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dimagrire senza rinunce

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Titolo

ACCELERARE il

METABOLISMO

Autori

Redazione BenessereVillage.it

Editore

Edizioni BenessereVillage.it

Sito internet www.benesserevillage.it

ATTENZIONE: questo ebook contiene i dati criptati al fine di un riconoscimento in caso di pirateria. Tutti i diritti sono riservati a norma di legge. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta con alcun mezzo senza l’autorizzazione scritta dell’Autore e dell’Editore. È espressamente vietato trasmettere ad altri il presente libro, né in formato cartaceo né elettronico, né per denaro né a titolo gratuito. Le strategie riportate in questo libro sono frutto di anni di studi e specializzazioni, quindi non è garantito il raggiungimento dei medesimi risultati di crescita personale o professionale. Il lettore si assume piena responsabilità delle proprie scelte, consapevole dei rischi connessi a qualsiasi forma di esercizio. Il libro ha esclusivamente scopo formativo e non sostituisce alcun tipo di trattamento medico o psicologico. Se sospetti o sei a conoscenza di avere dei problemi o disturbi fisici o psicologici dovrai affidarti a un appropriato trattamento medico.

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Le 4 cause del sovrappeso La leggenda delle calorie: perchè è così facile prendere peso? DNA e cause genetiche: tra realtà e aspirazioni scientifiche. Le condizioni e circostanze ambientali dannose per il girovita. Altre cause del sovrappeso e metabolismo lento.. Le implicazioni del sovrappeso sulla salute La rilevanza dei chili di troppo su cardiopatie e ictus. Diabesità, l'epidemia degli ultimi venti anni. Correlazione tra forma fisica e diversi tipi di tumori. Il grande male del sovrappeso: la depressione. Difficoltà motorie e articolazioni appesantite dal troppo peso. La lenta e spietata spirale della sindrome metabolica. La realtà su calorie,esercizio fisico e metabolismo Il mito delle calorie adattato e riutilizzato per il metabolismo Perchè esistono calorie e calorie? e quali accelerano il metabolismo? Sport e divertimento per asciugarsi e bruciare il doppio. Servirsi della dieta per accelerare il metabolismo Piccola descrizione dei processi del metabolismo. La nutrigenomica e il vero ruolo dei geni su sovrappeso e metabolismo. Una alimentazione naturale per bilanciare geni e ormoni.

I carboidrati che accelerano il metabolismo. Le alterazioni insospettabili del metabolismo Le intossicazioni croniche che zavorrano il metabolismo Come limitare le tossine nel carrello della spesa Perché lo stress blocca il metabolismo e fa crescere la pancia? La disbiosi e un intestino pigro, alleati nell’ostruire un buon metabolismo Le intolleranze alimentari che gonfiano e come riconoscerle Le buone usanze per dimagrire automaticamente Una colazione da rè: varia, immancabile e gustosa Prendersi il giusto tempo dopo cena prima di dormire Nessuna dieta: ben cinque pasti al giorno Piatti freschi e gustosi al posto di scatolette e precotti Pausa pranzo non solo a lavoro e non solo a pranzo Una vita piena, leggera, divertente non ha bisogno di nessuna dieta Se fai questi sport avrai un metabolismo da campione Diet review: quali di queste diete è pro-metabolismo? La Dieta Dukan - La Dieta a Zona - La Dieta Mediterranea - La Dieta dell’Indice Glicemico - La Dieta Paleolitica - La Dieta Ormonale o Hormone Diet Conclusioni La bussola per accelerare il metabolismo

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Le 4 cause del sovrappeso: La leggenda delle calorie:

perchè è così facile prendere peso?

Le statistiche sono impressionanti: nel 2008, secondo l’OMS, 1,5 miliardi di individui nel mondo erano in sovrappeso, 200 milioni di uomini e 300 milioni di donne erano obese. Il fenomeno, negli anni, sta dilagando anche nei paesi a reddito medio e bassi, divenendo così un’epidemia mondiale. In particolare, suscita molta preoccupazione l’obesità infantile: 43 milioni di bambini sotto i 5 anni, nel 2010, risultavano essere in sovrappeso. L’allarme per i bambini è ancora più elevato perchè, come sappiamo, i bambini obesi diventano quasi sempre adulti obesi. In Italia la situazione non è differente. Dal 2001 al 2009, sovrappeso e obesità tra gli italiani sono aumentati dal 33,9% al 36,1%. I problemi di peso sono più diffusi tra gli uomini: 45,2%, che tra le donne: 27,7%. A livello territoriale si osserva che la condizione di sovrappeso e obesità è più diffusa nel Sud (50,9%), in particolare in Molise (51,6%), Campania (51,8%) e Calabria (51,4%). Essere in sovrappeso o obesi per lungo tempo comporta oltre a difficoltà fisiche e psicologiche, anche la

necessità di sostenere delle spese extra in diete e non solo. Con il passare degli anni, infatti, possono subentrare dei problemi di salute che comportano a loro volta ulteriori spese in esami e cure mediche. Le patologie più diffuse legate all’obesità sono: malattie cardiovascolari, diabete, sindrome metabolica, certi tipi di tumori, depressione, ictus e altre che vedremo meglio nel capitolo che segue.

Tabella 1: per verificare il tuo Indice di Massa Corporea unisci con un righello altezza e peso segnando il punto in cui il righello incontra l'asse centrale. Potrai così osservare la tua fascia di appartenenza. Il Ministero della Sanità a più riprese ha lanciato l’allarme obesità ed è

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quotidianamente impegnato nel contrastare tale fenomeno. Da ultimo si è pronunciato l’ex ministro Fazio che il 27 ottobre 2011 dichiarava: “Il 38% dei nostri bambini passa più di 3 ore davanti alla televisione o i videogiochi. Si registra il 35% tra obesità e sovrappeso (12% obesità, 23% di sovrappeso) nei bambini dai 5 ai 17 anni. È molto. Noi dobbiamo contrastare questa tendenza con un'azione in gran parte fatta in collaborazione con il ministero della Pubblica Istruzione. Quindi, educazione nelle scuole, inserimento nei programmi scolastici dell'insegnamento di elementi di sana alimentazione, e l'aumento dell'attività fisica. Dovremmo probabilmente prevedere anche infrastrutture migliori per le nostre scuole. Tutto questo è oggetto non solo di attenzione, ma anche di attività molto intense da parte dei due ministeri”. Sono passati diversi mesi, c'è un altro governo, e l’allarme è solamente diventato più urgente poiché i casi di sovrappeso e obesità stanno letteralmente lievitando. Certo, non esistono, allo stato attuale della medicina, delle soluzioni semplici e definitive, ma nuove strade sono state aperte con più recenti ritrovati a disposizione di tutti. E altre novità stanno per uscire. Giornalmente la

scienza sta lavorando, con attività di ricerca, per determinare in maniera definitiva le ragioni di questa epidemia e allo stesso tempo dare delle risposte che riescano una volta per tutte ad arginare il dilagare del problema. Molte diete di moda in questi ultimissimi anni pongono al centro del problema ragioni genetiche, ormonali, contribuendo così a spostare l’attenzione dalla semplice alimentazione e dallo stile di vita sedentario, a cause più complesse, sconosciute fino a pochi anni fa. In effetti è proprio così. Ed è tutto vero. Come avremo modo di scoprire in seguito, esistono ricerche scientifiche che comprovano l’esistenza di fattori genetici che predispongono a malattie metaboliche e quindi al sovrappeso. In ogni caso, se da un lato, oggi, dobbiamo inevitabilmente aggiungere anche questi fattori per mettere bene a fuoco il problema, un’alimentazione non equilibrata e l’assenza di attività sportiva, o quanto meno la sedentarietà, rimangono le cause principali che determinano un aumento considerevole dell’adiposità in un individuo. La presenza capillare sul mercato di cibi pronti e lavorati ad arte dall’uomo, facilmente reperibili in un qualsiasi

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supermercato, pieni di grassi e che poco hanno a che fare con ingredienti naturali, rimane senza dubbio un cardine su cui si poggia l'ingrassamento corporeo. Lo stile di vita moderno rappresenta un altro ostacolo per avere e mantenere il giusto peso. Pranzare quasi ogni giorno della settimana fuori casa, uscire spesso a cena con amici, famiglia e parenti contribuisce a tenere vivi i rapporti sociali, non certo a salvaguardare il giro-vita! La scarsa attività fisica che svolgiamo, sia in termini di sport o fitness, ma anche in termini di gesti quotidiani è una causa ulteriore del sovrappeso. Basta pensare all’abuso che facciamo di auto o moto, all’uso per ore dei computer, che comportano lo stare seduti gran parte della giornata lavorativa, alle comodità che fino a pochi anni fa non esistevano (telecomando, telefono cellulare, elettrodomestici, spazzolino elettrico), per capire quante meno calorie consumiamo giornalmente rispetto ai nostri genitori. Esistono inoltre fattori "ambientali" che possono contribuire a determinare un eccesso di peso. Ci riferiamo allo stato sociale, alla città, al paese o anche al quartiere in cui si abita. Statisticamente

meno si è benestanti e più si è in sovrappeso. I dati sono chiari, vedi la tabella 2 che segue. Al sud, la percentuale di individui in sovrappeso cresce esponenzialmente rispetto al nord d’Italia.

Tabella 2: distribuzione geografica dell’obesità. Fonte 65° Convegno nazionale della Federazione Italiana dei Medici di Famiglia 2009. Anche l’influenza dei genitori sui propri bambini ricopre un ruolo fondamentale: statisticamente i figli di persone obese hanno maggiore probabilità di essere a loro volta obesi da grandi. Le amicizie e le frequentazioni giocano un ruolo primario, soprattutto in giovane età. Non possono poi non essere richiamate anche cause di tipo personale che a loro

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volta contribuiscono, e non poco, nel determinare il peso di un individuo. Ci riferiamo a un periodo di particolare stress dovuto per esempio a una separazione o alla perdita del proprio posto di lavoro. Un gap deficitario in termini di ore di sonno, se prolungato comporta delle alterazioni dell’equilibrio ormonale che possono portare ad aumentare i propri chili. In parole semplici il peso di una persona è determinato dall’equazione tra le calorie assimilate con l’alimentazione e quelle consumate impegnandosi nelle attività di tutti i giorni e facendo sport. Per anni i nutrizionisti, i medici e i regimi dietetici reclamizzati ci hanno sempre e solo detto che se, tramite l’alimentazione, creiamo un surplus calorico aumentiamo di peso. Mentre se, con una dieta equilibrata e ipocalorica accompagnata da attività fisica, creiamo un deficit calorico, allora l’effetto non può essere che perdere peso. L'equazione oggi è, in parte, superata come cercheremo di dimostrare in questo lavoro, esaminando i differenti punti di vista e le soluzioni delle diete più seguite, quelle che stanno avendo maggior successo negli ultimi due anni. Sovente l’economia d’impresa spinge

la società che commercializza una dieta, e con loro anche i medici i cui nomi spesso si identificano con il nuovo regime dietetico, a dover manipolare in parte la verità per poter far clamore sul mercato e conquistare finalmente un numero enorme di clienti. Pertanto, nel cercare di far chiarezza, non ci fermeremo ad analizzare le soluzioni proposte dal mercato, ma andremo oltre fino ad esaminare ciò che un numero di scienziati e medici hanno scoperto ultimamente nei loro rispettivi laboratori. Cercheremo quindi di confrontare l’anima commerciale con quella scientifica. E proveremo a prospettare una visione più cristallina delle cause e delle soluzioni al problema del sovrappeso e dell’obesità avendo, ovviamente, un occhio di riguardo per il metabolismo. L’equazione delle calorie oggigiorno non è più sufficiente a spiegare il problema. Nuovi fattori, come i geni e l’ambiente, contribuiscono ad accrescere il problema influenzando direttamente il nostro peso. Il metabolismo stesso (inteso come la capacità di ossidare i grassi ingeriti con l’alimentazione), così come i cibi di cui ci si nutre, determinano, a loro volta, la nostra tendenza a mettere su chili di tessuto

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adiposo. Questi e tanti altri fattori, che esamineremo, interagiscono fra di loro dalla nascita di ciascuno di noi, anzi già prima della nascita con l’alimentazione della futura mamma. E continuano ad interagire per tutta la vita. Tutti insieme poi, determinano il peso corporeo di una persona.

DNA e cause genetiche: tra realtà e aspirazioni scientifiche.

Per diversi anni si è cercato di spiegare il fenomeno del sovrappeso con la teoria del “genotipo risparmiatore” proposta da Neel. Una tesi che però ora fa acqua da diverse parti, ma soprattutto risulta limitata nel voler spiegare universalmente le causa dell’aumento di peso dell’uomo moderno, senza tener presente la specificità di ciascun organismo. Storicamente l’abbondanza è sempre stata una delle aspirazioni più alte dell’uomo. Basti pensare all’antichità, epoca caratterizzata da carestie e malattie, nella quale troviamo, quasi in tutte le culture, diverse testimonianze sia in termini di buon cibo, banchetto copioso, sia in termini di forme estetiche femminili. Per gli uomini che, nel corso dei millenni si sono dovuti adattare a vivere in un ambiente povero di alimenti, la capacità di accumulare tessuto adiposo divenne un elemento

essenziale alla sopravvivenza. Secondo l'ideologia del genotipo risparmiatore quindi, l’uomo avrebbe elaborato meccanismi complessi di regolazione del proprio bilancio energetico deputandolo geneticamente, per scopi di sopravvivenza, al risparmio sotto forma di grasso. Da qui la facilità genetica di mettere su peso, che sarebbe diventata epidemica in età moderna, in concomitanza con l’abbondanza di cibo e parimenti la sedentarietà dell’individuo. La teoria del genotipo risparmiatore si basa, per farla breve, su tre assunti che la supportano: 1. le carestie sono state comuni nella storia dell’essere umano; 2. le carestie hanno causato problemi di deprivazione alimentare e conseguente aumento significativo della mortalità nella popolazione; 3. le persone che hanno accumulato tessuto adiposo hanno proporzionalmente maggiore possibilità di sopravvivere durante i periodi di carestia. A Speakman, ricercatore dell’università di Aberdeen in Scozia, si deve principalmente la critica costruttiva a tale teoria del genotipo risparmiatore. Speakman identifica ben cinque punti

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deboli in tale concezione e a sua volta propone una sua teoria originale che ha chiamato, in maniera bizzarra, “l’ipotesi della scomparsa dei predatori”. I cinque argomenti fragili della teoria del genotipo risparmiatore sono: 1. La presenza di individui obesi nei periodi non di carestia è troppo bassa per diventare un tratto geneticamente selezionato per l’evoluzione dell’uomo. Speakman analizzando i dati delle comunità tribali ancora oggi esistenti, come i boscimani, i kavango della Namibia, i pigmei, gli aborigeni dell’Australia, ha invece scoperto che il loro indice di massa corporea medio, fuori dai periodi di carestia, non supera 21.5. 2. L’ampiezza della mortalità nelle carestie, così pure la frequenza delle carestie, sono insufficienti ad agire come elemento dell’evoluzione genetica umana. È stato calcolato che, quando vengono segnati confini precisi sulle aree colpite dalla carestia e si sottrae alla mortalità osservata quella che si verifica nei periodi liberi dalla carestia (cioè mortalità naturale), la mortalità totale per la maggior parte delle carestie è generalmente al di sotto del 10%. Le carestie sono in realtà un fenomeno raro nella storia dell’uomo e anche quando si presentano causano un

aumento del tasso di mortalità relativamente basso. 3. La teoria è incompatibile con la storia dell’uomo. Le carestie storicamente nascono con la dipendenza, nell’approvvigionamento alimentare dell’uomo, dall’agricoltura. Mentre è ampiamente accettato che nel periodo pre-neolitico l’uomo, spostandosi per seguire il cibo, non sarebbe stato così soggetto a denutrizione. 4. Poche persone muoiono per cause dovute a carestie. Infatti le cause più frequenti di decesso, legate a carestie, sono le patologie infettive e la diarrea. Entrambe dovute a una scarsa selezione alimentare che porta l’uomo a nutrirsi di alimenti di cui altrimenti non si nutrirebbe quali carogne, erbe dannose e in alcuni casi anche corpi umani. 5. La mortalità nei periodi di carestia colpisce individui posti al di fuori dell’evoluzione della specie umana. Anche qui le persone che muoiono durante una carestia sono principalmente bambini sotto i cinque anni e anziani sopra i sessanta. La mortalità infantile potrebbe anche essere significativa, ma è improbabile che abbia influenzato lo sviluppo genetico umano perché fino a pochi anni fa l’obesità infantile era quasi sconosciuta.

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Speakman suggerisce invece che con il passare del tempo la distanza tra i punti superiori e inferiori d’intervento sul peso si sarebbe modificata a caso. L’aspetto chiave di questo scenario “fluttuante” è che la predisposizione genetica all’obesità non è interpretata come una caratteristica favorita dal processo di selezione naturale (come proposto dalla teoria del genotipo risparmiatore), ma piuttosto sarebbe la conseguenza di un’assenza di selezione. Cioè, secondo tale principio l’uomo, così come tuttora si osserva per alcuni animali selvatici, aveva un punto minimo di peso che poteva raggiungere e oltre il quale non riusciva a scendere, sempre per le già citate questioni di sopravvivenza legate all'arrivo di periodi di carestia. Nello stesso tempo, secondo Speakman, esisteva un’altra ragione, ancora più importante, per la sopravvivenza dell’uomo antico, tale da determinare il punto di massimo peso oltre il quale l’uomo non accumulava peso. Questa ragione si identificava nel fatto che, in un ambiente primitivo, dominato dai predatori, accumulare massa adiposa oltre un determinato limite, equivaleva a diventare lenti e quindi facile preda di animali più veloci. Oltre alla "lentezza" bisogna tenere conto anche del fattore "appetibilità", essendo un animale

grasso preferibile come preda rispetto a uno tutto pelle e ossa. Ecco, quindi che secondo Speakman, l’obesità non era un problema per l’uomo nell’età antica perchè il suo peso era limitato sia verso il basso sia soprattutto verso l’alto. Quello che successe durante l’evoluzione umana e che spiegherebbe, secondo quest'idea, l’obesità dell'individuo moderno, sarebbe “il venir meno del pericolo predatori per l’uomo”. L’essere umano, infatti, con la scoperta del fuoco, l’utilizzo degli arnesi, la creazione di armi per la caccia ma anche per la difesa, conquistò il vertice della catena alimentare. Di conseguenza non subì più il pericolo rappresentato in precedenza da altri animali. Tutto questo spiegherebbe il venir meno del limite superiore all’aumento di peso nelle persone moderne e quindi l’epidemia di obesità. Ma allo stesso tempo farebbe capire l’esistenza, tuttora, di individui che non avrebbero sviluppato tale predisposizione ad aumentare la massa adiposa perchè ancora regolati solo dal limite ancestrale inferiore e non da quello superiore. La critica di Speakman al postulato del genoma risparmiatore e la sua innovativa ipotesi della mancanza di predatori nella genesi dell’obesità

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offrono importanti e originali implicazioni per comprendere le basi genetiche della pinguedine. Se l’epidemia dell’obesità è predetta dal modello del punto fluttuante superiore d’intervento sul peso, essa potrà crescere solo fino a un certo punto per poi fermarsi. Dal momento, però, che non conosciamo ancora le basi della genetica molecolare del sistema, non possiamo sapere quando questo accadrà. Negli ultimi anni diverse ricerche internazionali hanno identificato ben 127 geni differenti legati all’obesità e al sovrappeso. Di questi circa 22 sono stati messi in rapporto diretto con almeno uno dei seguenti fattori: - metabolismo lento e bassa capacità di bruciare calorie; - tendenza a mangiare molto e scarso controllo dell’appetito; - propensione alla sedentarietà; - difficoltà nel bruciare cellule adipose; - tendenza a sviluppare un gran numero di cellule adipose e ad immagazzinare molto grasso nell’organismo. Dal 2007 uno specifico gene, denominato FTO (Fat Mass and Obesity Associated Gene) ha ricevuto

molta attenzione dai ricercatori poiché sembra essere strettamente legato al sovrappeso e all’obesità. In particolare si è visto che le persone con due coppie di una variante genetica di FTO avevano in media 3Kg in più rispetto a chi non possedeva nessuna coppia di tale variante. È stato inoltre calcolato che, chi possiede tali coppie di geni ha un’alta probabilità statistica di sviluppare obesità. Ancora non si conoscono con esattezza i meccanismi con cui agiscono le varianti del gene FTO. Tuttavia da risultanze statistiche il suo ruolo rimane soprattutto quello di alterare il comportamento alimentare di un individuo, così come quello di causare una diminuzione del senso di sazietà. Quindi, in definitiva, di apportare un maggiore introito calorico, assimilato attraverso l’alimentazione. Questi dati portano inevitabilmente a chiederci: "Gli individui portatori delle varianti del FTO devono rassegnarsi all’obesità?". La risposta a questa domanda è: “NO”. Lo dimostra uno studio condotto su un gruppo di adolescenti europei, nel quale si è visto che incrementando la durata dell’attività fisica settimanale, la predisposizione genetica associata ai geni del FTO sembra spegnersi.

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Quindi, almeno in questo caso i geni non sono più un destino. E anche se i segnali della sazietà sono alterati per questa mutazione genetica, la modificazione dello stile di vita, così come una dieta equilibrata e sana, possono aiutare le persone geneticamente predisposte a prevenire lo sviluppo dell’obesità. A tale conclusione arriva anche una nuova branca della scienza, la nutrigenetica, che punta proprio sulle caratteristiche individuali di ciascuno di noi e in particolar modo sulle caratteristiche genetiche. Nello specifico cerca di individuare le risposte diverse che, soprattutto con l’alimentazione, può dare ogni singolo organismo e da qui cerca di costruire delle soluzioni personalizzate alle differenti “esigenze” genetiche di ciascuno. La convinzione alla base della nutrigenetica è che l’ambiente circostante, lo stile di vita, l’assunzione o meno di determinate sostanze con la dieta, una volto noto uno specifico codice genetico, sono in grado di influenzare la predisposizione genetica di un individuo a determinate patologie. La correlazione tra geni e sovrappeso agisce e si sviluppa in maniera diversa per ogni individuo. In particolare se si hanno entrambi i genitori obesi, o comunque i parenti diretti sono tutti

obesi, si ha una probabilità maggiore di esserlo. In ogni caso avere una predisposizione genetica è solo uno degli aspetti che determinano il proprio peso corporeo. Come dicevamo: l’attività fisica, una dieta equilibrata e uno stile di vita attivo possono riuscire a controllare il peso di qualsiasi persona.

Le condizioni e circostanze ambientali dannose per il

girovita. I fattori genetici legati al sovrappeso rappresentano delle forze interne al nostro organismo tali da portarci, in alcuni casi, all’aumento della massa adiposa. Le cause di cui parleremo, invece in questo paragrafo, sono quelle ambientali, indicabili come le forze esterne del sovrappeso. Possiamo definire come fattori ambientali, tutte quelle situazioni, che per un motivo o per un altro ci spingono alla sovra-alimentazione o alla sedentarietà. Tali forze entrano in gioco, come provato di recente da diversi ricercatori, ancora prima della nascita. Una donna che continua a fumare durante la gravidanza, così come una futura mamma con il diabete, danno alla luce un neonato che già si trova con un metabolismo rallentato.

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Se non provvederà con uno stile di vita particolare, tale individuo è deputato con forte probabilità, ad essere in sovrappeso. Allo stesso modo i neonati che vengono allattati dalla mamma per più di tre mesi, hanno statisticamente meno probabilità di diventare obesi. Poiché le abitudini che si radicano in noi fin da bambini, tendono a permanere nell’individuo adulto, bisogna tenere presente che i bambini che si alimentano male, così come coloro che si abituano a stare tante ore davanti alla televisione o ai videogames, è come se riprogrammassero il loro organismo per una futura vita in sovrappeso. Non ci prolungheremo molto sugli aspetti ambientali legati al peso perché siamo convinti che sono quelli più visibili agli occhi di tutti noi. Vita sedentaria, stress, abitudini non sane quali aperitivi ipercalorici, alcol, junk food, cenare spesso al ristorante, il passare molte ore seduti al computer: sono tutte abitudini che contribuiscono molto a farci aumentare di peso.

Altre cause del sovrappeso e metabolismo lento: il fattore

dieta L’uomo moderno è passato da una alimentazione giornaliera media calcolabile in circa poco più di

2000Kcal a una che consiste mediamente in più di 2600Kcal al giorno. Messa in percentuale, significa che, in soli 30 anni circa, abbiamo aumentato le calorie assimilate con l’alimentazione del 30%. Anche i motivi che sono alla base di questo trend risultano diversi e in particolare: - maggiore e più facile capacità di approvvigionamento del cibo; - aumento spropositato delle porzioni alimentari; - innalzamento calorico degli alimenti di cui ci nutriamo oggi. Attualmente, in ogni momento della nostra giornata siamo in grado di poter acquistare qualcosa da mettere sotto i denti. Facciamo pause di lavoro al bar che spesso diventano occasioni per una brioche o per uno snack. Appena accusiamo anche solo la lontana sensazione di appetito, possiamo facilmente trovare ciò che ci soddisfa. Senza dubbio, bisogna considerare che gli alimenti pronti, tipo snack, pizza o altro, reperiti sul mercato sono mediamente più calorici di quelli cucinati in casa. Secondo le linee guida della Dieta Mediterranea, le calorie medie giornaliere per un uomo dovrebbero

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aggirarsi sulle 2500 Kcal, mentre per una donna dovrebbero essere sulle 2000 Kcal. La dieta quotidiana andrebbe ripartita tra carboidrati, grassi e proteine in ordine del 60% per i primi, del 25% per i secondi e solo del 15 % per quanto riguarda le proteine. Certo quelli appena indicati sono solo dei valori medi che non devono essere automaticamente imposti o essere considerati validi per ciascuno di noi. Tuttavia rendono bene l’idea di come dovremmo mangiare. Questi stessi valori, poi, sono riferiti a chi fa una vita dinamica, con attività fisica e lavorativa che comportano un buon dispendio calorico, non paragonabile a chi passa diverse ore seduto davanti al computer. Per capire ancora meglio quanto siamo, ormai, abituati a mangiare in modo diverso da come mangiavano i nostri genitori, basta dare uno sguardo alla tabella N. 3, di fianco, indicante la piramide attuale della Dieta Mediterranea. Le porzioni che ci vengono servite nei ristoranti sono praticamente raddoppiate dal dopoguerra a oggi. Lo sanno bene i ristoratori che spesso sono costretti a servire un piatto pieno di pasta se vogliono tenersi il cliente.

Ovviamente la domanda che sorge spontaneamente è: quanti italiani si nutrono, effettivamente, seguendo scrupolosamente le raccomandazioni della Dieta Mediterranea?

Il fattore sedentarietà Gli esperti, così come le autorità sanitarie, raccomandano da qualche anno di fare almeno 2.5 - 3 ore di attività fisica moderata alla settimana.

Anche in questo caso la percentuale della popolazione attiva, o che almeno segue tali linee guida, risulta aggirarsi sul 40-50%, non di più. Lo stesso dicasi per i bambini che sono sempre più abituati a passare interi pomeriggi a

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giocare con videogiochi di ultima generazione, invece che inseguire un pallone come si faceva fino a pochi anni fa. Molti di noi prendono la macchina per recarsi in ufficio, stanno l’intera giornata seduti alla scrivania e dopo aver passato molte ore al lavoro, non trovano il tempo per andare in palestra o per fare quel minimo di allenamento necessario per mantenere un buon stato di salute. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) lo stile di vita sedentario favorisce non solo la comparsa di eccesso di peso ed obesità, ma anche di molte altre patologie croniche quali: il diabete, l’aterosclerosi, l’ipertensione arteriosa, l’osteoporosi ed alcune forme neoplastiche. Sempre l’OMS riporta che più del 60% della popolazione mondiale non pratica neppure quei 30 minuti al giorno di attività fisica moderata-intensa. Mezz'ora è considerato il minimo di attività per mantenere lo stato di salute, riducendo così il rischio della comparsa delle malattie cronico degenerative. Abbiamo detto in precedenza che l’equazione calorie assimilate con l’alimentazione e calorie spese muovendosi deve essere rivista. È vero. Però non deve neanche essere persa di vista. Pensiamo, guardando la tabella

che segue, a quante calorie e quindi quanto grasso si potrebbe risparmiare semplicemente muovendosi 30 minuti al giorno.

Tabella 4: consumo calorico per 1 min. di attività.

Altre cause: Stress, sonno e stile

di vita Oltre ai fattori finora indicati, gli esperti sono ormai convinti dell’esistenza di ulteriori cause, che insieme a quelle già considerate sopra, concorrono nel determinare l’aumento

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di peso di un individuo. Fra queste cause, una sicuramente molto importante è lo stress. Per stress bisogna comprendere tutto quello stato d’animo che include: scarso tempo per se stessi, scadenze irrinunciabili a breve distanza una dall’altra, poche ore di sonno o disturbi del sonno, alimentazione veloce, sbrigativa e non sana, problemi psicologici legati al tipo di vita che si conduce, utilizzo di alcol a fine lavoro per scaricare la tensione, e altre forme di disturbo. Oggi, sempre più spesso, entrambi i genitori devono lavorare per poter portare a casa due stipendi o anche solo per affermazione personale. Questa situazione fa sì che è sempre più difficile che uno dei due “reggenti” la famiglia riesca a trovare il tempo per preparare un buon piatto con cui cenare. Il risultato è un'alimentazione disordinata e spesso troppo grassa. Ma lo stress non è solo mancanza di tempo per la miriade di impegni che dobbiamo affrontare tutti i giorni. Stress è soprattutto correlato ad ansia e depressione. Entrambe queste due situazioni sono concause di quel fenomeno molto diffuso che ricade sotto il nome di “Fame emotiva o Fame nervosa”. Si tratta di quella fame che si sente, anche quando si è mangiato da poco, o comunque quando non si dovrebbe

sentire, e che soprattutto ci spinge a ingurgitare qualsiasi cosa ci capita sotto gli occhi, senza alcun tipo di controllo. Tutti noi abbiamo sperimentato, e continuiamo ogni tanto a sperimentare, situazione fuori controllo in cui mangiamo a dismisura. Per esempio in occasione delle feste come il Natale o in occasione di particolari eventi. Alcune persone, a causa dello stress, tendono a subire maggiormente, in numero e per quantità, questo fenomeno. Si arriva quindi a parlare di un vero e proprio disturbo compulsivo (incontrollabile) e di fame emotiva. La situazione opposta alla fame nervosa è l’ortoressia, cioè quel disturbo alimentare che si identifica nell’avere troppo controllo su ciò che si mangia fino a diventare ossessionati dal cibo. Lavoro, famiglia, scuola, e altri impegni ci spingono sempre di più a mangiare un panino veloce al bar e a far passare troppo tempo tra un pasto e l’altro. Infatti il problema, come vedremo bene quando parleremo degli effetti degli zuccheri sulla sensazione di fame avvertita dal cervello, non è solo dato dalla qualità del cibo che sovente ci troviamo a mangiare o dalla velocità con cui siamo costretti a divorare il panino che abbiamo di

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fronte. Un altro problema, collegato allo stress della vita di tutti i giorni, è dato dal tempo, spesso troppo lungo, che passa tra un pasto e l’altro e dall’aver cancellato quasi totalmente l’abitudine di fare uno spuntino a metà mattina o nel mezzo del pomeriggio. Trascorrendo troppe ore tra un pasto e l’altro, il risultato non può essere che quello di arrivare eccessivamente affamati a cena e, di conseguenza, di trangugiare troppe calorie, affaticando oltremodo il nostro apparato digerente. In media, chi affronta lunghe giornate di lavoro è più soggetto allo stress e quindi ai problemi sopra descritti. Inoltre sembrerebbe che una alimentazione non regolare, in termini di orari, causi una minore sensazione di sazietà e di soddisfazione nell’ipotalamo, la parte del nostro cervello che controlla l’appetito. Un altro fattore, molto diffuso, che causa sovrappeso e obesità, è identificabile nel nutrirsi troppo velocemente. In uno studio svolto nel 2008, venne dato da mangiare lo stesso piatto molto abbondante di pasta a trenta donne diverse dicendo di nutrirsi il più velocemente possibile, fino a sentirsi soddisfatte e piene. In media le trenta donne assimilarono circa 646 KCal. Dopo qualche giorno, le stesse trenta donne, vennero richiamate per

sottoporsi ad un’altra prova. Questa volta venne loro chiesto di mangiare sempre fino a sentirsi soddisfatte e piene, ma molto lentamente. Pertanto vennero obbligate a poggiare la forchetta sul tavolo tra un boccone e l’altro e a finire di masticare prima di poter riprendere un nuovo boccone. Mediamente questa volta furono consumate 579 KCal, cioè 67 Kcal in meno rispetto alla prima volta. Se mangiamo velocemente tendiamo ad assimilare un quantitativo maggiore di cibo perché i recettori che abbiamo nello stomaco, e che liberano i segnali di sazietà che raggiungono il cervello, impiegano in media ben venti minuti a trasmettere tali segnali all’ipotalamo. Ingurgitando velocemente il cibo, tale meccanismo salta e a parità di tempo siamo in grado di rimpinzarci quantitativamente di più. Questo spiega anche perché, normalmente, se mangiamo velocemente, dopo trenta o quaranta minuti, ci sentiamo molto più pieni che se ci fossimo nutriti più lentamente. Anche non dormire un numero sufficiente di ore ogni notte rappresenta un’altra causa di sovrappeso. In una situazione del genere, infatti, viene rilasciato un tipo specifico di ormone che aumenta l’appetito, lo stress, e inoltre, sentendoci più stanchi, tendiamo a saltare più facilmente

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l’attività fisica. Le persone con cui trascorriamo maggiormente il nostro tempo sono, infine, una delle concause del peso che abbiamo. Esiste un pericolo di “contagio sociale” che fa sì che chi frequenta persone in sovrappeso, tende ad acquisire le abitudini prevalenti nel gruppo e ad aumentare il proprio peso. Questo fenomeno si rileva innanzi tutto in famiglia. Abbiamo detto sopra come i figli di genitori obesi hanno molte più probabilità di diventarlo da adulti. Ma anche all’interno di una coppia. Spesso si vedono donne che ingrassano dopo il matrimonio solo perché prendono le abitudini alimentari del marito. Anche gli amici, che un adolescente frequenta tutti i giorni, possono essere causa di una dieta non equilibrata o piena di grassi.

