclesiastico interregionale, ha bisogno anche del decreto di esecutività del superiore organo ecclesiastico di controllo che è il Supremo tribunale della segnatura apostolica, uno dei tre tribunali apostolici della Santa sede. Nell’ordinamento italiano, le sentenze passano in giudicato e diventano esecutive dopo l’ultimo grado di giudizio o, nei gradi precedenti se non sono appellate. Questo principio differisce da quanto avviene nel diritto canonico, infatti il decreto di esecutività del Supremo tribunale della segnatura apostolica è dovuto al fatto che, per l’ordinamento canonico, le sentenze che riguardano lo status delle persone non passano mai in giudicato, perché nel tempo possono emergere nuovi elementi che modificano le conclusioni della sentenza. Tuttavia, le parti hanno necessità di avere la sentenza definitiva per poter chiedere alla Corte d’appello la delibazione e il Supremo tribunale della segnatura apostolica, ratificando la sentenza, la rende esecutiva.

73 La Rota è il tribunale del Papa, e avendo competenza su tutti i fedeli, ci si può rivolgere anche direttamente alla Rota saltando il tribunali ecclesiastici, la quale però deve comunque emettere due giudizi. La Rota ha la competenza esclusiva nelle causa di nullità di matrimoni relativi a principi regnati e presidenti della repubblica.

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Ritornando all’art. 8, punto 2, dell’Accordo di revisione del concordato lateranensi, la norma stabilisce che il procedimento per la delibazione è avviato “su domanda delle parti (cioè degli ex coniugi) o di una di esse”. Nel primo caso il procedimento si introduce con ricorso e si svolge in camera di consiglio, se la richiesta è di un solo coniuge il procedimento avviene con citazione e si svolge in via ordinaria. La delibazione è dichiarata efficace con sentenza della corte d’appello competente, cioè quella del luogo in cui il matrimonio fu trascritto, dopo aver accertato: a) che il giudice ecclesiastico era il giudice competente a conoscere della causa in quanto

matrimonio celebrato in conformità del presente articolo;

b) che nel procedimento davanti ai tribunali ecclesiastici è stato assicurato alle parti il diritto di

agire e di resistere in giudizio, in modo non difforme dai principi fondamentali

dell’ordinamento italiano; cioè che sia stato rispettato il diritto di difesa74. c) che ricorrono le altre condizioni richieste dalla legislazione italiana per la dichiarazione di

efficacia delle sentenze straniere. La Corte di appello, in un procedimento per delibazione di una sentenza straniera, può stabilire provvedimenti economici provvisori a favore del coniuge economicamente più debole. Mentre con il divorzio, il coniuge economicamente più debole ha diritto al mantenimento o agli alimenti, con la nullità non ne ha diritto, ma in casi particolari i giudici possono assegnare egualmente gli alimenti, anche se il matrimonio è stato annullato ex tunc

75, come avviene con il matrimonio putativo nel caso di scioglimento del matrimonio civile (art. 128 c.c.). Legge 31 maggio 1995, n. 218 - Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato – ha abrogato gli articoli dal 796 all'805 del c.p.c. ed ha stabilito che è soppresso il procedimento di delibazione per le sentenze straniere aventi determinati requisiti. La nuova legge, in un primo momento era stata interpretata da alcuni come un abrogazione della delibazione anche per le sentenze emesse dai tribunali ecclesiastici, come avveniva in passato per effetto di una norma inserita nell’art. 34 del concordato del 1929, abrogata dalla sentenza della Consulta 18/1982 e soprattutto dall’art. 8 del nuovo concordato del 1984. Questa spiegazione aveva portato, negli anni 1997/1998, all’immediata esecutività delle sentenze dei tribunali ecclesiastici per nullità di matrimoni con iscrizione diretta all’anagrafe, senza delibazione. Questa interpretazione della legge è erronea per due ragioni: • La stessa Legge 218/95, all’art 2, dispone: “Le disposizioni della presente legge non

pregiudicano l'applicazione delle convenzioni internazionali in vigore per l'Italia”. Quindi non rientrano le sentenze dei tribunali ecclesiastici, già disciplinate dall’art. 8 nuovo concordato.

• Il D.P.R. 396/2000, sulla riforma lo stato civile, dispone che l’ufficiale dello stato civile trascrive automaticamente le sentenze straniere di divorzio, mentre le sentenze di nullità matrimoniale rinvia alla disciplina concordataria.

