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Diffusione dei luoghi di culto islamici e gestione delle conflittualità. La moschea di via Urbino a Torino come studio di caso Elisa Rebessi Dipartimento POLIS 1

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Diffusione dei luoghi di culto islamici e gestione delle conflittualità. La

moschea di via Urbino a Torino come studio di caso

Elisa Rebessi

Dipartimento POLIS

1

Indice

1. La componente islamica della presenza immigrata in Italia

2. Che cos'è una moschea?

3. Le moschee in Europa

3.1 Il divieto di edificare minareti in Svizzera ed Austria

4. Libertà religiosa e mancata intesa con lo Stato italiano

5. Moschee ed edilizia di culto

6. Le moschee in Italia

6.1 Alcuni casi nell'Italia del Nord

7. Il conflitto legato alla costruzione delle moschee come un N.I.M.B.Y

8. Il caso della moschea di via Urbino a Torino: un NIMBY sociale?

9. Riferimenti bibliografici

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1. La componente islamica della presenza immigrata in Italia

I musulmani in Italia sono poco più di un milione e trecentomila su un totale di circa 4,5

milioni di stranieri residenti. Le comunità musulmane presenti sono caratterizzate da

una provenienza geografica (Africa, Asia, Europa dell'Est), nonché linguistica, sociale e

culturale, assai variegata.

La prima grande ondata migratoria musulmana si registra negli anni Settanta del XX

secolo e vede la presenza di migranti giovani, alfabetizzati, di origine urbana: sono

coloro che costituiranno negli anni Ottanta e Novanta le prime organizzazioni ed

associazioni musulmane. Il ventennio seguente è caratterizzato da fasi migratorie che si

connotano in parte per una presenza irregolare, regolarizzata poi con diverse sanatorie.

Nel 2010 la presenza immigrata musulmana (32% della popolazione straniera) in Italia è

appena superiore a quella ortodossa (28,9%) e ampiamente superiore a quella cattolica

(16,5%) e protestante (3,2%) (Bombardieri, 2011; dati Istat elaborati dalla Caritas

Migrantes nel XVIII Rapporto sull'immigrazione 2010).

Le prime, assolutamente non esaustive, categorizzazioni che possono essere proposte

per descrivere il mondo delle comunità islamiche sono quelle, valide a livello mondiale,

di sunniti, che costituiscono la grande maggioranza dei fedeli, e sciiti1, molto meno

numerosi; vi sono poi, in una quota residuale, i fedeli che si riconoscono in sette e

1 Dopo la morte di Maometto si produce una grande discordia all'interno della comunità dei credenti. Gli orientamenti più forti che si delineano nella comunità musulmana relativamente alla guida della comunità stessa sono un primo che fa capo a una corrente di opinione che intende scegliere il successore di Maometto fra il gruppo dei primi convertiti o degli “emigrati” da Mecca e un secondo, che più tardi si chiamerà il “partito di Ali”, che in arabo suona shi'at 'Ali, da cui il successivo nome di sciiti per distinzione nei confronti dei sunniti, che rivendicherà il principio della successione per linea di sangue o per legame di parentela (Pace, 2004). Le differenze più significative fra le due anime dell'Islam sono così riassumibili:

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confraternite mistiche. Sono inoltre numerosi i non praticanti, che non fanno riferimento

a moschee o associazioni culturali, che non osservano il periodo di digiuno durante il

ramadan, che non seguono le norme alimentari. Lano (2005) ha distinto fra la presenza

di un “Islam privato”, in cui i credenti, generalmente ben integrati, non aderiscono ad

attività sociali, culturali, ad associazioni etc, e la cui frequenza in moschea, quando è

prevista, è limitata alla preghiera settimanale del venerdì; della categoria dei “laici”

(sebbene non essendovi nell'Islam sunnita delle gerarchie religiose riconosciute a cui

contrapporre una parte “civile”, questo costituisca un termine poco appropriato), che

non frequentano i luoghi di culto e i centri islamici e si limitano ad un legame di tipo

culturale con la tradizione di appartenenza; della realtà dei credenti committed (il

cosiddetto “Islam sociale”, con una definizione un po' forzata), ovvero fedeli praticanti

e osservanti, impegnati a livello sociale, culturale e religioso, sostenitori di una riforma

dell'Islam in senso modernista, disponibili al dialogo interreligioso; e infine di tendenze

o posizioni radicali, vicine a ideologie e pensieri di tipo salafita, wahhabita. All'interno

di questi gruppi, “l'Islam privato” rappresenterebbe forse la tipologia più “quotidiana” e

diffusa. Di Motoli (2009) sottolinea come l'Islam in Italia sia caratterizzato da

appartenenze molteplici e da una pluralità legata alla diversa provenienza dei membri

della comunità musulmana. Da qui la necessità di arricchire il comune riferimento

all'Islam diviso tra la tradizione sunnita e quella minoritaria sciita con l'identità etnica o

nazionale. L'Islam è una religione che viene vissuta in maniera molto diversa, “senza

centro”. Se la visibilità nel territorio passa attraverso l'organizzazione dei luoghi di

socialità religiosa, come le sale di preghiera, nonché, nello spazio pubblico, attraverso la

moschea, ciò non significa tuttavia che i musulmani siano solo coloro che vanno in

moschea; ancora meno che essi aderiscano all'ispirazione teologica e politica della

moschea stessa.

L'autore individua tre possibili esiti dell'appartenenza all'Islam:

• privatizzazione della sfera religiosa: l'appartenenza religiosa ha un carattere

sostanzialmente privato e non comprende rivendicazioni sulla scena pubblica;

• secolarizzazione: viene mantenuto un riferimento generico alla tradizione ma la

religiosità non viene praticata;

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• reislamizzazione: l'appartenenza religiosa viene vissuta in maniera aperta e

pubblica, con l'obiettivo di evitare una privatizzazione della sfera religiosa.

La reislamizzazione avviene per opera di un Islam di tipo neo-tradizionalista. Fra le

organizzazioni più significative che portano avanti questo genere di Islam, più orientato

alla politica, vi è l'Ucoii (Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia),

uno dei gruppi più diffusi territorialmente e il più rappresentativo dell' “Islam delle

moschee”. Se l'Ucoii porta avanti un progetto di reislamizzazione dal basso, al

contrario, i fautori dell“l'Islam degli Stati”2, che fanno in gran parte riferimento alla

grande moschea di Roma3, portano avanti progetti legati agli stati nazionali a

maggioranza musulmana e si oppongono al progetto di comunitarizzazione dell'Ucoii.

L'Islam degli Stati prevede in sostanza un rapporto di dipendenza e controllo voluto

dallo stato d'origine per gli immigrati musulmani che vivono nella diaspora; i paesi

esteri tendono a supervisionare la presenza immigrata e la sua religiosità attraverso il

finanziamento di opere e l'invio di imam formati secondo la propria scuola giuridica.

Da una scissione dell'Ucoii su base etno-nazionale (realizzata dalla componente

marocchina4) è nata infine, a Torino, l'UMI, Unione dei Musulmani in Italia5, che

persegue un disegno alternativo a quello dell'Ucoii, volto a fare emergere attori

dell'Islam organizzato meno politicizzati e a realizzare un progetto di dialogo con le

istituzioni dello stato italiano; risulta al momento forse prematuro valutare fino a che

punto tale scissione abbia attecchito, ad ogni modo l'UMI si colloca fra le

organizzazioni che si definiscono rappresentanti di un “islam moderato”. Nel 2008 essa

ha avviato una collaborazione con la COREIS (Comunità Religiosa Islamica Italiana),

anche nell'interesse di una possibile intesa con lo Stato italiano. La COREIS, costituita

2 Fra le espressioni italiane dell'Islam degli Stati vi sono, oltre all'azione autonoma della Libia attraverso la World Islamic Call, sua organizzazione islamica di riferimento, la “Moschea di Stato” di Palermo, gestita dal governo tunisino, l'Istituto Culturale Islamico, sostenuto dall'Egitto, la Missione Culturale dell'Ambasciata del Marocco, che sostiene diverse moschee “spontanee”.

3 La Grande Moschea di Roma, inaugurata nel 1995, costituisce una delle poche moschee vere e proprie presenti in Italia (le altre sono ubicate a Segrate, in provincia di Milano, a Catania e a Palermo). Sorge nella zona nord della città, ai piedi dei Monti Parioli ed è la più grande moschea d'Europa.

4 La comunità marocchina di Torino è la più numerosa in Italia.5 L'UMI viene fondata da Abdelaziz Khounati nel 2007 presso la moschea della Pace di corso Giulio

Cesare a Torino (vedi studio di caso, par 8). Da non confondersi con l'Unione Musulmani d'Italia, con sede ad Ofena, fondata e animata principalmente dai convertiti Adel Smith e Abdul Haqq Massimo Zucchi.

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da soli cittadini italiani prevalentemente convertiti all'Islam, nel 1996 ha proposto allo

Stato italiano una bozza di intesa; promuove l'organizzazione di cicli di conferenze

culturali e interventi in manifestazioni pubbliche di dialogo interreligioso, ha

un'immagine moderata e ha trovato legittimità e sostegno anche attraverso i legami con

gli organi istituzionali.

Secondo Saint-Blancat (1995, p. 124) in Europa in generale l'islam maggioritario si è

strutturato attorno alle moschee e alle associazioni e rappresentanze religiose poiché

esse svolgono quattro funzioni fondamentali: creazione e istituzionalizzazione

progressiva dei luoghi di culto, ristrutturazione sociale e culturale di fronte

all'isolamento e all'emarginazione, costruzione di uno spazio simbolico nella società di

accoglienza in grado di costruire un'immagine positiva dell'Islam, mantenimento

dell'educazione religiosa e dell'identità culturale e linguistica, andando con ciò a

costituire un sistema di controllo sociale oltre che religioso. E' cruciale infatti, in tutti i

processi di integrazione, percepire il luogo in cui ci si è trasferiti come “proprio”, anche

culturalmente. Soprattutto nelle fasi iniziali, è tipico osservare un processo di “auto-

segregazione” che precede quello del riconoscimento reciproco, che tuttavia si verifica

in tutti i processi migratori, non soltanto quelli musulmani.

2. Che cos'è una moschea?

Per Allievi (2010, p. 18) “consideriamo moschea tutti i luoghi, aperti ai fedeli, in cui i

musulmani si ritrovano insieme a pregare con continuità”. Essa fa appello alla funzione

principale della moschea, la preghiera, e alla sua dimensione collettiva e pubblica.

All'interno della categoria “moschea” sono presenti le seguenti differenziazioni:

Luoghi di culto

Centri islamici

Svolgono funzioni di carattere sociale e culturale (scuola coranica,

corsi e momenti di aggregazione per adulti, conferenze, attività

formative e culturali) oltre alla funzione di preghiera. Svolgono anche

attività di rappresentanza istituzionale dei musulmani.