Altre cause del sovrappeso: Sicuramente, oggi, le ragioni ambientali insieme con le cause genetiche, rappresentano il maggior numero di problemi di peso nel mondo. Esistono comunque diversi altri motivi che non sono legati a questi. In alcuni casi l’assunzione necessaria di determinati farmaci può portare al sovrappeso. Per esempio assumere estrogeni e progesterone può incidere, aumentando il livello di appetito e facendo diminuire l’attività del

metabolismo. Diversi psicofarmaci e antidepressivi hanno come effetto collaterale quello di indurre, per motivazioni varie, a un aumento di peso. Sono note anche delle patologie o comunque delle disfunzioni che causano un aumento del tessuto adiposo. Tra queste ricordiamo: disfunzioni della tiroide e la sindrome policistica ovarica. Inoltre alcune sindromi molto rare che riportiamo solo a titolo informativo: la sindrome di Prader-Will e quella di Bardet-Biedl. Però sono casi davvero rari e numericamente di piccolo impatto per poter giustificare la diffusione dell’obesità. Tutte le cause che, velocemente, abbiamo visto fino ad ora agiscono, quanto più, quanto meno, nel determinare il peso di una persona e quindi nel provocare un eccesso di peso. Cercheremo nel corso di questo lavoro di verificare se esiste una sola causa tra queste, o anche al di fuori di queste, in grado di spiegare l’epidemia di obesità dei nostri giorni. Per riuscire nell'intento faremo un viaggio critico all'interno delle attuali soluzioni al sovrappeso che ci vengono proposte dalle diete “commerciali” o dalla medicina ufficiale. Al termine di tale viaggio, saremo in

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grado di capire se: - le calorie sono importanti o no. - è tutta colpa del metabolismo e delle malattie metaboliche? - sono i carboidrati che stanno creando questa epidemia? - scegliendo e nutrendoci di quasi solo proteine nobili, siamo in grado di far ripartire il nostro metabolismo e dimagrire? - tutto quello che ci dicono sulle malattie metaboliche è vero o è falso? - il fondamento delle malattie metaboliche è vero, ma magari è la soluzione proposta da chi vuole vendere che è sbagliata. - oltre, al metabolismo, dobbiamo considerare anche altri fattori per dimagrire in salute? - è giusto seguire regimi proibitivi, anche solo per uno o due mesi, o è meglio lavorare sulle proprie abitudini senza sforzarsi troppo di non mangiare alcune pietanze?

Implicazioni del sovrappeso sulla salute

Le persone che sono in sovrappeso e, ancora di più, quelle che sono obese, hanno statisticamente più probabilità di sviluppare determinate patologie. Alcune di queste malattie sono comunemente diffuse e conosciute. E purtroppo sono tra i motivi principali di decesso nei paesi sviluppati. Per

esempio: cardiopatie, ictus, diabete e certi tipi di tumori. Altri mali sono meno conosciuti e soprattutto sono messi meno in connessione diretta con il peso corporeo. Diverse ricerche scientifiche evidenziano dati davvero preoccupanti che ben mettono in risalto come il sovrappeso è un problema di salute ancora prima di essere una preoccupazione puramente estetica. L’obesità aumenta del 20% il rischio di sviluppare diabete. Lo stesso vale per l’ipertensione. Esiste un rapporto diretto tra il BMI (body mass index o indice di massa corporea) e lo sviluppo di queste e altre patologie. Più è elevato il primo e maggiore è l’incidenza delle seconde.

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La rilevanza dei chili di troppo

su cardiopatie e ictus

Questo tipo di patologie sono fra le più frequenti negli individui con problemi di sovrappeso. Si manifestano con eccessivi livelli di colesterolo e trigliceridi nel sangue ed elevata pressione sanguigna. L’ipertensione tende a manifestarsi sei volte di più negli individui obesi rispetto a chi ha un peso normale. Uno studio del 2007 condotto in America, su 300.000 persone, afferma che essere in sovrappeso aumenta l’incidenza di cardiopatie di circa il 32%, mentre essere obesi di ben l’81%. Inoltre avere anche solo qualche chilo in più del normale, accresce il rischio di ictus del 22%. Percentuale che cresce fino a 64% per gli individui obesi.

Diabesità, l'epidemia degli ultimi venti anni

Sia il sovrappeso che l’obesità sono strettamente legati all’incidenza del diabete. Spesso gli esperti parlano di “diabesità” proprio per descrivere il fenomeno. Infatti si stima che ben il 90% delle persone con diabete mellito di tipo 2 (il più comune) risultano superare il livello di peso considerato normale. Il numero di individui con diabete è cresciuto drammaticamente dal 1996 ai giorni d’oggi, a un ritmo

incessante del 65%. Come vedremo meglio nei prossimi paragrafi, gli imputati numero uno di tale epidemia sono gli zuccheri e il loro livello elevato nel sangue. Infatti se non tenuti sotto controllo, gli zuccheri, portano alla sindrome metabolica, che a sua volta causa direttamente diversi problemi di salute. Il diabete rappresenta oggi la sesta causa di decesso in Europa. Correlazione tra forma fisica e

diversi tipi di tumori

Uno studio dell'American Cancer Society, condotto su ben 900.000 individui per oltre sedici anni, pone in relazione diretta l’obesità con diversi tipi di tumori. Tra questi i più importanti sono il tumore all’esofago, al colon, al fegato e al pancreas. Il grande male del sovrappeso:

la depressione

Si mette su peso perché si è depressi o si diventa depressi perché si è in sovrappeso? Possiamo con tutta tranquillità affermare che entrambe gli scenari sono veri. Il rischio di cadere in depressione cresce del 55% nelle persone in forte sovrappeso. La causa sembra essere un'alterazione chimica nel cervello in risposta a situazioni di stress e ansia. Certamente, oltre a

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questi motivi, bisogna tenere conto di come è normalmente considerato un individuo obeso nella società moderna. I canoni attuali di bellezza fanno sì che spesso essere obesi causi una profonda diminuzione della propria autostima che può successivamente portare a depressione. Allo stesso tempo una persona che si trova in uno stato depressivo aumenta il proprio rischio di accumulare tessuto adiposo rapidamente. Il primo ad essere incriminato in questo caso è il cortisolo, l’ormone dello stress, capace di eliminare il senso di soddisfazione e appagamento nell’alimentazione e causare un accumulo alterato di grasso soprattutto nella zona addominale. Come abbiamo visto prima, anche diversi farmaci utilizzati per trattare la depressione, causano direttamente un aumento di peso. Difficoltà motorie e articolazioni

appesantite dal troppo peso

Più si è distanti, nel senso di accumulo di grasso, dal peso forma, e maggiormente si verificano problemi motori con il passare degli anni. Difficoltà a fare attività fisica, fino a problemi di artrosi, osteoporosi e altro. Le articolazioni vengono sottoposte a uno sforzo per le quali non sono state “progettate”. Tutti problemi che portano ad aumentare il grado di

sedentarietà di un individuo e di conseguenza accrescono il pericolo di insorgenza di patologie, come quelle già descritte. È ormai impossibile dubitare del fatto che chi è obeso rischia, normalmente, di vivere un numero di anni inferiore rispetto a chi riesce a mantenere per la maggior parte della propria esistenza un peso vicino a quello forma. È anche vero, però, che piccole diminuzioni nel peso sono in grado di aumentare di molto lo stato di benessere di una persona. Spesso si sente affermare, a ragione, che può bastare una dimagrimento in ordine di grandezza del 10% del proprio peso, per godere di buoni effetti sulla propria salute. Statisticamente, per esempio, chi soffre di ipertensione con una perdita di peso intorno al 10% può, in alcuni casi, evitare di continuare a prendere farmaci. La lenta e spietata spirale della

sindrome metabolica Con sindrome si intende, in medicina, un insieme di sintomi e segni clinici (quadro sintomatologico), che può essere dovuto a più malattie o a più eziologie. Nel caso della sindrome metabolica, come vedremo, possiamo parlare di un

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numero elevato di patologie che hanno però un minimo comune denominatore: la resistenza all’insulina. Sono almeno ottanta anni che esiste il concetto di sindrome metabolica: venne proposto dallo svedese Kylin per poi essere ripreso da Vague. Allora venne descritta come un insieme di ipertensione, iperglicemia, gotta, adiposità, malattie cardiovascolari e diabete di tipo 2. Non esiste ancora oggi una definizione ufficiale, accettata da tutti, della sindrome metabolica, ma la più ricorrente la caratterizza come un insieme di intolleranza al glucosio, obesità, ipertensione e dislipidemia (elevate concentrazioni di lipidi nel sangue). La sindrome metabolica viene diagnosticata quando una persona presenta tre o più dei seguenti sintomi: Circonferenza vita, uomo Circonferenza vita, donna

> 102 cm > 88 cm

Pressione arteriosa

> o uguale a 130/85 mm/Hg

Trigliceridi > o uguali a 150 mg/dl

Colesterolo HDL, uomo Colesterolo HDL, donna

< a 40 mg/dl < a 50 mg/dl

* Parametri della sindrome metabolica

Ma che cos’è l'insulino-resistenza? L’insulina è un ormone proteico prodotto dalle cellule beta presenti nelle isole di Langerhans del pancreas. Viene secreta quando il livello di glucosio (zucchero) nel sangue è troppo elevato. Il suo compito è quello, attraverso alcuni procedimenti metabolici, di abbassare il livello di glucosio ematico. Si può, metaforicamente sostenere, che l’insulina rappresenta “la chiave” per aprire la porta delle cellule agli zuccheri. Infatti questi ultimi o vengono bruciati immediatamente per effetto di uno sforzo, oppure vengono immagazzinati come riserva, o tessuto adiposo, nelle cellule. I problemi però si presentano in occasione di un surplus di glucosio, protratto per molto tempo, nel sangue. Il meccanismo sopra descritto, infatti, in presenza di una cronica sovrabbondanza di zuccheri assimilati con l’alimentazione, semplicemente smette di funzionare, prima a tratti, finché non smette per sempre. In questo caso, l’individuo ha sviluppato una resistenza all’insulina. La famosa “chiave” non è più in grado di aprire le porte delle cellule e, purtroppo, tale situazione ha come conseguenza una cascata di eventi patologici che possono causare una deriva per la salute dell’individuo stesso.

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Le conseguenze dirette sono iperglicemia e aumento del deposito di grasso viscerale (il più pericoloso) e extraviscerale, ma anche aterosclerosi, aumento dei trigliceridi nel sangue, riduzione del colesterolo HDL (quello buono), aumento della densità del colesterolo LDL (quello cattivo), ipertensione arteriosa e cardiopatie. Ma la patologia direttamente collegata alla resistenza insulinica, e non per caso negli ultimi anni si parla di epidemia, è il diabete di tipo 2. La sindrome metabolica è oggi al centro di numerose “ricette” dietetiche, sviluppate da regimi che sono diventati di moda. Più avanti ne analizzeremo i più comuni. I principi, che sono alla base di tali regimi, identificano nell’utilizzo eccessivo di carboidrati la causa principale dell’epidemia di insulino-resistenza e quindi l'attuale dilagare dell’obesità. La conseguenza, dato tale punto di partenza, è l’abbattimento della percentuale di carboidrati nella dieta, da un 50% a un 10%, arrivando talvolta anche alla loro totale eliminazione. In questo modo, come vedremo, tali diete, normalmente definite come proteiche, intendono riattivare il metabolismo, vincere la resistenza all’insulina e quindi provocare un dimagrimento sano e soprattutto stabile nel tempo.

Certamente questa prospettiva rappresenta una metodologia, oltre che innovativa, anche sensazionale per chi ha problemi di peso. Infatti sposta l’attenzione dalle calorie e dai grassi nella dieta ai soli carboidrati. Non è raro, quindi, vedere sul mercato slogan che propongono di dimagrire senza alcun tipo di limitazione nelle quantità, senza soffrire la fame, solo ed esclusivamente limitando i carboidrati. In poche parole, basterebbe eliminare i carboidrati, senza contare più le calorie o i grassi, per poter dimagrire per sempre. Ma rimandiamo questa discussione ai paragrafi che seguono, dopo aver approfondito meglio quella che potremmo definire l'ideologia classica delle calorie. Una volta capito che cos’è il metabolismo e quali sono i suoi meccanismi, illustreremo anche quali sono le soluzioni proposte dalle diete proteiche.

La realtà su calorie, esercizio fisico e metabolismo

Il mito delle calorie adattato e riutilizzato per il metabolismo

Non è, per forza di cose, necessario rivolgersi a un medico o a uno specialista, come un nutrizionista, per perdere peso. D’altronde è ormai costume comune mettersi a dieta praticamente da soli.

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È però vero che, se si è provato a perdere peso diverse volte senza riuscirci, oppure si vuole essere sicuri di seguire una dieta sana ed equilibrata, è consigliabile rivolgersi a uno specialista e seguire le indicazioni che questo dà, senza fare, come spesso avviene, di testa propria. Rivolgersi a un medico, poi, dovrebbe essere assolutamente necessario per coloro che hanno sviluppato disturbi o patologie correlate al proprio sovrappeso. Il medico, e solo lui, potrà esaminare il quadro clinico nella sua totalità e prendere le decisioni che il caso richiede. Normalmente il proprio medico comincerà con il fare delle domande per conoscere la storia del paziente: da quanto tempo è in sovrappeso, se era in questa situazione già da piccolo, se ha accumulato peso solo negli ultimi anni. Cosa ha già provato per dimagrire, le diete che ha seguito e se hanno prodotto risultati, se ha preso dei farmaci anche senza prescrizione. Se è l’unico in famiglia ad avere problemi di peso oppure se anche i genitori e gli eventuali fratelli o sorelle si trovano in una situazione simile. Se ha avuto delle patologie che necessitano di farmaci che possono causare un aumento di peso, se soffre di patologie correlate alla sua situazione fisica quali

ipertensione, ipertrigliceridemia, diabete o altro. Ascoltata la storia del paziente, il dottore può decidere di prescrivere alcuni esami, per esempio quelli base del sangue, per verificare l’esistenza o meno dei problemi considerati. Inoltre, normalmente, lo specialista può procedere a una misurazione dello stato di sovrappeso o obesità del paziente che parte dal semplice calcolo del BMI fino alla rilevazione del grasso con altre tecniche, quali per esempio il plicometro, alla misurazione della pressione sanguigna, ecc. Per approfondimenti: - Calcolo online del BMI o IMC: http://www.benesserevillage.it/tools/indice-di-massa-corporea.php - Calcolo del fabbisogno calorico giornaliero per obiettivo: http://www.benesserevillage.it/tools/calcolo-calorie-giornaliere.php - Consumo calorico per minuti di attività fisica: http://www.benesserevillage.it/tools/consumo-calorico.php - Test del Metabolismo: http://www.benesserevillage.it/test/metabolismo/index.php - Test intestino e disbiosi intestinale: http://www.benesserevillage.it/test/intestino-sano/index.php

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Dopo aver eseguito gli esami di routine, il dottore, procede prescrivendo i farmaci necessari, in caso di patologie o problematiche per la salute del paziente, oppure passa direttamente ad esaminare l’alimentazione e lo stile di vita dello stesso. Fatti salvi dei casi particolari, che per l’estrema urgenza di dover perdere peso comportano soluzioni drastiche, il dottore normalmente prescrive una dieta con delle linee specifiche da dover seguire, e allo stesso tempo sceglie insieme al paziente un’attività fisica da cominciare. Dimagrire, lo sappiamo benissimo tutti quanti, non è un lavoro facile. Se bastasse mangiare meno e fare più esercizio, sarebbe tutto molto più semplice. Purtroppo però entrano in gioco un insieme di fattori, come in parte abbiamo visto, che rendono la sfida notevolmente più difficile. Un primo passo, forse un po’ noioso, ma importante per conoscere come poter dimagrire, è senz’altro dato dal capire che cosa si intende per equilibrio energetico.

Quante calorie al giorno? Per avere una guida sull’alimentazione da tenere per raggiungere il peso forma, si deve per forza partire dal calcolo delle calorie che sono

necessarie per mantenere il peso attuale. È vero, come detto in precedenza, il solo calcolo delle calorie non basta più, ma è altrettanto vero che rimane il miglior punto di partenza per prendere consapevolezza sul tipo di alimentazione che bisogna seguire. Senza prolungarci in calcoli noiosi, è consigliabile utilizzare dei calcolatori che sono presenti in rete e che fortunatamente, oggi, svolgono tutto il lavoro al posto nostro. Basta guardare la tabella alla pagina precedente e cliccare sul link riportato per determinare il proprio fabbisogno energetico attuale. Determinato l’ammontare di calorie che permettono di mantenere il peso attuale, il passo successivo è semplicemente quello di sottrarre al numero così ottenuto un valore che, normalmente, si aggira tra le 500 e le 1000 Kcal. È consigliabile, infatti, una perdita di peso che si aggira tra i 0.5 kg e 1 Kg alla settimana. E, per ottenere tale effetto, diminuire di appena 500/600 Kcal al giorno è il modo migliore per dimagrire. Inoltre c’è da considerare che, solo poche centinaia di calorie in meno, non danno una particolare sensazione di appetito e quindi permettono di seguire più facilmente una dieta dimagrante.

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Certamente il tempo necessario a raggiungere il peso forma sarà più lungo, ma i benefici in termini di educazione alimentare saranno maggiori, e permetteranno di modificare le proprie abitudini nutritive. L’altra possibilità è quella di tagliare drasticamente le calorie previste per ogni singolo giorno, stimolare enormemente la sensazione di fame e sottoporsi a un regime rigido che, anche se causerà un dimagrimento più repentino, risulterà essere impossibile da seguire per tutta la vita. Le conseguenze di una dieta povera in calorie si vedono tutti i giorni. Moltissime persone riescono a perdere anche tanti chili e a raggiungere un aspetto migliore anche solo in due mesi, ma inesorabilmente, riguadagnano tutto il peso perso, e con gli interessi, e più velocemente di quanto è durata la dieta stessa. La raccomandazione, ormai accettata da tutti gli specialisti del settore, è quella di non sottoporsi, in ogni caso, a un regime che prevede un quantitativo giornaliero di calorie inferiore alle 1200 Kcal. Ma come fare poi per riuscire a seguire la dieta? Come conteggiare il numero di calorie ingerite?

L’approccio comunemente usato è quello di calcolare le singole calorie per ogni alimento che si consuma. Questo è possibile grazie alle informazioni contenute nelle etichette dei cibi che acquistiamo, come in diverse tabelle consultabili sia online sia su numerosi libri. Un altro approccio utilizzabile, se si odia fare il calcolo delle calorie, è quello di mangiare più spesso, facendo pasti con piccoli quantitativi di cibo. Sovente, infatti, i dati ci mostrano che può bastare avere consapevolezza di ciò di cui ci nutriamo e moltiplicare i pasti da due/tre a cinque, per perdere il peso superfluo, senza dover neppure contare le calorie. Come vedremo più avanti mangiare meno e più spesso, cominciando proprio dalla colazione, ha un effetto urto sul metabolismo e diminuisce, a parità di calorie assimilate, la quantità di energia che si accumula. Molte diete, di moda qualche anno fa, puntano il dito sui grassi. Secondo questo approccio basta tagliare la parte dei grassi e automaticamente si raggiungerebbe quel deficit calorico indicato sopra che ci porterebbe a perdere peso senza particolari sforzi. L’assunto alla base di queste soluzioni, è che a parità di peso, i grassi rappresentano una fonte più che doppia di calorie rispetto alle proteine e ai

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carboidrati (9 Kcal/g per i grassi contro 4 Kcal/g per proteine e carboidrati). Bisogna sottolineare che spesso, diverse persone pensano, sbagliando, che basta acquistare e nutrirsi di alimenti poco grassi per diminuire le calorie giornaliere. Purtroppo, questo non è sempre vero. Esistono degli alimenti che vengono venduti come “light” che però risultano, da una lettura accurata delle etichette, anche più calorici degli alimenti grassi. C’è da dire inoltre che, negli ultimi anni, come già abbiamo affermato in precedenza, l’attenzione si è focalizzata dai grassi ai carboidrati. Diverse diete, prima fra tutte la dieta a Zona, sostengono che il sovrappeso non è dovuto a un surplus calorico. L'accusa è che l'eccesso di carboidrati stimolerebbe troppo la produzione di insulina. Questo provoca uno sbilanciamento ormonale in alcuni casi, mentre in altri un danno metabolico, inducendo così l’aumento di peso. Vedremo più avanti, se effettivamente esiste un legame diretto tra carboidrati e metabolismo e quindi se è giusto concentrare l’attenzione su questi ultimi piuttosto che sui grassi. Sta di fatto che rimane difficile scardinare completamente la tesi delle calorie e che un'alimentazione

bilanciata in quantitativo di grassi è pur sempre un buon inizio per nutrirsi in modo più salutare. Ecco quindi alcuni piccoli trucchetti, utili per tagliare calorie e grassi dai nostri pasti: - Prediligere le farine di tipo integrale rispetto a quelle più lavorate. - Togliere i grassi dalla carne e scegliere carne bianca o comunque i tagli più magri. - Ridurre al massimo i cibi fritti fino anche ad eliminarli del tutto. - Usare latte, formaggi e yogurt con pochi grassi. - Rinunciare a cotture grasse e preferire quelle che mantengono inalterate le qualità nutrizionali degli alimenti. - Fare attenzione agli aperitivi e in generale a tutte quelle calorie e grassi ingeriti, spesso inconsapevolmente, fuori dai pasti. - Evitare succhi di frutta pieni di zucchero e sostanze conservanti e privilegiare le versioni fresche o quelle più naturali possibili. - Limitare il consumo di alcol a un bicchiere al giorno, prediligendo il vino rosso.

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Perchè esistono calorie e calorie? e quali accelerano il

metabolismo?

La maggior parte dei medici o dietologi di vecchia scuola sostiene che tutte le calorie sono uguali e aggiunge che un taglio calorico per dimagrire è sufficiente. Negli ultimi anni, tuttavia, abbiamo imparato che gli alimenti non si comportano sempre allo stesso modo e ciò dipende da come vengono abbinati:

- Le calorie dei grassi fanno ingrassare più velocemente poiché l'eccesso viene immagazzinato più rapidamente. - Le calorie dell'alcol, essendo vuote, vengono facilmente trasformate in grasso. - Ogni eccesso viene trasformato in grasso, ma le proteine richiedono un dispendio energetico maggiore ed un loro "surplus" innalza il metabolismo. - Un pasto di sole proteine o carboidrati complessi ingrassa meno di un normale pasto misto, a causa della secrezione insulinica. Per lo stesso motivo pasti con zuccheri "rapidi", "grassi" e "alcol" sono la strada più sicura per l'obesità ed i problemi di salute. - La stessa quantità calorica ingrassa meno se suddivisa in 4-5 piccoli pasti

al giorno. - Lo stesso cibo può provocare un incremento lipidico o meno a seconda del momento della giornata in cui viene assunto. In uno studio, alcuni ricercatori tra cui Willet, hanno provato a stabilire se una dieta a basso contenuto di carboidrati fa dimagrire di più rispetto a una dieta ad elevato apporto di carboidrati. I ricercatori divisero i pazienti in due gruppi e cominciarono, per dodici settimane consecutive, a nutrirli con due diete diverse in quantitativo di carboidrati. Il primo gruppo seguiva una dieta di stile mediterraneo, con un apporto medio di carboidrati pari al 55% delle calorie assimilate in ogni singolo pasto e povera di grassi: solo il 30%. Al secondo gruppo, invece, venne somministrata una dieta povera di carboidrati, circa il 5%, e ricca di proteine, ben il 30%, e grassi, circa il 65%. I risultati furono che chi aveva seguito una dieta povera di grassi, tipo la Dieta Mediterranea, aveva perso in media 10 Kg in dodici settimane contro i 7 Kg persi in media, di chi aveva seguito una dieta povera di carboidrati, il tutto a parità di calorie ingerite. Ben tre chili in meno in soli tre mesi! La conclusione di questo studio, e ne esistono anche degli altri a sostegno

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della tesi che segue, è che il tipo di calorie assunte ha un impatto molto rilevante (tre chili di differenza) sul peso. Il motivo è semplice: alimenti diversi vengono metabolizzati in modo differente dal nostro organismo. Ancora più interessante è il fatto che la tipologia di calorie ingerite influenza direttamente il nostro metabolismo, più precisamente i messaggi che i nostri geni inviano al metabolismo. Ecco quindi che le calorie non rappresentano più solo la quantità totale di energia che introduciamo nell'organismo, ma diventano fonte di informazioni e di istruzioni per il nostro metabolismo. La conseguenza, evidentemente, è di portata storica per la lotta al sovrappeso e all’obesità. Significa che il classico criterio delle calorie perde, anche se solo in parte, la propria validità a fronte di un nuovo orizzonte, quello rappresentato dalla dieta pro metabolismo. L’attenzione di chi vuole perdere peso non può più risolversi nel solo calcolo delle calorie assimilate, ma deve spostarsi anche verso la tipologia di calorie introdotte. Queste ultime, possiamo affermare, è come se comunicassero con i nostri geni portando istruzioni sul livello di appetito, sull’aumentare o meno la massa grassa e soprattutto sul velocizzare o rallentare i processi metabolici.

Ecco quindi che, se il totale delle calorie rimane ancora un punto non tralasciabile nella lotta al sovrappeso, diventa importante riuscire a conoscere quali alimenti sono pro metabolismo e quali invece diminuiscono tale processo. La cosa fondamentale è ridimensionare il concetto di "caloria" , non attribuendole un valore assoluto. Pertanto diventa indispensabile cercare di conoscere al massimo noi stessi per poter operare al meglio.

Sport e divertimento per asciugarsi e bruciare il doppio

Immaginiamo due persone diverse che vogliono perdere peso. Immaginiamo poi che la prima decida di perdere peso solo ed esclusivamente attraverso una dieta. Mentre la seconda opta per la strategia opposta, decidendo di dimagrire solo ed esclusivamente facendo molto sport, ma senza modificare in alcun modo la propria alimentazione. Possiamo tranquillamente sostenere che, per il primo individuo, sarà più facile dimagrire e che probabilmente avrà dei risultati maggiori. Tale conclusione è possibile semplicemente perché è più facile mangiare 500 Kcal di meno, piuttosto che bruciarne altrettante con una

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qualsiasi attività sportiva. Per esempio, la seconda persona, dovrebbe correre, a ritmo lento, per almeno un’ora e mezza per poter bruciare 500 Kcal, anche se il calcolo preciso è possibile solo conoscendo il peso corporeo. D’altra parte però, colui che ha scelto di non allenarsi, ha molte più probabilità di riprendere nel tempo i chili che è riuscito ad eliminare. La causa di questo fenomeno è proprio il metabolismo. Il nostro organismo infatti reagisce al dimagrimento instaurando un meccanismo di “starvazione”. Nei fatti, la perdita di tessuto adiposo suggerisce al nostro organismo di diminuire il metabolismo per correre ai ripari e preservare la massa grassa. Il risultato conseguente al fenomeno di starvazione è quello che spesso viene definito dagli esperti come “plateau”. Cioè se si insiste con la sola dieta ipocalorica, succede che a un certo punto, non si perde più peso. L’altra faccia del fenomeno di starvazione, consiste nel fatto che, se si riprendono le abitudini precedenti alla dieta, cioè si ricomincia a mangiare abbondantemente, avendo limitato con la sola dieta il proprio metabolismo, si tenderà a riacquistare i chili persi molto rapidamente e più facilmente.

La soluzione a questo problema è in parte già stata prospettata. Si tratta di accompagnare alla sola dieta ipocalorica una necessaria attività fisica. Quest’ultima incide direttamente sul proprio metabolismo con tendenza ad accelerarlo. Non solo. Si bruciano calorie mentre ci si sta allenando. L’effetto, che spesso non si conosce è che il metabolismo rimane alto anche nella fase successiva all’attività fisica. Inoltre l’innalzamento del metabolismo è tanto maggiore quanto ci si allena regolarmente: almeno tre volte a settimana. Ecco quindi, che per dimagrire, l’elemento più importante di tutti è quello di allenarsi con costanza. Solo così possiamo “educare” il nostro metabolismo istruendolo a rimanere a livelli sempre elevati. Certamente, a parità di sedute di allenamento, colui che riesce a sostenere delle performance maggiori, perderà più peso rispetto a colui che non riesce a raggiungere tali livelli. È però vero che, colui che si allena tre volte alla settimana, regolarmente, e con intensità medio-normale, tenderà a perdere maggior peso di colui che si allena solo la domenica pur se con ritmi e intensità da agonista.