Si ricava che per la legislazione attuale, le sentenze dei tribunali ecclesiastici sono sfavorite, perchè necessitano della delibazione per essere efficaci, mentre quelle degli altri paesi sono registrate automaticamente nei registri di stato civile, se questi paesi sono tra quelli che hanno una legislazione con i requisiti indicati nella legge 218/95, tra cui quello che non devono contrastare con l’ordine pubblico italiano. Infatti, vi sono stati dei casi che le corti d’appello hanno negato la delibazione alle sentenze emesse dai tribunali ecclesiastici per nullità di matrimoni dovute a impedimenti per riserva mentale, quando non era conosciuta e non conoscibile da una delle parti, perché, non tutelando il coniuge in buona fede, questo principio contrasta con l’ordine pubblico italiano.

74 E’ accaduto che l’Italia sia stata condanna dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per non aver verificato il rispetto del diritto di difesa di una parte in un procedimento canonico. 75 La locuzione latina ex tunc indica la retroattività dell'efficacia di un'azione, ossia la sua applicabilità fin dall'inizio come se essa non fosse mai esistita.

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Inoltre. la Corte di giustizia europea ha condannato l’Italia, sentenza Pellegrini contro Italia del 2001, perché era stata delibata una sentenza dei tribunali ecclesiastici senza tener conto delle norme sul giusto processo e del diritto di difesa delle parti. Gli enti ecclesiastici Gli enti ecclesiastici sono uno strumento fondamentale delle religioni, attraverso il quale viene seguito il culto, anche attraverso l’aiuto concreto al prossimo. La disciplina degli enti la troviamo nell’art. 7, n. 1, del nuovo concordato che riprende pedissequamente l’art. 20 della Costituzione: “Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di

culto d'una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative,

né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività.” Una norma tesa ad evitare la reintroduzione di leggi sfavorevoli alla Chiesa, quali sono state le leggi eversive promulgate nella seconda metà dell’800. Al contrario, dal dopoguerra, la legislazione italiana ha privilegiato gli enti ecclesiastici, sottraendoli da una serie di gravami fiscali e incombenze a cui sono sottoposti gli altri enti. Per l’art. 7, n. 2, del nuovo concordato: “Ferma restando la personalità giuridica degli enti

ecclesiastici che ne sono attualmente provvisti, la Repubblica italiana, su domanda dell’autorità

ecclesiastica o con il suo assenso, continuerà a riconoscere la personalità giuridica degli enti

ecclesiastici aventi sede in Italia, eretti o approvati secondo le norme del diritto canonico, i quali

abbiano finalità di religione o di culto.” In sintesi, sono enti ecclesiastici quelli che hanno già personalità giuridica all’entrata in vigore del nuovo concordato e quelli su domanda dell’autorità

ecclesiastica o con il suo assenso, se hanno quattro requisiti: • la loro sede deve essere in Italia; • il legale rappresentante deve essere cittadino italiano; • deve essere costituito o approvato dall’autorità ecclesiastica; • deve avere un fine costitutivo ed essenziale di religione o di culto: In dettaglio, la materia è regolamentata dalla legge 222/85 - Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi. Una legge importante perché di derivazione concordataria e quindi a contenuto costituzionalmente vincolato, come si evince dall’art. 7, n. 6, del nuovo concordato: “All’atto della firma del presente accordo, le

parti istituiscono una commissione paritetica per la formulazione delle norme da sottoporre alla

loro approvazione per la disciplina di tutta la materia degli enti e beni ecclesiastici e per la

revisione degli impegni finanziari dello Stato italiano e degli interventi del medesimo nella gestione

patrimoniale degli enti ecclesiastici”. La legge sulle disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero cattolico, essendo una norma di derivazione concordataria, è stata promulgata dapprima con la legge 20 maggio 1985 n. 206, con la quale viene dichiarato l’intenzione di voler disciplinare la materia, e poi una seconda legge, identica, la 222/85, la quale all’articolo 75 dispone: “Le presenti

norme entrano in vigore nell'ordinamento dello Stato e in quello della Chiesa con la contestuale

pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e negli Acta Apostolicae Sedis.

