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1 DIPARTIMENTO DI PATOLOGIA CHIRURGICA, MEDICA, MOLECOLARE E DELL’AREA CRITICA CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN PSICOLOGIA CLINICA E DELLA SALUTE TESI DI LAUREA EMOZIONE E REGOLAZIONE EMOTIVA: STUDIO ESPLORATIVO DEI CORRELATI VOCALI DELL’EMOZIONE CANDIDATO RELATORE Silvia Tabani Dott. Claudio Gentili CONTRORELATORE Dott. Angelo Gemignani Anno Accademico 2014/2015

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DIPARTIMENTO DI PATOLOGIA CHIRURGICA,

MEDICA, MOLECOLARE E DELL’AREA CRITICA

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN

PSICOLOGIA CLINICA E DELLA SALUTE

TESI DI LAUREA

EMOZIONE E REGOLAZIONE EMOTIVA: STUDIO

ESPLORATIVO DEI CORRELATI VOCALI DELL’EMOZIONE

CANDIDATO RELATORE

Silvia Tabani Dott. Claudio Gentili

CONTRORELATORE

Dott. Angelo Gemignani

Anno Accademico 2014/2015

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INDICE

Abstract 4

Introduzione 5

Capitolo 1 Emozioni e Regolazione emotiva: caratteristiche e basi neurali 6

1.1 Emozione 6

1.2 La regolazione emotiva 6

1.3 Un modello processuale di regolazione emotiva 7

1.4 Le basi neurali della regolazione emotiva 9

1.5 Regolazione emotiva esplicita e implicita 18

1.6 Le strategie cognitive di regolazione emotiva 24

1.7 Direzioni future 30

Capitolo 2: Regolazione emotiva e Psicopatologia 32

2.1 Paura delle Emozioni 33

2.2 Disturbo d’ansia generalizzato 34

2.3 La ruminazione depressiva 36

2.4 Disturbo Borderline di personalità 38

2.5 Schizofrenia 40

2.6 Regolazione emotiva e aggressività 42

2.7 L’alessitimia 44

2.8 La gestione delle emozioni negative e i possibili trattamenti 45

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Capitolo 3: Correlati periferici delle emozioni e Differenze di genere 47

3.1 Correlati periferici delle emozioni 47

3.2 Emozione e differenze di genere 57

Capitolo 4: Correlati Vocali delle Emozioni 63

Capitolo 5 : Studio Esplorativo dei Correlati vocali dell’ Emozione 71

5.1 Il campione e gli strumenti 71

5.2 Il paradigma sperimentale 74

5.3 L’obiettivo dello studio esplorativo 76

5.4 L’analisi vocale 76

5.5 L’analisi dei dati 77

5.6 Discussione dei risultati 81

5.7 Conclusioni 82

Bibliografia 83

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ABSTRACT

Il mio elaborato di tesi si è concentrato sullo studio delle emozioni e della regolazione

emotiva, intesa come “la capacità individuale di regolare le proprie emozioni, sia positive che

negative, attenuandole, intensificandole o mantenendole” (Gross, 1998). E’ di fondamentale

importanza comprendere i processi attraverso i quali noi influenziamo le emozioni che

proviamo, quando le proviamo, il modo in cui ne facciamo esperienza e come le esprimiamo.

La mia rassegna della letteratura si è quindi concentrata sul significato di emozione e di

regolazione emotiva, sull’analisi delle varie strategie cognitive e non, più o meno adattive,

che l’uomo mette in atto per regolare principalmente le emozioni negative. Ho concentrato

la mia analisi anche sulla psicopatologia della regolazione emotiva, sulla descrizione delle

componenti neuroanatomiche, sui correlati periferici e vocali che prendono parte alla

regolazione emotiva e sulle differenze di genere che ci mostrano il differente grado di

espressione delle emozioni tra uomini e donne. Infine, nell’ultimo capitolo ho descritto lo

studio esplorativo da me condotto e facente parte di un progetto di ricerca più ampio,

effettuato in collaborazione con il Dipartimento di Ingegneria dell’ Informazione dell’

Università di Pisa. E’ stata operata un’analisi vocale su 23 soggetti, di età compresa tra i 21 e

i 28 anni, ai quali veniva richiesto di svolgere compiti diversi di natura più o meno

stressogena. I parametri vocali estratti grazie a specifici algoritmi sono stati messi in

relazione con vari correlati psicologici valutati in precedenza, tra questi abbiamo:

l’alessitimia, la regolazione emotiva, la personalità, l’ansia sociale. L’obiettivo del nostro

studio consiste nel valutare se i parametri dell’analisi vocalica correlano con gli aspetti

personologici che abbiamo preso in considerazione. Per motivi di spazio, tempo e

contestuali, ho tenuto in considerazione nell’analisi dei dati solo gli aspetti di alessitimia e

regolazione emotiva. I risultati per l’alessitimia si sono dimostrati significativi, mentre non lo

sono per la regolazione emotiva, almeno per la sottoscala di accettazione che abbiamo

considerato. I risultati aprono importanti riflessioni e spunti per le ricerche future.

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INTRODUZIONE

Dopo anni di studi universitari nel presente lavoro di tesi la mia attenzione è stata catturata

dalla capacità tipicamente umana di gestire i travagli e regolare le emozioni che l’uomo

sperimenta durante il suo percorso di vita. Questa enorme risorsa di adattamento era già

stata osservata da Marco Aurelio più di duemila anni fa; egli rifletteva sulla capacità

tipicamente umana di regolare le emozioni derivate da conflitti, fallimenti e perdite. E’

importante però sottolineare come questi sforzi di regolamentazione determinano l’impatto

che tali difficoltà avranno sul nostro benessere mentale e fisico (Gross, J.J., 1998; Gross, J.J.

e Munoz, R.F., 1995; Davidson, R.J., 2000). Proprio per la grande importanza che la

regolazione emotiva riveste nell’adattamento umano, la ricerca sulla regolazione delle

emozioni ha una lunga storia. Lo studio del controllo cognitivo delle emozioni ha tre

principali antecedenti storici nel mondo della psicologia (Gross, J.J., 1998). Il primo

antecedente è lo studio psicodinamico sulle difese, avviato da Freud un secolo fa. La linea

psicodinamica ha esaminato la regolamentazione dell’ansia e di altre emozioni negative con

descrizioni cliniche e studi sulla differenza individuale nelle difese percettive contro

l’elaborazione di stimoli negativi (Erdelyi, M.H., 1974; Paulhus, D.L. et al. 1997). Il secondo

antecedente è rappresentato dagli studi sullo stress e sul coping che sono emersi da un’

ottica psicodinamica negli anni ’60 del Novecento. Questa linea di lavoro si è concentrata su

situazioni che si impongono sull’individuo o superano le sue risorse soggettive (Lazarus, R.S.

e Folkman, S., 1984). Il terzo antecedente è rappresentato dallo sviluppo degli studi sull’

autoregolazione, che pone le sue radici nello studio dello sviluppo socio-emotivo; questi

sforzi teorici gettarono le basi per i lavori empirici contemporanei sulla regolazione delle

emozioni nei bambini (Thompson, 1991) e negli adulti (Gross, 1998). Negli ultimi anni la

ricerca della regolazione emotiva è entrata in una nuova fase grazie agli studi di imaging

funzionale; questi strumenti ci consentono di studiare il potere della regolazione emotiva di

processi di controllo cognitivo superiori. Il presente elaborato di tesi sarà suddiviso in vari

capitoli, nel primo verrà descritto il costrutto di regolazione emotiva e le sue forme, le

strategie cognitive usate nella regolazione emotiva e le sue basi neurali; nel secondo mi

concentrerò sulla psicopatologia della regolazione emotiva. Nei capitoli successivi descriverò

i correlati periferici delle emozioni, le differenze di genere e i correlati vocali. Nell’ultimo

capitolo illustrerò il mio studio esplorativo, definendone gli strumenti utilizzati, la

conduzione dell’esperimento, gli obiettivi e i risultati ottenuti.

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CAPITOLO 1. EMOZIONE E REGOLAZIONE EMOTIVA:

CARATTERISTICHE E BASI NEURALI

1.1 L’ Emozione

Una parte essenziale nella comprensione dei meccanismi di regolazione emotiva è

caratterizzata dai processi che generano l’emozione. Ma che cos’è l’emozione? I modelli

attuali ipotizzano che le emozioni siano risposte a stimoli esterni e/o a rappresentazioni

mentali interne che comportano cambiamenti fisiologici e psicologici, attraverso risposte

multiple in tutto il sistema (ad es cambiamenti esperienziali, comportamentali, fisiologici). La

prospettiva neuroscientifica afferma che le emozioni sono un insieme di cambiamenti nello

stato corporeo indotti dal cervello, in risposta ai contenuti dei pensieri relativi ad una

specifica entità, o ad un particolare evento, nell’ambiente dell’individuo. Le emozioni

devono essere distinte dai sentimenti, i quali corrispondono all’esperienza da parte

dell’individuo di tali cambiamenti interni, quindi all’esperienza privata che ogni individuo ha

nel momento in cui sperimenta un’emozione. Le emozioni sono delle riposte pubblicamente

osservabili, di breve durata e transitorie, mentre i sentimenti tendono a mantenersi attivi più

a lungo (Cacioppo, 2000). Le emozioni sorgono quando c’è qualcosa di importante in gioco, a

volte vengono attuate quasi automaticamente, ad esempio quando indietreggiamo

paurosamente alla vista di un serpente (Le Doux, 1995), altre volte le emozioni sorgono dopo

notevoli analisi di significato, come quando sentiamo il commento di un amico che ci

sminuisce (Frijda, 1986). In entrambi i casi le emozioni suscitano un insieme coordinato di

risposte comportamentali, esperienziali, che influenzano il modo in cui rispondiamo a sfide e

opportunità. Tuttavia le risposte emotive possono anche trarci in inganno, in particolare

quando contemporaneamente ambienti fisici e sociali differiscono notevolmente da quei

contesti che hanno modellato le nostre emozioni nel corso dei millenni (Gross, 1999).

Quando le nostre risposte emotive sembrano essere mal abbinate a una determinata

situazione, noi cerchiamo spesso di regolarle, per meglio raggiungere i nostri obiettivi.

1.2 La regolazione emotiva

Il concetto di regolazione emotiva si riferisce ai processi attraverso i quali noi influenziamo le

emozioni che proviamo, quando le proviamo, il modo in cui ne facciamo esperienza e come

le esprimiamo. La regolazione emotiva può essere definita come la capacità individuale di

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regolare le proprie emozioni, sia positive che negative, attenuandole, intensificandole o

mantenendole (Gross, 1998). La regolazione emotiva comporta dei cambiamenti nelle

“dinamiche emotive” (Thompson, 1990), cambiamenti che si verificano grazie a processi

cognitivi e comportamentali che influenzano l’intensità, la durata e l’espressione delle

emozioni. Nessun tipo di regolazione emotiva è adattivo di per sé, ma la sua funzionalità è

legata al contesto specifico, agli obiettivi che il soggetto vuol raggiungere e alla sua capacità

di inibire le risposte comportamentali ed emotive non adeguate al contesto. Per questi

motivi la capacità di adottare efficaci strategie di regolazione emotiva è un aspetto

fondamentale per l’adattamento dell’individuo, per il suo benessere soggettivo e per le sue

capacità di funzionamento sociale. Di fronte alle considerazioni fatte fino ad ora possiamo

definire la regolazione emotiva un costrutto multidimensionale e riprendendo uno studio di

Gratz e Roemer (2004) possiamo indicarne le seguenti caratteristiche:

1) Consapevolezza, comprensione e accettazione delle emozioni

2) Abilità nell’attuare comportamenti diretti verso l’obiettivo, in risposta ad emozioni

sia positive che negative

3) Uso flessibile di strategie adeguate al contesto per modulare intensità e durata della

risposta emotiva, anziché sopprimere completamente l’emozione

4) Disponibilità a sperimentare emozioni negative

1.3 Un modello processuale di regolazione emotiva

Un problema particolarmente fastidioso nello studio della regolazione delle emozioni è

trovare un modo di organizzare il numero potenzialmente illimitato di strategie di

regolazione emotiva. Descriverò qui un modello processuale di regolazione emotiva

elaborato da Gross (1998; 2001) che ha la proprietà di mostrare come specifiche strategie

possano essere differenziate lungo la linea temporale dello svolgimento della risposta

emotiva. L’affermazione fondamentale di questo modello è che le strategie di regolazione

emotiva differiscono quando hanno un impatto primario sul processo di generazione

emotiva, come mostrato nella Figura 1.

Ad un livello più ampio possiamo operare una distinzione tra strategie di regolazione

emotiva incentrate sull’antecedente e strategie incentrate sulla risposta. Le strategie

centrate sull’antecedente fanno riferimento a tutte quelle cose che facciamo prima che la

risposta emotiva venga pienamente attivata ed abbia cambiato il nostro comportamento e le

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nostre risposte fisiologiche (ad es vedere un colloquio di lavoro come un modo per

conoscere meglio l’azienda e non un passare/fallire nella prova) . Le strategie incentrate

sulla risposta si riferiscono alle cose che facciamo una volta che un’emozione è già in corso

dopo che le risposte sono state generate (ad es mantenere la propria ansia dopo aver

lasciato il figlio all’asilo per la prima volta).

Cinque famiglie specifiche di strategie di regolazione emotiva sono utilizzate in questo

modello. La prima di queste strategie è la selezione della situazione (indicata in Figura 1 con

la selezione della situazione S1 piuttosto che la situazione S2). La selezione della situazione si

riferisce ad avvicinare o evitare persone, luoghi o cose in modo da regolare le emozioni; ad

esempio si può scegliere se andare a cena con un amico che ci fa ridere prima di un esame

importante (S1), o affrontare l’ultima sessione di studio con altri studenti nervosi (S2). Con la

selezione della situazione si possono ottenere benefici emotivi a breve o a lungo termine. Ad

esempio gli sforzi di una persona timida a diminuire l’ansia, evitando situazioni sociali può

fornire sollievo a breve termine e costare l’isolamento sociale a lungo termine (Leary, 1986).

Una volta selezionata la situazione essa può essere adattata in modo da modificare l’impatto

emotivo nel soggetto, creando sia S1x, S1y, S1z. Ciò costituisce una modifica della situazione,

oppure come è stato definito da Lazarus e Folkman (1984), coping centrato sul problema, o

ancora diversamente, controllo primario, secondo la definizione di Rothbaum, Weisz, e

Snyder (1982). Ad esempio, un amico al telefono la sera prima di un esame importante, ci

chiede se siamo pronti, è possibile mettere subito in chiaro che preferiamo parlare d’altro;

anche in questo caso possiamo mettere in atto degli sforzi per cambiare la situazione. Come

terzo punto troviamo situazioni che hanno diversi aspetti: a1, a2, a3, a4, a5; la distribuzione

attenzionale viene usata per selezionare uno fra i vari aspetti della situazione, ovvero quello

su cui è più opportuno concentrarsi. Un esempio può essere quello di distrarsi da una

conversazione che ha preso una piega sconvolgente (Nix, Watson, Pyszczynski, & Greenberg,

1995). Una volta che ci si è focalizzati su un particolare aspetto della situazione, entra in

gioco il cambiamento cognitivo, il quale consiste nel selezionare uno fra i tanti possibili

significati. Ad esempio una persona si trova a dover affrontare un test e può attribuirgli

significati molto diversi fra loro; m1: il test come misura del proprio valore in quanto essere

umano; m2: “E’ solo un test! ”. Il cambiamento cognitivo è spesso usato per diminuire la

risposta emotiva. Tuttavia esso può anche essere usato per ingrandire la risposta emotiva o

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per cambiare l’emozione stessa. Il significato personale che viene assegnato alla situazione è

fondamentale poiché influenza fortemente quali risposte esperienziali, comportamentali e

fisiologiche saranno generate in quella particolare situazione. Infine la modulazione della

risposta si riferisce ai tentativi di influenzare la risposta emotiva una volta che questa è stata

elicitata. Un esempio di modulazione della risposta consiste nel nascondere il proprio

imbarazzo dopo aver bocciato un esame. La modulazione della risposta non riguarda solo

componenti emotive, ma anche esperienziali e fisiologiche.

Figura 1: Modello processuale di regolazione emotiva di Gross. Secondo questo modello

l’emozione può essere regolata in cinque punti: 1) Selezione della Situazione; 2) Modifica della Situazione; 3)

Distribuzione Attenzionale; 4) Cambiamento Cognitivo; 5) Modulazione della risposta: esperienze,

comportamento o risposte fisiologiche. I primi quattro punti sono centrati sull’antecedente, il quinto è

incentrato sulla risposta. Il numero di opzioni di risposta di ciascuno dei cinque punti è arbitrario. Adattata da

Gross (2002).

1.4 Le basi neurali della regolazione emotiva

Negli ultimi anni, il numero di studi di neuroimmagine sulle emozioni è aumentato

grandemente, ciò ci fornisce molte informazioni sulla modalità con cui il cervello umano crea

l’emozione. L’approccio generale di questi studi è quello di indurre uno stato affettivo nel

soggetto e di rilevare l’aumento del segnale nel cervello e in quali specifiche aree avvenga.

Un importante limite degli studi singoli e di meta analisi è che la mappatura psicologica del

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cervello che viene indagata, è affidabile solo in base alle categorie che sono state indagate

(ad esempio la rabbia). Pertanto tutte le mappe cerebrali e i gruppi funzionali sono stati

interpretati in base a questi costrutti, di conseguenza dipende da loro la consistenza e la

specificità della mappatura psicologica cerebrale. E’ tuttavia importante sottolineare che non

vi è alcuna garanzia che quelle che intuitivamente sembrano essere le categorie di base

dell’emozione a livello psicologico, lo siano veramente. I ricercatori hanno ampiamente

cercato delle “firme” univoche che descrivessero la rabbia, la paura, la tristezza e così via, in

modelli di risposte fisiologiche periferiche ( frequenza cardiaca, pressione sanguigna,

conduttanza cutanea, espressione facciale, etc.) ; ma hanno in gran parte fallito nel trovare

correlati coerenti di caratteristiche fisiologiche che discriminano queste categorie ( Barret,

2006). Uno studio di Cacioppo e coll. (2000) ha invece dimostrato come siano più facili da

discriminare fisiologicamente emozioni positive e negative; tuttavia non è ancora chiaro se

questi confini siano rispettati dal cervello, nel senso che è improbabile che vi siano circuiti

cerebrali e sistemi neurotrasmettitoriali dedicati solo selettivamente a emozioni positive o

negative. Allo scopo di spiegare e cercare di chiarire la complessa questione e i dubbi che

ruotano attorno agli studi di neuroimmagine e psicofisiologici relativi alla regolazione

emotiva, ho preso in considerazione la recentissima review di Frank D.W. e coll. ( 2014),

nella quale i ricercatori si sono avvalsi del metodo di stima della probabilità d’attivazione

(ALE) e di una raccolta di studi che utilizzano la risonanza magnetica funzionale, allo scopo

di:

1) Descrivere una rete coerente di strutture attive durante la regolazione emotiva

2) Identificare le regioni inattivate nel processo di regolazione volontaria

3) Studiare la consistenza delle strutture attivate associate a downregulation e

upregulation

Allo scopo di descrivere la modulazione di risposte a stimoli emotivamente evocativi, sono

state coinvolte le interazioni tra: corteccia prefrontale laterale (LPFC), corteccia

orbitofrontale (OFC), corteccia cingolata anteriore (ACC) e amigdala ( Banks et al., 2007; Kim

e Haman, 2007; Ochsner et al, 2002, 2004). LPFC e ACC hanno anche altre funzioni; esse

sono fondamentali nello svolgimento di compiti di controllo cognitivo, come il monitoraggio

dei conflitti ( Van Veen e Carter, 2002) , la working memory (Rypma et al., 1999) e la guida

dell’attenzione (Banich et al., 2000); mentre l’amigdala è fortemente coinvolta nel processo

emotivo (Garavan et al., 2001; Lane et al., 1999). Quindi l’associazione di queste strutture

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cerebrali identificate con compiti di regolazione emotiva è coerente con i ruoli che queste

strutture svolgono nel comportamento umano. L’obiettivo iniziale del lavoro di Frank D.W. e

colleghi (2014) è quello di individuare un insieme costante di regioni cerebrali attivate,

utilizzando indagini di meta analisi quantitativa sulla regolazione emotiva, che fanno uso

della risonanza magnetica funzionale (fMRI); approfittando della potenza statistica avanzata

da questi studi per rivelare una rete consistente e affidabile di attivazione (Eickhoff et al.,

2012). Il secondo obiettivo dello studio si basa sul fatto che le strutture di regolazione

intenzionale possono muoversi verso un’attivazione o un’ inibizione, le quali sono entrambe

ben rilevabili tramite fMRI. Indagini sui meccanismi di regolazione emotiva cerebrali

includono spesso delle condizioni in cui i partecipanti sono istruiti a modulare il loro stato

affettivo in una sola direzione (attivazione/deattivazione). Poiché solo pochi paradigmi

hanno identificato regioni cerebrali distinte per incremento/diminuzione dell’attivazione nei

compiti, questo ha suggerito la presenza di una rete di regolazione direzione-dipendente

(Kim and Hamann, 2007; Urry et al., 2006). Queste affermazioni vanno a sfidare la possibilità

dell’esistenza di una rete di regolazione emotiva specifica con strutture di controllo diverse

per livelli di attività differenti; andando a presupporre invece la presenza di un’unica rete di

controllo che adempia a esigenze sia di downregulation che di upregulation. Il presente

lavoro va quindi a confrontare i risultati di studi diversi allo scopo di rilevare o meno la

presenza di meccanismi specifici di direzione coinvolti nella regolazione emotiva. Per

rispondere ai vari obiettivi e alle domande che Frank e i suoi collaboratori si sono posti,

hanno utilizzato un metodo di stima della probabilità di attivazione (ALE) e il metodo di

risonanza magnetica funzionale ( fMRI), prendendo in considerazioni i risultati di studi sulla

regolazione emotiva che si sono svolti in un periodo maggiore a 10 anni.

Sono stati presi in considerazione 47 studi che riguardano la condizione di downregulation

(n= 1033) e 44 studi che riportano le regioni del cervello che mostrano una maggiore

attivazione (n=963), 17 studi che riportano una diminuzione dell’attivazione durante la

regolazione (n=348); 12 studi hanno contribuito alla condizione di upregulation (n=254). La

distribuzione è stata influenzata dal genere femminile, le donne costituiscono il 65 % dei

partecipanti negli studi di downregulation e il 67 % dei partecipanti negli studi di

upregulation.

Downregulation: Nella Figura 2 I cluster blu rappresentano le attività associate a una

diminuzione della regolazione emotiva, a confronto con le condizioni di controllo; i cluster

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rossi rappresentano invece un miglioramento delle condizioni di attivazione durante la

regolazione. Le aree che mostrano diminuita attivazione durante la regolazione (rispetto al

gruppo di controllo), sono il gruppo di aree attorno all’amigdala, che comprendono il giro

paraippocampale (PHG) e il lobo parietale inferiore di sinistra (IPL); queste possono riflettere

una particolare sensibilità per lo stato emotivo soggettivo durante la regolazione emotiva.

Mentre, una maggiore attivazione del giro frontale inferiore (IFG), del giro frontale mediale

(MFG), del giro frontale superiore (SFG) e della corteccia cingolata anteriore sinistra (ACC),

può riflettere gli aspetti cognitivi del compito di regolazione (McRae et al., 2010). E’ stato

ipotizzato che l’amigdala possa modulare i circuiti cerebrali che sostengono la cognizione e il

comportamento in relazione a stimoli emotivi indipendentemente dalla consapevolezza

(Phelps, 2006). In linea con i risultati attuali il lavoro di Phelps (2006) ha riscontrato una

diminuzione dell’attività dell’amigdala durante la regolazione emotiva (Ochsner et al., 2002;

Phelps, 2006). Ad esempio, l’attività dell’amigdala si riduce quando ai partecipanti viene

richiesto di guardare un’ immagine negativa (donna che piange) e sono incaricati di

descrivere e reinterpretare la scena sotto una luce più positiva al fine di ridurre il loro attuale

stato emotivo soggettivo (Ochsner et al., 2002). E’ stato inoltre dimostrato che l’attività

dell’amigdala diminuisce quando le strategie di downregulation sono impiegate in risposta

alla paura condizionata e quando i partecipanti vedono espressioni facciali non temibili, al

contrario la sua attività aumenta di fronte a espressioni di paura (Phelps,2006). L’attivazione

diminuita riscontrata nel presente lavoro di Frank D.W. e colleghi è in linea con la letteratura

precedente che illustra la covariazione tra l’attività dell’amigdala e l’intensità dell’esperienza

emotiva (Sabatinelli et al., 2005, 2007). Come rilevato da vari studi il giro paraippocampale

svolge un ruolo chiave nella memoria episodica, ricevendo input dalla corteccia frontale,

dall’amigdala e dall’ippocampo (Köhler et al., 1998; McDonald et al., 2000; Murty et al.,

2010;Owen et al., 1996). Il PHG, che comprende la corteccia perinale e entorinale, può

essere essenziale per il mantenimento e il recupero del rapporto tra stimoli e posizione

spaziale (Owen et al., 1996). La diminuzione dell’ attività di quest’area suggerisce che i

processi di downregulation possono prevenire il continuo mantenimento degli stimoli

emotivi nella working memory. Meccanismi di downregulation hanno anche portato ad un

aumento di attivazione nel giro frontale mediale (MFG) e nel giro frontale superiore (SFG). Il

MFG va ad influenzare l’amigdala attraverso la corteccia orbitofrontale (Davidson et al.,

2000; Eippert et al.,2007; Ochsner et al., 2004), mentre l’attivazione del SFG riduce l’attività

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dell’amigdala indirettamente, attivando regioni dell’MFG durante la regolazione affettiva

(Blair et al., 2007).

