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Diffondilo tramite intranet ed affiggilo in bacheca
LUGLIO 2013 - formato elettronico
Questo numero è diffuso solo in formato elettronico
Sommario:
APPALTO HABILITA DI CISERANO – RICHIESTA DI CASSA INTEGRAZIONE IN DEROGA CTE s.c.s. Pag. 2 EE.LL. – L’UTILIZZO DI GRADATORIE DI ALTRI ENTI Pag. 5 EE.LL. – LE ASSUNZIONI ED IL D.LGS 33 DEL 2013 Pag. 10 EE.LL. - LA DISCIPLINA DELL’INDENNITA’ DI TURNO Pag 14 QUANDO L’ORARIO DI LAVORO E’ ARTICOLATO IN TURNI SECONDO LA DISCIPLINA CONTRATTUALE Pag. 23 __________________________________________________________________________
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APPALTO HABILITA DI CISERANO – RICHIESTA DI CASSA INTEGRAZIONE IN DEROGA CTE s.c.s.
Si riporta la nota inviata alla società cooperativa sociale CTE, all’ARIFL di Milano, ai
prefetti di Bergamo, Roma e Milano, alla Habilita di Zingonia e alla UIL FPL di Bergamo
in relazione alla sottoscrizione di accordi per l’assegnazione della cassa integrazione in
deroga effettuata in violazione delle disposizioni di legge.
Con la presente la scrivente Organizzazione Sindacale contesta formalmente l’accordo
sindacale ai fini dell’assegnazione della di CIG in deroga sottoscritto in data 01/07/2013
dalla C.T.E. cooperativa sociale con sede legale in Roma Via F. Saverio e sede operativa in
Milano Via Crescenzago 55 e dal sig. Antonio Iodice.
Le motivazioni della contestazione sono:
- la mancata convocazione per la consultazione sindacale della FP-CGIL quale O.S.
maggiormente rappresentativa operante nella provincia di Bergamo, ai sensi dell’art. 5
legge 164/1975. A tal proposito ricordiamo che, alla data del 1/7/2013, due delle quattro
lavoratrici erano, e sono tuttora, iscritte alla Fp CGIL e che la scrivente O.S. ha varie volte
sollecitato la cooperativa C.T.E. al fine di conoscere se fosse necessario ricorrere ad
ammortizzatori sociali dal 1/7/2013.
Si ricorda altresì che la violazione dell’art. 5 legge 164/1975 per i motivi sopra enunciati
era già avvenuta anche per due precedenti accordi di CIG in deroga, sempre sottoscritti
dal sig. Antonio Iodice per le medesime lavoratrici;
- nell’accordo del 1/7/2013, nella parte relativa alla registrazioni delle presenze alla firma
dell’accordo si legge che il sig. Iodice presenzia per un’associazione di categoria
denominata C.G.I.L.
Si chiarisce fin da ora che sig. Antonio Iodice non solo non ricopre alcuna carica di
rappresentanza della C.G.I.L., sia al livello confederale che di categoria, ma nemmeno
risulta aderire a questa organizzazione sindacale.
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Cogliamo altresì l’occasione per sottolineare che l’accordo riporta erroneamente il ricorso a
CIGD in data antecedente l’1/1/2009, citando accordi per il periodo 1/12/2012-
30/06/2013.
A fronte di quanto sopra esposto comunichiamo che il citato accordo sindacale del
01/07/2013 non può che ritenersi privo di validità e chiediamo il pieno rispetto della
disposizioni contrattuali e normative vigenti. In alternativa saremo costretti ad adire alle
vie legali al fine di tutelare gli interessi delle lavoratrici che aderiscono alla FP-CGIL di
Bergamo e s stessa Organizzazione Sindacale.
Si diffida, infine, il sig. Antonio Iodice, da eventuali ulteriori tentativi di spacciarsi quale
rappresentante della CGIL, considerato che la CGIL ed in particolare la FP-CGIL di
Bergamo nulla hanno a che spartire con tale persona e si diffida, peraltro, qualsiasi ente,
sia pubblico che privato, dal favorire tali volgari tentativi.
In attesa di Vs riscontro, distinti saluti.
Per la FP CGIL di BERGAMO
F.to Gian Marco Brumana
Roberto Rossi
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CORTE COSTITUZIONALE – PUBBLICO IMPIEGO – SENTENZA N. 167 ANNO 2013 -
illegittimità costituzionale dell’articolo 12, comma 4 della LR n.12 del 2012 della
Regione Lombardia, come sostituito dall’art. 1 della legge n. 21 del 2012 .
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E’ illegittimo il passaggio dei dipendenti da una società privata seppur partecipata
dalla regione ad un ente pubblico – estratto -
“Nel merito, la questione è fondata.
…….
Sul punto, la giurisprudenza di questa Corte non lascia adito a dubbi. In relazione ad una norma regionale
che disponeva un generale ed automatico transito del personale di una persona giuridica di diritto
privato nell’organico di un soggetto pubblico regionale, senza il previo espletamento di alcuna
procedura selettiva di tipo concorsuale, si è statuito che il mancato ricorso a tale forma generale e
ordinaria di reclutamento del personale della pubblica amministrazione non trova alcuna ragione
giustificatrice in ipotesi di tale genere. Il trasferimento da una società partecipata alla Regione o ad altro
soggetto pubblico regionale si risolve in un privilegio indebito per i soggetti che possono beneficiare della
norma impugnata, in violazione dell’art. 97 Cost. (sent. n. 62 del 2012).
In altre decisioni questa Corte ha precisato che la modalità privatistica scelta dall’ente pubblico controllante
per realizzare le proprie finalità, che connota tutta l’azione contrattuale posta in essere da tali società
commerciali, ivi comprese le modalità di reclutamento del personale, rende non assimilabile il rapporto
di lavoro con tali società a un rapporto di lavoro pubblico. Il controllo, da parte dell’ente pubblico,
della totalità (o di una quota rilevante) delle azioni delle predette società commerciali non è, infatti,
sufficiente per giustificare il diverso assunto prospettato dalla Regione. Né ha valore il fatto che, in base
a quanto prescritto dall’art. 18 del decreto-legge n. 112, del 2008, il predetto personale è stato, a
sua volta, individuato e reclutato sulla base di criteri e modi rispettosi dei principi di pubblicità,
di trasparenza, di pari opportunità e di decentramento di cui al comma 3 dell’articolo 35 del d. lgs. n.
165 del 2001. Infatti, anche ammesso che tali criteri siano in concreto rispettati dalla Regione, la normativa
richiamata non assicura che la selezione degli stessi sia avvenuta mediante procedure selettive aperte
al pubblico, come richiesto dall’art. 97 Cost., e con garanzia di imparzialità di reclutamento.
La natura puramente privata del lavoro alle dipendenze delle società partecipate, del resto, rende
inoperante, nella fattispecie del trasferimento di funzioni da una società partecipata ad un
ente pubblico, la stessa garanzia del posto di lavoro, che l’art. 2112 cod. civ. riconosce, in ambito
privato, ai lavoratori subordinati in caso di trasferimento di azienda. L’art. 31 del d.lgs. n. 165 del 2001,
che dispone esplicitamente l’applicazione di tale garanzia, nel settore del lavoro pubblico, al
passaggio di funzioni e dipendenti da enti pubblici ad altri soggetti (pubblici o privati), non
richiama la predetta garanzia per le ipotesi in cui il passaggio di funzioni avvenga – come nel caso
previsto dalla legge regionale censurata – da soggetti privati ad enti pubblici: in tali ipotesi, infatti,
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l’automatico trasferimento dei lavoratori presuppone un passaggio di status – da dipendenti privati a
dipendenti pubblici (ancorché in regime di lavoro privatizzato) – che, si ripete, non può avvenire
in assenza di una prova concorsuale aperta al pubblico (in tal senso, sent. n. 226 del 2012).”.