L'autorità statale e l'autorità ecclesiastica competenti emanano, nei rispettivi ordinamenti, le

disposizioni per la loro attuazione. Per le disposizioni di cui al precedente comma relative al titolo

II delle presenti norme, l'autorità competente nell'ordinamento canonico è la Conferenza76

episcopale italiana”. Questa legge, quindi, per entrare in vigore ha bisogno della pubblicazione non solo sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, ma anche negli Acta Apostolicae Sedis della Città del Vaticano. Per questa ragione Finocchiaro formula l’ipotesi che se questa legge non viene

76 La Conferenza Episcopale Italiana (C.E.I.) è l’assemblea che raccoglie tutti i vescovi delle diocesi italiane ed è un organismo di governo della Chiesa italiana.

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pubblicata dalla Gazzetta Ufficiale Vaticana non può entrare in vigore, benché regolarmente pubblicata dalla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Altra stranezza è che abbiamo due leggi identiche, emesse nella stessa data, che Finocchiaro definisce leggi fotocopia. La legge 222/85, per gli enti ecclesiastici particolari, prevede dei requisiti aggiuntivi: • Le chiese sono riconosciute solo se aperte al culto pubblico e non annesse ad altro ente

ecclesiastico e sempre che siano fornite dei mezzi sufficienti per la manutenzione e l’officiatura. Ad esempio sono escluse dal riconoscimento le cappelle private.

• Le fondazioni di culto77 possono essere riconosciute se hanno mezzi sufficienti per il raggiungimento dei fini e sono rispondenti alle esigenze religiose della popolazione. Questo per evitare la costituzione di enti inutili, ad esempio un ente per il culto di San Cataldo a Bolzano, dove quel santo è sconosciuto, quindi non risponde alle esigenze religiose della popolazione locale.

La Conferenza episcopale italiana acquista la personalità giuridica civile, quale ente ecclesiastico, con l’entrata in vigore della legge 222/85. La C.E.I. ha una serie di competenze nei rapporti con l’ordinamento giuridico italiano come la destinazione dei proventi dell’8 per mille. Il primo articolo della legge 222/85 dispone: “Gli enti costituiti o approvati dall’autorità

ecclesiastica, aventi sede in Italia, i quali abbiano fine di religione o di culto, possono essere

riconosciuti come persone giuridiche agli effetti civili con decreto del Presidente della Repubblica,

udito il parere del Consiglio di Stato.” Questo articolo è stato modificato per cui il riconoscimento agli effetti civili avviene con decreto del ministro degli Interni, mentre il parere del Consiglio di Stato è facoltativo e in genere richiesto per gli enti con una grossa capacità patrimoniale. Il responsabile dell’ente ecclesiastico per ottenere il riconoscimento da parte dello Stato deve fare domanda al Prefetto, l’organo decentrato del ministero degli Interni che verifica i requisiti oggettivi e discrezionali. Il Prefetto, se sussistono i requisiti, trasmette l’istanza al ministro degli Interni che, con decreto, riconoscerà l’ente religioso o di culto. Da quel momento l’ente ecclesiastico può iscriversi nel registro delle persone giuridiche. Le autorità ecclesiastiche, competenti ad approvare un ente religioso o di culto, sono: • il vescovo, per gli enti di diritto diocesano; • la Conferenza episcopale italiana, per gli enti della Chiesa italiana; • la Santa Sede, per gli enti internazionali. Il secondo articolo della legge 222/85 dispone: “Sono considerati aventi fine di religione o di culto

gli enti che fanno parte della costituzione gerarchica della Chiesa, gli istituti religiosi e i seminari.” In sostanza è la stessa legge che definisce il fine costitutivo ed essenziale78 delle attività con fini di religione o di culto, quindi non è la dottrina, la giurisprudenza o la Chiesa a stabilire quando un’attività ha fini di culto, ma è la legge 222/85. Una distinzione importante perché questi enti, a differenza degli enti aventi personalità giuridica di diritto privato, hanno diritto a tutte le agevolazioni riservate loro dalla legislazione italiana (come l’esenzione dell’I.C.I. e dell’INVIM). Hanno fini religiosi o di culto le diocesi, gli istituti religiosi e gli enti che fanno parte della

costituzione gerarchica, cioè parrocchie e seminari. La Santa Sede ha il riconoscimento della personalità per antico possesso di stato. Ai sensi del terzo comma dell’art. 2 della legge 222/85, nel riconoscere la personalità giuridica agli enti ecclesiastici, lo Stato deve verificare che le finalità di religione o di culto siano costitutive ed essenziali, cioè l’ente non solo deve essere stato costituito per quella attività, ma questa deve essere essenziale sia al momento della domanda che successivamente.