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La tipologia di allenamenti che incidono positivamente e di più sul metabolismo include soprattutto gli sport aerobici tipo: ciclismo, camminata veloce o corsa. Anche un allenamento diretto al potenziamento della massa muscolare, tuttavia, non va tralasciato poiché questa è in grado, per sua natura, di bruciare molte più calorie rispetto alla massa grassa. Un individuo muscoloso tenderà, solo per la sua composizione corporea, a bruciare più calorie a parità di attività svolta, rispetto a un altro individuo che ha meno massa muscolare sviluppata. Oltre a un allenamento vero e proprio, bisogna tenere conto anche dello stile di vita di una persona. Chi passa tutto il giorno seduto davanti al computer, se non bilancia la situazione con una quantità e regolarità di sport, avrà un metabolismo più lento rispetto a colui che fa un lavoro faticoso che lo porta a spostare pesi tutto il giorno. Un altro beneficio diretto, derivante dall’allenarsi regolarmente, è quello di diminuire il proprio appetito o meglio la propria soglia di soddisfazione data dal cibo. Poiché, il nostro organismo, dopo essersi allenato, mantiene elevato il metabolismo, ecco che se subito dopo mangiamo, anche solo uno snack, questo verrà assimilato molto

velocemente e produrrà con maggiore facilità la famosa sensazione di appagamento nel nostro cervello. Se infatti dopo un allenamento intenso, tendiamo ad avere maggior fame, è anche vero che, normalmente, ci basta meno quantità di cibo per sentirci sazi. Come iniziare se è da tanto tempo che non si pratica sport? Cominciare camminando, anche per brevi passeggiate, è sicuramente un buon punto di partenza per dimagrire, rimettersi in forma e migliorare la propria salute. Potresti obiettare che camminare è un esercizio troppo poco faticoso, che non ha nulla a che vedere con lo sport. O che non è così efficace e quindi, di conseguenza, non è in grado di apportare particolari benefici in termine di dimagrimento e di salute. Uno dei punti di forza della camminata è che questa attività non richiede alcuna attrezzatura particolare. Anche se le scarpe possono davvero fare la differenza. In commercio sono disponibili molti tipi di scarpe fra cui scegliere: running, walking, cross-training, solo per citarne alcune. Le scarpe da passeggio di solito hanno la suola e la punta modellate appositamente per ridurre l'impatto con il suolo ed incrementare l'energia durante la spinta. Resta quindi solo da

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decidere quale tipo di scarpa acquistare a seconda del piede e della falcata. Se sei un pronatore con piedi tendenti a essere piatti, evita le scarpe troppo morbide perché non danno una totale stabilità e non permettono il controllo del movimento. Prediligi quindi scarpe che tendono a stabilizzare il piede, caratteristiche che favoriscono il controllo della tendenza pronatrice. Se hai piedi arcuati, con la tendenza ad andare verso l'alto, scegli scarpe dotate di una suola morbida, che non limitino il movimento. Con i piedi arcuati, il tuo piede non assorbe bene gli urti e troppa stabilità e controllo della scarpa ridurranno ancora di più tale assorbimento. Se i tuoi piedi, invece, sono normali, puoi scegliere qualsiasi tipo di scarpa che ti fa sentire a tuo agio. Quando il piede è normale, la falcata è efficiente con solette e suole che assorbono gli urti. Per coloro che iniziano e che nutrono preoccupazioni per la propria capacità di camminare a lungo, si consiglia di cominciare con una passeggiata di appena cinque minuti, quindi di girarsi e ritornare indietro camminando più lentamente. Potresti anche iniziare con 10 minuti, dipende dal tuo stato di forma. Incrementa poi di due o tre

minuti alla settimana e, così facendo, riuscirai a raggiungere i 30 minuti di camminata in appena qualche settimana di tempo e di allenamento. Una volta raggiunti i 30 minuti di passeggiata, potrai incrementare la velocità, allenandoti ad intervalli. Per intervalli si intendono quei periodi in cui si lavora intensamente per 1 o 2 minuti per poi ritornare all'andatura normale per altri 2 o 3 minuti, recuperare, e quindi ripetere il ciclo. Con questo tipo di allenamento si riesce con più facilità a migliorare le proprie prestazioni, aumentare il metabolismo e i benefici in termini di salute cardiorespiratoria. Ecco, di seguito, una sequenza esemplificativa su come effettuare tali intervalli. 1. Cammina a passo normale per tre minuti, al fine di riscaldarti. 2. Incrementa la velocità per un minuto, per dare quella sferzata in potenza di cui abbiamo parlato sopra. 3. Ritorna alla velocità normale per altri 3 minuti, cercando di recuperare al massimo. 4. Ripeti questo intervallo 1:3 per l'intero esercizio, cioè per il tempo totale di allenamento che ti sei prefissato.

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5. Dopo qualche seduta di allenamento, incrementa il lavoro ad alta intensità e riduci il tempo di riposo attivo previsto, fino a farlo progressivamente sparire. Ti ritroverai ad aver raggiunto, con minore sforzo, e in maniera più sana, l’obiettivo che ti eri prefissato in partenza. Ecco un altro esempio per chi già riesce a camminare per 30 minuti a 5,5 km/h: 1. Cammina per 10 minuti a 5.5 km/h. 2. Incrementa la velocità a 6 km/h per un minuto, come fatto in precedenza. 3. Cammina ancora tre minuti a 5.5 km/h, sempre per recuperare il più velocemente possibile. 4. Cammina ancora a 6 km/h e continua fino a quando raggiungi i 30 minuti. 5. Incrementa la parte di lavoro ad alta intensità fino ad arrivare a un minuto e mezzo e riduci il riposo attivo a due minuti e mezzo dopo un paio di settimane. Camminare, in realtà, è una attività di basso impatto, che ci permette di bruciare molte calorie. Un uomo di 68 chilogrammi, per esempio, brucia 100 calore ogni 1,5 km. Un uomo di circa

90 kg brucia 133 calorie ogni 1.5 km ed un uomo di 115 kg brucia 166 calorie ogni 1,5 km. Ma a che velocità bisogna camminare per utilizzare una passeggiata come metodo per dimagrire e accelerare il metabolismo? Una buona media è da 5 a 6 km/h. Comunque dipende dalla lunghezza delle gambe e dalla velocità con cui si riesce a muoverle. Il tapis roulant e le passeggiate all'aria aperta apportano, infine, gli stessi benefici. Meglio impostare la pendenza del tapis roulant all'1% per riprodurre più fedelmente la passeggiata in esterno.

Servirsi della dieta per accelerare il metabolismo

Piccola descrizione dei processi del metabolismo

Abbiamo visto, all’inizio di questo lavoro, come il problema del sovrappeso non può più essere risolto con la semplice somma delle calorie. Diverse altre variabili si sono aggiunte grazie all’apporto di numerose nuove scoperte scientifiche. Pur non volendo svilire del tutto l’importanza che le calorie hanno, tuttora, nel determinare il peso di un individuo nella lotta ai chili di troppo, non si può prescindere da un esame del

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metabolismo della persona che intende perdere peso. D’altronde è sotto gli occhi di tutti come decenni di semplice calcolo delle calorie totali ingerite, abbia avuto come risultato un aumento ponderale del peso medio in tutte le società occidentali. E non solo. Tale situazione si è verificata proprio perché, per troppo tempo, non si sono prese in considerazioni le altre variabili che possono determinare il sovrappeso e fra queste la prima è il proprio metabolismo. Il termine metabolismo viene utilizzato per indicare, in modo molto generico, tutti quei procedimenti chimici, messi in atto dal nostro organismo per elaborare e successivamente ricavare l’energia racchiusa negli alimenti che ingeriamo, in modo poi di utilizzarla o immagazzinarla come scorta. Per comprendere più in profondità cosa sia il metabolismo, però, bisogna partire dai due meccanismi che lo compongono: il processo anabolico e il processo catabolico. Il processo catabolico è una reazione chimica che permettere di suddividere le sostanze complesse (proteine, grassi, carboidrati) in altre più semplici, ed è sempre associato alla liberazione di energia. Il processo anabolico, invece, mette in atto il meccanismo inverso: da sostanze semplici genera sostanze più

complesse, e per farlo consuma energia, che poi è la stessa che viene utilizzata nel processo catabolico.

Tabella 5: processi anabolico e catabolico del

metabolismo. Ogni molecola che partecipa attivamente al metabolismo è detta metabolita, e l'equilibrio dei due processi, anabolico e catabolico,

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permette all'organismo di ottenere l'energia e il nutrimento da utilizzare per il corretto funzionamento di tutti i suoi apparati. La quantità minima di energia necessaria perché questo avvenga senza intoppi, viene definita metabolismo basale. Paradossalmente, anche se restassimo immobili per 24 ore, il nostro corpo avrebbe comunque bisogno di una determinata quantità di energia per far funzionare gli organi e mantenere la temperatura interna. L'energia vitale viene fornita dal metabolismo basale, che rappresenta appunto la quantità minima di calorie necessaria per far funzionare il corpo in situazione di riposo. Il calcolo della quota calorica è piuttosto semplice e fornisce risultati sorprendenti. Ecco un esempio. Una donna di 35 anni, che pesa 60 chili, ha un metabolismo basale pari a 1351 calorie. Ciò significa che questo è l'apporto strettamente necessario per tutte le funzioni del suo corpo. E tale quantità deve essere assicurata con qualsiasi dieta. Se vuoi conoscere anche tu il tuo metabolismo basale, ti basterà applicare la formula che segue, utilizzando la tabella di riferimento. Moltiplica il tuo peso per il coefficiente

che trovi nella colonna centrale della tabella, e aggiungi il numero fisso riportato nella casella destra. Come puoi vedere, risalire al nostro 1351 è semplice: 60 (kg) x 8,7 (coefficiente femmine da 31 a 60 anni) + 829 (numero fisso).

Età e Sesso

Coefficiente

Numero fisso

Maschi da 18 a 30 anni

15,3

679

Femmine da 18 a 30 anni

14,7

496

Maschi da 31 a 60 anni

11,6

879

Femmine da 31 a 60 anni

8,7

829

Maschi oltre i 61 anni

13,5

487

Femmine oltre i 61 anni

10,5

596

* Fonte: comitato misto FAO/OMS/ONU - calcolo del metabolismo basale

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Accanto al metabolismo basale, ai fini di questa trattazione, è necessario conoscere anche il metabolismo intermedio, che è direttamente collegato all'alimentazione. Il suo meccanismo è stato analizzato e decifrato dal biochimico statunitense George Watson, che dopo vent'anni di studi (1952 - 1972) e migliaia di casi esaminati, ha scoperto che ognuno di noi ha una propria tendenza ad assimilare in modo maggiore o minore certe sostanze rispetto ad altre. È il nostro metabolismo intermedio, che viene influenzato dal tipo di alimenti ingeriti e dalla qualità e quantità delle varie secrezioni ormonali. Al momento della nascita, tutti siamo dotati (più o meno) di un metabolismo neutro, cioè ottimale per la crescita, in grado di assimilare al meglio tutte le sostanze nutritive ingerite con il cibo. Nel corso degli anni, però, il metabolismo si può alterare, anche a causa di fattori ereditari, virando verso le tipologie descritte appresso. Secondo la teoria del metabolismo intermedio di George Watson, ormai accolta in tutto il mondo, non esiste un metabolismo unico e uguale per tutti, ma tre varianti con caratteristiche differenti che sono: l’ipossidatore, l’iperossidatore e il normossidatore.

Ipossidatore o con metababolismo lento: appartiene a una persona che non metabolizza bene i grassi, poco le proteine e meglio gli zuccheri. Questo si traduce in una naturale tendenza a ingrassare perché ogni caloria che non viene metabolizzata, cioè bruciata dall'organismo per produrre energia, si accumula automaticamente come deposito di grasso. Il metabolismo lento, che riguarda circa il 65% delle donne, si riconosce anche per alcune caratteristiche fisiche che ne sono la conseguenza: intestino pigro, ipotensione (la classica “pressione bassa”), ipersensibilità al freddo, scarsa sudorazione, secchezza di pelle e capelli e tendenza all'affaticamento e alla depressione. Il metabolismo lento è anche una delle principali concause del sovrappeso e delle difficoltà di dimagrimento. Purtroppo, come per il colore degli occhi o dei capelli, se si nasce con un metabolismo di questo tipo bisogna accettarlo, ma questo non significa che non si possano mettere in atto delle strategie per migliorare la situazione. Più avanti verranno riportate diverse informazioni utili al riguardo e tanti consigli pratici da provare subito. Per ora, in linea generale, bisogna ricordare che, per accelerare un metabolismo

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lento, devi prestare molta attenzione alla scelta dei cibi. Normossidatore, o con metabolismo normale: l'individuo che fa parte di questa tipologia non presenta squilibri metabolici particolari, metabolizza bene tutti i componenti nutrizionali, non ha particolari problemi fisici e ha un peso equilibrato. Se si è tra i fortunati possessori di questo tipo di metabolismo, si appartiene a quella minoranza della popolazione (10-15%) che può permettersi di mantenere il proprio peso affidandosi alla seguente semplice regola. Dal momento che metabolizza bene sia i grassi, sia gli zuccheri, sia le proteine, per il normossidatore è sufficiente seguire un'alimentazione equilibrata, che permetta di assumere tutte e tre le categorie di macronutienti (carboidrati, grassi e proteine). Attenzione, però: mantenere questo equilibrio è fondamentale, per evitare che il metabolismo neutro si sbilanci in favore di quello lento o di quello veloce. È altrettanto vero che, se pur il normossidatore deve essere meno guardingo dei suoi colleghi, non può di certo mangiare qualsiasi cosa e in qualsiasi quantità.

Dovrà in ogni caso fare attenzione all’ammontare totale delle calorie ingerite, almeno nel lungo periodo. Infatti, anche se sarà in grado con facilità di bruciare qualche pasto abbondante, se la sovralimentazione dovesse diventare una regola, non solo accumulerebbe comunque peso ma, alla lunga, potrebbe causare una resistenza del proprio organismo all’insulina e alterare completamente il suo equilibrio, spostandolo inesorabilmente verso il sovrappeso. Iperossidatore o con metabolismo veloce: interessa solo il 30% della popolazione, e rappresenta colui che metabolizza bene le proteine e in parte i grassi, ma non gli zuccheri. Si riconosce per problematiche fisiche come ansia, ipertensione, iperattività, ipersudorazione, ipersensibilità al caldo, irritabilità nervosa, pelle e capelli grassi. Contrariamente a quanto si possa pensare, avere un metabolismo veloce non significa che si può mangiare di tutto senza ingrassare. Anzi. Proprio perché, in quanto iperossidatore, si bruciano male gli zuccheri, se si sbaglia tipo di alimentazione e non si fa attività fisica si rischia di aumentare, e di molto, il proprio peso. La differenza rispetto a chi possiede un metabolismo lento è che poi, l’iperossidatore, non fa

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grossa fatica a perdere i chili accumulati. È, per esempio, il classico tipo a cui basta un po’ di attività fisica e dei pasti normali per asciugarsi nel giro di poco tempo. Ogni individuo, quindi, appartiene a una categoria precisa con delle caratteristiche metaboliche proprie. Cioè con delle proprie capacità di metabolizzare i carboidrati, i grassi e le proteine. La conseguenza, intuibile, è importantissima per chi intende perdere peso poiché, riconoscendosi in uno dei diversi gruppi, saprà con maggiore precisione quale tipo di alimentazione è corretta per ricavare il meglio dal cibo di cui si nutre. Si possono così mettere a punto delle combinazioni di alimenti che verranno metabolizzati meglio secondo il proprio metabolismo. Gli studi condotti dal dottor Watson, divennero presto famosi, visto il loro impatto sulle teorie classiche, e trovarono subito applicazione in diverse branche della medicina. Lo stesso Watson, poi, dimostrò come il modo in cui mangiamo influenza un po’ tutta la sfera personale, fino a determinare lo stato psicologico di un individuo. Ansia, depressione, aggressività, astenia vennero messe in diretta correlazione anche con il tipo di alimentazione. Di conseguenza, il cibo divenne, in certi casi, la medicina giusta per curare questi stati psicologici.

Test: Tu che metabolismo hai? Scoprilo subito con questo link: http://www.benesserevillage.it/test/metabolismo/index.php Inoltre, Watson, aprì il campo a nuove frontiere nella scienza dell’alimentazione, in particolare nella cura del sovrappeso e dell’obesità, dimostrando come con l’alimentazione si possa “regolarizzare” il metabolismo e causare un dimagrimento sorprendente e, quasi sempre, duraturo nel tempo. Purtroppo, però, queste scoperte sono state di frequente utilizzate per speculazioni commerciali da parte di persone che, solo a fini di lucro, hanno alterato tali implicazioni, estremizzandole in regimi dietetici spesso anche dannosi. Ma di questo ce ne occuperemo più avanti.

La nutrigenomica e il vero ruolo

dei geni su sovrappeso e metabolismo

Il vecchio detto di Feuerbach: “L’uomo è ciò che manga” è oggi ancora più vero grazie ai progressi, ancora lenti ma molto interessanti, che sta facendo la nutrigenetica. Questa scienza studia le relazioni esistenti e possibili tra l’alimentazione

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e la regolazione del genoma o patrimonio genetico. In pratica, la nutrigenomica sostiene che il cibo parla con i geni e viceversa, come abbiamo visto, scambiandosi informazioni e regolando i diversi processi dell’organismo. Il nostro DNA, lo sappiamo tutti, determina il colore degli occhi e dei capelli. È una specie di dote pronta per essere trasmessa ai figli. Si è sempre studiato il DNA come se fosse solo una entità statica. Oggi sappiamo che non è così. I nostri geni fanno molto di più che tramandare solo ed esclusivamente le caratteristiche fisiche: gestiscono giornalmente e sotto ogni aspetto i processi biochimici e fisiologici di ciascuno di noi. La prospettiva è completamente nuova, ma affascinante. Per quello che ci interessa e per lo scopo di questo lavoro, significa che l’alimentazione influenza lo scambio di informazioni con il patrimonio genetico. Insomma, stimola una risposta o un’altra da parte del nostro stesso metabolismo. Il nostro DNA regola la produzione di ormoni, enzimi e neurotrasmettitori cerebrali e attraverso queste funzioni controlla il livello di colesterolo, la pressione sanguigna, l’ossidazione

cellulare e quindi l’invecchiamento. Ma altresì l’umore e ogni funzione dell’organismo fino a contribuire a determinare il peso corporeo. Il cibo contiene informazioni per i nostri geni quali: rallentare l’invecchiamento, accelerare o rallentare il metabolismo, ridurre l’appetito, ecc… Se impariamo il modo in cui il cibo e i geni comunicano, possiamo sfruttare tale linguaggio a nostro favore, mangiando quegli alimenti che aiutano tutti i procedimenti di perdita di peso. Possiamo, oltre alle semplici calorie, sfruttare una dieta in grado di accelerare il nostro metabolismo e di produrre maggior senso di soddisfazione a parità di cibo assimilato. Purtroppo, per onore di cronaca, bisogna ammettere che allo stato dell’arte, la nutrigenomica è come un bambino in fasce. Di fatto, sebbene le sue scoperte rimangano fondamentali e molto affascinanti, è vero che di pratico e attuabile c'è ancora poco. Pertanto non bisogna cadere preda di false speranze. In rete e non, si vedono sempre più spesso dei kit, anche molto costosi, che promettono di esaminare il genoma di un individuo e di ricavarne informazioni strabilianti. Cosa

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mangiare per non prendere peso, come non ammalarsi, la dieta per non invecchiare mai, predisposizione o meno alla glicemia, intolleranze, propensione all’ipertensione, colesterolo alto, osteoporosi e via discorrendo. Praticamente questi test promettono l’immortalità. Ovviamente la cautela è d’obbligo, visto il grande fascino che test di tale genere possono suscitare su qualsiasi persona. Non tutto però è da buttare. La prima regola della nutrigenomica da tenere presente è che ciascuno di noi ha dei geni diversi e, di conseguenza, lo stesso cibo verrà “interpretato”, secondo il proprio patrimonio genetico, in maniera distinta e personale. La conseguenza è fondamentale: lo stesso tipo di alimentazione può causare un aumento di peso e una diminuzione del metabolismo in un individuo e un effetto magari parzialmente opposto, o almeno attenuato, in un altro. Ogni singola persona deve ricercare e provare su se stesso diversi tipi di diete per comprendere se il suo organismo assimila meglio i carboidrati, le proteine o i grassi. Non esiste una dieta che può essere seguita uniformemente e con successo da chiunque. Occorre trovare per ciascuno di noi ciò che è

adatto e che funziona. Ma se rimane vero quanto appena detto, è altrettanto vero, che i meccanismi fisiologici, pur in parte diversi da uomo a uomo, hanno comunque dei principi comuni a tutti. Il metabolismo c’è chi lo ha lento, chi ossida qualsiasi cosa ingerisce e chi, fortunato, è nella normalità. Ciò nonostante, i meccanismi di ossidazione sono in realtà quelli, uguali anche se non identici per tutti. Dato questo assunto, è possibile ricavare delle regole generali di stile di vita e di rapporto con il cibo, in grado di incidere in positivo sul metabolismo di ognuno di noi. La prima è quella di seguire una dieta che sia il più naturale possibile, intendendo per naturale una dieta composta da alimenti che esistono in natura e che non sono opera di manipolazione dell’uomo. Una alimentazione naturale per

bilanciare geni e ormoni

Abbiamo detto che bisogna mangiare “secondo i geni”. E poiché il nostro patrimonio genetico si è formato qualche secolo prima di pop-corn e patatine fritte, per migliorare al massimo le funzioni biochimiche del nostro organismo dobbiamo utilizzare il più possibile quegli alimenti che si

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trovano da sempre in natura e che contengono le istruzioni facilmente decifrabili dai nostri geni. Questi alimenti sono pro metabolismo perché vengono facilmente bruciati e assimilati. Essendo freschi e naturali non lasciano tossine libere nel sangue che, come vedremo, sono in grado di recare danni al metabolismo. Dobbiamo, quindi, cercare di nutrirci il più possibile con cibi freschi. Evitare conserve, cibi confezionati e tutti quegli alimenti arricchiti di grassi idrogenati o altre sostanze prodotte dall'industria alimentare moderna. Tuttavia, come sempre, quando si parla di nutrizione umana non bisogna esagerare e passare da un eccesso all’altro. Così, come non si può mangiare quasi solo pizza, perché non esiste in natura, non è necessario neppure fare la spesa solo ed esclusivamente in negozi di alimentari biologici specializzati. Basta e avanza nutrirsi, nella maggior parte dei casi, con cibi naturali. Meglio i carboidrati integrali, meno lavorati, che quelli raffinati, cioè sgrezzati dall’uomo. Benissimo tutti i cibi che, già in natura, si presentano ricchi di fibre: verdure, frutta e legumi. Ma incominciamo ad addentrarci nella dieta che è in grado di accelerare il nostro metabolismo. Partiamo con una

analisi dei diversi tipi di macronutrienti di cui si compongono i cibi che mangiamo.

I carboidrati che accelerano il metabolismo

Considerando che non tutte le calorie sono identiche, passando più in dettaglio le singole macrocategorie dei nutrienti, è lecito cercare una risposta al seguente quesito: "I carboidrati sono tutti uguali?". Riuscire a rispondere a questa domanda ha oggi un ruolo di grande interesse. Troppo spesso i carboidrati sono messi sul banco degli imputati. Sono accusati di provocare i più nefandi mali al nostro organismo e soprattutto di essere la fonte di tutte le malattie metaboliche degli ultimi decenni. Quindi, di essere responsabili di una così diffusa obesità. Purtroppo, le opinioni sopra citate sono figlie di alcuni slogan commerciali che spingono a evitare il consumo di carboidrati. Data questa situazione è necessario sforzarsi il più possibile, affinare i termini della ricerca per chiarire, quanto basta, una situazione a dir poco ingarbugliata e rispondere con chiarezza alla domanda che abbiamo or ora formulato. Il punto di partenza non può che essere un'affermazione di basilare importanza:

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i carboidrati sono essenziali nella nostra vita, ne abbiamo bisogno per vivere in modo sano. Tanto è vero che, anche le diete più proteiche esistenti prevedono sempre, dopo una prima fase di esclusione dei glucidi, una seconda fase di lenta reintroduzione e una terza di consumo quotidiano e vario di carboidrati. Cosa significa? Al contrario di quanto si vuol far credere, non tutti i mali provengono dai carboidrati. O meglio, molti mali, provengono da “un'abbondanza di carboidrati”, ma questa è una storia comune a tutte le situazioni di eccesso. Ma allora, quali carboidrati dobbiamo mangiare per accelerare il metabolismo, evitare sovrappeso e malattie? La risposta è un corollario di quanto affermato sopra: dobbiamo nutrirci il più possibile di carboidrati presenti in natura e limitare quelli invece raffinati dall’uomo.

In natura esistono glucidi in diverse forme. Pertanto è bene sapere dove si possono trovare i carboidrati. Di solito chiunque pensa subito al pane, alla pasta, allo zucchero ma di carboidrati, per esempio, si deve parlare anche quando si sta mangiando la frutta, le

verdure o i legumi. I carboidrati rappresentano, in realtà, il gruppo alimentare più esteso esistente in natura e si distinguono in carboidrati semplici e carboidrati complessi. I primi sono quelli che comunemente chiamiamo zuccheri, e cioè glucosio, fruttosio, saccarosio, lattosio, maltosio, ecc… I secondi invece li troviamo nei legumi, nella pasta, nel pane o nel riso. La differenza tra carboidrati semplici e carboidrati complessi è importante perché attiene alla velocità di assimilazione da parte dell’organismo umano. I carboidrati semplici vengono “smontati” e digeriti, cioè entrano in circolo nel sangue, in poco tempo o comunque molto più velocemente rispetto ai carboidrati complessi che invece richiedono più ore per essere scissi in molecole digerite. Di conseguenza, per diminuire l’impatto dei glucidi sull’insulina, sono preferibili i carboidrati complessi a quelli semplici. Insomma, come già accennato in precedenza, la regola principe da seguire per mantenere alto il metabolismo e in equilibrio tutte le funzioni dell’organismo è quella di nutrirsi il più possibile di carboidrati presenti in natura o il meno elaborati dall’uomo.

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In pratica, utilizzare farine integrali più che farine bianche. Meglio pasta e pane integrali piuttosto di quegli alimenti composti dalla normale farina di grano duro. Le farine integrali hanno un carico glicemico più basso. Inoltre, essendo più grezze e contenendo maggiori fibre, hanno bisogno di maggior tempo per essere digerite e, quindi, rilasciano glucosio più lentamente. Le farine “bianche” invece, dopo la lavorazione da parte dell’uomo, perdono in sali minerali, vitamine e altri nutrimenti che aiutano il metabolismo e si presentano di conseguenza più ricche di zuccheri a rapido assorbimento. Smettere di mangiare merendine o crackers e sostituirli con i carboidrati che si trovano in natura: un frutto per esempio. Mangiare più legumi, più verdure, più semi, più prodotti da agricoltura biologica. Questi alimenti infatti contengono un insieme di antiossidanti, sali minerali, fibre, vitamine che stimolano il metabolismo e combattono l’obesità, rallentando l’assorbimento degli zuccheri, il carico glicemico e quindi la glicemia. Per mantenere il corretto funzionamento del nostro metabolismo dobbiamo mangiare in prevalenza, non esclusivamente, cibi e alimenti, e anche carboidrati, che sono

presenti in natura o che sono vicini il più possibile al loro stato in natura. Una volta identificati di quali carboidrati nutrirsi, è necessario determinare anche quanti carboidrati assimilare con l’alimentazione. Normalmente, è consigliabile far provenire dal 30% al 60% delle calorie giornaliere dai carboidrati. Partendo dal totale delle calorie necessarie per mantenere il peso in una situazione di buona forma fisica, ci saranno delle persone che possono tranquillamente mangiare il 60% delle calorie giornaliere sotto forma di carboidrati e altre, invece, che ne devono limitare il consumo al 30%. L’unico modo per scoprirlo è quello di provare. Se un individuo, ferme restando le calorie totali, tende a mettere su peso dovrà ridurre la quantità di carboidrati. Se, invece, nutrendosi di pochi carboidrati (40%), un essere umano mantiene il proprio peso, potrà provare a inserire nella propria dieta un ammontare maggiore di carboidrati. Come abbiamo già detto, tutti noi abbiamo un patrimonio genetico diverso. La conseguenza è che il cibo verrà “interpretato” in maniera diversa da ognuno di noi. Perciò non rimane che fare degli esperimenti su se stessi

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fino a comprendere esattamente la specificità del proprio organismo. Bisogna scoprire come questo “interpreta” le informazioni provenienti dagli alimenti, come brucia i carboidrati, le proteine e come metabolizza i grassi. Una volta trovata la strategia giusta, bisognerà adottarla come stile di vita per rimanere, sempre, in forma e non in sovrappeso. Ecco perché non ha più molto valore parlare di percentuali di carboidrati (60% Dieta Mediterranea, 40% dieta a Zona, ecc…). Semplicemente perché, a seconda del proprio metabolismo, un individuo riuscirà a perdere peso meglio e più facilmente consumando il 60% delle calorie giornaliere in carboidrati. Mentre un altro perderà meglio il peso riducendo il consumo dei carboidrati al 30%. Dipende dal proprio organismo e dal tipo di metabolismo che abbiamo.

Le proteine che accelerano il metabolismo

Oltre a quanto abbiamo già visto per i carboidrati, cioè la necessità di mangiare il più possibile cibi esistenti in natura, per identificare le proteine che sono in grado di accelerare il metabolismo dobbiamo introdurre un ulteriore concetto che è quello di termogenesi.

La termogenesi è il processo attraverso il quale il nostro organismo produce calore al fine di mantenere stabile la temperatura corporea. I mitocondri, contenuti nelle cellule, hanno un ruolo attivo nel procedimento. Nello specifico, i mitocondri utilizzano l’energia assunta attraverso l’alimentazione per creare calore e mantenere la temperatura corporea. Il cibo che mangiamo produce un suo effetto termogenico definibile come la quantità di energia spesa per la digestione di un singolo alimento. In particolare si parla di termogenesi fissa se riferita alla spesa energetica per la digestione, che va distinta dalla termogenesi facoltativa che viene invece indotta dal sistema nervoso simpatico. La termogenesi fissa dipende molto dal tipo di alimentazione che si tiene. In particolare, ciò che è importante, è che mentre i carboidrati producono un effetto termico del 7%, i grassi del 3%, le proteine possono arrivare a produrre anche il 35% di tale dispendio energetico. L’effetto termogenico delle proteine è dovuto alla complessità degli aminoacidi, che richiedono molta più energia per la loro digestione. Utilizzare le proteine per aumentare il metabolismo può essere indicato, a

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patto di non superare certi limiti entro cui dover rimanere per evitare problemi di salute. Si parla in questo caso di termogenesi indotta dalla dieta o TID. Possiamo sfruttare questi meccanismi, attraverso una dieta un po’ più sbilanciata verso le proteine, per accelerare il metabolismo e bruciare le calorie più velocemente. Per esempio possiamo aumentare l’introito calorico proveniente dalle proteine in un certo periodo, se vogliamo dimagrire più in fretta. Oppure utilizzare le proteine per porre rimedio a una giornata, o a un periodo, di sovralimentazione. Le raccomandazioni, nel caso delle proteine, vanno nella direzione di preferire quelle provenienti dal pesce, poi quelle da carni bianche e formaggi magri, senza trascurare le uova. Secondo alcuni studi recenti, le proteine e i peptidi (ormoni, ossitocina, bradichinine, neurotrasmettitori, citochine,ecc…) provenienti dal pesce, sono in grado di produrre una serie di effetti benefici sul metabolismo e in generale per la salute. In particolare, una integrazione nella dieta con i peptidi del merluzzo, determina un abbassamento significativo del picco glicemico nel sangue. Questo comporta una riduzione della produzione di

insulina e un abbassamento dei grassi in circolazione nel sangue (trigliceridi). Molto buone per le loro caratteristiche organolettiche sono le proteine provenienti dai vegetali. Soia, lenticchie, fagioli dovrebbero ritrovare un posto di primo piano sulla nostra tavola quotidiana e sostituire in parte la carne. Le proteine di origine vegetale aiutano molto nella prevenzione delle malattie cardiache, avendo un quantitativo inferiore di grassi saturi rispetto agli alimenti proteici di origine animale. Di quante proteine abbiamo bisogno giornalmente? La risposta a questa domanda è tuttora alla base di un lungo dibattito ed è quindi difficile riuscire a rispondere con precisione. Possiamo sostenere che le proteine devono rimanere tra il 10% e il 40% del fabbisogno calorico giornaliero. In questo modo abbiamo fissato i due paletti, limite inferiore e limite superiore, all’interno dei quali potersi muovere per sfruttare l’effetto termogenico delle proteine. Ancora una volta, bisogna sperimentare sul proprio organismo le diverse quantità, per capire con precisione quante proteine mangiare per non accumulare peso.

