DIFENDIAMO IL DIRITTO DI SCIOPERO CONTRO PADRONI E … · 2018-06-01 · è il Testo unico sulla...

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www.alternativacomunista.org Estate 2017 – N° 66 – Anno XI – Euro 1,50 2 3 5 8/9/10 11 SPED ABB. POST. ART. 1 COMMA 2 D.L. DEL 24/12/2003 (CONV. IN L.46/06 DEL 27/02/2004) DCB BARI DIFENDIAMO IL DIRITTO DI SCIOPERO CONTRO PADRONI E GOVERNO SERVE UN FRONTE UNICO DI TUTTI I LAVORATORI CONTRO LE MISURE ANTI-SCIOPERO Renzi e la paura degli sciperi Decreto Minniti – Orlando, non solo Daspo Alitalia: una vertenza di importanza fondamentale Speciale Brasile Macron, un banchiere all’eliseo Ecco perché i lavoratori stanno mettendo in crisi i piani del segretario Pd Effetti dello xenofobo decreto Minniti-Orlando La lotta dei lavoratori può aprire nuovi scenari per la lotta di classe Le prospettive di una lotta in rapida evoluzione Elezioni francesi: la vittoria del capitalismo europeo

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www.alternativacomunista.orgEstate 2017 – N° 66 – Anno XI – Euro 1,50

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DIFENDIAMO IL DIRITTO DI SCIOPERO

CONTRO PADRONI E GOVERNO

SERVE UN FRONTE UNICO DI TUTTI I LAVORATORI

CONTRO LE MISURE ANTI-SCIOPERORenzi e la paura

degli sciperiDecreto Minniti – Orlando,

non solo DaspoAlitalia: una vertenza

di importanza fondamentale Speciale Brasile Macron, un banchiere all’eliseo

Ecco perché i lavoratori stanno mettendo in crisi i piani del segretario Pd

Effetti dello xenofobo decreto Minniti-Orlando

La lotta dei lavoratori può aprire nuovi scenari per la lotta di classe

Le prospettive di una lotta in rapida evoluzione

Elezioni francesi: la vittoria del capitalismo europeo

EDITORIALE Estate 2017 2

Direttore Responsabile: Mauro BuccheriCondirettore Politico: Matteo BavassanoRedazione e Comitato Editoriale: Mario Avossa, Giacomo Biancofiore, Patrizia Cammarata, Laura SguazzabiaTraduzioni: a cura del gruppo traduttori del PdacVignette: alessiospataro.blogspot.comComics: latuffcartoons.wordpress.comGrafica e Impaginazione: Simone Maccagnoni [Adobe CC / Apple Macintosh]Stampa: Litografica ‘92 – San Ferdinando di PugliaEditore: Alberto Madoglio

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Mensile del PARTITO DI ALTERNATIVA COMUNISTA Lega internazionale dei lavoratori - Quarta Internazionale

ESTATE 2017 – n. 66 – Anno XI – Nuova serie Testata: Progetto Comunista – Rifondare l’opposizione dei lavoratori

Registrazione: n. 10 del 23/3/2006 presso il Tribunale di Salerno

Renzi e la paura degli scioperiEcco perché i lavoratori stanno mettendo in crisi

i piani del segretario PdEDITORIALE

di Matteo Bavassano

L a situazione politico-sociale italiana non smette di aggra-varsi nemmeno durante l’e-

state: il governo Gentiloni sembra sempre più incapace di districarsi tra i vari scandali di corruzione e affini, i problemi delle banche e gli equilibri politici in parlamento, in un momen-to in cui dovrebbe invece trovare la coesione necessaria per applicare le manovre di austerity richieste dalla Commissione europea. A pochi mesi dalla fine della legislatura, Renzi non vuole che il Pd si assuma in via esclusiva la responsabilità dei tagli, né tantomeno che questi vengano as-sociati all’ex-premier, che vuole ripro-porsi come candidato presidente del Consiglio alle prossime legislative: la chiave è quindi dissimulare la presen-za politica del Pd facendo apparire quello di Gentiloni come l’ennesimo governo tecnico, complice l’assen-za di altre forze politiche di rilievo nella compagine governativa, anche cercando «maggioranze variabili» su singoli provvedimenti. I manovrieri parlamentari del Pd si stanno quindi destreggiando in gran-di equilibrismi per mantenere l’allean-za di governo con partiti che temono di scomparire alle prossime elezioni, e che quindi vorrebbero garanzie rispet-to alla nuova legge elettorale (Alfano in primis), e altri partiti maggiori (Fi, Lega e M5s) che sarebbero anche di-sponibili a votare una legge elettorale con un impianto maggioritario, ma non a sostenere il governo, se non su singoli provvedimenti secondari che interessano anche loro (Fi). Per ora l’accordo a quattro per la legge eletto-rale sembra essere saltato, ma rimane uno dei punti cardine della strategia di tutte queste forze, e nei prossimi mesi tornerà a essere al centro del di-battito politico.Nonostante tutte queste operazioni volte a dissimulare agli occhi degli elettori le proprie intenzioni, il Pd e gli altri partiti borghesi non sembrano riuscire nel loro intento: un termome-tro (per quanto distorto) della situa-zione politica sono state le ultime ele-zioni amministrative, che hanno visto un calo significativo dell’affluenza alle urne e che pare aver colpito ugual-mente tutti i partiti, che pagano a vario titolo le loro politiche (il Pd per il governo, il M5s la gestione ammi-nistrativa della giunta Raggi a Roma ecc.). Di fronte a una tale complicata situazione politica Renzi e il Pd, che sono i veri burattinai del governo Gentiloni, hanno necessità che la si-tuazione sociale si calmi per riuscire ad applicare le nuove misure di au-sterity contro i lavoratori in sordina, mantenendo così delle possibilità di

vincere le prossime elezioni legislati-ve, con una maggioranza solida que-sta volta. Per questo Renzi ed impor-tanti esponenti del Pd come l’attuale ministro dei trasporti Del Rio, coadiu-vati da esponenti sindacali quali la se-gretaria della Cisl, Annamaria Furlan, hanno intensificato, soprattutto dopo il riuscito sciopero dei lavoratori Alitalia del 16 giugno.

La «svolta» di governo, Pd e sindacati confederali contro il diritto di scioperoNon è una novità che questi perso-naggi hanno in odio i lavoratori che alzano la testa e lottano per i loro diritti, ma è significativo che proprio ora vi sia un salto di qualità nei loro attacchi ai lavoratori e, soprattutto, al diritto di sciopero. Non che sia un ful-mine a ciel sereno, dato che, stando alle prime dichiarazioni di Renzi, Del Rio, Furlan ecc., la base della legge con la quale il governo intenderebbe «normare» (o meglio, fuori dal politi-chese, limitare) il diritto di sciopero è il Testo unico sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014, anche detto «accordo della vergogna», un’intesa tra Confindustria e Cgil-Cisl-Uil vol-to non solo a limitare la rappresen-tanza e i diritti dei sindacati di base, ma soprattutto a limitare il diritto di sciopero per tutti i lavoratori, anche per quelli iscritti a Cgil-Cisl-Uil che si dovessero trovare nelle condizioni di dover scioperare contro la volon-tà delle loro direzioni burocratiche. Tra le varie norme previste dal testo unico vi sono quella che sancisce che

per partecipare alle elezioni Rsu le organizzazioni sindacali devono esse-re firmatarie sia del Testo unico che del Ccnl, quella che prevede che non si possa scioperare contro un accordo firmato dal 50%+1 delle Rsu. È bene ricordare che solo una campagna delle basi combattive dei sindacati conflittuali ha impedito alle burocra-zie di questi sindacati (non a tutte comunque) di sottoscrivere il Testo unico per salvare le proprie Rsu e i di-stacchi sindacali, campagna proposta dal Fronte di lotta No austerity a cui abbiamo convintamente partecipato; è stata probabilmente la risposta a questa campagna che ha impedito, fi-nora, al Testo unico di essere trasfor-mato da accordo volontario, valido solo nel settore industriale, a legge dello Stato, valido in tutti i settori lavorativi: infatti, se anche i sindaca-ti di base avessero sottoscritto nella loro maggioranza il Testo unico non vi sarebbero stati ostacoli sulla strada del governo per eliminare il diritto di sciopero.C’è da dire però che, purtroppo, il Testo unico non serviva tanto a bloc-care un’ondata di scioperi o di con-flittualità del mondo del lavoro, dato che la mobilitazione in Italia, nono-stante la crisi, non è stata per nulla adeguata agli attacchi subiti; l’«accor-do della vergogna» serviva a bloccare preventivamente una risposta operaia ai nuovi tagli e attacchi a lavoratori e spese sociali che il governo program-mava: poteva bastare quindi la taci-ta sottomissione dei sindacati, senza che fosse necessaria la legge, in un momento in cui Renzi poteva conta-re su un solido appoggio (politico, se non parlamentare) e non aveva inte-

ressa ad elevare troppo il livello dello scontro senza una ragione specifica.Ora la situazione del governo è del tutto diversa: dopo la sconfitta al re-ferendum del 4 dicembre Renzi ha lasciato la carica di presidente del Consiglio in favore del suo burattino Gentiloni, che ha creato un esecuti-vo «fotocopia» di quello di Renzi, ma molto più debole del precedente, che si troverà a dover applicare una ma-novra finanziaria correttiva a settem-bre (seppure i ministri l’hanno negato per mesi) e che si trova già ora col problema esplosivo di Alitalia. Ed è questa situazione di debolezza che ha convinto Renzi-Gentiloni che è giunta l’ora di passare nuovamente all’attac-co per uscire dall’angolo.

La vertenza Alitalia e il terrore del governo per gli scioperiLa crisi di Alitalia sta regalando molte notti insonni al governo, non tanto per il fallimento della compagnia, cosa a cui ormai i ministri erano preparati (ed anzi, qualche ministro addirittura sperava nello smembramento e nella svendita), quanto per la risposta dei lavoratori al piano lacrime e sangue proposto dalla direzione aziendale, sia con la vittoria del «No» al referen-dum di aprile (quasi 70%), sia con gli scioperi, di cui l’ultimo il 16 giugno, che ha visto una grande partecipa-zione nonostante il comportamento anti-sindacale di Alitalia, che ha abu-sato delle precettazioni. Prima dello sciopero, il ministro Del Rio aveva chiesto ai sindacati e ai lavoratori di

sconvocarlo. Nessun altro sciopero da tempo aveva visto una risposta così scomposta da parte del governo. Evidentemente, per la sua fragilità, il governo teme ulteriori sconfitte, soprattutto davanti all’opinione pub-blica: il settore dei trasporti è forse quello in cui gli scioperi creano di-sagi più diffusi e tangibili, soprattut-to d’estate, con molti italiani (e non solo) in partenza per le vacanze e i lavoratori Alitalia che non sembrano intenzionati ad abbandonare la lotta. Occorre fermarli, oppure lo stesso go-verno è a rischio. È cominciata quindi una caccia alle streghe contro i lavo-ratori e il sindacalismo conflittuale, ovviamente cercando di manipolare la realtà: è troppo complicato anche per i politici del Pd sostenere che i lavoratori Alitalia non hanno moti-vi per scioperare, allora si cerca di «spersonalizzare» la lotta, scindendo i lavoratori in carne ed ossa coi loro problemi reali dalle sigle sindacali, peraltro utilizzate come spauracchio (esponenti del Pd hanno dichiarato che serve una legge per «fermare i co-bas», nome spregiativo che per i bor-ghesi evoca tutti i mali del sindacali-smo di lotta). Così il governo cerca di far passare gli scioperi come interesse esclusivo di questi «cattivi sindacati minoritari», che fanno sciopero solo per guadagnare qualche tessera in più grazie al loro «populismo sinda-cale». Ovviamente nessuno sui media borghesi ricorda all’«opinione pub-blica» che, se uno sciopero riesce, è perché i lavoratori ritengono di avere ragioni valide e sufficienti per parte-ciparvi, sacrificando il loro salario per lottare: nella narrazione dei servi del governo sembra che i lavoratori siano costretti a non lavorare perché è stato indetto lo sciopero!Ma oltre a questa campagna denigra-toria a mezzo stampa, il governo è passato alle maniere forti su tutta la linea, non solo contro Alitalia: il 23 giugno Del Rio ha vietato uno sciope-ro di 4 ore del trasporto pubblico lo-cale indetto da Usb per il 26 giugno, con risibili motivazioni quali il caldo e i possibili disagi per gli utenti. Un si-gnificativo segnale di come il governo ha intenzione di comportarsi verso i prossimi scioperi. Bene ha fatto Usb a proclamare immediatamente un nuovo sciopero per il 6 luglio, prote-stando ovviamente contro l’ordinan-za anti-sciopero di Del Rio. Il nostro appello è a tutti i lavoratori e a tutti i sindacati a non lasciarsi intimorire da questa svolta repressiva contro il diritto di sciopero, e a preparare la mobilitazione contro qualsiasi inizia-tiva che il governo cercherà di attuare contro la lotta dei lavoratori: solo con una mobilitazione decisa e unitaria si può sconfiggere il governo ed evitare attacchi sempre più pesanti