77 La fondazione è il complesso di beni destinati ad uno scopo specifico (per lo più morale o culturale) avente personalità giuridica, organizzato e gestito da amministratori. La fondazione di culto create per promuovere il culto di un Santo o altro di questo genere. 78 Il fine costitutivo ed essenziale degli enti religiosi o di culto, ma può svolgere altre attività ulteriori (ad esempio attività di cultura, educazione, commercio, eccetera) purché non siano prevalenti.

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Gli enti ecclesiastici che hanno la personalità giuridica nell’ordinamento dello Stato, assumono la qualifica di enti ecclesiastici civilmente riconosciuti e possono iscriversi sul registro delle persone giuridiche. Per Il secondo comma dell’art. 5 della legge 222/85: “Nel registro, con le indicazioni prescritte

dagli articoli 33 e 34 del codice civile, devono risultare le norme di funzionamento e i poteri degli

organi di rappresentanza dell’ente.” Questa norma obbliga agli enti ecclesiastici ad essere conformi anche al diritto canonico ed è dettata dalla peculiarità dell’ordinamento cattolico che prevede dei gravami diversi rispetto a quelli dell’ordinamento civile, a tutela dei terzi, per evitare che contratti o accordi presi con l’ente non siano validi per il diritto canonico. Per altre persone giuridiche canoniche, per le fondazioni e in genere per gli enti ecclesiastici che

non abbiano personalità giuridica nell’ordinamento della Chiesa, il fine di religione o di culto è

accertato di volta in volta, in conformità alle disposizioni dell’articolo 16 della legge 222/85. Detto articolo dispone che agli effetti delle leggi civili si considerano comunque attività di religione o di culto quelle dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana. Sono attività diverse da quelle di religione o di culto quelle di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura e, in ogni caso, le attività commerciali o a scopo di lucro. La formulazione di questo articolo è molto simile all’art. 14 dell’intesa con le Assemblee di Dio e anch’esso definisce quali sono le attività di religione o di culto. L’art. 7, numero 3, del nuovo concordato dispone: “Agli effetti tributari gli enti ecclesiastici aventi

fine di religione o di culto, come pure le attività dirette a tali scopi, sono equiparati a quelli aventi

fine di beneficenza o di istruzione.” Cioè le attività aventi fine di beneficenza o di istruzione hanno già speciali agevolazioni fiscali e a queste sono equiparate le attività aventi fini religiosi e di culto. L’art. 21 - Beni ecclesiastici e sostentamento del clero – della legge 222/85 stabilisce: “In ogni

diocesi viene eretto, entro il 30 settembre 1986, con decreto del Vescovo diocesano, l’Istituto per il

sostentamento del clero previsto dal canone 1274 del codice di diritto canonico. Mediante accordo

tra i Vescovi interessati, possono essere costituiti Istituti a carattere interdiocesano, equiparati, ai

fini delle presenti norme, a quelli diocesani. La Conferenza episcopale italiana erige, entro lo

stesso termine, l’Istituto centrale per il sostentamento del clero, che ha il fine di integrare le risorse

degli Istituti di cui ai commi precedenti.” In questo modo, per legge, acquistano personalità giuridica due enti ecclesiastici: • l’Istituto diocesano per il sostentamento del clero, previsto dal canone 1274 del codice di diritto

canonico, che compila i bilanci in base alle necessità della diocesi e li invia all’istituto centrale. • l’Istituto centrale per il sostentamento del clero che distribuisce ai vari istituti diocesani le

risorse, sulla base delle richieste ricevute. L’Istituto centrale e gli altri Istituti per il sostentamento del clero acquistano la personalità

giuridica civile dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto del Ministro

dell’interno, che conferisce ad essi la qualifica di ente ecclesiastico civilmente riconosciuto.