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EE.LL. – L’UTILIZZO DI GRADUATORIE DI ALTRI ENTI
In un momento come questo in cui, a parole, è particolarmente accentuata la
“semplificazione amministrativa”, mentre nei fatti domina la confusione normativa forse
non c’è bisogno di soluzioni “ad personam”, buone a generare “false illusioni” e
temporanei consensi in un ente ed essere rigettate nell’altro, quanto piuttosto di qualche
certezza, magari raggiunta con fatica e nel senso più favorevole possibile al lavoratore,
che, tuttavia, tenga conto delle norme esistenti anche se “digeribili” con fatica (ed oggi di
disposizioni poco “digeribili” ce ne sono davvero molte), diversamente l’arbitrio può solo
prendere il sopravvento.
Sulla scorta di questa convinzione si ritiene sia necessario cercare di fare chiarezza sulla
questione dell’utilizzo delle graduatorie concorsuali di altri enti, considerato che non
corrisponde al vero l’affermazione che sta girando secondo cui, grazie alla “Spending
review”, è possibile utilizzare le graduatorie di altri enti senza alcun vincolo (art. 14,
comma 4bis D.L. 95/2012).
Per gli enti locali, in verità, la citata disposizione non ha modificato alcunché rispetto al
passato, lasciando del tutto inalterata la precedente disciplina in materia di utilizzo di
valide graduatorie degli idonei in altri enti a seguito procedure concorsuali.
Infatti l’art. 14, comma 4bis del D.L. 95/2012 dispone che: “In relazione all'esigenza di
ottimizzare l'allocazione del personale presso le amministrazioni soggette agli interventi di
riduzione organizzativa previsti dall'articolo 2 del presente decreto ed al fine di consentire
ai vincitori di concorso una più rapida immissione in servizio, per il triennio 2012-2014, le
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amministrazioni pubbliche di cui al comma 1 del predetto articolo 2, fermo restando quanto
previsto dal comma 13 del medesimo articolo, che non dispongano di graduatorie in corso di
validità, possono effettuare assunzioni con le modalità previste dall'articolo 3, comma 61,
della legge 24 dicembre 2003, n. 350, anche con riferimento ai vincitori di concorso presso
altre amministrazioni. Le assunzioni di cui al presente comma sono effettuate nei limiti delle
facoltà e delle procedure assunzionali vigenti e nell'ambito dei posti vacanti all'esito del processo
di riorganizzazione di cui al comma 5 dell'articolo 2 del presente decreto. L'assunzione di
cui al primo periodo avviene previo consenso del vincitore e l'eventuale rinuncia
dell'interessato non determina decadenza del diritto all'assunzione….. “
La disposizione è dunque rivolta alle amministrazioni indicate all’art. 2, comma 1, dello
stesso D.L. 95/2010, e precisamente le:“amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento
autonomo, ..le agenzie, ..gli enti pubblici non economici, ..gli enti di ricerca, nonché ..gli enti
pubblici di cui all'articolo 70, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive
modificazioni ed integrazioni”, quindi non agli enti locali.
Inoltre, la stessa disposizione richiama le modalità previste dall’art 4, comma 61, della L.
350/2003, che dispone che le amministrazioni pubbliche, nel rispetto dei vincoli
legislativi: “possono effettuare assunzioni anche utilizzando le graduatorie di pubblici concorsi
approvate da altre amministrazioni, previo accordo tra le amministrazioni interessate.”
Quindi l’accordo tra le amministrazioni del comparto deve essere preventivo.
Infine la citata disposizione non fa riferimento ai soli idonei utilmente collocati in
graduatoria, ma anche e principalmente ai vincitori di concorso, tant’è che la rinuncia
all’offerta di assunzione effettuata da un altro ente non determina la decadenza del
diritto dell’interessato all’assunzione nell’amministrazione dove è risultato vincitore di
concorso.
A ben vedere del tutto diversa è l’originaria norma contenuta nell’art. 9, della legge
3/2003, dal titolo “utilizzazione degli idonei di concorsi pubblici” da cui tale utilizzo ha
preso le mosse, passando per l’estensione operata dall’art. 4, comma 61, della L. 350/2003,
ed in cui si afferma che: “su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con il
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Ministro dell'economia e delle finanze, sono stabiliti le modalità e i criteri con i quali le
amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, e gli enti pubblici non economici
possono ricoprire i posti disponibili, nei limiti della propria dotazione organica, utilizzando gli
idonei delle graduatorie di pubblici concorsi approvate da altre amministrazioni del
medesimo comparto di contrattazione”
Dalla breve disamina sopra riportata pare del tutto evidente che la norma contenuta nella
“spending review” non riguarda e nulla innova rispetto alla precedente disciplina per
quanto riguarda gli enti locali.
Per l’utilizzo della graduatoria di un altro comune è sufficiente, quindi, fare riferimento ad
uno dei diversi pareri che, anche di recente, si sono susseguiti quale quello che
riproponiamo di seguito del Ministero dell’Interno (Prot. n. 15700 5A3 0004435).
“Un comune con una popolazione di 1.317 abitanti ha chiesto se per l’assunzione di un dipendente,
nel rispetto della vigente normativa in materia, possa attingere alla graduatoria concorsuale di
un altro comune, ai sensi dell’art. 3, co. 61, della legge n. 350/2003, tenuto conto che non vi è
nessuna previsione regolamentare in tal senso né è stato stipulato un preventivo
accordo tra gli enti.
Al riguardo si fa preliminarmente presente che questo ministero già in passato ha sostenuto la
possibilità per gli enti locali di attingere a graduatorie di altri enti in presenza di una specifica
previsione regolamentare. Le modifiche apportate all’art. 117 della Costituzione hanno, peraltro,
ampliato tale potestà regolamentare.
Si ritiene, quindi che codesto ente possa procedere all’adozione di norme regolamentari atte a
disciplinare la facoltà di assumere personale mediante l’utilizzo di graduatorie concorsuali vigenti
di altri enti, previo accordo tra gli stessi. Si ritiene, inoltre, che al fine di garantire il rispetto
dei principi di trasparenza e imparzialità che devono sovrintendere a tutto l’operato delle
pubbliche amministrazioni, l’accordo tra le amministrazioni interessate debba avvenire,
preferibimente, prima della formale approvazione della graduatoria stessa.
Per completezza di informazione si soggiunge che, ai fini dell’utilizzazione della graduatoria,
dovranno comunque essere rispettati i limiti e i vincoli imposti dall’art. 91 del Dlgs n. 267/2000,
secondo i quali la graduatoria deve essere in corso di validità e non può essere utilizzata per i
posti istituiti o trasformati successivamente all’indizione del concorso medesimo”
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Quindi per l’utilizzo della graduatoria di un altro comune appare necessario il rispetto di
alcune condizioni a garanzia della legittimità, della trasparenza e dell’imparzialità
dell’attività amministrativa, come anche in passato questa organizzazione ha sottolineato,
e precisamente:
• la previsione regolamentare di tale possibilità da parte del comune che intende
procedere all’utilizzo della graduatoria;
• il previo accordo tra gli enti, preferibilmente, prima dell’approvazione della
graduatoria;
• la validità della stessa graduatoria;
• l’impossibilità di utilizzare la graduatoria per posti istituiti o trasformati
successivamente all’indizione del concorso (ex art. 91 D.Lgs. 267/2000).
Bergamo, 11 luglio 2013
Per la FP-CGIL di Bergamo F.to Gian Marco Brumana __________________________________________________________________________
CORTE COSTITUZIONALE – REVISIONE DELLE PROVINCE – SENTENZA N. 220
ANNO 2013 -illegittimità costituzionale dell’articolo 23, commi 14, 15, 16, 17, 18, 19,
20 e 20bis del D.L. n. 201 del 2011 e degli artt. 17 e 18 del D.L. n. 95 del 2012.