Estate 2017 3POLITICA

Il vero significato dello scandalo Banca Etruria

Decreto Minniti-Orlando, non solo Daspo

di Alberto Madoglio

L a situazione delle banche ita-liane continua ad avvitarsi in una crisi che appare sempre più

senza via di uscita. I crediti deteriorati (non performing loans) non accenna-no a diminuire, rendendo il sistema creditizio sempre più a rischio, soprat-tutto quando a breve, come ormai ap-pare certo, Mario Draghi, governatore della Bce, metterà fine alla politica di espansione monetaria, nota come quantitative easing.Gli istituti che al momento appaiono più in difficoltà sono Monte dei Paschi e le due banche venete, Popolare di Vicenza e Venetobanca. Per queste la Commissione europea vuole, prima di acconsentire a una specie di salvatag-gio statale, che i loro conti siano siste-mati una volta per tutte, con la par-tecipazione dei privati alle perdite. Se ciò non avviene in breve tempo, non si può escludere una loro liquidazio-ne attraverso il meccanismo del bail in, come avvenuto per le ormai famo-se quattro popolari un anno e mezzo fa. E una di queste banche è ancora la causa di grattacapi per il governo Gentiloni.Qualche settimana fa, l’editorialista ed ex direttore del Corriere della sera (in passato direttore anche del Sole 24

ore) Ferruccio de Bortoli ha pubblicato un libro di critica dei cosiddetti poteri forti italiani. In un passaggio l’autore afferma che l’attuale sottosegretaria alla presidenza del consiglio, Maria Elena Boschi, nel 2014 avrebbe fatto pressioni indebite sull’amministratore delegato di Unicredit, affinché il mag-gior istituto bancario del Paese acqui-sisse la Popolare dell’Etruria, banca in cui il vice presidente dell’epoca era il padre della ministra.Marx sosteneva, correttamente, che i governi non sono nient’altro che i co-mitati di affari della borghesia. Nella storia italiana questa sacrosanta verità

assume spesso i contorni di una gestio-ne personale e familistica del potere.Da ulteriori indiscrezioni di stampa, pare che l’attivismo della Boschi ri-guardo le sorti della banca di cui il genitore era il numero due, sia durato nel tempo. Il fatto quotidiano racconta che prima di offrire la banca all’istituto di Piazza Cordusio, si fosse tentata la via della fusione con una delle due po-polari venete di cui abbiamo parlato poco sopra.Tutti questi tentativi, al di là del modo maldestro in cui pare siano stati con-dotti, e dell’evidente conflitto di inte-ressi, non avevano certo lo scopo di

salvare né i piccoli risparmiatori della banca, né di garantire il posto di lavo-ro alle centinaia di impiegati coinvolti in una gestione fallimentare della qua-le non hanno nessuna colpa (eccezion fatta, ovviamente, per gli inquadra-menti più elevati).Se una delle operazioni fosse anda-ta in porto non si sarebbe fatto altro che conferire una banca di fatto falli-ta in istituti che all’epoca navigavano entrambi in cattive acque. Di queste solo Unicredit pare esserne uscita, al prezzo però di aver annunciato circa 14.000 esuberi di personale nei pros-simi anni.La vicenda è anche un segnale della lotta che si sta combattendo nei pa-lazzi del potere italiano: il libro di De Bortoli non è una mera operazio-ne editoriale, così come il silenzio sul merito della vicenda da parte di chi ha fornito lo scoop al giornalista, sono un segnale di come una parte delle classi dominanti vogliono se non proprio li-berarsi, quantomeno limitare l’irruen-za dell’ex premier e attuale segretario

del Pd. È evidente infatti che colpendo la Boschi si vuole colpire Renzi, il qua-le con la sua opera di rottamazione, voleva ridefinire gli equilibri tra le va-rie frazioni della borghesia e dei grand commis di Stato.Noi non ci schieriamo a fianco di nes-suna delle due parti in commedia. Non sono certo un ex banchiere e una firma di punta del giornale che da oltre un secolo rappresenta la par-te più conservatrice della borghesia nazionale quelli che si possono ergere al ruolo di anime candide, fustigatori del malaffare italico, magari col taci-to sostegno della Banca d’Italia. Lo scontro in atto è però un segnale di quanto la crisi economica non colpi-sca solo i lavoratori ma anche le clas-si dominanti e le loro rappresentan-ze politiche, che qualcuno raffigura come imbattibili. Il nostro nemico di classe è più debole di quanto appaia: questa vicenda ne è ulteriore dimo-strazione. Sta a noi lavorare e orga-nizzarci per sconfiggerlo una volte per tutte.

di Patrizia Cammarata

D aspo (D.a.spo) è l’acronimo di «Divieto di accedere alle ma-nifestazioni sportive» ed è una

misura prevista dalla legge italiana al fine di contrastare il fenomeno del-la violenza negli stadi o nei campi da gioco, di qualunque disciplina sporti-va. Il Daspo vieta al soggetto, ritenuto pericoloso, di accedere in luoghi in cui si svolgono determinate manifestazio-ni sportive. Il fatto che il Daspo possa essere emesso sulla base di una segna-lazione, e non necessariamente dopo una condanna penale, ha comportato accuse, soprattutto dal mondo ultras, perché compromette, di fatto, alcu-ne libertà fondamentali, come quella di circolazione. Il recente decreto del ministro dell’In-terno, Marco Minniti, e del ministro della Giustizia, Andrea Orlando, dell’attuale governo Gentiloni, è stato, da parte di alcuni, paragonato a una

sorta di Daspo rivolto agli immigrati, ai poveri, ai profughi, ma questo parago-ne riduce la gravità del provvedimento. Il decreto Minniti-Orlando è, soprat-tutto, un provvedimento che svela con

estrema chiarezza l’anima xenofoba e classista di questo governo. Non si trat-ta solo di limitare alcune libertà indi-viduali, fatto già grave, ma si tratta di un vero atto di guerra contro le vittime più fragili del sistema e ha, come risul-tato, quello di ampliare ulteriormente, a dismisura, la tragicità delle vite di tanti bambini, donne, uomini per ren-dere più scintillanti, asettiche e fruibili, a pochi, le città del nostro Paese, oltre a rendere più veloce l’espulsione di mi-gliaia di esseri umani. Lo scorso marzo, a Ventimiglia, i vigi-li hanno multato tre persone perché hanno dato da mangiare ad alcuni im-migrati. Questa multa è stata possibile a causa di un’ordinanza del sindaco di Ventimiglia, del Partito democratico. Un esempio che mostra come si stanno costruendo dei veri e propri muri per chi fugge dalla guerra e dalla fame, e questi muri, non visibili, hanno come mattoni le ordinanze locali e le leggi del governo. I valori alla base della «si-curezza» del decreto Minniti- Orlando ha ispirato, in maggio, la grande reta-ta alla stazione centrale di Milano e la «caccia all’uomo» avvenuta a Roma dove è morto un venditore ambulan-te senegalese inseguito dalla polizia municipale.

Un pacchetto di misure per dividere con più forza i bianchi dai neri, i ricchi dai poveri

Il decreto Minniti-Orlando, divenuto legge il 12 aprile scorso, è un pacchet-to di misure in materia del controllo e

della repressione del fenomeno migra-torio e di potenziamento dell’interven-to degli Enti territoriali e delle Forze di polizia per la cosiddetta «lotta al de-grado delle aree urbane». Dal punto di vista giuridico il decreto segna una demarcazione tra il diritto alla difesa di un cittadino italiano e un immigrato. L’italiano potrà avere la possibilità di farsi giudicare su tre livelli di giudizio (cioè dal primo grado fino alla cassazione, spesso con tempi lunghi che solitamente portano alla prescrizione del reato e ciò succede, soprattutto, per chi può permettersi di pagare profumatamente gli avvocati giusti nel posto giusto). L’immigrato, invece, è privato del secondo grado di giudizio e in tempi strettissimi (appena 180 giorni in totale) potrebbe essere espulso dal territorio dello Stato italia-no. Nel frattempo dovrà soggiornare in un centro di detenzione, gli ex Cie, ora Cpr (Centri di permanenza per il

rimpatrio), presenti in ogni regione. Questi centri, chiamati spesso da chi si occupa d’immigrazione, «moderni lager» sorgeranno lontano dalle città e vicino agli aeroporti, una zona strate-gica per l’intervento della Polizia e per rendere impraticabile, o per lo meno molto difficile, il controllo da parte di altri cittadini e l’organizzazione di proteste, manifestazioni o interventi di organizzazioni umanitarie o politiche per i diritti umani. Un decreto che, tradotto nella prati-ca, chiede ai sindaci di trasformarsi in sceriffi che dovranno sanzionare con multe chi compie atti lesivi per il deco-ro urbano. Peccato che questo «decoro urbano» sia, nella filosofia del decreto, messo a repentaglio da uomini e don-ne con la loro mera presenza. Sono le donne e gli uomini che occupano, spesso affamati e denutriti, i marcia-piedi delle nostre città in cerca di qual-che spicciolo, o di qualche parola ami-

ca, o per improvvisarsi parcheggiatori cercando una parvenza di lavoro e di dignità nel chiedere l’elemosina, op-pure per prostituirsi (spesso, purtrop-po per tante e tanti, unica possibilità di sopravvivenza nell’attuale sistema capitalista). Da un altro versante, il prefetto do-vrà occuparsi di prevenire qualsiasi resistenza agli sgomberi d’immobili occupati, in una società in cui miglia-ia di famiglie, spesso con minori, sono senza tetto e senza un riparo mentre le case popolari sono lasciate al degrado, o chiuse, o svendute, nelle città ostag-gio della speculazione immobiliare privata.Nel frattempo, mentre è negato il di-ritto al lavoro a tanti giovani, si usano le reti di volontariato per lavori d’i-giene ambientale e pulizia delle città, abbassando il numero di occupati che hanno diritto ad un salario e aumen-tando i volontari a titolo gratuito, spes-so profughi che vanno a rimpinguare l’esercito di riserva di precari e ricattati che serve ad abbassare ulteriormente il costo del lavoro perché, nello spirito del decreto, c’è il ricatto di un lavoro sottopagato in cambio di un’accoglien-za gestita dalle cooperative e dai pri-vati e gli operatori sociali sono tenuti a rivestire il ruolo di controllori sociali, controllori di un sistema disumano che a loro è chiesto di difendere.È necessario organizzarci e lottare contro tutte le politiche che, a nome della sicurezza, gestiscono e avvallano il razzismo e l’emarginazione sociale, legando la lotta al Decreto Minniti-Orlando alla lotta contro la guerra im-perialista e alla guerra sociale condotta da padroni e governi contro la classe lavoratrice.

Effetti dello xenofobo decreto Minniti-Orlando

Estate 2017 4 LAVORO e SINDACATO

Spazio di opposizione? Sul seminario de «Il sindacato è un’altra cosa-opposizione in Cgil»

di Massimiliano Dancelli

V enerdì 19 e sabato 20 maggio si è svolto a Rimini il semina-rio dell’aerea di opposizione in

Cgil «il sindacato è un’altra cosa» sul tema del salario, dell’orario di lavoro, del welfare e delle pensioni, alla pre-senza di circa una settantina tra delega-ti, funzionari e simpatizzanti dell’area.

Analisi dell’attuale stagione contrattuale

Dai documenti redatti dai lavori del seminario, si evidenzia come prose-gua e si stia intensificando nel nostro paese, la fase di arretramento di sa-lario, diritti e sicurezza per i lavora-tori di qualsiasi categoria essi siano. Come ben rappresentato dagli ultimi rinnovi contrattuali, su cui spicca, in peggio, quello dei metalmeccanici,

la linea voluta dai padroni e condivi-sa dalle burocrazie di Cgil, Cisl e Uil è e rimane una linea al ribasso, dove con la scusa della crisi e il ricatto della perdita del posto di lavoro viene im-messa nei contratti tutta una serie di penalizzazioni, tanto sul piano sala-riale che dei diritti, che riportano in-dietro le lancette dell’orologio di una quarantina d’anni. Tutte le conquiste che i lavoratori avevano strappato con enormi sacrifici durante la stagione di lotta degli anni settanta, rese legge con lo statuto dei lavoratori, i padroni se le stanno riprendendo con gli in-teressi. Le suddette burocrazie, oltre a non essere in grado di garantire il potere d’acquisto (risibili o inesistenti gli aumenti salariali nei contratti fir-mati dalle varie categorie) dei salari, aiutano la controparte padronale in-serendo nei contratti tutta una serie di istituti normativi che poi spacciano ai lavoratori come grandi conquiste. Ne è un caso emblematico il welfa-

re aziendale (vera novità di questa stagione contrattuale), che in realtà contiene il duplice scopo di preparare lo smantellamento dello stato sociale pubblico, e far risparmiare soldi alle aziende che non pagano più premi in danaro, ma elargiscono buoni spesa/benzina detassati, con buona pace del carico contributivo a favore del lavora-tore, che vigeva invece sui vecchi pre-mi di produzione. Con la scusa che il lavoratore troppo demoralizzato non sia più disposto a lottare, la favoletta che sentiamo raccontare tutti i giorni dai funzionari di questi sindacati, si firmano contratti con risibili aumenti salariali, flessibilizzazione dell’orario di lavoro e demansionamenti. Infine, recependo nei contratti l’accordo ver-gona sulla rappresentanza, si causa un restringimento delle libertà e del-le agibilità sindacali nelle fabbriche. A tutto questo dobbiamo aggiungere, come emerge sempre dai documenti del seminario, i tagli alla spesa pubbli-

ca del governo, gli attacchi al potere d’acquisto delle pensioni, le riforme sull’età pensionabile, i blocchi contrat-tuali del pubblico impiego.

Quale soluzione?Qui emergono i limiti della discussione di questo seminario, che ha prodotto ottimi documenti sul tema del salario, delle pensioni, dell’orario di lavoro, del welfare aziendale, ma non ha, a mio avviso, detto molto su quale strada sia necessario intraprendere per provare a trovare una soluzione a questi temi vitali per la classe lavoratrice. Non si è discusso di come riproporre una batta-glia all’interno dei luoghi di lavoro, non si sono proposte parole d’ordine da lanciare ai lavoratori per indicare loro una direzione. Hanno chiamato questo seminario «spazio di opposizione», già, ma… a cosa? Opposizione interna alla Cgil (seppur condivisibile e necessaria)

od opposizione pubblica a padroni, governo e burocrazie? La sensazione è che prevalga la prima ipotesi, perché, nonostante le belle petizioni di princi-pio sulla lotta e sull’unità necessaria dei lavoratori, non ci si è collocati sul terre-no pratico, come dimostrato dall’assen-za di una rappresentanza delle princi-pali realtà di lotta oggi nel nostro paese (Alitalia, Tim, lavoratori immigrati). Non si è superata la barriera della sin-gola fabbrica, nonostante l’alta conflit-tualità di molte Rsu legate alla stessa area di opposizione. Viene ancora una volta ignorata la necessità di confluire in fronti di lotta unitari come il Fronte di lotta No austerity. Solo una è la stra-da da seguire, esiste solo uno «spazio di opposizione», quello contro i padroni. Bisogna lottare tutti uniti, al di là del-la singola appartenenza sindacale, nel pieno dell’indipendenza di classe, per riprenderci i nostri diritti e porre le basi per un futuro migliore a lavoratrici e lavoratori.

di Matteo Bavassano

D opo le mobilitazioni dei mesi scorsi e la vittoria del No al referendum di aprile, con-

tinua la lotta dei lavoratori Alitalia. Sabato 27 maggio c’è stata una mani-festazione molto partecipata a Roma, a cui hanno partecipato diversi lavo-ratori in lotta ed attivisti dei sinda-cati di base. La solidarietà di classe è ovviamente fondamentale per il proseguimento vittorioso della lotta: anche per questo è molto importante lo sciopero di venerdì 16 giugno.Oltre allo sciopero in Alitalia (la qua-le minaccia di cancellare centinaia di voli a ridosso dell’inizio delle vacanze estive per molti italiani), è stato pro-clamato uno sciopero generale del tra-sporto pubblico, e sindacati attivi nel settore della logistica come SiCobas, AdlCobas e SolCobas hanno indetto anche loro lo sciopero per sostenere i lavoratori dell’Alitalia. Uno sciopero che si preannuncia importantissimo, al punto che il Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture aveva fatto ap-pello al «senso di responsabilità» del-le organizzazioni che hanno indetto lo sciopero affinché lo ritirassero per non creare disagi. Appello che è sta-to, giustamente, rispedito al mitten-te dai lavoratori in lotta, che si sono detti disponibili a un confronto… dal giorno dopo lo sciopero!