Antecedentemente al sistema introdotto dalla legge 222/85, vi era un sistema beneficiale, disciplinato dal concordato del 1929, basato su i benefici (la rendita) del patrimonio mobiliare e immobiliare appartenente ad un ente ecclesiastico. Ad esempio il sostentamento del parroco e dei suoi sacerdoti, doveva essere data dalle rendite di terreni, case, eccetera. Questo sistema era remunerativo per grosse parrocchie o enti, ma molto svantaggioso per quelle piccole poste in centri molto poveri. Per questa ragione era previsto il sostentamento dello Stato, con i supplementi di congrua, per i sacerdoti con un reddito inferiore ad un determinato importo. Con il passare del tempo, questo sistema diviene inopportuno per la stessa Chiesa, in quanto gli creava una sorta di soggezione nei confronti dello Stato, perché la Chiesa aveva bisogno della congrua per far sopravvivere gli enti ecclesiastici più indigenti.

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Il nuovo codice canonico del 1983, seguendo le indicazioni del Concilio Vaticano II79, ha innovato molti canoni tra cui il sostentamento del clero previsto dal canone 1274. Con la nuova legislazione canonica, la Chiesa invitava i vari stati a superare il vecchio sistema beneficiale, per sostituirlo un nuovo sistema di sostentamento del clero più rispondente ad alcuni principi e soprattutto all’autonomia della Chiesa rispetto al potere politico. La soluzione prospettata era la creazione degli Istituti diocesani e centrali per il sostentamento del clero. Queste indicazioni vengono recepite dalla legge 222/85 e in particolare dal suo titolo II. L’art. 24 della legge dispone: “Dal 1° gennaio 1987 ogni Istituto provvede, in conformità allo

statuto, ad assicurare, nella misura periodicamente determinata dalla Conferenza episcopale

italiana, il congruo e dignitoso sostentamento del clero che svolge servizio in favore della diocesi… omissis….”. In questo modo il sostentamento non è dato a tutti i sacerdoti, ma solo chi svolge

servizio in favore della diocesi, cioè deve svolgere un incarico affidato dal vescovo diocesano, e solo se non ha altro reddito. Ad esempio, se un sacerdote insegna in una scuola, non ha diritto al sostentamento. Possiamo anche affermare che il sostentamento del clero non è una forma di reddito per il servizio svolto, in quanto i percettori di altri redditi ne sono esclusi; infatti per alcuni è definito un assegno di natura alimentare. Il sostentamento è elargito in base a dei parametri, che tengono conto dell’anzianità, ed è assegnato anche ai preti che abbandonano lo stato clericale. I sacerdoti che si ritengono non soddisfatti del sostentamento ricevuto possono adire un’apposita commissione, prevista dalla stessa legge 222/85, inoltre, recentemente, la giurisprudenza ha stabilito che vi è la possibilità di ricorrere anche al giudice ordinario. Con l’entrata in vigore della legge 222/85 i benefici si estinguono e i fondi assegnati per questa esigenza confluiscono all’istituto centrale. Questi fondi non sono sufficienti, ma vengono integrati dalla ripartizione annuale dell’8 per mille del gettito totale delle imposte italiane. Il meccanismo dell’8 per mille, con la quale la Chiesa cattolica italiana è diventata la seconda del pianeta (dopo quella statunitense), funziona in questo modo. Ogni cittadino che presenta la dichiarazione dei redditi può scegliere la destinazione dell’8 per mille del gettito IRPEF tra sette opzioni: Stato, Chiesa cattolica, Unione Chiese cristiane avventiste del 7° giorno, Assemblee di Dio, Unione delle Chiese Metodiste e Valdesi, Chiesa Evangelica Luterana, Unione Comunità Ebraiche. La ripartizione dell’intero gettito dell’8 per mille viene divisa fra le varie opzioni nella percentuale di chi ha espresso la preferenza. Però, le Assemblee di Dio si limitano a prelevare solo le quote espresse, mentre l’Unione Cristiana Evangelica Battista non partecipa alla ripartizione. Nell’ambito del decreto fiscale collegato alla legge finanziaria 2006, il Parlamento ha introdotto l’esenzione dell’ICI80 per gli immobili adibiti a scopi commerciali per la Chiesa (ulteriormente estesa alle associazioni no-profit). Secondo stime dell’ANCI, il provvedimento avrebbe comportato minori entrate per i Comuni nell’ordine di 700 milioni di Euro. Il d.l. 223 del 4 luglio 2006 ha successivamente eliminato tale esenzione. La sua formulazione “Attività di natura esclusivamente

commerciale”, tuttavia, di fatto, vanifica il provvedimento e mantiene in vigore tale privilegio: è infatti sufficiente che all’interno dell’immobile destinato ad attività commerciale, si mantenga una piccola struttura destinata ad attività religiose. L’art. 37 della legge dispone che l’Istituto per il sostentamento del clero che intende vendere (esclusi Stato, regione, provincia, comune, università degli studi) un immobile per un prezzo superiore a lire 1.500 milioni, deve darne, con atto notificato, comunicazione al Prefetto della provincia nella quale è ubicato l’immobile, dichiarando il prezzo e specificando le modalità di pagamento e le altre condizioni essenziali alle quali la vendita dovrebbe essere conclusa.