Moschee costruite ad hoc Spesso coincidono con i centri islamici; sovente si presentano con i

segni visibili della cupola e di uno più minareti

Musalla (sala di preghiera) Si tratta della categoria numericamente più significativa in tutti i paesi

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europei. Le attività di preghiera e altre attività correlate (scuola

coranica, ma anche attività economiche tra cui la vendita di prodotti

halal) si possono svolgere in capannoni industriali, magazzini, negozi,

appartamenti.

- musalla etniche: frequentate dai membri di una sola etnia in

genere per motivi linguistici (gruppi etnici non arabofoni)

- zawiya sufi: sale di preghiera che fanno capo a confraternite

mistiche, aventi talvolta anche una specificità etnico –

linguistica (muridi senegalesi, confraternite di origine

indopakistano etc.), ma anche interetnica

- sale di preghiera che fanno a capo a gruppi minoritari di

mussulmani (sciiti, ahmadyya etc.)

- musalla “temporanee”: la stanza svolge la funzione di sala di

preghiera in determinati orari o in determinati periodi

dell’anno. La funzione di preghiera è condivisa con altre

funzioni (può accadere in taluni ospedali, università e altre

istituzioni)

- sale di preghiera rurali e isolate: estranee ai circuiti delle

federazioni, ma stabili

Fonte: Allievi (2010)

Bombardieri (2011) evidenzia come nella radice araba (sjd) della parola moschea

(masjid) risieda la funzione primaria culturale e spirituale: la radice sjd significa

“prostrarsi” e la moschea è il luogo in cui si assolve la preghiera tramite prostrazioni

rituali. La parola musalla rinvia invece ad un luogo circoscritto, anche in spazio aperto,

dove si svolgono sia la preghiera sia funzioni di riunione ed assemblea: non a caso il

venerdì è definito “giorno dell'Assemblea”.

E' bene inoltre sottolineare come le moschee, oltre ad essere luoghi di culto,

rappresentino per l'Islam un modo per uscire dalla sfera privata ed entrare in quella

pubblica rendendosi visibile, facendosi percepire in modo ufficiale. Esse sono i “simboli

fisici” della comunità musulmana, rappresentano un modo per diventare interlocutori

della città, delle istituzioni, per far riconoscere leader e portavoce. Le moschee sono

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inoltre un buon termometro del livello di organizzazione delle comunità islamiche, della

loro unità o frammentazione e della “maturità” o “immaturità” dei loro leader. Rivelano

il grado di accettazione (o mancata accettazione) da parte delle popolazioni autoctone.

Negri e Scaranari Introvigne (2005) affermano che moschee e sale di preghiera sono i

luoghi di autoaffermazione del gruppo e dell'identità islamica. In generale esse

assolvono le seguenti funzioni: la funzione simbolica di ricerca di identità per la

comunità islamica, che si pone specie quando gli immigrati hanno socializzato i bisogni

primari, superando i problemi più gravi della marginalità; la funzione sociale di fare dei

musulmani in diaspora una umma, una comunità religiosa, etnica, a volte nazionale; la

funzione di ricostruzione della vita comunitaria, dentro cui nascono e si manifestano

iniziative, dibattiti, forme di volontariato. Una funzione rilevante della moschea è infine

quella educativa: accanto alla sala di preghiera si trova quasi sempre un locale per

l'insegnamento coranico a cura dell'imam.

3. Le moschee in Europa

La presenza di moschee in Europa è un fenomeno abbastanza recente legato

sostanzialmente alla presenza di lavoratori musulmani immigrati in Europa. Eccezioni

sono costituite dall’Andalusia e dalla Sicilia, dalla Bosnia, dai Balcani, dalla Bulgaria

alla Grecia e dalle aree dell’Europa dell’Est sotto la dominazione ottomana (Allievi,

2010).

La diffusione delle moschee segue tipicamente alcune “tappe”: nel momento in cui un

certo numero di musulmani (in genere appartenenti allo stesso gruppo etnico) si

stabilisce in una data area, apre una sala di preghiera. Si tratta di moschee costruite “dal

basso”, autofinanziate, anche con uno sforzo economico significativo da parte dei

capifamiglia, con lo scopo innanzitutto di trasmettere ai figli valori religiosi e culturali.

Man mano che la popolazione musulmana aumenta, i gruppi etno-linguistici tendono a

differenziarsi e le differenze politiche e religiose fanno sì che anche le sale di preghiera

si moltiplichino. Nelle capitali vengono costruiti centri islamici finanziati anche con

risorse esterne, spesso con il supporto della muslim world league e gli ambasciatori di

paesi islamici trovano spesso rappresentanza in queste moschee.

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In generale, con la parziale eccezione di grandi centri islamici, le moschee vengono per

lo più costruite nelle periferie industriali, dove si trovano edifici adatti allo scopo, o nei

“quartieri etnici” delle grandi città.

De Gregorio (2005) propone il seguente quadro sinottico riguardante la competenza in

materia di costruzione di moschee in undici paesi europei:

Austria

Conta circa 400 luoghi di preghiera mussulmani, la maggior parte dei quali non

liberamente aperta al pubblico. A Vienna è presente una grande moschea

costruita negli Anni Ottanta dotata di minareto. Il diritto urbanistico è di

competenza dei singoli Länder, il contenzioso giudiziario in materia di edilizia

di culto è assai limitato.

BelgioLa maggior parte delle moschee è costituita da locali adattati a tale scopo. La

competenza è in capo alle provincie.

Francia

Le moschee sono più di 1500, di differente grandezza e diversamente

distribuite sul territorio. Le autorità comunali possono dare in locazione alle

Associazioni islamiche a scopo di culto locali pubblici alle stesse condizioni

previste per i partiti politici e per le Associazioni sindacali.

Germania

Esistono più di 2000 moschee. Alcune realizzate in edifici industriali, altre

costruite appositamente come edifici di culto. La loro realizzazione è garantita

dalla Costituzione che riconosce la libertà religiosa.

Grecia

La costruzione di moschee al di fuori delle Regioni tradizionalmente

musulmane è problematica. La Città di Atene costituisce da questo punto di

vista un caso emblematico: non esistono moschee costruite appositamente

come edifici di culto, ma ve ne sono in funzione una trentina in locali adattati a

tale scopo. Il Sinodo della Chiesa ortodossa si era opposto alla costruzione di

una moschea nel centro di Atene.

Italia

Piani regolatori comunali, in conformità con le norme regionali e statali, devono

riservare aree specifiche per la costruzione di luoghi di culto secondo le

esigenze religiose della popolazione. Vi sono numerose sale di preghiera

ricavate in appartamenti privati, magazzini e capannoni industriali.

Portogallo

La comunità islamica di Lisbona dispone di una propria moschea aperta a tutti

i mussulmani il cui statuto richiede però che il Presidente sia necessariamente

sunnita. Il terreno su cui sorge la moschea è di proprietà del Comune di

Lisbona a differenza della moschea di Odivelas in cui la proprietà è di cittadini

portoghesi di fede musulmana.

Regno Unito

Esistono circa 2000 moschee. La loro costruzione e il loro funzionamento

come luoghi di preghiera sono subordinati ai requisiti stabiliti dal Places of

Worship Registration Act o dal Town and Country Planning Act del 1971.

Romania

Costruzione di moschee subordinata al rilascio di apposita autorizzazione da

parte di una Commissione istituita nel 2001 dal Ministero della Cultura e dei

Culti. Spagna Esistono 10 moschee monumentali e sale di preghiera ricavati in altri stabili.

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Esiste dal 1992 una precisa normativa in materia di edifici di culto

Svezia

Le municipalità hanno competenza in materia di edilizia di culto. Attualmente

esistono 6 moschee e più di 150 sale di preghiera. I progetti per la costruzione

delle moschee sono valutati dal City Planning Office che ne giudica la

conformità ai Piani regolatori locali e la concreta realizzabilità.Fonte: De Gregorio (2005)

Allievi (2010a) sottolinea come i conflitti intorno alla costruzione di moschee e alla

visibilità di sale di preghiera in Europa siano una caratteristica significativa e un dato

reale del dibattito di questi anni intorno all'Islam. L'autore sostiene tuttavia come non vi

sia un problema di libertà religiosa non garantita per i musulmani in Europa e che i

problemi siano di ordine qualitativo piuttosto che quantitativo. Nell'ambito della ricerca

che ha coordinato, Conflicts over Mosques in Europe. Policy issues and trends, sono

stati analizzati i casi di una serie di vari paesi europei (Spagna, Italia, Grecia, Austria,

Bosnia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Olanda, Belgio, Svezia, Norvegia,

Finlandia, Danimarca). In base ai dati tratti dai report è possibile conoscere il numero di

moschee nei paesi analizzati ed ottenere il rapporto con la popolazione musulmana

residente: oltre 10 mila moschee per circa 18 milioni di musulmani, che equivale,

grosso modo, ad una moschea ogni 1.800 abitanti musulmani. Un rapporto che l'autore

ritiene significativo e comparabile a quello esistente in molti paesi musulmani o, in

Europa, per i luoghi di culto della religione dominante cristiana nei rispettivi paesi. Il

dato non cambia significativamente se vengono escluse la Bosnia, unico paese in cui

l'Islam costituisce una presenza storicamente attestata e la religione più diffusa, anche se

non maggioritaria, e la Tracia, altra minoranza islamica storica: si avrebbero comunque

quasi 9.000 moschee per oltre 16 milioni di musulmani.

Paese Musulmani (in milioni)% musulmani su

popolazione totale

Moschee (*comprensive

delle musalla)

Spagna 0,8 - 1,1 2,2 454

Italia 1,3 1,9 729

Grecia 0,2 - 0,31 0,4 < di 4002

Austria 0,4 4,8 > di 200

Bosnia 1,5 40 1867

Francia 5,5 8 2100

Germania 3,2 - 3,4 3 2600

10

Gran Bretagna 2,4 4 850-1500

Olanda 1 6 432

Belgio 0,4 - 0,5 3,5 - 4 330

Svezia 0,35 – 0,4 3,8 – 4,4 > 50

Norvegia 0,12 2,5 120

Finlandia 0,04 0,8 30 - 403

Danimarca 0,2 3,5 1151 Di cui circa 120mila appartenenti alla minoranza Tracia

2 Di cui 301 in Tracia, circa 60 nel distretto di Atene, di cui 26 in città

3 Di cui 5 fanno capo alla comunità Tatara

Fonte: Allievi (2010a, p. 153). Dati tratti da Conflicts over Mosques in Europe. Policy issues and trends

3.1 Il divieto di edificare minareti in Svizzera ed Austria

Il conflitto legato all'edificazione di minareti in Svizzera comincia nel 2005 nel cantone

Soletta, a seguito della richiesta dell'associazione Olten Türk Kültür Ocagi di

autorizzazione edilizia per erigere un minareto di 6 metri sul tetto del locale della

propria sede. Il progetto dell'associazione trova immediata opposizione a livello

popolare e viene respinto dalla locale Baukommission che sostiene che la nuova

costruzione violerebbe gli standard urbanistici della zona perché troppo alta e non

consona alle finalità commerciali che caratterizzano il quartiere. L'associazione Olten

Türk Kültür Ocagi impugna tale decisione e vedrà il proprio ricorso accolto presso il

tribunale amministrativo del cantone e poi confermato sia dal Tribunale amministrativo

cantonale che dal Tribunale Federale, che affermeranno in sostanza la possibilità di

costruire luoghi di preghiera anche in zone generalmente destinate ad attività

commerciali, purché il minareto abbia una funzione simbolica e non diffonda alcun

richiamo sonoro alla preghiera.