La verità sui problemi di Alitalia

Contrariamente a quanto falsamen-te fatto intendere da tutta la stam-pa borghese, come già abbiamo rilevato in un precedente articolo, tutti gli indicatori di costi operati-vi dell’azienda (dal costo del lavoro all’indice del costo per passeggero per km) non solo sono in linea con quelli delle altre compagnie euro-pee di riferimento (Air France-Klm, Lufthansa, British airways), ma sono spesso più bassi. E la crisi non è nep-pure imputabile allo sviluppo dei vettori low cost, che pure certamen-te in questi ultimi 20 anni hanno cambiato sensibilmente il trasporto aereo. La verità è che non c’è stata la volontà politica di salvare la com-pagnia di bandiera, anzi si è puntato al suo fallimento e smembramento. La realtà, che pochissimi conoscono, se non gli «addetti ai lavori», è che le compagnie low cost vengono pagate dagli enti aeroportuali per mantenere le rotte, ad esempio Ryanair pretende una percentuale sui ricavi dei negozi negli aeroporti, oltre a ricevere finan-ziamenti diretti anche dalle regioni. È inutile quindi parlare di mercato del trasporto aereo, quando si decide politicamente di finanziare una com-pagnia che sfrutta brutalmente i la-

voratori, che paga le tasse in Irlanda, piuttosto che investire nell’Alitalia, di-mostrando di ritenere il trasporto ae-reo un servizio pubblico importante. Nazionalizzare l’Alitalia è non solo possibile, ma anche auspicabile, nel-la prospettiva di migliorare il settore del trasporto aereo in Italia, sia da un punto di vista di condizioni dei lavo-ratori (sia lavorative che salariali), sia dal punto di vista dei passeggeri, con servizi migliori e più economici. A patto però di mettere in discussione anche l’attuale sistema aeroportuale privatizzato italiano: rinazionalizza-re gli aeroporti è imprescindibile per gestire centralmente tutti gli «incenti-vi» che vengono corrisposti alle varie compagnie. A questo si accompagne-rebbe, necessariamente, la fine della liberalizzazione dei servizi di terra (o handling), che ha portato solo alla compressione dei salari e al peggio-ramento delle condizioni lavorative.La nazionalizzazione è l’unica soluzio-ne per salvare il settore del trasporto aereo in Italia, ma chiaramente è una soluzione che il governo non vuole accettare. Ecco perché nello sciopero del 16 deve chiamare direttamente in causa le politiche governative sul tra-sporto, deve scontrarsi direttamente col governo, che fino a ieri era sordo alle richieste e alle proposte dei lavo-ratori e oggi prova maldestramente a elemosinare il ritiro dello sciopero.

La protesta dei lavoratori metterà in luce l’importanza fondamentale del settore del trasporto aereo in Italia e dell’Alitalia all’interno del settore, perché bloccherà di fatto tutto il traf-fico passeggeri. Il punto focale dello scontro sarà l’aeroporto di Fiumicino: se il blocco durerà oltre le 24 ore, gra-zie alla determinazione dei lavorato-ri, il governo non potrà fare altro che cedere, se non vuole rischiare una paralisi totale del traffico. E a quel punto, i rapporti di forza saranno dalla parte dei lavoratori. Per questo occorre sostenere i lavoratori dell’A-litalia nella loro lotta, e concentrare la solidarietà di classe attorno a loro.

Una vertenza importante non solo per il settore del trasporto aereoLa lotta in Alitalia può diventare un passo fondamentale nella lotta di classe del nostro Paese: da diversi anni a questa parte è la prima ver-tenza di una certa importanza che -a condizione di essere diretta ascol-tando le esigenze dei lavoratori in lotta e non le esigenze burocratiche e ponendo la vertenza nella giusta prospettiva rivendicativa (che deve essere non meramente aziendale, ma più generale)- può vincere, ribal-

tando non solo una privatizzazione fallimentare, ma convincendo i la-voratori che le privatizzazioni non sono una soluzione ai problemi né loro, né dell’economia, e che quindi bisogna lottare contro di esse. Una prospettiva fondamentale, dato che nei prossimi anni il governo pianifi-ca di privatizzare le principali azien-de del trasporto pubblico locale. La classe lavoratrice deve lottare per vincere, potrebbe così stabilire un pericoloso precedente per i padroni borghesi: dimostrando che le azien-de private devono essere salvate non svendendo i lavoratori e tutelando i parassiti, ma facendo pagare a pa-droni e manager i costi della rior-ganizzazione produttiva necessaria a mantenere le aziende funzionanti nazionalizzandole e ponendole sotto il controllo dei lavoratori. Dobbiamo dimostrare e ricordare alla classe operaia che è perfettamente in grado di gestire la produzione secondo l’in-teresse generale della società, senza bisogno di capi, azionisti e padroni.È con questa consapevolezza che, fi-nalmente, la classe lavoratrice italia-na smetterà di incassare passivamen-te gli attacchi dei capitalisti e inizierà a rispondere colpo su colpo, facendo-la finita con un sistema che umilia i lavoratori, per costruire un mondo più giusto, in cui si possa vivere di-gnitosamente del proprio lavoro.

Alitalia: una vertenza di importanza fondamentaleLa lotta dei lavoratori può aprire nuovi scenari per la lotta di classe

Estate 2017 5LAVORO e SINDACATO

di Mauro Mongelli

S i vuol ripercorrere, con questo articolo, mesi di lotte i cui prin-cipali protagonisti sono i lavo-

ratori e le lavoratrici di Tim. Lotte che vedono impegnati migliaia di lavoratori e lavoratrici di Tim da quel fatidico 6 ottobre 2016 giorno in cui l’azienda, con atto arrogante e unilaterale, ha disdetto il contrat-to di 2° livello (o aziendale) e fissa-to, nell’arco di 4 mesi, la stipula del nuovo.Una vicenda anomala che avviene prima che sia rinnovato il Ccnl Tlc scaduto il 31/12/2014.Provocazione pericolosa e irricevibi-le, tesa a svuotare la contrattazione collettiva ed a incassare una «cambia-le in bianco».Disdetta e proposte tutte peggiorati-ve con finalità di far ricadere pesan-temente sulle spalle dei lavoratori e delle lavoratrici, di Tim, la riduzione dei costi di 1,6 miliardi di Euro per il piano 2016/2019. Gruppo che chiu-de il 2016 con ricavi in crescita del 14,4%.Le proposte aziendali vanno nella di-rezione di massima flessibilità della prestazione di lavoro, con incremen-to del tempo di lavoro, riduzione di 2 gg. di ferie, demansionamenti fino a due livelli, controllo a distanza indi-viduale, mancato pagamento del pre-mio di risultato (che per i neo-assunti dopo il 01/10/2016 non sarà corri-sposto), diminuzione della indennità oraria ecc. In questi mesi molteplici sono stati gli scioperi e le manifestazioni di piazza che hanno visto la partecipazione di migliaia di lavoratori. Lo sciopero del 13 dicembre 2016 ha avuto l’80% di adesione. Sciopero indetto da tutte le organizzazioni sin-dacali presenti in azienda e dal Clat (Collettivo lavoratori autoconvocati telecomunicazioni).Alla vertenza aziendale si aggiunge anche il rinnovo del Ccnl delle Tlc.A fine dicembre 2016 si inserisce la vicenda Almaviva con il licenziamen-to di 1666 lavoratori e lavoratrici della sede di Roma, rei di non voler subire l’ennesimo ricatto di padroni, governi e burocrazie sindacali di Cgil Cisl e Uil.Salta il tavolo sul rinnovo contrattua-le tra Asstel (associazione padronale delle Tlc) e le organizzazioni sindaca-li filo-padronali (Cgil, Cisl e Uil).Il 1/02/2017 proclamato lo sciopero dell’intero settore telecomunicazioni – intero turno lavorativo con mani-

festazioni territoriali. Anche a questo sciopero e alle manifestazioni la par-tecipazione è alta.Anziché continuare con la lotta, in Tim, alcune organizzazioni sinda-cali, le più aziendaliste, Fistel-Cisl, Uilcom – Uil e Ugl passano dall’altra parte della barricata. Il 23/02/2017 viene siglato un «verbale di incontro» senza nessun avanzamento per i la-voratori anzi, la Tim, con decorrenza 1/04/2017, introduce un regolamen-to aziendale che, tra le altre cose, introduce: l’orario multi periodale, modalità di fruizione dei permessi individuali e un nuovo sistema di in-centivazione individuale per i tecnici sul campo, praticamente un lavoro a cottimo. L’applicazione unilaterale del regola-mento aziendale è ritenuto illegitti-mo e contestato dalle organizzazioni

sindacali di base e dalla Slc/Cgil.Il 25 febbraio 2017 più di 6.000 lavo-ratori Tim e di altre aziende del set-tore in corteo a Roma hanno aderito alla manifestazione promossa da Cisal comunicazione, Cobas lavoro priva-to, Cub, Snater, Usb lavoro privato, insieme al Clat – Collettivo lavorato-ri autoconvocati telecomunicazioni. Si è trattato di un ulteriore appun-tamento dopo mesi di mobilitazioni contro il disegno delle imprese del settore Tlc che nel rinnovo contarttua-le, non contente dei profitti realizzati in questi anni, vogliono introdurre le norme previste dal Jobs act, tagliare i diritti, ridurre gli aumenti contrat-tuali a meri contributi per il welfare aziendale, vincolare quelli in busta paga alla produttività attraverso il controllo individuale della prestazio-ne e disporre liberamente del tem-

po di lavoro e di vita delle persone. Dopo questa manifestazione i sinda-cati di base e il Clat si impegneran-no nella stesura di una piattaforma unitaria da proporre nuovamente ai lavoratori e alle lavoratrici di Tim, per quanto riguarda il contratto di se-condo livello e della piattaforma per il rinnovo del Ccnl Tlc.Nel frattempo le lotte continuano con gli «scioperi a sorpresa» a fine turno.Della vicenda Tim si stanno occupan-do anche le istituzioni borghesi, in-fatti le organizzazioni sindacali sono state convocate per un’audizione alla Commissione lavoro della Camera dei Deputati, il 15 marzo.Precedentemente, l’8 marzo, erano stati sentiti i vertici di Tim. Le audi-zioni hanno visto prima intervenire i segretari di Slc/Cgil, Fistel/Cisl e Uilcom e, successivamente, sono in-

tervenuti delegati di Snater, Usb e Cobas.Il 4 maggio in occasione dell’assem-blea degli azionisti di Tim a Rozzano (Mi) ulteriore giornata di sciopero e manifestazione. Sciopero proclama-to dalle organizzazioni sindacali di base e dalla Slc/Cgil con il sostegno del Clat. Gli azionisti nella società ca-pitalista sono coloro che decidono le politiche di tagli sulla pelle dei lavo-ratori. I lavoratori, con la loro presen-za a Rozzano, hanno dimostrato che sono determinati a difendere i posti di lavoro e non a riempire le tasche degli azionisti parassiti con i tagli di diritti e di salario.Il 3 di maggio, mentre si prepara-va lo sciopero e la manifestazione a Rozzano, Riccardo De Angelis, delegato Rsu Cobas del Lazio, vie-ne raggiunto da un provvedimento disciplinare che prevede 3 giorni di sospensione. Il delegato sindacale intervenuto, il 15 marzo 2017, in commissione attività produttive della Camera dei Deputati. 3 giorni di so-spensione, il massimo della sanzione prima del licenziamento, per non aver commesso alcuna violazione contrat-tuale né etica, ma solo aver svolto il ruolo di rappresentate dei lavoratori in un ambito istituzionale (borghese) come la Camera dei Deputati. Licenziamento evitato grazie alla straordinaria mobilitazione dei lavo-ratori e lavoratrici di Tim.Si è trattato di un atto chiaramente intimidatorio nei confronti di tutti i delegati e delegate a prescindere dal-la appartenenza di organizzazione e un modo per colpire la resistenza del-le lavoratrici e dei lavoratori che non si piegano all’azienda. Il 27 maggio è stata una ulteriore giornata di mobilitazione dei lavo-ratori e lavoratrici di Tim, che han-no partecipato alla manifestazione indetta a Roma dalle organizzazioni sindacali di base del comparto aero-portuale legata alla vicenda Alitalia. La vicenda Alitalia, cosi come quel-la Telecom (oggi Tim), sono esempi concreti di cosa sono state le privatiz-zazioni in Italia. Arricchito i padroni e scaricato sui lavoratori, le lavoratrici e la collettività i costi.Della serie «privatizzati i profitti e so-cializzati i costi». Solo con l’abbattimento del siste-ma capitalista i lavoratori si libe-reranno dallo sfruttamento del lavoro salariato e, con la socializ-zazione dei mezzi di produzione, le aziende passeranno sotto controllo dei lavoratori!

di Stefano Bonomi

M entre viene redatto questo articolo sono in corso diverse vertenze

dai risvolti particolarmente im-portanti. L’obiettivo degli attivisti del SolCobas è «esportare» le mo-dalità di lotta radicali, proprie del movimento operaio, negli ultimi decenni «smorzate» dai sindacati padronali, al di fuori degli esem-plari magazzini delle logistiche dove con gli scioperi selvaggi, blocco dei cancelli e lotta ad risul-tati insperati. Sia chiaro le mobilitazioni in Dhl, Sda, Gls, Bartolini ecc. non accennano a diminuire come dimostrano i vari cancelli affollati nelle varie filiali della Lombardia, del Piemonte e del piacentino.Segnaliamo con grande piacere ed orgoglio che le lavoratrici del Room mate (albergo del quadrilatero della city milanese) sono scese in lotta scioperando proprio il 1 maggio e non hanno intenzione di desistere fino a quando i licenziamenti politici, le condizioni operative ed economiche del loro cobas avranno cambiamenti sensibilmente concreti.Alla Motta di Cinisello Balsamo si lotta contro la delocalizzazione a Madrid dello stabilimento sottoscritta dai sindacati padronali, peraltro con una contropartita economica indefinita ed incerta.Si sciopera anche nelle attività commerciali della multinazionale Cremonini. Da giorni è tutto fermo al bar della stazione Fs di Rogoredo.In varie aziende di trasporto pubblico locale i lavoratori lottano contro il piano di smembramento e privatizza-zione della Propria (Atm) e contro le condizioni operative particolarmente negative in Autoguidovie spa e più in generale contro lo scippo del tfr sostenuto dai confederali con il fondo complementare Priamo.Stiamo riscontrando altri piccoli ma significativi risultati nelle vertenze del bergamasco; in particolare in Ambrosini carne e alla Gmp group metalmeccanica, settore auto motive.Queste e le altre situazioni avranno una prima convergenza generalizzante nello sciopero del 16 giugno procla-mato anche a sostegno della mobilitazione nazionale dei lavoratori Alitalia.