79 Indetto da Papa Giovanni XXIII il 25 gennaio 1959, fu continuato dal suo successore Paolo VI. Si svolse in nove sessioni, in quattro periodi, e terminò il 7 dicembre 1965. Il nuovo codice canonico fu introdotto il 25 gennaio 1983. 80 Imposta Comunale sugli Immobili.

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Entro sei mesi dalla ricezione della proposta, il Prefetto comunica all’Istituto, con atto notificato, se e quale ente tra Stato, regione, provincia, comune, università degli studi intendono acquistare il bene per le proprie finalità istituzionali, alle condizioni previste nella proposta di vendita e trasmette contestualmente copia autentica della deliberazione di acquisto dell’ente pubblico. In pratica è assicurata per gli enti pubblici una sorta di diritto di prelazione per evitare che una cattiva gestione degli istituti per il sostentamento del clero, possa portare ad un impoverimento del loro patrimonio. E’ quindi una forma di controllo sulla gestione, tuttavia limitata al solo patrimonio immobiliare, restando escluso da ogni controllo quello mobiliare (azioni, fondi, eccetera) che attualmente e sovente, è più cospicuo. Il diritto di prelazione esercitato dagli enti pubblici sulle vendite effettuate degli istituti per il sostentamento è atipico, nel senso che si limita a rendere nullo l’atto di compravendita, se l’ente pubblico non è stato informato della vendita, ma non subentra all’acquirente come avviene per il diritto di prelazione nel diritto civile. La nullità dell’atto, inoltre, secondo Finocchiaro, può essere aggirata lasciando inalterati gli effetti reali della vendita e cedendo formalmente il bene per usucapione. Ad esempio se un immobile viene venduto senza dare informazione al Prefetto, l’atto è nullo. Ma con tacito accordo tra le parti, l’istituto per il sostentamento può trattenere il corrispettivo e l’acquirente mantiene il possesso del bene fino alla data necessaria per usucapirlo. Infine, gli istituti per il sostentamento del clero hanno finalità ben diverse da quella di svolgere attività di culto e religione, come detta la stessa legge che li ha istituiti, ma, per una valutazione politica, possiamo affermare che questa funzione è assolta in maniera indiretta. Bisogna aggiungere che non solo la chiesa cattolica possiede enti ecclesiastici, ma altre confessioni religiose tra cui quella Ebraica, la Valdese e perfino Scientology. Ad esempio i Valdesi possedevano alcuni ospedali81 nelle valli valdesi, in particolare Torre Pellice e Pomeretto, che fino al 2004 svolgevano la loro funzione sociale legata strettamente all’attività spirituale, in quanto era obbligatoria la presenza di un pastore con più collaboratori per il conforto religioso dei malati. Una grave crisi economica portò alla chiusura di questi nosocomi, ma una massiccia raccolta di firme della popolazione locale, non solo di fede valdese, ne chiese la riapertura al Presidente della regione Piemonte, riconoscendone il valore sociale. Si intervenne con un accordo con la Tavola valdese con cui i quattro ospedali venivano acquistati dalla regione Piemonte, ma veniva conservato il diritto dei valdesi a prestare assistenza spirituale e di esporre anche il simbolo della loro fede: la croce ugonotta. Fino a quando la regione non toglierà quella croce vi sarà l’obbligo per la Tavola valdese di prestare assistenza spirituale, se la regione Piemonte esercita il diritto di toglierla cesserà anche l’obbligo dell’assistenza spirituale da parte dei Valdesi. L’accordo tra la Tavola valdese e la regione Piemonte rende inapplicabili due articoli dell’intesa con la Tavola valdese (art. 13 - diritto all’esistenza degli ospedali valdesi e art. 14 autonomia giuridica e amministrativa secondo i criteri della legge 132/68, la prima legge di riordino sulla sanità pubblica), perché dal 2004 la Chiesa valdese non ha più ospedali di proprietà. Un altro esempio di aiuti non statali a enti ecclesiastici si ha in Puglia per una discussa legge regionale a favore degli oratori82. La tutela del patrimonio artistico e religioso Fino all’entrata in vigore della Costituzione, vigeva una legge del 1929 per il riordino del patrimonio culturale. Secondo l’ideologia fascista l’arte doveva rispondere ad un principio di visibilità e trasmissione dei valori dello Stato fascista.