E’ illegittimo il processo di riforma/abolizione delle province tramite decretazione
d’urgenza – estratto
“I decreti-legge traggono la loro legittimazione generale da casi straordinari e sono destinati ad operare immediatamente, allo scopo di dare risposte normative rapide a situazioni bisognose di essere regolate in modo adatto a fronteggiare le sopravvenute e urgenti necessità. Per questo motivo, il legislatore ordinario, con una norma di portata generale, ha previsto che il decreto-legge debba contenere «misure di immediata
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applicazione» (art. 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 «Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri»). La norma citata, pur non avendo, sul piano formale, rango costituzionale, esprime ed esplicita ciò che deve ritenersi intrinseco alla natura stessa del decreto-legge (sentenza n. 22 del 2012), che entrerebbe in contraddizione con le sue stesse premesse, se contenesse disposizioni destinate ad avere effetti pratici differiti nel tempo, in quanto recanti, come nel caso di specie, discipline mirate alla costruzione di nuove strutture istituzionali, senza peraltro che i perseguiti risparmi di spesa siano, allo stato, concretamente valutabili né quantificabili, seppur in via approssimativa. Del resto, lo stesso legislatore ha implicitamente confermato la contraddizione sopra rilevata quando, con l’art. 1, comma 115, della legge n. 228 del 2012, ha sospeso per un anno – fino al 31 dicembre 2013 – l’efficacia delle norme del d.l. n. 201 del 2011, con la seguente formula: «Al fine di consentire la riforma organica della rappresentanza locale ed al fine di garantire il conseguimento dei risparmi previsti dal decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, nonché quelli derivanti dal processo di riorganizzazione dell’Amministrazione periferica dello Stato, fino al 31 dicembre 2013 è sospesa l’applicazione delle disposizioni di cui ai commi 18 e 19 dell’art. 23 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214». Dalla disposizione sopra riportata non risulta chiaro se l’urgenza del provvedere – anche e soprattutto in relazione alla finalità di risparmio, esplicitamente posta a base del decreto-legge, come pure del rinvio – sia meglio soddisfatta dall’immediata applicazione delle norme dello stesso decreto oppure, al contrario, dal differimento nel tempo della loro efficacia operativa. Tale ambiguità conferma la palese inadeguatezza dello strumento del decreto-legge a realizzare una riforma organica e di sistema, che non solo trova le sue motivazioni in esigenze manifestatesi da non breve periodo, ma richiede processi attuativi necessariamente protratti nel tempo, tali da poter rendere indispensabili sospensioni di efficacia, rinvii e sistematizzazioni progressive, che mal si conciliano con l’immediatezza di effetti connaturata al decreto-legge, secondo il disegno costituzionale. Le considerazioni che precedono non entrano nel merito delle scelte compiute dal legislatore e non portano alla conclusione che sull’ordinamento degli enti locali si possa intervenire solo con legge costituzionale – indispensabile solo se si intenda sopprimere uno degli enti previsti dall’art. 114 Cost., o comunque si voglia togliere allo stesso la garanzia costituzionale – ma, più limitatamente, che non sia utilizzabile un atto normativo, come il decreto-legge, per introdurre nuovi assetti ordinamentali che superino i limiti di misure meramente organizzative.”
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EE.LL. – LE ASSUNZIONI ED IL D.LGS 33 DEL 2013
Leggendo il numero di giugno di” Guida al Pubblico Impiego” mi sono imbattuto
nell’articolo di Gianluca Bertagna: “Polizia locale: tutte le regole per le assunzioni”, in cui,
prima di passare alle specifiche diposizioni attinenti la polizia locale, vengono indicate “le
condizioni imprescindibili” per poter assumere al livello generale.
Secondo Bertagna gli enti locali non possono procedere ad assunzioni se:
“a) non hanno effettuato la rideterminazione della dotazione organica nel triennio
precedente (art. 6, comma 6, del Dlgs n. 165/2001);
b) non hanno effettuato la ricognizione delle eventuali eccedenze di personale (art. 33,
comma 2, del Dlgs n. 165/2001, come modificato dalla legge di stabilità per il 2012);
c) hanno un rapporto tra spese di personale e spesa corrente superiore al 50% (art. 76,
comma 7, del Dl n. 112/2008);
d) non hanno approvato il Piano triennale di azioni positive in materia di pari opportunità
(art. 48, comma 1, del Dlgs n. 198/2006);
e) non hanno ridotto le spese di personale rispetto all’anno precedente (art. 1, comma 557-ter,
della legge n. 296/2006);
f) non hanno rispettato il patto di stabilità interno nell’anno precedente (art. 76, comma 4, del
Dl n. 112/2008);
g) non hanno adottato il Piano della performance (art. 10, comma 5, del Dlgs n. 150/2009).
Con riferimento ai punti c), e) e f) va rilevato – continua l’articolo - che, più o meno in forma
consolidata, le sezioni regionali della Corte dei conti hanno ritenuto che il divieto di assunzione
si estenda anche alla mobilità in entrata; alla trasformazione del rapporto di lavoro da
tempo parziale a tempo pieno; alla stipula di convenzioni e/o situazioni di comando in
entrata.”
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Andrebbe tutto bene, se non fosse per la necessaria adozione del Piano della
performance ed il riferimento alla specifica sanzione.
Il comma 5, dell’art. 10 del citato D.Lgs 150/2009 (decreto Brunetta), peraltro, prevede
sanzioni pesanti, che non sono limitate al solo divieto di assunzione. Per chiarezza se ne
riporta di seguito il testo: ”In caso di mancata adozione del Piano della performance è fatto
divieto di erogazione della retribuzione di risultato ai dirigenti che risultano avere concorso
alla mancata adozione del Piano, per omissione o inerzia nell'adempimento dei propri compiti, e
l'amministrazione non può procedere ad assunzioni di personale o al conferimento di incarichi
di consulenza o di collaborazione comunque denominati.”
L’aspetto più “curioso”, peraltro, sta nel fatto che proprio Bertagna richiami tale
condizione, considerato che più di una volta ha avuto modo di affermare, e personalmente
ritengo a ragione, che l’adozione del Piano della performance non è un obbligo per gli
enti locali considerato che: “l’articolo 10 del D.lgs. 150/2009 non è nè norma di diretta
attuazione e neppure norma di adeguamento.”.
Non solo Gianluca Bertagna sul suo sito ha avuto modo di affermare:
“Ho ricevuto diverse mail su quanto ho dichiarato nell’intervista che ho pubblicato ieri. Mi
chiedevano se ero sicuro di quanto dicevo in merito alla non-obbligatorietà del piano della
performance per gli enti locali.
Assolutamente sì, è la risposta.
E’ davvero un controsenso affermare che una norma che non è direttamente applicabile agli enti
locali possa produrre effetti sanzionatori qualora non si proceda all’adeguamento.
Però sottolineo: il fatto che non si debba approvare un documento apposito denominato
“piano della performance” non significa che l’ente locale non debba partecipare al processo di
adeguamento alla Riforma Brunetta. Anzi. E’ il momento di fare in modo che gli strumenti già
previsti dal D.lgs. 267/2000 diventino concreti e di sostanza.”
Che proprio Gianluca Bertagna, attento commentatore della normativa in materia di
personale degli enti locali, ora indichi quale condizione necessaria per poter assumere
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l’adozione del Piano della performance, quando anche la CiVIT in passato l’ha ritenuta
non direttamente applicabile agli enti locali, qualche dubbio lo solleva.
Dubbi che non si dissolvono ove si tenga presente il contraddittorio contenuto dell’articolo
10 del D.Lgs 33/2013 dal titolo “Programma triennale per la trasparenza e l’integrità” (in
vigore dal 20 aprile scorso).