Figura 2: Cluster blu: risultati di downregulation della diminuita attività dell’amigdala e del lobo parietale

inferiore di sinistra (IPL). Cluster rosso: maggiore attività nelle regioni frontali e nel lobo temporale mediale

(MTL). I cluster sono stati ottenuti tramite analisi ALE di 47 studi. (A) amigdala e PHG; (B) IFG e MTL; (C) IPL; (D)

ACC; (E) SFG; (F) MFG e SFG. Adattata da Frank et al. (2014).

Questa attivazione di MFG riflette quindi un coinvolgimento nel processo di controllo

cognitivo durante la downregulation, influenzando varie regioni tra cui l’amigdala e la sua

capacità di modulare gli stimoli affettivi (Ochsner et al., 2004). I vari studi analizzati in questa

metanalisi confermano una maggiore attività di queste regioni in combinazione con una

diminuzione dell’attività dell’amigdala. IFG può essere considerato come un “freno

grossolano” che può servire come meccanismo inibitorio in ambiti cognitivi, motori e

affettivi (Berkman et al., 2009), a tal proposito è stato osservato IFG durante la repressione

volontaria di risposte affettive (Beauregard et al., 2001). Il settore opercolare del IFG è

un’area coinvolta nell’imitazione ed è considerata parte del sistema dei neuroni specchio, è

esso che ci suggerisce di sopprimere le risposte automatiche (Lee et al., 2008). Nel contesto

della presente analisi è possibile che l’attività del settore opercolare possa riflettere

l’inibizione di risposte motorie associate a reattività emotiva. La corteccia cingolata

anteriore (AAC) è implicata in un vasto numero di funzioni tra cui: il riconoscimento degli

errori (Allman et al., 2001), l’elaborazione dei conflitti (Botvinick, 2007; van Veen and Carter,

2002), l’attenzione (Devinsky et al., 1995), il dolore (Zhang et al., 2005), l’autoregolazione

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(Posner et al., 2007), ed è coinvolta nel riconoscimento e nell’espressione delle emozioni

(Devinsky et al., 1995). Questa regione mostra maggiore attività durante compiti di

regolazione affettiva, in particolare nella downregulation di stimoli negativi (Mak et al.,

2009; Phan et al., 2005). L’ attività del lobo parietale inferiore (IPL) è stata valutata in diversi

tipi di compiti, tra cui l’elaborazione di informazioni correlate a tratti di personalità (Kircher

et al., 2000), l’attenzione (Culham and Kanwisher,2001) e i processi di working memory

(Rama et al., 2001). La diminuita attività del IPL sinistro è stata identificata durante la

downregulation, ciò potrebbe essere spiegato da una riduzione di uno o tutti i processi sopra

descritti. Cio accade, per esempio quando una persona tenta di ignorare il contenuto di uno

stimolo emozionale nel tentativo di diminuire la risposta emotiva. Nello studio di Canli e

colleghi (2004) i pazienti depressi hanno mostrato una consistente attivazione del lobo

parietale inferiore sinistro, rispetto ai controlli, in risposta a parole tristi, gli autori hanno

attribuito a questa evidenza il tentativo da parte dei pazienti depressi di diminuire la loro

sensibilità. I risultati ottenuti per la downregulation emotiva rappresentano la gran

maggioranza degli studi in cui i partecipanti sono stati incaricati di sopprimere o rivalutare

una risposta emotiva.

Upregulation: la metanalisi di Frank e colleghi (2014) analizza un numero di studi di

upregulation che sono significativamente minori rispetto a quelli di downregulation (12 VS

44). La Figura 3 descrive le aree che sono risultate attivate durante la upregulation.

L’amigdala è un area associata all’elaborazione di stimoli emotivamente eccitanti; un

recente lavoro di neuroimmagine ha dimostrato che si può aumentare volontariamente

l’attività dell’amigdala in tempo reale inviando neuro feedback (Zotevet al., 2011, 2013). La

presente analisi conferma che ad un aumento volontario dell’esperienza soggettiva emotiva,

si ha un aumento dell’attività dell’amigdala. Il giro paraippocampale (PHG), è congiunto

all’amigdala e viene implicato in compiti che coinvolgono la memoria di lavoro; quest’area

viene in particolare reclutata quando delle nuove informazioni vengono mantenute nella

memoria di lavoro; l’inibizione di quest’area comporta una diminuzione della codifica delle

informazioni nella memoria a lungo termine (Schon et al., 2005). Poiché il PHG è anche

reclutato nel richiamo di stimoli emotivi (Lanius et al.,2003; Thomaes et al., 2009), l’aumento

dell’attività del PHG potrebbe indicare il mantenimento degli stimoli emotivamente carichi

nella memoria di lavoro, il richiamo di memorie associate all’emozione o una combinazione

delle due. Il talamo è coinvolto nell’elaborazione delle informazioni sensoriali emotivamente

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eccitanti e di comportamenti rilevanti, può trasmettere informazioni emotive alle aree

corticali (LaBar and Cabeza,2006; Vertes et al., 2007). Controllando il trasferimento di

informazioni il talamo ha anche un’influenza modulatoria sull’attività corticale (Heilman,

2002). E’ stata inoltre dimostrata una relazione positiva tra l’attività del talamo e

l’attivazione emotiva (Colibazziet al., 2010; Reiman et al., 1997). Il talamo può essere

modulato almeno in parte dal giro frontale superiore (SFG), quest’area ha mostrato un

aumento della sua attività durante l’upregulation e si trova in una posizione favorevole per

modulare altre regioni del cervello; non ha collegamenti solo col talamo ma anche con il

nucleo striato e il sistema limbico (Lacoboni et al., 2004; Narayanan and Laubach,2006).

Studi su soggetti che mostrano una lesione al SFG presentano una danneggiata inibizione

comportamentale (Fuchs et al., 2005; McLaughlin and See, 2003; Narayanan and Laubach,

2006), sono in linea con l’idea che l’attivazione del

SFG possa riflettere un’attivazione generale. L’area

supplementare motoria (SMA) invece consente di

programmare il movimento, ma essa ha anche un

ruolo nella gestione degli stimoli affettivi, che può

essere associato alla mimica emotiva. Un aumento

di attivazione dell’ SMA è stato dimostrato quando

le persone imitano emozioni come il riso (Iwase et

al., 2002); quest’area esibisce una risposta ancora

più forte quando le persone imitano delle risposte

incongruenti, ad esempio essere accigliati dopo aver

visto una persona sorridente (Lee et al., 2008). La

SMA è stata anche coinvolta in diversi studi di

imaging mentale in cui i partecipanti dovevano

immaginarsi in situazioni emotivamente attivanti

(Lamm et al., 2007; Sabatinelli et al., 2006).

L’aumento di attività nella SMA durante compiti

di upregulation emotiva, può riflettere proprio

il suo ruolo nella preparazione del movimento.

Durante un evento emotivamente carico la

SMA potrebbe essere importante nella

preparazione di movimenti muscolari adeguati non solo per l’impegno o il disimpegno della

Figura 3: il cluster viola indica le regioni

corticali e sottocorticali maggiormente

attive durante l’upregulation. (A)

amygdala/PHG and SFG; (B) SMA, PCC, e

talamo; (C) GP. Adattata da Frank et al

(2014)

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situazione, ma anche per rispecchiare l’evento attraverso gesti corporei che esprimono la

componente affettiva. La regolazione di circuiti frontali sottocorticali riguarda regioni frontali

con proiezioni al corpo striato, formando connessioni con il globo pallido (GP) e la sostanza

nera. Abbiamo proiezioni dirette e indirette dal globo pallido a specifici nuclei talamici e

queste proiezioni ai nuclei del talamo tornano indietro verso diverse aree del lobo frontale

(Cummings, 1993). Il GP è il nucleo delle informazioni in uscita dei gangli della base, che

innerva più aree motorie e corticali ed è coinvolto nella generazione e nel controllo del

movimento (Alexander et al.,1986; Hoover and Strick, 1993). I nuclei d’ingresso dei gangli

della base sono invece il caudato e il putamen, questi ricevono proiezioni provenienti da

varie regioni della corteccia cerebrale. Le proiezioni in uscita dal globo pallido a specifici

nuclei del talamo, comprendono il nucleo laterale ventrale (VL) che è un centro integrativo

coinvolto in un ricambio di informazioni motorie (Tlamsa and Brumberg, 2010). Le proiezioni

talamiche in uscita sono dirette verso varie aree motorie, tra cui la SMA, la corteccia

premotoria e la corteccia motoria primaria (Haque et al.,2010). Efferenti inibitorie dirette

verso il GB servono ad eccitare il talamo (Thayer and Lane, 2000), ciò potrebbe spiegare

l’attivazione costante di queste aree a causa di reclutamento e segnalazione di strategie di

controllo cognitivo, coinvolte durante l’upregulation. Alcune ricerche hanno osservato che

l’attivazione di GB e dei nuclei talamici è direttamente collegata con stimoli emotivamente

eccitanti (Colibazzi et al., 2010) e questa attivazione può riflettere la segnalazione di

pianificazione motoria nella corteccia cerebrale (Huguenard and McCormick, 2007). Inoltre,

l’attivazione del globo pallido può essere correlata a stimoli di attivazione poiché gioca un

ruolo nell’apprendimento delle associazioni stimolo-risposta (Malhi et al., 2004), dove per

suscitare le emozioni è necessario attivare questo circuito sottocorticale che guida le

associazioni tra gli stimoli e la loro risposta appropriata (Colibazzi et al., 2010). E’

interessante notare che la ricerca ha riscontrato attivazione selettiva per stimoli positivi, ma

non negativi (Hamann and Mao, 2002), nelle regioni dorsali e striate ventrali (cioè putamen

e globo pallido), che a loro volta sono state associate alla ricompensa e ad affettività positiva

(Elliott et al., 2000; Lane et al., 1997). In sintesi, poiché lo striato è implicato sia in

associazioni stimolo-risposta (Colibazzi et al., 2010; Malhi et al.,2004), sia nell’elaborazione

di stimoli affettivi (Elliott et al., 2000; Lane et al., 1997) e proietta a regioni coinvolte nella

preparazione dell’azione (Alexander et al., 1986; Cummings, 1993), l’aumento di attivazione

striatale nella presente metanalisi può riflettere il suo potenziale ruolo nell’apprendimento

affettivo e nelle prime fasi di preparazione dell’azione. La corteccia insulare è implicata nella

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processazione di stimoli emotivi sia piacevoli che spiacevoli, ed essi possono essere coinvolti

nel monitoraggio di stimoli emotivi interni (Damasio et al., 2000; Phan et al.,2002; Reiman

et al., 1997). Tuttavia non sono chiari gli effetti delle differenti strategie di regolazione

sull’attivazione dell’amigdala. Diversi studi hanno notato che la downregulation di stimoli

affettivi riduce la reattività dell’insula, mentre la soppressione di stimoli affettivi comporta

l’effetto contrario (Goldin et al., 2008; Ochsner and Gross, 2008). Il giro precentrale, che in

questa analisi viene valutato inserendolo nel cluster della corteccia premotoria, è una

regione associata con la preparazione e l’esecuzione di movimenti complessi (Graziano et al.,

2002; Kwan et al., 1978), diversi studi hanno dimostrato che questa regione è coinvolta

durante l’esposizione a stimoli affettivi e che richiamano memorie emotivamente cariche

(Adolphset al., 2000; Canli et al., 2002; Mitchell et al., 2003). Infine abbiamo trovato un

aumento dell’attivazione della corteccia cingolata mediale durante l’upregulation, questa

regione è connessa con l’amigdala (Phan et al., 2002), associata con la processazione di

stimoli paurogeni (Vogt et al., 2003), sembra essere un collegamento tra il sistema limbico e

il sistema motorio; potrebbero rivestire il ruolo di preparazione all’azione emotivamente

guidata (Dum and Strick, 1991; Morecraftand van Hoesen, 1992; Shima et al., 1991).

In Conclusione: i risultati rivelano che aree come il giro frontale superiore, il cingolo e

le aree premotorie aumentano la loro attività sia in condizioni di upregulation sia di

downregulation, poiché sono strutture coinvolte nella modulazione e nel controllo dello

stato emotivo soggettivo. Mentre l’amigdala, il giro paraippocampale e il lobo parietale

inferiore diminuiscono la loro attività in situazioni di downregulation e la aumentano in stati

di upregulation.

Così amigdala, PHG e IPL sembrano mostrare una particolare sensibilità all’intensità

dell’esperienza emotiva. Il processo di regolazione emotiva può quindi essere almeno

parzialmente spiegato come un effetto inibitorio delle regioni frontali su amigdala, PHG e

IPL. Tuttavia, poiché la metanalisi di Frank e colleghi (2014) ha preso in considerazione un

numero di studi diversi ( 12 di upregulation VS 47 di downregulation), nonostante che il

metodo ALE sia stato sviluppato proprio per ridurre questa discrepanza e la specificità

funzionale di queste regioni sia coerente con i lavori precedenti, dobbiamo interpretare il

ruolo della SFG, dell’amigdala e di PHG con cautela.

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Sintetizzando possiamo raggruppare tutte queste aree in quattro regioni chiave, come

mostrato in Figura 4, che compongono il circuito sottostante di regolazione emotiva.

Figura 4: Strutture chiave del circuito sottostante la regolazione emotiva. A: corteccia orbitofrontale in verde, corteccia prefrontale ventromediale in rosso. B: Corteccia prefrontale dorso laterale. C: amigdala. D: Corteccia cingolata anteriore. Adattata da Davidson et al (2000).

1.5 Regolazione emotiva esplicita e implicita

Le emozioni possono essere regolate in una varietà di modi pressoché infiniti. La maggior

parte della ricerca si è fin’ora concentrata sui metodi di regolazione emotiva esplicita, vale a

dire consapevole e che richiedono uno sforzo intenzionale. Tuttavia un sempre maggior

interesse nella ricerca riguarda le strategie di regolazione emotiva implicita, le quali

sarebbero forme di regolazione automatiche. Gyurak, Gross e Etkin (2011) hanno presentato

un quadro che va ad integrare la ricerca su aspetti di regolazione esplicita e implicita.

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REGOLAZIONE EMOTIVA ESPLICITA. Un caso paradigmatico di regolazione esplicita può

essere trovato nel lavoro di James Gross e colleghi (Gross e Levenson, 1993; McRae et al.,

2010; Ochsner, Bunge, Gross, e Gabrieli, 2002). In un test tipico per la regolazione esplicita

delle emozioni, ai soggetti vengono presentate due diverse condizioni: una in cui sono istruiti

a reagire naturalmente (trial reattività) e un’altra in cui i partecipanti sono incaricati di

regolare le loro risposte emotive (trial regolazione) utilizzando una strategia indicata dal

ricercatore e che il partecipante ha avuto ampia opportunità di praticare in anticipo. Questo

paradigma di base è stato ampiamente adottato e le evidenze di questi studi suggeriscono

che le strategie di regolazione emotiva esplicita possono influenzare fortemente la risposta

emotiva. Tipicamente sono utilizzate immagini negative o spiacevoli per suscitare risposte

emotive; ad esempio immagini di incidenti (McRae et al., 2010; Ochsner et al., 2002; Ray et

al., 2005; Urry, 2010) o estratti di film con scene disgustose (Goldin, McRae, Ramel, e Gross,

2008). Altri ricercatori hanno invece utilizzato stimoli positivi in forma erotica (Beauregard,

Le'vesque, e Bourgouin, 2001), o immagini di animali carini e manifestazioni sportive (Kim &

Hamann, 2007). Più comunemente i ricercatori hanno studiato gli effetti delle istruzioni di

downregulation, utilizzando una vasta gamma di strategie, ma l’amplificazione emotiva è

stata esaminata attraverso istruzioni di upregulation (Demaree et al., 2006; Eippert et al.,

2007; Kunzmann, Kupperbusch, & Levenson, 2005). I ricercatori hanno istruito i partecipanti

a compiere sforzi di downregulation esplicita utilizzando strategie diverse. Nella maggior

parte di questi studi i partecipanti erano incaricati di utilizzare la rivalutazione: cambiamento

del modo di pensare nei confronti degli stimoli allo scopo di ridurre emozioni negative (Gross

1998; Ochsner et al, 2002). In altri studi i partecipanti sono stati incaricati di praticare

l’autodistrazione (Kalisch, Wiech, Herrmann, e Dolan, 2006; McRae et al., 2010), di impiegare

il controllo attentivo (Urry, 2010) per valutare realisticamente gli stimoli (Herwig et al.,

2007), per prendere le distanze dagli stimoli negativi (Kalisch et al., 2005) o di utilizzare la

soppressione e nascondere le proprie emozioni, in modo che, chi guarda dall’esterno non

può sapere che cosa sentono (Gross e Levenson, 1993; Le'vesque et al., 2003). Secondo il

modello di regolazione emotiva di Gross e Thompson (2007) intervenendo relativamente

presto nel processo di generazione della risposta emotiva, ciò ci consente un buon successo

nell’alterare il corso della risposta ( ad esempio distrazione o controllo dell’attenzione). La

rivalutazione cognitiva è una strategia tipicamente impiegata prima che si sviluppino risposte

emotive conclamate; essa è più efficace della soppressione nel modificare la risposta

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emotiva. E’ una strategia di funzionamento che prevede una risposta focalizzata, per evitare

che le risposte emotive siano apertamente espresse (Gross, 1998).

Studi di neuroimmagine (Kalisch, 2009; Ochsner e Gross, 2005) mostrano che la regolazione

emotiva esplicita è coinvolta in un interscambio dinamico tra le aree del lobo frontale

implicato nel controllo cognitivo e nelle funzioni esecutive e le aree emozionali-reattive. In

particolare gli studi di neuro immagine mostrano che il tentativo di rivalutare gli stimoli

negativi determina una maggiore attivazione della corteccia ventrolaterale e prefrontale

dorsale (PFC), aree solitamente implicate in forme di controllo cognitivo non emotivo

(Ochsner et al., 2002). Questa attivazione del lobo frontale è relata alla ridotta attivazione

delle aree limbiche, responsabili invece della reattività emotiva. La maggiore attività delle

aree legate al controllo smorza l’attività delle aree critiche per la reattività emotiva, quali

insula e amigdala (Banks, Eddy, Angstadt, Nathan, e Phan, 2007; Goldin et al., 2008; Ochsner

et al., 2002; Wager, Davidson, Hughes, Lindquist, e Ochsner, 2008). E’ interessante notare

che, i tentativi di impegnarsi nella soppressione, vanno a coinvolgere anche le aree del lobo

frontale, suggerendo che i tentativi espliciti di sopprimere le risposte emotive si basano sulle

stesse aree implicate nei tentativi di rivalutazione, ma non riescono a ridurre l’attivazione del

sistema limbico allo stesso modo della rivalutazione (Goldin et al., 2008).

Possiamo infine dire che il processo di regolazione emotiva esplicito è un processo istruito,

faticoso e viene effettuato con notevole consapevolezza. Gli studi appena descritti rientrano

nel processo di regolazione emotiva esplicita perché:

Gli individui sono consapevoli degli stimoli che hanno suscitato risposte emotive

(immagini, filmati)

Gli individui sono a conoscenza delle emozioni stesse

Gli individui sono consapevoli dell’effetto della regolazione sul loro comportamento

REGOLAZIONE EMOTIVA IMPLICITA. Nella ricerca di Gyurak, Gross, Etkin (2011) sono state

descritte cinque forme di regolazione emotiva non esplicite. Queste cinque categorie sono

state elaborate a partire dalla letteratura emergente, sono ovviamente necessarie ulteriori

ricerche per indagare sistematicamente le qualità esplicite e implicite di questi processi.

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Adattamento al conflitto emotivo: il primo caso di regolazione implicita delle

emozioni si basa sul paradigma del conflitto emotivo descritto da Etkin e collaboratori

(Egner, Etkin, Gale, Hirsch, 2008; Etkin, Egner, Peraza, Kandel, e Hirsch, 2006). Il compito

consiste nella versione emotiva del classico paradigma di Stroop (Stroop, 1935). In questo

compito ai partecipanti vengono presentate fotografie con volti emotivi (che esprimono ad

esempio paura o felicità), sotto all’immagine è scritta una parola (“paura”, “felice”). Il

compito consiste nell’indicare se il volto è felice o timoroso premendo un tasto. La parola

scritta sotto la foto o corrisponde all’espressione facciale (prova senza conflitto: faccia felice

con la parola “felice” scritta sotto l’immagine, o una faccia timorosa con la parola “paura”

scritto sotto ad essa), o è incongruente con l’espressione del viso (prova di conflitto: faccia

felice con la parola “paura” scritta sotto, o faccia paurosa con la parola “felice” scritta sotto).

Poiché la lettura è un comportamento automatizzato, durante le prove di conflitto i

partecipanti devono emanare controllo sulla lettura della parola, a favore dell’etichettatura

dell’espressione emotiva. Perciò le prove di conflitto richiedono più tempo per rispondere

rispetto alle prove senza conflitto. Questo rallentamento del tempo di risposta a causa del

conflitto emotivo, è stato definito effetto di congruenza. Studi di neuroimmagine sulla

regolazione emotiva implicita, utilizzando il paradigma di conflitto emotivo, suggeriscono un’

attivazione di due aree: corteccia cingolata anteriore (ACC), corteccia prefrontale mediale e

le regioni del sistema limbico responsabili dell’attivazione emotiva (Etkin et al., 2006; Etkin,

Prater, Hoeft, Menon, e Schatzberg, 2010).

Regolazione delle emozioni abituali: in questo tipo di regolazione sono assenti le

istruzioni esplicite, le persone frequentemente riportano l’utilizzo di questo tipo di

regolazione su base giornaliera (Gross, Richards, e John, 2006). La ricerca di Gyurak, Gross e

Etkin (2011) suggerisce che il modello abituale coinvolge strategie di regolazione emotiva le

quali riflettono una forma di regolazione, che a seconda di fattori situazionali e personali,

può oscillare rapidamente tra dominio esplicito e implicito. Ad esempio, una persona può

ricordare esplicitamente se stessa il giorno che era arrabbiata con un collega e che a causa

della brutta giornata era incapace di ridurre la frustrazione; in seguito la persona potrebbe

impegnarsi in una rivalutazione senza alcuna consapevolezza. Inoltre, l’utilizzo frequente di

strategie esplicite, può accellerare l’utilizzo di strategie implicite, che verranno adottate

sempre piu frequentemente nel tempo. Gross e John (2003) hanno esaminato la regolazione

emotiva abituale con un questionario self-report che misura le differenze abituali nell’utilizzo

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abituale di rivalutazione e soppressione. In cinque diversi studi Gross e John (2003) hanno

dimostrato che l’uso abituale della rivalutazione era legato ad un maggior effetto positivo, a

un miglior funzionamento interpersonale e a maggior benessere. Al contrario, un maggior

utilizzo della soppressione era legato a un profilo meno vantaggioso di funzionamento

emotivo. Un recente studio di neuroimaging (Drabant, McRae, Manuck, Hariri, e Gross,

2009) ha rilevato che gli individui che riferiscono di utilizzare la rivalutazione come strategia

di regolazione preferita, tendono a coinvolgere aree prefrontali implicate nel controllo

cognitivo, fra cui la rivalutazione. Allo stesso modo Mauss e colleghi (Mauss, Cook, Cheng, e

Gross, 2007) hanno riferito che gli individui che tendono ad utilizzare la rivalutazione

riescono meglio a regolare le proprie emozioni, in preda a potenti emozioni negative (rabbia)

e hanno mostrato una risposta fisiologica più benefica. L’uso abituale della regolazione

emotiva è collegato anche alle teorie implicite degli individui riguardo le emozioni (Tamir,

John, Srivastava, & Gross, 2007), cioè in base a come gli individui valutano le emozioni, come

entità fisse, o malleabili. L’uso abituale della regolazione delle emozioni può essere visto

anche nei tentativi spontanei di regolazione emotiva, attuati dai partecipanti, quando

richiesto dopo che l’emozione era stata provocata in laboratorio. Un’altra linea relativa al

lavoro suggerisce che l’orientamento all’azione degli individui, definito come una tendenza

abituale a rispondere allo stress, con azioni decisive, piuttosto che soffermarsi sugli effetti

negativi, potrebbe predisporre gli individui in modo rapido ed efficace, a regolare le proprie

emozioni (Koole & Kuhl, 2008). Koole e colleghi (Jostmann, Koole, van der Wulp, e

Fockenberg, 2005; Koole & Coenen, 2007; Koole & Jostmann, 2004) hanno sostenuto che

l’orientamento all’azione predispone le persone a regolare le loro emozioni in maniera

“intuitiva” e diminuisce rapidamente l’effetto negativo in situazioni impegnative per

facilitare un miglior perseguimento dell’obiettivo prefissato.