81 Fino al 1300 non esistevano gli ospedali e i malati venivano curati a nelle proprie abitazioni. Le prime malattie che si è pensato di curare fuori dalle case, sono state quelle epidemiologiche gravi: ad esempio la lebbra trattata nei lazzaretti che erano solo dei luoghi dove ci si appartava. Gli Ospedali Valdesi furono istituiti con regio decreto del 1858 da Carlo Alberto che istituì anche l’ospedale Valdese degli incurabili sito a San Giovanni. 82 Si trovano presso molte chiese parrocchiali ed un edificio e ambiente riservato ai giovani per attività ricreative, ludiche, pastorali, eccetera.

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I costituenti invece hanno sentito la necessità di una riscoperta del patrimonio storico e artistico come bene di tutti e da tutti prodotto. Per questo, l’art. art. 9, secondo comma, della Costituzione dispone che la Repubblica: “Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.” La tutela citata dalla Costituzione riguarda l’intera nazione, con la quale intendiamo il complesso degli individui legati da una stessa lingua, storia, civiltà, interessi, consapevoli del comune patrimonio, di cui fa parte la Chiesa. Per questa ragione, le norme del nuovo concordato del 1984 regolamentano anche la tutela del patrimonio artistico e religioso, in quanto sono parte integrante del patrimonio della nazione. In particolare il punto 1 dell’art. 12 del nuovo concordato dispone: “La Santa Sede e la Repubblica

italiana, nel rispettivo ordine, collaborano per la tutela del patrimonio storico ed artistico.” Con questa norma si riafferma il principio di collaborazione tra Santa Sede e la Repubblica italiana espresso nell’art. 1 del nuovo accordo, sempre nel rispettivo ordine, a tutela dell’interesse collettivo. In questa ottica, quando la Chiesa attinge a fondi pubblici per la ristrutturazione di edifici per il culto, deve essere visto come un atto a tutela del patrimonio storico ed artistico della nazione e nell’interesse collettivo. Il punto 1 dell’art. 12 del nuovo concordato dispone ancora: “Al fine di armonizzare l’applicazione

della legge italiana con le esigenze di carattere religioso, gli organi competenti delle due parti

concorderanno opportune disposizioni per la salvaguardia, la valorizzazione e il godimento dei

beni culturali d’interesse religioso appartenenti ad enti e istituzioni ecclesiastiche.” In sintesi il nuovo accordo del 1984 dispone di concordare, tra lo Stato e la Chiesa cattolica, opportune disposizioni per la salvaguardia, la valorizzazione e il godimento dei beni culturali

d’interesse religioso appartenenti ad enti e istituzioni ecclesiastiche, sempre a tutela il paesaggio e

il patrimonio storico e artistico della Nazione in aderenza, anche, a quanto dispone l’art. 9 della Costituzione. Il terzo comma del punto 1 dell’art. 12 del nuovo concordato dispone : “La conservazione e la

consultazione degli archivi d’interesse storico e delle biblioteche dei medesimi enti e istituzioni

saranno favorite e agevolate sulla base di intese tra i competenti organi delle due parti.” Per dare attuazione concreata a questo articolo sono state stipulate due intese concordatarie: nel 1996 e nel 2005. Nel settembre 1996, è stata sottoscritta la prima intesa concordataria, che fu stipulata tra il Ministro dei Beni Culturali e il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, per armonizzare le scelte di carattere religioso con la legge italiana con il fine della salvaguardia, della valorizzazione e del godimento dei beni culturali appartenenti ad enti e istituzioni ecclesiastiche, come prevede l’art. 12 del nuovo concordato. Bisogna precisare che appartenenti ad enti e istituzioni ecclesiastiche non significa solo di proprietà di questi, ma anche semplicemente posseduti a qualsiasi titolo e in questo ancora meglio si comprende la ratio della tutela del patrimonio storico ed artistico dettato dall’art. 9 della Costituzione. Con l’intesa del 1996, furono stabiliti i soggetti competenti e i loro compiti per la stipulazione di intese a livello centrale: • per lo Stato, il Ministro dei Beni Culturali e Ambientali e i direttori generali degli uffici centrali