Se in una prima fase la questione sull'edificazione dei minareti sembra assumere un

carattere prevalentemente tecnico e il conflitto sembra essere locale, di seguito

quest'ultimo si rafforza, per divenire marcatamente politico-simbolico e con una

risonanza mediatica globale. Nel Cantone Berna, una consigliera comunale del partito

UDC (Unione Democratica di Centro, primo partito svizzero) definisce il minareto un

“simbolo aggressivo a forma di missile” trovando il consenso di 3500 persone che

sottoscrivono la petizione dall’oggetto “Stop ai minareti”. A poca distanza di tempo

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iniziative simili vengono assunte in altri cantoni da altri esponenti del partito UDC

(mozioni e iniziative parlamentari volte a vietare la costruzione di minareti sul

territorio). Nel 2007 le diverse iniziative locali volte ad introdurre un divieto di

costruzione di minareti si uniscono su base nazionale, dando vita a un’iniziativa

popolare (coordinata dal comitato Gegen den Bau von Minaretten) che intende

modificare la Costituzione federale via referendum, aggiungendo un comma all'articolo

72 recante l’inciso “L’edificazione di minareti è proibita”. Mentre le proteste locali

originarie vedevano al proprio centro la questione della tutela dell'Heimat come valore

assoluto, ovvero della tutela del paesaggio tradizionale, dell'ambiente alpino che

caratterizza geomorfologicamente ed identitariamente la Svizzera (Pacillo, 2010), il

comitato Gegen den Bau von Minaretten punta sulla politicizzazione di ben altre

istanze. Esso dichiara di opporsi alla costruzione di minareti perché “l’Islam non separa

la religione dallo Stato”, perché “il minareto rappresenta un simbolo di potere religioso-

politico dell’Islam” nonché “un simbolo di potere islamico che esprime una pretesa di

egemonia del tutto antidemocratica”. Il conflitto politico diviene ancora più aspro

all'avvicinarsi delle votazioni, a seguito dell'affissione di manifesti da parte del comitato

che ritraggono una bandiera rossocrociata squarciata da minareti stilizzati a forma di

missile ed una donna che indossa il burqa sullo sfondo. Molti comuni vieteranno

l'affissione di tali manifesti e la Commissione federale contro il razzismo, nel 2008, si

esprimerà con una dura presa di posizione contro questi ultimi; in ogni caso al

referendum, nel 2009, viene confermata l'iniziativa volta ad impedire l'edificazione di

minareti ad ampia maggioranza (57%).

Anche in Austria il tema entra in agenda nel 2005 quando, nel piccolo comune alpino di

Telfs, la Türkisch Islamische Union für Kulturelle und Soziale Zusammenarbeit in

Österreich (ATIB) richiede una licenza edilizia per costruire una moschea con minareto.

In un primo tempo gli abitanti si oppongono e, attraverso una raccolta firme, sostengono

l’estraneità della moschea al paesaggio tipico del luogo e l’altezza eccessiva del

minareto. L'ATIB rivede allora il progetto originario e limita l’altezza del minareto,

ottenendo dal sindaco l'autorizzazione per la costruzione della moschea secondo i nuovi

parametri. II caso di Telfs diviene tuttavia “nazionale”, viene cioè preso a pretesto per la

presentazione di alcune proposte di legge che hanno l'obiettivo di impedire o limitare la

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costruzione di minareti. Nel 2008 due Länder, Carinzia e Vorarlberg, su proposta dei

partiti di destra Fpoe (Freiheitlichen Partei Österreichs) e Bzoe (Bündnis Zukunft

Österreich), approvano leggi che limitano la costruzione di edifici le cui caratteristiche

architettoniche non rispecchino i parametri del paesaggio tradizionale.

4. Libertà religiosa e mancata intesa con lo Stato italiano

La Costituzione italiana sancisce il principio di eguale libertà delle confessioni religiose

e il loro diritto ad organizzarsi secondo i propri statuti; gli articoli 8 e 19 stabiliscono il

dovere dello Stato di salvaguardare la libertà religiosa in un regime di pluralismo

confessionale. Lo Stato italiano regola i rapporti con le confessioni non cattoliche sulla

base di intese con le relative rappresentanze: a partire dal 1984 ha stipulato intese con la

Tavola valdese, l’Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7° giorno,

l’Assemblee di Dio in Italia, l’Unione delle Comunità ebraiche italiane, l’Unione

cristiana evangelica battista d’Italia e la Chiesa evangelica luterana in Italia. Sebbene fin

dagli anni ‘90 alcune rappresentanze islamiche abbiano avanzato istanze per stipulare

intese con lo Stato italiano, non si è mai riusciti a pervenire ad un accordo, anche a

causa del mancato coordinamento delle organizzazioni che compongono la comunità.

Nel 2000 è stata costituita l’associazione del Consiglio islamico d’Italia quale

organismo di rappresentanza dell’Islam; esso, tuttavia, non è mai divenuto operativo.

Nel 2005 è stata istituita presso il Ministero dell’interno, per volere dell'allora ministro

Pisanu e poi portata avanti dal suo successore Amato, la Consulta per l’islam italiano,

un organo consultivo a cui appartengono i membri delle istituzioni islamiche più

rappresentative6. La Consulta per l'Islam italiano nasce con gli obiettivi di avviare un

dialogo istituzionale con le componenti musulmane presenti in Italia e di porre le

condizioni per costruire un “Islam italiano”: fondato sui propri valori religiosi e

culturali, ma anche sulla piena accettazione degli ordinamenti politici e delle leggi

italiane. Nel 2008 alcuni esponenti musulmani hanno presentato un documento

intitolato Dichiarazione di intenti per la federazione dell’Islam italiano, con il proposito

6 L'unica realtà islamica riconosciuta come ente morale in Italia, il Centro islamico culturale d'Italia, che gestisce la Grande moschea di Roma, non fa parte della Consulta dell'Islam italiano, avendo nel proprio direttivo solo ambasciatori di paesi arabi e musulmani.

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di costituire una federazione islamica che si riconosca nei principi della Costituzione e

della Carta dei valori della cittadinanza e dell’integrazione7. Tale Dichiarazione di

intenti individua come obiettivo di interesse generale la formazione di una compagine

islamica moderata, che accetti il principio di laicità dello Stato nel rispetto del

pluralismo confessionale, alla luce del dialogo interreligioso. Fra le finalità

dell'auspicata federazione dell’Islam italiano vi sono la qualificazione degli imam e la

regolamentazione dei luoghi di culto.

Nel 2010 si è costituito il Comitato per l'islam italiano, in sostituzione della Consulta

per l'islam italiano. Si tratta di un organismo consultivo che comprende esponenti

dell'associazionismo islamico, con l'eccezione dell'Ucoii, e docenti di diritto

musulmano, canonico, ecclesiastico, arabisti, giornalisti. Esso esprime parei e proposte

su questioni specifiche, con l'obiettivo di migliorare l'integrazione delle comunità

musulmane, nel rispetto e nella condivisione dei valori della Costituzione.

5. Moschee ed edilizia di culto

La costruzione di luoghi di culto in Italia è regolamentata da norme statali8, regionali e

7 Adottata nel 2007 dall’allora ministro dell’Interno, Giuliano Amato, prospetta una mappa di orientamento in materia di multiculturalità e pluralismo etnico e religioso proponendo un percorso costituzionale per tutte le realtà confessionali italiane

8 Ad oggi (2012) vi sono numerosi disegni di legge depositati presso la Camera dei Deputati contenenti norme sulla realizzazione di edifici di culto, non ancora esaminati in Commissione. Fra questi: il disegno di legge Gibelli (C1246), che demanda alle Regioni la potestà di autorizzare la realizzazione di nuovi edifici destinati a funzioni di culto e di redigere un piano di insediamento degli edifici dedicati ai culti ammessi che tenga conto del numero di immigrati regolari residenti legalmente sul territorio, e che prevede l'indizione di referendum locali per l'approvazione degli edifici; il disegno di legge Garagnani (C552), che limita l'utilizzo degli edifici di culto a finalità religiose; il disegno di legge Zaccaria (C2186) che intende disciplinare il diritto a ricevere contributi pubblici e a ottenere agevolazioni tributarie a tutte le confessioni religiose che abbiano una comunità dei fedeli nell'ambito territoriale di un Comune ed introdurre la possibilità di costruire anche in deroga alle norme urbanistiche sulla zonizzazione ove limitative senza giustificati motivi; il disegno di legge Sbai (C3294), che prevede l'istituzione di un registro pubblico delle moschee e di un albo nazionale degli imam presso il ministero dell'Interno. Altri testi sono depositati al Senato, fra cui il S755 Cossiga, volto a introdurre una regolamentazione provvisoria per la confessione islamica in Italia; il S1042 Musso, volto a introdurre il silenzio assenso nella procedura di autorizzazione da parte di un Comune per la realizzazione di un edificio di culto, ma con l'indicazione esplicita dell'identità del soggetto gestore dell'edificio di culto. Infine, la mozione Cota ed altri (1-00076 ) invita il Governo a bloccare la costruzione di nuove moschee fino a quando non verrà approvata una legge che regolamenti l'edificazione di luoghi di culto delle confessioni che non abbiano stipulato intese con lo Stato italiano, mentre la mozione Evangelisti ed altri 1-00169 , al contrario, sottolinea la necessità di una specifica normativa sulla libertà religiosa.