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Le proteine si trovano dappertutto nel nostro organismo, basti pensare che costituiscono i muscoli, la pelle, i capelli, le ossa, le unghie. Seguire una dieta iper-proteica, oltre il 35% proveniente dalle proteine, per un periodo lungo, oltre le quattro settimane, può causare problemi di affaticamento renale, edema, osteoporosi. Un’altra caratteristica molto utile delle proteine, per chi vuole perdere peso, è il loro alto indice di sazietà. Sentirsi pieni può essere utilizzato per placare l’appetito, a parità di carico calorico, e facilitare così l’autocontrollo nella dieta. L’aumento del senso di sazietà, come dimostrato in uno studio del 2010, si ha per l’intervento sui livelli di grelina e del peptide YY, coinvolti nel controllo dell’appetito. In particolare, questo studio, ha coinvolto 13 uomini di età tra i 51 e i 54 anni, con un indice di massa corporea pari a 31,3 ± 0,8 kg/m2 che hanno consumato due tipi di diete ipocaloriche. Una, con un contenuto di proteine pari al 14% dell’apporto energetico totale. L'altra, ad alto tenore proteico (25% dell’apporto energetico totale). Le diete sono state assunte in modo randomizzato (cioè attribuendo ad ogni possibile scelta lo stesso grado di probabilità) in tre o sei pasti al giorno.

La dieta ricca di proteine ha indotto un aumento del senso di sazietà e dei livelli di peptide YY e di grelina, indipendente dalla frequenza dei pasti. In particolare, la più alta frequenza di assunzione dei pasti comportava un minor senso di sazietà rispetto alla frequenza di consumo più bassa, ma ridotti livelli di insulina e glucosio. Complessivamente lo studio conferma che nei soggetti obesi e sovrappeso pasti ad alto contenuto proteico aumentano il senso di sazietà, indipendentemente dalla loro modalità di consumo.

I grassi che accelerano il metabolismo

Tutti i grassi sono uguali? No di certo!! Purtroppo negli ultimi anni abbiamo assistito a una repentina riabilitazione dei grassi. Per decenni le diete, intese come regimi dimagranti, ma anche come un corretto e salutare piano alimentare, hanno prescritto di stare il più possibile alla larga dai cibi grassi. I nuovi regimi iperproteici, molto di moda ultimamente, sono riusciti a spostare l’attenzione dai grassi ai carboidrati facendo diventare questi ultimi la fonte di tutti i guai. Addirittura, non è raro sentire che occorre controllare i carboidrati mentre

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è possibile mangiare quanti grassi si vogliono! Ovviamente le cose non stanno così e il risultato di queste indicazioni, che non tengono in considerazione i grassi, non può che essere quello di causare un aumento di peso, un peggioramento dei livelli di trigliceridi e del colesterolo nel sangue. Esistono dei grassi che fanno bene, altri che fanno male. Il problema, anche in questo caso, è di scegliere, pur rimanendo all’interno di alcuni range-limite, i grassi che fanno bene al nostro organismo. Una famosissima dieta, diventata di dominio mondiale qualche anno fa, la dieta a Zona, recitava: “per bruciare il grasso ci vuole altro grasso”. Dobbiamo aggiungere che per bruciare il grasso ci vuole il grasso buono. Intanto definiamo quanti grassi, in assoluto, dobbiamo mangiare per non recare danni al metabolismo e riuscire a dimagrire. L’ammontare totale di grassi che devono costituire la dieta quotidiana è diretta conseguenza del rapporto, determinato come detto in precedenza, tra carboidrati e proteine. I grassi saranno la parte rimanente delle calorie giornaliere, messe a disposizione dalla dieta che si segue.

Se consumiamo il 50% di calorie giornaliere in carboidrati e il 25% in proteine, ecco che la percentuale rimanente di grassi risulta essere il 25%. In generale i grassi hanno una densità energetica maggiore sia rispetto alle proteine sia rispetto ai carboidrati (9 Kcal per grammo rispetto ai 4 delle proteine e dei carboidrati). Ecco perché se mangiamo troppi grassi non possiamo che ingrassare. Come abbiamo visto, un alimento fa bene o fa male al nostro organismo e al metabolismo, se porta con sé informazioni buone o cattive per i geni. I grassi si comportano, ovviamente, nella stessa maniera. In particolare le cellule adipose si legano a degli speciali recettori detti recettori attivati dai proliferatori dei perossisomi. Nello specifico a noi interessa il polimorfismo Pro12AIa. Alcuni studi supportano un ruolo benefico di questo recettore, che è associato a una ridotta trascrizione del gene PPARgamma2. Tale polimorfismo, inoltre, è abbinato a: una diminuzione del body mass index (BMI), alla riduzione dei livelli di insulina, all'aumento dei livelli di HDL e alla migliorata sensibilità all’insulina. Quindi, il polimorfismo Pro12Ala diminuisce il rischio di obesità e di diabete mellito di tipo 2.

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Diversi tipi di grassi, interagiscono in maniera differente con questi recettori, attivando alle volte i geni bruciagrassi, e altre volte disattivandoli. Ovviamente le implicazioni sul metabolismo risultano evidenti. Per esempio un acido grasso contenuto nel pesce, come quello chiamato eicosapentaenoico, favorisce l’attività bruciagrassi del metabolismo e aumenta la sensibilità all’insulina. Quali sono dunque i grassi che accelerano il metabolismo? Come per gli altri macronutrienti, i grassi di origine vegetale rimangono preferibili, insieme ai grassi contenuti nel pesce. Esistono due categorie di grassi “buoni”: I grassi polinsaturi: sono grassi essenziali per il normale funzionamento dell’organismo umano, ma, allo stesso tempo, il nostro corpo non può autoprodurli. Dobbiamo pertanto introdurli con l’alimentazione. Aiutano a costruire le membrane cellulari, cioè l’involucro esterno e le guaine dei nervi circostanti. Sono vitali per la coagulazione del sangue, la contrazione e il rilassamento muscolare, e svolgono un'azione antinfiammatoria. Riducono il colesterolo “cattivo” (LDL), più di altri tipi di grassi, e quindi migliorano il

profilo lipidico nel sangue, contribuendo ad abbassare anche i trigliceridi. I grassi polinsaturi si chiamano così perché hanno due o più legami nella loro catena carboniosa. Esistono due tipi principali di acidi grassi polinsaturi: gli Omega-3 gli Omega-6 (il numero si riferisce alla distanza tra la fine della catena di carbonio e il primo doppio legame). Entrambi i tipi offrono diversi benefici per la salute. Diversi studi hanno dimostrato che gli Omega-3 contenuti nel pesce, così come gli integratori di olio di pesce, aiutano a prevenire e anche a curare malattie cardiache e ictus. Ciò è dovuto alla loro azione benefica sulla pressione sanguigna, sul colesterolo “buono” (HDL) e sui trigliceridi. Esistono, poi, tanti altri studi minori e, non sempre accolti unanimemente, che collegano questi grassi a dei benefici in caso di Alzheimer, artrite reumatoide e a un'infinità di altri disturbi o patologie. Gli Omega-3 provengono, principalmente, dal pesce ma si trovano anche nei semi di lino, nelle noci e in altri tipi di frutta secca. Pesci grassi come il salmone, sgombri e sardine, sono fonti abbondanti di omega-3. Gli Omega-6 apportano benefici anche maggiori degli Omega-3 nel prevenire

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o curare le malattie cardiache. Ma non bisogna esagerare nella loro dose. È infatti raccomandabile mantenere una proporzione di 1:2 tra gli Omega-3 e gli Omega-6. I grassi monoinsaturi: a differenza dei polinsaturi, i monoinsaturi, sono dei grassi che hanno un solo legame nella catena carboniosa. Il risultato è che hanno più atomi di idrogeno dei polinsaturi ma sempre meno dei saturi. Buone fonti di monoinsaturi sono l'olio di oliva, l'olio di arachidi, l’avocado e la maggior parte dei dadi da brodo. Questo tipo di grassi sono venuti alla ribalta grazie a uno studio congiunto di sette paesi tenuto nel 1960. Lo studio voleva identificare il motivo della bassa incidenza di malattie cardiache nelle regioni mediterranee, in particolare in Grecia, a fronte di una dieta mediamente ricca di grassi. Si scoprì che le popolazioni affacciate sul Mare Mediterraneo, tra cui quella di noi italiani, sostituiscono spesso i grassi saturi di origine animale con l’olio di oliva che invece è un grasso monoinsaturo. Da qui tutta l’importanza, la rivalutazione e il seguito di cui gode oggi la Dieta Mediterranea come stile di vita salutare. Quali sono, invece, i grassi che vanno limitati?

I grassi saturi: si chiamano così perché la loro catena si presenta satura di atomi di idrogeno. Esistono ben 24 tipi diversi di grassi saturi, e non tutti fanno così male alla salute. Basti pensare per esempio al cioccolato che contiene in sé un tipo di grasso saturo, che in realtà si comporta più come un grasso insaturo abbassando i livelli di LDL. In generale non è possibile seguire una alimentazione priva di questo tipo di grassi che sono contenuti nel burro, nel latte, nei latticini e nei formaggi, nella carne bovina, nel pollo, ecc… L’indicazione però è quella di limitarli a favore dei grassi polinsaturi. Quali sono, poi, i grassi da evitare? Gli oli idrogenati e i grassi trans: questo tipo di grassi identificano in pieno la categoria dei grassi prodotti dall’uomo e non presenti in natura. Vennero creati in laboratorio come alternativa più economica del burro. Lo studio di Mensink e Katan del 1990 mostrò che i grassi trans alzano il livello del colesterolo LDL diminuendo quello del colesterolo HDL, peggiorando il rapporto di rischio cardiovascolare. Almeno altri dodici studi significativi confermarono la ricerca del 1990.

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In particolare, due studi di Sundram confrontarono i grassi trans con quelli saturi e conclusero che i primi sono decisamente più influenti nel rischio cardiovascolare. Nel luglio 2002 la National Academy of Sciences ha confermato definitivamente la tesi che i grassi trans sono decisamente peggiori dei grassi saturi rispetto al rischio cardiovascolare. Un'altra ricerca di Sundram ha rivelato che le concentrazioni di lipoproteina (considerata un fattore di rischio cardiovascolare indipendente, poiché è in gran parte controllata geneticamente) aumentano in una dieta ricca di grassi trans. Restano stabili o addirittura diminuiscono, invece, in una dieta con grassi saturi. Una seguente ricerca di Sundram mostrò che la concentrazione di lipoproteina diminuisce significativamente quando si sostituiscono i grassi trans con olio di palma. Anche studi epidemiologici hanno confermato la relazione fra rischio cardiovascolare e grassi trans. Sia la ricerca di Willett (del 1993), sia quella più celebre di Ascherio (del 1994, che esaminava 239 soggetti) arrivarono alle stesse conclusioni. E cioè che sono associabili a diete ricche di grassi trans: un aumento del rischio cardiovascolare

del 27% e circa 30.000 morti (negli USA), ogni anno. Un'analisi successiva (Koletzko) ha confermato tale ultimo dato, stimando i decessi fra 25.000 e 30.000. Anche le indagini sul diabete sono significative. Un aumento del 2% di grassi trans in sostituzione di carboidrati aumenta il rischio diabetico di un fattore 1.39. Mentre, non c'è praticamente variazione (0,97) nel caso di sostituzione con grassi saturi. Gli studi di Willett e di Ascherio riportano anche i danni riguardanti la "distruzione" degli acidi grassi essenziali da parte di quelli trans. Mary Enig è un'autorità mondiale nel campo dei grassi trans. È una ricercatrice del Maryland (ha lavorato per molti anni nel Lipids Research Group, Department of Chemistry and Biochemistry, University of Maryland), ed è stata fra l'altro consulting editor per il “Journal of the American College of Nutrition". Ha riassunto così i problemi dei grassi trans: 1) Abbassano il colesterolo HDL e alzano quello LDL. 2) Aumentano la concentrazione della lipoproteina. 3) Diminuiscono il valore biologico del latte materno. 4) Causano uno scarso peso dei

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bambini alla nascita. 5) Innalzano i livelli di insulina in risposta a un carico glicemico. 6) Interferiscono con la risposta immunitaria, diminuendo l'efficienza della risposta delle cellule B e aumentando la proliferazione delle cellule T. 7) Riducono il livello di testosterone. 8) Inibiscono alcune reazioni enzimatiche fondamentali (come quella della d-6-desaturasi). 9) Modificano la permeabilità e la fluidità delle membrane cellulari. 10) Alterano la costituzione e il numero degli adipociti (cellule di deposito del grasso). 11) Interferiscono con il metabolismo degli acidi grassi essenziali omega-3. 12) Incrementano la produzione di radicali liberi.

In natura, molti oli o grassi esistono con una forma molecolare chiamata “cis”.

Quando questa molecola naturale di grasso ”cis” viene processata aggiungendogli gas idrogeno a temperature elevate (saturandolo in parte o in toto), diventa un grasso parzialmente o totalmente idrogenato, che cambia la sua struttura chimica in “trans”.

Infatti a causa della disposizione "trans", le molecole sono lineari e possono "impacchettarsi"

efficientemente tra loro.

La forma "cis", invece presenta un angolo (gli atomi di H sullo stesso lato provocano una distorsione della molecola) e le molecole non interagiscono tra loro altrettanto bene.

Tabella 6: processo di trasformazione industriale degli acidi grassi in acidi trans.

Questa differenza di forma della struttura è di grande importanza. Quando vengono mangiati, i grassi e gli oli sono incorporati nella membrana e i grassi idrogenati alterano la configurazione di queste delicate strutture.

Oltretutto, i grassi trans interagiscono con il normale metabolismo dei grassi, disturbandone la funzione in modo distruttivo.

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Quindi queste sostanze s’identificano pienamente con la definizione di “veleno”.

I grassi trans interferiscono con importanti funzioni, inibendo enzimi necessari al corpo per il normale metabolismo dei grassi e lo continuano a fare per molto tempo.

Quando mangiate un normale grasso cis, il vostro corpo ne metabolizza la metà in 18 giorni. Quando mangiate grassi trans, il vostro corpo impiega 51 giorni per metabolizzarne ugualmente mezza parte.

Questo significa che la metà dei grassi trans che mangiate oggi continueranno ad inibire sistemi enzimatici essenziali nel vostro corpo per 51 giorni!

Il benessere e l'effetto turbo delle fibre

Le fibre sono componenti fondamentali della nostra dieta e hanno diversi effetti benefici sul colesterolo, la glicemia, il diabete e anche alcune forme di tumore. In particolare hanno un ruolo molto importante nelle diete dimagranti perché aiutano la perdita di peso.

Le fibre assorbono, per così dire, i grassi e gli zuccheri che arrivano nell’intestino, limitandone o addirittura impedendone l’assorbimento. Queste sostanze necessitano di un maggiore

lavoro e di più tempo per essere assorbite dall’intestino. Il risultato di una dieta ricca di fibre è un più lento e/o minore assorbimento di zuccheri, un minore carico glicemico per il sangue e un effetto benefico per il metabolismo. In media si consumano molte meno fibre di quelle raccomandate, circa 20/25gr al giorno. Uno studio di Ludwig ha confermato che un individuo, che consuma più fibre, tende a dimagrire maggiormente e presenta un livello di insulina minore rispetto a chi, a parità di calorie giornaliere ingerite con l’alimentazione, assimila meno fibre. Anche per questo motivo una dieta deve essere ricca di fibre, oltre che priva di carboidrati o di grassi.

Le alterazioni insospettabili del metabolismo

Tra le diverse cause che portano a un'alterazione del metabolismo è necessario prendere in considerazione le seguenti: intossicazioni croniche, disbiosi o alterazioni della flora batterica intestinale, stress, intolleranze alimentari.

Le intossicazioni croniche che zavorrano il metabolismo

Per intossicazione cronica non si intende quel tipo di avvelenamento causato, per esempio, da un cibo

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avariato o da una sostanza contenuta in uno specifico pasto. Ma quello stato cronico, dovuto a tossine, che influisce sul corretto funzionamento dell’organismo umano tra cui anche il metabolismo.

Gli agenti che possono causare questo stato sono sia ambientali sia alimentari.

È il caso di tutte quelle situazioni di intolleranza alimentare che solo pochi anni fa non si presentavano così copiose. Oppure del dilagare di tutte le patologie dismetaboliche.

Il primo accusato in queste circostanze è sempre l’inquinamento. E nonostante i diversi allarmi provenienti da tutte le organizzazioni istituzionali e non, sembra dover sempre continuare a crescere nel nome dello sviluppo. Il primo tipo di inquinamento da esaminare è senza dubbio quello atmosferico, forse il più dannoso per noi uomini. Qui i combustibili utilizzati per ricavare l’energia, sono i primi incolpati (carbon fossile, idrocarburi del petrolio, ecc...). Questi producono il famigerato monossido di carbonio, gli idrocarburi policiclicici, gli ossidi di azoto e polveri quali: carbonati, solfuri, ecc...

Tutti questi inquinanti sono ben conosciuti da chi vive in zone urbane. E spesso, per le avverse situazioni

metereologiche, si assiste a veri e propri stati di allerta diramati dagli enti comunali che, alle volte, si concludono con il blocco della circolazione.

Ovviamente, essendo diffusi nell’aria, questi inquinanti vengono respirati e danneggiano prima di tutto le mucose e successivamente, col trascorrere del tempo, possono portare all’insorgenza di diverse patologie.

Non proprio secondario è l’inquinamento idrico. In proposito, in questo ultimo anno, abbiamo vissuto in diversi comuni italiani l’allarme arsenico.

Oltre a queste situazioni specifiche, non si può dimenticare lo sfruttamento delle acque da parte delle industrie e degli insediamenti abitativi nei pressi delle falde acquifere.

Si usano diserbanti, concimi, fertilizzanti agenti chimici, antiparassitari, direttamente o indirettamente, scaricati nelle falde acquifere che rappresentano il serbatoio da cui bevono gli animali e le piante che poi, in definitiva, mangiamo noi. Né ci si può dimenticare di tutti i pesticidi e di altre sostanze inquinanti, impiegate nella produzione alimentare. Dai pesticidi, diserbanti e antiparassitari nell’agricoltura; agli antibiotici e agli ormoni nell’allevamento; fino ai conservanti,

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coloranti, emulsionanti, additivi e altro, usati dalle aziende alimentari per vendere di più e spendere di meno.

Quello che, però, più ci interessa sottolineare è che tutte queste sostanze sono in grado di causare un'intossicazione cronica nell’organismo umano che blocca i processi metabolici. Ancora una volta la raccomandazione è di fare attenzione a ciò che si mangia, scegliendo di preferenza alimenti non manipolati, ma naturali, di provenienza certa e coltivati biologicamente.

Come limitare le tossine nel carrello della spesa

Oltre ad essere nutrienti, i cibi salutari devono essere anche sicuri e cioè non contaminati da batteri, privi di quantità nocive di pesticidi ed altre impurità. Negli ultimi anni si è assistito ad un incremento delle preoccupazioni relative alla sicurezza degli alimenti. Sempre più di frequente i titoli dei giornali ci avvertono di contaminazioni riscontrate nella carne, nell'insalata ed in diverse varietà di frutta e verdura, fino al clamoroso caso della mozzarella blu. La paura verso pesticidi tossici ed i potenziali pericoli derivanti da cibi

geneticamente modificati, è sempre più diffusa. I moderni metodi di coltivazione e di produzione degli alimenti, ci hanno permesso di avere una maggiore quantità di cibo a disposizione, a prezzi più convenienti. Questi metodi tuttavia, sono al centro di dibattiti in materia di sicurezza. Gli sforzi profusi per la massimizzazione dei raccolti hanno condotto a un utilizzo maggiore dei pesticidi sulle coltivazioni e all'uso di ormoni negli animali. Gli allevamenti animali sempre più affollati e la natura su ampia scala dei mattatoi e delle aziende nelle quali si produce cibo hanno incrementato la diffusione di batteri nocivi negli alimenti. L'usuale aggiunta di antibiotici ai mangimi animali, da parte degli agricoltori, ha dato origine a batteri resistenti al trattamento con farmaci. A dire la verità, la nostra catena alimentare è sicura. Ma potrebbe esserlo ancora di più. Il governo sta lavorando con agricoltori e mattatoi per promuovere l'adozione di maggiori precauzioni contro la diffusione dei germi. L'agricoltura biologica e sostenibile ed altre strategie, rappresentano una via per ridurre la necessità di fertilizzanti sintetici e pesticidi tossici, con un

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incremento, però dei costi. Allo stesso tempo, ci sono degli accorgimenti che possiamo adottare per scegliere, gestire e immagazzinare il cibo, in modo da ridurre i problemi di sicurezza. La minaccia nella sicurezza alimentare che oscura tutte le altre paure è rappresentata dalla contaminazione batterica, un problema che colpisce principalmente la carne, il pesce, i prodotti caseari ed alcuni prodotti freschi. I microbi che fino a qualche tempo fa erano pressoché sconosciuti, o considerati una fonte di preoccupazione minore, oggi causano milioni di casi di avvelenamento alimentare e migliaia di morti all'anno in tutto il mondo. La ragione fondamentale alla base della contaminazione alimentare è il fatto che la produzione e il confezionamento su ampia scala riguardano ormai grandi lotti di alimenti. Così, quando si verifica contaminazione, in ragione di alimenti destinati a diversi supermercati, ristoranti e mense scolastiche, essa interessa più cibi di quanto accadesse in precedenza. Il diffuso utilizzo di antibiotici nei mangimi alimentari è un altro fattore che concorre a tutto

ciò, poiché promuove l'insorgenza di agenti patogeni resistenti agli antibiotici. Questi germi resistenti originano negli animali e vengono poi trasmessi agli essere umani attraverso la carne, le uova ed altri alimenti. I cibi maggiormente esposti alla contaminazione sono la carne, il pollame, le uova o alimenti a base di uova, crostacei, pesce cotto a freddo come il salmone affumicato, i formaggi molli e i germogli dei fagioli. È possibile prevenire l'avvelenamento alimentare lavando la carne e cucinando attentamente i cibi prima di surgelarli. Questi accorgimenti, ciò malgrado, non garantiscono la sicurezza perché la contaminazione può diffondersi ad altri alimenti, che generalmente non ne sono soggetti, anche durante la consegna. Frutta, verdura e latte possono essere contaminati durante il trasporto insieme a carni o uova contaminate. I batteri principalmente responsabili di patologie correlate al consumo di alimenti sono: Escherichia coli (E. coli) nella carne macinata, e Salmonella in carne rossa e carne di pollo macinata. I consumatori possono svolgere il loro

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ruolo diventando consapevoli della natura dei problemi legati alla sicurezza in campo alimentare ed adottando accorgimenti che permettano loro di godere di tale sicurezza nella gestione e preparazione degli alimenti. Le fonti comuni di contaminazione includono quanto segue: E. coli. Una variante tossica di questo batterio, che si trova soprattutto nella carne macinata, provoca diversi casi di avvelenamento alimentare all'anno. Si tratta della causa più comune di insufficienza renale improvvisa nei bambini e può generare danno renale anche negli adulti. La contaminazione avviene durante la lavorazione della carne, quando il batterio presente nell'intestino dell'animale si mischia alla carne. Il danno è dovuto a una tossina nota come shiga, comunemente riscontrata nel sottotipo O157:H7. Salmonella. Questo batterio è riscontrabile specie in carne e uova, sebbene possa diffondersi successivamente in altri alimenti, come gelato e frutta, nel caso in cui questi vengano trasportati insieme a carne e uova contaminati. Uno studio pubblicato nel 2001 sul The New England Journal of Medicine ha evidenziato la

preoccupante situazione: il 20% di 200 campioni di carne di pollo, manzo, tacchino e maiale macinata, contenevano Salmonella. Particolarmente preoccupante è il fatto che l'84% dei campioni di Salmonella erano resistenti agli antibiotici e il 53% ad almeno tre antibiotici. Questo significa che oggigiorno, quando gli animali sono portatori di salmonella, e quando le persone contraggono la salmonella mediante avvelenamento alimentare, è più difficile trovare una cura, rispetto a quanto lo era in passato. Campylobacter. Questo batterio, di solito trasmesso dal pollame, è il motivo più comune di gastroenterite batterica, con migliaia di casi all'anno di diarrea, febbre, e crampi addominali. I ceppi resistenti agli antibiotici sono sempre più frequenti in ragione del diffuso utilizzo di antibiotici nei mangimi per polli. Nel 2007, la CDC ha riportato una crescente resistenza alla ciprofloxacina, un fluorochinolone, il farmaco antimicrobico più comune prescritto nei casi di infezione da Campylobacter nelle persone. La maggior parte dei casi di avvelenamento alimentare possono essere prevenuti mediante una adeguata preparazione e conservazione dei cibi. Tali

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accorgimenti aiutano ad uccidere i germi presenti nella carne e nelle uova che acquistiamo ed evitano l'introduzione di nuovi germi negli alimenti che abbiamo in casa. Il lavaggio degli alimenti permette di eliminare alcuni germi dalla carne, dal pollame e dal pesce, nonché di rimuovere pesticidi e residui dai prodotti. Sciacquare tutta la carne, il pollo e il pesce sotto acqua corrente prima di cucinarla è buona norma. È bene sciacquare anche tutta la frutta e la verdura sotto acqua corrente prima di cuocerla o di mangiarla. Un lavaggio frequente delle mani aiuta a prevenire il passaggio di germi da un alimento all'altro. Ogni volta che maneggi un alimento, lava le mani con acqua e sapone. Non pulirti le mani con uno strofinaccio senza aver prima lavato le mani. Non preparare carne e pesce sulla stessa superficie che utilizzi per altri alimenti, in questo modo eviti il rischio di contaminare questi alimenti con batteri della carne e del pesce. Utilizza un tagliere per carne e pesce ed uno differente per gli altri alimenti. Lava accuratamente il tagliere con acqua e sapone dopo ogni utilizzo. Utilizza coltelli differenti per ogni alimento in modo da evitare la contaminazione trasversale.

Cucina sempre tutta la carne, il pollo, le uova e il pesce di acqua dolce, evita di mangiarli crudi. Non basarti esclusivamente sul colore per assicurarti che la carne sia del tutto cotta. I diversi germi della carne richiedono temperature diverse per poter essere uccisi. Prima o dopo la cottura di qualsiasi alimento, assicurati di non lasciarlo a temperatura ambiente per più di due ore (un'ora se la temperatura ambiente è oltre i 30 gradi). Riponi l'alimento in un frigorifero o freezer. La temperatura all'interno del frigorifero dovrebbe essere di 4,5°C o inferiore. Il freezer dovrebbe essere impostato a -17°C. Se hai molti avanzi da conservare, dividili in porzioni più piccole e riponile nel frigorifero o in freezer. In questo modo, la temperatura di ogni porzione raggiungerà un livello di sicurezza in tempi più brevi. Ricorda che il surgelamento non uccide necessariamente i batteri. Dopo aver scongelato carne e pesce crudi, lavali accuratamente e procedi secondo le stesse modalità previste per carne e pesce fresco. I residui di pesticidi utilizzati per uccidere gli insetti, le erbe selvatiche e i funghi in alcune coltivazioni, sono

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presenti su molta frutta e verdura venduta al mercato. I test effettuati hanno evidenziato che la metà della frutta e della verdura messa in commercio contiene pesticidi. L'Agenzia per la Tutela Ambientale (EPA) afferma che molti di questi pesticidi sono noti o possibili cancerogeni. Le prove a disposizione suggeriscono inoltre che i pesticidi possono causare altri problemi alimentari, come un danneggiamento della funzione immunitaria o una riduzione della conta spermatica. Nessuno conosce con certezza la gravità della minaccia che questi pesticidi possono costituire per il consumatore. Le stime sono estrapolate dall'incidenza di patologie riscontrate fra lavoratori e ricerche condotte sugli animali. Ciò nonostante, una relazione della National Academy of Sciences, effettuata nel 1993, ha concluso che i bambini e i neonati sono più vulnerabili degli adulti ai pericoli dei pesticidi in quanto più piccoli. Inoltre consumano maggiori quantità di frutta, come per esempio mele, all'interno dei succhi di frutta. La domanda che ne consegue è: "Il cibo biologico è migliore?". Per poter essere etichettati come

"biologici", gli alimenti devono soddisfare alcune linee guida. In base a queste linee guida, nessuna sostanza chimica sintetica deve servire alla coltivazione dei prodotti e nemmeno essere usata per il trattamento degli alimenti dopo la raccolta. L'agricoltura biologica lascia meno residui di pesticidi rispetto all'agricoltura convenzionale: un dato sicuramente positivo per l'ambiente e per i consumatori finali. Bisogna ricordare, tuttavia, che anche gli alimenti biologici non sono del tutto privi di residui di pesticidi sintetici in quanto le sostanze chimiche possono persistere nel terreno per decenni. I cibi biologici sono quelli coltivati esclusivamente senza l'uso dei pesticidi più comuni, fertilizzanti a base di petrolio o acque di scolo, ingegneria genetica o radiazioni. Gli agricoltori biologici possono utilizzare fertilizzanti a base di letame, se questi soddisfano specifiche regolamentazioni. Se vogliono definire biologici la carne, le uova e i prodotti caseari, gli agricoltori non possono somministrare antibiotici o ormoni della crescita agli animali. Il bestiame deve essere nutrito con mangimi biologici che non contengono parti di altri animali macellati, e deve essere allevato in esterno.