Regolazione emotiva di obiettivi e valori: la regolazione emotiva di valori, obiettivi,

credenze, costituisce un’altra forma di regolazione implicita, che corre abitualmente al di

fuori della consapevolezza, ma può diventare esplicita nei momenti in cui obiettivi e valori

diventano complessi. Schweiger-Gallo e colleghi (Schweiger-Gallo, Keil, McCulloch,

Rockstroh, e Gollwitzer, 2009) hanno documentato un possibile meccanismo per lo sviluppo

della regolazione emotiva degli obiettivi. In particolare, hanno mostrato che il

perseguimento automatico di un obiettivo va a implementare intenzioni nella regolazione

emotiva, ciò può essere un metodo efficace per regolare le emozioni negative. Eder (2011)

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ha dimostrato che le intenzioni implementate in uno specifico contesto possono portare ad

un altro compito non correlato e influenzare fortemente il comportamento. Nel loro insieme

questi studi dimostrano una generale tendenza nell’esecuzione delle intenzioni che diventa

rapidamente routinizzata, automatizzata e distribuita con poca consapevolezza successiva

(Williams, Bargh, Nocera, & Gray, 2009). Una volta routinizzate, le differenze individuali negli

atteggiamenti di regolazione emotiva possono essere valutate con compiti di reazione a

tempo. In particolare, la reazione più veloce nel categorizzare la regolazione emotiva è

relativa a parole positive, a una migliore regolazione e più bassa reattività emozionale in

risposta alla rabbia provocata (Mauss, Evers, Wilhelm, e Gross, 2006), a un maggior

benessere, meno sintomi depressivi e a una migliore regolazione sociale (Hopp, Troy, e

Mauss 2011).

Regolazione emotiva come influenza delle etichette: una grande quantità di lavoro

ha esaminato i processi emotivi nel contesto di alcune attività intenzionali che mostrano di

avere conseguenze di regolazione emotiva accidentali/non intenzionali. In questo paradigma

i partecipanti dovevano indicare l’emozione espressa da dei volti (ad esempio indicare se il

volto è arrabbiato o esprime paura) oppure in base al genere (Hariri,

Bookheimer,&Mazziotta, 2000; Lieberman et al., 2007; Lieberman, Hariri, Jarcho,

Eisenberger, & Bookheimer, 2005). L’abbinamento tra espressioni emotive e volti con la

corrispondente etichetta, ha mostrato una minor attivazione del sistema limbico, compresa

una ridotta attivazione dell’amigdala. In modo simile alle forme esplicite di regolazione

emotiva, l’etichettatura emotiva dei volti, concentrandosi su caratteristiche di una scena

emotivamente evocativa, comporta una maggiore attivazione della corteccia prefrontale

laterale e mediale; nonostante il fatto che la regolazione emotiva in questo paradigma è non

intenzionale o implicita (Hariri et al., 2000; Lieberman et al., 2005). Lieberman e colleghi

(2007) hanno sottolineato che l’attivazione della porzione ventrale della PFC mediale, media

la relazione tra l’attivazione della PFC laterale e la ridotta attivazione dell’amigdala,

suggerendo che questo percorso che va dalla PFC mediale all’amigdala, ha un ruolo critico

nello smorzare la reattività emotiva nelle forme accidentali di regolazione emotiva.

Regolazione emotiva in relazione agli errori: il compito di adattamento del conflitto

emotivo, cattura la capacità di controllo dinamico dei parametri, nel contesto in cui ci sono

stimoli emotivamente conflittuali e portano con successo alla regolazione da uno studio a un

altro. Questo processo di adattamento può essere visto come la capacità di sapere quando

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“accellerare” in contesti emotivamente evocativi. Il rovescio della medaglia di questo

fenomeno è la capacità di “rallentare”, o regolare il controllo cognitivo a seguito di un errore

in quello stesso processo. Questo tempo di regolazione post-errore, può essere

categorizzato a livello di reazione temporale (Rabbitt, 1966) o a livello di accuratezza post

errore (Laming, 1979). Mentre il rallentamento che si ha determinato da un errore nei

compiti cognitivi, è un’area attiva di ricerca che utilizza stimoli non emotivi. Gli errori sono

eventi emotivamente negativi, come evidenziato dalla maggiore attivazione del sistema

motivazionale di fronte a essi (Hajcak & Foti, 2008). Studi effettuati con EEG e registrazioni

intracraniche dimostrano che il processo legato all’errore è caratterizzato dalla presenza di

una deflessione negativa chiamata “errore correlato negativamente” (ERN) e dipende

dall’interazione tra aree cerebrali cognitive (AAC) ed emotive (amigdala) (Olvet e Hajcak,

2008; Pourtois et al., 2010). Inoltre la dimensione del ERN è stata studiata come un

indicatore di regolazione emotiva nei bambini (Dennis e Hajcak, 2009) e dimostra di essere

correlata con caratteristiche psicopatologiche di disregolazione emotiva (Holmes &

Pizzagalli, 2008; Olvet & Hajcak, 2008; Pizzagalli, Peccoralo, Davidson, & Cohen, 2006).

Inoltre e in linea con le caratteristiche funzionali di regolazione post errore, Robinson e

colleghi hanno scoperto che maggiore è il rallentamento nel valutare l’errore, maggiore è il

benessere associato (Robinson, 2007) e vi sarà una migliore abilità di regolazione dello

stress (Compton et al., 2008). Collettivamente, questi studi sostengono che un efficiente

regolazione post errore dipenda da un gioco interattivo fra aree cognitive ed emotive.

1.6 Le strategie cognitive di regolazione emotiva

Come abbiamo visto quando l’individuo si trova a vivere una situazione spiacevole, potrà

utilizzare diverse modalità per ridurre la sofferenza emotiva provocata da un evento. In

questo paragrafo ho voluto descrivere in modo più dettagliato due strategie di regolazione

emotiva esplicite di tipo cognitivo, facendo riferimento agli studi di Gross (2002). Nella sua

ricerca Gross descrive due diverse strategie cognitive volontarie di regolazione:

l’autodistrazione e la rivalutazione. L’autodistrazione consiste nel tentativo di focalizzarsi

selettivamente su aspetti non emozionali (o emotivamente meno inquietanti) di una

situazione; la rivalutazione consiste nell’interpretare deliberatamente o nel reinterpretare

stimoli emotivi o una situazione emotiva in termini non emozionali ( o emotivamente meno

inquietanti) cercando di darne un significato cognitivamente più profondo. Queste diverse

strategia cognitive suggeriscono il coinvolgimento di meccanismi neurobiologici diversi.

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Come avviene l’autodistrazione? Essa in genere avviene andando a sopprimere

intenzionalmente il pensiero o l’emozione. La soppressione può riguardare l’espressione

delle emozioni o i pensieri. La soppressione espressiva consente di ridurre l'espressione delle

emozioni, così come l'esperienza personale immediata di un’ emozione, ma porta ad un

aumento dell’eccitazione fisiologica nel lungo termine ( Gross e Thompson, 2007). Altri

ricercatori si sono concentrati sul ruolo di soppressione dei pensieri indesiderati in relazione

alla psicopatologia (Wegner e Erber, 1992). I risultati suggeriscono che la soppressione dei

pensieri conduce paradossalmente ad un successivo aumento della frequenza indesiderata

dei pensieri, definito "effetto rimbalzo" (Wegner, 1994), in particolare quando le persone

sono sotto stress o impegnate in un compito concomitante che richiede uno sforzo

(Abramowitz, Tolin, e Street, 2001; Wegner e Erber, 1992). La letteratura suggerisce che la

regolazione emotiva è una risorsa e che la soppressione può esaurire questa risorsa. Anche

se la soppressione può ridurre efficacemente l’esperienza soggettiva di fronte a emozioni

negative, gli sforzi coinvolti nella soppressione delle emozioni possono esaurire le risorse

necessarie per controllare gli impulsi e far fronte a stress futuri (Muraven, Tice, e

Baumeister, 1997). La soppressione non consente di preparare il terreno per la gestione di

difficoltà emotive future, riducendo inoltre la tolleranza all’angoscia. Gli studi di imaging più

rilevanti di autodistrazione sono quelli in cui ai pazienti non è richiesto di pensare a

particolari pensieri, la richiesta in genere consiste nello spostare rapidamente l’attenzione

su un’alternativa interna o esterna. Nei compiti di soppressione del pensiero (Wegner, 1994)

l’attenzione deve essere intenzionalmente diretta verso stimoli alternativi, che possono

essere esterni ( ad esempio il rumore) o interni ( ad esempio: pensieri, sensazioni corporee).

Tale disegno assicura meglio che i pazienti debbano impegnarsi attivamente nella

distribuzione dell’attenzione selettiva, che è la componente essenziale dell’autodistrazione.

La soppressione del pensiero è quindi l’indice principale degli sforzi di autodistrazione. Uno

studio (Wyland, Kelley, Macrae, Gordon, & Heatherton, 2003) ha descritto l’attivazione della

corteccia cingolata anteriore dorsale (ACC) mentre i soggetti erano impegnati nella

soppressione, anche se si pensieri non erano esplicitamente emotivi, ad esempio “studio per

un esame” o, “una telefonata con un’amica lontana”. Un risultato simile è stato ottenuto da

Frankenstein, Richter, McIntyre, and Rémy (2001), mentre i soggetti generavano parole

neutre durante un dolore tonico. Anderson et al. (2004) riportarono l’attivazione della LPFC,

della ACC e delle aree premotorie, durante la soppressione e il recupero di ricordi recenti

emotivamente neutri. Questi studi indicano che una rete prefrontale è probabilmente

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implicata nel mantenere le informazioni indesiderate “fuori dalla mente”. Gli studi che ho

appena citato però non forniscono informazioni riguardo l’autodistrazione da emozioni

ansiogene. Lo studio di Kalisch e colleghi (2006) invece, basato sul paradigma di

soppressione del pensiero in soggetti che devono attuare l’autodistrazione , prende in

considerazione l’ansia anticipatoria per il dolore. In questo studio viene registrata l’attività

fisiologica (frequenza cardiaca) e cerebrale ( utilizzando la fMRI). L’ansia veniva indotta nei

soggetti del gruppo sperimentale con la comunicazione che avrebbero potuto ricevere una

stimolazione dolorosa sul dorso della mano destra o sinistra. Mentre i soggetti del gruppo di

controllo sapevano che non avrebbero ricevuto la stimolazione, i soggetti del gruppo

sperimentale vennero incaricati di pensare rapidamente a qualcos’ altro, non appena un

pensiero o una sensazione di ansia, o un potenziale dolore veniva loro in mente (condizione

di autodistrazione); nella condizione di controllo invece (nessuna autodistrazione) i soggetti

erano liberi di pensare a quello che volevano, con il vincolo di non utilizzare tecniche di

soppressione. L’esperimento è stato suddiviso in quattro condizioni sperimentali: no

anticipazione/no-autodistrazione, nessuna anticipazione/autodistrazione, anticipazione/no

autodistrazione, anticipazione/autodistrazione. Tramite un pulsante i soggetti dovevano

indicare la quantità di tempo dopo l’istruzione che avevano impiegato pensando all’ ansia, al

dolore o alla sensazione di ansia, separatamente per la condizione senza anticipazione e con

anticipazione. Alla fine dell’esperimento ai soggetti venne chiesto il contenuto del loro

pensiero in ognuna delle quattro condizioni. Le loro risposte sono state coerenti con

l’aumento dell’ansia nelle condizioni di anticipazione e nella tentata soppressione del

pensiero durante le condizioni di autodistrazione. Infine i soggetti dovevano indicare su una

scala da 0-10 la difficoltà che avevano provato e la fatica che avevano incontrato per

sopprimere i pensieri indesiderati durante le condizioni di autodistrazione. Il risultato

principale di questo studio è che l’auto-distrazione di ansia anticipatoria per il dolore, attivi

una regione della LPFC di sinistra. Nello studio di Kalisch e coll. (2005) non era stata trovata

un’attivazione della regione antero-laterale destra durante la rivalutazione dell’ansia.

Tuttavia sarebbero necessari ulteriori test che vadano a confrontare rivalutazione e auto-

distrazione all’interno dello stesso studio. Risultati analoghi a quelli di Kalisch e coll. Sono

stati riportati nello studio di Anderson et al. (2004), che riscontrò un attivazione della LPFC

durante il compito di soppressione dei ricordi; al contrario né Wyland et al. (2003) nè

Frankenstein et al. (2001) riportarono attivazione della LPFC durante l’auto-distrazione da

stimolazione dolorosa. La critica che Kalisch e coll. muovono ai risultati negativi di questi due

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ultimi studi, è quella di avere una sensibilità insufficiente. Tuttavia l’autodistrazione nello

studio di kalisch e coll.(2006) non è riuscita ad attenuare l’ansia, ciò emerge anche dalla

scarsità di interazioni corrispondenti nei dati di imaging. Non emerge alcuna interazione

consistente con l’attenuazione dell’ansia, e la correlata attività della MPFC/ ACC, una regione

che invece si attiva con successo nella downregulation della rivalutazione. La spiegazione più

probabile per questi deboli effetti è che il training fatto sui soggetti, precedentemente

all’esperimento, sia stato insufficiente. E’ inoltre possibile che la soppressione del pensiero

riguardo l’ansia/dolore, riduca la frequenza dei pensieri di rivalutazione spontanei (che

attenuano l’ansia) e la frequenza di pensieri catastrofizzanti spontanei (che

mantengono/aumentano l’ansia). Pertanto gli effetti della soppressione del pensiero

sull’ansia, possono essere annullati a vicenda.

Kalisch e coll. (2006) a seguito del loro esperimento propongono un modello processuale di

autodistrazione e rivalutazione, che possa spiegare gli effetti neurali osservati e servire come

base teorica per ulteriori studi sulla regolazione dei processi cognitivi di regolazione emotiva.

Il modello che questi ricercatori propongono si basa su una visione di elaborazione delle

informazioni di ansia (Dalgleish, 2004; Foa & Kozak, 1986; Lang, 1985; Bower, 1981), che

presuppone che l’ansia sia relata a elementi di memoria che sono organizzati in reti

associative relativamente coese. Associazioni tra elementi legati all’ansia sono più forti

rispetto alle associazioni tra elementi che rappresentano materiale non ansioso (Lang,

1985); queste associazioni possono spiegare spesso la natura persistente e contagiosa degli

stati mentali ansiosi. Questi autori propongono che la regolazione delle emozioni consista

essenzialmente nella sostituzione (Bower, 1981) in memoria di lavoro, di contenuti mentali

legati all’ansia, da materiali non ansiosi, con conseguente disattivazione delle reti d’ ansia.

Perché oltre a pensieri, sentimenti e rappresentazioni sensoriali, i programmi di risposta

sono un ulteriore elemento di memoria, pensato per essere parte della struttura di rete

associativa (Anderson, 1993; Lang, 1985). Una disattivazione della rete generale dell’ansia,

attraverso la sostituzione, può anche spiegare la spesso osservata attenuazione parallela di

risposte vegetative o la tendenza all’azione durante la regolazione delle emozioni (Kalisch et

al., 2005; Gross, 2002; Jackson, Malmstadt, Larson, & Davidson, 2000). Varianti più recenti di

modelli di elaborazione delle informazioni, sono modelli ibridi, i quali assumono che alcuni

aspetti delle informazioni contenute negli stimoli emotivi (come valenza, attivazione o

valore), vengono processati in parallelo, presumibilmente dal sistema limbico, che è

direttamente collegato con la produzione delle risposte emotive (Reisenzein, 2001; Siegle,

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1999; LeDoux, 1996). Partendo dal presupposto che i contenuti mentali (pensieri,

sentimenti, rappresentazioni sensoriali) sono, come gli stimoli sensoriali reali, valutati da

questo sistema; una disattivazione della rete di ansia generale per la sostituzione,

comporterebbe un’attenuazione delle risposte vegetative o della tendenza all’azione. Il

punto di vista di Kalisch e coll (2006) non si basa esplicitamente sull’idea che la LPFC inibisca

direttamente le aree limbiche ( o indirettamente tramite connessioni della via mediale e

orbitale), ma svela una relazione inversa tra LPFC e l’attivazione dell’amigdala in modo più

parsimonioso. La produzione volontaria dei contenuti di working memory (attraverso il

recupero delle memorie a lungo termine, la generazione di nuovi pensieri o il mantenimento

di questi nella working memory) comporta il coinvolgimento del sistema di controllo

attenzionale situato nella PFC di sinistra (Cabeza, Locantore, & Anderson, 2003; Gabrieli,

Poldrack, & Desmond, 1998; Shallice & Burgess, 1996). Si può presumere che tale funzione

produttiva sia richiesta, sia all’autodistrazione, che alla rivalutazione. Tuttavia auto-

distrazione e rivalutazione si possono distinguere per due aspetti: mentre l’autodistrazione

per definizione, produce i contenuti della memoria di lavoro che non sono correlati alla

soppressione di materiale ansiogeno; la rivalutazione, anch’essa per definizione, produce i

contenuti della memoria di lavoro che reinterpretano il materiale relato all’ansia. Così i

pensieri ansiogeni servono come spunto per il recupero dei pensieri di rivalutazione. Questo

implica che la produzione (sostituzione) nella rivalutazione, può infine diventare

automatizzata, in particolare quando i soggetti hanno assunto buona esperienza in una

particolare strategia di rivalutazione (Kalisch et al., 2005). Di conseguenza la rivalutazione

può dipendere meno dalla PFC di sinistra. L’intrusione dei pensieri indesiderati durante

l’autodistrazione può essere risolta solo con un maggior impegno nella sostituzione che

porta al costante bisogno di una funzione produttiva, in questo tipo di strategia. Una

seconda qualità distintiva della rivalutazione è che essa può produrre soluzioni

relativamente paradossali o “non standard” che vanno contro i potenti schemi che guidano

la prima valutazione che viene fatta degli stimoli ansiogeni. Ad esempio, reinterpretando le

lacrime di una vecchia donna in piedi di fronte a una chiesa, come a significare la sua gioia

per il matrimonio della figlia (Ochsner, Bunge, et al., 2002), o negare la rilevanza personale di

una potenziale imminente scossa elettrica (Kalisch et al., 2005); la rivalutazione corre quindi

in contrasto con le abituali attribuzioni di significato. Di conseguenza, la rivalutazione può

richiedere un processo di monitoraggio delle soluzioni in termini di compatibilità con la

realtà e se le interferenze date da valutazioni abituali sono state risolte con successo. Dato

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che i contenuti della memoria di lavoro implicati nella rivalutazione sono legati a elementi

ansiogeni, la rivalutazione può aumentare il monitoraggio per evitare la riattivazione

retrograda dei ricordi d’ansia. Il processo di monitoraggio che opera sul contenuto della

memoria di lavoro, è stato localizzato nella LPFC destra (Cabeza et al., 2003; Allan, Dolan,

Fletcher, & Rugg, 2000; Henson, Shallice, & Dolan, 1999; Schacter, Curran, Galluccio,

Milberg, & Bates, 1996; Shallice & Burgess, 1996). Quindi in un soggetto che ha appreso la

strategia della rivalutazione si attiva la LPFC destra ( corrispondente alla funzione del

monitoraggio) ma non la LPFC sinistra ( corrispondente alla funzione di produzione); l’auto-

distrazione al contrario ha mostrato il modello opposto. Questo modello consente inoltre di

prevedere che lesioni anterolaterali destre interferiscano con la rivalutazione, ma non con

l’auto-distrazione. Inoltre si può ipotizzare che, nel corso di uno sforzo di rivalutazione che il

soggetto compie con successo, la funzione di produzione dell’emisfero sinistro dovrebbe

mostrare una diminuzione di attività, mentre la funzione di monitoraggio dell’emisfero

destro, dovrebbe determinare un aumento dell’attività tonica. Ochsner, Ray, et al. (2004)

riportarono che la LPFC di destra si attiva quando l’emozione negativa diminuisce, il

contrario accade quando l’emozione negativa aumenta; ciò riflette il coinvolgimento della

LPFC destra nell’inibizione comportamentale e nella risoluzione delle interferenze (Bunge et

al., 2001; Jonides, Smith, Marshuetz, Koeppe, & Reuter-Lorenz, 1998). Al contrario

l’attivazione della LPFC di sinistra è stata osservata sia in condizioni di upregulation, sia di

downregulation, ciò è stato interpretato come un reclutamento della memoria di lavoro

generale e delle funzioni di controllo cognitivo necessarie per generare e mantenere

qualsiasi forma di strategia di regolazione (Ochsner, Ray, et al., 2004). L’ipotesi che Kalisch e

colleghi (2006) portano avanti è molto vicina a quella di Ochsner e Ray. La funzione di

produzione laterale di sinistra genera e mantiene i contenuti neutri o positivi nella memoria

di lavoro, i quali vanno a sostituire i contenuti negativi durante la downregulation delle

emozioni negative; il coinvolgimento delle funzioni laterali di sinistra sarebbe indispensabile

anche per mantenere attivamente i contenuti negativi nella memoria di lavoro durante

l’upregulation delle emozioni negative.

In sintesi, gli studi di neuro immagine sull’ autodistrazione e sulla rivalutazione, suggeriscono

che queste strategie di regolazione sono possibili grazie all’attivazione di reti neurali diverse

e quindi si basano su meccanismi psicologici distinti. La rivalutazione è diversa dall’auto-

distrazione in quanto utilizza contenuti mentali correlati all’ansia, come spunti per il

recupero di memorie che rassicurino, come conseguenza si ha una diminuzione della

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dipendenza dalle funzioni di monitoraggio di ordine superiore. In maniera implicita il

modello di kalisch e coll (2006) prevede che questi meccanismi strategici per lavorare,

vadano a sostituire i pensieri in corso con altri tipi di pensieri.

1.7 Direzioni future

Evidenze crescenti suggeriscono che l’utilizzo contestualmente appropriato e flessibile della

regolazione emotiva, può essere un indicatore di salute mentale. Per esempio la regolazione

esplicita delle emozioni, in particolare la rivalutazione cognitiva, ha mostrato di causare una

reattività fisiologica inferiore e meno intesta rispetto alle risposte emotive di soppressione

(Gross, 1998, 2002) ed è stata anche messa in relazione con un abbassamento delle

emozioni di stress riferite dal soggetto in condizione di laboratorio e a migliori esiti di vita

funzionale (Troy, Wilhelm, Shallcross e Mauss, 2010). La ricerca suggerisce che la

regolazione emotiva implicita rappresenta un processo simil adattivo. Ci sono evidenze che

mostrano che la regolazione emotiva implicita è deficitaria nel disturbo d’ansia generalizzato

(Etkin et al., 2010). Nella ricerca futura sarà importante analizzare le forme di regolazione

emotiva esplicita e implicita nelle diverse forme di psicopatologia. In particolare precedenti

studi suggeriscono che la radice della difficoltà di regolazione emotiva in psicopatologia, in

particolare nei disturbi d’ansia e dell’umore, potrebbe essere spontanea e riguardare le

forme implicite di regolazione emotiva (ad esempio, Ehring, Tuschen-Caffier, Schnu¨lle,

Fischer, e Gross, 2010; Etkin et al., 2010); tuttavia questa ipotesi ha bisogno di essere

maggiormente testata. Inoltre, la psicopatologia può essere caratterizzata non solo da un

deficit nell’utilizzare la regolazione emotiva in maniera appropriata, ma anche dall’utilizzare

in maniera inflessibile e non adattiva solo alcune strategie di regolazione, come

esemplificato dal ruolo della “preoccupazione” nell’ansia generalizzata (Borkovec, Alcaine, e

Behar, 2004). Sono necessarie ulteriori ricerche per chiarire il ruolo dei processi impliciti in

psicopatologia. Un altro settore importante per la ricerca futura è quello di esplorare i modi

in cui le forme di regolazione esplicita possono essere trasformate in implicite e viceversa.

Per esempio, un modo in cui i processi espliciti possono diventare impliciti (quindi

potenzialmente più efficienti) è attraverso la pratica. Ci sono evidenze che mostrano come

intervenire presto sul processo generativo delle emozioni attraverso ripetuti training e

l’allocazione dell’attenzione lontano da stimoli negativi e diretta invece verso stimoli neutri,

ha mostrato un’effettiva riduzione dei sintomi e un miglioramento del funzionamento dei

pazienti psichiatrici (Hakamata et al., 2010).

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Concludendo: è ormai assodato che le strategie di regolazione emotiva impiegate

consapevolmente e volontariamente, possono alterare il corso della risposta emotiva,

tuttavia le persone in genere non perseguono obiettivi di regolazione consapevole, a meno

che non abbiano la motivazione e la capacità di farlo. Inoltre, poiché le emozioni sono

fenomeni veloci e in rapida evoluzione, la regolazione delle emozioni nelle sue forme

implicite ha il vantaggio di essere più efficiente e senza sforzo di regolazione esplicita. I

processi impliciti in generale sono più coerenti e affidabili ( e a volte anche meno flessibili)

vengono attivati automaticamente e raggiungono il completamento senza sforzo cosciente o

monitoraggio. Una completa comprensione della regolazione emotiva e del suo ruolo nella

salute mentale richiede un esame approfondito delle forme di regolazione implicita.