del ministero delegati dal Ministro; • per la Santa Sede, il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana e i suoi delegati. Competenti al livello locale erano: • per lo Stato, i soprintendenti, • per la Santa Sede, i vescovi diocesani e loro delegati. Ad esempio nelle parrocchie il

responsabile è il parroco, ma per la stipula di intese con le autorità locali è responsabile il vescovo diocesano.

Per gli archivi e le biblioteche appartenenti agli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti i soggetti deputati alla collaborazione con la Stato sono quelli indicati dalla Santa Sede, secondo norme successivamente emanate.

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Questa intesa istituisce anche un osservatorio centrale per i beni culturali di interesse religioso di proprietà ecclesiastica, convocato due volte l’anno composto da rappresentanti dei beni culturali e della Conferenza Episcopale Italiana, con il compito di monitorare e censire i beni culturali di interesse religioso. Nel marzo 2005, è sottoscritta la seconda intesa concordataria, stilata in relazione ha due provvedimenti normativi appena varati: • Il D.L. 42/2004 - Codice dei beni culturali e del paesaggio - stipulato tra il Capo del

Dipartimento per i beni culturali e del paesaggio per il ministero dei Beni Culturali e il Direttore dell’ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici per la Conferenza Episcopale Italiana, due figure di alto profilo professionale indicate nella precedente intesa del 1996.

• In virtù dell’osservatorio istituito con l’intesa del 1996, il Governo ha varato un D.M. del 25 gennaio 2005 per i criteri e le modalità per la verifica dei beni immobili appartenenti a persone giuridiche private senza fini di lucro.

Il decreto del 25 gennaio 2005, all’art. 1, dispone che sono oggetto della verifica, le opere di autori non più viventi, e che risalgono a 50 anni addietro. Al fine di consentire la verifica delle opere, le persone giuridiche private senza fini di lucro identificano gli immobili, ne descrivono la consistenza, compilano gli elenchi e le schede descrittive secondo i criteri e le modalità stabiliti nel decreto stesso. Le schede descrittive formano la banca dei beni culturali d’interesse religioso e l’interesse non è definito dal ministero, ma è proposto dall’ente responsabile che lo detiene. Con l’intesa del 2005, per rendere concreta la collaborazione tra Stato e Chiesa, le parti hanno stabilito che il ministero avrebbe dato una password di accesso, ad ogni curia diocesana ed alla CEI, per la lettura dei dati inseriti nella costituenda banca dati formata dalle schede descrittive compilate dalle persone giuridiche private senza fini di lucro. Al livello locale vi sono stati vari contatti tra regione, Presidente e assessori, e i vari vescovi della conferenza episcopale regionale per stabilire le linee guida di futuri accordi regionali. Ad esempio, a Napoli, vi è stata un’intesa programmatica, tra la regione Campania e la conferenza episcopale campana, del maggio 2002, avente per oggetto la tutela e la valorizzazione dei beni culturali appartenenti ad enti o istituzioni ecclesiastiche. Infine vi è stata una rilevante produzione normativa delle regioni, basate su accordi con le varie conferenze episcopali regionali. Il punto 2 dell’art. 12 del nuovo concordato dispone : “La Santa Sede conserva la disponibilità delle

catacombe cristiane esistenti nel suolo di Roma e nelle altre parti del territorio italiano con l’onere

conseguente della custodia, della manutenzione e della conservazione, rinunciando alla

disponibilità delle altre catacombe” che sono ebraiche. Il nuovo accordo pone rimedio alla violazione dei diritti della religione ebraica, subiti con il concordato del 1929 che aveva assegnato tutte le catacombe alla Chiesa cattolica. Il punto 2 dell’art. 12 termina disponendo: “Con l’osservanza delle leggi dello Stato e fatti salvi gli

eventuali diritti di terzi, la Santa Sede può procedere agli scavi occorrenti ed al trasferimento delle

sacre reliquie.”