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Ma come è possibile accertarsi di tutto ciò nel momento in cui acquisti prodotti più costosi etichettati come biologici? Dopo tutto, il cibo biologico, per lo più, non ha un aspetto differente da quello tradizionale. Le etichette, poi, non rispondono ad un'altra importante domanda: "Quanto è importante acquistare cibo biologico?". Gli esperti di nutrizione affermano che non vi sono prove certe sul fatto che il cibo biologico, in generale, sia più salutare per gli esseri umani. Le carni di natura biologica, però, sicuramente possano prevenire la diffusione di patologie come l'encefalopatia spongiforme bovina, meglio conosciuta come morbo della mucca pazza. Il bestiame allevato tradizionalmente può contrarre questa malattia attraverso il consumo di carne ed ossa di animali infetti. Gli animali allevati in modo cosiddetto "biologico", invece, non mangiando animali macellati, non sono esposti a questo tipo di patologia. Uno studio del 2002 ha evidenziato che i bambini che consumano frutta e verdura biologica presentano una quantità minore di pesticidi nelle urine rispetto a quelli che seguono un regime alimentare convenzionale. Ciò significa che quando i bambini consumano alimenti coltivati in modo

convenzionale, i pesticidi entrano in circolazione nel sangue e nell'organismo, per poi essere eliminati. Ciò nonostante, né questo studio, né altri studi condotti fino ad oggi, provano che i cibi biologici siano più salutari perché il livello di pesticidi riscontrati non è stato definitivamente correlato ad alcun rischio sanitario. Fino a quando non vi sono prove conclusive, la decisione di acquistare alimenti biologici è un problema di scelta personale: se vuoi mangiare cibi privi di sostanze chimiche o pesticidi, allora acquista vivande biologiche. In caso contrario, è utile sapere che il consumo di frutta e verdura coltivata tradizionalmente è comunque una scelta salutare. L'acquisto o meno di prodotti biologici, non deve servire a scoraggiarti dal mangiare molta frutta e verdura, malgrado le preoccupazioni relative all'uso dei pesticidi. La questione di fondo infatti è che i benefici salutari derivanti dal consumo di molta frutta e verdura, superano abbondantemente i rischi dovuti all'ingestione di pesticidi adoperati per la coltivazione di tali prodotti. Ecco alcuni modi per ridurre l'esposizione ai pesticidi:

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acquista prodotti di stagione, coltivati localmente. I prodotti coltivati in loco in piccole fattorie hanno meno probabilità di essere trattati con cere e pesticidi. Questi ritrovati chimici sono utilizzati per inibire la crescita di funghi su prodotti trasportati in lunghe distanze. La frutta e la verdura coltivata localmente è disponibile solo in stagione ed è più sana perché la produzione non è stata forzata. Quella che viene da lontano, di solito, non completa in maniera naturale il suo processo di maturazione. Per non rischiare che marcisca, viene colta ancora acerba e finisce in celle frigorifere in attesa della commercializzazione. La mancata maturazione naturale comporta una minor presenza di sostanze nutritive. Lava accuratamente frutta e verdura e quando è possibile rimuovi la buccia. Uno studio ha rilevato che lavare gli alimenti con una miscela di acqua e un detergente delicato, rimuovere la buccia e (per lattuga e cavoli) togliere le foglie esterne, elimina i residui di pesticidi nel 21% della frutta e della verdura. Il solo fatto di sbucciare alimenti come banane, carote e patate, permette di eliminare tutti i residui. Similmente, i cereali risultano essere privi di residui dopo essere stati sbucciati.

Nei cibi lavorati esistono essenze aggiunte. Gli additivi comprendono una vasta gamma di sostanze: vitamine e minerali che fortificano un alimento, conservanti che prevengono il danneggiamento dell'alimento, zuccheri ed altri aromatizzanti (naturali o artificiali) e coloranti inseriti per rendere l'alimento più appetibile. Forse ti starai interrogando sulla sicurezza di altri additivi, soprattutto quelli il cui nome sembra più adatto ad un corso di chimica che agli alimenti da mangiare. Gran parte degli additivi devono dimostrarsi sicuri prima di poter essere inseriti negli alimenti. Le eccezioni sono rappresentate da quelli che sono usati da più tempo e che non sembrano aver causato problemi. Questi additivi più vecchi vanno dallo zucchero, al sale, al nitrato di potassio, conservanti presenti nelle mortadelle. Alcuni additivi destano in ogni caso preoccupazione. Il nitrato e il nitrito di sodio contenuti nelle mortadelle, nei wurstel e nei pesci affumicati, generano, durante la cottura, piccole quantità di sostanze chimiche, dette nitrosamine, che causano il cancro. Ricerche condotte sugli animali suggeriscono che anche altri additivi possono causare cancro.

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Fra questi vi sono sei coloranti artificiali per alimenti (blu #1 e #2, verde #3, rosso #3, e giallo #6), due dolcificanti artificiali (saccarina e acesulfame K, noto anche come acesulfame potassico) e il bromato di potassio in prodotti a base di farina bianca. Altri additivi possono causare reazioni allergiche o avverse. Il glutammato monosodico (MSG), un esaltatore di sapidità, contenuto soprattutto nei dadi per brodo e nelle minestre pronte, può causare mal di testa, nausea e difficoltà di respirazione in alcune persone. Carminio e cocciniglia, coloranti artificiali derivati da insetti polverizzati, sono responsabili di una serie di reazioni allergiche che vanno dall'orticaria allo shock anafilattico. Sebbene altri additivi sembrino apparentemente sicuri, la presenza di una lunga lista di additivi alimentari, negli ingredienti di un qualsiasi cibo confezionato, è un segnale di avvertimento. È sempre meglio optare per un cibo con il minor numero di additivi possibili al fine di ridurre i rischi sulla salute. Le modifiche dei metodi di coltivazione e di produzione degli alimenti, portano con sé l'insorgenza di nuove problematiche di sicurezza alimentare. I moderni metodi di

coltivazione, per esempio, sono ampiamente responsabili della diffusione del morbo della mucca pazza. Certi passi tecnologici in avanti hanno il potenziale per combattere la contaminazione alimentare e ridurre la nostra paura verso i pesticidi tossici. Alcuni osservatori, tuttavia, suggeriscono che queste innovazioni possono porre nuovi rischi per la salute e l'ambiente. Riportiamo qui di seguito le questioni di sicurezza alimentari più pressanti. Cibi irradiati: numerose prove scientifiche hanno mostrato che l'irradiazione dei cibi è un modo sicuro ed efficace per distruggere i batteri e i parassiti presenti nei cibi. Attualmente esistono diverse tecnologie di irradiazione dei cibi, sebbene esse utilizzino tutte un fascio di energia, di solito elettroni o raggi x, che possono penetrare la superficie dell'alimento e uccidere i germi che incontrano lungo il percorso. La macchina a fascio di elettroni è simile ai macchinari che, negli ospedali, servono per sterilizzare le attrezzature mediche. Il macchinario a raggi-x è una versione più efficiente di quella usata negli studi dentistici. L'irradiazione può aiutare ad eliminare l' E. coli, la Salmonella, il

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Campylobacter ed altre comuni cause di contaminazione alimentare. Studi dimostrano che i cibi irradiati sono sicuri: il cibo non diventa radioattivo, non sviluppa sostanze pericolose, e mantiene inalterate le proprietà nutritive. La sicurezza di questa tecnologia è supportata dall'Organizzazione Mondiale della Sanità e dal CDC. Gli alimenti esposti all'irradiazione devono essere identificati con un simbolo internazionale chiamato "Radura". In futuro, l'irradiazione degli alimenti potrebbe diventare di routine come nel caso della pastorizzazione. Proprio come il latte pastorizzato, i cibi irradiati devono comunque essere maneggiati e stoccati in modo sicuro. In caso contrario, possono contaminarsi prima di raggiungere la nostra tavola. Ingegneria genetica: i cibi geneticamente modificati (OGM) sono il risultato di un processo di spostamento dei geni attraverso i confini genetici da una pianta o un animale, verso un altro per conferire a quest'ultimo determinati tratti. Vi sono diversi modi per alterare i geni nella flora e nella fauna. I metodi di allevamento tradizionali, comunque, continuano a rimanere efficaci per promuovere il contenuto nutrizionale degli alimenti.

La maggior parte dei cibi OGM presenti sul mercato sono stati manipolati sul piano agronomico, per resistere agli insetti o agli erbicida, e/o per ottenere benefici salutari. La National Academy of Sciences, nella propria relazione del 2004 intitolata Safety of Genetically Engineered Foods (Sicurezza dei cibi geneticamente modificati) ha concluso che sebbene la manipolazione genetica dei cibi non sia intrinsecamente pericolosa, essa può produrre modificazioni inattese nella composizione degli alimenti. La relazione raccomanda che i cibi OGM siano valutati caso per caso e richiede il continuo monitoraggio della popolazione per identificare eventuali effetti avversi sulla salute. Detto questo, i cibi OGM offrono diversi vantaggi e sono già molto diffusi. Alcune persone sono giustamente preoccupate del fatto che un allergene possa essere trasferito da un alimento all'altro durante il processo di manipolazione genetica. Ciò è già accaduto nel caso di un allergene proveniente da noccioline brasiliane che è stato inavvertitamente trasferito in piante di semi di soia. Questo è il motivo per il quale il governo richiede ai produttori di testare i loro cibi

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OGM per poter verificare gli allergeni. Morbo della mucca pazza: l'encefalopatia spongiforme bovina, o morbo della mucca pazza, è forse la patologia più preoccupante e letale arrecata dal cibo. Si tratta di una patologia neurologica fatale che colpisce le mucche adulte. Le persone che consumano carne derivante da questi animali infetti, possono contrarre una patologia similare detta malattia di Creutzfeldt-Jakob, anch'essa mortale. La diffusione del morbo della mucca pazza fra le persone è il risultato diretto di un allevamento insano, più specificatamente della somministrazione di mangime animale composto da carne e ossa macinate. I tessuti infetti, presenti nel mangime possono passare l'infezione al bestiame. Questa patologia è stata dapprima riportata nel Regno Unito nel 1986 e poi si è diffusa rapidamente negli anni seguenti, colpendo circa 1.000 animali alla settimana. La causa specifica della malattia non è un batterio e nemmeno un virus. Gli esperti ritengono che si tratti di un prione patogeno, una proteina presente naturalmente sulla superficie delle cellule cerebrali. La

malattia, che è incurabile, non si diffonde facilmente. In Gran Bretagna su 1 milione di persone infettate ne sono morte meno di 200. Tre casi di una variante della malattia di Creutzfeldt-Jakob, sono stati riportati negli Stati Uniti. Quanto detto in questi paragrafi dovrebbe essere sufficiente per capire come l’inquinamento alimentare è in grado di intossicare il nostro organismo fino a causare disturbi, disfunzioni ormonali, metaboliche e patologie.

Perchè lo stress blocca il metabolismo e fa crescere la

pancia? Tutti noi oggi ci sentiamo spesso stressati. Ma sappiamo veramente cosa significa questa parola e quali possono esserne le conseguenze? La concezione più famosa sullo stress, la si deve all’inventore stesso del termine: H. Selye. Egli scoprì che a causa di agenti esterni fra i più svariati, si mettono in moto, nell’organismo umano, sempre gli stessi meccanismi di autodifesa. O per la morte di una persona cara, o per un incidente, oppure per il troppo lavoro, o ancora a causa dell’inquinamento, i congegni di protezione propri dell’uomo sono sempre i medesimi.

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Selye scoprì una cosa assai importante. Se lo stato di sovraccarico, inteso come qualcosa di esterno capace di alterare l’equilibrio dell’organismo umano, si protrae a lungo nel tempo, i meccanismi di difesa "impazziscono" causando “danni” alle parti più “deboli” del corpo stesso. Da qui l’insorgenza di tutte le patologie che vengono fatte rientrare nella dicitura: malattie da stress. Selye, lavorando in una piccola azienda farmaceutica, apprese, quasi per sbaglio, che somministrando un farmaco a un gruppo di cavie e una soluzione fisiologica a un altro, in entrambi i gruppi di topolini, nei giorni successivi all’operazione, si notavano comportamenti individuali e sociali strani. Incuriosito da questa situazione, iniziò a studiare il fenomeno e si accorse che la causa dei comportamenti differenti era insita nella stessa operazione meccanica dell’iniezione della sostanza e non nel tipo di sostanza iniettata. In pratica si trattava di una specie di effetto placebo, ma c’era anche dell'altro. Selye notò che il solo fatto di essere prelevati dalla gabbia, sottoposti a iniezione, se pur di una soluzione fisiologica, causava di per sé un carico

emotivo e psicologico nelle cavie, tale da giustificare i bizzarri comportamenti successivi. L'esperimento venne poi ripetuto, esponendo le cavie a temperature basse, piccole ferite, temperature elevate e altri agenti stressanti. Il risultato era sempre lo stesso: le cavie si stressavano e, di conseguenza, avevano comportamenti insoliti.

Perciò non è lo stress che, di per sé, è nocivo, ma il suo protrarsi per lunghi periodi. Infatti più risulta prolungato lo stato di stress e più vi è la possibilità di malattie. Il nostro organismo reagisce ad agenti stressanti con un meccanismo di difesa che mette in moto ormoni, attiva l’ipotalamo, l’ipofisi, il cortisone, le ghiandole surrenali, il sistema immunitario e gli organi immunocompetenti. Se questo sistema di difesa viene a sua volta posto sotto stress, con una stimolazione protratta nel tempo, è come se implodesse in se stesso.

Le conseguenze, poi, sono del tutto soggettive e dipendono da quelli che possiamo definire “le parti deboli” di ogni singolo organismo umano. Si potrà parlare di cefalea, esagerato nervosismo, colite, dermatiti, asma, ma anche di malattie metaboliche ed eccessivo aumento di peso.

Uno degli effetti immediati dello stress

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è quello sul metabolismo. Il nostro sistema nervoso si attiva di fronte a ciò che percepisce come una minaccia, un pericolo o una sfida impegnativa. Nei casi citati, alcuni ormoni come adrenalina e nor-adrenalina preparano l’individuo a lottare o fuggire perché liberano nel sangue il glucosio immagazzinato nel fegato e nelle fibre muscolari.

È una reazione del tutto appropriata di fronte a minacce acute, concrete e temporanee: un animale feroce, una tribù ostile, un incendio.

Se dovessimo trovarci a tu per tu con una bestia inferocita questo sistema ci permetterebbe di adoperare istantaneamente le migliori fonti energetiche disponibili: come una vettura bi-fuel che deve sfuggire ad un inseguimento noi passeremmo istantaneamente dal diesel (acidi grassi) alla benzina super (glucosio).

Il sistema è molto efficace, ma il problema è un altro. Negli ultimi diecimila anni il nostro organismo è rimasto identico, mentre il contesto in cui viviamo, e i pericoli che lo popolano, sono completamente mutati. Ecco che allora gran parte degli stressor che ci affliggono non sono più concreti e transitori. Transitori in quanto il processo per il quale si sopravvive o si soccombe alla bestia

inferocita dura comunque pochi istanti. Al contrario, le sfide odierne sono quasi sempre relazionali, permanenti ed immateriali: l’esame, il professore, la suocera, la recessione, la paura verso il futuro. La gara sportiva, ben lo sanno gli atleti che “soffrono” di ansia pre-agonistica, è il tipico esempio di questo genere di stressor. L’organismo degli atleti reagisce alla prospettiva di dover competere come se la persona fosse costretta a calarsi nella gabbia di una tigre affamata. Ne consegue: insonnia, tachicardia, tensioni muscolari, frequente bisogno di evacuare, ma anche modifiche del metabolismo! Così le preziose molecole di glucosio stoccate nell’organismo sotto forma di glicogeno con religiosa devozione grazie agli allenamenti, vengono consumate e bruciate ben prima che lo starter abbia dato il via. È come se uno facesse improvvisamente dei falò quando fa ancora caldo con la legna accumulata per l’inverno. Con il risultato che quando la legna serve, è finita (ovvero -fuor di metafora- il glicogeno termina molto ma mooolto prima). Reagire modificando il metabolismo in questo caso non solo è inutile, ma è anche controproducente.

Il problema, però, è che il nostro organismo non ha ancora imparato a

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distinguere le reazioni appropriate ai vari tipi di stress. E non lo farà da solo presumibilmente per i prossimi duecentomila anni.

Sta a noi fare questa distinzione. È compito nostro governare questi processi. L’esame non è la gabbia della tigre. E nemmeno lo è la gara sportiva. Quindi il lavoro da fare in questo caso è ridare a ogni problema il suo vero peso.

Ciò che è rilevante, è che le reazioni inappropriate hanno un prezzo: una persona stressata, che reagisce allo stress in modo sproporzionato fa sì che ciò che veniva prevista come una situazione eccezionale diventi la norma.

Per limitarsi all’argomento di questo lavoro, l’aspetto metabolico, accade che nel sangue di una persona stressata si trovino livelli di glucosio stabilmente più alti del normale. La conseguenza patologica potrebbe essere la sindrome metabolica, anticamera del diabete e fattore di rischio per malattie cardiache, come abbiamo visto in precedenza.

L’uso inappropriato delle nostre difese naturali porta alla malattia. Quello della sindrome metabolica è ovviamente solo un esempio delle tante conseguenze legate al fatto di reagire in maniera sbagliata allo stress.

La sindrome metabolica è caratterizzata da un quadro clinico che include: obesità addominale, dislipidemia aterogenica (cioè valori anomali dei lipidi nel sangue), pressione sanguigna elevata, resistenza insulinica (con o senza intolleranza al glucosio), predisposizione alle trombosi e agli stati infiammatori. L’esito successivo è lo sviluppo del diabete.

Ci sono moltissimi studi che dimostrano come l’insorgenza del diabete sia legato, oltre che ad abitudini alimentari inappropriate anche alla gestione inefficace dello stress (in particolare quello psicologico). Tra i più significativi bisogna citare uno studio compiuto nel 2005 dal Dr. Peter Wiesli dell’University Hospital di Zurigo in cui è stato dimostrato come un episodio di stress psicologico rallenti significativamente il metabolismo degli zuccheri nei pazienti diabetici.

Inoltre esiste la dimostrazione della relazione tra abitudini alimentari inappropriate e bassa capacità di gestire lo stress.

Non solo perché lo stress aumenta la produzione di nor-adrenalina, che a sua volta inibisce il CRH, l’ormone che è tra i maggiori responsabili del senso di sazietà. Ma anche perché il disagio da stress spinge a comportamenti nutrizionali inadeguati. Lo scopo di tali

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atteggiamenti sta nel ricercare un effimero e momentaneo benessere emozionale attraverso una vera e propria “manipolazione” biochimica del cervello. Si parla in queste situazioni di “fame nervosa o emotiva”.

Non stiamo descrivendo comportamenti legati alla tossicomania o all’abuso di psicofarmaci, bensì cose molto più consuete e quotidiane che tutti ben conosciamo, anche se non ne realizziamo a fondo le ricadute biochimiche.

Anni fa, un celebre libro di William Dufty aveva lanciato l’allarme sulle forme di dipendenza psico-fisica dagli alimenti basati sullo zucchero. L’assunzione massiccia di cibi molto zuccherati e il conseguente intervento dell’insulina favoriscono la produzione a livello cerebrale di serotonina e di beta-endorfine. Si tratta di mediatori cerebrali in grado di non farci sentire il dolore, e di donarci una sensazione di euforia e onnipotenza, compensativi delle frustrazioni e dello stress appena ricevuti.

Quanto più la persona è debole, incapace di elaborare lo stress e vulnerabile, quanto maggiore sarà la tentazione di innescare il meccanismo: + zucchero + alta glicemia + insulina + serotonina ed endorfine + senso di benessere.

Ciò porta ad un circolo vizioso dove il rischio è quello di sviluppare modificazioni patologiche del metabolismo.

La disbiosi e un intestino pigro, alleati nell'ostruire il buon

metabolismo

L'eccesso di grassi e proteine nella dieta può determinare uno squilibrio a favore di specie batteriche che promuovono la putrefazione, con aumento di gas intestinali; così come una dieta troppo ricca di zuccheri causa iperfermentazione intestinale con conseguente sviluppo di gas e di lieviti come la "Candida". Il ridotto contenuto di fibre della dieta attuale (che rende il colon flaccido, cioè con pareti deboli) e il ristagno di materiali di rifiuto (che esercita una pressione contro la parete del colon) determinano la formazione di piccole sacche, i cosiddetti DIVERTICOLI, punti in cui il colon inizia a cedere. La presenza dei diverticoli che si chiama DIVERTICOLOSI è una grave patologia per la salute dell'individuo. Infatti, il contenuto intestinale può ristagnare in queste sacche a fondo cieco e, dato che la muscolatura del colon non riesce a svuotarle completamente, queste possono

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infettarsi causando dolore, febbre ed ostruzione intestinale. La presenza di adeguata quantità di fibra nella dieta è quindi essenziale per prevenire tale patologia. Anche la stitichezza, che provoca il ristagno dei materiali di rifiuto nel colon, può contribuire alla formazione dei diverticoli. In soggetti predisposti alla stitichezza, che non osservino una dieta adeguata, e in persone anziane, le feci che ristagnano nel colon possono formare per progressiva disidratazione i fecalomi, cioè masse conglomerate che la normale peristalsi non riesce a far evacuare dall’intestino. La pressione esercitata da un fecaloma rigido sulle pareti intestinali può causare dolori lancinanti, e addirittura indurre un’occlusione intestinale. Quasi sempre tale massa deve essere tolta meccanicamente o, in casi estremi, chirurgicamente. Tale ammasso di feci è da prevenire con norme dietetiche ed igieniche adeguate. Ulteriori problemi possono insorgere se, per assunzione di antibiotici e/o consumo eccessivo di zuccheri, si ha un aumento dei lieviti come la Candida, comunemente presente, come saprofita, nel tratto digerente e sulle mucose dell’uomo. Il genere Candida include oltre 80

specie, tra le quali la più importante nella patologia umana è la CANDIDA ALBICANS. Quando avviene la colonizzazione del tratto digerente da parte della Candida, la forma di questo microrganismo varia da blastospora a micelio. Quest’ultima è caratterizzata da ife, specie di radici che possono infiltrarsi nella parete intestinale, creando degli spazi nella mucosa. La diffusione del lievito avviene tramite il suo passaggio nella circolazione sanguigna, per alterazione della mucosa stessa provocata da enzimi e tossine litiche, prodotte dal fungo stesso. Le infezioni da lieviti sono, nell’ambito della patologia umana, le micosi più frequenti e talora gravi, in particolare per i soggetti leucemici e per quelli sottoposti a chemioterapia e radioterapia. Reckeweg, il padre dell'omotossicologia, ha definito come "Sindrome da aumentata permeabilità intestinale" la perdita della perfetta tenuta della mucosa, dovuta alla dilatazione dell'intestino provocata da gas intestinali, all'azione dei radicali liberi e alla candida. Tale sindrome permette il passaggio nel sangue di sostanze nocive, che entrano in circolo senza un'opportuna selezione da parte della mucosa intestinale, e scatenano nell'organismo reazioni immunitarie ed infiammatorie. Per molti naturopati colite,

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diverticolosi, allergia ed intolleranze dipendono da squilibri intestinali. Per riacquistare una buona salute bisogna quindi ripartire dall'intestino e dall'alimentazione quotidiana, inserendo preparati probiotici e alimenti prebiotici che forniscono il substrato nutritivo ai batteri benefici della flora intestinale. Il giusto equilibrio (EUBIOSI) tra i batteri presenti nell'intestino è quindi alla base di una corretta funzione intestinale. Diete errate, assunzione di farmaci, stress, scarsa attività fisica, cattiva respirazione alterano il rapporto tra le colonie batteriche che popolano il nostro intestino e causano DISBIOSI. Si può diagnosticare la disbiosi con un semplice test sulle urine, in cui si rileva la presenza di "indacano" e "scatolo" prodotti che si formano dalla tra-sformazione del triptofano ad opera di batteri intestinali, e che non devono superare certi valori. Per quanto poi ci riguarda più direttamente, una situazione di disbiosi, induce anche fenomeni dismetabolici che potrebbero essere trattati semplicemente con una giusta dieta.

Le intolleranze alimentari che gonfiano e come riconoscerle

Le intolleranze alimentari si concretizzano nell'incapacità, da parte

dell’organismo, di metabolizzare alcune sostanze provenienti e contenute nel cibo ingerito. Questa incapacità, da parte degli enzimi deputati a svolgere tale lavoro, spesso è congenita ma può anche svilupparsi nel tempo. Tale tipo di intolleranze alimentari sono, in realtà, molto numerose e possono determinare un discreto numero di patologie del metabolismo causando il sovrappeso.

Spesso sentiamo dire da un’amica, che volendo perdere peso si è recata da un nutrizionista, che è riuscita a dimagrire semplicemente eliminando latte e yogurt, oppure pasta e pane.

Alle volte, ma qui bisognerebbe conoscere la storia del singolo soggetto, il dimagrimento è dovuto alla eliminazione del cibo a cui si è intolleranti e al venir meno dei fenomeni di intossicazione, piuttosto che a una dieta ipocalorica.

In questi casi, una dieta ben fatta che controlli i fenomeni di intolleranza alimentare e che abbia lo scopo specifico di annullare l’aspetto infiammatorio e il segnale di pericolo trasmesso all’organismo, ha come diretta conseguenza quella di inviare un segnale deciso di attivazione del metabolismo.

Purtroppo, il fenomeno delle intolleranze alimentari e le dirette

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conseguenze, è tutt’oggi troppo sottovalutato o confuso. Basti pensare che si può stimare che 3-4 persone su 10 hanno in atto una situazione infiammatoria da intolleranza alimentare senza saperlo. Le stesse definizioni e differenze tra allergia e intolleranze non sono state ancora ben decise e proposte dalla medicina. È, però, importante dire che, in caso di allergia, la reazione si ha istantaneamente, come avviene nell’orticaria quando per esempio si mangiano delle fragole. Mentre per quanto riguarda le intolleranze la reazione si può manifestare fino a 72 ore dopo e soprattutto è collegata a cibi di cui si fa uso abitualmente.

Il primo corollario di quanto appena asserito è che non si può parlare di intolleranza se non rispetto a cibi di cui si fa un uso quotidiano o quasi.

Per esempio non si può sostenere di essere intolleranti alle ostriche, a patto che non si abbia la fortuna di poterle mangiare abitualmente tutti i giorni.

Possiamo con certezza affermare di essere in presenza di un'intolleranza alimentare, nel caso in cui eliminando completamente un cibo dall’alimentazione quotidiana, si verifica la scomparsa del sintomo o della malattia (compreso il sovrappeso).

Ci si trova, invece, di fronte a una allergia quando, nel sangue, viene trovato un eccesso di immunoglobuline (IgE). Queste, in presenza dell’allergene, sia esso latte piuttosto che polline, si agganciano ad alcuni globuli bianchi, provocando la liberazione di istamina e a sua volta l’infiammazione o la patologia. Come succede nei casi di stress, anche per le intolleranze la sintomatologia cambia da persona a persona e probabilmente è diretta conseguenza del proprio genoma. Così alcuni individui avranno uno specifico organo più “debole” che sarà colpito dal fenomeno di intolleranza. Mentre altri verranno danneggiati in organi differenti.

La prima domanda da porsi, in caso di sovrappeso che si suppone causato da una intolleranza, è se i sintomi, eliminando gli alimenti sospetti, spariscono o almeno migliorano notevolmente.

Se, seguendo la procedura in maniera corretta, la risposta a tale quesito è affermativa, allora si è con buona probabilità davanti a un fenomeno di intolleranza.

Per guarire dalle intolleranze è sufficiente eliminare il gruppo di cibi identificato correttamente per 4-6 settimane, far disintossicare l’organismo e poi reintrodurre gli alimenti incriminati. A questo punto,

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l’organismo disintossicato, dovrebbe essere in grado di metabolizzare le sostanze che precedentemente causavano l'intossicazione.

Il vero problema in questi casi, è individuare il corretto metodo diagnostico e non fermarsi ai soli esami classici per le allergie alimentari. In questa prospettiva, uno dei test che ha dato maggiore attendibilità, circa 80-85%, è il test citotossico che si svolge facilmente in laboratorio con un piccolissimo prelievo di sangue.

Individuati gli alimenti incriminati, bisogna stare attenti a eliminare tutti i gruppi alimentari che contengono tale sostanza. Per esempio in presenza di una intolleranza al latte, è necessario eliminare gli yogurt, i formaggi e tutti i derivati diretti, ma anche tutte le carni che fanno parte dello stesso “gruppo alimentare”, quindi manzo, vitello, agnello e ovviamente torte, gelati, biscotti, ecc…

Oltre il test citotossico si può ricorrere anche alla dieta ad esclusione di Rinkell che prevede, come indica il nome, l’esclusione dell’alimento incriminato e di tutti quelli appartenenti a tale gruppo. Questo secondo metodo è consigliabile quando si ha un alimento “sospetto”, altrimenti si brancola un po’ nel buio e i tempi rischiano di allungarsi di molto.

Le buone usanze per dimagrire automaticamente

La tua migliore amica mangia pizza tutto il giorno ed ha un fisico tale che tutti gli uomini si girano appena passa? Mentre tu stai sempre a dieta ma non scendi nemmeno di un etto?

Bene, questa è la classica situazione che descrive la vera differenza che esiste tra una persona che ha un metabolismo ben funzionante e una persona che invece se lo ritrova lento, “per colpa” dei genitori e “per colpa“ delle sue abitudini.

La buona notizia, come abbiamo visto, è che la componente genetica del metabolismo è solo una parte dell’intera torta. Possiamo quindi agire con forza e determinazione sugli altri fattori che causano il tasso con cui il nostro metabolismo brucia le calorie assimilate con l’alimentazione. In questa sezione ci occuperemo di analizzare le principali abitudini che “si dice” accelerino il metabolismo. Tralasceremo per il momento gli alimenti e ci occuperemo solo di abitudini tipo: fare colazione, allenarsi con i pesi, mangiare ogni quattro ore, ecc…

Identificare quei trucchi che permettono di mantenere elevato il metabolismo o di farlo ripartire, è di

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fondamentale importanza, visto che tutti quanti prima o poi, con il passare dell’età, ci troveremo ad avere a che fare con un metabolismo più lento di prima. Già, con l'avanzare dell’età, il metabolismo rallenta. Comincia dal venticinquesimo anno, dove perde più o meno il 5% e procede inesorabilmente con l’aumentare degli anni. Si può stimare, in media, che un individuo, nel corso della sua vita, perde circa dal 20% al 40% della forza ossidante originale del suo metabolismo.

Una colazione da rè: varia, immancabile e gustosa

Saltare la colazione è una delle peggiori abitudini alimentari, che porta a lasciare a digiuno l'organismo fino a 16 ore (dalla cena al pranzo del giorno seguente).

Purtroppo, molto spesso ci si lascia trarre in inganno dall'illusione di aver ridotto le calorie introdotte, pensando così di poter perdere peso o mantenersi 'in linea'.

Niente di più sbagliato e falso. Partiresti con l'auto per un viaggio di un'intera giornata con il serbatoio di benzina vuoto o semivuoto? Insomma è proprio al mattino che l'organismo necessita di assumere i nutrienti fondamentali per cominciare la nuova

giornata lavorativa, di studio o comunque attiva.

Il caffè bevuto frettolosamente al bar, magari con 3-4 bustine di zucchero e accompagnato dal cornetto, gustosissimo al palato ma non ottimale dal punto di vista nutrizionale, non bastano. O meglio non sono adatti a coprire questo fabbisogno, semplicemente perché offrono troppi carboidrati 'semplici' ad alto indice glicemico (zuccheri) ed una quota eccessiva di grassi, di cui una buona percentuale saturi, come viene indicato in tabella:

Tabella 7: valori nutrizionali di un cornetto semplice.

Naturalmente la tabella si riferisce al cornetto semplice 'vuoto'. Aggiungendo creme varie all'interno, aumenta vertiginosamente la quota di calorie,

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grassi e zuccheri. Inoltre, data l'estrema 'leggerezza' del cornetto, in termini reali di peso, circa 40g, sarà molto difficile raggiungere anche un minimo senso di sazietà. Così facendo si costringe l'organismo ad un deficit calorico (benché ad un carico di grassi saturi) e a un calo del rendimento psico-fisico, salvo poi ritrovarsi a sgranocchiare qualche snack ipercalorico magari solo dopo un'ora! Ma qual è allora la colazione ideale?