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CAPITOLO 2. REGOLAZIONE EMOTIVA E PSICOPATOLOGIA

Come già detto nel capitolo precedente la regolazione emotiva è la capacità individuale,

tipicamente umana, di regolare le proprie emozioni, sia positive che negative, attenuandole,

intensificandole o semplicemente mantenendole (Gross, 1998; 2007). La regolazione

emotiva è quindi data da processi di regolazione cognitiva e comportamentale che

influenzano l’intensità, la durata e l’espressione delle emozioni. Nessun tipo di regolazione

emotiva è adattivo di per sé, ma la sua funzionalità è legata al contesto specifico in cui

emergono determinate risposte emotive e agli scopi personali da raggiungere. Quindi la

capacità di adottare strategie di regolazione emotiva efficaci è considerata un aspetto

fondamentale per l’adattamento dell’individuo, per il suo funzionamento sociale e per il suo

benessere soggettivo. Le difficoltà nella regolazione delle emozioni comportano l’uso di

strategie disadattive e caratterizzano molte delle condizioni psichiatriche descritte nel DSM

V. Come già descritto nel primo capitolo, in base alle osservazioni di Gratz e Roemer ( 2004),

la regolazione emotiva è un costrutto multidimensionale, caratterizzato da: 1)

consapevolezza, accettazione delle emozioni; 2) abilità nell’impegnarsi in comportamenti

diretti verso l’obiettivo; 3) utilizzo flessibile di strategie adeguate al contesto; 4) disponibilità

a sperimentare emozioni negative. Deficit o carenze di una di queste aree sono considerati

indicativi di difficoltà di regolazione emotiva che correlano positivamente con la

psicopatologia e negativamente con il benessere individuale ed il funzionamento

interpersonale ( Gross e John, 2004). Emerge che diversi fattori possono contribuire a una

regolazione adattiva, quindi efficace, delle emozioni. Gli individui capaci di riconoscere le

proprie esperienze emotive, comprenderne il significato, usare il loro valore informativo e

gestire l’esperienza e l’espressione di un’emozione in modo adeguato rispetto al contesto

appaiono più capaci di rispondere efficacemente alle richieste e alle situazioni della vita

quotidiana (Mayer et al., 2004).

In che modo la sofferenza si mantiene, nonostante i tentativi che la persona che si trova a

viverla, compie per fuggire da essa? La regolazione emotiva è un elemento cruciale nella

descrizione e nella comprensione della psicopatologia, sebbene, sul versante diagnostico

esista ancora una forte ambiguità. Ad esempio, secondo il DSM alcuni stati emotivi

costituiscono dei criteri diagnostici per alcune patologie, ma nel manuale permane una

disparità tra questi stati ed il riferimento alle corrispondenti strategie di regolazione

emotiva. Inoltre il DSM si sofferma esclusivamente sulle strategie esternalizzate e non su

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tutti quei processi che invece avvengono a livello intrapsichico. Indipendentemente dalle

indicazioni nosografiche, una prospettiva più completa dovrebbe prendere in considerazione

la distinzione tra processo e sintomo psicopatologico, mettendo in luce eventuali nessi

causali tra strategie di regolazione emotiva e psicopatologia.

2.1 Paura delle emozioni

Il costrutto di paura delle emozioni ha assunto particolare rilievo a seguito degli studi di

Williams, Chambless e Ahrens (1997), Berg e colleghi (1998), i quali ripresero il concetto di

paura dell’ansia di Goldstein e Chambless (1978); quest’ultimo gioca un ruolo centrale nello

sviluppo e nel mantenimento di varie patologie psichiche. Nello specifico, la letteratura

attualmente esistente si è concentrata ad approfondire il ruolo della paura delle emozioni

nei disturbi d’ ansia e dell’umore (Mennin et al., 2005; Tull et al., 2007; Buhr et al., 2009;

Giorgio et al., 2010; Mittmansgruber et al., 2009). La paura dell’ansia scaturisce da

un’interpretazione errata e catastrofica di una determinata esperienza e comprende la paura

di perdere il controllo quando si è spaventati o eccessivamente ansiosi, così come la paura

delle conseguenze fisiche a seguito dell’attivazione fisiologica scatenata da ansia o panico.

Questo tipo di paura è definibile come attacco di panico. Goldstein e Chambless (1978)

pubblicano un articolo in cui parlano di agorafobia, intesa come paura della paura, ovvero

paura di incorrere in un attacco di panico, piuttosto che la paura di incorrere e trovarsi in

certe situazioni e contesti. Questo concetto appare negli scritti di molti studiosi di questo

settore, come Claire Wekes che ha definito questo tipo di paura, “seconda paura”. Due sono

le componenti della paura della paura:

1) La paura delle sensazioni corporee associate agli attacchi di panico sono una piaga

agorafobica

2) I pensieri disadattavi sulle conseguenze possibili del panico, come morire o diventare

pazzi, comportano una consistente esperienza d’ansia.

In un’estensione del concetto di paura dell’ansia, Williams, Chambless e Ahrens (1997)

hanno suggerito che coloro che sono spaventati dall’ansia sarebbero anche inclini a temere

in generale le forti emozioni (depressione, rabbia, forti emozioni positive), poiché sarebbero

preoccupati di perdere il controllo sulle emozioni stesse (anche positive) e sulle loro reazioni

comportamentali rispetto ad esse. È stato elaborato, pertanto, il costrutto di paura delle

emozioni (Williams et al., 1997; Berg et al., 1998). La paura delle emozioni si riferisce, perciò,

alla paura dell’esperienza emotiva in sé (sia positiva che negativa), legata alla paura di

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perdere il controllo durante tale esperienza, e/o alla paura di una reazione all’emozione, in

particolare legata alle conseguenze fisiche sperimentate in seguito alla risposta emotiva

(Williams et al., 1997; Berg et al., 1998). La reazione di paura rispetto a determinate

emozioni è dovuta a un’interpretazione esagerata ed erronea rispetto alle potenziali

conseguenze derivanti dall’esperire ed esprimere tali emozioni.

La paura delle emozioni può essere concettualizzata come meta-emozione, quindi, in quanto

tale, come forma di regolazione emotiva. Il termine meta-emozione (Gottman, Katz e

Hooven, 1997) si riferisce alla reazione emotiva delle proprie emozioni (es. paura di essere

ansioso). Le meta- emozioni sono concepite come emozioni di secondo ordine (o

secondarie), poiché si attivano come reazione ad un’emozione primaria, come la rabbia. Le

meta-emozioni sono connesse alla psicopatologia in due modi (Gross e Munoz, 1995):

1) La percezione di certe emozioni come avverse e altamente minacciose è associata a

disturbi correlati al comportamento come l’evitamento esperienziale.

2) Se un’emozione è ritenuta minacciosa e l’individuo si impegna ad inibirla, per

esempio, è più probabile che l’esperienza di quell’emozione aumenti anziché

diminuire (come accade nella soppressione del pensiero).

2.2 Disturbo d’ansia generalizzato

All’interno dell’ampia categoria delle sindromi caratterizzate dall’ansia, il disturbo di ansia

generalizzato (GAD) è quello che è stato maggiormente descritto in relazione alle difficoltà di

regolazione emotiva (Mennin, Heimberg, Turk e Fresco, 2005). Gli individui con GAD hanno

grosse difficoltà di comprensione, reazione e gestione delle proprie esperienze emotive. In

particolare, riportano minore abilità ad identificare, descrivere e comprendere il valore

motivazionale ed informativo delle emozioni. Queste difficoltà portano tali soggetti ad

interpretare erroneamente e catastrofizzare le conseguenze negative dei vissuti emozionali

(ansia, emozioni positive, rabbia, depressione) e quindi ad accedere a strategie di

regolazione non adeguate al contesto (Mennin et al., 2005). Rispetto ad altri disturbi d’ansia

il GAD è stato più difficile da comprendere e da trattare e poche sono state le indagini che

hanno esaminato i meccanismi psicopatologici coinvolti nel GAD (Dugas, 2000). Di recente, i

teorici hanno iniziato ad espandere le conoscenze sul GAD attraverso lo sviluppo di modelli

che mettono in risalto l’importanza della preoccupazione. Una delle spiegazioni più complete

riguardo il ruolo della preoccupazione nel soggetto DAG proviene dalla teoria

dell’evitamento di Borkovec ( Borkovec, Alcaine, e Behar, 2004). Berkovec e colleghi hanno

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presentato un supporto empirico convincente alla nozione di preoccupazione come attività

cognitiva e perseverante, la quale serve come funzione di evitamento nelle persone con

GAD. Berkovec e colleghi sostengono che la preoccupazione consenta alle persone di

avvicinarsi emotivamente ai temi ad un livello concettuale astratto e di conseguenza, al fine

di evitare spiacevoli immagini, aumento dell’arousal ed emozioni negative intense nel breve

termine. Tuttavia nel lungo termine l’individuo si trova a confrontarsi continuamente con il

materiale emotivo ed ha spesso una più intensa esperienza ansiosa e si impegna in una

preoccupazione ripetitiva per smussare questa esperienza. Il soggetto GAD che in condizione

di ansia tende ad evitare le emozioni, successivamente mostrerà un maggior livello di

rimuginazione, sottolineando un collegamento funzionale tra evitamento e rimuginazione.

La rimuginazione non è altro che la continua preoccupazione, ed è una forma di evitamento

emozionale, che costituisce un fattore di mantenimento nel GAD. In sintesi, nel soggetto

GAD gli stati emotivi vengono vissuti in modo molto intenso e confuso e modulati in maniera

spesso disadattiva attraverso l’uso della preoccupazione, definito come processo cognitivo

capace di ostacolare o addirittura inibire la sperimentazione di un’esperienza emotiva

intensa (Borkovec, Alcaine e Behar, 2004). Nella preoccupazione predomina

quantitativamente il tempo dedicato a pensieri ripetitivi negativi, dal ricco connotato

emozionale ansioso, riguardo al verificarsi di possibili eventi futuri; tali pensieri sono seguiti

da predizioni catastrofiche legate all’evento temuto e alla convinzione della propria

incapacità di adottare strategie efficaci di risposta rispetto al pericolo e di soluzione al

problema. Mennin et al (2005) hanno sostenuto che gli individui con DAG giudicano le loro

esperienze emotive come altamente minacciose a causa del deficit nella regolazione

emotiva. Lo studio dimostra che i soggetti con GAD vivono l’esperienza emotiva con

maggiore intensità ed hanno una maggiore tendenza a esprimere le emozioni negative

rispetto ai controlli. In accordo con la teoria della disregolazione emotiva il soggetto DAG

non solo è caratterizzato da eccessiva frequenza ed intensità emotiva, egli ha anche una

mancanza di comprensione delle emozioni ed inadeguate strategie di regolazione emotiva.

L’interazione tra: il giudizio dato alle esperienze emotive come altamente minacciose, la

forte intensità emotiva e la mancanza di comprensione delle emozioni, porta

inevitabilmente a reazioni negative verso le emozioni (paura delle emozioni) ciò determina

lo sviluppo di credenze negative relative alle emozioni sperimentate ed una interpretazione

erronea delle loro conseguenze fisiologiche. Non sorprende che questi soggetti sperimentino

le proprie emozioni come fortemente avverse e dannose e di conseguenza utilizzino

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strategie, come la preoccupazione, per controllare o sopprimere tali risposte interne.

Tuttavia, la preoccupazione risulta una strategie inefficace nella gestione delle esperienze

emotive.

2.3 La ruminazione depressiva

La ruminazione depressiva si riferisce alla tendenza di alcuni individui di pensare

continuamente e ripetutamente a sintomi, cause e conseguenze delle loro emozioni

negative (Nolen-Hoeksema, 1991) ed è principalmente focalizzata su eventi passati

(Papageorgiou e Wells, 1999). La ruminazione non porta ad una soluzione attiva del

problema per cambiare le circostanze che circondano questi sintomi. Le persone che stanno

rimuginando, restano fissate sui loro problemi e sui sentimenti legati al problema, non

passando all’azione. Il contenuto del pensiero ruminativo nel depresso ha connotazione

tipicamente negativa, simile al pensiero automatico, è schematico, e riflette uno stile

cognitivo negativo (Beck, 1967). La ruminazione è collegata ad una varietà di stili cognitivi

disadattavi, tra cui stili di attribuzione inferenziale negativa, atteggiamenti disfunzionali,

disperazione, pessimismo, autocritica, dipendenza e nevrosi (Ciesla e Roberts, 2002; Flett,

Madorsky, Hewitt, & Heisel, 2002).

La ruminazione sembra avere un rapporto unico con la depressione, inoltre mantiene il

legame tra depressione e altri stili cognitivi negativi come nevrosi, pessimismo,

perfezionismo etc (Flett et al., 2002; Nolen-Hoeksema et al., 1994; Spasojevic & Alloy, 2001).

La ruminazione può essere un mediatore totale o parziale nel rapporto tra depressione e

nevrosi, stili inferenziali negativi, atteggiamenti disfunzionali, autocritica, dipendenza e

bisogno (Ito e Agari, 2003; Nolan, Roberts, Gotlib, 1998; Nolen-Hoeksema et al., 1994;

Spasojevic & Alloy, 2001). La ruminazione predice non solo la depressione, ma anche l'ansia,

l’abuso di sostanze, i disturbi alimentari, e probabilmente l’autolesionismo (Nolen-

Hoeksema, 2008).

Secondo la teoria degli stili di risposta (Nolen-Hoeksema, 1991) la ruminazione aggrava e

prolunga il disagio, in modo particolare la depressione, attraverso diversi meccanismi:

1) Attraverso l’attivazione di pensieri negativi e la memoria di essi, la ruminazione esacerba

l’impatto dell’umore depresso sul modo di pensare ed aumenta la probabilità che l’individuo

possa fare perciò inferenze negative riguardo le circostanze del presente; 2) La ruminazione

interferisce con l’adozione di strategie di problem solving adeguate; 3) La ruminazione

impedisce di attivare strategie efficaci per contrastare l’umore depresso; 4) Le persone che

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tendono a ruminare continuamente rischiano di perdere il supporto sociale, che a sua volta

alimenterà la loro depressione. Queste conseguenze della ruminazione rendono più

probabile che i sintomi iniziali di depressione diventino ancora più gravi ed evolvino in

episodi depressivi maggiori.

Le teorie di autoregolazione suggeriscono che la ruminazione possa essere adattiva quando

conduce alla risoluzione del problema o all’abbandono degli obiettivi irraggiungibili, ma è

disadattiva quando l’individuo tende a perseverare sulle discrepanze. Molti studi hanno

supportato le teorie di autoregolazione; argomenti che vanno a perseverare sulle

discrepanze, costituiscono un effetto negativo (Carver e Scheier, 1998; Martin, Shrira, e

Startup, 2004; Martin e Tesser, 1996; Watkins, 2008). In particolare, Pyszczynski e Greenberg

(1987) applicando i modelli di autoregolazione alla depressione, sostengono che le persone

depresse tendono a focalizzarsi sui fallimenti, ma non si focalizzano a seguito di un evento

positivo, su di esso.

Tra le strategie di regolazione emotiva maggiormente messe in atto, il soggetto che rumina

adotta molto spesso l’evitamento esperienziale. Essa è una strategia controproducente,

poiché impedisce all’individuo di rispondere efficacemente a stimoli emotivi, che vengono

evitati, ed ha spesso il paradossale effetto di aumentare la sofferenza in relazione a tali

stimoli (Wenzlaff e Wegner, 2000). L’evitamento è già stato descritto come processo

fondamentale del disturbo di ansia generalizzato (Borkovec, 1994; Mennin et al., 2005), in

cui la preoccupazione serve per distrarre l’individuo da possibili esperienze emotive temute

e dalle loro conseguenze. Questo evitamento attraverso la preoccupazione rinforza un falso

senso di controllo sulle emozioni ed in ultima istanza, impedisce all’individuo di affrontare

efficacemente le proprie esperienze interiori negative. Considerata l’elevata comorbilità tra

GAD e depressione e l’elevata correlazione tra le misure di ruminazione e preoccupazione, è

ipotizzabile che la ruminazione, così come la preoccupazione, assolva una funzione di

evitamento. In particolare, è possibile che i ruminatori evitino le esperienze di tristezza

attraverso i loro pensieri ripetitivi e ridondanti degli eventi passati. Questo modello fornisce

una spiegazione per la compresenza di depressione ed ansia, sostenendo che derivino

entrambe da tentativi disadattivi di evitare esperienze emotive. Inoltre, è compatibile con

altre teorie che sostengono che la ruminazione interferisca con l’adozione di adeguate

strategie di problem solving e/o altre risposte adattive agli affetti negativi (Nolen-Hoeksema,

2004). In accordo con quest’ultimo aspetto, la funzione evitante della ruminazione

interferirebbe con certi aspetti dell’esperienza emotiva, necessari perché abbia luogo un

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processo emozionale efficace (Foa e Kozac, 1986). Queste scoperte suggeriscono che coloro

che utilizzano la ruminazione in modo patologico (es. soggetti con depressione) hanno

credenze negative riguardo alle esperienze emotive esperite. Anche in questo caso la paura

delle emozioni dovuta ad interpretazioni errate interferisce con la capacità di rispondervi

adeguatamente e di adottare strategie efficaci di regolazione emotiva e di problem solving.

2.4 Disturbo Borderline di personalità

Il disturbo borderline è caratterizzato da esperienze emotive molto intense, conflitti nelle

relazioni interpersonali, sensibilità ai segnali di abbandono, tendenza al suicidio,

autolesionismo e comportamenti autodistruttivi impulsivi (American Psychiatric Association,

2000). Questi comportamenti autodistruttivi sono spesso concepiti come tentativi di

regolare, sfuggire, distrarsi o attenuare esperienze emotive indesiderate (Chapman, Dixon-

Gordon, & Walters, 2011; Linehan, 1993). Secondo Linehan (1993) il disturbo borderline si

caratterizza per la vulnerabilità delle emozioni e per la disregolazione emotiva. La

vulnerabilità emotiva (presumibilmente biologica) si riferisce ad una vulnerabilità intensa,

con una bassa soglia e risposte emotive durature. La disregolazione emotiva consiste nella

difficoltà del monitoraggio, accettazione, capacità di regolare le esperienze emotive e

l’incapacità di perseguire un obiettivo diretto ad un contesto di distress emotivo (Gratz &

Roemer, 2004). Così gli individui con disturbo borderline lottano con frequenti ed intense

emozioni negative e la mancanza di strategie adatte per tollerarle e modularle. Molte delle

difficoltà comportamentali delle persone borderline si verificano in risposta a fattori di stress

emotivo, poiché hanno difficoltà nel regolare o ridurre l’eccitazione emotiva (Chapman &

Dixon-Gordon, 2007; Chapman, Gratz & Brown, 2006).

In letteratura troviamo molti studi discordanti riguardo l’eccitabilità del sistema nervoso

autonomo di fronte a condizioni di distress emotivo. Alcuni studi dimostrano che vi è una

minore eccitabilità del sistema simpatico nei soggetti borderline rispetto ai soggetti con

disturbo evitante (Herpertz et al., 2000) e ai controlli (Herpertz, Kunert, Schwenger, e Sass,

1999). Altri studi invece mostrano che l’attività del parasimpatico è inferiore nei soggetti

borderline rispetto ai controlli in condizioni di stress emotivo (Austin, Riniolo, e Porges,

2007; Kuo & Linehan, 2009).

Attualmente solo pochi studi hanno esaminato le strategie di regolazione emotiva adottate

dai soggetti borderline. I non molti risultati che abbiamo a disposizione dimostrano che i

soggetti borderline hanno particolare difficoltà con un aspetto della regolazione delle

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emozioni: la capacità di persistere nel comportamento diretto a uno scopo, nonostante il

disagio emotivo (Gratz e Roemer, 2004). Questi soggetti hanno anche una capacità inferiore

a sopportare le emozioni negative e una bassa tolleranza all’angoscia (Bornovalova et al.,

2008). Questa combinazione di intense emozioni negative, bassa tolleranza del disagio, e un

repertorio ristretto di efficaci strategie di regolazione emotiva, può portare le persone con

disturbo borderline a sopprimere o evitare le esperienze emotive. Gli individui borderline

sono più propensi a usare le strategie evitanti per regolare le emozioni (Bijttebier &

Vertommen, 1999), coinvolgendo evitamento emotivo o soppressione. I risultati di

laboratorio hanno indicato che la gravità della diagnosi del disturbo borderline è associata ad

alti livelli di evitamento emotivo e soppressione (Chapman, Specht, e Cellucci, 2005). La

ricerca esistente sottolinea il ruolo di evasione esperienziale nel mantenimento della

sintomatologia borderline ( Chapman et al., 2011).

La soppressione può riguardare l’espressione delle emozioni o i pensieri. La soppressione

espressiva consente di ridurre l'espressione delle emozioni, così come l'esperienza personale

immediata di un’ emozione, ma porta ad un aumento dell’eccitazione fisiologica nel lungo

termine ( Gross & Thompson, 2007). Altri ricercatori si sono concentrati sul ruolo di

soppressione dei pensieri indesiderati in relazione alla psicopatologia (Wegner e Erber,

1992). Come già descritto nel Capitolo 1 la soppressione dei pensieri conduce

paradossalmente ad un successivo aumento della frequenza indesiderata dei pensieri,

definito "effetto rimbalzo" (Wegner, 1994), in particolare quando le persone sono sotto

stress o impegnate in un compito concomitante che richiede uno sforzo (Abramowitz, Tolin,

e Street, 2001; Wegner & Erber, 1992).

Anche se la soppressione può ridurre efficacemente l’esperienza soggettiva di fronte a

emozioni negative, gli sforzi coinvolti nella soppressione delle emozioni possono esaurire le

risorse necessarie per controllare gli impulsi e far fronte a stress futuri (Muraven, Tice,

Baumeister, 1998). La soppressione non consente di preparare il terreno per la gestione di

difficoltà emotive future, riducendo inoltre la tolleranza all’angoscia. I risultati suggeriscono

che queste conseguenze negative della soppressione emotiva si verificano anche tra gli

individui che soffrono di disturbo borderline ( Chapman et al., 2011). Chapman e colleghi

(2005) hanno trovato che i sintomi del soggetto borderline sono associati all’ evitamento

emotivo e che la soppressione del pensiero è stata associata a comportamenti autolesivi. La

ricerca indica inoltre che la soppressione emotiva rappresenta l’ associazione tra trauma

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sessuale e sintomi psichiatrici (Polusny, Rosenthal, Aban, Follette, 2004; Rosenthal et al.,

2005).

Recenti ricerche (Chapman et al, 2013) si allontanano dalla comune idea che questo

disturbo sia la conseguenza di una inabilità a regolare le emozioni, proponendo piuttosto che

questa condizione derivi da una tendenza a iper-regolare le emozioni. In questa prospettiva i

pazienti borderline indirizzerebbero le loro energie verso la downregulation, sperperando

risorse che non riescono ad essere investite in comportamenti funzionali. Rispetto a soggetti

di controllo, in seguito ad induzione di paura, i soggetti borderline riportano emozioni più

forti in termini di paura, irrequietezza ed ostilità; un ricorso maggiore ad alcune strategie,

quali distrazione, reappraisal o tentativi di soppressione delle emozioni ed un minore ricorso

all’accettazione emotiva.

Inoltre è stato notato che l’assenza di accettazione dell’emozione è collegata

all’accrescimento dell’ostilità in risposta agli stressor. Tali osservazioni suggeriscono che

alcune strategie di regolazione emotiva possono avere un ruolo di mediazione rispetto

all’effetto degli stressor, mentre altre strategie di regolazione emotiva, come l’accettazione,

possono avere un ruolo di moderazione.

Dal confronto con un ulteriore studio ( Evans et al, 2013) emergerebbe che i soggetti con

caratteristiche borderline non presenterebbero difficoltà nelle strategie di regolazione

emotiva. Esisterebbe una correlazione positiva tra l’uso di strategie evitanti e le

caratteristiche borderline, ma non una relazione con l’accettazione, che in questo studio,

sembrerebbe essere più efficace dei tentativi di sopprimere le emozioni. La regolazione

emotiva, dunque, non costituisce esclusivamente un epifenomeno, o l’espressione

sintomatologica di un disturbo.

2.5 Schizofrenia

Recenti ricerche suggeriscono che gli individui con schizofrenia non hanno la capacità di

regolare le proprie emozioni e che la disregolazione emotiva è presente a livello

esperienziale, processuale, espressivo, aggravando il distress e le esperienze sociali

disfunzionali.

Alcuni studi mostrano che l’elaborazione emotiva è carente nella schizofrenia (Aleman e

Kahn, 2005; 2001; Kohler et al., 2006), altri studi invece, suggeriscono che l’esperienza

emotiva soggettiva sia a livelli normali in questi soggetti (Kring e Neale, 1996;), mentre

sarebbe la reattività emozionale ad essere molto forte nei pazienti con schizofrenia (Kring e

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Neale, 1996; 2000). Questa disgiunzione tra espressione, esperienza e percezione emotiva, è

stata definita “paradosso emotivo” (Aleman & Kahn, 2005). Se tale disgiunzione tra i domini

dell’emozione è presente, è probabile che il processo sottostante la regolazione emotiva ne

sarà influenzato; ad esempio se si prova difficoltà a percepire le emozioni, le fasi successive

nella regolazione delle emozioni saranno ostacolate. Nonostante il “paradosso emotivo” la

ricerca che va ad indagare la regolazione emotiva nei soggetti con schizofrenia è molto

scarsa. Anche se è stato ampiamente riconosciuto che i pazienti schizofrenici soffrano di

appiattimento affettivo (Carpenter, 2007; Gur et al, 2006), alcune evidenze suggeriscono

che l’esperienza soggettiva dei pazienti schizofrenici è simile a quella dei soggetti sani (Gur

et al, 2006;. Kring e Neale, 1996), mentre la reattività di conduttanza cutanea è maggiore nei

soggetti schizofrenici. La disgiunzione potrebbe essere causata da una disabilità a valutare gli

stimoli a valenza negativa, che porterebbe alla necessità di sopprimere queste esperienze

emotive. Ciò può accadere sia nei soggetti sani che nei soggetti con schizofrenia; ma in

quest’ultimi c’è una maggiore attivazione dei circuiti cerebrali legati all’ emotività e una

maggiore reattività fisiologica.