14

pattizie. Le norme pattizie fanno parte del Concordato con la Chiesa Cattolica e delle

intese con le altre confessioni religiose, ma non esiste un'intesa fra Stato italiano e

Islam. Un principio che si evince dalla normativa statale e che deve essere recepito

anche dalle norme regionali è che le esigenze religiose della popolazione che si

manifestano nelle situazioni locali devono essere tenute in considerazione nella

pianificazione urbanistica comunale. In ogni caso, specie a seguito della riforma del

Titolo V della Costituzione del 2001, è in particolare alle leggi regionali che bisogna

fare riferimento per trovare elementi rilevanti in materia di edilizia di culto. Le norme

variano da regione a regione, ma condividono alcune linee di fondo: i Comuni devono

individuare nei piani urbanistici aree da destinare ad edifici di culto ed attrezzature per

servizi religiosi sulla base delle esigenze della popolazione locale e delle istanze delle

comunità religiose. Tali aree sono assegnate alle comunità che ne abbiano fatto richiesta

in proporzione alla loro consistenza e ad altri criteri che possono variare (Roccella,

2008).

Leggi regionali in materia di edilizia di culto. Esempi di riferimenti a confessioni non cattoliche

Lombardia

L.R. n. 12/2005 “Legge per il governo del territorio”,

Art 70:

La Regione ed i Comuni concorrono a promuovere,

conformemente ai criteri di cui al presente capo, la

realizzazione di attrezzature di interesse comune

destinate a servizi religiosi da effettuarsi da parte

degli enti istituzionalmente competenti in materia di

culto della Chiesa Cattolica.

Le disposizioni del presente capo si applicano

anche agli enti delle altre confessioni religiose

come tali qualificate in base a criteri desumibili

dall’ordinamento ed aventi una presenza diffusa,

organizzata e stabile nell’ambito del Comune ove

siano effettuati gli interventi disciplinati dal presente

capo, ed i cui statuti esprimano il carattere

religioso delle loro finalità istituzionali e previa

stipulazione di convenzione tra il Comune e le

confessioni interessate.

Piemonte L.R. n. 39/1997. “Modificazioni alla legge regionale

15

7 marzo 1989, n. 15 (Individuazione negli strumenti

urbanistici generali di aree destinate ad

attrezzature religiose - Utilizzo da parte dei Comuni

del fondo derivante dagli oneri di urbanizzazione e

contributi regionali per gli interventi relativi agli

edifici di culto e pertinenze funzionali all'esercizio

del culto stesso)”,

Art 1: La presente legge regionale disciplina i

rapporti intercorrenti tra insediamenti abitativi e

servizi religiosi ad essi pertinenti, nel quadro delle

attribuzioni spettanti rispettivamente ai Comuni ed

agli Enti istituzionalmente competenti in materia di

culto della Chiesa cattolica e delle altre

confessioni religiose che abbiano una presenza

organizzata, diffusa e consistente a livello

nazionale ed un significativo insediamento nella

comunità locale di riferimento

Liguria

L.R. 4/1985 “Disciplina urbanistica dei servizi

religiosi”,

Art. 1: La presente legge regionale disciplina i

rapporti intercorrenti tra insediamenti residenziali e

servizi religiosi ad essi pertinenti, nel quadro delle

attribuzioni spettanti rispettivamente ai Comuni ed

agli Enti istituzionalmente competenti in materia di

culto della Chiesa cattolica e delle altre

confessioni religiose che abbiano una presente

organizzata nell'ambito dei Comuni interessati

dalle previsioni urbanistiche di cui al successivo

comma 3

Lazio L.R. n. 27/1990 “Contributi sugli oneri di

urbanizzazione a favore degli enti religiosi per gli

edifici destinati al culto. Interventi regionali per il

recupero degli edifici di culto aventi importanza

storica, artistica od archeologica”,

Art. 1: La Regione con la presente legge disciplina i

rapporti intercorrenti tra insediamenti residenziali e

servizi religiosi ad essi pertinenti, nel quadro delle

attribuzioni spettanti rispettivamente ai comuni ed

agli enti istituzionalmente competenti in materia di

culto della chiesa cattolica e delle altre

confessioni religiose, i cui rapporti con lo Stato

16

siano disciplinati ai sensi dell'art. 8, terzo

comma, della Costituzione o che siano

riconosciuti in base alle vigenti leggi e che

abbiano un presenza organizzata nell'ambito dei

comuni interessati dalle previsioni urbanistiche di

cui ai successivi articoli

La Regione Lazio è l'unica a prevedere che le confessioni religiose debbano aver

stipulato un'intesa con lo Stato italiani ai sensi dell'articolo 8 della Costituzione. Le

leggi regionali stabiliscono alcuni criteri oggettivi per individuare le confessioni

religiose che possono avvalersi delle disposizioni a sostegno dell'edilizia di culto. Tali

principi per esempio escludono che le amministrazioni locali possano discriminare la

comunità richiedente sulla base del suo orientamento “ideale”, privilegiando ad esempio

una comunità ritenuta “moderata” rispetto ad una ritenuta “radicale”. Non si può

affermare che tali principi abbiano trovato applicazione nella realtà, dal momento in cui,

fra le condizioni necessarie per stipulare un accordo per la costruzione di una moschea,

diverse Amministrazioni Comunali hanno esplicitamente richiesto alle comunità

musulmane coinvolte un atto di dissociazione dall'Ucoii (Unione delle comunità

islamiche in Italia) (Ferrari, 2008).

6. Le moschee in Italia

In Italia le sale di preghiera si diffondono dapprima nella maggiori città (Milano,

Torino, Roma, Napoli), in cui oggi il “paesaggio urbano” dà testimonianza della

presenza musulmana anche attraverso altri edifici ed esercizi commerciali, come le

macellerie halal, i ristoranti e i negozi etnici etc... per poi diffondersi in modo

abbastanza capillare anche nelle città minori.

Bombardieri (2011) propone un censimento nazionale dei luoghi di culto islamici,

realizzato fra il 2008 ed il 2010. Esso rileva la presenza di 769 luoghi di culto islamici

sul territorio nazionale per circa 1 milione e trecentomila musulmani, pari al 34% dei

residenti stranieri e al 2,2% della popolazione totale.

17

Regione Popolazione Stranieri Musulmani% Musulmani

su stranieriMoschee1

Musulmani

per moschea

Valle d'Aosta 127.065 7.509 3.684 49 3 1.228

Piemonte 4.432.571 351.112 115.684 33 61 1.896

Lombardia 9.742.676 904.816 341.054 38 125 2.728

Liguria 1.615.064 104.701 33.585 32 23 1.460

Trentino-Alto

Adige1.018.657 78.861 27.765 35 24 1.157

Friuli

Venezia-

Giulia

1.230.936 94.976 25.589 27 16 1.599

Veneto 4.885.548 454.453 149.023 33 111 1.343

Emilia-

Romagna4.337.979 421.482 165.217 39 112 1.475

Marche 1.569.578 131.033 50.694 39 34 1.491

Toscana 3.707.818 309.651 98.769 32 51 1.937

Lazio 5.626.710 450.151 147.157 33 36 4.088

Umbria 894.222 85.947 27.058 31 18 1.503

Abruzzo 1.334.675 69.641 19.902 29 12 1.659

Campania 5.812.962 131.335 25.457 19 28 909

Molise 320.795 7.309 1.837 25 2 919

Puglia 4.079.702 73.848 27.011 37 25 1.080

Basilicata 590.601 11.526 3.029 26 2 1.515

Calabria 2.008.709 58.775 14.768 25 26 568

Sicilia 5.037.799 114.632 39.918 35 54 739

Sardegna 1.671.001 29.537 8.335 28 6 1.389

Italia 60.045.068 3.891.295 1.325.536 34 769 1.7231 Comprensive di musalla, sale sciite, sale private (zawaya) delle confraternite sufi, musalla etniche

Fonte: Bombardieri (2011, p. 58)

I dati sulle moschee fanno riferimento a luoghi in cui almeno il venerdì la comunità

musulmana si riunisce per pregare. Delle 769 sale di preghiera individuate, almeno un

terzo era già presente alla fine degli anni Novanta. La maggioranza di questi spazi è in

affitto, ma da alcuni anni sempre con maggiore frequenza le comunità investono

nell'acquisto di locali (anche se non sempre si rivelano adeguati per il culto). La sala

femminile generalmente non è presente e le donne tendono a pregare all'interno delle

18

loro abitazioni9.

6.1 Alcuni casi dell'Italia del Nord

Più della metà delle sale di preghiera sono localizzate nelle regioni del nord, dove è

concentrata anche la maggiore presenza di immigrati musulmani. Segue un

approfondimento, in cui i dati sul numero delle moschee e delle sale di preghiera sono

tratti dal lavoro di Bombardieri (2011), relativo a tali regioni:

Valle d'Aosta

Provincia Musalla

Aosta 3

Totale 3

Bombardieri (2011, p. 64)

Più del 40% dei musulmani residenti in Valle d'Aosta proviene da paesi musulmani

dell'Africa (Marocco, Tunisia e Algeria); un'altra importante presenza registrata è quella

albanese. Nella città di Aosta è presente un Centro islamico di circa 400 m2 con sala

maschile e femminile, frequentato il venerdì da circa 400 persone. La comunità d'Aosta

è attiva nel dialogo islamo-cristiano locale e ha intessuto ottimi rapporti con il Comune.

Piemonte

Provincia Musalla

Torino 18

Cuneo 15

Alessandria 8

Vercelli 7

Asti 4

Biella 3

Novara 4

Verbano Cusio Ossola 2

Totale 61

Bombardieri (2011, p. 65)

9 Tradizionalmente le donne vivono la propria religiosità soprattutto nell'ambito domestico, dove pregano e celebrano tutte le feste canoniche o i riti di passaggio, come la circoncisione dei figli maschi (Pace, 2004, p. 106).

19

I musulmani in Piemonte sono oltre il 30% della popolazione straniera, la comunità

marocchina è la più numerosa (circa il 17%; seguono l'Albania, 8%, la Tunisia, 1,5%, il

Senegal, 1,4%). A Torino, in cui, fra le diverse musalla, è presente anche uno spazio

privato per gli sciiti, le sale di preghiera più grandi sono la Moschea della Pace gestita

da Abdelaziz Khounati e frequentata il venerdì da circa 500 fedeli per lo più marocchini,

il Centro Taiba con 200 fedeli, la musalla di via Cottolengo con 150 fedeli,

l'Associazione islamica culturale in Piemonte di via Saluzzo con circa 200 fedeli.

Quest'ultima è legata all'Ucoii, a differenza della Moschea della Pace gestita da

Khounati.

Lombardia

Province Musalla

Milano 39

Brescia 25

Bergamo 14

Mantova 13

Cremona 6

Pavia 6

Varese 7

Como 5

Lodi 3

Sondrio 3

Monza Brianza 2

Lecco 2

Totale 125

Bombardieri (2011, p. 68)

I musulmani in Lombardia, pari al 38% dei residenti stranieri, provengono soprattutto

dal Marocco (circa 11%), dall'Albania (circa 7%), dall'Egitto (5%) e dal Senegal (3,5%).