Vertenza Tim: la lotta continua

Primavera di lotta in casa SolCobas

Estate 2017 6 LOTTE e MOVIMENTI

di Giacomo Biancofiore

È di uso comune, per enfatizzare un intenso legame affettivo tra due o più persone, utilizzare l’espressione «fratelli di sangue», il 27 maggio scorso a Matera, in occasione della Marcia Salva l’ac-

qua, si è consolidato quel rapporto che da tempo accomuna gli abitanti della Lucania con i pugliesi, un legame che si può riassumere nell’e-spressione «fratelli di acqua».Sì, perché, lucani e pugliesi bevono da sempre la stessa acqua, acqua che, come recita lo slogan della manifestazione, vale più di mille barili di petrolio.E di petrolio e gas, in Basilicata, se ne intendono, visto che attualmente ci sono ben 202 impianti attivi tra pozzi e centrali di raccolta e trat-tamento (fonte Ministero dello sviluppo economico, dati aggiornati al 18/04/2017) e soprattutto c’è il centro oli più grande d’Italia che da anni devasta uno dei territori più ricco di risorse del Paese.Una regione, insomma, lasciata nelle mani di petrolieri senza scrupoli supportati dallo Stato, dalla Regione e dalle istituzioni ambientali e sa-nitarie che, piuttosto che difenderne gli abitanti e le risorse, continuano a produrre documenti e analisi surreali e ad eclissare il lavoro di attivisti e studiosi impegnati da anni in una battaglia che li ha visti soccombere ma non certo dichiarare la resa.Tre anni fa, infatti, è nata la Rete appulo-lucana Salvalacqua che, con il supporto di attivisti e movimento No triv, ha coniugato egregiamente il lavoro di studio e ricerca con il porre le basi per una risposta anticapita-lista a quel sistema senza scrupoli che distrugge il territorio e la salute di chi ci vive per garantire profitti a multinazionali e squallidi padroni convinti di comprare silenzi e coprire danni con «trenta denari».Anni di pressioni si sono intensificati negli ultimi mesi, costringendo l’Eni (che con 490 pozzi perforati è il secondo operatore nella lunga storia di trivelle in Basilicata) ad ammettere, con clamoroso ritardo, uno sversamento di 400 tonnellate di greggio in Val d’Agri (quota che se-condo gli esperti è decisamente sottostimata) e a sconfessare istituzioni e media che fino a qualche giorno prima dell’ammissione negavano i continui sversamenti.Di fronte a questo scenario, in effetti, c’è poco da meravigliarsi per le parole del sottosegretario del Mise Gentile che parla di «incidenti che possono accadere e che non è escluso che possano accaderne altri in futuro» o, addirittura, del rifiuto dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia a mostrare i risultati della ricerca sugli impatti delle trivel-lazioni in Val d’Agri.Cosa volete che siano semplici incidenti di percorso dinanzi ai profitti delle potenti multinazionali che non si sono neanche prese la briga di spiegare come mai quel Memorandum fatto firmare nel 2011 da Stato e regione Basilicata sui vantaggi, in particolar modo occupazionali, che la presenza del petrolio avrebbe garantito ai lucani è stato solo carta straccia e ad oggi in Basilicata l’occupazione è crollata e l’unica cosa in salita sono le malattie oncologiche.La chiamata alla mobilitazione è certamente la strada giusta, dopo anni di vani tentativi di percorrere strade «istituzionali» che, come si è visto anche altrove, finiscono per essere fagocitate dal sistema, ma la chia-mata va allargata, non lasciata alla seppur apprezzabile buona volontà degli attivisti lucani e pugliesi, bensì è necessario uscire da una visione localistica e affrontare il capitale con forze ben più grandi e compatte, perché se è vero che uno degli striscioni presenti a Matera recitava «Voi i veleni, noi l’antidoto» è anche vero che vanno ben definiti quel voi e quel noi e soprattutto non va persa di vista la consistenza.Una volta individuata la collocazione, che non può non essere all’in-terno della lotta di classe, è necessario mutuare dalla lotta No tap del Salento quel «né qui né altrove» che rappresenta proprio l’essenza della sfida al capitale.

G7 di Taormina: i Potenti del mondo

tra repressione sociale e attacchi ai diritti

delle masse popolari.

Il veleno del capitale e l’antidoto delle lotte

di Michele Rizzi

N ell’ultimo fine settima-na di maggio si è tenuto a Taormina il G7 dei capi di

governo dei Paesi capitalisti più po-tenti ed influenti del mondo.In una settimana, la bellissima citta-dina siciliana è stata trasformata in una fortezza inespugnabile, una for-tezza pronta ad accogliere i capi del capitalismo mondiale. Infatti ogni vicolo era presidiato da militari ar-mati, tre per ogni stradina con cara-binieri, poliziotti e finanzieri assieme ai militari dell’esercito armati fino ai denti. Presenti sette check point con metal detector di ultima generazione agli ingressi della zona rossa, con la gente del posto obbligata ad esibire un pass e farsi perquisire ogni volta che accedeva alle proprie abitazioni. Un impressionante apparato di sicu-rezza diretto da una centrale opera-tiva presente nel palazzo dei Duchi di Santo Stefano che controllava le migliaia di telecamere piazzate in ogni dove per un controllo asfissian-te da cielo, da terra e da mare.Diecimila militari che si sono ag-giunti alle forze di sicurezza e di intelligence dei Paesi del G7 ospitati in Sicilia con un sistema di controllo a cerchi concentrici che aveva sotto controllo tutto quello che si muove-va dentro e fuori Taormina.Le immagini erano girate da tutti i mezzi aerei a disposizione, droni, aerei, elicotteri, telecamere a bor-do di mezzi agili come moto e auto per leggere in tempo reale le targhe e trasmettere in centrale la localiz-zazione dei “sospetti” e l’orario. Un gigantesco impianto di sicurezza per garantire giornate tranquille ai po-tenti del mondo.Costo di questo G7? 32,5 milioni di euro, una cifra che vale quasi il bilancio di un piccolo Stato che si uniscono ai costi sostenuti per il G7 finanziario di Bari e per gli altri ap-puntamenti di questi mesi dei G7 su altri temi, a Lucca, Bologna e Torino che innalzano la cifra a più di 100

milioni di euro di soldi pubblici.Questo è il «modello» Taormina, vantato dal capo della polizia Gabrielli, l’ex capo della Protezione civile promosso a capo delle forze di repressione.Del vertice c’è poco da dire, se non le finte scaramucce tra Trump e Merkel, il tentativo italiano con Gentiloni, teleguidato da Renzi, di ricavar-si un piccolo spazio di intervento tra le potenze capitaliste mondiali e la conferma del forte legame tra la Germania e la Francia, attraver-so l’abbraccio tra Merkel e Macron, nuovo volto del capitalismo transal-pino, da poco eletto Presidente della Francia.Rinsaldata l’union sacrè contro il ter-rorismo, con tutte le contraddizioni del caso, i potenti del mondo hanno rafforzato l’intento della lotta contro gli immigrati con un coordinamento ancor più razzista che limiti gli ac-cessi alla «fortezza» Europa, raffor-zato le legislazioni repressive contro le lotte sociali, rafforzato interventi antipopolari di attacco ai diritti dei lavoratori e dell’ambiente.La sostanza della 3 giorni si può ri-assumere nella conferma delle con-

traddizioni capitaliste tra i due bloc-chi dominanti, Ue diretta da Merkel e Macron e Usa diretta da Trump alleato di Giappone, Canada e Gran Bretagna, contraddizioni legate al dominio del mondo dal punto di vi-sta militare e soprattutto economico, ma in pieno accordo negli interventi contro i diritti dei lavoratori e contro l’ambiente.A pochi chilometri dal vertice, in una zona blindatissima, si è tenuto inve-ce il corteo contro il G7, non molto partecipato, con circa 4.000 presenti che hanno sfilato ai Giardini Naxos tra una foltissima presenza di forze dell’ordine e in una settimana in cui, come accaduto a Bari per il G7 finan-ziario, si è seminato terrore per la ventilata presenza dei black bloc che ogni volta appaiono come «barbari» scesi da Marte a creare violenza e devastazioni.Una manifestazione importante e necessaria che ha rappresentato la necessità di costruzione di vari per-corsi di lotta contro le politiche ca-pitaliste ed imperialiste di chi per il profitto del capitalismo in crisi, pro-segue negli attacchi durissimi contro i diritti delle masse popolari.

La Basilicata chiama alla mobilitazione contro un disastro annunciato

Estate 2017 7TEORIA e PRASSI: SPECIALE 100 ANNI DALL’OTTOBRE

Il ruolo dei bolscevichi nelle giornate di luglioUn passaggio decisivo verso la Rivoluzione d’ottobre

di Mauro Buccheri

P rima di immergerci nell’atmo-sfera incandescente del luglio sovietico è utile richiamare alla

memoria alcuni essenziali passaggi pre-cedenti. Il 23 febbraio 1917, secondo il calendario giuliano in vigore allora in Russia, si era innescata la sollevazione popolare che nel giro di qualche giorno aveva portato alla caduta dell’impero zarista e all’instaurazione di un governo provvisorio guidato dal principe L’vov, membro del partito cadetto, un aristo-cratico liberale sostenuto dalla borghe-sia. Questo governo aveva ottenuto il benestare del soviet di Pietrogrado, cioè del consiglio dei deputati degli operai e dei soldati, composto dai rappresentanti eletti nelle fabbriche e nell’esercito ed egemonizzato dai socialisti rivoluzionari e dai menscevichi.

Prima dell’estate. Il governo provvisorio e la continuazione della guerra imperialistica

Il governo provvisorio intendeva porta-re avanti l’impegno della Russia nella guerra mondiale in corso, a fianco dei Paesi dell’Intesa, sostenendo che una vittoria militare avrebbe rafforzato il re-gime borghese. Questa posizione, nota come difensismo rivoluzionario, sostenu-ta anche da menscevichi e socialrivolu-zionari, verrà frontalmente contrastata da Lenin nelle Tesi di aprile, documento nel quale la teoria in oggetto venne de-mistificata e ricondotta alle mire impe-rialistiche delle classi dirigenti russe. È proprio con le Tesi di aprile, infatti, che Lenin, nel ribadire la posizione bolscevi-ca del disfattismo rivoluzionario, riarma il partito - che prima del suo ritorno in Russia era orientato in direzione di un sostegno critico al governo borghese - ponendo come asse centrale della po-litica bolscevica il rifiuto categorico di supportare il governo provvisorio e la paziente e sistematica demistificazione delle sue illusorie promesse agli occhi delle masse oppresse.

Un’estate incandescente: dal giugno al luglio 1917

Nel giugno del 1917 a Pietrogrado si svolse il I Congresso panrusso dei soviet, cioè l’assemblea dei delegati provenienti da tutte le province della Russia, nella quale i bolscevichi costituivano ancora una netta minoranza (105 delegati su 822) rispetto a menscevichi e socialrivo-luzionari. Comprendere gli avvenimenti dell’estate del 1917 è dunque essenziale per capire come i bolscevichi riuscirono nel giro di qualche settimana a conqui-stare la maggioranza nei soviet e a rea-lizzare la Rivoluzione d’Ottobre. A inizio luglio Aleksandr Kerenskij, so-cialrivoluzionario, già ministro della Giustizia e poi nel mese di maggio in-sediatosi al ministero della Guerra, sfer-rò per il governo borghese un’offensiva militare contro gli austro-tedeschi che, complice lo sfinimento dei soldati, si tradusse in una pesante sconfitta e dun-que in un’ulteriore peggioramento della situazione del Paese. È in questo contesto che maturò la sol-levazione popolare dei primi di luglio a Pietrogrado. Come ricorda Trotsky nella Storia delle Rivoluzione russa, nel primo semestre del 1917 la guerra era costata

alla Russia 10 miliardi e 500 milioni di rubli. «I generi di prima necessità co-minciavano a mancare. I prezzi salivano via via che si accentuavano l’inflazione e il declino economico», le fabbriche chiudevano, il traffico ferroviario era duramente colpito, il combustibile scar-seggiava e, in generale, i rifornimenti, a partire dal grano, diventavano sempre più insufficienti aggravando il rischio di carestie. Sul piano politico, per quanto riguarda il regime di febbraio, «le parole e i fatti erano in un continuo conflitto, come lo spirito e la carne di un fedele cristiano». Il regime del dualismo dei poteri uscito dalla Rivoluzione di febbraio era «l’in-certezza organizzata». Non era questo che gli operai e le masse oppresse ave-vano sperato dalla rivoluzione. E infatti, nella seconda metà di giugno scioperi e mobilitazioni di massa avevano dimo-strato come il governo borghese avesse ormai perso la sua base di appoggio e il controllo della situazione.

L’insurrezione di luglioGli esiti tragici che l’offensiva militare di Kerenskij andava assumendo indeboli-rono ulteriormente il governo borghese, e quattro ministri del partito cadetto la-sciarono l’esecutivo. Settori dell’esercito di mobilitavano e si sentivano parole d’ordine del tipo: «rovesciare il gover-no provvisorio come è stato rovesciato lo zar». I bolscevichi si rendevano conto che non avrebbero potuto «moderare la capitale», Pietrogrado, che «aveva la sensazione di essere alla vigilia di qual-che esplosione». I reggimenti e le fab-briche erano pronti a scendere in piaz-za armati, venivano distribuiti fucili e mitragliatrici. Si materializzava insomma il primo episodio di esplicita ribellione, in armi, contro il governo borghese. Il 3 luglio la sollevazione aveva inizio con fiumi di operai, contadini, settori dell’esercito ammutinati che marciano per le vie del-la capitale: «una dopo l’altra le fabbriche uscivano nelle strade, si allineavano, e si costituivano distaccamenti di guardie rosse armate». «Ogni distaccamento aveva un cartello con la scritta: tutto il potere ai soviet». Trotsky scrive che la manifestazione del 3 luglio era certa-mente la più «impetuosa» degli ultimi mesi, e la «più omogenea per compo-sizione», dato che «dietro le bandiere rosse marciavano operai e soldati». «Per le strade correvano in tutte le direzioni macchine cariche di operai e soldati ar-mati», tutti con i fucili puntati. Fiumi di persone si riversarono davan-ti al palazzo Ksesinskaja e al Palazzo Tauride. Il primo era un edificio di proprietà di una ballerina vicina ai Romanov, che durante la sua assenza, nel corso della rivoluzione di febbraio, era stato occupato dai bolscevichi che ne avevano fatto la sede del Partito; il secondo, già sede della Duma, da feb-braio ospitava il governo provvisorio e il soviet di Pietrogrado. «Il movimento si sviluppa attorno a questi due centri an-tagonistici», nell’aria risuonano le parole d’ordine «tutto il potere ai soviet!», «ar-restare l’offensiva!», «nazionalizzazione della terra», «controllo della produzio-ne!», «abbasso la guerra!».I bolscevichi decisero di marciare a fian-co degli operai nel corso delle mobilita-zioni, pur ritenendo che occorreva rin-viare lo scontro decisivo. I dirigenti del Partito prevedevano infatti che si sareb-be andato incontro ad una sconfitta, e che il governo avrebbe strumentalizzato quanto accaduto per colpire i bolscevi-

chi. Tuttavia, la manifestazione diventò imponente e i bolscevichi non potavano restare in disparte e mandare gli insorti da soli incontro alla repressione gover-nativa. Come disse Kamenev interve-nendo in una riunione del soviet, «noi non abbiamo invitato a manifestare, ma le masse popolari stesse sono scese sulle piazze. E dal momento che le masse ma-nifestano, il nostro posto è tra di esse... il nostro compito ora è dare al movimento un carattere organizzato».