Come già osservato sono pochi gli studi che hanno affrontato la relazione tra schizofrenia e

regolazione emotiva ed inoltre non sono stati trovati risultati molto soddisfacenti.

Lo studio di Van der Meer e colleghi (2009) ha testato e confermato l’ipotesi che i pazienti

con schizofrenia sopprimano le emozioni più frequentemente dei soggetti sani, e fanno

meno uso della strategia di rivalutazione. A differenza dei controlli sani che tendono ad

utilizzare mezzi cognitivi per reinterpretare gli stimoli interni al fine di diminuire la valenza

affettiva dello stimolo emotivo, i pazienti con schizofrenia sono più propensi a sopprimere la

valenza emotiva degli stimoli. L'uso eccessivo di strategie di soppressione, invece dell’utilizzo

di strategie di rivalutazione, può provocare discrepanze tra lo stato interiore e il

comportamento che viene messo in atto (Higgins, 1987). Ovvero, la loro preferenza per

l'utilizzo della soppressione emotiva, può determinare un’apparente stato affettivo piatto,

anche se la loro esperienza emotiva soggettiva è analoga a quella dei controlli sani. Questo

potrebbe spiegare la scoperta controintuitiva che i pazienti affetti da schizofrenia

esperiscano forti sentimenti interiori di negatività o positività (Gur et al, 2006;. Kring e Neale,

1996), ma non sono in grado di esprimerli e di soffrire per la loro piattezza affettiva

(Carpenter, 2007;. Gur et al, 2006).

Problemi nella regolazione delle emozioni sono stati collegati anche al tratto della

personalità di alessitimia (Taylor et al, 1997). Alessitimia significa letteralmente “non avere

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parole per i sentimenti”, è un costrutto multidimensionale che comprende le difficoltà di

identificare i propri sentimenti, descrivere i sentimenti di altre persone e nell’effettuare una

valutazione corporea delle sensazioni di eccitazione emotiva; i processi di immaginazione

sono minimi e lo stile cognitivo è orientato verso l’ esterno, con una relativa mancanza di

introspezione (Sifneos, 1973; Taylor et al., 1997). L’alessitimia può essere suddivisa in due

componenti: cognitiva-emozionale e soggettiva-emozionale (Vorst & Bermond, 2001).

Fino ad ora, tre studi hanno riportato punteggi di alessitimia significativamente più elevati

nei pazienti schizofrenici (Cedro et al., 2001; Stanghellini e Ricca, 1995). È possibile che

questi alti punteggi di alessitimia nei pazienti schizofrenici derivino da un deficit nella

verbalizzazione dei pensieri in generale, non esclusivamente sentimenti. Quindi, le persone

più eloquenti avranno meno difficoltà a verbalizzare i loro pensieri, compresi i loro

sentimenti.

2.6 Regolazione emotiva e aggressività

È stato ipotizzato che l’aggressione impulsiva e la violenza, nascono come conseguenza di

una regolazione emotiva difettosa. Infatti, la corteccia prefrontale riceve una grande

proiezione serotoninergica, che è disfunzionale in individui che mostrano violenza impulsiva.

Gli individui vulnerabili a un guasto nella regolazione delle emozioni negative sono a rischio

per la violenza e l'aggressione. La ricerca sui circuiti neurali di regolazione delle emozioni

suggerisce nuove vie di intervento per tali popolazioni a rischio ( Davidson et al, 2000).

Secondo Davidson e colleghi (2000) la propensione per l’aggressività impulsiva è associata ad

una bassa soglia di attivazione affettiva negativa ( una miscela di emozioni e stati d’animo

che comprendono la rabbia, l’angoscia e l’agitazione) e con la mancanza di risposte adeguate

per le conseguenze negative attese del comportamento aggressivo. Numerosi studi

dimostrano che l’affettività negativa può precipitare ed accentuare il comportamento

aggressivo (Berkowitz, 1999). Sebbene la maggior parte degli studi neurobiologici su

aggressione e violenza non distinguono tra aggressione premeditata e impulsiva; Davidson et

al (2000) hanno invece cercato di operare questa distinzione concentrandosi sulle differenze

genetiche, neurochimiche, neuroanatomiche, andando a porre maggiormente attenzione

all’aggressione impulsiva, che spesso culmina in violenza fisica.

In questa sede non affronterò in maniera approfondita la neurobiologia di rabbia e

aggressività, poiché è un argomento troppo vasto e questa non è che una trattazione

riassuntiva dal rapporto tra aggressività e regolazione delle emozioni.

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Impulsività e aggressività affettiva possono essere considerate il prodotto di un fallimento

nella regolazione emotiva (Davidson et al, 2000). Gli individui normali sono in grado di

regolare volontariamente la loro affettività negativa e ciò è visibile anche da alcuni segnali di

ritenzione che producono nell’ambiente circostante, come segni facciali e vocali di rabbia o

paura, i quali hanno anche un ruolo di regolazione. Gli individui predisposti all’aggressione e

alla violenza hanno un’anomalia nel circuito centrale responsabile delle strategie

comportamentali adattive.

Anomalie strutturali o funzionali in una o più delle regioni responsabili della regolazione

emotiva (corteccia prefrontale orbitale, corteccia prefrontale dorso laterale, amigdala e

corteccia cingolata anteriore), o nelle loro interconnessioni, possono aumentare la

propensione per l’aggressività impulsiva. Un’alterazione del sistema serotoninergico è stata

collegata alla possibilità di aggressioni e violenze. La serotonina è stata ipotizzata esercitare

un controllo inibitorio sull’aggressività impulsiva (Bechara et al, 1997). Anomalie della

funzione serotoninergica sono particolarmente importanti nelle regioni della corteccia

prefrontale (PFC). Altri neurotrasmettitori, neuromodulatori e ormoni sono probabilmente

coinvolti, tra cui, il testosterone (Higley et al, 1996), la norepinefrina, la dopamina, l’ormone

di rilascio della corticotropina ( Mann, 1998) e il colesterolo (Kaplan et al, 1994), anche se

nessuno di questi ha ricevuto molta attenzione negli studi di aggressività e violenza

sull’uomo.

Il ruolo dell’amigdala nell’aggressività impulsiva è complesso (Emery et al, 2000). I

comportamenti individuali che connotano l’aggressività (ad esempio, gli occhi che fissano,

vocalizzazione minacciosa, postura in avanti) vengono convogliati dal nucleo laterale

dell’amigdala, che poi proietta ai nuclei della base, ed è qui che arrivano informazioni sul

contesto sociale dalla OFC, la quale opera un’ integrazione delle informazioni percettive

(Ongur et al, 2000; Cavada et al, 2000). Risposte comportamentali possono essere avviate

tramite proiezioni che partono dai nuclei della base e raggiungono varie zone corticali. Le

risposte fisiologiche possono essere prodotte attraverso proiezioni dei nuclei della base al

nucleo centrale, successivamente all’ipotalamo e al tronco encefalico. Troppa o troppa poca

attivazione dell’amigdala può dar luogo a un’affettività negativa eccessiva, o a una diminuita

sensibilità agli stimoli sociali che regolano l’emozione.

La corteccia orbitomediale (OFC), attraverso le sue connessioni con le aree della corteccia

prefrontale (PFC) e con l’ amigdala, svolge un ruolo cruciale nel controllare le esplosioni

impulsive; mentre la corteccia cingolata anteriore (AAC) e altri sistemi neurali, tra cui la PFC

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si attivano in risposta a conflitti (Bush et al, 2000). Nei normali individui, l’attivazione di

queste regioni cerebrali, che si verifica durante l’eccitazione, la rabbia e altre emozioni

negative, limitano l’espressione impulsiva del comportamento emotivo. Dei deficit in questo

circuito si ipotizza che aumentino la vulnerabilità di una persona all’aggressione impulsiva.

Quindi l’aggressività impulsiva e la violenza riflettono anomalie nella circuiteria della

regolazione delle emozioni del cervello, anche se la struttura e la funzione di questo circuito

sono ovviamente influenzate da molti fattori: sia genetici che ambientali.

2.7 L’ Alessitimia

L’alessitimia è una caratteristica di personalità che per la prima volta Sifneos (1973) ha

descritto in pazienti psichiatrici e psicosomatici e che si contraddistingue per l’incapacità di

trovare parole per descrivere i propri sentimenti. Attualmente l’alessitimia ha una

definizione più raffinata, contenente cinque caratteristiche (Taylor et al, 2000):

1) Difficoltà nell’individuare un’emozione

2) Difficoltà nel descrivere sentimenti verbalmente

3) Riduzione o incapacità di provare emozioni

4) Mancanza della tendenza di immaginare uno stato emotivo, o uno stile cognitivo

orientato all’esterno

5) Scarsa capacità di fantasticare o di utilizzare il pensiero simbolico

L’ Alessitimia si riferisce ad un disturbo specifico di elaborazione emotiva, a capacità

particolarmente ridotte nella verbalizzazione e nella realizzazione dell’ emozione. Studi

longitudinali hanno anche suggerito che l’alessitimia è significativamente associata con la

gravità della depressione (Honkalampi et al, 2001), con l’ ansia (Berthoz et al, 1999) e la

schizofrenia ( Cedro et al, 2001). Il tasso di prevalenza di alessitimia è significativamente più

alto in pazienti con disturbi psicosomatici, come disturbi alimentari (Ridout et al 2010),

fibromialgia (Huber et al, 2009) e dolore lombare (Mehling et al, 2005), rispetto ai gruppi di

controllo.

È stato ipotizzato che l’alexitimia sia uno stato cognitivo del pensiero orientato verso

l’esterno, caratterizzato da instabilità emotiva e prestazioni insicure nella capacità di

controllare situazioni stressanti. Un forte dibattito ruota attorno al concetto di alessitimia; se

esso sia un disturbo dato da un deficit affettivo (componente di stato), o se sia determinato

da una variabile continua di personalità (componente di tratto).

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Uno studio di Stasiewicz et al. (2012) ha esplorato la relazione tra alessitimia e regolazione

emotiva; in particolare la capacità di venire a patti con le emozioni negative, ed è stato

scoperto che: alti punteggi alla TAS-20, correlano negativamente con una varietà di

competenze di regolazione emotiva. Gli individui con punteggi più alti di alessitimia avevano

più difficoltà a gestire gli stati d'animo negativi, i quali sono una parte importante della

regolazione emotiva . Persone senza alessitimia sono state in grado di andare avanti dopo

aver sperimentato emozioni negative, mentre le persone con alessitimia avevano più

difficoltà a venire a patti con le loro emozioni. Questi risultati possono suggerire che i

soggetti con alessitimia possono avere una predisposizione verso sentimenti negativi, a

partire da ciò hanno una maggiore difficoltà nell’affrontare e gestire le emozioni negative

(Pogostin et al, 2013). Questo deficit nella regolazione delle emozioni sembra implicare che

le persone alessitimiche possono individuare più emozioni negative dentro se stesse. Questa

conclusione è supportata da uno studio condotto da Yelsma (2007), che ha osservato quanto

l'alessitimia sia stata associata ad una maggiore consapevolezza emotiva negativa e ad una

bassa consapevolezza emotiva positiva. Un ulteriore studio che ha confermato come l’

alessitimia sia associata a maggiore consapevolezza emotiva negativa è quello di Connelly e

Denney (2007). Questo studio ha inoltre rilevato che questa elevata affettività negativa era

presente indipendentemente da fattori ambientali; ovvero, anche quando i partecipanti non

stavano vivendo in condizioni ambientali tali da indurre emozioni negative, gli individui con

punteggi più alti di alessitimia, esperivano più emozioni negative e meno emozioni positive.

Questi studi dimostrano che l’ alessitimia è legata all’identificazione in sé stessi di elevate

emozioni negative e al riconoscimento invece, di pochissime emozioni positive.

2.8 La gestione delle emozioni negative e i possibili trattamenti

Come ho descritto in questi due capitoli i tentativi di controllo e soppressione della risposta

emozionale non vanno a ridurre il distress dell’individuo che vive l’emozione, anzi

paradossalmente in alcuni casi lo possono aumentare ( Gross, 1998). Inoltre questo

meccanismo conduce ad una riduzione della capacità di esperire emozioni positive. Le

emozioni negative fanno parte del nostro percorso di vita e della nostra esperienza, credere

che queste siano pericolose e che vadano il più possibilmente allontanate, può condurre ad

un timore generalizzato degli stati emotivi e a condotte di evitamento che limitano

notevolmente la qualità di vita dell’individuo (Hayes 2004). Il paziente può essere aiutato ad

abbandonare la tendenza alla soppressione e all’evitamento con varie tecniche di gestione

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delle emozioni negative, tra queste troviamo tecniche di gestione dello stress (rilassamento,

mindfulness) per ridurre l’aorousal, o la ristrutturazione cognitiva. Tuttavia molte evidenze

sperimentali hanno mostrato che la terapia cognitivo comportamentale e l’utilizzo della

“disputa razionale” non sempre funzionano. Purtroppo non è andando a modificare le

credenze che si va sempre a modificare lo stato d’animo. Per questo motivo i trattamenti di

terza generazione sembrano essere più efficaci: da una parte recuperano le tecniche

comportamentali, dall’altra introducono tecniche di mindfulness e di padronanza cognitiva.

Le terapie di terza generazione contrappongono il controllo (fallimentare) dell’esperienza

emotiva, alla disponibilità a vivere tali esperienze emotive negative. Ciò che si controlla è il

comportamento disfunzionale (ad esempio l’evitamento), in tal modo l’emozione “negativa”

può essere tollerata in quanto non impedisce all’individuo di vivere la sua vita.

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CAPITOLO 3. CORRELATI PERIFERICI DELLE EMOZIONI E DIFFERENZE

DI GENERE

3.1 Correlati periferici delle emozioni

Come già trattato ampiamente nei primi capitoli l’emozione è la risposta che l’inidividuo

mette in atto di fronte a stimoli esterni ed interni, la quale determina delle modificazioni

fisiologiche, accompagnata da attivazioni cognitive e produce delle conseguenze a livello

comportamentale. L’esperienza emotiva è quindi il prodotto dell’interazione di processi

sensoriali e periferici ( le modificazioni corporee correlate alle emozioni) e di processi

cognitivo-superiori (mediati dalla corteccia). Quando questi sottosistemi di risposta:

cognitivo, comportamentale e autonomo sono efficacemente coordinati, consentono di

mettere in atto un comportamento diretto ad uno scopo, consentendo un adattamento

flessibile dell’organismo in base alle richieste ambientali. Il ruolo delle componenti

fisiologiche periferiche e centrali nell’esperienza delle emozioni è stato esaminato da una

serie di modelli teorici di riferimento. Possiamo distinguere tre filoni di analisi:

1) Secondo la teoria periferica di James-Lange (1884) l’emozione non sarebbe altro che

la rilevazione cosciente delle modificazioni periferiche, deriverebbe quindi dalla

valutazione consapevole di quanto accade nel nostro organismo. La sequenza che

descrive un’ emozione non è quella del senso comune, e cioè: “percepisco un evento,

ciò produce un effetto mentale chiamato emozione e questa provoca delle

conseguenze sull’organismo”, ma piuttosto il contrario. Sarebbero le modificazioni

fisiologiche delle strutture periferiche (ad esempio l’aumento della frequenza

cardiaca, della pressione ecc) in conseguenza dell’evento, che determinano

l’esperienza emotiva. Secondo James, le modificazioni viscerali e somatiche sono

proprio un dato essenziale, ciò che rende emotiva la percezione di uno stimolo che

diversamente sarebbe una semplice constatazione cognitiva del tipo: c’è un orso, è

opportuno che inizi a correre.

2) Cannon (1927) fu il primo studioso che si oppose al modello di James-Lange. Sulla

base di dati sperimentali Cannon sosteneva che il comportamento emotivo non

subisce modificazioni anche quando viene interrotta la comunicazione tra i visceri e il

sistema nervoso centrale. La teoria di Cannon viene anche definita teoria

talamica poiché sposta la sede dell’emozione a livello neurofisiologico attribuendo al

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talamo un ruolo essenziale. Secondo Cannon e Bard sia le vie corticali che le vie

sottocorticali, hanno un ruolo primario nella mediazione dell’esperienza emotiva. Il

talamo e l’ ipotalamo rappresentano i centri di controllo delle azioni motorie che

includono, a loro volta, cambiamenti nel sistema periferico. L’informazione di

feedback provenienti dalle aree periferiche inviano alla corteccia output per

l’elaborazione dello stato emotivo.

3) In tempi più recenti, l’esperienza emotiva è stata considerata come il risultato

dell’interazione di fattori periferici e centrali. Leventhal, Scherer (1987) ed in

seguito Damasio (2000) affermano che il processo di valutazione dello stimolo e della

situazione emotiva avrebbe origine a partire da specifiche attivazioni fisiologiche e

grazie alla presenza di programmi neuromotori innati. Secondo questo modello, alla

base dell’esperienza emotiva ci sono un insieme innato di programmi neuromotori,

ma affinché essa abbia luogo sono necessari meccanismi cognitivi in grado di valutare

l’entità dello stimolo che possano così supportare le risposte comportamentali del

soggetto.

Poiché già nel primo capitolo ho ampiamente trattato e descritto le aree del sistema nervoso

centrale coinvolte nella regolazione emotiva, successivamente mi concentrerò sulla

descrizione dei correlati periferici delle emozioni.

I differenti stati emotivi possono essere associati a differenti pattern di attivazione del

sistema nervoso autonomo (SNA)? Questa vecchia questione gode di una modesta ripresa in

psicologia solo in tempi recenti. Nel 1950 la specificità del sistema nervoso autonomo era un

elemento chiave dell’emergente disciplina psicofisiologica, la quale missione scientifica era

quella di esplorare la relazione mente-corpo, facendo ricorso a strumenti di misura

elettrofisiologici. Tuttavia dopo il raggiungimento della piena maturazione psicofisiologica, la

psicologia si allontanò dalle sue radici fisiologiche, e venne dominata dalle teorie

dell’apprendimento, dal comportamentismo, dalle teorie sulla personalità e più tardi dal

cognitivismo. La ricerca sulle specificità autonomiche nelle emozioni divenne sempre più

rara. Forse come risultato di queste tendenze storiche in psicologia, o forse perché la ricerca

sulle emozioni e la fisiologia insieme vengono fatte bene con difficoltà. Infatti esistono solo

un piccolo corpo di studi sulla specificità del sistema nervoso autonomo riguardo le

emozioni. Sebbene quasi tutti questi studi riportino alcune prove dell’esistenza di specificità,

la specificità non è stata stabilita empiricamente.

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Ricercatori contemporanei nel campo delle emozioni detengono posizioni contrarie riguardo

al tema dell’attivazione del sistema nervoso autonomo (SNA) in concomitanza

dell’emozione. Per esempio, ad un estremo troviamo Feldman-Barret (2006), il quale ha

dichiarato che “non è possibile affermare con sicurezza che ci sono tipi di emozione che

riportano firme autonomiche uniche ed invarianti”, piuttosto vi sono configurazioni che

seguono le generali condizioni di pericolo e sfida e di affettività positiva contro affettività

negativa. Una posizione intermedia è suggerita da meta-analisi che indagano la risposta

fisiologica alle emozioni (Cacioppo, Berntson, Klein, et Poehlmann, 1997; Cacioppo et al.,

2000), questi studi riportano un certo grado di specificità emotiva autonomica. Oltre ad

alcune rilevanti differenze tra emozioni specifiche, Cacioppo e i suoi collaboratori notarono

anche effetti contesto specifici di attivazione del SNA in base alle varie emozioni. Inoltre,

sono stati trovati pattern di valenza specifici per pattern emotivi specifici: ovvero le emozioni

negative sono state associate a risposte autonomiche più forti rispetto alle emozioni positive

(Taylor, 1991). Tuttavia in questa meta-analisi è stata presa in considerazione solo

un’emozione positiva: la felicità, categorizzata come gioia. Abbiamo quindi una

rappresentazione ineguale poiché vi è una sola emozione positiva, in contrasto con un

campione di cinque emozioni negative. A causa di un numero limitato di studi considerati,

una ristretta gamma di variabili fisiologiche ( solo cardiovascolare ed elettrotermica ma non

respiratoria) e la natura univariata dell’approccio meta-analitico, tali risultati ci danno solo

una risposta imperfetta alla domanda di patterning autonomo riguardo l’emozione. La

posizione diametralmente opposta a quella di Feldman-Barret (2006) è quella di Stemmler

(2004), il quale ha sostenuto che il SNA non dovrebbe trasmettere schemi specifici di

attivazione per le emozioni, se questi hanno funzioni specifiche per l’adattamento umano.

Secondo Stemmler (2004) poiché le emozioni hanno obiettivi diversi, richiedono pertanto

un’attività autonomica differenziata, come protezione per il corpo e preparazione del

comportamento. L’attività autonomica per la preparazione del comportamento è

l’attivazione fisiologica che si verifica prima che qualsiasi comportamento sia iniziato e che

coinvolge il SNA secondo le esigenze comportamentali. Utilizzando un approccio funzionale,

Stemmler (2004) ha sottolineato l’importanza di studiare i modelli di regolazione autonomi

delle emozioni, piuttosto che le singole misure di risposta. Secondo l’opinione che il sistema

nervoso centrale (SNC) è organizzato per la produzione di risposte integrate, piuttosto che

per cambiamenti singoli ed isolati (Hilton, 1975) qualsiasi variabile che può essere descritta o

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misurata indipendentemente è costituita da diversi pattern. Solo quando si considerano le

matrici complete di misure fisiologiche si possono individuare tali modelli di regolazione.

La maggior parte delle teorie delle emozioni accetterebbero la proposta che l’attivazione del

sistema nervoso autonomo è uno dei cambiamenti che si verificano durante l’emozione. Ma

le varie teorie differiscono per il numero di modelli differenti sul SNA, che costituiscono un

insieme di possibilità di scelta. Ad un estremo abbiamo coloro che sostengono che ci sono

solo due modelli del SNA: “ON” e “OFF”. Il modello ON è costituito dalle emozioni e dal

sistema nervoso autonomo ad alto livello, con attivazione globale e diffusa. Mediata

principalmente dal ramo simpatico del SNA. Questo modello si manifesta con: contrazioni

veloci del cuore, respirazione rapida e profonda, una pressione sistolica e arteriosa

maggiore, sudorazione, secchezza delle fauci, reindirizzamento del flusso sanguigno verso la

grande muscolatura scheletrica, vasocostrizione periferica, rilascio di grandi quantità di

epinefrina e noradrenalina dalla midollare surrenale ed un rilascio di glucosio dal fegato.

Cannon (1927) ha descritto alcuni dettagli di questo modello, sostenendo che questo tipo di

alta intensità, di eccitazione indifferenziata accompagni tutte le emozioni. La nozione di

eccitazione indifferenziata si trova in varie teorie; in quella di Mandler (1975), di Schachter e

Singer (1962). Secondo Cannon (1927) e i sostenitori di questo modello, il SNA sarebbe

troppo lento e indifferenziato per produrre rapidamente modelli di risposta altamente

organizzati e specifici per le varie emozioni. Mentre i fisiologi contemporanei vedono un

margine più ampio dell’organizzazione del SNA (Bandler et al., 2000; Folkow, 2000; Jänig et

Häbler, 2000; Jänig, 2003; Levenson, 1988). La ricerca negli ultimi 50 anni ha invalidato

l’opinione che la componente simpatica funzioni in modalità “tutto o nulla” senza che vi sia

una distinzione tra i vari organi effettori (Cannon, 1939). Piuttosto, ogni organo e tessuto è

innervato da distinti percorsi del sistema simpatico e parasimpatico; con scarsa o assente

comunicazione fra loro (Jänig & McLachlan, 1992a, 1992b; Jänig & Habler, 2000). Ampie

porzioni di neruoni simpatici possono essere selettivamente impiegate in modo che singoli

circuiti, o altre unità, possano essere attivate indipendentemente (Folkow, 2000). L’unità

funzionale assunta in origine dal sistema simpatico-adreno-midollare, attualmente viene

suddivisa in due sistemi controllati da circuiti separati: uno diretto e nervoso e l’altro

ormonale e adreno-midollare. Questi due sistemi nella maggior parte delle situazioni hanno

ruoli funzionali differenti (Folkow, 2000). Mentre il primo sistema ha un’esecuzione rapida,

precisa e altamente differenziata; il secondo modifica indipendentemente importanti

funzioni metaboliche. In situazioni di emergenza, può avvenire una massiva e generalizzata

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attivazione del sistema simpatico-surrenale, le due parti possono anche reciprocamente

sostenersi. Le attività respiratorie hanno un effetto evidente sul controllo del SNA, inoltre

forniscono un contributo significativo e indipendente ai chemorecettori periferici e centrali

sensibili al CO2 (Wilhelm, Schneider, Friedman, 2005). L’attività respiratoria ci fornisce

ulteriori informazioni, oltre a quelle indicate dall’attività cardiovascolare ed elettrodermica,

riguardo l’attività del SNA di fronte all’emozione. Le misure respiratorie sono importanti per

interpretare gli effetti del funzionamento del SNA, indicato da misure cardiovascolari, le

quali sono modulate da effetti respiratori. Una valutazione globale delle misure

cardiovascolari, elettrodermiche e respiratorie è in grado di fornirci informazioni ulteriori sul

funzionamento del SNA in rapporto all’emozione. Diversamente da quanto sostenuto

dall’originale concezione per cui il SNA abbia un funzionamento indipendente dal resto del

sistema nervoso, oggi possiamo dire invece che esiste una stretta interazione tra sistema

nervoso centrale e autonomo, in vari modi. Come il sistema nervoso somatico anche il SNA

è integrato a tutti i livelli di attività nervosa. Mentre i riflessi segmentali del SNA sono

coordinati dal midollo spinale, l’integrazione soprasegmentale superiore nel cervello è

necessaria per la regolazione di funzioni come: respirazione, pressione sanguigna,

deglutizione e movimenti delle pupille. All’interno dell’ipotalamo vi sono complessi sistemi di

integrazione che influenzano le varie componenti del SNA. Molte delle attività

dell’ipotalamo sono a loro volta disciplinate da varie aree corticali, tra cui l’insula, il cingolato

anteriore, la corteccia prefrontale ventromediale, così come il nucleo centrale dell’amigdala,

i quali ricevono input dall’ambiente esterno. Così, le regolazioni fondamentali dell’organismo

nel suo ambiente, possono essere conseguite solo da una coordinazione e integrazione delle

attività somatiche ed autonomiche, le quali prendono origine da elevate attività

neurologiche che, a partire dalla corteccia, raggiungono il midollo spinale e il sistema

nervoso periferico. È necessario un alto grado di specificità nell’organizzazione del SNA per

una precisa regolazione neurale del funzionamento omeostatico corporeo, durante le

diverse sfide di adattamento in un ambiente in continua evoluzione. In questo contesto le

emozioni possono fornire risposte rapide e affidabili alle sfide e ai cambiamenti della vita.