Infatti se pare rassicurante la disposizione di cui al comma 3, del citato articolo che
prevede: ”Gli obiettivi indicati nel Programma triennale sono formulati in collegamento con la
programmazione strategica e operativa dell'amministrazione, definita in via generale nel
Piano della performance e negli analoghi strumenti di programmazione previsti negli enti
locali…”, visto lo specifico riferimento agli strumenti di programmazione propri degli enti
locali che parrebbero essere alternativi all’adozione del piano della performance, non
altrettanto rassicurante appare il successivo comma 6 con il quale si dispone che: “Ogni
amministrazione presenta il Piano e la Relazione sulla performance di cui all'articolo 10,
comma 1, lettere a) e b), del decreto legislativo n. 150 del 2009 alle associazioni di consumatori
o utenti, ai centri di ricerca e a ogni altro osservatore qualificato - al sindacato no? -
nell'ambito di apposite giornate della trasparenza senza nuovi o maggiori oneri per la finanza
pubblica.”
Ancor meno rassicurante appare, inoltre, il comma 8 in cui si prevede che:
“Ogni amministrazione ha l'obbligo di pubblicare sul proprio sito istituzionale nella sezione:
«Amministrazione trasparente» di cui all'articolo 9:
a) il Programma triennale per la trasparenza e l'integrità ed il relativo stato di attuazione;
b) il Piano e la Relazione di cui all'articolo 10 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n.
150;
c) i nominativi ed i curricula dei componenti degli organismi indipendenti di valutazione di cui
all'articolo 14 del decreto legislativo n. 150 del 2009;
d) i curricula e i compensi dei soggetti di cui all'articolo 15, comma 1, nonché i curricula dei
titolari di posizioni organizzative, redatti in conformità al vigente modello europeo.”
A parte la curiosità di sapere cosa ne pensi Gianluca Bertagna in proposito, se quando ha
indicato la necessaria approvazione del piano della performance avesse in mente il testo
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del D.Lgs 33/2013 o qualche interpretazione circa la sua applicazione, se davvero dovesse
essere necessario provvedere per tutti gli enti locali all’adozione del Piano della
performance per poter assumere credo che una buona percentuale delle già poche
assunzioni effettuate di recente negli enti locali mancherebbe di una “condizione
imprescindibile”.
Bergamo, 1 luglio 2013
Per la FP-CGIL di Bergamo F.to Gian Marco Brumana
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CORTE COSTITUZIONALE – SPESA PER BUONI PASTO- SENTENZA N. 77 ANNO 2013
- illegittimità costituzionale degli articoli 18, comma 4 e 19, commi 1, 2, 3, 4, 5 e 7 della
legge della Regione Molise N. 3 del 2010
E’ illegittima la legge regionale che disponga in materia di trattamento economico del
personale dipendente, nello specifico sui buoni pasto – estratto La questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 4, della legge della Regione Molise n. 3 del
2010, sollevata in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., è fondata.
Tale norma prevede che la Giunta regionale adotti una nuova disciplina in materia di buoni pasto,
spettanti ai dipendenti regionali, e stabilisce anche il numero massimo annuale di essi concedibili
a ogni lavoratore.
I buoni pasto costituiscono, come noto, una sorta di rimborso forfettario delle spese che il lavoratore,
tenuto a prolungare la propria permanenza in servizio oltre una certa ora, deve affrontare per
consumare il pranzo. Si tratta, quindi, di una componente del trattamento economico spettante ai
dipendenti pubblici, che rientra nella regolamentazione del contratto di diritto privato che lega
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tali dipendenti “privatizzati” all’ente di appartenenza. Questa Corte ha già affermato che detta
disciplina rientra nella materia dell’ordinamento civile (sentenze n. 324 del 2010 e n. 151 del 2010) e che a
questa materia è riconducibile anche il trattamento economico (sentenza n. 332 del 2010) dei dipendenti
pubblici, il cui rapporto di impiego sia stato privatizzato e, conseguentemente, disciplinato dalla
contrattazione collettiva (sentenza n. 189 del 2007).
Pertanto, la norma regionale in esame, disciplinando un aspetto del trattamento economico dei
dipendenti della Regione, il cui rapporto di impiego è stato privatizzato, invade la competenza
esclusiva statale in materia di ordinamento civile e deve conseguentemente essere dichiarata
illegittima.
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EE.LL. - LA DISCIPLINA DELL’INDENNITA’ DI TURNO
Con la nota del 24 giugno scorso sono state descritte, non senza qualche perplessità sulla
“continuità” dell’orario di servizio sostenuta dalla nota sentenza n. 8254 del 23 febbraio
2010 della Corte di Cassazione, le condizioni previste dall’articolo 22 del CCNL del
14.9.2000 perché si possa affermare che si è in presenza di un orario articolato in turni,
occorre, ora, verificare la disciplina della relativa indennità quando si è in presenza di
detta articolazione dell’orario di lavoro.
L’indennità di turno è disciplinata integralmente dai commi 5 e 6 dell’art. 22 del citato
CCNL del 14.9.2000 che dispongono:
“5. Al personale turnista è corrisposta una indennità che compensa interamente il disagio
derivante dalla particolare articolazione dell’orario di lavoro i cui valori sono stabiliti come
segue:
- turno diurno antimeridiano e pomeridiano (tra le 6 e le 22.00): maggiorazione oraria del 10%
della retribuzione di cui all’art.52, comma 2, lett. c);
- turno notturno o festivo: maggiorazione oraria del 30% della retribuzione di cui all’art.52,
comma 2, lett. c);
- turno festivo notturno: maggiorazione oraria del 50% della retribuzione di cui all’art. 52,
comma 2, lett. c).
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6. L’indennità di cui al comma 5 è corrisposta solo per i periodi di effettiva prestazione di
servizio in turno.”
L’indennità di turno è sicuramente una delle indennità più consistenti, dal punto di vista
economico, previste dai contratti collettivi di lavoro e, per esplicita previsione contrattuale,
compensa integralmente il disagio derivante dalla particolare articolazione dell’orario
di lavoro. Tale precisazione elimina alla radice qualsiasi richiesta di cumulo con eventuali
altre indennità giustificate sulla base del disagio prodotto dall’articolazione dell’orario
di lavoro giornaliero. Chi lavora in turni, in sostanza, non può rivendicare altre indennità
collegate alle condizioni disagiate dell’orario di lavoro svolto.
Inoltre, che si tratti dell’orario di lavoro giornaliero, lo si evince in modo inequivocabile
sia dall’articolazione dell’orario imprescindibilmente collegata a turni antimeridiani
pomeridiani e notturni (il cui riferimento è ovviamente alla giornata), sia all’articolazione
della maggiorazione oraria collegata ai menzionati turni, sia alla corresponsione
dell’indennità correlata all’effettiva prestazione lavorativa, indennità che non viene
percepita in caso di assenza dal servizio, come risulta dal parere ARAN RAL -1410 in cui
si legge: “Si coglie l’occasione per ricordare che nel caso di assenza dal servizio, qualunque sia la
motivazione della stessa, al lavoratore turnista non può essere ugualmente riconosciuta
l’indennità di turno, in quanto l’art. 22, comma 6, del CCNL del 14.9.2000 espressamente
prevede che: “L’indennità di cui al comma 5 è corrisposta solo per i periodi di effettiva
prestazione di servizio in turno”.
L’indennità consiste, come indicato in precedenza, in una maggiorazione oraria che varia
al variare della collocazione del turno, se in orario antimeridiano o pomeridiano, festivo o
notturno, festivo-notturno. Vale la pena, peraltro, precisare che la base su cui operare il
calcolo della maggiorazione fa riferimento alla nozione di retribuzione di cui all’art. 52,
comma 1, lett. c) del CCNL del 14.9.2000 (ora art. 10, comma 2, lett. c) del CCNL del
9.5.2006) che comprende: “la retribuzione iniziale prevista per il profilo assegnato, gli
incrementi economici conseguiti per progressione orizzontale, l'indennità integrativa speciale,
gli eventuali assegni ad personam a carattere continuativo e non riassorbibile.”- come
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precisato dall’ARAN con parere RAL – 763 e la retribuzione di anzianità. Si ricorda, in
proposito, che l’indennità integrativa speciale è stata riassorbita nel tabellare, mentre la
citata base di calcolo per la determinazione dell’indennità di turno non coincide, ad
esempio, con quella per il calcolo del lavoro straordinario il cui riferimento è all’art. 52
lett. b) del citato CCNL incrementata dal rateo di tredicesima, ma in cui non figurano
l’indennità di anzianità e gli eventuali assegni ad personam.