Repressione e riflusso della mobilitazione

Dopo due giorni di scontri per le strade della città, il governo riuscì a riprendere il controllo della situazione e a soffoca-re la rivolta. La mobilitazione andava rifluendo, rappresentanti degli operai venivano arrestati, si procedeva al se-questro di armamenti, i quartieri della città venivano presidiati e isolati l’uno dall’altro. La sede della Pravda fu deva-stata, mentre si intensificava una cam-pagna calunniosa contro i bolscevichi, indicati come responsabili dell’insur-rezione, e si arrestava chi manifestava simpatia verso di essi. Lenin e i principa-li dirigenti bolscevichi venivano dipinti pubblicamente come spie al soldo della Germania. In alcuni quartieri si scate-narono dei pogrom contro «l’ebreo e i l bolscevico», con caccia aperta agli ope-rai che venivano bastonati. Il 5 luglio la rivolta era definitivamente soffocata e il 6 mattina gli operai torna-rono al lavoro. Le truppe fedeli al go-verno avevano soffocato le giornate di luglio, alcuni leader bolscevichi furono arrestati o costretti all’esilio, come Lenin che riparò in Finlandia. Tuttavia, il go-verno provvisorio aveva ormai il tempo contato. Ad agosto i bolscevichi saranno decisivi nello sventare il colpo di Stato militare tentato dal generale Kornilov contro il governo Kerenskij, usciranno ulteriormente rafforzati dalla vicenda e finiranno col guadagnare la maggioran-za nei soviet di Pietrogrado e di Mosca. A quel punto, sarà tutto pronto per orga-nizzare l’insurrezione contro il governo borghese.

I bolscevichi avrebbero potuto prendere il potere a luglio?A febbraio i democratici piccolo-borghe-si, i menscevichi e i socialrivoluzionari avevano preso il potere, loro malgrado, dalle mani delle masse popolari: non lo avevano conquistato. A luglio i manife-stanti erano disposti ad abbattere il go-

verno borghese, anche attraverso l’uso delle armi, poiché «volevano rimettere il potere ai soviet. Era però indispensabile che i soviet acconsentissero a prender-lo». E infatti, nei soviet, in particolare nella capitale, la maggioranza era in mano ai conciliatori, i quali fecero ap-pello ai cosacchi e alle truppe fedeli al governo preferendo innescare una guer-ra civile contro le masse popolari. In pra-tica, operai e soldati si scontrarono con la resistenza armata «della stessa istitu-zione cui volevano rimettere il potere», motivo per cui «non ebbero più chiaro l’obiettivo».Si realizzò insomma, come spiega Trotsky, lo stesso paradosso che si era verificato nelle giornate del giugno del 1848 in Francia: «dalle due parti della barricata risuonava un solo grido: Viva la Repubblica!». Solo che «i borghesi volevano una repubblica per sé, gli ope-rai una repubblica per tutti». Allo stesso modo, nella Russia del luglio 1917, sia la borghesia che i proletari facevano ap-pello al Comitato esecutivo del soviet: l’una nella misura in cui quell’organismo ne tutelava gli interessi, gli altri nell’au-spicio che «sarebbe divenuto l’organo del potere degli operai e dei contadini [...] La posta della lotta era né più né meno questa: chi avrebbe governato il paese, la borghesia o il proletariato?». Eppure, in quelle caldissime giornate di luglio sembrava che tanto il comitato esecutivo del soviet quanto il governo provvisorio avessero perso il controllo della situazione. In quel contesto, ci si chiede, i bolscevichi avrebbero potuto prendere il potere? Trotsky dedica una sezione della sua Storia della Rivoluzione russa a questo problema, concludendo che a luglio «la direzione del partito ebbe assolutamente ragione di non impe-gnarsi sulla via dell’insurrezione arma-ta». Non basta infatti prendere il potere: bisogna poi riuscire a conservarlo, cosa che avrebbe necessitato della massima disponibilità alla lotta del proletariato. E «nel luglio, una simile disposizione a una lotta intrepida non esisteva ancora, neppure tra gli operai di Pietrogrado». Difatti, il proletariato della capitale «non aveva ancora reciso il cordone ombeli-cale che lo legava ai conciliatori». Come fra i proletari, anche fra i contadini la confusione era tanta. Quanto all’eser-cito, «restava politicamente amorfo», e nelle sue file c’erano ancora «troppo pochi nuclei bolscevichi consistenti, ca-paci di indirizzare in modo uniforme le idee e le azioni della massa gelatinosa dei soldati». Oltretutto, nelle province, lontano da Pietrogrado e Mosca, la ca-pacità delle avanguardie di mobilitarsi risultava limitata. Trotsky conclude che «da una risoluzio-ne per il potere ai soviet all’insurrezio-ne sotto le bandiere del bolscevismo, la

strada da percorrere era ancora molta […] Il grado di coscienza delle masse popolari, fattore determinante nella politica rivoluzionaria, escludeva così la possibilità che i bolscevichi prendessero il potere in luglio». Nel frattempo, dice Trotsky, sarebbe stato necessario dar tempo all’offensiva militare promossa dal governo Kerensij di esaurirsi: i bolscevichi prevedevano infatti che il disastro delle avventure mi-litari del governo borghese lo avrebbe ulteriormente indebolito agli occhi del-le masse. Viceversa, il governo «avreb-be potuto far ricadere sui bolscevichi le responsabilità delle conseguenze delle sue follie». Le previsioni dei bolscevichi risultarono corrette e, come volevasi di-mostrare, il governo borghese, con rela-tivi reggicoda e stampa al suo servizio, stabilì opportunisticamente delle rela-zioni fra il fallimento catastrofico della sua offensiva militare e l’insurrezione di luglio a Pietrogrado. Un approccio igno-bile usato dagli elementi più patriottici come dalla «sinistra» menscevica, tutti uniti nell’attaccare i bolscevichi.

Non ci può essere vittoria senza il partito rivoluzionario

Se il 3 e 4 luglio si fosse riusciti a trat-tenere l’insurrezione, la stessa sareb-be inevitabilmente scoppiata qualche giorno dopo, in seguito alla definitiva disfatta bellica, il movimento insurre-zionale avrebbe avuto maggior vigore, anche nelle province, e sarebbe stato ben più difficile scaricare delle respon-sabilità sui bolscevichi. Nonostante sia convinto di questo, Trotsky ritiene tuttavia che il partito bolscevico abbia fatto bene a marciare a fianco degli insorti nelle giornate di luglio. Difatti, scrive che «le masse intervengono ne-gli avvenimenti non per istruzione dei dottrinari, bensì quando vi sono stimo-late dallo sviluppo della loro matura-zione politica […] Gli operai e i soldati di Pietrogrado potevano verificare la situazione solo sulla base della loro esperienza diretta. La manifestazione armata fu appunto questa verifica. [...] In una situazione simile, il partito non poteva restare in disparte. Lavarsene le mani nel catino di un comandamento strategico significava solo abbandona-re gli operai e i soldati ai loro nemici. Il partito delle masse doveva porsi sul-lo stesso terreno su cui erano poste le masse stessa, per aiutarle a trarre le indispensabili conclusioni con le mino-ri perdite possibili, senza condivider-ne affatto le illusioni». Per evitare che l’insurrezione potesse condurre a un bagno di sangue analogo al massacro proletario del giugno 1848 francese o della Comune parigina del 1870.Ponendosi alla testa della masse il par-tito bolscevico era riuscito ad arrestarle «nel momento in cui la manifestazione cominciava a trasformarsi in una prova di forza armata». Grazie a questo in-tervento, la sconfitta degli insorti fu un duro colpo, «ma non un colpo decisivo. Le vittime si contarono a decine, ma non a migliaia. La classe operaia non uscì dalla prova decapitata o esangue. Mantenne integralmente i suoi quadri combattenti e questi quadri avevano im-parato molte cose». Così facendo, il par-tito bolscevico preservò il proletariato dal tracollo garantendo il successo della rivoluzione che da lì a breve si sarebbe realizzata. A ennesima riprova della necessità del partito rivoluzionario per condurre alla vittoria la classe operaia e le masse oppresse.

Estate 2017 8 INTERNAZIONALE

Qual è la politica corretta per la situazione attuale del Brasile?

di Alejandro Iturbe 

L a situazione politica in Brasile conosce un’accelerazione. Mentre scriviamo questo ar-

ticolo, 100.000 persone marciano a Brasilia esigendo la caduta del pre-sidente Michel Temer e delle contro-riforme del lavoro e della previden-za che il governo ha presentato al parlamento. Dopo il patteggiamento dei fratelli Batista (padroni della me-ga-impresa frigorifera Jbs) circa le tangenti versate ai principali politici del Paese (tra i quali lo stesso presi-dente), il governo Temer è in agonia. Frammentata e divisa (col suo regime politico in putrefazione e i suoi partiti messi a nudo), la borghesia brasilia-na cerca di trovare possibili alterna-tive per uscire da questo pantano ed evitare che un’entrata in scena dei lavoratori e delle masse acutizzino ancora di più questa crisi. Nel parla-mento i deputati si prendono a pu-gni, mentre fuori i lavoratori cercano di avanzare verso gli edifici del pote-re e si scontrano con la repressione. In questo contesto, la sinistra brasiliana (all’interno della quale non includiamo il Pt) si trova in un momento di unità d’azione per fermare le riforme e scon-figgere Temer. Le stesse burocrazie del-le principali centrali sindacali (come la Cut petista e Forza sindacale, più di destra) sono intrappolate tra la propria vocazione capitolazionista, da un lato, e gli attacchi della borghesia e del go-verno, e la pressione delle proprie basi, dall’altro. Per questo, non riescono ad arginare le azioni di lotta. Entrambi i fatti sono positivi perché potenziano le azioni dei lavoratori e delle masse, come le grandi mobilitazioni del 15 marzo, il riuscito sciopero generale del 28 aprile e, ora, la marcia di Brasilia. Per questo, è necessario mantenere fino in fondo questa unità d’azione fino al conseguimento degli obietti-vi comuni che ne stanno alla radice. Allo stesso tempo, la situazione stessa esige di sviluppare gli imprescindibi-li dibattiti interni alla sinistra su due aspetti legati tra loro ma differenti. Il primo è il bilancio di analisi, caratte-rizzazioni e politiche che ciascuna cor-

rente ha sviluppato durante tutto il pe-riodo precedente. Il secondo (adesso in gran parte il principale) è quale politi-ca deve essere proposta ai lavoratori e alle masse per avanzare nella loro lotta. Questo dibattito si svolge non solo all’interno della sinistra brasiliana, ma in tutta l’America latina, in spe-cial modo in Argentina. Ci riferiamo alle principali polemiche che abbiamo avuto e abbiamo con le due principali organizzazioni trotskiste argentine (il Partito obrero – Po e il Partito dei la-voratori socialisti – Pts) che hanno de-dicato e dedicano grande attenzione al Brasile nelle loro pubblicazioni.

Un pronostico sbagliatoRispetto al bilancio, non vogliamo an-noiare i nostri lettori con una monta-gna di citazioni, cosicché faremo rife-rimento soltanto ai principali concetti che sono stati presenti nel dibattito. In questi anni, tanto il Po quanto il Pts (analogamente alla maggioranza della sinistra latinoamericana) hanno asserito che in America latina esisteva una «ondata reazionaria». Ovvero, che la borghesia e le sue espressioni poli-tiche (specialmente quelle di destra) erano all’attacco e i lavoratori e le mas-se sulla difensiva. Questa definizione si basava essenzialmente sui risultati delle elezioni: l’elezione di Maurizio Macri come presidente dell’Argentina, la dura sconfitta del governo vene-zuelano di Nicolas Maduro alle ele-zioni parlamentari, la sconfitta di Evo Morales nel plebiscito per autorizzare una nuova rielezione ecc. Si ritene-va che erano nati governi borghesi di destra più forti, con molta più capa-cità di colpire duramente i lavoratori attraverso licenziamenti, sospensioni, abbassamenti salariali, peggioramento delle condizioni lavorative, indeboli-mento del sistema pensionistico, ecc. Sebbene contenesse parziali elementi di verità, questa analisi era complessi-vamente sbagliata e portava, come ve-dremo, a politiche altrettanto sbagliate. In primo luogo, partiva dal conside-rare come principale elemento della realtà i risultati elettorali. Vale a dire,

fenomeni sovrastrutturali. E attraverso essi semplificava i complessi processi della coscienza dei lavoratori e delle masse che il sistema elettorale borghe-se deforma e distorce. L’aspetto centra-le di tale analisi, senza dubbio, era il trascurare che i lavoratori e le masse non erano state sconfitte sul terreno della lotta di classe e, al contrario, si mostravano disponibili a lottare e lot-tavano, scontrandosi con gli attacchi. Allo stesso tempo, è certo che i nuovi governi di destra nascevano per por-tare avanti gli attacchi alle masse. Ma dare a intendere che tali attacchi era-no conseguenza solo del sorgere di questi governi significava «abbellire» i governi borghesi di fronte popolare o populisti in crisi, che già li avevano realizzati in precedenza (come quel-lo di Cristina Kirchner in Argentina o di Dilma Rousseff in Brasile). Alzando lo sguardo al mondo, c’era l’esem-pio di Syriza in Grecia. C’erano sì duri attacchi, ma questi erano por-tati avanti da tutti i governi borghe-si, di qualunque «colore» fossero. Da parte nostra, sostenevamo che la dinamica di una situazione politica nazionale si definisce sul terreno del-la lotta di classe e osservavamo che le masse stavano resistendo e lottando. Chiaro che si poneva la possibilità di una sconfitta delle masse. Ma, sulla base di un’analisi profonda della realtà, non avevamo motivo di essere pessimi-sti, cosicché scommettevamo sulla loro lotta. Sarebbe stato sulla base del risul-tato di queste lotte che si sarebbe defi-nita la dinamica, e non su quello del-le elezioni. Basta vedere la situazione dell’Argentina, con grandi lotte e mo-bilitazioni di massa e un governo che difficilmente può definirsi «rafforzato», per verificare l’una e l’altra analisi.