Ce ne sono molteplici, da quella tipicamente salata 'americana' (non male se fatta con un certo criterio) a quella inglese, per giungere a quella italiana a cui siamo avvezzi fin da piccoli: latte e caffè o cacao; biscotti o fette biscottate con marmellata. Quest'ultima potrebbe rappresentare proprio la colazione ideale per una persona comune.

Tuttavia, la tipologia di colazione che è consigliabile è un po' diversa:

1. latte di mucca parzialmente scremato o yogurt (scremato o parzialmente scremato);

2. cereali integrali (tipo fiocchi di riso e frumento integrali);

3. caffè o orzo; 4. un frutto o una spremuta di

frutta.

Il latte o lo yogurt, quest'ultimo indicato in caso di intolleranza al

lattosio, sono alimenti basilari per qualsiasi regime alimentare. Infatti sono ottimamente bilanciati dal punto di vista nutrizionale sia come contenuto in carboidrati, proteine, grassi, vitamine e sali minerali importantissimi, quali il calcio, sia come apporto calorico (circa 46kcal per 100g).

I cereali integrali, come frumento, riso, mais, avena, segale e orzo, sono fonti importanti di sostanze nutritive e fito-protettive, di cui l'alimentazione degli Europei è piuttosto povera. Oltre alle fibre alimentari, di tipo solubile o insolubile, a seconda del cereale, essi contengono anche ottime quantità di sostanze che hanno effetti benefici sulla salute, come la vitamina E, diverse vitamine del gruppo B, numerosi minerali come ferro, magnesio, zinco, selenio e vari composti fitochimici protettivi. In più, essendo 'integrali', aggiungono alla funzione di regolarizzare l'intestino, un maggior senso di sazietà e vantano anche un indice glicemico piuttosto basso rispetto ai comuni biscotti o farinacei semplici. Quest'ultima proprietà garantisce un rilascio più lento degli zuccheri nel sangue, favorendo una quota di energia meglio distribuita nell'arco della mattinata.

Caffè o Tè: non comportano nessun apporto calorico. Ed il tè, che contiene

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molti antiossidanti, favorisce la riduzione del rischio cardiovascolare. Entrambe le bevande hanno funzioni eccitanti, perciò sono da consumare con moderazione.

Frutta o spremuta: è ricca di carboidrati a basso IG (fruttosio), fibre, vitamine varie (A, B, C..), sali minerali, antiossidanti ecc..

Naturalmente questo tipo di colazione è difficilmente fattibile nel solito bar, dove la si consuma generalmente di fretta e magari in piedi. È buona regola prepararsela a casa al mattino, sedersi comodamente per 10 minuti e consumarla con calma. A chi controbatte sostenendo di: "Non avere abbastanza tempo perché bisogna scappare al lavoro", bisognerebbe rispondere che non sarebbe in fondo un sacrificio impossibile mettere la sveglia 10 minuti prima del solito, impiegando tra l'altro lo stesso tempo speso al bar. Risparmiando quei 2,00 euro che non fanno male alle tasche, soprattutto si finirebbe col guadagnare in qualità, benessere ed energia.

Il vecchio proverbio: “A colazione mangia come un re, a pranzo come un principe, a cena come un povero” ha un fondamento scientifico. Il nostro organismo, nonostante sia in modalità “riposo”, rimane attivo anche durante il sonno. Respiriamo, recuperiamo le forze e mettiamo in moto tutta una

serie di meccanismi che hanno bisogno di energie.

Al risveglio, quindi, abbiamo consumato calorie che vanno, in modo sano, reintrodotte. Mangiare subito dopo il risveglio aiuta a riportare la glicemia nel sangue a livelli ottimali, accelera il metabolismo e lo rende stabile per tutto il resto della giornata. Facendo colazione tutte le mattine, si rimane più facilmente in forma e pieni di vitalità, oltre che più in salute.

Prendersi il giusto tempo dopo cena prima di dormire

Che dormire sano e bene aiuti a dimagrire e a mantenere il proprio peso forma, è un dato che la scienza ormai ha avvalorato.

Si stima che chi ama il proprio corpo, o chi è intenzionato ad accelerare il proprio metabolismo dovrebbe dormire dalle 6 alle 8 ore per notte: questo aiuterà a diminuire i livelli di stress che quotidianamente, per un motivo o per un altro si accumulano, e dunque favorirà i regimi alimentari dietetici ed il miglioramento dello status del proprio metabolismo.

Il consiglio per gli iperattivi che proprio non riescono a dormire tanto a lungo per notte, è quello di andare a letto prima del solito, cercando di vivere il sonno come un momento di

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benessere e di tranquillità. Cioè come una coccola da regalarsi quotidianamente, evitando, durante la giornata le cause dello stress o ammorbidendolo con pratiche di meditazione o con lo yoga.

È però vero che per dare una scossa al proprio metabolismo, non è sufficiente migliorare solo la qualità e la quantità del proprio sonno.

Un errore, drammaticamente comune a molti che vorrebbero allenare il proprio metabolismo e migliorare la propria educazione alimentare, è quello di consumare cene troppo abbondanti ed impegnative, concluse le quali ci si trasferisce immediatamente a letto.

Il risultato sarà facilmente immaginabile: sogni agitati, pesantezza e aumento di peso la mattina seguente, ansia, demotivazione e disagio.

Il consiglio della scienza è appunto quello di non andare mai a letto subito dopo i pasti. Specie se si tratta della cena. Tuttavia sarebbe bene mettere in pratica il suggerimento anche per il pranzo se si è abituati a fare un pisolino pomeridiano.

Pur rimanendo invariato il valore delle sostanze nutritive introdotte e dunque anche il loro apporto calorico, il livello di attività cui è sottoposto il fisico di chi si addormenta subito dopo i pasti, e

di chi lascia trascorrere alcune ore prima di farlo, cambia in maniera rilevante.

Il sonno influisce notevolmente sui processi digestivi, rallentandoli e rendendoli meno efficienti e il fisico risponderà nel peggiore dei casi con degli indesiderati e fastidiosi gonfiori addominali.

Una digestione rallentata inoltre richiederà una quantità di ore superiore per essere portata a termine, e la quasi totale inattività fisica non consentirà di bruciare gli eventuali grassi ingeriti.

Per aggirare il problema è sufficiente seguire le semplici indicazioni elencate di seguito, dettate per lo più dal buon senso.

A) Non consumare la cena troppo tardi. L’ideale è cenare non oltre le 20,00 per lo meno se si è soliti coricarsi non oltre le 22,30. B) Mai coricarsi immediatamente dopo i pasti. È buona norma lasciar trascorrere almeno due ore. In quel lasso di tempo potranno attivarsi ed eventualmente concludersi le fasi salienti del processo digestivo. Il risultato sarà una buona qualità del sonno, sogni tranquilli, e assenza dello sgradito gonfiore addominale il giorno seguente. È scientificamente dimostrato che chi dorme poco e male, ha la

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fastidiosa tendenza ad ingrassare dato che i livelli di leptina, ormone proteico con un’importanza notevole in fatto di regolazione dell’ingestione e del consumo calorico, non sono sotto controllo. C) Praticare una leggera attività fisica dopo i pasti. Nelle belle serate estive ci si potrebbe dedicare a una passeggiata rilassante. Ciò semplificherà e renderà più rapido il processo digestivo e aiuterà inoltre lo smaltimento di eventuali quantità di grassi ingeriti durante il pasto. D) Mantenere regolare il proprio bioritmo, semplicemente rispettando (quando possibile), orari e tempi dei pasti e del riposo, specie se si desidera dimagrire o educare il proprio metabolismo. Non è una novità, ma ripeterlo non farà certo male: vivere una vita sregolata e priva di orari mal si concilia con i regimi alimentari dietetici. E) Consumare delle cene leggere. Tutto questo è facilmente realizzabile per chi è abituato a nutrirsi, durante la giornata, di piccoli pasti: almeno 5 e fino ad un massimo di sei. Questo non solo sarà d’aiuto al metabolismo imponendo anche all’apparato digerente d’essere sempre in azione, ma consentirà anche di avere una riserva di energia sempre a

disposizione. Inoltre, vantaggio non da poco, consentirà di non arrivare alla cena con una fame da orchi, cosa che spesso capita a chi addirittura salta i pasti principali. Chi mangia molto, specie di sera, non potrà che avere un effetto negativo poiché non farà altro che rallentare il proprio metabolismo. Si comprende facilmente perché, per essere realmente efficace, una dieta non solamente dovrà proporre giorno per giorno i cibi da assumere, ma dovrà anche sottolineare l’importanza dei tempi e della regolarità dei pasti. Aiuta avere un menu settimanale pianificato, che di norma semplifica il raggiungimento degli obbiettivi imposti.

Per chiudere l’argomento è indispensabile dare ulteriori consigli in relazione alla tipologia di cena che meglio si adatta a regimi alimentari dietetici.

- Bere uno o due bicchiere d’acqua prima di cena. Questo regalerà una sensazione di sazietà e aiuterà ad aggirare il pericolo “abbuffata”. - Prediligere i cibi ricchi di triptofano, aminoacido che aiuta il sonno. È contenuto nella banana, nei latticini, nel riso integrale, ma anche nelle lenticchie, nel mais e nello zenzero. - Farinacei sì, ma senza esagerare. I

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carboidrati non sono nemici del sonno e si assimilano rapidamente, hanno un effetto calmante e facilitano un riposo tranquillo. - Le proteine contenute nella carne, nel pesce e nelle uova sono meno consigliate perché hanno l’effetto di aumentare il riscaldamento corporeo e dunque di stimolare il risveglio. - Latte caldo e miele, invece, hanno un effetto soporifero, dato che sono alimenti ricchissimi di triptofano e di zuccheri calmanti. - Credere che i dessert, indistintamente, appesantiscano è sbagliato Se è previsto dalla dieta ipocalorica che si segue, si potrà optare per un cream caramel, per una banana o per un quadratino di cioccolato fondante e i bei sogni saranno assicurati. Sono alimenti ricchi di triptofano, che incentivano la produzione di serotonina, e quindi ben si adattano con i dolcissimi sonni. - Bere una tisana prima di dormire. Fra le più consigliate quelle alla camomilla, alla melissa, al biancospino e alla malva, alla passiflora o al tiglio. Niente male anche un bel decotto di bucce di mele. Insomma una serie di pareri facili da seguire, che aiutano non solo il

miglioramento del metabolismo, ma anche il dimagrimento e il benessere fisico e mentale. Basterebbero perciò solo due ore tra il momento in cui si è finito di consumare la cena e il momento in cui ci si sdraia sul letto, per avere dei rilevanti benefici in termini di consumo calorico e quindi di peso corporeo.

Nessuna dieta: ben cinque pasti al giorno!

Allenare il proprio metabolismo non è certo un’impresa semplice. Tanto più che di norma i tentativi sono sporadici e poco costanti, concentrati soprattutto nei periodi in cui si segue una dieta ipocalorica per il raggiungimento del peso forma.

È piuttosto la costanza l’arma vincente. La voglia di imparare a mangiare sano ogni giorno è una necessità da non sottovalutare. Specie se si considera che esistono dei segnali che quotidianamente possiamo inviare al nostro metabolismo per accelerarlo e dunque per mantenerlo in un certo senso “sveglio”.

La prima indicazione e forse anche la più valida è rappresentata, come già accennato, dalla necessità di distribuire equamente i pasti (dai cinque ai sei) all’interno della giornata. Segue l'esigenza di praticare

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moderatamente, ma costantemente attività fisica. È di fondamentale importanza anche avere un controllo attivo sui picchi glicemici. Il che consentirà una giusta produzione e modulazione di insulina. Infine sarà necessario adeguare, tramite una dieta corretta, l’apporto quotidiano di proteine. Sono tutte attenzioni semplici da seguire che in breve tempo possono regalare vantaggi evidenti a livello metabolico, fisico e perché no, anche mentale.

I segnali che attraverso l’alimentazione di ogni giorno lanciamo al nostro organismo devono essere chiari e tutti interpretabili nell’immediato dal nostro metabolismo. Conoscere il significato di questi messaggi consentirà di dialogare coscientemente con il proprio corpo.

Sottovalutata per mancanza di tempo o per sbagliate abitudini, la colazione è una fase importantissima della giornata. Lo si ripete spesso, ma di rado se ne dà una motivazione.

Il fatto è che fin dal risveglio e dal tipo di colazione che consumiamo, informiamo il nostro corpo sulla eventuale carenza o abbondanza di cibo giornaliera.

Se si consuma un primo pasto completo, il corpo, consapevole della probabile abbondanza di cibo, attiverà correttamente tutte le sue funzionalità. Pronto non solo a consumare senza alcun bisogno di risparmio le energie ingerite, ma soprattutto pronto a regalare efficienza sia a livello fisico sia a livello mentale.

Diversa la situazione in cui, fin dalla prima colazione, l’apporto di cibo è scarso e insufficiente. In quel caso non solo il metabolismo, ma tutto il corpo diminuirà nell’efficienza e deciderà di attivare i sistemi urgenti, rallentando l’attività di quelli meno impellenti. Di certo verrà garantito il funzionamento del sistema cerebrale e nervoso. Lo stesso però non si potrà dire per il sistema immunitario ed emuntore che vengono intesi implicitamente come sistemi meno urgenti, le cui funzioni possono, nel breve periodo, essere rimandate. Ovviamente se l’abitudine ad una colazione poco abbondante e inadeguata è costante, le conseguenze saranno drammatiche e spazieranno dalle intolleranze alle allergie, dall’invecchiamento alle malattie degenerative.

Vien da sé che se si intende evitare questi pericoli, la colazione dovrà essere adeguata alle necessità dell’individuo, che dovrà fornire attraverso l’alimentazione, apporti calorici costantemente decrescenti

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durante il resto della giornata.

Insomma il corpo di ciascuno di noi potrebbe essere interpretato come un'automobile. Una buona colazione permetterà di iniziare la giornata con il serbatoio pieno e alla sera poco importerà se ci si troverà in riserva. D’altronde nessuno farebbe il pieno alla propria auto prima di metterla a riposo. Limitando l’apporto di cibo durante le ore serali inoltre si avranno numerosi vantaggi:

- qualità e quantità del sonno ottimali; - riduzione dello stress; - eliminazione di quell'accumulo di grassi che, non venendo utilizzati durante la fase del sonno, verrebbero incamerati. È questo, in pratica, l’importante gioco della distribuzione coerente dei pasti quotidiani.

Mangiare bene e spesso, in piccole quantità, è un toccasana per il metabolismo, che viene stuzzicato costantemente e non si addormenta.

Desideriamo ribadire che, in linea di massima, il giusto numero di pasti giornalieri sono cinque - sei, da distribuirsi in maniera uniforme ed equa durante tutta la giornata.

È profondamente sbagliato, specie se si intende educare il proprio metabolismo, divorare immense porzioni di cibo a pranzo e a cena e non mangiare per il resto della giornata. Lo spuntino è fondamentale, e diversamente da come si crede comunemente, è proprio lui che aiuta il dimagrimento.

Effettuare tra i cinque e i sei pasti al giorno inoltre offre almeno altri tre vantaggi:

1) aiuta ad evitare, per tutta la giornata la sensazione di fame. Ci si potrà dunque sedere a tavola per i pasti principali, senza quell'eccessiva e pericolosa fame che è la principale nemica delle diete ipocaloriche; 2) consente di disporre, per tutta la giornata, di energie sempre nuove; 3) mantiene attivo tutto il giorno l’apparato digerente che ovviamente brucerà più calorie. Una buona ed equilibrata dieta dunque insegnerà il valore calorico e nutrizionale degli alimenti, ma sottolineerà anche l’importanza della frequenza dei pasti. Pertanto durante la giornata si dovranno effettuare tre pasti principali e due o tre spuntini in base alle necessità personali. Non potranno mancare per niente al mondo una colazione abbondante, un pranzo

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regolare e una cena leggera, ma anche uno spuntino mattutino, uno spuntino pomeridiano ed eventualmente uno spuntino serale.

Altro discorso spesso ignorato da chi si avvicina al mondo delle diete è quello della modulazione della glicemia.

L’insulina ha la principale funzione di combattere l’eccessiva presenza di zucchero nel sangue. Quando il livello di questi è troppo basso scatta lo stimolo incontrollabile della fame. Se il livello è troppo alto, il pancreas secerne una certa quantità di insulina con la funzione di stabilizzare la situazione.

È bene comprendere che il corpo considera normale una situazione di zuccheri nel sangue stabile, e dunque i casi di compensazione devono essere eccezionali.

Ovviamente un utilizzo costante ed improprio dell’ormone può, nel lungo periodo, causare danni anche gravi. Uno per tutti il diabete con l’allegata resistenza insulinica. In questo caso la capacità corporea di risolvere le condizioni straordinarie di picchi glicemici sarà compromessa per sempre.

Un’alimentazione corretta, equilibrata e ben distribuita durante tutta la giornata, sarà un aiuto reale e importante non solo per il metabolismo, ma

naturalmente anche per il pancreas, che non sarà chiamato, quotidianamente, a risolvere situazioni di crisi glicemiche.

Tanto più che la situazione rischia di diventare viziosa e ciclica. Quando il pancreas produce insulina, questa, una volta compiuta la propria missione e dunque limitati i livelli di glicemia nel sangue, regalerà un nuovo stimolo di fame fasulla. Se si rispondesse allo stimolo, consumando del nuovo cibo, si precipiterebbe in una situazione a vicolo cieco che causerebbe l’insorgenza di ben più gravi problemi a livello di benessere fisico e mentale. Insomma una situazione da evitare a tutti i costi.

Piatti freschi e gustosi al posto di scatolette e precotti

La salute passa anche e soprattutto dalla tavola. E le buone abitudini alimentari, se equilibrate e soprattutto costanti, garantiscono una vita felice e lunga.

È la quotidianità, frenetica e stressante ad essere la prima nemica di una corretta alimentazione. Il poco tempo che ciascuno ha a disposizione influenza in negativo l’abitudine ad alimentarsi in maniera sana.

I tempi sono cambiati e le donne che hanno la possibilità di passare l’intera giornata a cucinare manicaretti freschi

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e gustosi diventano un ricordo. È soprattutto per questo motivo che sempre più di frequente si inciampa nell’abitudine ai cibi conservati o a quelli low cost, consumati al volo nei fast food.

Si tratta di metodi che nel breve periodo possono essere sopportati dal corpo, ma che alla lunga creano scompensi di una certa gravità.

La battaglia che negli ultimi tempi ha spopolato, è quella ben nota e agguerrita che vede contrapposti cibi freschi verso cibi conservati. Le opinioni in merito sono numerose. Tuttavia è ben noto e scientificamente testato che il consumo quotidiano ed esagerato di cibi non freschi, che contengono conservanti e coloranti, possono provocare danni gravi per l’organismo.

In linea di massima è confermato che il consumo esagerato di cibi conservati causa l’accumulo corporeo di sostanze acide e di scorie, un vero e proprio veleno per il buon funzionamento delle capacità metaboliche dell’organismo. In condizioni normali questi componenti tossici vengono smaltiti grazie agli organi emuntori, quelli che per intenderci sono chiamati in causa quando si tratta di eliminare i cataboliti, ossia gli scarti cellulari e i metabolici, per dirla facile, le tossine.

Sono organi emuntori:

- il fegato, che trasforma prima della sua eliminazione ogni tossina faccia ingresso nel nostro corpo; - il sistema linfatico una sorta di sofisticato ed efficientissimo sistema di scarico delle scorie messo a disposizione dal nostro corpo; - i reni, che eliminano le scorie del sangue attraverso le urine; - la pelle, che pure elimina le tossine in eccesso presenti nel nostro corpo. Quando queste sono presenti a livelli troppo alti si verificano pruriti, dermatiti o magari acne diffuso.

Tutti questi organi di rilevanza capitale per la nostra sopravvivenza eliminano due tipi di tossine diverse:

- esogene, e che dunque provengono dall’esterno e che ingeriamo in forma di coloranti, conservanti alimentari, eccipienti o magari inquinamento atmosferico; - endogene, prodotte da batteri, funghi, tessuti, cellule e organi in genere. Quando la presenza di tossine, specie se esogene, causate dal consumo di cibi contenenti coloranti e conservanti, aumenta oltre la soglia consentita, compaiono malattie più o meno gravi. Ma soprattutto il buon funzionamento di molti sistemi, quali per esempio quello metabolico, è compromesso,

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rallentato e reso meno efficiente.

Gli effetti negativi di una tale condizione possono degenerare in maniera rapida e pericolosa: ricerche scientifiche hanno dimostrato che una cattiva alimentazione, il sovrappeso e la vita sedentaria sono fattori che possono condurre direttamente all’insorgenza del cancro.

Particolarmente rischiosa è l’esagerata assunzione di:

- carni rosse e sostanze alcoliche. Il rischio di cancro aumenta notevolmente quando si assumono carni rosse conservate; - anche i cibi tenuti sotto sale, se consumati smodatamente ed in associazione con quelli contenenti grandi quantità di calcio, possono dimostrarsi dannosi; - cereali e legumi mal conservati, contaminati da muffe cancerogene possono causare patologie molto gravi e degenerative come per esempio il tumore al fegato; - l’acqua in bottiglia, contaminata da arsenico, è la principale responsabile dei tumori alla pelle e ai polmoni. La giusta ricetta, come spesso accade, è figlia del buon senso. Ovviamente il consiglio è quello di consumare con moderazione pietanze a lunga conservazione. Queste ultime contenendo meno enzimi e minerali

rispetto ai cibi integrali e freschi. E ciò contribuisce a sporcare l’organismo con scorie tossiche, frenando il metabolismo. Con questi alimenti, in ogni caso, occorre associare il consumo di nutrimenti freschi e ricchi di enzimi, che hanno il grande merito di depurare l’organismo e soprattutto di riattivare il metabolismo.

L’ideale sarebbe quello di assumere prima di ogni pasto un frutto fresco e di stagione o magari dei germogli, una bella insalata o della frutta secca.

D’altronde gli alimenti amici del nostro organismo, del metabolismo e della purificazione sono davvero tantissimi e in buona parte provengono dal mondo naturale.

Garantiscono una giornaliera assunzione di enzimi lo yogurt, l’ananas, la papaia, i fichi, il mango, il melone o la pera, i broccoli, le cipolle e le carote, i cetrioli ed i pomodori, tanto per fare qualche esempio.

Per far ripartire il metabolismo però gli enzimi, da soli, non saranno sufficienti. Dovranno essere accompagnati dai coenzimi, che non sono altro che vitamine del gruppo A, B, C e K e i minerali quali il magnesio, il rame e lo zinco.

Esauriamo l’argomento consigliando alcuni alimenti che proprio non

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possono mancare in una dieta tesa a depurare l’organismo e a riattivare il metabolismo:

- a grande sorpresa compare il caffè che, assunto nelle giuste dosi, aiuta la digestione e il consumo dei tanto odiati grassi; - la carota ha delle ottime proprietà nutritive e si dimostra capace di accelerare il metabolismo, a patto che venga consumata cruda; - radicchio e cicoria aiutano la metabolizzazione dei grassi dato che stimolano la secrezione della bile. Meglio se consumate crude; - le alghe contribuiscono alla trasformazione degli zuccheri in energia; - le fragole hanno un influsso benefico su reni e fegato e favoriscono l’eliminazione di quelle tossine in eccesso che compromettono le funzionalità del metabolismo; - il peperoncino assunto nella giusta misura facilita il consumo di calorie da parte dell’organismo; - fra le spezie non possiamo dimenticare il rosmarino. Ha delle eccezionali capacità energizzanti e offre un’azione tonica davvero preziosa

che agisce beneficamente sul metabolismo; - la senape non è da meno, basti pensare che studi recenti l’hanno dichiarata capace di aumentare la velocità del metabolismo del 25%; - anche il ravanello è un toccasana. Aiuta il fegato, rende più veloce il metabolismo e aumenta il consumo, da parte dell’organismo, di calorie; - infine il tè. Proprio come il caffè ha un’azione stimolante della quale, è bene dirlo, non si deve abusare. Il tè facilita la produzione di adrenalina che fra le altre cose aiuta la liberazione dei grassi da parte dei tessuti adiposi. Pausa pranzo non solo a lavoro

e non solo a pranzo

A lungo è stata considerata una leggenda metropolitana. Oggi però anche la scienza la conferma: mangiare bene, e soprattutto lentamente, aiuta a non ingrassare e regala indubbi benefici al corpo e alla mente.

Certo, questa non sarà un buona notizia per chi ha brevi, brevissime pause pranzo e per non dilatare eccessivamente i tempi letteralmente ingurgita il cibo. Eppure i dati non mentono. Se si è

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in linea, consumare il pranzo o la cena con calma, seduti, meglio ancora se in famiglia, aiuta a mantenerla. Mentre se si segue un regime alimentare ipocalorico, la lentezza del pasto contribuirà alla lotta al sovrappeso. È una regola valida a qualsiasi età. Tanto è vero che le ricerche scientifiche hanno messo in evidenza i benefici per giovani trentenni come pure per i settantenni.

La calma e la tranquillità a tavola aiutano a non ingrassare, essendo nemiche dell’obesità. Tutt’altro discorso è da farsi per chi mangia in fretta, in maniera sregolata e magari in piedi. Così facendo la tendenza ad ingrassare è assicurata.

In fondo, i risultati cui è giunta la scienza dopo numerose ricerche più o meno lunghe, sono gli stessi cui già molto tempo fa era giunto il buonsenso. Mangiare lentamente, seduti a tavola, rilassati, masticando con calma gli alimenti, permette non solo di assaporare meglio i cibi e gustare a pieno il momento di break, ma dà modo ai ricettori del cervello, di intuire che lo stomaco è pieno. A questa percezione corrisponde un immediato invio del tanto ricercato segnale di sazietà, che

induce la persona a consumare meno cibo e infine ad interrompere il proprio pasto.

Chi ingurgita il pranzo, la cena o gli spuntini non dà invece modo al cervello di percepire immediatamente il riempimento dello stomaco e dunque rallenta l’invio del segnale di appagamento. In quel lasso di tempo la persona continuerà ancora a mangiare perché effettivamente percepirà ancora un vago senso di fame.

Il risultato alla conclusione di un pasto troppo veloce sarà di disagio generale poiché provocherà i seguenti effetti:

- riempimento eccessivo dello stomaco; - vago senso di malessere e svogliatezza; - pesantezza e poco gradita sonnolenza, specie bisogna riprendere a lavorare; - il verificarsi, nei casi peggiori, di fastidiose gastriti. Quindi, pur non dimenticando l’importanza della quantità e della qualità del cibo, spesso si sottovalutano non solo i tempi di

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somministrazione dei pasti, ma peggio ancora i modi, tutti fattori che, manco a dirlo, fanno effettivamente la differenza.

Insomma, quella dello “slow eat” dovrebbe diventare la nuova filosofia della tavola. A supporto di questa tesi c'è da considerare che un pasto consumato con calma aiuta nel dimagrimento, offre anche un diffuso senso di benessere fisico e mentale ed un’efficienza post pasto a cui i mangiatori “fast” non sono abituati.

Pare certo che già dopo un mese di pasti “slow” ciascuna persona possa intravedere i primi frutti, e dopo un anno si possano perdere diversi chili, (dai 3 ai 9 a seconda della conformazione fisica) senza aver mutato in null’altro la propria alimentazione, semplicemente mangiando più lentamente.

Il pasto dunque dovrebbe durare almeno una mezz'ora. Si stima infatti che il cervello per percepire il riempimento dello stomaco e per trasmettere il senso di sazietà, impieghi circa 20 minuti. Chi ha mangiato lentamente avrà evitato di ingerire più cibo di quel che abbisogna. Chi invece ha consumato troppo rapidamente il

proprio pasto, mangerà pur non avendone più necessità perché ancora non ha ricevuto il segnale di stop.

Altri tre sono i motivi per i quali la scienza consiglia di consumare il cibo lentamente:

- assaporarne il gusto e godere del momento di break; - migliorare la digestione; - diminuire gli stati di stress e di ansia. Quando si mangia di fretta, spesso capita di non riuscire a percepire, con precisione, il sapore del cibo. L’obiettivo del pasto diventa solo quello di riempire lo stomaco. Tutta un’altra cosa quando si mastica lentamente e ci si concentra sulla pietanza che si ha di fronte. In questo caso si potrà riscoprire, in breve tempo, l’abitudine alla buona e sana cucina, da consumarsi nei giusti tempi.

Inoltre sarà possibile diminuire le dosi delle pietanze consumate. Percependo per davvero il gusto di una golosa torta al cioccolato, se ne potrà mangiare di meno, e pur comunque essere soddisfatti del sapore che si ha in bocca.

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D’altronde questo è il segreto del saper mangiare con gusto: assaporare lentamente ogni alimento.

Mangiare lentamente significa inoltre masticare ripetutamente il boccone. Il che si traduce in un grosso favore per il nostro stomaco, che digerirà il pasto con una maggiore semplicità. Ringrazierà, regalando un senso di leggerezza e benessere al quale molti sono disabituati.

Infine il mangiar lento, sebbene sembri strano, riesce a ridurre il livello dello stress accumulato, ma soprattutto l’ansia.

Quando il pasto si consuma seduti, magari in compagnia di amici, questo verrà inteso a tutti gli effetti come una pausa dagli stress di tutti i giorni. Si dimenticheranno gli impegni successivi, o i guai che si dovranno risolvere in seguito e ci si concentrerà sul cibo e sulla compagnia. Il tutto si tradurrà in una diminuzione dell’ansia e dello stress e implicitamente in un benessere mentale e fisico davvero impagabili.

I benefici del lento buon mangiare sono davvero numerosi e i consigli da seguire per riuscire a mangiare “slow” davvero semplici.

Se si lavora e si ha poco tempo per il pasto l’ideale potrebbe essere quello di mangiare in ufficio, magari in una stanza relax. Se invece si ha la possibilità, è bene uscire dall’ufficio e prendere nuova aria. Imporsi, per il pranzo e per la cena, una pausa di almeno 25 minuti. Preparare il pranzo a casa se il bar ristorante dal quale ci si serve non offre pietanze sane. Masticare lentamente ogni boccone. All’inizio ci si dovrà concentrare, in seguito diventerà una piacevole abitudine. Lasciar trascorrere qualche minuto fra una portata e l’altra. Ricordarsi che quando si mangia il protagonista è il cibo. Accantonare i problemi. Mangiare in compagnia, meglio se di amici con i quali si hanno interessi in comune. Mai mangiare in piedi. Comodamente seduti si mangia meglio e con più calma.

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Una volta acquisita l’abitudine al mangiare buono e lento, difficilmente la si potrà perdere, e i benefici per il proprio corpo, ma anche il benessere per la propria mente, saranno incontestabili.

Una vita piena, leggera, divertente non ha bisogno di

nessuna dieta

Chi più, chi meno lo sa: una vita attiva garantisce un benessere fisico e mentale a cinque stelle, mentre una vita da divano incentiva l’accumulo di grassi, l’obesità, e l’insorgere di malattie degenerative.

E allora perché in moltissimi scelgono la seconda opzione per quanto assolutamente più rischiosa? Perché per quanto si sappia verso quali pericoli si stia correndo, è opinione tanto diffusa quanto sbagliata, che vivere una vita “attiva” e dinamica sia estremamente stressante.

Solo quando sollecitati dal proprio medico curante, o dagli allarmi di pericolo lanciati dalla propria bilancia, si decide di inaugurare una vita più sana. Si sceglie di educare la propria alimentazione e di riaccendere il proprio metabolismo. Spesso si tratta comunque di fuochi di paglia, che si spengono dopo l’ottenimento dei primi

risultati.