I luoghi di culto censiti sono per lo più costituiti da magazzini, garage, cascine,

sottoscala e capannoni.

Il caso di Milano

20

A Segrate in provincia di Milano, si trova una delle poche autentiche moschee d'Italia,

la moschea al-Rahman. Edificata nel 1988, presenta una cupola ed un minareto di una

decina di metri e ha una capienza di circa 150 persone. E' gestita dal Centro Islamico di

Milano e Lombardia, diretto da Abu Shwaima, membro dell'Ucoii. Da anni a Milano è

in cantiere il progetto di realizzazione della moschea al-Wahid della COREIS italiana, in

via Meda, che prevede la riqualificazione degli spazi esistenti, senza minareto. Un'altra

realtà rilevante è quella dell'Istituto culturale islamico di viale Jenner, diretto da Abdel

Hamid Shaari. Nel centro di viale Jenner giungono fino a 4.000 persone per la

preghiera, che occupano con stuoie e tappetini i marciapiedi circostanti. Nel 2008 il

ministro degli Interni indirizzò la comunità islamica a recarsi al Palasharp per la

preghiera del venerdì in attesa di trovare una soluzione alternativa (ancora oggi, 2011,

assente).

Nell'agosto 2011 il sindaco della città di Milano, Pisapia, ha per la prima volta

incontrato i rappresentanti delle comunità islamiche riuniti sotto la sigla Caim

(Coordinamento Associazioni Islamiche di Milano10) con l'obiettivo di risolvere entro un

anno il problema dei luoghi di preghiera per le comunità musulmane. L'orientamento

emerso dall'incontro è stato quello dell'ipotesi di costruire piccoli spazi di culto nei

quartieri della città, accantonando l'idea di una Grande moschea, andando a riconoscere

e a “sanare” o regolarizzare i tanti piccoli centri già esistenti. La proposta

dell'amministrazione, oltre all'opposizione del partito della Lega Nord, che ha

annunciato petizioni e referendum, ha visto una reazione tiepida anche da parte di alcuni

esponenti del Partito Democratico, fra cui la capogruppo in Consiglio Comunale, che ha

sottolineato l'opportunità di agire con maggiore prudenza e di coinvolgere prima i

Consigli di zona. La Coreis milanese, a sua volta, che non fa parte del Caim, ha

espresso alcuni distinguo sul progetto, pur rinnovando la propria apertura al confronto

con le istituzioni.

10 Le associazioni islamiche milanesi che aderiscono al Caim sono: la Fajr di via Quaranta, l'associazione Islamica di Milano di Cascina Gobba, l'Istituto Culturale Islamico di viale Jenner, la Comunità Islamica di Milano composta dai membri della comunità turca, l'Islamic Forum-Associazione Culturale Bangla composta dalla comunità bengalese, l'associazione di Welfare Islamica di Milano, la Nuova Associazione Culturale Islamica Dar al Quran di via Stadera, l'Alleanza Islamica d'Italia, l'associazione Donne Musulmane d'Italia e i Giovani Musulmani d'Italia. Il portavoce è Davide Piccardo, figlio del portavoce Ucoii

21

Il caso di Lodi

A Lodi il Comune deliberò, dopo una serie di trattative con la comunità islamica nei

primi anni del 2000, l'edificazione di una moschea e di un centro culturale, che tuttavia,

non vennero mai realizzati. Saint Blancat e Schmidt di Friedberg (2005) hanno

analizzato il caso della (mancata) moschea di Lodi come paradigmatico del legame

esistente tra livello nazionale e locale, su come sia ricorrente che un conflitto locale si

trasformi in una problematica nazionale. Il caso della moschea di Lodi era divenuto una

sorta di controversia nazionale data l'ampia attenzione che i media gli avevano dedicato,

soprattutto a causa della marcia anti-moschea organizzata nella città dal partito della

Lega Nord il 15 ottobre del 2000, che si rese responsabile anche di gesti simbolicamente

molto violenti, come cospargere di urina di maiale il luogo in cui si sarebbe dovuta

realizzare la moschea.

Secondo le autrici “The conflict was caused in reality by resistance towards, and fear

of, Islam’s becoming visible and its request for equal recognition within Italy’s public

arena. It has three main dimensions. Firstly, local politics (the confrontation between

the centre-left mayor and the Lega), in which Muslims have become scapegoats.

Secondly, the worldwide media’s construction of an ‘Islamic peril’. Thirdly, symbolic

violence (Bourdieu 1980) linked to a set of identity problems constructed by the Lega

Nord around the territory of ‘Padania’ the Po Plain region” (Saint Blancat, Schmidt di

Friedberg 2005, p. 1089).

A Bergamo è attivo dalla fine degli anni Ottanta il Centro Culturale Islamico; nella città

da qualche anno è stata destinata un'area per un cimitero islamico. In provincia di

Varese, a Gallarate, i musulmani si riuniscono il venerdì in un centro sportivo della zona

come sistemazione temporanea, dopo che il locale in cui si riunivano a pregare in via

Peschiera fu chiuso da un'ordinanza comunale e dopo che anche un successivo stabile,

da loro acquisito, fu altresì chiuso per la non conformità urbanistica.

Veneto

Province Musalla

Treviso 24

22

Vicenza 21

Padova 21

Verona 18

Venezia 15

Rovigo 6

Belluno 6

Totale 111

Bombardieri (2011, p. 71)

I musulmani in Veneto sono il 33% degli stranieri residenti, provengono in prevalenza

dal Marocco (12%), dall'Albania (6,2%), dal Bangladesh (3,5%). La prima sala di

preghiera viene fondata a Padova dagli studenti dell'Usmi (Unione degli studenti

musulmani in Italia11), aderente all'Ucoii. La seconda comunità islamica più antica della

regione è a Vicenza, presente con una musalla dai primi anni Novanta. A Treviso il

Consiglio islamico riunisce 13 centri, tra cui la moschea itinerante di Villorba, nota

perché la comunità islamica non ha ottenuto il cambio d'uso dei locali dopo aver

acquistato un nuovo capannone da adibire a moschea per 350.000 euro. Per mesi la

comunità è stata ospitata a turno da quattro Comuni della provincia, da cui il nome di

“moschea itinerante”, fino a quando non ha acquistato una tecnostruttura da adibire a

nuovo luogo di culto nell'area circostante il capannone. Nel 2009 la comunità è tornata

nell'edificio preesistente, rifacendosi alla legge 383/2000 (Disciplina delle associazioni

di promozione sociale), che consente alle associazioni di promozione sociale l'uso dei

locali con qualsiasi destinazione d'uso.

Trentino-Alto Adige

Province Musalla

Bolzano 12

Trento 12

Totale 24

Bombardieri (2011, p. 74)

11 È la prima forma organizzata e visibile dei musulmani in Italia. Nasce negli anni Settanta, è un'organizzazione di studenti musulmani prevalentemente mediorientali che studiavano all'Università degli stranieri di Perugia. Da questa organizzazione hanno avuto origine i primi centri islamici in Italia.

23

In Trentino-Alto Adige i musulmani sono il 35% degli stranieri e provengono

prevalentemente da Albania (circa 10%), Marocco (circa 10%) e Pakistan (5%). Circa

una decina delle sale di preghiera è legata all'Ucoii, il cui responsabile regionale

presiede la Comunità islamica del Trentino-Alto Adige che ha sede a Trento.

Friuli Venezia Giulia

Province Musalla

Trieste 5

Udine 4

Gorizia 4

Pordenone 3

Totale 16

Bombardieri (2011, p. 76)

In Friuli Venezia Giulia il 27% dei residenti stranieri è musulmano, di provenienza in

prevalenza dall'Albania (9%), dal Marocco (circa 4%), dal Bangladesh (circa 3%). La

prima comunità islamica organizzata è a Trieste e risale al 1981. Sempre a Trieste è

presente una comunità sciita. Un'ampia comunità musulmana è presente a Pordenone, a

Gorizia e a Monfalcone è presente la maggiore comunità bangladese della regione (circa

2000 persone). A Udine si trova un'ampia comunità magrebina, presente con un luogo di

culto da più di dieci anni.

Liguria

Province Musalla

Genova 8

Savona 5

Imperia 7

La Spezia 3

Totale 23

Bombardieri (2011, p. 77)

I residenti musulmani sono circa il 32% degli stranieri, provenienti in prevalenza

dall'Albania (12%), dal Marocco (circa 10%), dalla Tunisia (2%). Nella regione si è

creato un legame solido fra più centri islamici, che nel 1999 ha portato alla formazione

24

della Comunità dei Musulmani della Liguria (Comul), a cui appartengono circa 12 sale

di preghiera. Oltre a tale organismo, che opera soprattutto a Genova, si registra la

presenza della Federazione marocchina della Liguria, che riunisce 14 centri.

Il caso di Genova

Negli ultimi giorni del 2011 la giunta di Genova ha approvato una delibera contenente

le disposizioni amministrative per costruire una moschea. Il progetto per la costruzione

della moschea, che verrà edificata nel quartiere del Lagaccio, ha una storia lunga e ha

visto molte contrapposizioni. Un primo documento di intesa fra l'amministrazione

comunale e la comunità musulmana interessata risale al 2008, occasione in cui il partito

della Lega Nord organizzò una raccolta firme per chiedere un referendum popolare sulla

costruzione della moschea. Il luogo che era stato individuato per la costruzione della

moschea in base all'accordo del 2008 viene cambiato diverse volte; nel corso del

dialogo e delle negoziazioni con l'amministrazione, la comunità musulmana acquista

anche uno stabile a Coronata; tuttavia, a fine 2010, l'amministrazione individua

definitivamente la zona del quartiere Lagaccio. Alla Comunità musulmana vengono

richieste due condizioni, entrambe rispettate: la costituzione di una fondazione

autonoma dall'Ucoii e lo scambio fra l'area del Lagaccio e quella precedentemente

acquistata. Il progetto nell'area del Lagaccio prevede la realizzazione anche di spazi

esterni alla moschea di “accoglienza” per non musulmani (un ingresso, probabilmente

con una fontana e un bar). Contro la realizzazione dell'opera, oltre al partito della Lega

Nord, si è costituito un comitato di cittadini: il Comitato centro est, che sostiene che il

quartiere avrebbe bisogno di altri interventi di riqualificazione e non della presenza del

luogo di culto in progetto.