Si approfondiscono gli erroriLa caratterizzazione di queste organiz-zazioni riguardo l’«ondata reaziona-ria» aveva in Brasile un riflesso specia-le: non si esprimeva essenzialmente nelle elezioni bensì nelle mobilitazioni «verde-oro» che chiedevano l’impea-chment di Dilma. La conclusione era

ancora una volta pessimista: si diceva che la classe media reazionaria era per strada e guadagnava un settore dei la-voratori, mentre la maggioranza della classe rimaneva passiva di fronte al «golpe» che si preparava nelle strade. La destituzione di Dilma e l’insedia-mento di Michel Temer alla fine si con-cretizzarono. Siccome queste correnti non potevano parlare di golpe militare classico, utilizzarono una nuova cate-goria: il golpe «istituzionale» (forma diversa ma dal contenuto simile al precedente). La logica conclusione era che il regime di dominazione della borghesia si era rafforzato. In realtà, non inventavano nulla: si limitavano a fare proprio il discorso di Dilma, Lula e il Pt, che lo avevano escogitato per nascondere il proprio fallimento e per spiegare perché le masse non muo-vessero un dito per difendere il loro governo, per potersi tingere un po’ di «colore rosso».In numerosi articoli della Lit e del Pstu brasiliano, ci siamo confrontati con questa visione sbagliata. Abbiamo segnalato che non poteva definir-si «golpe» un’azione parlamentare che si inquadrava all’interno della Costituzione e che non modificava il regime democratico borghese vigente. Quello che accadeva in Brasile – dice-vamo – non era un «golpe» ma qual-cosa di totalmente diverso: la lotta tra due blocchi borghesi (il blocco di governo del Pt e quello dell’opposi-zione borghese di destra). Una lotta per decidere chi dovesse governare in questo momento di crisi e appli-care con maggiore efficacia l’aggiu-stamento fiscale dei banchieri e della borghesia. Una lotta che si definiva all’interno dello stesso regime. In re-lazione a ciò, ritenevamo che, lungi dal rafforzarsi, con l’impeachment di Dilma e l’insediamento di Temer questo regime si indeboliva ancora di più, e che il nuovo governo fosse debole come e più di quello Dilma. Questa definizione di «golpe istituzio-nale» non solo mascherava la realtà ma aveva anche conseguenze politi-che molto profonde. In primo luogo, prima dell’impeachment, rappresentò un «ponte» per capitolare al Pt e al

suo governo in agonia, perché l’asse era «difendere la democrazia contro il golpe». Pertanto, veniva considerato un grave errore chiamare i lavoratori e le masse ad abbattere con la pro-pria lotta il governo Dilma, assieme al Parlamento corrotto e a tutta l’op-posizione borghese di destra, come proponevano la Lit-CI e il Pstu. Una politica per la quale fummo quali-ficati come «funzionali alla destra». Dopo l’impeachment e l’insediamen-to di Michel Temer, questo dibattito precedente ha perso peso ed è inizia-to un periodo di unità d’azione nella lotta per abbatterlo. Però il tema della definizione di «governo golpista» ha continuato (e continua) ad esserne conseguenza. Mentre il Pstu e la Lit completano questa proposta con il «Via tutti» (intendendo esprimere con questa parola d’ordine la lotta contro l’insieme del regime, i suoi partiti e i suoi politici corrotti), queste correnti continuano a limitarsi al Via Temer (ancora oggi!). Continuano ad agire in sintonia con la politica del Pt. A pa-role si collocano alla sua sinistra, ma nei fatti continuano a capitolare al Pt. È necessario fare una precisazione. Sebbene coincidano nell’essenzia-le della loro politica, la forma con la quale la portano avanti è differente. Il Po è un partito essenzialmente na-zional-trotskista, la cui corrente ha una presenza scarsa o inesistente in Brasile. Si limita, in molti casi, a lun-ghi articoli di Jorge Altamira (il suo principale dirigente) finalizzati a dare «consigli».Il Pts prova a costruire un’organizza-zione internazionale (la Frazione trot-skista – Ft ) che in Brasile si esprime attraverso il Movimento rivoluziona-rio dei lavoratori – Mrt. Per questo, va più a fondo nell’applicazione delle sue posizioni. Ad esempio, l’anno scorso divisero la manifestazione del Fit in Argentina, il 1° maggio, per fare la loro propria manifestazione «contro il golpe in Brasile». Durante il processo di impeachment di Dilma, nel mo-mento in cui il blocco di deputati del Psol diveniva la «base parlamentare» del governo Dilma e del Pt (senza una sola critica a questo governo), l’Mrt

Estate 2017 9INTERNAZIONALEportava avanti il tentativo di entrare nel Psol. Ancora una volta, la politica alla stregua di un treno: il Psol capitola al Pt, l’Mrt cerca di entrare nel Psol…

Altro aspetto della discussione: la Csp-Conlutas e lo sciopero generale

Con la corrente internazionale del Pts si è avuta anche un’altra discussione. Anni fa, in Brasile, cambiò il suo nome da Ler in Mrt e definì la linea politica di tentare l’ingresso nel Psol (un par-tito-fronte, riformista ed elettoralista). Aldilà del fatto che questo ingresso non si è concretizzato per il rifiuto della di-rezione del Psol, è molto interessante analizzare gli argomenti che erano a fondamento di questo orientamento. In quel momento sostenevano: «Il Psol è un partito che, aldilà di tutto, alle ultime elezioni, con la candidatura di Luciana Genro e diversi deputati, si è mostrato come un’alternativa a sini-stra del Pt per un importante audito-rio di massa. Luciana ha guadagnato 1,6 milioni di voti come importante espressione della lotta ai settori più conservatori della politica brasiliana». Per questo, la proposta del Mrt era di «lottare con le nostre idee rivoluziona-rie dentro il Psol per costruire una forte alternativa dei lavoratori» (“Manifesto do Movimento Revolucionário de Trabalhadores, em campanha pelo #MrtnoPSOL”, traduzione nostra). E aggiungevano: al contrario, «il Pstu, nonostante porti avanti punti corretti di programma, sta rinunciando a pre-sentarsi come una vera alternativa, sempre più ristretto ad un sindacalismo che agita nella propaganda lo “sciope-ro generale”, ma non dà una risposta alla crisi del Pt né alla lotta di classe». In un altro documento, l’Mrt considera che, per la differenza di voti ottenuta dai due partiti alle elezioni del 2015, «quello che dobbiamo avere chiaro è che la tendenza è l’emersione politica del Psol di fronte alla crisi del Pt e che il Pstu si consolida come una grande setta sindacalista che sparisce dal ter-reno politico», nonostante il riconosci-mento che «nella Csp-Conlutas stanno i sindacati antigovernativi del Paese». Vale a dire, per l’Mrt-Pts, l’importante al fine di avere peso politico ed «esse-re alternativa» è ottenere molti voti e deputati. Al contrario, se si ha peso di direzione nella centrale nella quale si raggruppano i sindacati più combattivi (cioè, peso strutturale e organizzativo nella classe lavoratrice) ma si guada-gnano pochi voti, un partito si conver-te in una «grande setta sindacalista», senza futuro politico. Così, questa corrente cade in una piccola dimenti-canza: il concetto di Lenin per il quale i risultati elettorali sono molto impor-tanti ma «cento volte di più» lo sono

gli scioperi e le lotte dei lavoratori. È cosa buona, poi, sottoporre le propo-ste di ciascuna organizzazione alla pro-va della realtà. Lungi dal trasformarsi in «una grande setta sindacalista» il Pstu (essenzialmente attraverso la sua azione nella Csp-Conlutas) è stato uno dei protagonisti (minoritario, ma pro-tagonista vero) dei recenti fatti della lotta di classe, come le mobilitazioni di marzo, lo sciopero generale di aprile e la marcia di Brasilia. Gran parte di que-sto protagonismo lo si è dovuto all’agi-tazione instancabile della necessità di uno sciopero generale come metodo di lotta dei lavoratori e come necessi-tà della realtà, contro la maggioranza della sinistra che ci qualificava come «pazzi» (o come «propagandisti», vedi l’Mrt-Pts). Nel frattempo, l’Mrt-Pts è diventato un «satellite» del Psol che, a sua volta, agisce come un satellite del Pt, attraverso il Frente povo sem medo [Fronte del popolo senza paura; ndt]. Il Po è ancora più triste: si limita a dare «consigli» che, tra l’altro, sono sbagliati. Oggi il Pts e il Po hanno abbandonato la definizione di «ondata reazionaria» in Brasile e si pongono dal lato del più ampio appoggio allo sciopero genera-le. Noi ci rallegriamo di questo. Però un po’ di onestà politica (tipo dire: «ci siamo sbagliati») non sarebbe male.

Sulla situazione attualeIl Po ha abbandonato anche la paro-la «golpe», mentre il Pts la mantiene (parla di sconfiggere il «governo gol-pista»). Aldilà di questa definizione letteraria, entrambi i partiti tornano a coincidere nella proposta che fanno ai lavoratori e alle masse brasiliane come via d’uscita dalla crisi, dopo che sia stato battuto il governo Temer: lottare per un’Assemblea costituente. Da un lato, la dirigente dell’Mrt Diana Asunção, in un articolo del 18/05 scor-so, riprodotto sulla pagina Izquierda diario del Pts argentino, dopo aver analizzato una situazione di profonda crisi del regime borghese e di appro-fondimento delle mobilitazioni, scrive: «Abbiamo bisogno di un forte sciopero generale per far cadere Temer e impor-re un’Assemblea Costituente libera e sovrana, che metta profondamente in discussione le basi di questo putrido re-gime politico e cambi le regole del gio-co, non solo i giocatori. L’unico modo di porre le grandi questioni strutturali del Paese in mano ai lavoratori e alla popo-lazione è imporre con i metodi della lot-ta questa nuova Costituente, nella qua-le poter eleggere nostri rappresentanti e annullare tutte le riforme di Temer, Lula e Fernando Henrique Cardoso, lottare per la fine del pagamento del debito pubblico, la statalizzazione sot-to l’amministrazione democratica dei lavoratori di tutte le grandi imprese statali del Paese, la riforma agraria ra-dicale e che i giudici e i politici siano eletti e revocabili, ricevendo lo stesso

salario di un lavoratore. Partecipiamo alle mobilitazioni per il “Via Temer” con questa prospettiva. Crediamo che sia un processo che possa servire af-finché i lavoratori e i giovani possano fare un’esperienza profonda della de-mocrazia degli imprenditori e dei ban-chieri, e anche di ciò che propongono i rivoluzionari: un governo dei lavora-tori, di rottura con il capitalismo, una democrazia diretta basata su organismi di auto-organizzazione dei lavoratori, unica forma politica capace di porre i lavoratori come soggetti che pensano a tutto il funzionamento del Paese…». Dall’altro lato, il Po (nell’articolo del già citato Jorge Altamira, del 20/05), con im-postazione simile nell’analisi, propone: «La questione del momento, in Brasile, è guadagnare le strade permanente-mente e dare impulso ad un nuovo scio-pero generale. In queste condizioni, la convocazione di una Costituente libera e sovrana si convertirebbe in un canale superiore di mobilitazione politica del-le masse, e potrebbe porre la questione del potere: il governo dei lavoratori. In Brasile, come in tutta l’America latina, la soluzione della questione della dire-zione della classe operaia è la chiave per trasformare le crisi ripetute in crisi di potere e rivoluzionarie, e nella pos-sibilità di un governo dei lavoratori». I ragionamenti sono diversi. Nel caso dell’Mrt-Pts, una necessità reale (che i lavoratori e i giovani possano fare un’e-sperienza profonda della democrazia degli imprenditori e dei banchieri) si trasforma nell’argomento per vendere di contrabbando una specie rara: una Assemblea Costituente che sarebbe, allo stesso tempo, un organismo della democrazia borghese e un soviet ca-muffato che si assumerebbe i compiti propri di un organismo di potere ope-raio e sarebbe inoltre una specie di «transizione» fino al potere. Nel caso del Po, l’argomento è che questa pro-posta sarebbe una leva per uno stadio superiore di mobilitazione politica del-le masse e solo allora si potrà porre la questione del potere e la possibili-tà di un governo dei lavoratori. Però entrambi si sbagliano e, attraverso percorsi differenti, conducono ad una prospettiva politica pericolosissima: la lotta per un’Assemblea costituente come asse del programma che i rivolu-zionari devono presentare alle masse. L’appello a lottare per un’Assemblea costituente (organismo della democra-zia borghese) può essere molto utile in due momenti: quando si lotta per abbattere una dittatura o un regime bonapartista repressivo, e nel periodo immediatamente successivo, quando questo vecchio regime è stato abbattu-to e le masse hanno profonde illusio-ni nella democrazia borghese e nelle sue istituzioni, e chiedono una nuova Costituzione che rimpiazzi quella pre-cedente. Però, anche in questi momen-ti, in cui può essere uno strumento molto utile, mai può essere l’asse di un programma rivoluzionario.

Brasilia, 24 maggio. Resistenza contro la repressioneMa questa situazione che abbiamo considerato non ha nulla a che vede-re con la realtà attuale del Brasile. La dittatura è caduta da tre decadi, la sua Costituzione fu cambiata nel 1988, e i lavoratori e le masse stanno rompen-do velocemente con il regime demo-cratico borghese, le cui istituzioni, i cui partiti e dirigenti sono sempre più screditati e vivono una crisi fortissima. Tutto questo nel contesto di un’ascesa crescente delle lotte che si radicalizza. In questa situazione, i principali compiti dei rivoluzionari sono aiu-tare lo sviluppo della lotta e, in que-sto contesto, come asse della loro attività, dare impulso alla nascita di organismi di auto-organizzazio-ne e doppio potere operaio. Non si tratta di un compito per il futuro ma per il presente. E la possibilità di abbattere Temer con la lotta rende ancora più acuta questa necessità. Certamente nella realtà esiste un’acu-ta contraddizione: Temer può cadere per la lotta e questi organismi anco-ra non esistono. Si tratta, dunque, di piantare i loro semi e di realizzare con-cretamente quali organismi saranno i dirigenti e gli organizzatori della lotta per avanzare una proposta di potere operaio che sia legata alla realtà e sia comprensibile alle masse. È necessa-riamente nel processo vivo della lotta che questi organismi possono sorgere. Nel frattempo, come diceva Lenin, bi-sogna «spiegare pazientemente» la so-luzione di fondo (la presa del potere da parte dei lavoratori e delle masse). La parola d’ordine dell’Assemblea costituente, al contrario, mette nuo-vamente questo processo di lotta nel «recinto» e nella trappola della demo-crazia borghese (il voto universale). In pratica, sconfiggiamo con la lotta il go-verno Temer ed il Parlamento corrotto e, allo stesso tempo, diciamo ai lavo-ratori che non devono prendere il po-tere con propri organismi (pur avendo il diritto di farlo) ma che si tratta piut-tosto di convocare un’Assemblea co-stituente per… votare un organismo borghese. Vale a dire, far tornare in-dietro ciò che i lavoratori hanno fatto avanzare con la loro lotta. Per questo, la proposta di Assemblea costituente come asse di un programma rivolu-zionario in questo contesto finisce per essere una trappola mortale per la lot-ta e una nuova capitolazione di que-ste correnti alla democrazia borghese. E questa critica è valida tanto per il Pts (che pretende di prendersi gioco della vita e del processo reale dell’esperien-za e della radicalizzazione delle mas-se, per mezzo dell’artificio di voler ca-muffare un organismo sovietico dentro uno borghese) quanto per il Po, che ci dice che ancora non possiamo chiama-re i lavoratori a lottare per il potere.