Peccato! Passare da una vita sedentaria ad una vita attiva, non è poi così difficile.

Il primo passo da muovere per dare un taglio ai chili di troppo riguarda l’alimentazione. Checché se ne dica, il modo migliore è più naturale per perdere peso è quello di ingerire meno calorie di quelle che quotidianamente vengono consumate dal proprio corpo.

Se il livello di calorie consumate è pari a quello delle calorie ingerite il peso rimane immutato. Mentre se il livello di calorie che si ingeriscono sono superiori a quelle che si riescono a bruciare… beh, va da sé che si ingrassa.

Detto questo, un modo per aiutare il proprio corpo a bruciare più calorie di quante non faccia normalmente, oltre al mangiar meno, meglio e più lentamente, è quello di svolgere una qualche attività fisica.

Non è necessario trasformarsi in fanatici della palestra e dello sport, si potrà infatti svolgere attività fisica quotidianamente anche senza mettere mai piede all’interno di un campo sportivo.

Camminare almeno 30 minuti al giorno è un buon modo per iniziare. Si

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potrà andare al lavoro a piedi, quando possibile. Si potrà evitare di prendere la macchina per andare a fare la spesa, o magari insistere per portare il proprio cane a passeggio. L’attività fisica, anche basilare come una bella camminata lunga 30 minuti crea dipendenza. Ci si accorgerà presto dei benefici che anche il solo camminare regala, e non se ne potrà più fare a meno.

Rinunciare alla piccole comodità è un’altra bella idea, facile da seguire.

- Si potrà iniziare bandendo l’ascensore dalle proprie abitudini quotidiane. Dapprima sarà difficile, ma se si intraprenderà il percorso come una sfida contro se stessi, o come un gioco, la perseveranza verrà da sé. Anche fare le scale il più spesso possibile è un’idea. Le si possono fare per una miriade di necessità. Buttare l’immondezza o controllare l’eventuale arrivo della posta sono le motivazioni più comuni. Non appena si scoprirà quante calorie si bruciano in salita (che aumentano più aumenta il peso corporeo), davvero non si potrà più evitare le scale. Inoltre le scale hanno il grande vantaggio di stimolare la formazione della muscolatura dei glutei. In brevissimo tempo, quindi all’utile si potrà aggiungere anche il dilettevole.

- Il parcheggio è un altro momento che

si potrà sfruttare a proprio favore. Se proprio non si può rinunciare a spostarsi in macchina, come spesso accade, si potrà scegliere di parcheggiare non troppo vicino al luogo che si deve raggiungere. In questo caso si avrà la possibilità di percorrere brevi tratti a piedi, di respirare aria fresca e di arrivare ad un appuntamento più rilassati, perché camminare non farà altro che diminuire i livelli di stress causati dal traffico.

- Anche iscriversi a un corso di danza può essere utile. Se piace ci si può ripromettere di coinvolgere gli amici a frequentare una sala da ballo regolarmente.

- Perché non ritrovarsi un giorno alla settimana a giocare a calcio con i conoscenti, o con i colleghi di lavoro, invece di limitarsi a vedere passivamente in TV le partite la domenica?

- Perché non organizzare delle gite in bicicletta con chi ci piace? Insomma tutte le scuse dovrebbero essere buone per praticare un po' di moto.

Corri incontro al buonumore

Quando si pratica un’attività fisica in modo continuativo, il nostro corpo rilascia automaticamente sostanze benefiche, quali endorfine e altri “ormoni del buonumore” che aiutano a

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scacciare la depressione. La corsa è l’attività in assoluto che fa sprigionare endorfine più di qualsiasi altro esercizio fisico.

Meno ansia

Un’attività muscolare sostenuta aiuta ad alleviare ansie e preoccupazioni quotidiane. Dopo un certo allenamento, infatti, i muscoli riducono la loro attività elettrica, diminuendo in modo naturale le tensioni nervose.

Più autostima

Chi è in sovrappeso spesso ha un'immagine di sé negativa. L’attività fisica aiuta il corpo, ma anche la mente. I muscoli si tonificano e la massa grassa diminuisce, dandoci un aspetto più gradevole e salutare. Ciò accresce la nostra autostima, perché ci si vede più belli e ci si sente più forti.

Ridere fa bene alla salute. Non solo alleggerisce il peso dei problemi, ma si consumano una quantità notevole di calorie. Purtroppo gli adulti hanno perso l’abitudine alla risata. Si stima che un bambino riesca a ridere e sorridere un massimo di mille volte al giorno. Mentre un adulto, se va bene riesce a sorridere quindici volte.

Il segreto è quello di stimolare la risata. I modi sono tanti:

• prendersi del tempo per sé; • leggere libri divertenti; • circondarsi di persone divertenti; • guardare show umoristici; • prendere la vita con più

leggerezza.

Utilizzare piccoli pesi, sempre con l'intento di bruciare più calorie, da indossare sotto gli abiti. Questi piccoli attrezzi sono venduti praticamente ovunque. Sono comodi e hanno la forma di piccole fasce che si possono stringere ai polsi o alle caviglie. Ovviamente ciascuno potrà scegliere il peso che faccia al caso proprio, meglio se leggero all'inizio, per evitare un affaticamento eccessivo.

Così, tutte le azioni compiute quotidianamente come camminare, salire le scale, salutare, causeranno un dispendio superiore di energia. Naturalmente si è liberi, in ogni momento, di togliere i pesi e di riporli in borsetta. Unico consiglio è quello di non esagerare.

Scoprire l’acqua come alleata è davvero importante. Non che aiuti a dimagrire o ad aumentare la velocità del proprio metabolismo. Tuttavia l’acqua concretamente permette di sentire meno accentuato il senso di fame, dato che riempie nel breve termine lo stomaco. Ma soprattutto depura l’organismo, stimolando la diuresi. Il consiglio è quello di

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consumarne almeno 2 litri al giorno. I benefici saranno immediatamente visibili. Tutte queste azioni, se messe in pratica con perseveranza e costanza, avranno il grande vantaggio di migliorare lo stile di vita, di incentivare la perdita di peso e di migliorare il metabolismo, che è bene ricordarlo, potrà essere stimolato in mille altri modi diversi.

Si potrà per esempio prendere l’abitudine di usare sostanze lievemente eccitanti come il caffè, che agisce non solo sul sistema nervoso, ma dà una scossa positiva anche al metabolismo. Manco a dirlo, l’abuso di caffè causerà effetti negativi.

Inoltre, se proprio si intende far le cose per bene, sarebbe meglio assumere caffeina naturale, non trattata come avviene di solito per il caffè che conosciamo. In ogni caso ginseng, guaranà o energy drink potrebbero essere degli ottimi sostituti al tanto amato caffè.

Non ci stancheremo mai di ripetere che mangiare spesso e piccole quantità di cibo non solo regala per tutto il giorno il senso di sazietà, ma tiene sveglio il metabolismo, incrementando la capacità del corpo di bruciare energia.

Non meno efficace per un risveglio metabolico è l’aumento della massa muscolare. I muscoli infatti, per

mantenersi in forza consumano calorie, quindi sono degli ottimi alleati per chi intende perdere peso e vivere una vita sana.

Se fai questi sport avrai un metabolismo da campione

Grande amico delle persone in forma, e tremendo nemico di chi proprio la forma fisica non sa più da tempo cosa sia, il metabolismo, per dirla in modo semplice, non è altro che la velocità con la quale il corpo riesce a bruciare le calorie e le energie assimilate tramite l’alimentazione, funzione fondamentale per il soddisfacimento di tutti i bisogni vitali.

Concettualmente aumentare il metabolismo, risvegliarlo e riattivarlo è alquanto semplice. È sufficiente incrementare in maniera esponenziale i bisogni vitali e dunque il dispendio energetico giornaliero.

Anche a livello pratico le cose non sono poi tanto gravose visto che per dare una “botta di vita” al metabolismo, si dovranno stimolare semplicemente 3 fattori:

• il metabolismo basale; • la termogenesi, da riattivare

grazie ad un’adeguata dieta; • l’attività fisica.

È appunto l’attività fisica l’elemento

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sul quale vogliamo concentrarci, dato che è dimostrato che l’aumento della massa magra associata al movimento ed allo sport, è un’eccellente stimolo metabolico.

Sembrerà assurdo, ma più muscoli si possiedono, più calorie si bruciano all’interno di una stessa giornata, e questo senza alcuna relazione con il tipo di attività fisica che si svolge, con il tipo di lavoro che si pratica o con l’età che si possiede. Il maggior dispendio energetico dipende piuttosto dal fatto che il muscolo è a tutti gli effetti un tessuto vivo, che dunque ha necessità, per la sua sopravvivenza e per il suo rinnovamento, di energia. Basti pensare che le richieste metaboliche di un tessuto muscolare sono all’incirca dieci volte superiori rispetto a quelle presentate in un medesimo lasso di tempo da un tessuto adiposo.

Quindi, per farla semplice, migliore sarà il tono muscolare, maggiori saranno le calorie bruciate anche, ma non solo durante l’attività fisica.

Se si conta inoltre che mentre si pratica dello sport il metabolismo di chiunque aumenta e rimane alto per diverse ore (dalle 4 alle 12 ore per gli allenamenti più intensi), si comprenderà bene che sport, massa muscolare, linea e benessere fisico sono tutti elementi che vanno a braccetto.

Esistono però degli sport maggiormente adatti a chi intende aumentare il proprio metabolismo in maniera rapida e notevole.

Il consiglio in questo caso è quello di svolgere un’attività mista, nella quale non manchi un lavoro muscolare intenso, tutto teso alla tonificazione corporea, tramite l’uso di pesi, macchinari o a corpo libero, in associazione con una buona attività aerobica.

Ecco perché la corsa, il ciclismo, ma anche il nuoto sono ottimi sport per stimolare il metabolismo.

L’azione combinata delle due tipologie di attività fisica sono infatti eccellenti perché lo sforzo muscolare intenso, grazie alla secrezione di ormoni anabolici aumenta la massa muscolare ed implicitamente migliora il funzionamento metabolico. Mentre le attività aerobiche e di resistenza non solo risvegliano il metabolismo durante l’attività fisica, ma sono capaci di mantenerlo a livelli interessanti fino a 8 - 12 ore dopo la loro conclusione.

Comprensibilmente non possono mancare alcuni consigli pratici, che aiuteranno chi è interessato a migliorare il proprio benessere fisico e le proprie funzioni metaboliche:

• ci si dovrà allenare dalle due alle

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tre volte a settimana. Sarà bene svolgere allenamenti misti che durino non meno di 40 minuti;

• l’allenamento misto deve comprendere non solo esercizi di tonificazione, ma anche una buona dose di attività aerobiche;

• in linea di massima il consiglio è quello di iniziare con un’attività di potenziamento e tonificazione per terminare con la fase aerobica, che pure non dovrà essere eccessivamente intesa, specie all’inizio;

• è importante cambiare spesso il programma di allenamento. In questo modo il metabolismo sarà obbligato periodicamente a mutare per adattarsi alle nuove situazioni di stress;

• il ritmo dell’esercizio fisico deve rimanere costante, specialmente durante le attività aerobiche. In pratica, occorre evitare di fermarsi, e nel caso siano necessarie, le pause non dovranno essere troppo lunghe;

• è buona abitudine allenarsi con una frequenza cardiaca alta per non meno di 30 minuti;

• gli allenamenti troppo lunghi, non sono consigliati specialmente agli inizi, quando non si possiedono le condizioni fisiche adeguate.

Esistono inoltre una serie di

allenamenti specifici che aiutano ad aumentare il ritmo del metabolismo:

- le serie a scalare;

- i super set.

Queste tipologie di allenamento creano entrambi un’ulteriore pressione muscolare che induce ad un maggiore e tanto gradito consumo calorico.

Durante gli allenamenti si dovranno cambiare frequentemente i range delle ripetizioni, incrementando il carico e diminuendo la durata delle ripetizioni. O viceversa, diminuendo il carico e aumentando le ripetizioni.

Anche cambiare l’ora nella quale si pratica sport è importante. In questo modo non si abituerà l’organismo all’allenamento in determinato orario della giornata e il numero di calorie bruciate potrà rimanere sempre alto.

Ben noto dagli sportivi è anche la tecnica di allenamento detta Interval Training, con sessioni cardio brevi, ma intense.

Sarà bene però non farsi prendere dalla frenesia sportiva. Il riposo è fondamentale per incrementare e migliorare il metabolismo basale, visto che durante le giornate di relax il fisico riesce a recuperare gli sforzi e si ripara riproducendo le cellule muscolari che

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si sono rotte durante gli allenamenti.

Il pericolo di attività fisiche prive di pause è reale. Il fisico dovrà fare i conti con un sovrallenamento che potrebbe causare lesioni anche gravi al muscolo, al quale non è stata data la possibilità di riprendersi. Quindi esagerare non farà mai bene.

Naturalmente lo sport svolto all’interno di una palestra non è l’unica soluzione per dare una scossa al metabolismo. Esistono dei trucchetti, più o meno semplici, che tutti possono seguire per praticare ogni giorno un minimo di attività fisica.

Un aiuto potrà essere rappresentato, come dicevamo sopra, dal parcheggiare la macchina distante da casa qualche centinaio di metri, dall’abitudine a rifiutare le lusinghe dell’ascensore o dall’usare anziché la comoda aspirapolvere la vecchia classica scopa, più faticosa.

Anche gli esercizi di tonificazione possono essere fai da te e svolti da casa o dall’ufficio. Comodamente seduti, al lavoro, si potranno contrarre i muscoli della pancia, si potranno muovere le gambe, risvegliare i quadricipiti e stringere i pugni.

Sono solo piccole attenzioni che paiono di poco conto. Tuttavia possono influenzare in positivo la vita di tutti i

giorni. Basta provare per credere!

Diet review: quale di queste diete è pro metabolismo?

La Dieta Dukan

Ti sei mai chiesta perché la maggior parte delle donne francesi sono così disinvoltamente snelle ed eleganti a prescindere dalla loro età? La risposta potrebbe nascondersi nella loro dieta. Non è merito dell’olio di oliva e del vino rosso alla base della Dieta Mediterranea, ma di una straordinaria dieta che ha invaso il paese e non solo. Quando l’illustre nutrizionista francese, il Dott. Pierre Dukan, ha presentato la propria Dieta Dukan circa dieci anni fa, il suo libro ha scalato subito le classifiche dei best-seller, dando vita a una rivoluzione alimentare che vanta oggi solo sul web più di 200 siti internet, forum e blog dedicati.

Politici, star cinematografiche, fra cui Gisele Bundchen e Jennifer Lopez, vivono seguendo lo stile di vita Dukan, tutti sedotti dalla promessa dell’inarrivabile sogno: rimanere snelli per sempre, mangiando quello che si vuole.

Il programma inizia con una

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significativa e rapida perdita di peso e prosegue con un regime alimentare strutturato ma semplice e di lungo termine, che promette di non far riacquistare mai più il peso perso.

L’elemento fondamentale che collega le quattro fasi della dieta Dukan, sono i giorni in cui si devono mangiano soltanto proteine. Sembrerebbero indicazioni simili ad altre diete proteiche, come la Atkins o la Zona, ma in realtà il programma è molto diverso.

Il Dottor Dukan sostiene di aver scoperto i benefici di un regime a basso contenuto di grassi, fondato solo sull’elemento proteico, quando un amico gli chiese un parere per dimagrire. Costui aggiunse che sarebbe stato disposto a fare qualsiasi cosa a condizione di non rinunciare alla carne.

La risposta del Dottor Dukan fu di mangiare soltanto proteine e bere esclusivamente acqua per cinque giorni. Restarono entrambe impressionati, dopo cinque giorni, nel costatare che aveva perso ben 4,5 kg. Nei cinque giorni successivi perse altri 2,7 kg, per un totale di ben 8,2 kg in solo 10 giorni.

Il Dott. Dukan rimase completamente stupefatto dai risultati ottenuti dal suo amico. Sia in termini di peso perso, ma

anche in termini di miglioramento dello stato di salute. Decise così di cambiare la propria specializzazione medica dalla neurologia alla nutrizione, trascorrendo i successivi 35 anni a effettuare ricerche e a perfezionare i vari elementi della sua dieta.

“Nel corso degli anni, ho capito che la conta delle calorie non funziona. Il cervello delle persone non agisce secondo le calorie”.

“Contare le calorie stabilisce soglie, dosi e porzioni, ma trascura che chi segue una dieta è fatto di carne e sangue, di emozioni e istinti”.

“Certamente, le persone maggiormente motivate riescono a perdere peso, ma tutte o quasi, lo riacquisteranno”.

Queste sono solo alcune delle ormai numerose affermazioni del Dottor Dukan che sostiene tra l'altro che la maggior parte delle diete fanno dimagrire. Purtroppo però una volta raggiunto l'obiettivo piantano in asso i pazienti e li lasciano da soli. Il risultato? Riacquistano il peso perso con gli interessi!

“I medici credono di aver svolto il loro lavoro quando una persona perde peso, ma c’è qualcosa di sgradevole e di non etico nel dover affrontare

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nuovamente un paziente che sei mesi dopo, ha riacquistato il proprio peso”.

Il Dottor Dukan propone quindi una fase nuova della dieta che reintroduce gradualmente gli elementi basilari precedentemente limitati o eliminati.

Seguendo il piano alla lettera, e stabilizzando il nuovo peso ottenuto, la Dieta Dukan aiuta a riprendere una vita normale, a mangiare liberamente. Ma con un avvertimento: per il resto della vita, un giorno la settimana bisogna necessariamente ed esclusivamente nutrirsi di proteine (Dukan suggerisce il giovedì).

Ecco il segreto della forma fisica dei francesi. I francesi mangiano e bevono con gusto senza preoccuparsi tanto, godendo di ogni boccone. Molti di loro poi corrono ai ripari con un piccolo sacrificio: mangiare solo proteine il giovedì.

“Consumando soltanto proteine un giorno la settimana, potete perdere da 0.67 a 0,9 kg immediatamente e così facendo, correggerete qualsiasi eccesso accumulato nel corso della settimana”, afferma il Dott. Dukan.

L’idea del giovedì proteico ha così preso piede in Francia che si dice che nei ristoranti il giovedì si vedono spesso persone ordinare solo pesce o carne, senza alcuna verdura o insalata

o altro. La Dieta Dukan inizia con una breve ma decisiva fase (attacco) aggressiva in cui si possono mangiare soltanto proteine: solo carne, pesce, uova e prodotti caseari non grassi. In questo modo si ottiene una significativa iniziale perdita di peso. Molte persone possono arrivare a perdere fino a 3 kg in soli cinque giorni. Di solito questa fase può durare dal singolo giorno a un massimo di dieci giorni. Se il peso reale è inferiore di 13/19 kg rispetto a quello attuale, cinque giorni sono in grado di produrre i risultati migliori. Se si vuole perdere sui 6,5 kg, due o tre giorni andranno benissimo. Se l'obiettivo è quello di perdere solo 3 kg, un unico giorno di questa prima fase è spesso più che sufficiente.

Un regime di breve termine, ricco di proteine come questo, ha lo scopo di depurare i tessuti dall’acqua in eccesso, attenuare l’appetito (i cibi a base di proteine sono potenti soppressori naturali dell’appetito), mantenendo il tono muscolare e una pelle luminosa.

Singolarmente i cibi proteici hanno un contenuto calorico medio piuttosto

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basso rispetto ai cibi grassi o a base di carboidrati. Inoltre, data la loro struttura complessa, implicano un grande lavoro e un notevole dispendio energetico da parte del corpo per poterli digerire e assimilare.

Dopo massimo dieci giorni in cui la persona si è sottoposta al regime della prima fase della dieta Dukan, si passa alla seconda fase.

Questa è caratterizzata da giorni esclusivamente a base di proteine, alternati a giorni in cui, alla carne, al pesce o ai prodotti caseari non grassi, si associano una serie di deliziose verdure. Vengono quindi gradualmente reintrodotti dei contorni a base di verdure da aggiungere alle sole proteine.

Benvenuti antipasti come un’insalata o una zuppa, seguita da una porzione di carne o pesce accompagnato con verdure fresche e saporite. Il peso in questa fase calerà al ritmo di circa 0,9 kg la settimana. Una volta raggiunto il peso ideale, si passa alla fase di mantenimento (consolidamento) che consiste nell’allentare poco a poco i vincoli alimentari, reintroducendo frutta, pane, formaggio e i cibi a base di amido come la pasta.

In questa fase sono permessi due pasti la settimana del tutto liberi e incontrollati (con alcol, burro, pane, cioccolato …. qualsiasi cibo che si vuole).

È importante capire che non si tratta di una tolleranza concessa da un regime dietetico rigoroso, ma di una vera e propria raccomandazione della dieta Dukan. Si tratta di riuscire a far comprendere alle persone che tutto il cibo può e deve essere gustato continuando a restare snelli.

Nella fase di mantenimento, come dice la parola stessa, il fine non è quello di perdere peso bensì di non riacquistarne. È corretto quindi non dimagrire nemmeno di un chilo. Il vero obiettivo è quello di evitare che la persona riacquisti immediatamente le vecchie abitudini, cercando di stabilizzare definitivamente il nuovo rapporto di equilibrio con il cibo.

Rispettando il piano per cinque giorni, il tuo corpo sarà in grado di consolidare in modo corretto e permanente la perdita di peso che avrai conquistato nelle fasi precedenti per ogni mezzo chilo perso.

Una volta assestata questa fase di mantenimento, e dopo che il nuovo peso è rimasto fermo, si è liberi di vivere il resto della vita mangiando e

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bevendo qualsiasi cosa senza provare sensi di colpa e senza restrizioni, ma rispettando l’ultima regola del Dottor Dukan: di giovedì soltanto proteine, per sempre.

Menu tipico del giorno a base di proteine

Colazione: caffè o tè (con latte scremato e dolcificante se vuoi), due vasetti di jogurt non grasso o 225 grammi di formaggio fresco morbido non grasso, una fetta di tacchino, pollo o prosciutto a basso contenuto di grassi oppure un uovo sodo. Spuntino: un vasetto di jogurt o 115 grammi di formaggio fresco morbido, non grasso. Pranzo: bastoncini di granchio, coscia di pollo, filetti di salmone bollito o bistecca al pepe. Spuntino: uno jogurt non grasso e una fetta di tacchino.

Cena: gamberetti trifolati alle erbe e scaloppine di pollo tandoori o cozze alla marinara e carne bollita. Più un pancake d’avena.

La Dieta a Zona

Che cos’è la dieta a Zona? Oltre ad essere il titolo di un super best-seller, La Zona, è il luogo in cui noi ci sentiamo “attivi, carichi e pieni di energia”. Questo è quanto affermano l’autore Barry Sears, ex ricercatore nel settore della bio-tecnologia, presso il Massachusetts Institute of Technology

e Bill Lawren, co-autore. Secondo loro, il mantenimento della Zona è la chiave per il benessere.

Come altri famosi libri che riguardano le diete, “La Dieta a Zona”, offre un supporto che va oltre il semplice dimagrimento. Correggendo il metabolismo, con una dieta composta al 30% da proteine, 30% da grassi e 40% da carboidrati, la dieta a Zona afferma di poter combattere le cardiopatie, l’ipertensione ed il diabete. Uno dei benefici più acclamati di questa dieta è inoltre il miglioramento della prestazione fisica. Sears non pretende di affermare di aver trovato il rimedio per le cardiopatie, per le forme di diabete o la ricetta per vincere le competizioni sportive, ma fornisce una serie di storie e di casi concreti in cui i suoi pazienti sono migliorati notevolmente.

Ciò che la Dieta a Zona afferma con sicurezza, è che la maggior parte delle attuali credenze riguardanti la buona nutrizione, una dieta ricca di carboidrati e a basso contenuto di proteine e grassi, è completamente sbagliata. Inoltre, afferma Sears, questo tipo di alimentazione ci ha esposto al rischio di gravi pericoli, anche potenzialmente mortali, come le cardiopatie, il diabete ed il cancro. Il suo nuovo libro, The Anti-Inflammation Zone, analizza le patologie più da

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vicino e mostra il modo in cui la sua dieta combatte gli stadi infiammatori. Questi ultimi, secondo quanto egli afferma, sono i fattori alla base dello sviluppo di gravi patologie e dell’aumento di peso.

Detto con parole più semplici, la dieta a Zona è uno “stato metabolico in cui il corpo lavora a picchi di efficienza” e questa condizione può essere creata rispettando un determinato rapporto tra carboidrati, proteine e grassi.

La dieta a Zona non ti impone di assumere meno calorie di quelle che prendi attualmente, ma solo di assumerne di diverse. Sebbene il regime dietetico presenti una misurazione più complessa e precisa di ciò che si deve mangiare, il tutto può essere semplificato come segue:

• Una piccola quantità di proteine ad ogni pasto (una quantità corrispondente circa al palmo della mano o un piccolo petto di pollo) e ad ogni spuntino (uno nel tardo pomeriggio ed uno nella tarda mattinata).

• Carboidrati “buoni” in quantità doppia rispetto alla porzione di proteine. Essi includono gran parte delle verdure, lenticchie, fagioli, cereali integrali e la maggior parte della frutta.

• Se si scelgono i carboidrati “cattivi”, invece, la quantità deve

essere minore. È il caso, per esempio, di riso, pasta, papaya, mango, banane, cereali secchi a colazione, pane, ciambelle, carote e tutti i succhi di frutta.

I prodotti caseari non sono vietati ma la dieta a Zona concede poco spazio a questi alimenti in ragione della velocità con cui rilasciano glucosio. Sears preferisce gli albumi d’uovo ed i suoi sostituti come i formaggi e il latte a basso contenuto di grasso, o che ne sono del tutto privi, invece delle uova intere.

La dieta a Zona riduce al minimo l’assunzione di grassi saturi ma prevede il consumo di olive, canola (un olio ricavato da una specifica varietà di colza), noci e avocado. Alcuni carboidrati sfavorevoli sono limitati perché rilasciano glucosio molto velocemente come: cereali, pane, pasta, riso ed altri amidi simili. Si tratta di una vera e propria deviazione rispetto alle convenzionali definizioni di buona dieta. In generale, la dieta è più ricca di proteine e grassi rispetto alle diete tradizionali, che invece prevedono l’assunzione di carboidrati in proporzione pari a circa tre quarti delle calorie totali assunte.

Sears è abbastanza rigido in merito alle quantità di proteine/grassi/carboidrati che ciascuno di noi necessita. Pertanto conduce il lettore lungo un percorso

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che lo aiuti a determinare le esigenze in termini di proteine a seconda della statura, dell’età e del tipo di attività svolta. Questi fattori a loro volta portano a identificare la quantità di grassi e carboidrati che dovremmo assumere.

Fortunatamente, per tutti coloro i quali si sentono depressi già solo al pensiero di rinunciare ai dolci per il resto della vita, Sears presenta una lista di cibi concessi, fra i quali vi è per esempio il gelato ad alto contenuto di grassi. Perché ad alto contenuto? Perché secondo Sears il grasso ritarda l’assorbimento dei carboidrati nell’organismo. Purtroppo però, la porzione raccomandata è solo mezza tazza.

Il piano alimentare della dieta a Zona consiste in una combinazione di piccole quantità di proteine a basso contenuto di grassi per ogni pasto. Grassi e carboidrati sotto forma di frutta e verdura, ricche di fibre. Sears afferma che il nostro corpo è geneticamente programmato a nutrirsi in questo modo (figura 40-30-30).

La dieta a Zona si fonda su 15 anni dedicati alla ricerca nel campo della bio-nutrizione. Sebbene il libro sia pieno di storie di successo, fra cui quelle di diversi atleti, le ricerche che convalidano le sue asserzioni non sono presentate. Ciò non significa che le

teorie di Sears siano sbagliate. Solo non ci sono prove scientifiche attestanti che il suo programma funzioni.

Sears fonda la propria teoria sull’uso della dieta come strumento per controllare la produzione dell’ormone insulina da parte del corpo. Fra i diversi ruoli svolti dall’insulina vi è quello di contribuire allo stoccaggio dell’energia in eccesso sotto forma di grasso. L’obiettivo è di creare un equilibrio fra l’insulina che immagazzina grasso e l’ormone glucagone. Quest'ultimo ha una funzione opposta all’insulina e il suo compito è di rilasciare il glucosio immagazzinato dal fegato, quando necessario. Il mantenimento del corretto equilibrio fra questi due elementi, si ottiene controllando la quantità e il contenuto specifico dei pasti che consumiamo. Sears suggerisce di non pensare al cibo come ad una fonte di calorie ma come ad un sistema di controllo degli ormoni.

La dieta a Zona è stata oggetto di varie revisioni da parte di esperti della nutrizione. I ricercatori reputano la dieta a Zona accettabile. “Se ignoriamo la retorica scientifica, la dieta non è male”, affermano la maggior parte degli esperti. A titolo di avvertimento, spesso si sottolinea che questo regime limita i carboidrati più del necessario. Ciò che rimane apprezzabile è il fatto

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che sia una dieta abbastanza facile da seguire. Essa minimizza gli altri fattori che determinano la nostra fame e la quantità di cibo che assumiamo, come le fibre e la densità calorica degli alimenti, spostando tutta l’attenzione sull’insulina. Solo ed esclusivamente. Risultano, poi, contestabili alcune affermazioni della dieta a Zona, come il gelato ad alto contenuto di grassi. Sears dice che il gelato è accettabile perché non aumenta precipitosamente i livelli di zuccheri nel sangue. Ma non va bene per altri motivi, come per esempio il fatto che la crema presente nel gelato è costituita da grassi saturi, che non vanno a beneficio del colesterolo.

La Dieta Mediterranea

La Dieta Mediterranea è da tempo considerata legittimamente una delle diete più salutari al mondo. Sempre più ricerche mostrano che il consumo di una dieta ricca di vegetali e grassi salutari è positiva per il nostro organismo. Gli studi indicano che seguire la Dieta Mediterranea ci protegge da: sviluppo di cardiopatie, sindrome metabolica, alcune forme di cancro, obesità, diabete di tipo 2, demenza, morbo di Alzheimer e ci permette di vivere più a lungo.

Gli effetti salutari della Dieta Mediterranea sono stati studiati a fondo

negli ultimi 10 anni. Ciò ha permesso di accumulare maggiori prove cliniche e basi scientifiche. I benefici per la salute sono molteplici. E le prove scientifiche evidenziano in primo luogo una protezione dalle patologie cardiovascolari e dal diabete.

Questi benefici però non sono attribuiti esclusivamente alla dieta, ma all’intero concetto di Dieta Mediterranea che si fonda sullo stile di vita tipico delle persone che vivono sulle coste del Mediterraneo. Oltre alla vasta gamma di cibi deliziosi e nutrienti, l’effetto protettivo di una cena piacevole, del coinvolgimento familiare e dell’attività fisica, rendono la Dieta Mediterranea ancora più efficace.

Non esiste una sola ed unica Dieta Mediterranea. Di fatti, ogni regione in Europa, dalla Spagna al Medio-oriente, elabora una dieta base ad hoc per trarre il massimo vantaggio dalle disponibilità alimentari del territorio e dalle preferenze culturali locali. Detto questo, vi sono poi delle similitudini, come per esempio il ruolo di primo piano conferito a: verdura, frutta, fagioli, cereali integrali, noci, olive, olio di oliva e ad alcuni tipi di formaggi, jogurt, pesce, pollame, uova e vino. Tutti alimenti alla base della dieta, ricchi di migliaia di micronutrienti, antiossidanti, vitamine, minerali e fibre che lavorano in

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sinergia per proteggerci da patologie croniche.