Emilia-Romagna

Province Musalla

Bologna 34

Modena 20

Reggio Emilia 17

Ravenna 9

Parma 8

25

Rimini 7

Forlì-Cesena 6

Ferrara 6

Piacenza 5

Totale 112

Bombardieri (2011, p. 79)

In Emilia-Romagna, seconda regione d'Italia per numero di luoghi di culto individuati, i

musulmani sono poco meno del 40% dei residenti stranieri. Essi provengono dal

Marocco (circa 15%), dall'Albania (9%), dalla Tunisia (circa 5%). A Parma la comunità

islamica è presente dagli anni Settanta; ha stipulato un “patto di cittadinanza” con il

Comune, in base a cui si impegna in progetti di integrazione in cambio della garanzia da

parte dell'amministrazione comunale di poter svolgere le attività culturali e religiose del

centro. A Reggio Emilia è presente un centro islamico attivo sin dagli anni Novanta,

molto attivo nel dialogo interreligioso e promotore di numerosi progetti interculturali. A

Modena la comunità islamica usufruisce di un capannone messo a disposizione dal

Comune. In provincia di Cesena il Centro di cultura e studi islamici della Romagna ha

ottenuto una modifica al piano regolatore per costruire una moschea vera e propria. Il

Centro di cultura e studi islamici della Romagna di Ravenna, dopo aver acquistato un

terreno da un privato nella periferia della città ha iniziato nel 2010 la costruzione di una

moschea, che prevede la realizzazione di una cupola e due minareti.

Il caso di Bologna

A Bologna la costruzione della moschea si è interrotta a causa del dissenso fra l'allora

giunta Cofferati (2004) e l'associazione musulmana coinvolta. L'accordo originario fra

Comune e associazione prevedeva la costituzione di una fondazione che, nelle

intenzioni del Comune, avrebbe dovuto costituire un mezzo di controllo e verifica dei

finanziamenti della moschea. L'associazione musulmana tuttavia si è opposta, ritenendo

la costituzione della fondazione troppo costosa e preferendo la creazione di

un'associazione senza finalità di lucro; proposta che non ha trovato il consenso del

Comune. L'Amministrazione comunale aveva inoltre chiesto all'associazione

musulmana, senza successo, di dissociarsi dall'Ucoii.

26

7. Il conflitto legato alla costruzione delle moschee come un N.I.M.B.Y

Apertura di sale di preghiera, costruzione di moschee, avvio di centri culturali islamici

sono diventati occasione di dibattiti e talora di scontri. Se la città è il luogo della

rappresentazione pubblica, è anche il luogo del conflitto, dove i residenti di una zona

manifestano la loro diffidenza verso i nuovi arrivati. Questo tipo di conflitto si ritrova,

con alcune varianti, in tutta Europa, sempre come segno della presenza islamica.

I conflitti NIMBY (Not in my Back Yard) hanno per oggetto un uso pubblico di spazi

ritenuto indesiderabile da parte di coloro che li abitano. Seguendo un approccio di law

& economics e dandone un'interpretazione “neutrale”, essi possono essere descritti

come un potenziale squilibrio fra benefici diffusi e costi concentrati per le popolazioni

locali, legati alla realizzazione di insediamenti di carattere infrastrutturale o sociale.

Se in Italia le proteste locali contro opere infrastrutturali (come inceneritori o grandi vie

di comunicazione ferroviarie) sono oggetto di numerose ricerche e sono sottoposte a

monitoraggio12, alla luce del medesimo approccio appaiono meno studiate le proteste

legate alla realizzazione di localizzazioni sgradite: insediamenti e servizi di carattere

sociale ritenuti portatori di degrado (come centri di assistenza, CPT, case popolari...).

Parte della letteratura politologica in Italia tende ad argomentare che nimby sociali e

nimby sulle infrastrutture sono fenomeni differenti, attribuendo in qualche misura

un'interpretazione “negativa” ai primi e “positiva” ai secondi. Caruso (2010, 213 e

successive), che distingue fra la “mobilitazione ambientalista per la difesa dei beni

comuni” e quella “securitaria” incentrata sulla difesa del luogo dalla presenza di

popolazioni straniere o considerate portatrici di minaccia e di degrado, sostiene che esse

evochino due immagini contrapposte della comunità: nella prima si presenterebbero i

tratti di una comunità aperta, che vede nella propria lotta una ridefinizione di diritti

universalistici e che cerca costantemente di relazionarsi con altre comunità locali e altri

12 Si veda a tal proposito il progetto Nimby Forum, promosso dall'Aris- Agenzia di ricerche Informazione e Società, con un osservatorio permanente che monitora il fenomeno delle contestazioni territoriali ambientali attraverso un'analisi approfondita dei media nazionali http://www.arisweb.org/i-progetti/nimby-forum

27

popoli; nella seconda di una comunità chiusa, che rimane aperta alla proprietà privata e

al capitale.

Ritengo che i due tipi di nimby non siano differenti da un punto di vista analitico e che

per entrambi sia valido uno schema interpretativo che prevede che vi siano:

• benefici diffusi, che vanno alla collettività generale, che tuttavia li percepisce

poco e ha scarsa capacità di acquisirli

• costi concentrati, che ricadono sulla comunità territoriale (sul quartiere in

questo caso), che li percepisce in modo acuto

e che il conflitto presenti una base materiale ed una ideologica più o meno consistenti.

Adotto infine una prospettiva costruttivista (o soggettivista) rispetto al fenomeno della

percezione dei rischi13 per la comunità ospitante, secondo la quale il rischio è un

costrutto sociale e la trattazione del conflitto presuppone la necessità di interpretare le

paure che la comunità esprime. In base a questo punto di vista, le paure e i timori

espressi dagli abitanti del quartiere vengono “messi al primo posto”, nel senso che

meritano, indipendentemente dal fatto che poggino o meno su basi “oggettive”, su dati

reali, attenzione analitica, nella convinzione che potrebbero fare emergere ulteriori

domande ed istanze utili a trattare il conflitto stesso.

Dopo aver ripercorso e analizzato i passaggi attraverso cui l'Amministrazione Comunale

di Torino ha autorizzato la costruzione di una moschea in un quartiere dell'area nord

della città e aver ricostruito i momenti in cui il tema ha ricevuto picchi di attenzione da

parte dei media, ragiono sul fatto se il conflitto sia effettivamente scoppiato o se invece

sia stato tutto sommato contenuto. Su quest'ultimo punto formulo alcune ipotesi

interpretative e valuto se l'amministrazione abbia fatto ricorso a qualche percorso

partecipativo per trattare il conflitto ed eventualmente di che tipo: prevalentemente

informativo/comunicativo o consultivo/animativo.

13 In particolare quelli legati alla sicurezza personale (Lupton 2003), in primis microcriminalità: furti, borseggi... Fra le molte letture interpretative possibili al fenomeno dei conflitti a base territoriale vi è quella secondo cui i conflitti nascono dalla percezione del rischio che può derivare alla società ospitante

28

8. Il caso della moschea di via Urbino a Torino: un NIMBY sociale?

Il percorso comincia nel 2007, quando il centro islamico “Moschea della Pace”,

collocato in Corso Giulio Cesare 6, nel cuore del quartiere di Porta Palazzo, uno dei più

multietnici della città, individua la necessità di cambiare sede.

La Moschea della Pace è punto di riferimento di una parte consistente di fedeli

marocchini ed è collocata in un basso fabbricato interno a un cortile in un condominio

ad alto tasso di conflittualità e degrado delle parti comuni. La ristrettezza del locale

(circa 100 mq) impedisce di contenere fisicamente i fedeli (circa 500), che nella

preghiera del venerdì utilizzano tutti gli spazi condominiali (compreso il cortile).

Sempre nel 2007, il Centro Islamico promuove la costituzione dell'associazione

nazionale U.M.I. (Unione Musulmani d'Italia), che prende le distanze dall'Ucoii e,

ponendosi come interlocutore “moderato” e affidabile, comincia un percorso di

accreditamento con le istituzioni nazionali e locali. L'U.M.I. collabora inoltre con la

CO.RE.IS, promuove iniziative di formazione e riflessione e in particolare organizza,

con la partecipazione di docenti universitari, corsi di formazione per gli imam.

Con il supporto del Ministro per gli Affari Religiosi Islamici del Regno del Marocco

Ahmad Tewfiq, che elargisce una donazione cospicua, e attraverso l'autofinanziamento

della comunità marocchina, l'U.M.I. nel 2007 decide di acquistare da un privato un

immobile di circa 1200 metri quadrati in via Urbino 5, in Borgo Aurora (una ex fabbrica

di tessuti). Parallelamente avvia una “trattativa” con l'Assessorato alle politiche di

integrazione e rigenerazione urbana per identificare le procedure corrette per

ristrutturare e gestire il centro come luogo di culto in modo trasparente e rispettoso delle

leggi. Si tratta nello specifico di un progetto di manutenzione straordinaria di interni (il

progetto non prevede la costruzione di un minareto) che, in base all'art. 32 comma 4

della legge 383/2000 (“Disciplina delle associazioni di promozione sociale”), prevede

che “la sede delle associazioni di promozione sociale ed i locali nei quali si svolgono le

relative attività sono compatibili con tutte le destinazioni d'uso omogenee,

indipendentemente dalla destinazione urbanistica”.

29

Il centro islamico si costituisce pertanto, prima dell'acquisto dell'immobile, in ONLUS e

fonda con atto notarile un soggetto giuridico ad hoc (“La Palma ONLUS”) che risponde

alle esigenze di:

• dichiarare nelle finalità l'aspetto religioso in modo esplicito

• individuare una modalità di selezione dell'imam (mutuata dallo Statuto delle

comunità ebraiche) scegliendolo fra persone di profonda conoscenza della

religione musulmana e della società, della lingua e della cultura italiana

• rispettare scrupolosamente i requisiti della legge 383/2000 e dell'ordinamento

civile italiano, offrendo trasparenza e tracciabilità sugli organismi dirigenti e sui

finanziamenti (i bilanci delle ONLUS sono per legge pubblici).

Il il 30 dicembre 2010 il centro islamico ottiene il via libera dagli uffici dell'urbanistica

del Comune per cominciare i lavori di ristrutturazione, dopo un lungo iter.

il 28 febbraio 2011, l'ultimo giorno utile, il partito della Lega Nord deposita un ricorso

al Tribunale Amministrativo Regionale del Piemonte contro le procedure che hanno

portato a dare il via libera alla realizzazione della moschea in via Urbino.

Secondo i leghisti, infatti, per concedere l'autorizzazione sarebbe stata necessaria una

modifica del piano regolatore e quindi l'approvazione in Consiglio Comunale.

Ad aprile del 2011 il TAR del Piemonte rinvia al mese di ottobre la decisione nel merito

sul ricorso della Lega contro il rilascio del permesso. Il ricorso a fine ottobre viene

respinto dal TAR, tuttavia i lavori per la costruzione della moschea sono attualmente

(2012) fermi per mancanza di fondi.