Uno dei problemi più dibattuti in materia di attribuzione dell’indennità di turno è
certamente quello rappresentato dall’alternatività tra l’indennità di turno e l’indennità
prevista dal l’art. 24 del CCNL del 14.9.2000 per prestazioni rese in via occasionale o
straordinaria la domenica o in giorno festivo.
In merito la Corte di Cassazione, con sentenza 22799 del 6 novembre 2012, in linea con
l’orientamento ormai prevalente della giurisprudenza, ha ricordato che: “… nella ricerca
della comune volontà delle parti stipulanti un contratto collettivo, criterio prioritario di
ermeneutica è il senso letterale delle pattuizioni.” (non sempre applicato anche dalla
stessa Cassazione, aggiungiamo noi, considerato che nell’individuazione della
“continuità” del servizio quale caratteristica essenziale della turnazione la Corte sembra
aver abbandonato tale “criterio prioritario”) e ritenuto che: “Nel caso in esame, la previsione
di cui all'art. 22, comma 5, rende palese la volontà delle parti di attribuire al dipendente che
presti attività in giorno festivo ricadente nel turno un'indennità con funzione interamente
compensativa del disagio derivante dalla particolare articolazione dell'orario di lavoro.”
“Quella di cui all'art. 24, comma 1, rivendicata dal ricorrente, – continua la Corte di
Cassazione - presuppone infatti che "per particolari esigenze del servizio", ossia per esigenze che
esulano dall'articolazione ordinaria del lavoro - e in tal senso da intendere come situazioni
straordinarie o occasionali -, il lavoratore turnista sia chiamato a lavorare nel giorno destinato a
riposo settimanale.
Pertanto, per l'attività prestata la domenica in regime di turnazione, il lavoratore non può
rivendicare la maggiorazione di cui all'art. 24, ma solo quella di cui all'art. 22.”
“In conclusione – afferma ancora la Cassazione - in relazione al lavoro prestato in giorni
festivi, il lavoratore turnista ha diritto alla maggiorazione di cui al comma 1, art. 24 c.c.n.l.
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quando ciò avvenga in coincidenza con il giorno destinato a riposo settimanale (in tal
caso, la maggiorazione spetta in aggiunta al riposo compensativo); ha diritto alla corresponsione del
compenso di cui al comma 2, art. 24 (in alternativa al riposo compensativo) quando la prestazione
sia resa in giorno festivo oltre il normale orario di lavoro; ha diritto al solo compenso di
cui all'art. 22, comma 5, per la prestazione resa in giorno festivo in regime di turnazione ed
entro il normale orario di lavoro.
L'ipotesi del cumulo non è sostenibile nemmeno alla luce del comma 4, dell'art. 24, il quale fa
riferimento alla possibilità che la maggiorazione di cui al comma 1 concorra con altri
trattamenti accessori collegati alla prestazione. Presupposto di tale previsione è che il
lavoratore versi nell'ipotesi regolata dal comma 1 e dunque che abbia lavorato in giorno
destinato a riposo settimanale.”
Ora, sull’interpretazione della Cassazione circa l’alternatività tra prestazione ordinaria in
turno la domenica o durante i giorni festivi, da un lato, e applicazione dell’art. 24, comma
1 (prestazione lavorativa per particolari esigenze di servizio nel giorno di riposo) e
comma 2 (prestazione straordinaria durante un giorno festivo) si può anche convenire,
malgrado esistano sentenze favorevoli alla cumulatività delle diverse indennità,
considerato che a sostegno di tale interpretazione depone il tenore letterale della
disposizione contrattuale, in particolare l’articolo 22, comma 5, del CCNL del 14.9.2000. E’
necessario, tuttavia, che vi sia chiarezza su alcune aspetti essenziali. Chiarezza che non
pare emergere in alcune, anche recenti, sentenze emesse dai giudici del lavoro e che, a
giudizio di chi scrive, riguarda i seguenti aspetti essenziali:
• la programmazione dell’orario in turni di lavoro è elemento essenziale e
propedeutico allo svolgimento della prestazione. Tale programmazione va portata a
conoscenza del lavoratore come afferma la Corte di Cassazione con sentenza
depositata il 21 maggio 2008 n. 12962. La citata sentenza va al di là della sua
applicazione al settore dei trasporti ed enuncia un principio generale;
• la programmazione dei turni è volta ad individuare all’interno dell’articolazione
dell’orario di servizio con le caratteristiche indicate dal citato contratto collettivo
nazionale di lavoro, turni di lavoro dei dipendenti che affermino il principio secondo
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cui i lavoratori turnisti hanno l’obbligo di lavorare ordinariamente tanti giorni quanti
quelli dei lavoratori non turnisti, con la possibilità di prevedere da parte dell’ente che
la prestazione lavorativa possa essere svolta ordinariamente per cinque o sei giorni
settimanali e per un numero complessivo di 36 ore, diversamente si tratterebbe di
un’evidente disparità di trattamento;
• una disparità di trattamento, peraltro, evidenziata dal contrasto con la disciplina
dell’art.22 del CCNL del 14.9.2000, laddove quest’ultimo afferma che l’indennità
dovuta per l’attività lavorativa prestata in turno compensa interamente la particolare
articolazione giornaliera dell’orario di lavoro e non anche una prestazione per un
numero di giorni maggiore nell’arco dell’anno rispetto agli altri lavoratori (insomma
non sta scritto da nessuna parte che il lavoratore turnista deve obbligatoriamente
lavorare il 25 aprile o il primo maggio o il giorno di Santo Stefano, ecc.);
• spetta all’ente di appartenenza stabilire, a parità di giorni lavorativi con gli altri
lavoratori, fatta salva la possibile diversa organizzazione dell’orario di lavoro su
cinque o sei giorni settimanali, se il dipendente turnista debba prestare la propria
ordinaria attività la domenica o durante la festività infrasettimanale, considerato che
in entrambi i casi occorrerà prevedere un altro giorno di riposo durante la settimana
e una diversa giornata in cui fruire della mancata festività infrasettimanale (che non
significa effettuare il riposo compensativo a fronte di una prestazione straordinaria,
posto che non si è in presenza di lavoro straordinario, ma di una semplice diversa
articolazione diversa dell’orario di lavoro nell’ambito della programmazione dei
turni).
In realtà, a ben guardare tali concetti sono contenuti sia nella citata sentenza 22799/2012
della Cassazione, che, con chiarezza, nella sentenza della stessa Corte di Cassazione n.
8458 del 9 aprile 2010 nella quale la Corte ha avuto modo di precisare che: “In conclusione,
per i lavoratori in turno, deve trovare applicazione la sola speciale disciplina dettata
dall'art. 22, mentre l'art. 24 ha ad oggetto fattispecie lavorative ed ipotesi diverse dal
turno. Soltanto il lavoratore in turno chiamato a prestare, in via eccezionale ovvero occasionale,
la propria attività nella giornata di riposo settimanale che gli compete in base al turno
assegnato, ovvero in giornata festiva infrasettimanale al di là dell'orario ordinario, ha
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diritto all'applicazione della disciplina dell'art. 24, comma 2. Infatti l'art. 24 contempla, ai prime
tre commi, l'ipotesi di eccedenza, in forza del lavoro prestato in giorno non lavorativo,
rispetto all'orario normale di lavoro, mentre l'art. 22 compensa il disagio del lavoro secondo
turni, turni nei quali possono cadere giornate festive infrasettimanali, ma senza che la
prestazione ecceda il normale orario di lavoro”.