Quanto affermato in queste ultime righe riguardo all’interazione fra aree del sistema

nervoso centrale e aree del sistema nervoso autonomo è in conformità con le teorie più

recenti, le quali ritengono infatti che l’esperienza emotiva sia il risultato dell’interazione di

fattori centrali e periferici. Leventhal, Scherer (1987) ed in seguito Damasio (2000)

affermano che il processo di valutazione dello stimolo e della situazione emotiva avrebbe

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origine a partire da specifiche attivazioni fisiologiche e grazie alla presenza di programmi

neuromotori innati. Secondo questo modello, alla base dell’esperienza emotiva ci sono un

insieme innato di programmi neuromotori, ma affinché essa abbia luogo sono necessari

meccanismi cognitivi in grado di valutare l’entità dello stimolo che possano così supportare

le risposte comportamentali del soggetto. Le strutture anatomiche che sono più

strettamente implicate nella comprensione e nella produzione dei comportamenti emotivi

sono situate nel sistema limbico. Anche se il termine sistema limbico è ancora usato per

riferirsi ai circuiti emotivi del cervello, la teoria del sistema limbico è stata oggetto di attacchi

per diversi motivi (Kotter e Meyer, 1992; LeDoux 1987, 1991, 1996; Swanson, 1983). In

primo luogo, non esistono criteri ampiamente accettati per decidere ciò che è e ciò che non

è una zona limbica. In secondo luogo, la teoria del sistema limbico non spiega come il

cervello produce le emozioni. Il punto molto probabile è localizzato in una vasta area del

prosencefalo, che si trova all’incirca tra la neocorteccia e l’ipotalamo, ma non tiene conto di

come aspetti specifici di una determinata emozione potrebbero essere mediati. Nella prima

parte del ventesimo secolo, i ricercatori hanno identificato l'ipotalamo come struttura chiave

nel controllo del sistema nervoso autonomo (Karplus e Kreidl, 1927). Sulla base di queste

prime osservazioni (Cannon e Britton, 1925), nel loro lavoro Cannon e Bard proposero una

teoria ipotalamica delle emozioni che consisteva di tre punti principali: (1) l'ipotalamo valuta

la rilevanza emotiva degli eventi ambientali; (2) l'espressione delle risposte emotive è

mediata dalla scarica degli impulsi che vanno dall' ipotalamo al tronco cerebrale; (3) le

proiezioni che vanno dall’ ipotalamo alla corteccia mediano l'esperienza emotiva cosciente

(Bard, 1928; Cannon, 1929). L’amigdala è un’ area molto importante del sistema limbico,

che tuttavia non ha assunto particolare rilievo fino al 1956, quando Weiskrantz ha

dimostrato che le componenti emozionali della sindrome di Klover e Bucy (Kluver and Bucy,

1937), una costellazione di conseguenze comportamentali determinate da danni al lobo

temporale, sono stati causa di un coinvolgimento dell’amigdala. Negli anni successivi alla

pubblicazione di Weiskrantz, una serie di studi condotti in molti laboratori hanno portato alla

conclusione che danni all'amigdala interferiscano con l'acquisizione e l'espressione della

paura condizionata (LeDoux, 2000; Maren, 2001). Uno dei primi modelli che ha riconosciuto

un’ importanza essenziale dell’amigdala nel determinare l’esperienza emotiva è quello di

LeDoux (1996). L’ amigdala costituisce un punto di raccordo tra il sistema nervoso centrale e

quello periferico. Essa ha importanti funzioni nella comprensione e valutazione della

situazione emotiva. L’amigdala riceve informazioni grossolane dal talamo sugli stimoli esterni

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e informazioni di livello superiore dalla corteccia e informazioni ancora superiori dai sensi

riguardo la situazione generale dell’ ippocampo. Attraverso queste connessioni è in grado di

elaborare l’importanza emotiva di stimoli individuali o di situazioni complesse.

Come già ripetuto più volte i risultati di numerose indagini mostrano che le aree del SNC

coinvolte nelle emozioni sono sia regioni corticali ( aree frontali, temporali, parietali ) che

regioni sottocorticali ( gangli basali, talamo, amigdala e ippocampo). Queste aree sono

coinvolte in una grande varietà di emozioni positive e negative, come felicità, ansia, rabbia,

tristezza, disgusto (Borod, 2000; Lane et Nadel, 2000). Un corpo a sé stante di ricerche in

psicofisiologia ha invece cercato di identificare i patterns del sistema nervoso autonomo

coinvolti nell’emozione. Lo studio del collegamento tra correlati centrali e autonomi

dell’emozione è rilevante in numerosi campi d’ indagine tra cui neuroscienze affettive,

neurocardiologia, psicofisiologia e medicina comportamentale. Tuttavia solo pochi studi

hanno esaminato contemporaneamente le risposte del SNC e SNA durante l’emozione. Un

filone di studi ha suggerito essere l’emisfero destro dominante nel suscitare risposte

autonome durante l’emozione (Borod e Madigan, 2000; Gainotti, 1989; Wittling et

Roschmann, 1993). Tuttavia, altri ricercatori propongono modelli più complessi di

associazione tra risposta centrale e periferica legati all’emozione (Lane et Jennings, 1995;

Lane et Schwartz, 1987; Thayer et Lane, 2000), molti di questi modelli si concentrano su

interconnessioni sia corticali che sottocorticali. Poiché le ricerche che analizzano

contemporaneamente l’attività del SNC e SNA sulle emozioni sono scarse, è stato utile per

me analizzare il lavoro di Hagemann et al (2003) il quale va a raggruppare e ad offrire una

panoramica di questi studi. La meta-analisi di Hagemann et al. (2003) ha preso in

considerazione tutte quelle indagini che hanno misurato direttamente l’attività del SNC con

l’elettroencefalogramma (EEG), con i potenziali evocati (EP) e con tecniche di neuro

immagine, insieme all’utilizzo di misure di attivazione del SNA. Gli studi presentati hanno

utilizzato procedure diverse per indurre l’emozione: presentazione di filmati (Lane, Reiman,

Ahern, e Thayer, 2000), presentazioni di immagini con relativa espressione facciale (

Schneider et al., 1995), richiamo di episodi di vita personale (Waldstein et al., 2000),

anticipazioni di scosse elettriche (Slomine, Bowers, e Heilman, 1999), induzione ipnotica

(de Pascalis, Ray, Tranquillo, e D’ Amico, 1998). Gli studi descritti nella review di Hagemann

et al (2003) hanno utilizzato una varietà di variabili per misurare l’attività del SNA. Il SNA ha

due principali rami: il sistema nervoso simpatico e parasimpatico, i quali vanno ad innervare

organi viscerali, vasi sanguigni e ghiandole. La misura più utilizzata per rilevare l’attività del

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SNA è la frequenza cardiaca (HR), la quale viene regolata in maniera antagonista dai sistemi

simpatico e parasimpatico. Questa duplice influenza rende notevole l’ambiguità di

interpretazione delle risposte HR, ma l’inclusione di altre misure cardiovascolari può aiutare

ad evitare questo problema. Altre misure ampiamente utilizzate per misurare l’attività del

SNA, sono la pressione sanguigna, la quale è influenzata sia dall’attività simpatica che

parasimpatica e la conduttanza cutanea, la quale invece riflette soprattutto l’attività

simpatica. Alcuni studi hanno suggerito un ruolo critico dell’emisfero destro nel mediare la

risposta del SNA agli stimoli, tra questi lo studio di Slomine at al (1999) che ha dimostrato

una riduzione della frequenza cardiaca in risposta a stimoli piacevoli e spiacevoli in pazienti

cerebrolesi destri, rispetto ai cerebrolesi sinistri o a soggetti di controllo ( risultati analoghi

sono stati ottenuti da: Andersson et Finset, 1998; Caltagirone, Zoccolotti, Originale, Daniele,

Mammucari, 1989; Heilman, Schwartz, Watson, 1978; Meadows e Kaplan, 1994; Morrow,

Vrtunski, Kim, e Boller, 1981; Zoccolotti, Caltagirone, Benedetti, e Gainotti, 1986; Zoccolotti,

Scabini, Violani, 1982). Al contrario, studi recenti che hanno esaminato pazienti con lesioni

cerebrali più distinte, suggeriscono che la distinzione tra dominanza emisferica

destra/sinistra nei collegamenti tra sistema nervoso centrale e autonomo, in relazione alle

emozioni, sia troppo semplicistica. Tranel e Damasio (1994) nel loro studio suggeriscono al

contrario che entrambe le regioni emisferiche siano siti importanti per le reti neurali che

collegano stimoli emotivi e risposte del SNA. Tra i vari studi sulle lesioni, troviamo anche

quello di Bechara et al (1995), i quali osservarono che lesioni bilaterali dell’amigdala

impediscono l’acquisizione di risposte avversive condizionate e di un conseguente aumento

della frequenza cardiaca. Tuttavia gli studi su soggetti con lesioni, presentano non pochi

problemi, i campioni sono spesso limitati e poiché le lesioni non rispettano precisi confini

neuro anatomici (Kolb et Taylor, 2000) questi tipi di indagine comportano difficoltà

interpretative rispetto alla definita localizzazione di una funzione. La notevole plasticità del

cervello permette a seguito di una lesione il trasferimento della funzione, che ostacolerebbe

l’interpretazione dei risultati.

I risultati degli studi di neuro immagine suggeriscono un maggiore coinvolgimento delle

strutture sottocorticali emisferiche sinistre (amigdala, ipotalamo e talamo) nelle risposte del

SNA a stimoli emotivi, indipendentemente dalla loro valenza (Damasio et al, 2000 ). Risulta

quindi che gli studi di neuroimmagine puntano su un’attivazione sottocorticale sinistra

durante l’arousal emotivo, mentre le prove elettrofisiologiche suggeriscono un’attivazione

corticale destra almeno per le emozioni sgradevoli. Tale inversione di attivazione

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asimmetrica corticale/sottocorticale può essere spiegata con la funzione di due meccanismi

inibitori. In particolare, il meccanismo di inibizione omolaterale (Tucker, 1981; Tucker, 1984)

suggerisce che l’attivazione di una regione corticale determina l’inibizione di una struttura

sottocorticale efferente. Questa spiegazione è relativa al principio di “gerarchia

dell’integrazione attraverso l’inibizione” di Hughlings Jackson (Jackson, 1879; Tucker,

Derryberry, e Luu, 2000). Abbiamo inoltre il meccanismo di inibizione controlaterale

(Sackheim et al., 1982) il quale suggerisce che l’attivazione di una zona corticale porta

all’inibizione della corteccia omologa controlaterale. Il funzionamento in parallelo di

entrambi i meccanismi implica un’ inversione e un’ asimmetrica attivazione corticale e

sottocorticale come affermano Liotti e Tucker (1995). Tutte queste considerazioni possono

essere arricchite con un modello teorico più recente: quello di Thayer e Lane (2000)

sull’integrazione neuroviscerale nell’emozione. Questo modello propone una rete di

strutture neurali che generano, ricevono ed integrano informazioni interne ed esterne

necessarie per mettere in atto comportamenti diretti verso uno scopo e per l’adattabilità

dell’organismo. Una unità funzionale di questo modello è la rete centrale autonoma (CAN;

Benarroch 1993, 1997). Funzionalmente questa rete è una componente integrata di un

sistema di regolazione interna attraverso il quale il cervello controlla le risposte

visceromotorie, neuroendocrine, comportamentali, che sono fondamentali per adattare il

comportamento in direzione di uno specifico scopo (Benarroch, 1993). Strutturalmente il

CAN coinvolge un certo numero di strutture distribuite lungo tutto l’asse neurale, tra queste

abbiamo: la corteccia cingolata anteriore, insulare, prefrontale ventromediale, il nucleo

centrale dell’amigdala, l’ipotalamo, la materia grigia periacqueduttale, il nucleo

parabrachiale, il nucleo del tratto solitario (NTS), il nucleo ambiguo, il midollo ventrolaterale,

il midollo ventromediale, l’area tegmentale midollare. Tutte queste strutture sono

reciprocamente interconnesse in modo tale che il flusso di informazioni vada sia in direzione

top-down che bottom-up. La principale uscita del CAN è mediata dai neuroni pregangliari

simpatici e parasimpatici. Questi neuroni innervano il cuore attraverso le cellule stellate e il

nervo vago. La CAN ha anche caratteristiche tipiche di un sistema dinamico. Vi è un

crescente consenso sia all’interno che al di fuori delle neuroscienze cognitive che gli

organismi viventi siano dei sistemi dinamici di auto-organizzazione ( van Gelder, 1998). Ciò

ha importanti implicazioni per i tentativi di localizzare le funzioni specifiche di strutture

specifiche. In primo luogo, i sistemi dinamici e flessibili reclutano i componenti del sistema

in unità funzionali specifiche di contesto. Così qualsiasi elemento o struttura del sistema

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potrà servire numerose funzioni, ma non necessariamente funzioni fisse. In secondo luogo,

vi è una notevole sovrapposizione tra le funzioni e le strutture associate con una vasta

gamma di comportamenti. In terzo luogo nel contesto di un sistema dinamico, i processi

inibitori possono avere un ruolo di particolare importanza per rispondere ad un sistema

flessibile. A differenza del prevalente modello omeostatico, i modelli dei sistemi dinamici

propongono che il sistema funziona normalmente lontano dall’equilibrio. Di conseguenza dal

punto di vista dei sistemi dinamici, gli stati emotivi (o anche altri stati) possono assumere

una relativa stabilità nel costante flusso di interazioni individuo-ambiente. Poiché i

componenti del CAN sono reciprocamente interconnessi, questo permette di avere una

continua interazione di feedback positivi e negativi, i quali interagiscono con le risposte del

SNA. Inoltre, il CAN comprende una pluralità di percorsi paralleli, che consentono di

percorrere più strade per raggiungere la solita risposta “autonoma”. Il modello di

integrazione neuroviscerale propone che il CAN (o i sistemi correlati che sono stati

identificati da altri ricercatori, come la regione esecutiva anteriore di Devinsky, Morrell, e

Vogt, 1995; o il ''circuito emotivo'' di Damasio, 1998) costituisca una rete di strutture del

SNC, la quale è associata con i processi di organizzazione della risposta e di selezione e serva

per modulare risorse psicofisiologiche, soprattutto emotive e attentive (Friedman e Thayer,

1998; Thayer e Friedman, 1997). Cosi, secondo questo modello, il nucleo neurale alla base

della regolazione cognitiva, affettiva e fisiologica sarebbe soltanto uno. Strutture aggiuntive

possono essere reclutate in modo flessibile, al servizio di specifici adattamenti

comportamentali. Questo insieme di reti neurali interconesse tra loro in maniera sparsa,

consentono all’organismo la massima flessibilità e una capacità di adattamento rapida in

base all’evoluzione delle richieste ambientali. Quando questa rete è completamente

sganciata, o al contrario attaccata saldamente all’organismo, è meno in grado di assemblare

dinamicamente le strutture di supporto neurale necessarie a soddisfare una particolare

domanda; in questo caso diventa un sistema rigido e meno adattivo.

Sarebbe opportuno che la ricerca futura concentrasse maggiormente la sua attenzione nello

studio concomitante dei processi del SNC e SNA implicati nelle emozioni; nelle attività

corticali e sottocorticali, nei sistemi di risposta simpatico e parasimpatico durante l'induzione

di diversi emozioni e nelle condizioni di controllo. Questo approccio integrato contribuirà a

consolidare ed ampliare le nostre conoscenze sui concomitanti fisiologici della risposta

emotiva. Inoltre il modello di integrazione neuroviscerale nell’emozione, può avere

importanti implicazioni per lo studio di integrazione centrale ed autonoma. In primo luogo, il

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tentativo di localizzare le concomitanti corticali delle emozioni, apparentemente semplice,

può essere insostenibile. La letteratura suggerisce che un certo numero di strutture neurali e

cambiamenti del SNA siano associati a stati emotivi. Infatti, gli stessi patterns di attivazione

centrali ed autonomi, sono associati con emozioni diverse e qualche volta differenti strutture

del SNC e i cambiamenti del SNA sono associati con la stessa emozione. Questi risultati

possono essere riconciliati in sistemi contestuali dinamici, le cui strutture sono

dinamicamente organizzate per soddisfare le esigenze dell’individuo in specifiche situazioni. I

sistemi sani sono caratterizzati da questa complessità emotiva e diversità, mentre i sistemi

malsani mostrano attività perseverative e mancanza di complessità (Friedman et Thayer,

1998; Thayer et Friedman, 2002). Questa attività perseverativa riflette l’incapacità del

sistema di assemblare in maniera flessibile le strutture necessarie per rispondere alle

mutevoli esigenze ambientali. In futuro saranno necessari diversi metodi per esaminare la

dinamica dell’attività fisiologica che supporta gli stati emotivi. Le strutture neurali che

sostengono un comportamento emotivo non sono necessariamente diverse da quelle che

supportano altri tipi di comportamenti. Infatti, il comportamento di qualsiasi tipo esso sia è

certamente costruito sullo stesso substrato fisiologico. La vera sfida per i ricercatori è quella

di individuare i paradigmi sperimentali che ci permettano di esaminare il sistema in maniera

più integrata.

3.2 Emozione e differenze di genere

La saggezza popolare ritiene che le donne siano più “emotive” rispetto agli uomini. Questo

significa che le donne esprimono le loro emozioni più degli uomini? Oppure che le donne

sperimentano emozioni più forti rispetto agli uomini? Le donne hanno risposte fisiologiche

più forti rispetto agli uomini nelle situazioni emotive? Un consistente corpo di ricerche ha

dimostrato che le donne sono più emotivamente espressive rispetto agli uomini; tuttavia,

rimane poco chiaro se le donne abbiano un’esperienza emotiva maggiore rispetto agli

uomini e se mostrino maggiori cambiamenti fisiologici associati all’emozione. Lo studio di

Kring e Gordon (1998) ha affrontato due questioni principali. In primo luogo i due studiosi

hanno esaminato i domini espressivi, esperienziali, fisiologici dell’emozione in uomini e

donne per determinare se le donne sono davvero più “emotive” degli uomini o se sono solo

più emotivamente espressive. In secondo luogo hanno esaminato l’espressività familiare e le

caratteristiche di personalità in genere associate con la mascolinità e la femminilità, allo

scopo di determinare se queste caratteristiche potrebbero contribuire a spiegare le

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differenze espressive fra uomini e donne. I due ricercatori in maniera analoga a quella di

Gross e John (1997), concettualizzano l’ espressività emozionale come l’entità in cui gli

individui mostrano esteriormente le loro emozioni. Come già sottolineato più volte

l’emozione ha varie componenti: una componente comportamentale o espressiva, una

esperienziale o verbale, una componente fisiologica (Buck, 1994; Ekman, 1992; Gross et

Munoz, 1995; Izard, 1977; Lang, 1995; Levenson, 1994; Leventhal, 1984; Plutchik, 1993).

Quindi l’espressività emotiva si associa a dei cambiamenti di tutte queste componenti. Il

grado con cui le componenti espressive, esperienziali, fisiologiche, corrispondono l’una

all’altra, varia a seconda del numero di fattori sociali, culturali e situazionali (Adelrnann et

Zajonc, 1989; Ekman, Friesen, e Ellsworth, 1982; Lang, 1968; Lang, Bradley, e Cuthbert,

1990; Miller et Kozak, 1993). La letteratura sulla risposta emotiva negli uomini e nelle donne

è piena di studi che tuttavia esaminano solo una o due di queste componenti, solo pochi

studi ne valutano tutte e tre e le metodologie usate sono molto diverse. La componente

espressiva delle emozioni è stata la più studiata e, con poche eccezioni, i risultati indicano

che le donne sono emotivamente più espressive degli uomini (Ashmore, 1990; Brody et Hall,

1993; Hall, 1984). Diversi studi hanno notato come le donne siano più espressive degli

uomini utilizzando una varietà di misure espressive, tra cui: l’elettromiografia (EMG;

Greenwald, Cook, e Lang, 1989; Lang, Greenwald, Bradley et Hamm, 1993; Schwartz, Brown,

et Ahem, 1980), l’indice di accuratezza nella comunicazione (Buck, Baron, Goodman, e

Shapiro, 1980; Buck, Miller, e Caul, 1974; Buck, Savin, Miller, e Caul, 1972; Fujita, Harper, e

Wiens, 1980; Rotter e Rotter, 1988; Wagner, Buck, e Winterbotham, 1993; Wagner,

MacDonald, e Manstead, 1986; Zuckerman, Lipets, Sala Koivumaki e Rosenthal, 1975),

questionari autovalutativi sull’ espressione (Allen e Haccoun, 1976; Balswick e Avertt, 1977;

Gross e John, 1995; Kring et al., 1994), e la valutazione di una varietà di comportamenti non

verbali come sorridere e gesticolare (Barr e Kleck, 1995; Frances, 1979; Halberstadt, Hayes, e

Pike, 1988; Notarious e Johnson, 1982; Ragan, 1982; Riggio e Friedman, 1986). Anche se

abbastanza raro alcuni studi non sono riusciti a trovare delle differenze di sesso

nell’espressione emotiva (Cupchik e Poulos, 1984; Fridlund, 1990; Lanzetta, Cartwright-

Smith, e Kleck, 1976; Vrana, 1993; Wagner, 1990; Zuckerman, Hall, DeFrank, e Rosenthal,

1976). Anche se vi è un certo disaccordo in letteratura se le donne siano più espressive per

tutte le emozioni o solo per alcune, la maggior parte degli studi hanno trovato che le donne

sembrano essere più espressive per la maggior parte delle emozioni rispetto agli uomini. Gli

studi che indagano emozioni specifiche hanno scoperto che le donne sono più espressive per

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la tristezza (Allen e Haccoun, 1976; Balswick e Avertt, 1977; Fujita et al., 1980; Rotter e

Rotter, 1988; Schwartz et al., 1980; Zuckerman et al., 1975; Tucker e Riggio, 1988), il disgusto

(Fujita et al, 1980;. Rotter e Rotter, 1988; Tucker e Riggio, 1988; Wagner et al., 1993; Wagner

et al., 1986; Zuckerman et al., 1975), la paura (Allen e Haccoun, 1976; Rotter e Rotter, 1988;

Schwartz et al., 1980; Wagner et al., 1993; Zuckerman et al., 1975), la sorpresa (Fujita et al.,

1980; Wagner et al., 1993; Wagner et al., 1986; Zuckerman et al., 1975), la felicità (Balswick

e Avertt, 1977; Barr e Kleck, 1995; Frances, 1979; Fujita et al., 1980; Halberstadt et al., 1988;

Tucker e Riggio, 1988; Zuckerman et al., 1975 ) e la rabbia.

A questo punto, è importante notare che un certo numero di teorie sull’emozione e recenti

studi empirici suggeriscono che il comportamento espressivo di uomini e donne è

particolarmente suscettibile a modifiche a causa di vari fattori sociali (Buck, Losow, Murphy,

Costanzo, 1992; Ekman e Friesen, 1975; Ekman et al., 1982; Fridlund, 1994; Frijda, 1993;

Gross e John, 1997; Halberstadt et al., 1995; Kraut e Johnson, 1979; Levenson, 1994). Infatti,

l’espressività riveste una funzione informativa ed evocativa nel contesto sociale

(Keltner,1996). In particolare, il comportamento espressivo nelle situazioni sociali è

probabilmente influenzato da regole determinate socialmente e culturalmente; sarebbero le

norme sociali e culturali ad indicare come e quando esprimere le emozioni (Buck et al, 1992;.