Picchi di attenzione nei media e politicizzazione dell'argomento moschea

I primi passi del progetto moschea, a livello di contatti tra Assessorato, uffici e U.M.I.

risalgono al 2007. Avendo ricostruito il quadro delle falle amministrative che hanno

bloccato iniziative simili quasi ovunque in Italia, l'amministrazione studia e mette a

punto con il centro islamico un percorso che con ogni probabilità metterà al riparo

l'U.M.I. da un simile rischio. La comunità che gravita attorno al centro islamico di corso

Giulio Cesare viene evidentemente riconosciuta come la parte della comunità islamica

30

torinese più avanzata e matura per avviare un processo simile. A seguito di un iter

piuttosto lungo per mettere a punto definitivamente il progetto, il via libera ai lavori da

parte degli uffici dell'urbanistica, come anticipato prima, risale a fine 2010.

Il tema della costruzione della moschea entra nell'agenda dei media sostanzialmente in

tre momenti:

- quando trapela per la prima volta la notizia del progetto ma, soprattutto, del

finanziamento proveniente dal Regno del Marocco (aprile 2009)

- quando gli uffici dell'urbanistica del Comune autorizzano l'avvio dei lavori di

ristrutturazione dello stabile di via Urbino e il partito della Lega Nord annuncia

che ricorrerà al TAR per bloccare i lavori (gennaio 2011)

- durante la campagna elettorale per le elezioni amministrative del maggio 2011,

quando la Lega Nord apre un comitato elettorale in via Urbino, proprio di fronte

alla sede della futura moschea

Fase 1 – Aprile 2009

La notizia del progetto della moschea e del finanziamento proveniente dal Regno del

Marocco comincia a trapelare sulla stampa nell'aprile del 2009. Alcuni articoli riportano

inesattezze, taluni elementi falsi. Si riportano di seguito tre articoli ritenuti emblematici:

21 aprile 2009: esce sul Giornale Piemonte un articolo dal titolo “Pioggia di soldi dal

Marocco per costruire moschee a Torino” in cui si dà notizia che il governo del Marocco

avrebbe deciso di finanziare con due milioni di euro la realizzazione di una rete di

moschee nelle grandi città, tra le quali anche Torino. Secondo il Giornale risalirebbe

inoltre a novembre 2008 l'incontro del ministro marocchino per l'immigrazione a

Torino, ma da allora la Giunta comunale non avrebbe mai fatto parola dell'argomento. A

scoprire il disegno e a comunicarlo al giornale La Padania ci avrebbe pensato la

deputata del PDL originaria del Marocco Souad Sbai.

Lo stesso giorno su Repubblica cronaca Torino esce un pezzo dal titolo “Il Marocco

31

finanzia la Moschea” in cui viene intervistato Abdelaziz Khounati, imam della Moschea

della Pace di Corso Giulio Cesare, principale referente del progetto, che non indica con

precisione il luogo in cui verrà ubicata la moschea, ma che spiega che essa potrà

ospitare fino a 500-600 persone. Il costo dell'operazione ammonta a due milioni e

mezzo secondo Khounati, finanziati per metà dal ministero per gli affari religiosi di

Rabat. Nello stesso articolo è riportata una dichiarazione dell'Assessore Ilda Curti che

spiega che il progetto non richiede varianti urbanistiche, che si tratta di pratiche che

riguardano gli uffici, rispetto a cui Giunta e Consiglio non si dovranno esprimere.

22 aprile 2009: in un articolo dal titolo “La moschea si prende la Mole” il quotidiano La

Padania riporta della conferenza stampa avvenuta il giorno precedente nella sede della

Lega Nord del Piemonte in cui un'accoppiata effettivamente singolare, data dal prof.

Mohammed Lamsuni14 e l'eurodeputato Mario Borghezio, esprime profonda

preoccupazione e contrarietà al progetto. Nell'articolo viene riportata una notizia il cui

contenuto risulta essere falso: si riporta di un'intervista ad Abdelaziz Khounati al

quotidiano di Casablanca “Al Masac”, in cui quest'ultimo riferirebbe della presenza di

finanziamenti per la moschea ricevuti dalla Regione Piemonte, dalla Provincia e dal

Comune di Torino. Finanziamenti in realtà inesistenti. Lamsuni, che sostiene di parlare a

nome della “maggioranza silenziosa dei marocchini che vivono e lavorano a Torino e

che non considerano la moschea come luogo di rivendicazione politica e religiosa” si

dice inoltre preoccupato per il finanziamento diretto da parte del Regno del Marocco,

che in questo modo potrebbe imporre i propri imam e la propria politica.

Il 27 Aprile 2009, a seguito delle sollecitazioni della Lega Nord, si svolgono in

Consiglio Comunale le comunicazioni dell'Assessore Ilda Curti relative alla notizia

della creazione di una moschea in un edificio in via Urbino 5 a Torino.

Fase 2 – Gennaio 2011

I giornali di cronaca di Torino (in particolare la Repubblica Torino e la Stampa)

riportano le notizie della avvenuta autorizzazione da parte degli uffici comunali e

14 Nato a Casablanca, a Torino dal 1990, poeta e traduttore, autore di diverse pubblicazioni, fra cui Porta Palazzo mon amour (2006), punto di riferimento della letteratura della migrazione italiana

32

dell'intenzione dell'U.M.I. (attraverso interviste ad Abdelaziz Khounati) di dare avvio ai

lavori di ristrutturazione nell'ex fabbrica di tessuti di via Urbino 5 entro fine gennaio

2011.

Lo stesso giorno in cui l'U.M.I. ottiene l'autorizzazione per l'avvio dei lavori (30

dicembre 2010) dagli uffici della Divisione Urbanistica, l'associazione “Casa di

famiglia” dell'imam Mohamed Bahreddine deposita presso gli stessi uffici un progetto

per la realizzazione di una seconda moschea più grande, nel quartiere Barriera di

Milano. I quotidiani di metà gennaio 2011 riportano la notizia, data per certa, della

volontà di realizzare una seconda moschea in città, forti anche delle dichiarazioni

rilasciate dallo stesso Bahreddine15. La notizia si rivela in realtà priva di fondamento: il

progetto è semplicemente appena stato consegnato agli uffici e manca di gran parte

della documentazione necessaria.

La Lega Nord annuncia l'intenzione di ricorrere al Tribunale Amministrativo Regionale,

convinta del fatto che il permesso concesso dall'amministrazione sia illegittimo e che

avrebbe richiesto una variante del piano regolatore. Sempre la Lega Nord deposita in

Consiglio Comunale il 13 gennaio 2011 una mozione, di cui viene data notizia sulla

stampa, perché venga effettuato un referendum per chiedere ai torinesi se siano

d'accordo con la costruzione di moschee in città.

Esce il 15 gennaio 2011 per il quotidiano la Stampa una breve video-inchiesta, dal titolo

“La guerra della moschea a Torino”16 in cui compaiono immagini della preghiera del

venerdì in alcuni centri islamici della città- strutture per lo più inadeguate ad accogliere

i fedeli- e in cui vengono intervistati anche alcuni abitanti del quartiere Borgo Aurora,

nei pressi del luogo in cui verrà realizzata la moschea.

Fase 3 – Marzo-Maggio 2011

La Lega Nord attende l'ultimo giorno utile per depositare il proprio ricorso al TAR,

ottenendo spazio nei quotidiani con la notizia del deposito del ricorso già in un clima da

campagna elettorale (vedasi fra gli altri l'articolo comparso il 4 marzo 2011 sul Fatto

Quotidiano dal titolo “Torino, la Lega ricorre al Tar contro la moschea”, in cui viene

15 Fra i vari, vedasi l'articolo uscito su CRONACAQUI.IT Torino il 13 gennaio 2011 dal titolo: “Torino, la moschea fa il bis: un centro islamico a Barriera di Milano”

16 Realizzata dal giornalista Niccolò Zancan: http://www.youtube.com/watch?v=iptIMbD57wE

33

intervistato il sociologo Stefano Allievi17). Con l'accendersi dei riflettori della campagna

elettorale (le elezioni si terranno alla fine di maggio 2011), il tema della moschea

comincia ad acquisire una rilevanza- mediatica- a livello nazionale.

Poco prima della metà di aprile 2011 i quotidiani locali danno notizia dell'apertura di un

circolo della Lega Nord (avvenuta il 9 aprile), inaugurato dall'europarlamentare

Borghezio, in via Urbino 6, proprio di fronte dall'edificio in cui verrà realizzata la

moschea. Il circolo si autodefinisce come “ufficio rapporti sociali” e i suoi responsabili

oltre, evidentemente, ad osteggiare l'apertura della moschea, dichiarano di voler fornire

servizi alla cittadinanza, come consulenze legali e assistenza fiscale gratuite.

E' scoppiato il conflitto?

Riprendo lo schema proposto nel primo paragrafo per sintetizzare quelli che mi sono

parsi, alla luce delle interviste effettuate ad alcuni testimoni privilegiati e, sul campo,

presso alcuni esercenti del quartiere Borgo Aurora, gli elementi caratterizzanti il

conflitto legato alla costruzione della moschea

• benefici diffusi: ristrutturazione di un immobile abbandonato; chiusura di una

“moschea-garage” e realizzazione, oltre che della moschea, di un centro

culturale e di aggregazione aperto alla cittadinanza; valorizzazione/

rafforzamento di una comunità, nell'ambito del cosiddetto “arcipelago islamico”,

ritenuta moderata, matura, dialogante

• costi concentrati: deprezzamento degli immobili dell'area circostante via

Urbino; maggiore flusso di persone e di traffico, soprattutto in occasione della

preghiera del venerdì; problema dei parcheggi (già scarsi; il problema è già

sentito nella zona); percezione di rischi legati alla sicurezza personale

(“aumenterà la microcriminalità”)

La base materiale del conflitto è forte soprattutto per quanto riguarda la percezione dei

rischi legati alla sicurezza personale. Dalle interviste effettuate non sembra che gli

17 Autore del libro La guerra delle moschee (2010)

34

abitanti del quartiere abbiano una percezione realistica di quello che sarà il flusso di

persone che frequenterà la moschea. Esso viene per lo più sopravvalutato, quando non

del tutto ingigantito. Non è chiaro che la prossimità dei luoghi di culto vale anche per

l'Islam, non è chiaro che a trasferirsi in via Urbino sarà una singola comunità, già

esistente e pertanto circoscritta, limitata ad un certo numero di fedeli. Non sembra

esservi consapevolezza che i maggiori (eventuali) problemi a livello di traffico

sarebbero concentrati fondamentalmente un giorno alla settimana, il venerdì, per la

preghiera collettiva. Da alcuni colloqui informali mi è parso di capire che molti,

soprattutto cittadini anziani, non abbiano neppure troppo chiaro cosa sia una moschea...