Quindi non è affatto vero che il lavoratore turnista debba obbligatoriamente lavorare
durante le festività infrasettimanali, come anche qualche giudice pare avere inteso,
considerato che, per la Cassazione, ben può essere chiamato a prestare tale attività in
orario straordinario (con le diverse maggiorazioni della prestazione straordinaria a
seconda di quando è richiesta nella giornata) con applicazione dell’ art. 24, comma 2, del
CCNL del 14.9.2000. Tale eventualità dipende, come s’è detto, dalle scelte in materia di
orario di servizio operate dall’ente e dal tipo di servizio offerto.
Infatti: “Nel caso in cui una festività cade in un giorno della settimana previsto come
lavorativo, il lavoratore ha diritto ad astenersi dal lavoro percependo la relativa retribuzione,
salvo diverso accordo con il datore di lavoro o diversa previsione del contratto collettivo
nazionale di riferimento”.
Concetti, peraltro, desumibili anche dal tenore letterale dei pareri ARAN. Così, infatti, nel
parere RAL – 765 si legge: “La disciplina dell'art. 24, comma 3, del CCNL del 14.9.2000 prende
in considerazione l'attività lavorativa prestata, in via eccezionale ovvero occasionale, in
un giorno feriale non lavorativo, in presenza di una articolazione dell'orario di lavoro
settimanale su cinque giorni; il giorno feriale non lavorativo, peraltro, non necessariamente deve
coincidere con il sabato, ma potrebbe essere, ad esempio, anche un lunedì, qualora in via ordinaria
l'articolazione dell'orario settimanale ricomprendesse le giornate dal martedì al sabato.
La predetta disciplina, proprio perché individua situazioni non ordinarie, non riguarda i lavoratori
inseriti in prestabiliti turni di lavoro che possono essere, conseguentemente, chiamati in via
ordinaria a svolgere le proprie prestazioni sia "nei giorni feriali non lavorativi" sia nelle stesse
giornate festive, nel rispetto degli obblighi derivanti dalla periodica predisposizione dei
predetti turni di lavoro.”
Altrettanto dicasi per il parere RAL – 746: “L’indennità di turno viene corrisposta solo in
relazione alle ore di lavoro ordinario prestato nell’ambito del turno e vale a compensare,
integralmente, il disagio connesso alla particolare articolazione dell’orario; per il medesimo
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personale le prestazioni di lavoro straordinario sono compensate esclusivamente in base alla
disciplina dell’art.38 del CCNL del 14.9.2000 e secondo le misure ivi espressamente previste,
diverse da quelle previste per le prestazioni effettuate in turno;”.
Le stesse considerazioni, infine, valgono anche per il parere RAL – 759: “Se così fosse, -
scrive l’ARAN - abbiamo avuto modo di chiarire che l'indennità di turno deve essere corrisposta
solo in relazione alle ore di lavoro ordinario prestato nell'ambito del turno e vale a compensare,
integralmente, il disagio connesso alla particolare articolazione dell'orario; per il medesimo
personale, le prestazioni di lavoro straordinario devono essere compensate esclusivamente in base
alla disciplina dell'art.38 del CCNL del 14.9.2000 e secondo le misure ivi previste, diverse da quelle
stabilite per le prestazioni effettuate in turno.
Sussiste, altresì, l’impossibilità di corrispondere l’indennità di turno nei giorni di fruizione del
riposo compensativo concesso ai sensi dell’art. 38, comma 7 del CCNL del 14.9.2000”.
Il fatto che sia diffusa l’idea che i lavoratori turnisti degli enti locali debbano
ordinariamente lavorare per tutte le settimane dell’anno, con esclusione delle ferie, come
se non esistessero le festività, a differenza dei loro colleghi, perché il contratto nazionale
di lavoro non menziona esplicitamente la fruizione compensativa di tali festività in altri
giorni (tesi che per chi scrive è in contrasto con il disposto dell’art. 22 del CCNL del
14.9.2000, per le ragioni in precedenza indicate) ha dato luogo, peraltro, a quesiti quanto
meno “buffi”, quale quello rivolto all’ARAN che si riporta di seguito:
“Il lavoratore, inserito in una organizzazione di lavoro per turni e tenuto alla ordinaria
prestazione lavorativa anche nella giornata della domenica, ha ugualmente diritto alla
fruizione del riposo settimanale (in altro giorno, secondo il turno assegnato) ove nel suddetto
giorno della domenica lo stesso si sia assentato per malattia, per congedo ex lege
n.104/1992, o per congedo parentale?”
Sembrerebbe proprio che lavoratori turnisti e non abbiano gli stessi diritti degli altri
lavoratori pur lavorando nello stesso ente.
Bergamo, 27 giugno 2013
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Per la FP-CGIL di Bergamo F.to Gian Marco Brumana
__________________________________________________________________________
CORTE DEI CONTI - 14/05/2013 – PUBBLICO IMPIEGO - Sezione giurisdizionale Puglia,
sent. n. 762 del 2013
Risponde il dirigente per l’erogazione di trattamenti accessori non dovuti - Estratto
Non risulta, invero, che nella specie la corresponsione dei compensi in questione sia stata preceduta dalla
conclusione del periodico processo di valutazione delle prestazioni e dei risultati secondo il
modello adottato in sede di contrattazione sindacale né che il livello di conseguimento degli obiettivi
predefiniti nel PEG sia stato certificato dal Servizio di Controllo Interno. L’erogazione del compenso in
questione è per contro avvenuta sulla base della valutazione effettuata dal solo convenuto, il quale ha
attribuito il compenso aggiuntivo a prescindere da predefiniti criteri di verifica e dalla
certificazione delle prestazioni e dei risultati.
Va inoltre rilevato che le censure della Procura regionale circa il mancato rispetto della normativa
contrattuale trova conferma anche in relazione alle risorse utilizzate per il pagamento dei
compensi al gruppo di lavoro ed altresì per ciò che concerne la erogazione dei compensi ai dipendenti
destinatari di incarichi di responsabili di posizioni organizzative.
Invero, per quanto riguarda i mezzi finanziari, dal contenuto della determinazione contestata -
confermato da quanto emerso a seguito di altra apposita istruttoria processuale - risulta che per il
pagamento dei compensi ai dipendenti interessati sono state impiegate risorse ulteriori rispetto a
quelle individuate dalla contrattazione collettiva (cfr. art. 15 e 17 CCNL dell’1.4.1999 ed articoli
corrispondenti dei contratti successivi), destinate a migliorare la produttività, efficienza ed
efficacia dei servizi. …..
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L’erogazione dei compensi aggiuntivi da parte del convenuto è dunque avvenuta, pure in relazione ai due
profili da ultimo evidenziati, al di fuori di presupposti normativi o contrattuali legittimanti e si pone
pertanto in contrasto con il principio di onnicomprensività del trattamento economico dei
pubblici dipendenti sancito a livello legislativo dall’art. 45 del d.lgs. n. 165/2001, ai sensi del quale
il trattamento economico fondamentale ed accessorio dei pubblici dipendenti è definito dai
contratti collettivi.
La determinazione dirigenziale in questione risulta, quindi, emessa in spregio di tale principio generale, in
assenza di una previsione regolamentare legittimante ed in violazione della disciplina contrattuale; essa ha
determinato l’indebita remunerazione, con compensi aggiuntivi, di un’attività svolta dai beneficiari
nell’ambito dei compiti che dovevano espletare in ragione del proprio ufficio, nell’ambito dell’attività di
istituto, che non poteva, perciò, considerarsi extra ordinem
……..
In punto di fatto va evidenziato che il compenso orario di €.25 oltre accessori, riconosciuto con il
provvedimento in contestazione, risulta, come emerge all’esito dell’istruttoria, di gran lunga superiore (quasi
sempre doppio) rispetto al teorico compenso per lavoro straordinario degli stessi dipendenti. ….