Perché il Po e il Pts-Mrt (due orga-nizzazioni che si rivendicano trotski-ste e rivoluzionarie) cadono anco-ra una volta in queste capitolazioni alla democrazia borghese? Per noi sono entrambi affetti da una «ma-lattia» che ha un nome chiaro: op-portunismo elettoralista. Un male che già ha «trasformato» gran parte della sinistra argentina, brasiliana e mondiale e che, per quanto visto, non lascia immuni coloro che si con-siderano dei «super rivoluzionari». È l’azione corrosiva della politica dell’imperialismo e della borghesia, che abbiamo denominato «reazio-ne democratica». Da un lato, è volta ad evitare o sviare le lotte e le rivo-luzioni, portandole sul binario morto della democrazia elettorale e parla-mentare borghese. Dall’altro, corro-de e corrompe organizzazioni rivolu-zionarie che credono di poter «farsi beffa della storia» ricorrendo ad una strada che sembra più facile (voti e deputati), ma che li porta a trasfor-marsi in un’altra cosa e a perdere il proprio carattere rivoluzionario. Ora sembra che la vita passi attraverso le elezioni e il parlamento, e tutto si orienta in funzione di esso, anche se si continua a fare appello «alla lotta». Proprio per questo, l’asse del loro pro-gramma per la fase attuale in Brasile è l’Assemblea costituente (in ultima istanza, un parlamento borghese). Per questo motivo l’Mrt vuole entrare nel Psol (perché ha voti e deputati). E ciò si manifesta in Argentina, dove il suo baricentro è l’attività elettorale e parlamentare del Fit, e in Brasile, dove vorrebbero raggiungere questo stesso livello di successo elettorale. Per evitare false discussioni: non nu-triamo alcun «cretinismo» antieletto-rale o antiparlamentare. Proprio come sostenevano Lenin, Trotsky e la III Internazionale, siamo a favore della partecipazione alle elezioni con nostri candidati per diffondere e popolariz-zare il programma rivoluzionario tra le masse. Nel quadro di questa attivi-tà, vogliamo ottenere il maggior nu-mero di voti per questo programma e, se è possibile, eleggere deputati o par-lamentari affinché siano tribuni della classe operaia in un’istituzione nemica e aiutino a eroderla e distruggerla. Ciò verso cui siamo totalmente contrari è trasformare questa nell’attività centra-le e nell’asse di un partito rivoluzio-nario (cioè, in qualcosa di più di «un punto d’appoggio secondario», come secondo l’espressione di Lenin). O di misurare gli avanzamenti e il peso di un partito solo (o essenzialmente) per i voti che ottiene e non per la sua co-struzione strutturale ed il suo peso nel-le organizzazioni della classe operaia. Per noi, il centro della nostra attività passa per le crescenti lotte operaie e popolari che si svolgono in entrambi i Paesi, ed è da lì che vogliamo costrui-re la vera via d’uscita per i lavoratori e le masse oppresse.

Sezioni della Lega Internazionale dei Lavoratori – Quarta Internazionale www.litci.org

Argentina Partido Socialista de los Trabajadores Unificado – PSTU www.pstu.com.arBelgio Ligue Communiste des Travailleurs - LCT www.lct-cwb.beBolivia Grupo Lucha Socialista www.fb.me/luchasocialistaboliviaBrasile Partido Socialista dos Trabajadores Unificado - PSTU www.pstu.org.brCile Izquierda Comunista - IC www.izquierdacomunista.clColombia Partido Socialista de los Trabajadores - PST www.pstcolombia.orgCosta Rica Partido de los Trabajadores - PT www.ptcostarica.orgEcuador Movimento al Socialismo - MAS www.fb.me/mas.ecuador.7El Salvador Unidad Socialista de los Trabajadores - UST bit.ly/ustelsalvadorHonduras Partido Socialista de los Trabajadores - PST www.psthonduras.orgInghilterra International Socialist League - ISL internationalsdocialistleague.org.ukItalia Partito di Alternativa Comunista - PdAC www.alternativacomunista.org

Messico Grupo Socialista Obreo - GSOPanama Liga de Trabajadores Hacia el Socialismo - LTSParaguay Partido de los Trabajadores - PT bit.ly/ptparaguayPerù Nuevo Partido Socialista de los Trabajadores - Nuevo PST www.pst.pePortogallo Em Luta www.emluta.netRussia Partito Operaio Internazionalista mjrp.blogspot.comSenegal Ligue Populaire Sénegalise - LPS bit.ly/liguepopulairesenegalaiseSpagna Corriente Roja www.correnteroja.netStati Uniti Workers Voice - Voz de los Trabajadores www.lavozlit.comTurchia RED www.red.web.trUruguay Izquierda Socialista de los Trabajadores - IST www.ist.uyVenezuela Unidad Socialista de los Trabajadores - UST ust-ve.blogspot.com

Estate 2017 10 INTERNAZIONALE

Brasile, 24 maggio: note sulla repressione e la resistenzadi Zé Maria

L’occupazione di Brasilia il 24 maggio e i suoi precedentiL’occupazione di Brasilia, messa in atto il 24 maggio da decine di migliaia di manifestanti arrivati da tutto il Paese, è stata una manifestazione superba, un passo importante nelle lotte della no-stra classe.Voglio sottolineare qui la resistenza atti-va dei manifestanti di fronte alla bruta-lità della polizia. È questo l’argomento del presente articolo. E, a differenza di quello che può sembrare, non è la pri-ma volta che i lavoratori e le lavoratrici hanno affrontato la repressione per far valere il loro diritto di protestare.Riferendoci solamente alla storia re-cente delle lotte della nostra classe, cito vari esempi di scontri degli operai me-talmeccanici contro la repressione della polizia che cercava di soffocare la loro lotta, negli scioperi della fine degli anni ’70 e degli inizi degli anni ’80, e dopo. Si possono contare centinaia di momenti nei quali i lavoratori hanno detto «No» agli ordini della polizia, della magistra-tura e del governo, e li hanno combat-tuti. Fu così all’Abc, a San Paolo; a San José dos Campos, a Jundiaí, Campinas, San Carlos, nel 1979, per citare solo i luoghi dove iniziò quel processo di lotte che successivamente si estese per tutto il Paese.Ci furono conseguenze? Sì. Il compa-gno Santo Dias venne assassinato dal-la Pm durante un picchetto davanti ai cancelli di una fabbrica di San Paolo, nell’ottobre del 1979; il governo inter-venne contro i sindacati dell’Abc [cor-done metalmeccanico di San Paolo], nel 1979 e nel 1980; tutti i dirigen-te dello sciopero metalmeccanico di Santo André e San Bernardo vennero arrestati dalla dittatura nel 1980 (tra di loro c’erano il futuro presidente Lula e chi scrive); per non parlare delle centi-naia di migliaia di feriti in quegli scon-tri, delle decine di migliaia di lottatori anonimi che persero il loro lavoro ed ebbero la loro vita distrutta dalla perse-cuzione poliziesca e padronale.

Lottare è l’unico mezzo per ottenere cambiamenti nella vita dei lavoratori e delle lavoratrici

Nonostante tutte queste conseguenze, è necessario dire che la determinazio-ne di quegli operai e il loro esempio di lotta sono stati un elemento molto importante per tutto quello che è avve-nuto dopo: un ampio processo di mo-bilitazione di tutti i settori della classe lavoratrice brasiliana, in tutto il Paese, che fu decisivo per porre fine al regime militare nel 1984, che governava il no-stro Paese da più di 20 anni.Alla fine di quel decennio, nel 1989, tornammo a vivere momenti impor-tanti nei quali gli operai, per difendere le loro rivendicazioni e il loro diritto di lottare per queste, si scontrarono con le forze di polizia al servizio de-

gli impresari. In mezzo ad un ampio processo di occupazione di fabbriche nella regione di Belo Horizonte e Contagem [Minas Gerais], come con-seguenza dello sciopero generale del marzo 1989, gli operai della maggio-re fabbrica siderurgica della regione (Mannesmann, oggi Valourec) occu-parono l’impresa e, di fronte all’ordine giudiziario per lo sgombero, si arma-rono con tubi e barre di ferro, fecero retrocedere le truppe antisommossa della Pm, e la fabbrica venne sgombe-rata dieci giorni dopo, con un accordo che soddisfò le rivendicazioni degli operai.Nell’Abc, nello stesso 1989 ci fu la bat-taglia di Piraporinha, il 5 maggio, quan-do la Pm caricò i metalmeccanici ten-tando di impedire che proseguisse una marcia di più di 20.000 lavoratori. I po-liziotti furono respinti con pietre e pali dai metalmeccanici. L’anno precedente, nel 1988, per riuscire a sconfiggere lo sciopero degli operai metalmeccanici della Csn [Compagnia siderurgica na-zionale – Volta Redonda], il governo federale (il presidente era José Sarne) dovette ordinare l’invasione della fab-brica da parte dell’esercito. Tre operai vennero uccisi.Questi esempi sono solamente una piccola espressione di una realtà mol-to più generalizzata tra i lavoratori e le lavoratrici nel nostro Paese, in quel momento. Realtà che è, senza dubbio, uno degli elementi che aiutano a spie-gare la forza che ebbe alle elezioni del 1989 il candidato del Partido de los tra-bajadores, Lula, per la presidenza della repubblica.C’era paura? Sì. La perdita di Santo Dias e la morte dei tre operai a Volta Redonda sono solamente una piccola espressione di quello che può succede-re in scontri di questo tipo. Gli operai che si trincerarono nell’occupazione della Mannesman nel 1989 sapevano che uno scontro, se la polizia avesse invaso la fabbrica, poteva mettere fine alle loro vite. Avevano paura di questo, ma avevano ancora più paura di tor-nare alle loro case e vedere i loro figli senza poter dire loro che avevano fatto tutto quello che era possibile per dar loro un futuro e una vita migliore.Non voglio perdere tempo ribattendo alle accuse che il governo e i mass me-dia borghesi rivolgono alla manifesta-zione che abbiamo fatto recentemente a Brasilia. È la loro natura: sanno che la nostra lotta è per farla finita con i loro privilegi di classe in questa società, e tentano di squalificarci per indeboli-re la nostra lotta. Questa è la lotta di classe, e dobbiamo essere pronti ad affrontarla.

Lottare è un diritto: teppismo e vandalismo sono il taglio dei diritti e la corruzione

Ciò che voglio fare in questa nota è dia-logare con gli amici di lunga data, com-pagni e dirigenti del movimento sinda-cale che, di fronte agli eventi di Brasilia di questo 24 maggio, si sono uniti e hanno reiterato la denuncia dell’azione dei «vandali e teppisti» nel movimento

e, in un certo senso, incolpandoli per i danni. E cos’erano quegli operai e le loro lot-te delle quali abbiamo parlato poco fa, negli anni ’70 e ’80? Erano vandali? Teppisti? O stavano legittimamente resistendo alla mancanza di rispetto e alla brutalità con cui erano trattati?Per i governi dell’epoca, per i padroni e per i grandi mass media, che sono bor-ghesi, non c’erano dubbi: erano vandali e teppisti. E noi cosa pensiamo di loro? Io credo il contrario. Quegli operai sono stati nostri eroi in quel momen-to, aiutarono a tenere bene alto, sopra all’arroganza e alla violenza dei padro-ni e dei loro strumenti di repressione, la morale della nostra classe e la loro dignità.Ed erano nel giusto, il diritto alla ribel-lione contro la tirannia e l’oppressione è una conquista della civiltà fin dalle rivoluzioni contro l’assolutismo nel di-ciassettesimo secolo. Non tutte le leggi devono essere rispettate se queste le-dono i diritti fondamentali dell’essere umano. Non tutti gli ordini dell’autori-tà devono essere eseguiti se vanno con-tro la dignità ed i diritti fondamentali delle persone. Lo stesso vale per i manifestanti che hanno occupato Brasilia il 24 maggio. Ricapitoliamo: i lavoratori e le lavo-ratrici sono andati là per protestare di fronte al Congresso nazionale e al Palazzo del Planalto [sede del governo federale] contro le riforme della previ-denza e del lavoro, e contro le esterna-lizzazioni. Si tratta di un loro diritto, non solo legittimo ma anche legale, come scritto nella Costituzione federa-le. Ancora più legittimo considerando che la protesta era contro un Congresso e un governo che stanno sul libro paga della Jbs, della Odebrecht, dell’Oas ecc. [tutte imprese accusate di corruzione, riciclaggio di denaro e tangenti].Arrivando a Brasilia si sono ritrovati con un schieramento militare per impe-dire loro di avvicinarsi al Congresso e al Palazzo, ossia di esercitare il loro diritto legittimo e legale di protestare. Il presi-dente della repubblica e i parlamentari che vediamo tutti i giorni in televisione mentre attaccano i nostri diritti, ruba-no e compiono ogni tipo di meschinità, si sono arrogati il diritto di schierare le truppe antisommossa per impedire la nostra protesta contro tutto questo. Non c’era nessuna autorità con la quale si potesse discutere. Solo soldati armati per una guerra, che sparavano lacrimo-geni e proiettili di gomma contro chi si avvicinava al cordone che avevano montato per sbarrarci la strada.Una totale e completa mancanza di rispetto ai diritti più elementari della classe lavoratrice, e mancanza di ri-spetto alle stesse leggi dello Stato, del-le leggi che loro stessi hanno scritto! Dove sta scritto che non si può portare una bandiera con un tubo di Pvc come asta, ad una manifestazione? Dove sta scritto che i manifestanti non si posso-no avvicinare al Congresso nazionale o al Palazzo del Planalto per manife-stare? Rubare come fanno loro si può. Questo sì che è vandalismo, questo sì che è teppismo, e non la indignazione e la resistenza dei lavoratori contro que-sto stato di cose. Ciò che è avvenuto a Brasilia è conseguenza di questo ed è responsabilità di queste autorità.

La violenza è la brutalità della polizia. L’autodifesa è un dirittoQuello che è successo mi fa ricordare la frase di Bertolt Brecht nella quale egli parla del fatto che non si può criticare la violenza delle acque del fiume senza parlare della violenza degli argini che lo costringono. Quello che i manifestanti hanno fatto a Brasilia è stato reagire a una oppressione. Contro una mancanza di rispetto, illegittima, illegale e violenta, messa in atto contro di loro. La rivolta che si è vista nelle persone è frutto della indignazione che li aveva portati a quel-la protesta, per gli attacchi ai loro diritti e per i furti generalizzati che si vedono nel governo nel Congresso nazionale. Indignazione ancora maggiore per la mancanza di rispetto verso il loro diritto almeno a manifestare il loro disaccordo e la loro indignazione di fronte alle au-torità responsabili per tutto questo.Prima di incolpare un qualsiasi manife-stante per le devastazioni che possono accadere in situazioni come queste biso-gna vedere cos’hanno fatto le autorità. E quello che hanno fatto le autorità è stata una vera barbarie, non solo mancando di rispetto ai lavoratori, ma anche alle loro stesse leggi. C’è almeno un lavora-tore ferito da un proiettile che è ricove-rato in ospedale. Un giovane ha perso parte della mano a causa di un lacrimo-geno. I feriti si contano a decine.In una situazione come questa, non è compito dei dirigenti richiamare i manife-stanti alla calma e al rispetto dei limiti che le autorità e la loro polizia vogliono im-porci. Al contrario, dobbiamo stimolare la resistenza e la rivolta contro l’ingiustizia che si tentava di compiere là. Si tratta di qualcosa di molto semplice ma molto importante: i lavoratori hanno il diritto di difendersi dagli oltraggi delle autorità e dalla violenza della polizia.E questo non è solo un diritto. È una necessità, perché il capitalismo impone, per sua stessa natura, una degradazio-ne sempre maggiore delle condizioni di vita della classe lavoratrice. Per garanti-re questo, ogni volta di più, e con più violenza, usano la repressione poliziesca per contenere le richieste dei lavorato-ri e delle lavoratrici. Se la nostra classe non organizza la sua autodifesa, sarà sempre più impossibilitata a difendere le sue necessità e i suoi interessi di fron-te ai profitti e al lucro delle banche e del-le grandi imprese.Né io, né i manifestanti che erano a Brasilia siamo favorevoli a danneggia-re il patrimonio pubblico come se que-sto fosse qualcosa di buono. Non lo è. Al contrario, vogliamo che gli operai e le masse popolari povere assumano il governo del Paese, il controllo di tutto il patrimonio, e lo mettano al servizio del soddisfacimento delle necessità delle masse. Ciò che ha provocato la violenza e ha causato danni è stata l’arroganza, la mancanza di rispetto e la violenza con la quale le autorità hanno trattato i mani-festanti. Se il Congresso nazionale aves-se già fermato le riforme, come chiede la maggioranza delle masse popolari (non sono loro rappresentanti del popolo?), niente di tutto questo sarebbe successo. Non vogliono rispettare la volontà delle masse, né ammettere il nostro diritto a protestare contro di loro.