La realizzazione del luogo di culto viene inoltre inevitabilmente associata, in un

quartiere ad alta intensità di presenza immigrata e con qualche problema di

microcriminalità e di spaccio, ad un aumento di questi ultimi elementi. Inutile dire

infine che la capacità attrattiva della realizzazione di un centro di cultura islamica (oltre

alla moschea), per quanto aperto e trasparente, presso una popolazione italiana del

quartiere che risulta essere prevalentemente anziana18, rasenta lo zero.

La base ideologica del conflitto sembra piuttosto debole presso gli abitanti del quartiere

e molto forte presso l'unico attore che ha cercato di farsi “imprenditore del conflitto”: il

partito della Lega Nord. La Lega Nord, fondamentalmente (anche se non senza

contraddizioni al suo interno) si contrappone al modello di integrazione portato avanti

dall'amministrazione comunale, considera i luoghi di culto musulmani una minaccia

all'identità e alla cultura italiane, ritiene che non sia in fin dei conti plausibile una

distinzione fra componenti fondamentaliste e moderate all'interno delle comunità

islamiche. Anche in altre città d'Italia di fronte a casi simili (es. Genova, Colle Val

d'Elsa, Bologna) la Lega fa riferimento ad uno stesso repertorio: procede a raccolte

firme, cerca di bloccare il progetto per vie legali (ricorrendo al TAR), si appella alla

necessità che sia svolto un referendum presso i cittadini per sondare la loro volontà

rispetto all'ipotesi che siano costruite delle moschee.

18 Per quanto riguarda la composizione demografica di Borgo Dora-Valdocco (zona statistica 12) al 2010 i residenti stranieri rappresentano complessivamente il 35% dell'intera popolazione e risulta particolarmente interessante il dato della popolazione straniera riferito alle prime fasce d'età: è infatti di origine straniera il 65% della popolazione infantile in fascia d'età 0-2 anni, quasi il il 53% della fascia 3-5, il 48% circa il 50% della fascia 6-10, il 49,5% di quella 11-13. Per le altre fasce d'età la percentuale di popolazione straniera è oltre il 50% fino ai 50 anni per poi decrescere sotto l'1% oltre i 70 anni. Fonte: Circoscrizione 7 Città di Torino, Schede ex Quartiere 7- anno 2011.

35

Rispetto al caso della moschea di via Urbino sembra di poter affermare che il conflitto,

fondamentalmente, non sia scoppiato o che, in ogni caso, sia stato tutto sommato

contenuto. Compreso il periodo della campagna elettorale che, ci si sarebbe potuti

aspettare, avrebbe potuto fungere da “detonatore”.

Ho proceduto a formulare alcune ipotesi riguardo la presenza di determinate variabili e

al verificarsi di alcuni eventi che, considerati insieme, ritengo possano aver contribuito a

mantenere il conflitto contenuto.

1. La presenza di pregresse risorse di radicamento politico e reti di fiducia. L'idea è cioè

che, nel quartiere in cui verrà costruita la moschea, l'amministrazione comunale ha

potuto contare su una base di consenso forte, radicata, basata su una appartenenza

identitaria non particolarmente permeabile a specifiche decisioni e scelte di policy. Una

simile ipotesi parrebbe essere almeno in parte suffragata dall'analisi del voto. Se si

guarda ai risultati delle ultime elezioni amministrative nella circoscrizione 7, si

evidenzia che il Partito Democratico, di cui sono espressione il sindaco e l'assessore

uscente alle politiche di integrazione e rigenerazione urbana, si attesta al 32% (con un

dato per altro perfettamente simile a quello delle precedenti amministrative, che è però

necessariamente dato dalla somma dei voti dei partiti DS e Margherita) e la coalizione

di centrosinistra complessivamente al 54%, mentre la coalizione di centrodestra (PDL,

Lega Nord, La Destra Storace) si ferma al 25%. Il partito della Lega nord, che cresce

complessivamente nella circoscrizione 7 nel passaggio dalle amministrative del 2006 a

quelle del 2011 dal 3 all'8%, perde tuttavia voti nella circoscrizione se si fa riferimento

al dato delle elezioni regionali del 2010, con un passaggio da 3505 voti, pari al 10,77%

ai 3312 voti nel 2011, pari all'8%.

2. La composizione socio-demografica del quartiere. Come anticipato precedentemente

(vedi nota 8) la borgata Borgo Dora-Valdocco all'interno della circoscrizione 7 presenta

una composizione demografica particolare, che vede in generale la presenza di molti

immigrati (35% della popolazione), ma soprattutto una concentrazione di immigrati

nelle fasce di età giovane, a discapito di una concentrazione degli “autoctoni” nelle

fasce di età anziana.

36

Anni Residenti di cui stranieri

da 0 a 2 553 361

da 3 a 5 457 242

da 6 a 10 612 312

Da 11 a 13 351 174

Da 14 a 17 428 189

Da 18 a 29 2038 1089

Da 30 a 39 2577 1346

Da 40 a 49 2594 1136

Da 50 a 59 1861 497

Da 60 a 69 1542 111

Da 70 a 79 1500 Da 70 e oltre

56

Da 80 a 89 918

90 e oltre 172

Totale nel 2010 15603 5513

2009 15457 5187

2008 15417 4993

Fonte: Dati statistici sulla popolazione al 31/12/2010, Settore Statistica Città di Torino

Si può ipotizzare che un simile dato demografico possa aver inciso sulla capacità dei

residenti di mobilitarsi.

3. L'eredità di un insieme di politiche di mediazione e di gestione della conflittualità

legate all'immigrazione, messe in atto sin dall'epoca delle crisi urbane (Allasino,

Bobbio, Neri, 2000) a partire dalle giunte Castellani. La città di Torino ha, come noto,

una storia di immigrazione tutt'altro che recente e, in particolare a partire dalla metà

degli anni Novanta, l'amministrazione comunale ha promosso politiche integrate di

rigenerazione urbana in risposta ad una forte domanda di sicurezza, che sono

intervenute sulla attivazione di progetti sociali, sulla riqualificazione di spazi pubblici e

di quartieri (dal progetto The Gate a Porta Palazzo agli interventi a San Salvario). In tal

senso, le politiche di gestione della conflittualità legata all'immigrazione in particolare

nel vicino quartiere di Porta Palazzo potrebbe aver avuto un'influenza “positiva”.

4. La gestione della “fuga di notizie” dell'aprile 2009. Non è dato in effetti sapere, ex

37

post, se l'amministrazione comunale avrebbe fornito comunque e magari nello stesso

periodo una comunicazione pubblica altrettanto dettagliata del progetto intrapreso con

l'U.M.I., degli obiettivi, del perché un certo tipo di percorso sia stato avviato proprio

con quell'interlocutore e a quali condizioni etc... Fatto sta che il progetto della moschea

di via Urbino viene di fatto reso pubblico a seguito di un momento di scontro politico

molto aspro, in cui la Lega Nord muove accuse pesanti all'amministrazione (vedi

paragrafo 3). La risposta dell'allora assessore in consiglio comunale viene fornita in

totale trasparenza, compresi i dettagli sugli aspetti che avevano suscitato maggiore

preoccupazione (finanziamenti). E' ragionevole ritenere che se il conflitto è stato in gran

parte disinnescato, un contributo fondamentale l'abbia avuto questo passaggio di

“apertura” o di rendicontazione pubblica.

Considerazioni conclusive

L'amministrazione comunale non ha fatto ricorso a percorsi partecipativi per gestire il

progetto della realizzazione della moschea di via Urbino. Ha semmai adottato un

approccio fortemente top-down, in cui ha avviato una trattativa con un interlocutore

privilegiato, ritenendolo evidentemente adeguato e all'altezza della sfida (la parte più

avanzata della comunità islamica) e ha scelto di dare ex post comunicazione pubblica

delle proprie decisioni, in totale trasparenza, dando avvio, di fatto, ad una

sperimentazione nell'ambito di un quadro normativo incerto a livello nazionale e di una

realtà in cui progetti simili finiscono quasi ovunque per naufragare.

Rispetto all'opportunità di mettere in campo processi partecipativi, il fatto che il

conflitto sia stato contenuto nonché la stessa analisi del voto alle ultime elezioni

amministrative potrebbero far ritenere che, tutto sommato, di tali processi

l'amministrazione non avesse bisogno.

Ritengo tuttavia che se l'insieme di alcuni fattori può aver “positivamente” disinnescato

il conflitto (mi riferisco all'eredità delle politiche di gestione della conflittualità legata

all'immigrazione e alla gestione, da parte dell'amministrazione, della “fuga di notizie”

dell'aprile 2009), altrettanto non può essere detto per le altre variabili che ritengo

abbiano inciso sul contenimento del conflitto: pregresse risorse di radicamento politico

e composizione socio-demografica del quartiere. In base a queste ultime due variabili, la

38

mancata espressione del conflitto non necessariamente coincide con una situazione di

consenso e, soprattutto, di comprensione della nuova realtà di cui si arricchirà il

quartiere. La mia impressione è stata al contrario che, nel quartiere, la consapevolezza

dell'entità e del significato dell'intervento che verrà realizzato sia assolutamente esigua.

E che se le preoccupazioni relative alla base “ideologica” del conflitto restano

minoritarie o sopite, appannaggio di un solo partito politico, ben poco è stato fatto

invece per capire e trattare gli elementi che del conflitto rappresentano la base materiale

(percezione del rischio e paure in primis). Tutto ciò va naturalmente a scapito degli

obiettivi di integrazione, assai condivisibili, che la stessa amministrazione comunale ha

voluto porre, con le sue politiche, al primo piano.

Un ulteriore interrogativo che può valere la pena porsi è se, tornando indietro all'inizio

del percorso, nel 2007, l'amministrazione comunale avrebbe potuto essere in effetti

sufficientemente “forte” per affrontare con un processo partecipativo un tema delicato

come quello della realizzazione di una moschea. Può darsi cioè che, tutto sommato,

l'amministrazione abbia scelto in quel determinato momento storico l'unica soluzione

che sembrava percorribile, a seguito anche della valutazione di una serie di opportunità,

in parte contingenti.

Il fatto che la discussione sulla realizzazione delle moschee abbia oggi trovato piena

cittadinanza nei media e nel dibattito pubblico nazionale potrebbe favorire il ricorso ad

eventuali processi partecipativi sul tema, utili, oltre che a trattare un ipotetico conflitto,

ad aumentare le probabilità di integrazione fra cittadini “autoctoni” e cittadini

appartenenti al cosiddetto '“arcipelago islamico”.

39

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