Per quanto concerne l’elemento soggettivo, la condotta del convenuto appare contraddistinta dalla colpa
grave. Va infatti considerato che il dirigente ha una specifica competenza e responsabilità per l’attribuzione
di trattamenti accessori (art. 45, comma 4, d.lg. n. 165/2001) e che i principi nel caso violati costituiscono
principi basilari del trattamento retributivo dei dipendenti, che dunque non possono essere
legittimamente ignorati o disapplicati dai dirigenti senza infrangere quei canoni di diligenza
minimale che gli stessi sono tenuti ad adottare nell’esercizio delle proprie funzioni. L’erogazione di
compensi aggiuntivi a pubblici dipendenti per lo svolgimento, per quanto in ipotesi proficuo, di attività
d’ufficio al di fuori delle previsioni, della competenza e delle procedure previste a livello
normativo e contrattuale costituisce una macroscopica violazione dei canoni fondamentali della
gestione del rapporto di lavoro e delle responsabilità specifiche che sono al riguardo assegnate ai
soggetti preposti all’esercizio di funzioni dirigenziali.
Alla luce delle suesposte considerazioni, non essendovi spazio per la riduzione dell’addebito contestato dalla
Procura regionale, il convenuto Bisconti va condannato al pagamento, nei confronti della Provincia di Lecce,
della somma di €.54.200,00 da rivalutarsi secondo quanto disposto dall’art. 150 disp. att. cpc, a decorrere dal
momento dell’effettivo depauperamento del patrimonio dell’Ente danneggiato e fino alla pubblicazione della
presente sentenza, con gli interessi legali, sulla somma così rivalutata, da quest’ultima data fino all’effettivo
soddisfacimento delle ragioni del creditore.”
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__________________________________________________________________________
QUANDO L’ORARIO DI LAVORO E’ ARTICOLATO IN TURNI
SECONDO LA DISCIPLINA CONTRATTUALE
Periodicamente, in genere a seguito di sentenze, in particolare della Corte di Cassazione o
del Consiglio di Stato, riprende la ormai perenne polemica in materia di disciplina della
turnazione e dell’attribuzione del relativo trattamento economico negli enti locali.
Anche noi, dunque, siamo “costretti” a rivisitare, magari semplicemente riproponendo in
modo più dettagliato quanto già sostenuto in passato sull’applicazione della disciplina di
cui all’art. 22 del CCNL del 14.9.2000 e sulle relazioni di tale disciplina con altri istituti
contrattuali.
La questione che si vuole affrontare in questa nota costituisce il presupposto delle altre
problematiche relative alla turnazione, vale a dire quando la stessa ricorre, cioè quando si
può effettivamente parlare di articolazione dell’orario di lavoro in turni.
Non è un caso che si sia fatto esplicito riferimento all’art. 22 del CCNL del 14.9.2000,
perché alcune recenti sentenze del Consiglio di Stato (ad esempio C.d.S. sentenza
depositata il 7. 1. 2013 n. 11) fanno ancora riferimento alla disciplina contenuta nel DPR
268/1987, disciplina non più vigente quantomeno dal citato CCNL del 14.9.2000 (si
ritiene, in applicazione dell’art. 72 del D.Lgs 29/1993 – ora art. 69 D.Lgs 165/2001 – che
l’art. 13 del DPR 268/1987 non fosse più in vigore già dall’1.4.1999, data di sottoscrizione
del secondo contratto collettivo nazionale di lavoro). Sentenze che, quindi, prendono le
mosse da vicende sorte prima del definitivo passaggio alla giurisdizione del giudice
ordinario delle questioni attinenti la disciplina del rapporto di lavoro.
Le modalità di turnazione dei dipendenti degli enti locali, fatta salva la più generale
disciplina legale sull’orario di lavoro, in particolare quella contenuta nel D.Lgs 66/2003 e
s.m.i., sono dunque contenute nell’art. 22 del CCNL del 14.9.2000 ed i primi quattro
commi del citato articolo, di seguito riportati, ne normano l’effettiva ricorrenza:
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“1. Gli enti, in relazione alle proprie esigenze organizzative o di servizio funzionali, possono
istituire turni giornalieri di lavoro. Il turno consiste in un’effettiva rotazione del personale in
prestabilite articolazioni giornaliere.
2. Le prestazioni lavorative svolte in turnazione, ai fini della corresponsione della relativa
indennità, devono essere distribuite nell’arco del mese in modo tale da far risultare una
distribuzione equilibrata e avvicendata dei turni effettuati in orario antimeridiano,
pomeridiano e, se previsto, notturno, in relazione alla articolazione adottata nell’ente.
3. I turni diurni, antimeridiani e pomeridiani, possono essere attuati in strutture operative che
prevedano un orario di servizio giornaliero di almeno 10 ore.
4. I turni notturni non possono essere superiori a 10 nel mese, facendo comunque salve le
eventuali esigenze eccezionali o quelle derivanti da calamità o eventi naturali. Per turno notturno si
intende il periodo lavorativo ricompreso tra le 22 e le 6 del mattino.”
Il turno, dunque, in applicazione del sopra riportato comma 1, consiste in un’effettiva
rotazione del personale in prestabilite articolazioni giornaliere dell’orario di lavoro, che
presuppongono l’esistenza di una programmazione dei turni di lavoro.
Tali articolazioni giornaliere dell’orario di lavoro che, secondo una sentenza molto
conosciuta, anche se non sempre citata correttamente, della Corte di Cassazione (Cass.
Sentenza n. 8254/2010), per dar luogo all’erogazione della relativa indennità devono
avere le seguenti caratteristiche generali, peraltro, contemporaneamente ricorrenti :
“ a) un orario di servizio di almeno 10 ore;
b)l'orario di servizio deve essere continuativo e non può prevedere interruzioni;
c) distribuzione equilibrata e avvicendata dei turni nell'arco del mese.”
Orbene la condizione di cui alla lettera b) – un orario di servizio continuativo che non
può prevedere interruzioni - contenuta nella citata sentenza della Corte Cassazione, non è
rinvenibile nella lettera dell’art. 22 del CCNL del 14.9.2000, ed è possibile desumerla solo
in via interpretativa.
Infatti è possibile ipotizzare un orario di servizio articolato in più di 10 ore giornaliere,
interrotto comunque da una pausa, lo si desume, peraltro, dalla richiesta di dati del luglio
1995 effettuata alle amministrazioni pubbliche dall’allora Ministro della Funzione Pubblica
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in merito all’applicazione dell’art. 22, commi 1,2, 3,4 e 5 della legge 724 del 1994 e della
direttiva-circolare n. 7/1995.
E’ probabile, allora, che la Cassazione, nella citata sentenza, abbia ravvisato
nell’organizzazione del lavoro in turni di lavoro una di quelle “particolari esigenze dei
servizi pubblici da erogarsi con carattere di continuità e che richiedono orari continuativi o
prestazioni per tutti i giorni della settimana” richiamate proprio dall’art. 22, comma 1, della
legge 724/1994 dato che nella sentenza 8254/2010 la Cassazione afferma che: “Emerge
infatti dalla regolamentazione negoziale che lo scopo delle turnazionì è quello di assicurare la
continuità del servizio in una determinata fascia oraria di almeno 10 ore, restando
esclusa l'istituzione allorché il servizio possa essere assicurato mediante particolari e diverse
articolazioni dell'orario di lavoro. …. Nel caso concreto, risulta accertato in fatto la non
continuità del servizio biblioteca: chiusura domenicale e nei giorni festivi; orario ridotto
il sabato e il lunedì; orario di servizio "spezzato" dalle 8 alle 13 e dalle 15 alle 19, Non
risultano perciò soddisfatte le condizioni stabilite dall'art. 22 per la corresponsione
dell'indennità di turno.”