Ekman, 1992; Ekman e Friesen, 1975; Ekman et al., 1982). Studi recenti hanno dimostrato

che la presenza di un’altra persona può modificare il comportamento espressivo. Ad

esempio, l’ espressività positiva sembra essere facilitata in presenza di altri familiari ( Buck et

al., 1992; Fridlund, 1990; Kring, Raniere, e Eberhardt, 1995), mentre l’ espressività negativa

sembra essere attenuata o inibita in presenza di persone sconosciute ( Buck et al., 1992;

Kring et al., 1995). Buck e colleghi (Buck, 1988; 1990; Buck et al., 1992) hanno sostenuto che

una situazione sociale va ad influenzare il comportamento espressivo, poiché la presenza di

un’altra persona va ad elicitare nuovi stimoli. Ogni persona porta nell’ambiente i propri

stimoli emotivi, la combinazione di questi stimoli influenza l’espressione comportamentale

di un individuo. Attualmente sono pochi gli studi in cui i ricercatori sono andati a manipolare

il contesto sociale allo scopo di rilevare variazioni nell’espressione emotiva di uomini e

donne. In questi pochi studi la socialità della situazione non ha influenzato in modo

differenziato il comportamento espressivo di uomini e donne (Fridlund, 1990; Fridlund,

Kenworthy, e Jaffey, 1992) o di giovani ragazzi e ragazze (Chapman, 1973; Yarczower e

Daruns, 1982). L’apparente vantaggio nell’espressione per le donne può riflettere

semplicemente la loro maggiore esperienza nell’emozione. Quindi le donne possono

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esprimere più emozioni perche fanno maggiormente esperienza di emozioni. Infatti, molte

teorie e ricerche supportano l’idea che, in generale, il comportamento espressivo e

l’esperienza emotiva siano positivamente correlati (Adel mann e Zajonc, 1989). Tuttavia, ci

sono vaste differenze individuali nel comportamento espressivo ( e nell’esperienza emotiva)

e queste differenze rendono la relazione tra espressione emotiva e l’esperienza più tenue

(Kring, Patel, e Bachorowski, 1996). Ekman (1992) ha suggerito che gli individui possono

avere soglie diverse nell’espressione delle varie componenti dell’emozione: espressiva,

esperienziale, fisiologica. Per quanto riguarda le differenze di genere, l’idea portata avanti da

molti studi, suggerisce che gli uomini possano avere una soglia più bassa per l’esperienza

emotiva di quanto invece non manifestino con l’espressione facciale. Un consolidato gruppo

di teorie suggerisce che maschi e femmine imparino regole diverse per l’espressione

dell’emozione, ma non necessariamente per l’esperienza emotiva (Brody, 1985). In generale,

i maschi imparano a nascondere i loro sentimenti, mentre le femmine imparano ad

esprimerli più liberamente ed imparano anche come controllare la loro espressività

comportamentale. Così, l’espressione delle emozioni sembra essere più fortemente

socializzata rispetto all’esperienza delle emozioni. Studi con bambini hanno dimostrato che

sia maschi che femmine riconoscono che in alcune situazioni, l’esperienza emotiva e

l’espressione emotiva non corrispondono l’una all’altra ( Saarni, 1979 ). Sia uomini che

donne differiscono nel comportamento espressivo, queste differenze potrebbero non

dipendere da differenze nell’esperienza emotiva. I dati empirici che confrontano la relazione

tra espressione emotiva ed esperienza emotiva in uomini versus donne, sono misti. Alcuni

studi hanno trovato che le donne, che sono più espressive, provano anche maggiori

emozioni rispetto agli uomini (Choti, Marston, Holston, e Hart, 1987; Greenwald et al., 1989;

Gross e Levenson, 1993; Schwartz et al., 1980), altri studi invece non hanno trovato alcuna

differenza di sesso nell’espressione e neanche nell’esperienza emotiva (Cupchik e Poulos,

1984; Lanzetta et al., 1976). Alcune volte quindi i risultati provenienti da questi studi sono in

contraddizione tra loro, bisogna anche considerare che spesso non sono state analizzate

tutte le varie componenti dell’esperienza emotiva. Tuttavia, le evidenze sviluppate

suggeriscono che gli uomini e le donne siano rinforzati differentemente per esprimere

l’emozione, ma non necessariamente per sperimentare emozioni; quindi sembra probabile

che gli uomini e le donne differiscono nel loro comportamento espressivo, ma non

necessariamente nell’esperienza emotiva. Inoltre solo pochi studi hanno esaminato la

differenza di genere nell’espressione fisiologica dell’emozione. Buck e colleghi (Buck et al.,

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1974; Buck et al., 1972) hanno trovato che le donne, che erano più espressive, tendevano ad

essere meno reattive fisiologicamente (etichettate “esteriorizzatori”) e gli uomini, che erano

meno espressivi, tendevano ad essere più reattivo fisiologicamente (definiti

“interiorizzatori”). Altri studi, tuttavia, hanno trovato differenze di sesso e il rapporto tra le

misure fisiologiche e altri domini dell’ emozione. Ad esempio, Lang et al (1993) trovarono

che la conduttanza della pelle è più fortemente correlata all’attivazione maschile rispetto a

quella femminile. In sintesi, le donne sembrano essere più espressive rispetto agli uomini.

Come già accennato all’inizio di questo paragrafo ho preso in considerazione i due studi di

Kring e Gordon (1998), poiché questi due ricercatori hanno esaminato le differenza di

genere in base ai domini espressivi, esperienziali e fisiologici dell’emozione. E’ stata quindi

effettuata una valutazione completa delle componenti espressive, esperienziali, fisiologiche

dell’emozione in uomini e donne. I soggetti presi in considerazione in questi studi sono tutti

dei laureandi. Nello Studio 1 i soggetti hanno preso visione di film con forti contenuti

emotivi. Le donne avevano maggiori espressioni facciali rispetto agli uomini. Gli uomini

hanno mostrato una minor attivazione emotiva rispetto alle donne dopo film con contenuti

di paura e disgusto, suggerendo che gli uomini si sentivano più calmi e tranquilli rispetto alle

donne nella visione di questi film. Gli uomini si sono invece dimostrati più reattivi a film che

elicitano paura e rabbia. Questo studio ha mostrato che più gli uomini delle donne erano

internalizzatori, mentre più donne rispetto agli uomini erano esteriorizzatori. Uomini e

donne hanno mostrato di avere pattern diversi di conduttanza cutanea in risposta alle

pellicole. Nello Studio 2 i laureandi hanno preso visione di pellicole e successivamente hanno

compilato due questionari autovalutativi: il BSRI short form (Bem, 1979), un questionario

sulle caratteristiche dei ruoli di genere ed il FEQ (Halberstadt, 1986), questionario che

indaga come l’espressività familiare modera il rapporto tra sesso ed espressività. A questo

punto ci chiediamo di nuovo: è vero che le donne sono più emotive rispetto agli uomini? La

risposta non è né semplice né lineare. I risultati di questi due studi indicano che le donne

sono più espressive degli uomini. Tuttavia, le donne non segnalano di provare più emozioni

rispetto agli uomini. Uomini e donne differiscono nella loro reattività alla conduttanza

cutanea, ma questa differenza non necessariamente suggerisce che le donne siano più

emotive rispetto agli uomini. In che modo uomini e donne differiscono nelle loro risposte

emotive? Nei due studi le donne hanno mostrato più espressioni facciali rispetto agli uomini,

sia per le emozioni positive che negative. Inoltre dai dati dei questionari autovalutativi le

donne mostrano di essere più predisposte all’espressività emotiva. Sebbene questi risultati

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sono compatibili con un numero di altri studi che hanno trovato le donne essere più

espressive rispetto agli uomini, la natura di queste differenze espressive non è stata ben

compresa. L’ attuale evidenza empirica su una maggiore espressività femminile non

consente tuttavia affermazioni più raffinate sulle differenze di sesso. Lo Studio 2 mostra che

l’espressività familiare è più fortemente correlata con l’espressività facciale femminile e

meno con quella maschile. Anche se l’espressività familiare era più fortemente legata

all’ espressività del viso per le donne rispetto agli uomini, le conclusioni sulla natura

dell'influenza (ovvero l’ espressività familiare porta ad una maggiore espressività individuale)

non può essere fatta a partire da questi dati. Tuttavia, l’espressività familiare sembra essere

importante relativamente a segnalazioni di espressività e di comportamenti espressivi

facciali per le donne.

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CAPITOLO 4. CORRELATI VOCALI DELLE EMOZIONI

Le emozioni producono in maniera pervasiva, anche se di breve durata, cambiamenti

nell’organismo nel suo complesso. Questi cambiamenti rappresentano le reazioni agli eventi

di particolare rilevanza per l’individuo e mobilitano le risorse per far fronte alla rispettiva

situazione, positiva o negativa. La caratteristica più significativa del meccanismo emotivo è la

produzione di una specifica azione di prontezza, fornendo un periodo di latenza che ci

consente di adattarci alle reazioni comportamentali e alle richieste situazionali (Frijda, 1986;

Scherer et al, 1984; Scherer, 1986). Uno dei principali utilizzi del periodo di latenza delle

specie socialmente viventi è quello di prevedere la probabile reazione degli altri ad

un’azione. Così come dimostrato dal classico lavoro di Darwin sull’espressione delle

emozioni negli esseri umani e negli animali ( Darwin, 1965), l’espressione emotiva ha la vitale

funzione di esternare la reazione dell’individuo e la propensione all’azione e di comunicare

queste informazioni nell’ambiente sociale. Proprio come l’emozione è filogeneticamente

continua, e si trova in maniera più o meno rudimentale in tutte le specie di mammiferi, lo è

anche l’espressione emotiva, in modo particolare in quelle specie che hanno una vita sociale

basata su complesse interazioni tra individui. Tutte le modalità espressive, in modo

particolare, la postura del corpo, le caratteristiche del volto, la vocalizzazione, sono coinvolte

nella comunicazione emotiva. Per quanto riguarda l’espressione facciale, scienziati

comportamentisti e sociali, hanno fatto molti progressi nella raccolta di prove sulla

continuità filogenetica ( Redican, 1982), l’universalità attraverso le culture (Ekman, 1973,

Izard, 1971), e il ricco contenuto informativo delle emozioni nelle espressioni facciali (Ekman

et al, 1972). Anche se studiata meno frequentemente delle espressioni facciali, la

comunicazione vocale dell’emozione è stata esaminata sia dalle scienze biologiche che

psicologiche. La ricerca sugli animali ha dimostrato che in molte specie gli stati affettivi,

generalmente legati alla variazione dell’eccitazione fisiologica, sono esteriorizzati in vocalizzi

e servono specificamente a comunicare le funzioni, spesso coinvolte nei modelli acustici e

che sono simili tra le specie (Frijda, 1986; Scherer et al, 1984; Scherer, 1986; Darwin,

1965; Redican, 1982; Ekman, 1973; Izard, 1971; Ekman et al., 1972; Marler, 1984;

Scherer, 1988; Jfirgens, 1979; Marler et al., 1977; Morton, 1977; Scherer, 1985).

Kleinpaul (1972) ha insistito su una netta distinzione tra interazioni che si verificano

spontaneamente o esclamazioni che esprimono uno stato emotivo e chiamate o grida

intenzionalmente pronunciate per motivi comunicativi. Wundt (1900) fa risalire queste

articolazioni a urla e grida inarticolate, che accompagnano intensi sentimenti di rabbia,

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avversione e paura. Kainz (1962 ) ha affermato come con il progresso della civiltà, le

emozioni siano espresse sempre meno per mezzo della “natura dei suoni”, piuttosto esse

vengono espresse attraverso interazioni che sono state assimilate nel linguaggio. Il

riconoscimento emotivo vocale mira ad identificare automaticamente lo stato emotivo o

fisico di un essere umano a partire dalla sua voce. Gli stati emotivi e fisici del parlante sono

noti come “aspetti emotivi del discorso” e sono inclusi nei cosidetti aspetti paralinguistici.

Sebbene il fattore emotivo non alteri il contenuto linguistico, è un importante fattore nella

comunicazione umana, poiché fornisce molte informazioni di feedback in svariate

applicazioni. Le prime indagini per creare una macchina capace di riconoscere le emozioni

estrapolandole dal discorso, avvengono intorno al 1980 e utilizzano proprietà statistiche di

determinate caratteristiche acustiche (Van Bezooijen, 1984; Tolkmitt e Scherer, 1986).

Scherer (1977) si è concentrato sulle funzioni dei frammenti prelinguistici nelle

vocalizzazioni affettive. I frammenti prelinguistici adempiono a tutte le funzioni sintattiche,

semantiche, pragmatiche e dialogiche del comportamento non verbale nella conversazione.

Scherer (1991) cita il lavoro etologico e mostra come espressione ed impressione siano

strettamente correlate ( Andrews, 1972; Leyhausen, 1967), suggerendo che, nel processo di

convenzionalizzazione e ritualizzazione, i segnali espressivi possono essere stati modellati da

caratteristiche di trasmissione, limiti degli organi sensoriali o altri fattori. La flessibilità del

codice comunicativo, potrebbe aver favorito l’evoluzione di un linguaggio più astratto e

simbolico e di sistemi musicali. Possiamo notare che questo sviluppo si è probabilmente

verificato in congiunzione con l’evoluzione del cervello. Proprio come le nuove strutture

corticali con modalità cognitive ad alto funzionamento si sono sovrapposte alle vecchie

strutture “emotive”, come il sistema limbico, l’evoluzione del discorso umano come un

sistema digitale di codifica e trasmissione delle informazioni, ha fatto uso dei più primitivi

sistemi di segnale vocale e analogico.

Intorno agli anni ‘90, l’evoluzione delle architetture informatiche ha determinato

l’implementazione di complicati algoritmi per il riconoscimento emotivo. Le caratteristiche

acustiche sono state stimate più precisamente da algoritmi iterativi: classificatori avanzati

che sfruttano le informazioni temporali proposte (Cairns e Hansen, 1994; Womack e Hansen,

1996; Polzin e Waibel, 1998). La vocalizzazione è un’ importante modalità di espressione

dell’emozione analogica. In un discorso, i cambiamenti della Frequenza fondamentale (F0),

formante la struttura o le caratteristiche della sorgente glottale, dipendenti dalla lingua e dal

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contesto, servono per comunicare contrasti fonologici, scelte sintattiche, senso pragmatico,

o espressione emotiva. In maniera analoga nella musica, la melodia, la struttura armonica e i

tempi, possono riflettere le intenzioni del compositore e possono contemporaneamente

indurre forti stati emotivi (Copeland, 1959; Meyer, 1956; Seashore, 1967).

Se è stato dimostrato che le emozioni possono essere diagnosticate direttamente dalla voce,

allora le emozioni incidono chiaramente e in maniera differenziale sul meccanismo di

vocalizzazione. La voce umana non solo permette di identificare le emozioni di chi parla, ma

possono anche indurre stati affettivi in chi ascolta. Gli ascoltatori sarebbero in grado di

riconoscere correttamente lo stato emotivo di chi parla, anche solamente da segnali vocali,

indipendentemente da informazioni sul contesto situazionale, o altri segnali espressivi come

le espressioni facciali, i gesti, la postura.

La parola è un segnale complesso contenente informazioni riguardo lo speaker , il linguaggio

adottato, il messaggio espresso, le emozioni e così via. In genere le persone non hanno

difficoltà nel portare avanti un discorso di tipo neutro, mentre la prestazione diminuisce se il

discorso ha un rilevante contenuto emotivo. Ciò è dovuto alla difficoltà nel modellamento e

nella caratterizzazione di emozioni presenti nel discorso. La presenza delle emozioni rende il

linguaggio più naturale. In una conversazione, la comunicazione non verbale trasporta un’

informazione importante come l’intenzione del parlante. Oltre al messaggio veicolato

attraverso il testo, il modo in cui le parole sono esposte, trasmette informazioni essenziali

non linguistiche. Lo stesso messaggio di testo verrà trasmesso con semantiche diverse,

incorporando le emozioni appropriate. Il testo parlato può avere quindi diverse

interpretazioni. Quindi la comprensione del testo da solo, non è sufficiente per interpretare

la semantica di un certo enunciato. È importante che i sistemi vocali siano in grado di

elaborare le informazioni non linguistiche, come le emozioni, insieme al messaggio veicolato.

Gli esseri umani capiscono le intenzioni del messaggio percependo le emozioni sottostanti,

oltre che le informazioni fonetiche utilizzando segnali multimodali. Le informazioni non

linguistiche possono essere osservate attraverso: 1) espressioni facciali nel caso di un video,

2) espressioni di emozioni nel caso del parlato, 3) la punteggiatura nel caso di un testo

scritto. In questa sede mi concentrerò esclusivamente sulle emozioni e sulle espressioni

emotive legate al discorso vocale. Il discorso vocale è una delle modalità naturali che l’uomo

utilizza nelle interazioni. I sistemi vocali di oggi possono raggiungere prestazioni equivalenti a

quelle umane, quando riescono a elaborare le emozioni sottostanti in modo efficace

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(O'Shaughnessy 1987). Lo scopo di sofisticati sistemi vocali non dovrebbe limitarsi a una

mera elaborazione dei messaggi, ma è quello di capire le intenzioni sottostanti di chi sta

parlando, rilevando le espressioni nel discorso (Schroder 2001; Ververidis and Kotropoulos

2006). Nel recente passato il processo di riconoscimento delle emozioni attraverso i segnali

vocali, è emerso come una delle aree di ricerca più importanti sul discorso parlato. I sistemi

vocali che sono stati sviluppati nel tempo sono molteplici: il riconoscimento vocale, il

riconoscimento dello speaker, la sintesi vocale, l’identificazione della lingua.

Il riconoscimento vocale dell’emozione ha diverse applicazioni nella vita di ogni giorno. È

particolarmente utile per migliorare le interazioni naturali tra uomo e macchina (Schuller et

al 2004;. Dellert et al 1996;. Koolagudi et al. 2009). Il sistema di riconoscimento delle

emozioni può essere utilizzato a bordo dell’auto, inserito nel sistema di guida, il quale riceve

informazioni riguardo lo stato mentale del guidatore e può consentire di mantenere uno

stato di allerta nel guidatore. Ciò contribuisce ad evitare alcuni incidenti, causati dallo stato

di stress mentale del conducente (Schuller et al. 2004). Le conversazioni dei call-center

possono essere utilizzate per analizzare il comportamento degli assistenti di chiamata con i

propri clienti e aiuta a migliorare il servizio (Lee e Narayanan 2005). I medici possono

utilizzare i contenuti emozionali del discorso di un paziente come uno strumento di diagnosi

per vari disturbi (France et al. 2000). In psicologia, i metodi di riconoscimento emotivo

vocale possono far fronte alla grande massa di dati vocali prodotti in tempo reale ed estrarre

le caratteristiche vocali che trasmettono emozioni e atteggiamenti in modo sistematico

(Mozziconacci e Hermes, 2000). L’ analisi dell’ emozione a partire della conversazione

telefonica tra i criminali aiuterebbe il dipartimento di crimine investigativo per le indagini.

L’analisi automatica dell’emozione può essere utile nei sistemi di traduzione automatica del

linguaggio, dove il discorso formulato in lingua X deve essere tradotto dalla macchina in

varie lingue Y. Le emozioni presenti nel discorso di origine devono essere riconosciute e le

stesse emozioni devono essere sintetizzate nel discorso di destinazione.

Gli esseri umani impongono la durata, l’intonazione e l’intensità, producendo un discorso.

L’incorporazione di questi vincoli prosodici (intonazione, durata, intensità) rende naturale il

linguaggio umano. La prosodia può essere vista come un’associazione di caratteristiche

vocali e di unità linguistiche più grandi come sillabe, parole e frasi. La prosodia è ciò che

struttura il flusso del discorso. La prosodia è rappresentata acusticamente mediante i

modelli di durata, intonazione ed energia. Essi rappresentano le proprietà percettive del

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discorso, che sono normalmente utilizzate dagli esseri umani per realizzare diversi tasks

vocali (Rao e Yegnanarayana 2006; Werner e Keller 1994). L’ espressività emozionale umana

può essere catturata attraverso le caratteristiche prosodiche. La metrica può essere distinta

in quattro principali livelli di manifestazione (Werner e Keller 1994):

a) Livello di intenzione linguistica

b) Livello articolatorio

c) Livello di realizzazione acustica

d) Livello percettivo

A livello linguistico, la prosodia si riferisce a elementi linguistici diversi, correlati a un

enunciato e che consentono di far emergere le richieste con naturalezza. È il caso delle

distinzioni linguistiche che possono essere comunicate operando una differenza tra

domanda e affermazione, o l’enfasi semantica su un elemento. A livello articolatorio, la

prosodia si manifesta fisicamente come una serie di movimenti articolatori. Così le

manifestazioni prosodiche tipicamente includono variazioni nell’ampiezza dei movimenti

articolatori e variazioni di pressione nell’aria. La realizzazione acustica prosodica può essere

osservata e quantificata utilizzando l’analisi di parametri acustici come la frequenza

fondamentale (F0), l’intensità e la durata. Ad esempio, le sillabe che producono più stress

hanno maggiore frequenza fondamentale, maggiore ampiezza e maggiore durata rispetto

alle sillabe non stressogene. A livello percettivo la prosodia può esprimersi in termini di

esperienza soggettiva in chi ascolta, come le pause, la lunghezza, la melodia e il volume del

discorso percepito. È difficile elaborare o analizzare la metrica attraverso la produzione del

discorso, perciò le proprietà acustiche del discorso sono sfruttate per analizzare la prosodia.

Componenti quali: minimo, massimo, media, varianza, deviazione standard di energia e simili

caratteristiche, in questo campo sono utilizzate come importanti fonti di informazioni

prosodiche per discriminare le emozioni (Schroder, 2001; Murray and Arnott, 1995). La

presenza di alti e bassi nei profili di frequenza fondamentale, l’ intensità, la durata delle

pause ed i momenti di intensa attività, sono stati proposti per identificare le quattro

emozioni, cioè: paura, tristezza, rabbia, gioia.

Dalla letteratura, si osserva che, la maggior parte degli studi sul riconoscimento emotivo

mediante il parlato, vengono effettuati utilizzando caratteristiche statiche (globali)

dell’enunciato (Nwe et al 2003;. Schroder e Cowie 2006; Dellaert et al. 1996; Koolagudi et al.

2009; Ververidis et al. 2004; Iida et al. 2003). Solo pochi studi hanno esplorato il

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comportamento dinamico (locale) dei patterns prosodici, per analizzare le emozioni

attraverso la vocalità (McGilloway et al., 2000; Rao et al. 2010). Rao et al (2007) hanno

eseguito un’analisi prosodica del parlato a vari livelli: frase, parola, sillaba; utilizzando solo i

principali parametri di ordine statistico e la prosodia di base. Sarebbe molto importante

studiare il contributo delle caratteristiche prosodiche statiche e dinamiche, estraendo dalla

frase, dalle parole, dalle sillabe, segmenti necessari al riconoscimento delle emozioni.

Tuttavia, nessuno degli studi esistenti ha esplorato i segmenti del discorso tenendo in

considerazione la posizione, allo scopo di individuare le emozioni. La possibilità di

riconoscere le emozioni da segmenti di parole più brevi può essere utile per verificare

l’emozione in tempo reale.

Le correnti di ricerca recenti sul riconoscimento emotivo del linguaggio parlato, enfatizzano

l’uso di una combinazione di caratteristiche diverse per ottenere un miglioramento delle

prestazioni di riconoscimento. Per caratteristiche diverse si fa riferimento a: fonte, sistema,

caratteristiche prosodiche, le quali sono di carattere complementare fra loro. Diversi studi

sulla combinazione delle caratteristiche hanno mostrato di riuscire a classificare al meglio le

emozioni, rispetto ai sistemi sviluppati utilizzando le caratteristiche individuali. Il ruolo della

qualità della voce nel veicolare le emozioni, stati d'animo e atteggiamenti, è stato studiato

da Gobl e Chasaide (2003) utilizzando le funzionalità spettrali e prosodiche. Le qualità vocali

considerate nello studio sono: voce dura, voce tesa, voce modale, voce ansimante, sussurro,

voce stridente. Lo studio ha riportato che, questi indicatori di qualità della voce sono più

efficaci nell’indicare le emozioni sottostanti (di tipo moderato), rispetto a emozioni piene.

Come si osserva dagli studi non c’è una mappa che ci consenta di associare la qualità della

voce ad una specifica emozione, piuttosto, una data qualità nella voce tende ad essere

associata a più emozioni (Gobl e Chasaide 2003).

In sintesi possiamo dire che oggi la maggior parte della ricerca sul discorso emotivo si

concentra sulle caratteristiche delle emozioni dal punto di vista della classificazione. Il

compito principale è quindi quello di estrapolare informazioni emotive dal parlato, ed usarle

per classificare le emozioni. Per prevedere le specifiche emozioni, sono stati sviluppati

modelli appropriati che utilizzano un corpus di emozioni molto vasto. In sostanza quindi, il

principale problema riguarda la progettazione di modelli di previsione accurati e la

predisposizione ad un adeguato corpus del discorso emotivo.

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L’espressione delle emozioni è un fenomeno universale che può essere indipendente dallo

speaker, dal genere e dal linguaggio. I modelli di riconoscimento dell’ emozione che sono

stati sviluppati utilizzando le espressioni di un particolare linguaggio, ma dovrebbero

produrre un buon riconoscimento nelle prestazioni per qualsiasi espressione di un’ altra

lingua. La maggior parte del lavoro svolto e dei risultati prodotti in letteratura, consiste nel

riconoscimento delle emozioni a partire dalla vocalità, utilizzando simulazioni di banche dati.

La sfida reale è quella di riconoscere le emozioni del parlato a partire da emozioni naturali.

Le caratteristiche e le tecniche discusse in letteratura possono essere applicate al naturale

corpus vocale, per analizzare il riconoscimento delle emozioni. Molto spesso in letteratura la

classificazione emotiva viene eseguita utilizzando modelli singoli ( ad esempio: GMM, AANN,

SVM). I modelli ibridi possono essere esplorati per studiare le performance in caso di

riconoscimento emotivo. L’idea base che stà dietro all’utilizzo di modelli ibridi è che le loro

evidenze derivano da prospettive diverse, e quindi, la combinazione di prove, potrebbe

incrementare le prestazioni se le prove sono complementari in natura.