Un esempio da seguireIn realtà, allo stesso modo di quegli operai negli anni ’70 e ’80, i manife-stanti che erano a Brasilia e hanno affrontato la brutalità della polizia per difendere i loro diritti – non solo le mi-gliaia di lavoratori, lavoratrici e giovani della Csp-Conlutas, ma anche quelli di Fs, dell’Ugt, della Ncst, della Cut e del-la Ctb che hanno partecipato alla resi-stenza – si rallegrano.Hanno dato una straordinaria dimo-strazione della disposizione e della de-terminazione che è presente in tutta la nostra classe e in tutto il Paese, gridan-do a gran voce: Non passeranno! Non accettiamo che taglino i nostri diritti e che continuino a rubarci il nostro Paese e il futuro dei nostri figli! E non ci sarà violenza o abuso della polizia che ci svii da questo obiettivo. Questa è la ra-gione per cui, dall’altro lato, nelle fab-briche, nei cantieri edili e nei quartieri popolari l’appoggio alla manifestazio-ne del 24 maggio è stato così grande.

24 maggio: l’opposto della tattica dei Black bloc

Infine, apro una parentesi per sotto-lineare che l’autore di questa nota è sempre stato, e continua ad essere, apertamente contrario alle tattiche dei Black bloc. Certamente ci sono state alcune persone tra i manifestanti di Brasilia che hanno adottato queste tattiche. Ma sono stati irrilevanti negli eventi che sono successi, come avvie-ne sempre quando la classe operaia organizzata decide da sola di prendere il timone della sua lotta. La tattica dei Black bloc, di cercare lo scontro slega-to dall’azione della classe lavoratrice e senza accettare la sua direzione (e molto spesso infiltrati dalla polizia), si presta a provocazioni che nella mag-gior parte delle volte aiutano la repres-sione stessa.Quello che avvenuto a Brasilia è sta-ta una azione della classe lavoratrice che – per protestare contro gli attacchi che il governo e il Congresso naziona-le stanno portando ai suoi diritti – ha dovuto difendersi dalla violenza della polizia che ha tentato di impedirgli di esercitare il suo diritto a manife-stare previsto nella Costituzione fede-rale. Non ha niente a che vedere con le tattiche dei Black bloc. Dico questo perché una dichiarazione attribuita ad un importante dirigente del Pt ed ex-ministro del governo Lula, pubblicata sabato 27 maggio sul sito del quotidia-no O Estadão de São Paulo, ha equipa-rato i manifestanti di Brasilia ai Black bloc. Probabilmente, egli non era là. Certamente non sa di cosa parla.Ora lo sciopero generale di 48 oreOra, indipendentemente dalle opinioni che ognuno di noi può avere sul tema di questo articolo, dobbiamo rafforzare l’unità e rafforzare la lotta della nostra classe. È necessario convocare, urgen-temente, un nuovo sciopero generale, di 48 ore, per sotterrare in un colpo le riforme della previdenza sociale e del lavoro, le esternalizzazioni, e cac-ciare Temer, il suo governo e questo Congresso nazionale pieno di corrotti.

«Tutti a dire della rabbia

del fiume in piena e nessuno della

violenza degli argini che lo costringono»

(Bertolt Brecht).

Estate 2017 11INTERNAZIONALE

Macron, un banchiere all’Eliseo

di Salvo De Lorenzo

N el momento di maggior cri-si del progetto dell’Unione Europea, con il rischio concre-

to di rottura connesso con la Brexit da un lato e l’effetto dei processi migratori dall’altro, la borghesia francese estrae magicamente dal cilindro il suo coni-glio: si tratta del cattolico Emmanuel Macron, formatosi alla più prestigiosa scuola della classe dirigente francese, l’École nationale d’administration, poi banchiere presso la Rothschild & co. e infine, sino al novembre 2016, ministro dell’economia del governo Valls, nel quale si è fatto apprezzare, dalla bor-ghesia, per il decreto sulle liberalizza-zioni e per il suo contributo alla legge El Khomri (il Jobs act in salsa francese). La scalata verso la carica di presidente della repubblica viene abilmente con-dotta da Macron che, nel novembre del 2016, esce dal Ps francese e fonda il nuovo partito «En marche». Il comi-tato d’affari che finanzia la campagna elettorale di Macron è costituito da una serie di importanti fondazioni, che in-vestono nell’operazione di propaganda un’immensa quantità di denaro, quasi il doppio di quanto investito dal parti-to gollista per le presidenziali. Pur es-sendo stato il ministro dell’economia di uno dei più antioperai governi francesi, durante tutta la campagna elettorale Macron si propone come l’innovatore rispetto alle appannate forze politiche tradizionali. In netta contrapposizione con il progetto nazionalista di Le Pen, Macron cerca di incarnare, nell’immagi-nario collettivo, colui che vuole rilancia-re e modernizzare l’economia francese e l’Europa. Il sostegno degli organi di informazione è determinante: alle ele-zioni vengono maciullate dapprima le ambizioni dei partiti tradizionali, dai socialisti ai gollisti e, al secondo turno, quelle della rivale alla carica, la fascista Le Pen. Macron è incoronato presidente della Repubblica francese: è il tripudio del grande capitale europeo, come de-scritto da tutti i giornali della borghesia europea il giorno dopo le elezioni. Macron capitalizza sia il sostegno dei ceti medi francesi, impauriti per gli ef-fetti di perdita del potere di acquisto e dei conti correnti conseguenti a un tra-collo del progetto Ue e, contemporane-amente, l’effetto di polarizzazione «de-mocratica» anti Le Pen, la cui campagna xenofoba e fascista non attecchisce nei grandi centri francesi. Al chiaro richia-mo xenofobo di Le Pen («prima i fran-cesi»), Macron contrappone, seguendo la strategia della Merkel, un ambiguo e subdolo progetto di apparente aper-tura verso gli immigrati e i rifugiati, in assoluta continuità con le politiche doppiogiochiste del Pd in Italia. Difatti,

da un lato sostiene che l’ingresso di im-migrati può avere un effetto positivo sull’economia e, dall’altro, prospetta un inasprimento delle misure di asilo, con abbreviazione dei tempi di soggiorno e deportazione immediata dei soggetti in-desiderati, una sorta di decreto Minniti in salsa francese. È il classico trucchetto con cui il sistema capitalistico europeo ha gestito i traffici migratori in questi anni: consentire l’ingresso in Europa di un esercito di lavoratori di riserva, ricat-tabili sulla base della loro condizione di indesiderati, e utilizzarlo per abbassare il costo del lavoro. L’effetto positivo sui profitti delle imprese europee di questo enorme serbatoio di lavoratori immi-grati è documentato, su tutti i giornali borghesi, dal loro contributo al Pil delle economie degli Stati europei.La vittoria di Macron è una pessima no-tizia per la classe operaia e per i lavo-ratori francesi. Macron ha intenzione di ridurre drasticamente la spesa sociale, le pensioni e i sussidi di disoccupazione, abolire le 35 ore lavorative, innalzare l’età pensionabile, inasprire ulterior-mente la Loi travail e, infine, operare un’autentica mattanza nella pubblica amministrazione con il licenziamento di oltre 100.000 dipendenti. È il pro-gramma del grande capitale europeo che guida la Ue, per la salvaguardia degli interessi finanziari delle banche a danno dei lavoratori.

La sconfitta del Front national

Il secondo turno delle presidenziali è stato una passeggiata per Macron che, come avversario, si trovava a fronteg-giare Marine Le Pen, un personaggio le cui idee nazionaliste e xenofobe hanno agevolato l’endorsement «democratico» per Macron di gran parte dello schiera-mento politico uscito sconfitto al primo turno.Le Pen ha tentato, durante la campagna elettorale, di conquistare il voto della classe operaia e dei lavoratori, invocan-do la difesa dell’economia nazionale mediante il ripristino delle frontiere na-zionali e dei dazi doganali. La progressi-va deindustrializzazione e l’aumento co-stante della disoccupazione in Francia sono processi nei quali, in assenza di un partito rivoluzionario, i populismi xe-nofobi hanno spesso trovato un terreno fertile sul quale svilupparsi. Le Pen ha costantemente tentato di attrarre verso il suo programma i precari e i disoccu-pati francesi, alimentando una indegna guerra tra poveri. Ciò nonostante la sua propaganda non ha attecchito in modo sostanziale nella classe operaia. La par-te più cosciente della classe operaia ri-

corda infatti molto bene l’avversione di Marine per gli scioperi e le sue richieste di inasprimento delle misure contenute nella Loi travail. È uscita pesantemente ridimensionata dal voto al secondo tur-no delle presidenziali.

Melenchon, pericolo scampato

Al primo turno delle presidenziali il crollo del partito socialista e del suo candidato Hamon è stato in parte ca-pitalizzato da Jean Luc Mélenchon, leader di una formazione, La France insoumise (la Francia indomita), da lui stesso creata qualche mese prima, che ha ricevuto il sostegno del partito comunista francese e delle altre forze del fronte di sinistra, con cui lo stesso Mélenchon si era presentato alle euro-pee del 2009. Mélenchon, grande ora-tore e vecchio volpone, con una lunga trafila nel Ps, è riuscito ad abbindolare, con un programma sostanzialmente ri-formista e in parte nazionalista, buona parte dell’elettorato tradizionale del Ps e parte della classe operaia. Nonostante il sostegno dei socialdemocratici, degli stalinisti e dei campisti europei, la pro-posta programmatica di Mélenchon co-stituiva la caricatura di un programma comunista, una sorta di programma minimo tutto interno ai dettami di con-ciliazione tra capitale e lavoro. Peraltro alcuni slogan nazionalisti - «ridare la difesa in mano alla nazione» - e la bat-taglia non contro l’Europa del capitale

ma contro l’euro - come se il problema fosse la moneta e non chi controlla la moneta - ne identificavano anche il forte stampo sovranista. Se Tsipras, agitando opportunisticamente, in cam-pagna elettorale, un programma di concertazione con il capitale più radica-le di quello di Mélenchon, era stato poi costretto a massacrare i lavoratori greci proprio in nome della compatibilità con il capitale finanziario europeo, si può solo immaginare quali danni avrebbe potuto combinare Mélenchon una volta eletto presidente. Difatti, se le socialde-mocrazie, egemonizzando le dirigenze burocratiche del movimento operaio, possono spuntare qualche briciola in fase di capitalismo ascendente, esse non hanno alcuno spazio di agibilità nelle fasi di crisi capitalistica.

La sinistra trotskista e il problema dell’organizzazioneLutte ouvriere e Npa raccolgono nell’in-sieme un buon numero di voti (oltre 600.000). Philippe Poutou, combat-tivo operaio candidato del Npa, è in particolare l’artefice di una esuberante campagna elettorale durante la quale ha agitato il programma più progressi-vo presentato alle elezioni francesi (ri-duzione dell’orario di lavoro a 32 ore, salario minimo a 1.700 euro, l’abroga-zione della legge El Khomri, il rilancio dei servizi pubblici e dell’impiego con-tro la crisi, il divieto per le imprese di

licenziare, la nazionalizzazione dei beni comuni e dei settori portanti dell’econo-mia). Mancano tuttavia le parole d’or-dine dei rivoluzionari, quali l’abolizione del debito pubblico e l’uscita dall’Ue, così come manca il riferimento alla ne-cessità di costruire gli Stati uniti socia-listi d’Europa. I 400.000 voti raccolti, frutto anche delle importanti lotte del movimento operaio contro la legge El Khomri dello scorso anno, andrebbero immediatamente investiti per rilancia-re il tema della costruzione del partito rivoluzionario in Francia. Ma la crisi del Su, che ha appoggiato tutti i parti-ti riformisti in Europa, da Podemos a Syriza, è un enorme ostacolo alla ne-cessità storica della rivoluzione sociali-sta in Europa. È compito della sinistra del Npa rilanciare la sfida alle sue classi dirigenti mensceviche, metterle all’an-golo ed uscire dall’equivoco dell’orga-nizzazione federale, da cui derivano tutti i limiti attuali della lotta operaia in Francia. È fondamentale seguire la le-zione di Lenin al II Congresso del Posdr del 1903 sulla costruzione del partito, rivelatasi poi vincente nell’ottobre del 1917. Ed è anche grazie a quella lezio-ne che i compagni brasiliani del Pstu (Lit-CI), hanno dimostrato, in questi giorni, di saper agitare la classe opera-ia e porsi alla sua testa negli imponenti scioperi e manifestazioni contro Temer e il parlamento brasiliano. Solo un partito di tipo bolscevico può organizzare la classe operaia francese nella sua durissima lotta contro il nemi-co Macron.

Elezioni francesi: la vittoria del capitalismo europeo

Lega

Internazionale dei Lavoratori

QUARTA INTERNAZIONALE

PARTIT

O d

i ALT

ERNATIVA COMUNISTA

DUE GIORNI con laRIVOLUZIONE

1917-2017: il filo rosso dell’Ottobre

Assemblea nazionale pubblica

RIMINI9/10SETTEMBRE

9100 anni dalla vittoria dei lavoratori russiDibattito sull’Attualità della Rivoluzione d’Ottobre

SABATO

Per info e prenotazioni: 328 178 7809Costo hotel e cena: studenti e disoccupati € 40 – lavoratori €55

Accoglienza dalle ore 12 – Inizio ore 14 Domenica inizio ore 9,30 conclusione prevista ore 13,30

Le lotte oggi e il ruolo

della classe operaia

Dibattito sulla rivoluzione con esponenti delle lotte

di oggi in Italia e nel mondo

10DOMENICA