Il che non significa, peraltro, che la Corte di Cassazione abbia voluto affermare, come
qualcuno ha riportato, che i dipendenti del comune non hanno diritto all’indennità di
turno se lavorano : “in una struttura che non offre la continuità del servizio, ad esempio
perché non è aperto la domenica e durante le festività.”
E’ ben possibile, quindi, effettuare turni su cinque, sei o sette giorni, secondo le esigenze
funzionalità definite dall’ente, senza che necessariamente anche la domenica sia necessaria
l’apertura del servizio, infatti i rilievi mossi alla non continuità del sevizio biblioteca da
parte della Corte di Cassazione, sono più d’uno e sono finalizzati a confutare la tesi del
tribunale d’appello.
Del resto lo stesso orientamento della Corte di Cassazione sulla continuità del servizio, lo
aveva già affermato l’ARAN che, ad esempio nel parere RAL755 sostiene che: “Nel caso in
esame, però, c’è anche un ulteriore problema: infatti, la previsione dell’art. 22, comma 3 del CCNL
del 14.9.2000, secondo il quale “i turni diurni, antimeridiani e pomeridiani, possono essere attuati
in strutture operative che prevedano un orario di servizio giornaliero di almeno 10 ore” può
ritenersi soddisfatta solo in presenza di un orario di servizio continuativo di almeno 10 ore. Lo
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scopo delle turnazioni, infatti, è quello di assicurare la continuità del servizio in una
determinata fascia oraria (di almeno 10 ore) e non ha senso istituirle quando il servizio può
essere assicurato mediante particolari articolazioni dell’orario di lavoro, come nel caso prospettato
(orario di servizio 7-14/14-21).”
Quanto alle restanti caratteristiche individuate alla Corte di Cassazione, la presenza di un
orario di servizio di almeno 10 ore e una distribuzione equilibrata e avvicendata dei
turni nell’arco del mese, non emergono problemi di natura interpretativa e a tal fine
possono valere le precisazioni fornite dall’ARAN nei suoi pareri.
In relazione all’orario di servizio nel parere RAL 1414 l’ARAN afferma che: “per orario di
servizio si intende il periodo di tempo giornaliero necessario per assicurare la funzionalità delle
strutture degli uffici pubblici e l’erogazione dei servizi all’utenza (art. 22 della legge n. 724/1994 e
circ. Funzione Pubblica n.7/1995);” ad esso è funzionale l’orario di lavoro.
In merito all’avvicendamento mensile nel parere RAL 755 l’ARAN sottolinea che: “Non
vi è dubbio, pertanto, che il CCNL prende in considerazione solo una articolazione nell'ambito dello
stesso mese ed a questa articolazione collega il legittimo pagamento della indennità.
Eventuali articolazioni dell'orario di lavoro, con variazioni mensili o bimestrali non possono essere
ricondotti alla disciplina dell'art. 22 e non legittimano, di conseguenza, la corresponsione dei
compensi specificati nel comma 5 dello stesso articolo; le stesse articolazioni potrebbero essere
considerate come una particolare disciplina dell'orario ordinario.”
Così con il parere RAL 748 l’ARAN ritiene che il principio della distribuzione equilibrata
dei turni mensili: “non necessariamente deve essere interpretato con rigida proporzione
aritmetica; il termine “equilibrato” non corrisponde esattamente a “numero identico”; un
ragionevole differenziale tra i turni antimeridiani e quelli pomeridiani (di una o due
unità) giustificato da esigenze organizzative non ci sembra che contraddica il concetto di
equilibrio”.
Anche se pare del tutto ovvio il parere espresso dall’ARAN se ne riportano due che
evidenziano problematiche emerse anche in comuni bergamaschi:
Consulta il sito della FP-CGIL di Bergamo – www.fpcgilbergamo.it
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RAL 750 – “L’indennità di turno non può essere corrisposta all’unico lavoratore che effettua
prestazioni alternativamente in orario antimeridiano e pomeridiano. In tal caso manca,
infatti, l’indispensabile requisito previsto dall’art. 22, comma 3, del CCNL del 14.9.2000, e cioè che
il turno debba essere effettuato in strutture che prevedano un orario di servizio giornaliero di
almeno dieci ore… Manca, inoltre, nella fattispecie, anche l’ulteriore requisito della rotazione tra
più lavoratori prescritto dal citato art. 22.”
RAL 1392 – “In linea generale, si può evidenziare che, attualmente, nella vigente disciplina
contrattuale del turno (art.22 del CCNL del 14.9.2000) e del rapporto di lavoro a tempo
parziale (artt. 4-6 del CCNL del 14.9.2000) non si rinvengono disposizioni che, in assoluto,
facciano divieto di impiego di lavoratori con rapporto di lavoro a tempo parziale (con
articolazione e distribuzione dell’orario di lavoro su tutti i giorni della settimana, in conformità
dell’orario di servizio adottato dall’ente) in ordinari turni di lavoro settimanale, secondo la
regolamentazione propria di questo istituto contenuta nell’art.22 del CCNL del 14.9.2000…..
Si deve ricordare, tuttavia, che, in base alle vigenti disposizioni legali e contrattuali, per la
definizione e distribuzione di nuovo orario di lavoro nell’ambito di un rapporto di lavoro a
tempo parziale, rispetto a quanto precedentemente concordato tra datore di lavoro pubblico e
dipendente, è necessaria la stipulazione di uno specifico contratto individuale, che si
sostituisce al precedente.”
Bergamo, 24 giugno 2013
Per la FP-CGIL di Bergamo F.to Gian Marco Brumana __________________________________________________________________________
CORTE DEI CONTI - 14/01/2013 – PUBBLICO IMPIEGO - Iª Sezione giurisdizionale
centrale d'appello, sent. n. 29 del 2013
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Se il provvedimento della giunta è illegittimo il dirigente non lo esegue – estratto -
“Né può valere a giustificare l’operato dell’odierno appellante la circostanza che il compenso in questione
era autorizzato dalla deliberazione della Giunta della Provincia n. 403 del 2006.
Si deve infatti respingere la tesi secondo cui la legittimità di tale delibera non era sindacabile da parte
dell’appellante in quanto titolare ufficio dirigenziale che la doveva eseguire. Al contrario l’emanazione degli
atti di competenza del dirigente implica sempre la valutazione dell’esistenza di tutti i presupposti di fatto e
di diritto, come peraltro espressamente desumibile dalla legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in
materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) che a
proposito dei compiti del responsabile del procedimento (art. 6, comma1) individua, tra gli altri, quello di
accertare, in via istruttoria, i presupposti rilevanti ai fini dell’emanazione del provvedimento: principio,
questo, di carattere generale relativo all’attività amministrativa certamente applicabile anche al di fuori
dell’ambito statale.
A ciò si deve aggiungere che ove si tratti, come nel caso in esame, di provvedimento attuativo di altro
ritenuto illegittimo l’ufficio competente deve astenersi dall’emanarlo, fornendo semmai ragguagli all’altro
organo. Per di più nel caso di specie si trattava di provvedimento relativo all’attribuzione di emolumenti,
certamente di competenza dirigenziale, per cui la responsabilità dell’odierno appellante deriva dai principi
di competenza e di responsabilità espressi dall’art 97, secondo comma della Costituzione: “
Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità
proprie dei funzionari”.
Ciò posto, va considerato che oggetto del giudizio contabile non è tanto la valutazione della legittimità degli
atti quanto il giudizio sui comportamenti. Nel caso di specie certamente il comportamento dei membri della
Giunta comunale, peraltro non presenti in questo giudizio, ha influito in modo importante nel processo
causale che ha comportato l’emanazione del provvedimento dannoso.
In considerazione di ciò la Sezione ritiene equo limitare l’addebito in capo all’odierno appellante ad euro
8.000, 00 compresa rivalutazione monetaria.
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Il Foglio della Funzione Pubblica CGIL
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