L’andamento del riconoscimento emotivo non è chiaramente conosciuto nel caso di altre

lingue. Ad esempio sarebbe utile valutare le caratteristiche stabilite per il riconoscimento

emotivo nelle diverse lingue indiane. Ciò aiuterebbe a capire se i metodi e le caratteristiche

usate in letteratura sono indipendenti dalla lingua?

Lo studio sulla discriminazione emotiva può essere esteso alla dimensione delle emozioni

(arousal, valenza e potenza), le quali derivano dalla psicologia di produzione e percezione

delle emozioni. Essendo le caratteristiche del discorso legate alle dimensioni emotive,

possono essere esplorate per migliorare ulteriormente le prestazioni di riconoscimento.

L’espressione delle emozioni è un’ attività multimodale. Pertanto, altre modalità come

l’espressione del viso, i bio-segnali, possono essere usati come evidenze di supporto, insieme

ai segnali vocali, per lo sviluppo del robusto sistema di riconoscimento emotivo. L’

affettività dell’ espressione emotiva dipende anche dai contenuti linguistici del discorso.

L’identificazione di parole salienti nel discorso emotivo e di caratteristiche estratte da queste

parole insieme ad altre caratteristiche convenzionali, potrebbero migliorare le prestazioni di

riconoscimento dell’emozione.

Nelle applicazioni in tempo reale, tra cui l’analisi delle chiamate ai servizi di emergenza,

come l’ambulanza, i vigili del fuoco, la verifica delle emozioni per analizzare la genuinità delle

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richieste è importante. In questo contesto, sotto il quadro della verifica delle emozioni,

possono essere esplorate appropriate caratteristiche e modelli. La maggior parte dei sistemi

di riconoscimento dell’esperienza emotiva al giorno d’oggi influenza fortemente le

informazioni specifiche dello speaker durante la classificazione emotiva.

La maggior parte delle attività di ricerca emotiva si sono concentrate sulle performance di

classificazione emotiva. In futuro, la ricerca sul discorso emotivo, potrà beneficiare

soprattutto della disponibilità di grandi raccolte di dati sul discorso emotivo e si concentrerà

sul miglioramento dei modelli teorici per la produzione del linguaggio (Flanagan, 1972) o dei

modelli relativi alla comunicazione vocale delle emozioni (Scherer, 2003). Infatti, le grandi

raccolte di dati che includono una varietà di espressioni dello speaker sotto diversi stati

emotivi, sono necessari al fine di valutare le performance di riconoscimento emotivo vocale,

mediante specifici algoritmi. Malgrado la vasta ricerca sul riconoscimento emotivo, la

standardizzazione di efficienti tecniche vocali che sfruttino le informazioni sullo stato

emotivo per migliorare il riconoscimento vocale, non sono ancora state sviluppate.

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CAPITOLO 5. STUDIO ESPLORATIVO DEI CORRELATI VOCALI

DELL’EMOZIONE

Nel presente capitolo discriverò il lavoro sperimentale che ho condotto in collaborazione con

il Dipartimento di Ingegneria dell’ Informazione di Pisa. Nel primo paragrafo andrò a

descrivere il campione di soggetti e gli strumenti valutativi che sono stati somministrati, nel

secondo paragrafo analizzerò il paradigma sperimentale che abbiamo adottato . A seguito

descriverò in particolare su quali aspetti si è concentrata la mia analisi e quali parametri

vocali sono stati presi in considerazione. Infine riporto l’analisi dei dati effettuata e le

conclusioni dello studio esplorativo.

5.1 Il campione e gli strumenti

Il campione di soggetti utilizzato in questo studio è composto da 23 soggetti di età compresa

tra 21 e 28 anni, di cui la maggior parte sono studenti universitari. Precedentemente l’inizio

delle acquisizioni sperimentali vocali presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione

dell’ Università di Pisa, i soggetti hanno ricevuto via e-mail quattro questionari autovalutativi

che hanno dovuto compilare e rispedire. Tra i questionari scelti abbiamo:

TAS 20 : è uno questionario composto da 20 item ed è uno degli strumenti più comuni per

indagare l’alessitimia. L’alessitimia è un costrutto che indaga la difficoltà che alcune persone

provano nell’identificare e descrivere le emozioni e la tendenza a ridurre al minimo

l’esperienza emotiva, focalizzando l’attenzione all’esterno. La TAS 20 è costituita da tre

sottoscale: “ difficoltà a descrivere sentimenti”, “difficoltà ad identificare sentimenti”,

“pensiero orientato all’esterno” (Gagby et al, 1994).

CERQ : questa scala valuta 9 possibili strategie di regolazione emotiva che l’individuo adotta

in maniera più o meno incisiva a seconda dei casi. Strategie che il soggetto utilizza dopo aver

vissuto esperienze di vita negative. Le proprietà psicometriche del Cognitive Emotion

Regulation Questionnaire (CERQ), così come i suoi futuri rapporti con sintomi di depressione

e ansia, sono stati studiati in un campione adulto della popolazione generale. I risultati

hanno mostrato che la CERQ ha una buona validità fattoriale ed un’ alta affidabilità. Le nove

strategie cognitive di coping descritte, ognuna delle quali strutturata in 4 item, sono:

1) Auto colpevolizzazione: tendenza a colpevolizzare se stessi in merito alle esperienze

negative di cui il soggetto ha fatto esperienza.

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2) Accettazione: si riferisce alla tendenza ad accettare l’esperienza e a rassegnarsi a ciò

che è accaduto.

3) Ruminazione: concentrarsi ripetutamente sui pensieri e sentimenti negativi provocati

dall’esperienza vissuta.

4) Rifocalizzazione positiva: consiste in una modalità di pensiero più gioiosa e piacevole

riguardo gli eventi accaduti. E’ considerata una forma di “disimpegno mentale”, il

pensiero viene rifocalizzato sugli eventi accaduti in maniera più positiva.

5) Concentrarsi sulla Pianificazione: si riferisce al pensiero delle misure da adottare e a

come gestire l’evento negativo. Questa strategia costituisce la componente cognitiva

della focalizzazione all’azione.

6) Rivalutazione positiva: consiste nell’attribuire agli eventi accaduti un significato più

positivo in termini di crescita personale.

7) Messa in prospettiva: fa riferimento alla rilevanza di pensieri gravosi esperiti a

seguito di un evento, andando ad enfatizzare la loro relatività quando sono

comparati ad altri eventi.

8) Catastrofizzazione: si riferisce a pensieri che enfatizzano esplicitamente il lato

terribile di un’esperienza. Lo stile catastrofizzatorio appare essere correlato a

depressione, distress, deficit di adattamento.

9) Colpevolizzare gli altri: la colpa per le esperienze negative vissute viene attribuita agli

altri.

Le strategie cognitive di regolazione emotiva rappresentano una considerevole varianza di

fronte a problemi emotivi e sono state trovate forti relazioni tra le stretegie di : auto

colpevolizzazione, ruminazione, catastrofizzazione, in modo inversamente proporzionale con

la rivalutazione positiva, ed i sintomi di depressione e ansia; sia prima delle misurazioni che

dopo il follow-up. La CERQ potrebbe quindi essere considerata uno strumento valido e

affidabile nello studio del rischio individuale e dei fattori protettivi associati con problemi

emotivi; ci fornisce inoltre importanti obiettivi di intervento (Garnefski et al 2001; 2007).

LSPS: è una scala di eterovalutazione per la fobia sociale, essa abbraccia in maniera più

completa le difficoltà sociali e prestazionali che il disturbo comporta. È composta da 24 item,

di cui 13 che esplorano l’ansia prestazionale o di performance ed i rimanenti 11 l’ansia

sociale.

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Per ogni item vengono poi valutate, separatamente, l’ansia/la paura legate a ciascuna

situazione descritta ed il grado di evitamento. Si ottengono perciò 4 tipi diversi di

valutazione:

- paura/ansia prestazionale,

- evitamento della prestazione,

- paura/ansia sociale,

- evitamento sociale.

La scala si è dimostrata sensibile alle modificazioni indotte dal trattamento ed è stata

utilmente impiegata anche nelle situazioni fobiche simulate. La scala ha una buona

affidabilità e validità interna; si è dimostrata sensibile ai cambiamenti indotti dal trattamento

nei soggetti con fobia sociale ( Liebowitz, 1987).

TEST DI ZUCKERMAN: nel suo questionario Zuckerman ha definito i cinque fattori della

personalità o temperamento. Per Zuckerman il centro della personalità sarebbe il Sensation

seeking, vale a dire la ricerca di sensazioni forti, il continuo bisogno di esperienze e

sensazioni nuove. Alla base di questo costrutto vi sarebbero quindi cinque determinanti :

1) Nevroticismo - ansia

2) Attività

3) Socialità

4) Ricerca di sensazioni impulsive

5) Aggressività – ostilità

Gli item previsti nel questionario sono 99 e sono a risposta dicotomica. Secondo Zuckerman

ciò che caratterizza i disturbi gravi di personalità come psicopatie, condotte antisociali e

forme di ostilità paranoidea, sarebbe una combinazione di ricerca di sensazione impulsiva e

bassa socialità. Aspetti della personalità connessi alla ricerca di sensazioni si collegano con

una forte propensione ad assumere comportamenti rischiosi (Zuckerman, 2002).

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5.2 Il paradigma sperimentale

L’analisi sperimentale ha visto partecipi 23 soggetti di età compresa tra i 21 e i 28 anni. Il

setting è costituito da una stanza in cui ogni soggetto entra singolarmente e deve sedersi ad

un tavolo davanti ad un microfono ( Figura 5). Di fronte a lui, dall’altra parte del tavolo

prendono posto i vari esaminatori e davanti a loro è stato posto un secondo microfono. La

somministrazione delle prove dura circa 40 minuti per soggetto. Ad ogni soggetto venivano

sottoposte cinque prove ognuna delle quali intervallate dalla somministrazione della STAI

short form (van der Bij, 2003), costituita da 6 item per la valutazione dell’ansia di stato. La

prima STAI viene sottoposta non appena il soggetto entra nella stanza per valutare la

condizione di ansia in cui si trova prima di prendere parte all’esperimento. Al termine di ogni

prova viene somministrata un’ ulteriore STAI short form al soggetto. Le istruzioni riguardo le

prove da eseguire vengono date di volta in volta prima dell’inizio di ogni prova.

1° PROVA: LETTURA DI UN TESTO NEUTRO. Il soggetto deve leggere per 3 minuti, a voce alta,

mentre è solo nella stanza, la “Dichiarazione d’ Indipendenza degli Stati Uniti”.

2° PROVA: DESCRIZIONE DI IMMAGINI. Vengono date al soggetto 5 immagini appartenenti al

TAT (Tematic Apperception Test), nonostante questo sia un test proiettivo, esso non è stato

utilizzato per effettuare un’ analisi psicologica, ma esclusivamente per un analisi vocale

essendo immagini contenenti forti contenuti emotivi. Al soggetto venivano dati 3 minuti di

tempo per descrivere le immagini, se riusciva ad impiegare meno tempo la registrazione

veniva interrotta prima. La descrizione delle immagini avviene davanti a due esaminatori.

3° PROVA: TRIER. Il trier ( Kirshbaum, 1993) è un protocollo di induzione in laboratorio, di

moderato stress psicologico. Esso è costituito da due prove:

A) SIMULAZIONE DI UN COLLOQUIO DI LAVORO: il soggetto viene lasciato 10 minuti da solo

nella stanza con il compito di preparare un colloquio di lavoro che dovrà sostenere una

volta trascorsi i 10 minuti e all’entrata di una commissione nella stanza (costituita da i

due sperimentatori che il soggetto aveva già visto in precedenza e da un nuovo

esaminatore). Il soggetto ha il compito di utilizzare 5 minuti di tempo, durante i quali la

commissione non potrà interagire con lui, nei quali dovrà presentarsi e convincere i

membri ad assumerlo. La commissione non può interagire neanche di fronte a delle

domande da parte del soggetto. Solamente se il soggetto resterà in silenzio per almeno

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20 secondi, allora uno dei membri della commissione fornirà piccoli input, ad esempio

“manca ancora 1 minuto”, “ha ancora del tempo a disposizione”.

B) COUNT-DOWN: la seconda parte del protocollo consiste nell’effettuare un conto alla

rovescia partendo da 1022 sottraendo 13 ogni volta, con l’obiettivo di arrivare a 0. Il

soggetto ha a disposizione 5 minuti, ogni volta che sbaglierà, l’esaminatore farà un gesto

e il soggetto dovrà ripartire con il conteggio da 1022.

Il TAT e il TRIER sono stati somministrati in maniera alternata ai soggetti, prima l’uno poi

l’altro.

4° PROVA: SECONDA LETTURA DEL TESTO NEUTRO. Il soggetto riprende la lettura della

“Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti” dal punto in cui si era fermato. La lettura si

svolge di nuovo nell’arco di 3 minuti, a voce alta ed il soggetto viene lasciato solo nella

stanza.

Figura 5: Setting sperimentale. Dipartimento di Ingegneria dell’ Informazione

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5.3 L’obiettivo dello studio esplorativo

Il mio studio esplorativo non è che un lavoro preliminare che fa parte di una ricerca più

ampia sui correlati vocali ed emotivi che ho svolto in collaborazione con il Dipartimento di

Ingegneria dell’ Informazione dell’ Università di Pisa. Per motivi sia di spazio che concettuali

in questo lavoro mi sono concentrata sull’ inquadramento solo di alcuni aspetti. I parametri

su cui mi sono concentrata in questo lavoro di tesi fanno riferimento principalmente alla

regolazione emotiva e all’ alessitimia. I parametri oggettivi utilizzati nello studio sono i

correlati vocali, mentre come correlati psicologici i principali che ho tenuto in considerazione

sono l’alessitimia e la regolazione emotiva. L’obiettivo del nostro studio consiste nel valutare

se i parametri dell’analisi vocalica correlano con i nostri punteggi ai questionari sull’

alessitimia e sulla regolazione emotiva. Vogliamo vedere se il modo di essere alessitimici, o

le varie strategie di regolazione emotiva più o meno adattive, utilizzate, si riverberano sul

correlato vocale. Per avere una descrizione più precisa e una caratterizzazione più completa

usiamo anche i punteggi delle scale di Zuckerman e della LSPS. La somministrazione di 6 STAI

short form per soggetto durante il corso della somministrazione delle prove è inoltre

assolutamente importante, poiché ci consente di rilevare le variazioni di ansia del soggetto

durante il corso delle prove ed anche la componente ansiogena verrà rilevata tramite i

correlati vocali.

5.4 L’ analisi vocale

Nel lavoro sperimentale le registrazioni vocali sono state effettuate attraverso microfoni

AKG P220 condenser, con scheda audio M-audio fast track, campionati a 44 Hz. Da un

tracciato vocale si possono estrarre due tipi di segnali: vocalizzati e non vocalizzati. In questo

studio le feature estratte dal segnale vocale sono generalmente estrapolate dai segnali

vocalizzati, e quindi dai suoni vocalizzati. I segnali vocalizzati hanno un’ andamento

semiperiodico e un’intensità maggiore rispetto a quelli non vocalizzati. Tutti i suoni prodotti

dall’uomo dipendono dalle proprietà acustiche, dinamiche e statiche, del tratto vocale. In

particolare i suoni vocalizzati sono quei suoni la cui produzione è determinata dall’azione

delle corde vocali. Infatti, le corde vocali muovendosi, vanno a produrre quelle che sono le

onde acustiche semi-periodiche che vengono intercettate dal nostro orecchio e dal

microfono durante la fonazione. Per questo motivo quello che principalmente viene estratto

dai segnali vocalizzati è un parametro, chiamato frequenza fondamentale o F0, che altro non

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è che una stima della frequenza a cui vibrano le corde vocali durante la loro fonazione. Il

pitch, tono, è il correlato acustico della F0. Maggiore è la F0 e più alto è il tono. Di solito si

studia come varia la frequenza fondamentale nel tempo. Come varia questa oscillazione.

Nelle donne in genere la frequenza è più alta, mentre gli uomini generalmente hanno un

tono più basso. La frequenza fondamentale è legata alla frequenza con cui si muovono le

corde vocali. Nelle donne in genere è più piccola la dimensione delle corde e di conseguenza

è più alto il tono.

5.6 L’analisi dei dati

Prima di procedere all’estrazione della F0, è necessario quindi effettuare l’individuazione e la

successiva segmentazione dei segnali vocalizzati. A tale scopo è stato utilizzato l’algoritmo

descritto in Vanello et al. (2012). Sui segmenti vocalizzati quindi è stato applicato l’algoritmo

SWIPE’ di Camacho descritto in Camacho e Harris (2008). L’algoritmo SWIPE’ mediante un

approccio nel dominio frequenziale va a stimare la F0 ogni 4 cicli di apertura/chiusura della

glottide, restituendo una serie di stime della F0 in funzione del tempo per ogni segmento

vocalizzato. Da questa serie di stime della F0 sono state estratte quindi tutte una serie di

statistiche relative all’F0 e alla sua derivata. Il numero finale di feature è quindi 39. La

correlazione tra il valor medio di ognuna della 39 feature e il punteggio di ognuna delle 20 ( +

6 short STAI) è stata calcolata tramite il metodo di Spearman. A questo punto è sorto un

problema di correzione dei p-value ottenuti, dato l’alto numero di test svolti. E’ emerso a

questo punto che, alcune scale, e relative sotto scale, sono correlate tra di loro come

mostrato nella seguente figura:

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E’ stato quindi deciso di selezionare un’unica sotto-scala per ognuna delle scale, scegliendo

quella che mostra una variabilità maggiore. Le scale scelte sono: TAS20, CERQ-Accettazione,

LSPS-totale, ZKPQ_tot imp-SS, ed il 5° short stai. Di seguito è riportata la matrice di

correlazione delle sotto-scale scelte:

E’ stato deciso di diminuire il numero delle feature estratte dai segnali vocali. E’ importante

dire a questo punto che la selezione della feature non è stata eseguita in maniera ottimale

dato che il metodo richiederebbe un numero di soggetti maggiore.

Le feature selezionate sono:

1. median(F0): il valore mediano della F0, che può essere considerato come

un'indicazione del tono medio del soggetto;

2. two_by_two: è una indice di variazione media della F0 tra stime non successive.

Questo parametro va a intercettare variazioni più lente rispetto al successivo

parametro che è il jitter;

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79

*100

3. jitter: è una indice di variazione media della F0 tra stime successive. Esso va a

valutare la variabilità del ciclo glottico. Il jitter può dipendere da molte cause

fisiologiche, tra cui: piccole variazioni o asimmetrie nella tensione dei muscoli

fonatori, fluttuazioni della pressione sottoglottica, o variazioni casuali nel flusso

d'aria che attraversa la glottide, perturbazioni nelle innervazioni muscolari, presenza

di muco sulle corde vocali, variazioni della quantità di sangue nella regione lungo il

ciclo cardiaco, e/o interazioni del muscolo laringeo con i movimenti della lingua. Così,

tali perturbazioni nella frequenza sono necessariamente una caratteristica normale

nella fonazione umana; infatti, le voci sintetizzate senza perturbazioni suonano

meccaniche o artificiali. In letteratura il jitter è stato visto essere correlato alla

depressione. Infatti nei soggetti depressi si è visto che questo parametro ha un valore

più alto rispetto ai soggetti in stato eutimico. Studi effettuati su soggetti affetti da

Parkison, rilevano come il jitter sia più alto in questi soggetti che in soggetti di

controllo. In molti lavori il jitter è studiato pure in riferimento a compiti di emotion

recognition.

A questo punto è stato usato come metodo di correzione dei p-value il metodo di Benjamini-

Hochberg.

Come già detto in precedenza, il mio studio esplorativo fa parte di una ricerca più ampia non

ancora del tutto ultimata; quindi per motivi di spazio e contestuali ho tenuto in

considerazione solo gli aspetti legati all’alessitimia e alla regolazione emotiva, quindi relativi

ai punteggi dei soggetti per la TAS 20 e per la CERQ. Le correlazioni tra analisi vocale ed LSPS,

ZKPQ e STAI verranno approfondite in futuro.

Riporterò di seguito i coefficienti di correlazione (R di Spearman) relativi ad un p- value

significativo (p < 0.05) corretto per comparazioni multiple con il metodo del False Discovery

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80

Rate (FDR) di Benjamin Hochberg, in riferimento alle quattro modalità di acquisizione delle

registrazioni vocali.

PRE

TAS 20 CERQ

2) Accettazione

4 1 median(F0)

0 0

7 two_by_two

-0,5330581 0

16 1 jitter

-0,512397 0

POST

TAS 20 CERQ

2) Accettazione

4 1 median(F0)

0 0

7 two_by_two

0 0

16 1 jitter

0 0

TAT

TAS 20 CERQ

2) Accettazione

4 1 median(F0)

0,5712813 0

7 two_by_two

0 0

16 1 jitter

0 0

COLLOQUIO

TAS 20 CERQ

2) Accettazione

4 1 median(F0)

0 0

7 two_by_two

0 0

16 1 jitter

0 0

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81

5.7 Discussione dei risultati

L’analisi dei dati mostra risultati significativi per alcune prove ma non per altre. L’analisi

statistica effettuata è un’analisi di correlazione che come risultato da un r di Spearman tra

punteggio della scala e features estratte. I risultati sono corretti per falsi positivi.

Come è possibile notare dall’analisi dei dati abbiamo dei risultati significativi per la TAS 20

ma non per la CERQ. I risultati della TAS 20 si collocano in maniera inversamente

proporzionale ai correlati vocali analizzati. Attraverso l’analisi vocale possiamo quindi

estrarre dei parametri significativi della capacità/incapacità di descrivere ed indagare le

emozioni (TAS20). Alcune delle nostre prove, più di altre, fanno emergere dall’analisi vocale i

tratti più o meno alessitimici dei soggetti. Mentre per quanto riguarda la sottoscala di

accettazione presa in considerazione nella CERQ, questa possibilità non sussiste. Non è stata

trovata una relazione fra la capacità di accettazione degli eventi negativi che ogni individuo

vive nel corso della propria esistenza e i correlati vocali indagati a seguito delle registrazioni.

Essendo questo studio un lavoro preliminare parte di un progetto più ampio, è difficile anche

tentare di dare un’interpretazione del significato psicofisiologico dei nostri risultati. Al

momento attuale, riteniamo più corretto considerare i nostri risultati come una prova

concettuale della possibilità di studiare con parametri periferici ed in particolare, con la

voce, caratteristiche psicologiche di tratto come i fattori di personalità.

Per tentare di ampliare il respiro dei nostri risultati riteniamo necessario compiere i seguenti

passi futuri:

1. Ampliare il numero di soggetti in modo da ottenere un potere statistico maggiore.

Questo ci consentirà di analizzare più sottoscale e, inoltre, amplierà la variabilità

disponibile per ciascuna singola sotto-scala.

2. Studiare la possibilità di sviluppare e testare nuovi test per la voce e nuovi parametri

da analizzare, in modo da poter ampliare le possibilità di analisi e aumentare, in

teoria, il numero di variabili psicologiche studiate.

3. Capire quali relazioni ci sono fra le diverse sotto-scale allo scopo di studiare un modo

per poterle riassumere in un unico indice.

4. Effettuare il test di permutazione /randomizzazione per stimare meglio il valore del

coefficiente di correlazione.

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82

5.8 Conclusioni

Le emozioni e la capacità di regolarle sono un elemento centrale, quotidiano, nella nostra

vita e la capacità di riconoscerle, regolarle, gestirle e riuscire a darne un significato è di

fondamentale importanza per una vita interiore e relazionale sana. Come ho descritto nel 2°

capitolo la presenza di una psicopatologia si collega sempre ad una difficoltà di gestione

emotiva, oltre a tutti i vari aspetti che caratterizzano nello specifico la patologia in

questione. Attorno al costrutto di emozione e regolazione emotiva, ruotano molti altri

costrutti ad esso connessi, tra cui: l’alessitimia, i tratti di personalità, l’ansia, tutti costrutti

presi in analisi nello studio esplorativo, con lo scopo di indagare una relazione fra questi e i

correlati vocali analizzati a seguito di registrazioni in laboratorio. Come descritto nell’analisi

dei dati il mio studio sperimentale non è che un studio esplorativo che ha preso in

considerazione alcuni aspetti e facente parte di una ricerca molto più ampia non ancora

conclusa e ultimata. Per quanto la ricerca abbia bisogno di un ampliamento del campione, di

ulteriori indagini, di una presa in considerazione di tutte le sottoscale dei test proposti,

possiamo già fare importanti conclusioni. Innanzi tutto questo è il primo studio che dimostra

la capacità di un parametro oggettivo periferico di descrivere un parametro psicologico e

questo è già un dato di grande rilevanza nonostante gli approfondimenti che dovranno

essere effettuati in futuro.

I risultati preliminari evidenziano una relazione tra parametri psicofisiologici (l’alessitimia) e

le caratteristiche periferiche (la voce); questo apre uno scenario molto affascinante. Le

prospettive future diventano interessanti, capire la condizione mentale del soggetto in base

alla voce, trarre informazioni riguardo le sue caratteristiche mentali, riguardo alcuni tratti

che lo contraddistinguono, attraverso un’analisi vocale è qualcosa di assolutamente

innovativo. Interessanti prospettive future si aprono sia per la rilevazione dei disturbi

mentali, sia per la loro valutazione al follow-up.

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