La maggior parte dei cibi contemplati dal regime alimentare, sono freschi e di stagione e non sono alimenti lavorati. I metodi di preparazione tendono ad essere semplici e raramente prevedono la frittura. In questa dieta rientrano solo piccole quantità di grassi saturi, sodio, dolci e carne. Lo stile di vita mediterraneo include anche cene piacevoli ed una regolare attività fisica, che costituiscono una parte importante del regime.

L’olio di oliva è l’elemento principalmente associato alla Dieta Mediterranea. Non si tratta di un olio di oliva qualsiasi, ma di quello extra vergine. Potrebbero non essere tanto i grassi monoinsaturi ad offrire i benefici salutari, quanto i fitochimici e i composti presenti nell’olio extra vergine di oliva stesso.

Da molto tempo, la Dieta Mediterranea è associata a un minore rischio di cardiopatie. Studi rivelano che questa dieta svolge effetti positivi sui fattori di rischio di patologie cardiovascolari, incluso colesterolo totale, colesterolo LDL, colesterolo HDL, trigliceridi, pressione sanguigna e livelli di zuccheri nel sangue.

Nel Marzo 2011, inoltre, l’analisi di 50 studi ha stabilito un legame fra la Dieta

Mediterranea e la riduzione delle probabilità di sindrome metabolica, che rappresenta un insieme di fattori di rischio (ipertensione, elevati livelli di zuccheri nel sangue, livelli di colesterolo scorretti e grasso addominale) per le cardiopatie, il diabete e l'ictus.

Altri studi indicano che, insieme al mantenimento di un salutare peso corporeo, una delle più efficaci strategie per ridurre il rischio di diabete, consiste nel seguire la Dieta Mediterranea, tipicamente ricca di vegetali, ridurre il consumo di carne rossa e carne in genere, i prodotti caseari ad alto contenuto di grassi e grano tenero ed includere una quantità moderata di alcol (principalmente vino rosso).

Oltre a tutti gli altri benefici salutari, vi è un vantaggio in termini di peso. La ricerca è chiara: essere fisicamente attivi e seguire una nutrizione corretta fatta principalmente di prodotti freschi che saziano e soddisfano il palato, può aiutare le persone a dimagrire.

Le famiglie che consumano i pasti insieme tendono ad essere più serene, mangiano alimenti più nutrienti ed insegnano ai figli a compiere scelte nutrizionali migliori. Uno studio pubblicato nell’Appetite ha evidenziato che i giovani che passano alla Dieta Mediterranea manifestano

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miglioramenti in termini di efficienza, prontezza e felicità. Concentrarsi sui cibi salutari più adatti per noi, e non solo nutrienti, è il modo migliore per aiutare le famiglie a seguire diete più sane, riducendo così il rischio di patologie croniche.

I bambini che imparano fin da piccoli a mangiare un'ampia gamma di alimenti, hanno più probabilità di rispettare e seguire un regime alimentare salutare nel corso della loro vita. La vasta scelta infatti, permette di attenersi alla dieta con maggiore facilità, anche per i soggetti più esigenti.

Gli esperti di nutrizione riconoscono la Dieta Mediterranea come un piano alimentare di prim’ordine. Il U.S. News and World Report posiziona la Dieta Mediterranea al secondo posto dopo la dieta DASH, individuata come migliore in assoluto. Le Dietary Guidelines 2010 utilizzano un modello di Dieta Mediterranea nella progettazione del My Plate Model del governo statunitense che incoraggia gli americani a consumare cibi più nutrienti, in particolare vegetali e meno prodotti animali. In questo caso la Dieta Mediterranea vince su tutte le altre. Perciò è uno dei programmi alimentari da promuovere e favorire. Si tratta di un regime delizioso, assolutamente godibile, e rappresenta esattamente ciò di cui il nostro corpo

ha bisogno per restare in salute.

La Dieta Mediterranea è considerata un modello per una salute ideale. La ricerca tutt'oggi dimostra che questa dieta, che si basa su cibi salutari e attività fisica, è la ricetta per una vita sana e lunga. È un piano alimentare eccellente e facile da seguire, flessibile e ottimale.

La Dieta dell'Indice Glicemico

La “dieta fondata sull'Indice Glicemico”, o “dieta IG” classifica i cibi, a base di carboidrati, in relazione all’incremento dei livelli di zucchero che provocano nel sangue di ogni persona.

In origine, sviluppato come uno strumento per aiutare i diabetici a controllare gli zuccheri nel sangue, l'indice glicemico si è fatto strada anche nell’ambito del dimagrimento. L'indice glicemico costituisce il principio di molte diete famose, come la Dieta SouthBeach e la Dieta Montignac.

Più specificatamente, l'indice glicemico (IG) misura quanto una porzione di 50 grammi di carboidrati aumenta i livelli di zuccheri nel sangue di una persona. In teoria, tutti i carboidrati vengono trasformati in zucchero e causano un temporaneo innalzamento dei livelli di glucosio,

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cosa che comporta la cosiddetta risposta glicemica. Questa risposta è influenzata da diversi fattori, fra cui la quantità di cibo, la quantità e il tipo di carboidrati, il metodo di cottura, il grado di lavorazione ed altro. Ad ogni alimento viene assegnato un numero da 1 a 100. E 100 è il punteggio di riferimento per il glucosio puro. I cibi sono valutati nella graduatoria come elevati (se hanno più di 70 punti), bassi (con meno di 55) o moderati (tra 56 e 69).

La popolarità di questa dieta è stata alimentata dall’asserzione che i cibi a basso indice glicemico possono aiutare a controllare l’appetito e il peso oltre a essere utili per le persone colpite da diabete. L’idea è che i cibi a basso indice glicemico vengano assorbiti più lentamente e diano un senso di sazietà più prolungato, evitando così le abbuffate.

Le persone che seguono la dieta, sono quindi incoraggiate a consumare carboidrati con basso indice glicemico, che tendono ad essere (ma non lo sono necessariamente) più salutari, ricchi di nutrienti, meno lavorati e con più fibre.

Di contro, i cibi ad alto indice glicemico, scatenano un aumento degli zuccheri nel sangue, seguito da una serie di variazioni ormonali che mediamente fanno sentire la fame a distanza di poco tempo in quanto sono

metabolizzati più in fretta dei cibi a basso indice glicemico.

Gli aumenti improvvisi degli zuccheri nel sangue degli alimenti ad alto indice glicemico sono problematici soprattutto per le persone affette da diabete. Il loro organismo, infatti, ha difficoltà nel regolare gli zuccheri. La teoria principe di questa dieta e che ne ha favorito la diffusione, è la seguente: se essa funziona nell’aiutare a controllare il livello degli zuccheri nelle persone diabetiche, allora funziona anche per il controllo del peso.

Poiché la dieta strutturata sull'indice glicemico è un approccio alla perdita di peso piuttosto che un piano specifico, le linee guida riguardanti i grassi, le proteine, l’alcol, il mantenimento del peso e l’attività fisica, variano a seconda del piano. La maggior parte delle diete che contemplano la misurazione dell'indice glicemico, suggeriscono inoltre lo svolgimento di una regolare attività fisica, nonché un consumo moderato di proteine magre e grassi salutari.

Il mantra della dieta fondata sull'indice glicemico è la qualità dei carboidrati, non la quantità. Il concetto base è di saziarsi attraverso una moltitudine di carboidrati “intelligenti” a basso indice glicemico – cereali integrali, frutta fresca, verdura e legumi – insieme a proteine magre e grassi salutari.

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Occorre quindi evitare gli alimenti ad alto indice glicemico, che tendono ad essere fatti con farina bianca e/o sono molto lavorati.

Detto questo, è possibile cadere in confusione quando si valuta il punteggio di indice glicemico di alcuni cibi come carote, che vanno da 16 a 92, o nel caso dello zucchero o dei dolci che possono avere un punteggio inferiore alle patate!

La verità è che un basso punteggio di indice glicemico non è una garanzia di cibo salutare. I cibi a basso indice glicemico includono barrette dolci e patatine fritte (IG 54). Il buon senso dovrebbe far comprendere alle persone a dieta che questi non sono componenti salutari per dimagrire. Allo stesso modo, vi sono cibi ad alto indice glicemico nutrienti, come il granoturco, patate al forno e succhi di frutta, che possono certamente rientrare in un programma alimentare sano.

Le diete che fanno capo all'indice glicemico sono divenute un popolare mezzo per perdere peso, basato in parte sull'idea che i cibi ad alto indice glicemico incrementano il livello di zuccheri nel sangue. Questo processo genera un'eccessiva secrezione di insulina da parte del corpo, conducendo all’immagazzinamento dei grassi. Ciò nonostante, tra i nutrizionisti è in corso un vivace dibattito sul valore

dell'indice glicemico nell’ambito del dimagrimento.

Uno dei motivi per cui l'indice glicemico è oggetto di controversie è la variabilità di punteggio assegnato alla stessa tipologia di cibo, che può risultare alterata da numerosi fattori che vanno dalla maturazione al metodo di cottura.

Più una banana è matura e maggiore sarà il suo punteggio. La pasta al dente ha un punteggio inferiore rispetto alla pasta cotta. Aggiungi grassi ai cibi e puoi ridurre l’IG, oppure, se il prodotto è fatto con fruttosio invece del saccarosio o zucchero da tavola, viene assorbito più lentamente e quindi ottiene una valutazione IG inferiore.

La risposta IG ad un dato cibo varia inoltre da persona a persona. Tale punteggio può addirittura variare nella stessa persona, da un giorno all’altro.

È difficile definire con certezza l'indice glicemico di un certo alimento, dato che il riso, per esempio, può andare da 55 ad oltre 100. Non vi sono differenze di classificazione per il riso bianco e quello integrale. O per il pane a base di frumento bianco o integrale, anche se chiaramente quello integrale è più salutare.

L'indice glicemico non misura la velocità con cui aumentano i livelli di

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glucosio. Gli studi che confrontano le diete a basso IG con quelle ad alto IG mostrano che i picchi di glucosio avvengono circa negli stessi momenti.

Il consumo di pasti a basso IG possono ridurre la fame. Hanno inoltre scoperto che le diete a basso IG sembrano essere più efficienti nelle persone il cui corpo rilascia più insulina. Questi soggetti tendono ad avere una forma a mela, ovvero accumulano grasso sul punto vita, rispetto a quelli con forma a “pera”, cioè che presentano grasso nella parte inferiore del corpo.

A prescindere dalla forma, una dieta a basso indice glicemico può essere salutare per il cuore: riscontrando miglioramenti dei livelli di trigliceridi e del colesterolo HDL.

Ludwig, fondatore dell’Optimal Weight for Life program (OWL) presso il Children's Hospital di Boston, afferma che molti bambini e famiglie hanno tratto benefici dal suo piano a basso IG di 9 settimane per il dimagrimento. Molte altre persone hanno sperimentato con successo altri piani alimentari a basso IG.

Spesso si critica questo regime alimentare sostenendo che la riduzione dell’appetito, derivante da diete basate sull'indice glicemico, potrebbe scaturire dal fatto che molti cibi con basso punteggio di IG, sono anche

ricchi di fibre che aiutano a saziare l’appetito.

Riuscire a calare di peso nel lungo periodo è un concetto più complesso della scelta di carboidrati a basso indice glicemico. Ciò che in realtà conta ai fini del dimagrimento è la qualità di quello che mangiamo e l’attività fisica.

Secondo alcuni esperti, l'indice glicemico è solo un nuovo espediente pubblicitario. Ma se questi espedienti possono aiutare le persone ad approcciarsi ad una dieta più salutare, allora ben vengano!

La presa in considerazione dei punteggi IG può aiutare alcune persone a controllare le calorie ingerite. E questo aspetto costituisce sicuramente l’essenza per un piano dimagrante di successo.

La dieta basata sull'indice glicemico ha connotazioni positive per quanto concerne la scelta di carboidrati salutari, ricchi di fibre, integrali, naturali, meno lavorati e che aiutano a sentirsi sazi riducendo le calorie.

Quando si parla di controllo del peso, non c’è una risposta semplice e univoca e nessun approccio funziona per tutte le persone. La dieta giusta per ciascuno di noi è quella che si riesce a seguire nel lungo periodo.

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Sebbene le ricerche relative all'indice glicemico siano molto numerose, i risultati sono eterogenei. Ulteriori studi sono necessari per ottenere un consenso sull’efficacia dell'indice glicemico come riferimento per un programma di dimagrimento a lungo termine.

La Dieta Paleolitica

Quasi tutti i giorni la scienza nutrizionale compie nuove scoperte sulla nostra alimentazione. Per esempio alcuni esperti, in questi ultimi mesi, affermano che per stare bene ci basterebbe seguire il regime alimentare dei nostri antenati dell’era paleolitica.

La dieta paleolitica, nota anche come dieta dell'uomo delle caverne (o Paleodieta), consiste in un piano alimentare fondato sul consumo di vegetali e animali selvatici, similmente a quanto facevano presumibilmente gli uomini delle caverne circa 10.000 anni fa.

Ma perché tornare indietro così tanto nel tempo e mangiare in questo modo? Il concetto di fondo è che il nostro organismo sarebbe geneticamente programmato per mangiare come i nostri antenati del paleolitico perché mal tollererebbe gli alimenti frutto dell'agricoltura o della lavorazione da parte dell'uomo.

I sostenitori di questa dieta, affermano che alimentarsi secondo questo regime significherebbe nutrirsi in modo biologicamente adatto al nostro organismo, con un corretto equilibrio di nutrienti, che promuoverebbe la salute e ridurrebbe l’incidenza di patologie croniche.

"Le sperimentazioni cliniche hanno mostrato che la dieta paleolitica è ottimale per ridurre il rischio di patologie cardiovascolari, alterazioni della pressione sanguigna e di fenomeni infiammatori. Aiuta inoltre a dimagrire, a ridurre le imperfezioni della pelle, favorisce una salute ottimale e migliora la prestazione atletica."

Queste, ed altre, sono le principali argomentazioni contenute in numerosi documenti e libri, nonché siti web, proposte dai sostenitori della Paleodieta. Tali fautori ritengono che l’odierna dieta occidentale sia responsabile dei livelli epidemici di obesità, cardiopatie, diabete ed altre patologie.

La dieta Paleolitica o Paleodieta, non è comunque priva di controversie. Alcuni esperti nutrizionisti asseriscono che gli esseri umani si sarebbero adattati ad una dieta più ampia che include cereali integrali, prodotti caseari e legumi. Altri invece, mettono in discussione la logica evolutiva della

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dieta stessa.

Anche se cerali e prodotti caseari sembrano essere salutari, il nostro genoma non si è davvero adeguato a questi alimenti, che possono essere causa di infiammazione a livello cellulare e favorire l’insorgenza di patologie.

La dieta si basa sui cibi che possono essere reperiti attraverso la caccia, la pesca e la raccolta nell’era Paleolitica: carne, pesce, crostacei, uova, noci, vegetali, radici, frutta e bacche.

Detto questo, non è possibile evidentemente seguire alla lettera la dieta paleolitica, poiché manca il contesto selvatico. Infatti la maggior parte dei vegetali oggi sono coltivati e non crescono spontaneamente, mentre le carni vengono allevate.

Tutto quello che si può fare, quindi, è seguire una versione moderna della dieta originale, che è priva di glutine e include carne magra, viscere, pesce, pollame, uova, verdura, frutta e noci. Si tratta quindi di una vasta gamma di cibi.

In questo contesto dietetico non si usano prodotti caseari, cereali, zucchero, legumi, patate, oli lavorati e qualsiasi altro cibo apparso solo dopo gli inizi dell’agricoltura.

La Paleodieta non prevede sale e bevande differenti dall’acqua. Per soddisfare il palato si può, invece, ricorrere al miele grezzo o allo zucchero della palma della noce di cocco, ma solo in quantità limitate.

Alcune versioni più rigide di questo piano alimentare incoraggiano il digiuno, il consumo di cibi grezzi e l’eliminazione di alcune verdure come pomodori e melanzane.

Altre versioni permettono una certa flessibilità, come l’aggiunta di oli lavorati quali l'olio di oliva e l'olio di semi di lino.

Sono raccomandati il consumo di vegetali organici, pesce e carni selvatiche, in quanto più simili alla qualità nutrizionale dei cibi dei nostri antenati.

Riassumendo, coloro che sostengono la Paleodieta affermano che le persone sono geneticamente programmate per mangiare come facevano gli uomini delle caverne prima dell’avvento dell’agricoltura. Ritengono inoltre, che questa alimentazione sia un modo efficace per ridurre la vertiginosa crescita dei casi di obesità, diabete, cardiopatie ed altre condizioni croniche che affliggono oggi la popolazione occidentale.

Tutto questo perché una dieta ricca di

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proteine magre e vegetali, apporta fibre, proteine e nutrienti che lavorano in sinergia per controllare il livello di zuccheri nel sangue, prevenendo il diabete di tipo 2 ed il sovrappeso.

Non è necessario seguire sempre questo canone. Mangiare come i nostri antenati l’80% delle volte, offrirebbe già benefici salutari.

Il programma incoraggia, inoltre, le persone a condurre regolarmente uno stile di vita dinamico. I nostri antenati, infatti, dovendo procacciarsi cibo, acqua e riparo, conducevano obbligatoriamente una vita molto attiva.

Gli esperti nutrizionisti sostengono da anni la necessità di rispettare una dieta semplice, basata su cibi integrali, carni magre, frutta, verdura, meno zuccheri, minor quantità di sodio e di cibi lavorati.

Di solito però, prevedono anche il consumo di prodotti caseari a basso contenuto di grassi, legumi e cereali integrali. Ciò in ragione soprattutto delle evidenze scientifiche che sottolineano l’importante ruolo svolto da questi alimenti nell’ambito di una dieta ben equilibrata.

“Le persone che seguono diete ricche di cereali integrali, fagioli e prodotti caseari a basso contenuto di grassi,

tendono ad essere più in forma perché questi cibi sono molto nutrienti. E le ricerche scientifiche sui benefici salutari delle diete che non escludono tali alimenti sono numerose”, concordano gli esperti.

La American Dietetic Association afferma: “La dieta ha molti aspetti interessanti. Ma alcuni limiti la rendono una di quelle diete che le persone iniziano ma non riescono a mantenere e rispettare nel tempo. Questa cosa è determinata da una serie di ragioni, fra cui la mancanza di varietà dei cibi, il costo, e le potenziali inadeguatezze nutrizionali, dovute all’eliminazione di alcuni gruppi di alimenti”.

Una dieta fondata su cibi freschi e non lavorati è il principio base della maggior parte delle raccomandazioni per una dieta salutare. Gli stessi suggerimenti però, contemplano anche cereali integrali, prodotti caseari a basso contenuto di grassi e legumi.

L’inserimento di questi gruppi di alimenti nella dieta aiuta a soddisfare le necessità nutritive e contribuisce a formare un programma alimentare ben equilibrato. I requisiti alimentari possono essere appagati anche senza questi cibi, ma ciò richiede un'integrazione e un'attenta pianificazione.

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In generale, è raccomandabile una integrazione con calcio e vitamina D, se si decidesse di seguire questo indirizzo.

L’eliminazione dei cereali, dei prodotti caseari, dei cibi lavorati, dello zucchero e di altri alimenti, molto probabilmente farà dimagrire, ma ripromettersi questo piano nel lungo periodo, data la sua severità, potrebbe essere davvero difficile.

La Dieta Macrobiotica

La dieta macrobiotica non è semplicemente un programma di dimagrimento. La dieta macrobiotica è uno stile di vita. Se l’idea di mangiare cibi naturali, biologici, prevalentemente vegetariani (con un po’ di pesce) ti attrae e nella vita quotidiana e nella scelta dei cibi, abbracci la filosofia Zen, la dieta macrobiotica allora può fare al caso tuo. Originaria del Giappone, la base della dieta macrobiotica comprende dogmi di Buddhismo Zen integrati con una dieta vegetariana di stile occidentale. Lungi dall’essere una mera lista di cibi raccomandati, essa si fonda sulla spiritualità che trascende lo stile di vita, le attitudini e le pratiche in fatto di diete. Il termine “macrobiotico” deriva dal greco e sostanzialmente significa “lunga vita” o “grande vita”.

Il regime dietetico macrobiotico sostiene la filosofia orientale dell’equilibrio dei cibi al fine di ottenere un'armonia tra yin e yang. Per raggiungere questo equilibrio, i cibi sono accostati sulla base delle loro caratteristiche in termini di acidità, asprezza, salinità, dolcezza e amarezza. I cibi yin sono freschi, dolci e delicati, mentre i cibi yang sono caldi, salati e dal gusto deciso. Alcuni alimenti sono proibiti in quanto contengono tossine o si collocano ai margini dello spettro, rendendo complesso il raggiungimento ed il rispetto dell’equilibrio Zen. Le versioni più recenti della dieta macrobiotica includono diverse fasi che diventano sempre più restrittive e culminano in un'alimentazione a base di riso marrone ed acqua, considerata il massimo dell'armonia tra yin e yang. Oggi, la versione americanizzata consiste in un piano vegetariano modificato. Sebbene non scientificamente provata, la dieta macrobiotica a base di cibi integrali e nutrienti, può proteggere da alcune forme di cancro e da alcune patologie croniche. I fedeli della dieta macrobiotica prediligono alimenti naturali, coltivati localmente, preparati e consumati in modo tradizionale, come per esempio in forno, al vapore o bolliti. Molti cereali, verdure, fagioli, soia fermentata e zuppe – integrati con

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piccole quantità di pesce, noci, semi e frutta – costituiscono la base del menu macrobiotico. Altri prodotti naturali, tuttavia, possono essere integrati per soddisfare le necessità individuali o durante un periodo di transizione dietetico. Essenzialmente si tratta di un piano “flexitariano”, ovvero di una dieta prevalentemente vegetariana che però, occasionalmente, ammette il consumo di carne o pesce. Un programma dotato però di norme che disciplinano il consumo, la cottura e gli stili di vita, come per esempio il rispetto di un pasto mangiato lentamente e una corretta ed attenta masticazione dei cibi. Gli alimenti dovrebbero essere per lo più consumati rispettando il loro stato naturale e quindi i cibi lavorati non sono raccomandati. Fra i cibi che non possono rientrare in questo regime ricordiamo le carni grasse, gran parte dei prodotti caseari, gli zuccheri, il caffè, il tè provvisto di teina, le bevande stimolanti, l'alcol, il cioccolato, le farine raffinate, le spezie piccanti, le sostanze chimiche e conservanti, il pollame, le patate e le zucchine. La dieta permette invece di consumare alcune qualità di frutta e verdura come pomodori, melanzane e peperoni in quantità limitate. I cibi banditi sono quelli considerati estremi, sovra-stimolanti o troppo concentrati e quindi

non in grado di permettere il raggiungimento dell’equilibrio. Gli integratori vitaminici e minerali non sono ben visti, sebbene fondamentali per il raggiungimento dell’equilibrio nutrizionale. È quindi consigliabile, se si desidera optare per questo regime nutritivo, consultare un dietologo professionista che aiuti a raggiungere l’equilibrio yin-yang senza compromettere la qualità nutrizionale del programma alimentare. In caso contrario infatti, ci si potrebbe imbattere in carenze nutrizionali. Ecco i cibi, con le relative dosi in percentuale, indicati da questo stile di vita:

• Cereali integrali, soprattutto riso marrone: 50%-60%.

• Verdure e alghe: 25%-30% • Fagioli: 5%-10%. • Pesce, noci, semi, frutta e zuppa

di miso: 5%-20%. • Zuppa, fatta con gli ingredienti

di cui sopra, in dosi da 1 o 2 tazze al giorno.

Coloro che praticano la dieta macrobiotica credono che il cibo e la qualità del cibo, abbiano un impatto sulla salute, sulla felicità e sul benessere. Il consumo di cibi naturali più vicini alla terra e quindi meno lavorati, è positivo per il corpo e la mente. Uno degli obiettivi è quello di

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diventare più sensibili nei confronti del cibo che si ingerisce e nel modo in cui esso influenza la nostra vita. Pertanto questa consapevolezza stimolerà la nostra vita e la nostra salute. Quello che mangi può essere modificato dai seguenti fattori:

• Stagione • Clima • Attività • Età • Sesso • Salute e altri fattori personali

Una dieta macrobiotica ben gestita può essere sana dal punto di vista nutrizionale. La dieta macrobiotica è un regime a basso contenuto di grassi e ricco di fibre. In ragione di tutti i prodotti a base di soia che essa prevede, questa dieta è anche ricca di fitoestrogeni, che possono ridurre il rischio di forme di cancro correlate agli estrogeni, come per esempio il cancro al seno. I nutrizionisti apprezzano l’accento posto sui cibi salutari a basso contenuto di grassi e ricchi di fibre, ma ne riconoscono anche le potenziali lacune nutrizionali. I nutrienti che suscitano preoccupazione, sono in particolare la Vitamina D e la vitamina B12, il ferro, le proteine e il calcio. Sono sostanze che possono essere carenti se non si presta attenzione. Ogni volta che eliminiamo un gruppo

alimentare, infatti, rischiamo di causare carenze determinanti per la nostra salute. La dieta macrobiotica si concentra sui cibi tipicamente mancanti nella maggior parte delle diete. Il maggiore consumo di più cibi naturali, cereali integrali, verdura e fagioli può essere un fattore positivo per gran parte delle persone. L'elezione di questo regime, tuttavia, può rivelarsi più complesso di quanto sembri, perché richiede modifiche allo stile di vita. Se ti interessa provare la dieta macrobiotica, inizia gradualmente. In primo luogo prova a integrare alcuni concetti di base, come il consumo di alimenti meno lavorati, poi continua aggiungendo i cereali integrali e così via. L’adozione della dieta macrobiotica richiede forte dedizione e impegno verso uno stile di vita molto più grande del tuo programma alimentare abituale.

La Dieta Ormonale Oggi tutti parlano di ormoni ma non sempre in relazione al dimagrimento, almeno finora. La Dieta Ormonale consiste in un programma in 3 fasi progettato per equilibrare gli ormoni, migliorare la salute e le abitudini alimentari. In sostanza generare un dimagrimento sia per le donne sia per gli uomini.

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Il bilanciamento dei livelli di ormoni è il segreto per dimagrire, per dormire, per sentirsi più attivi, privi di stress e più sereni. Il programma di sei settimane in tre fasi della Dieta Ormonale, inizia con una fase di due settimane di detossificazione in cui vengono eliminati i cibi maggiormente in grado di scatenare allergie, reazioni allergiche o emicrania. Nelle prime due settimane puoi aspettarti di perdere da 1,8 a 5,5 kg circa. Ciò include la perdita di fluidi. Nelle settimane seguenti, la perdita di peso sarà di circa 0,9 kg a settimana, in ottemperanza con le linee guida per il corretto dimagrimento. La fase due raccomanda di reintegrare lentamente i cibi ed osservare i segni di tolleranza. Infine, nella fase 3, si prevedono esercizi di yoga, di attività cardiovascolare e di sforzo al fine di ottenere forza, vigore e un equilibrio emotivo. Uno studio pubblicato a novembre sul Journal of Clinical Endocrinology and Metabolism mostra che i livelli di ormoni che stimolano l’appetito prima della dieta possono presagire un riacquisto di peso dopo la dieta. Ciò malgrado, la Dieta Ormonale va ben oltre l’appetito, la fame e gli ormoni che stimolano l’appetito, e suggerisce che l’intero sistema endocrino influenza il nostro peso.

Secondo Natasha Turner, fondatrice della Dieta Ormonale, la perdita di peso è direttamente associata a tutti gli ormoni del nostro corpo. “Gli ormoni governano ogni aspetto del dimagrimento, dagli attacchi di fame al modo in cui bruciamo le calorie e immagazziniamo i grassi, eppure l’80%-90% degli adulti soffre di squilibri ormonali”, enuncia Turner. Altri nutrizionisti sostengono che questa non è assolutamente una dichiarazione credibile e non è nemmeno scientificamente comprovabile poiché gli ormoni sono sempre in uno stato di flusso dinamico. Il fatto poi di affermare che il peso è correlato agli ormoni e che la maggior parte degli adulti soffre di squilibri ormonali è privo di significato. La dieta ormonale promuove una dieta naturale, preferibilmente biologica, che si basa su cibi privi di conservanti e non lavorati. I cibi ammessi nella fase detossificante sono i cereali privi di glutine, le verdure, ad eccezione del mais. La frutta è accettata, compresa quella in scatola o essiccata, ad eccezione degli agrumi. Promossi anche semi, noci, pesce, carne, feta o formaggio di capra, olive, avocado, semi di lino e olio di canola, uova, latte vegetale e prodotti a base di soia. Questo è tutto.

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Turner raccomanda anche l’uso di integratori, fra cui gli integratori probiotici, formule detergenti a base di erbe, formule per la pulizia dell’intestino con fibre e oli di pesce omega 3 durante la fase detossificante. Dopo la fase detossificante, si procede con la fase due, ovvero l’approccio “glyci-med” che consiste nel mangiare i cibi giusti, al momento giusto e nell’evitare una serie di alimenti che “ostacolano gli ormoni”, che la Turner identifica nelle noccioline, sciroppo di mais ad elevato contenuto di fruttosio, grandi pesci ricchi di mercurio, salmone di allevamento, uve, datteri, carni non biologiche e caffè non biologico. I cibi vietati nella fase due includono gli zuccheri raffinati, i cereali raffinati, i grassi trans, le carni lavorate, i grassi eccessivamente saturi, cibi con nitriti e la maggior parte dei dolcificanti artificiali. Il programma richiede l’integrazione con compresse come: integratori multivitaminici, vitamina D, antiossidanti di base, calcio e magnesio e un isolato proteico del siero di latte. Si raccomanda inoltre di bere molta acqua, almeno otto bicchieri al giorno. Le regole sono semplici: se mangi i cibi giusti al momento giusto (circa ogni 3-4 ore) ed eviti i cibi che

ostacolano gli ormoni, riuscirai a bilanciare i livelli ormonali e a dimagrire. Un test di autovalutazione può esserti utile per "scoprire" gli ormoni i cui livelli non sono corretti e il modo attraverso il quale puoi ripristinarli attraverso modificazioni della dieta, integratori, riduzione dello stress, sonno ed altri comportamenti quotidiani. Gli esperti di nutrizione hanno dibattuto diversi aspetti della Dieta Ormonale. I lati positivi di questo regime sono l’attenzione riposta nei confronti del sonno, della riduzione dello stress, dell’attività e della sana alimentazione. Il primo cartellino rosso però viene dato alla grande quantità di integratori riportati nel libro che potrebbe essere pericolosa e per di più senza l’inserimento di linee guida che permettano di monitorare le interazioni con le medicine. La detossificazione è un approccio dietetico molto conosciuto. Ciò malgrado, gli esperti sottolineano che se si ha un fegato sano, la detossificazione non è necessaria. Tutte le persone che svolgono un'adeguata attività fisica potrebbero rilevare che l'insieme prevede troppi pochi carboidrati dai quali poter ricavare energia. In sintesi e per concludere: è troppo complessa e piena di forzature.

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Conclusioni

Sebbene il vincolo calorico sia fondamentale per la riuscita di un qualsiasi programma dietetico, non deve trasformarsi nell'aspetto alimentare più importante. Così come sembra essere limitante porre l’attenzione sui carboidrati, come vorrebbero la maggior parte delle ultimissime diete. La restrizione calorica è solo una caratteristica della dieta. Di fatto, un regime alimentare sano ed equilibrato deve tener conto di molti altri parametri, ben più rilevanti del semplice controllo delle calorie. E questo vale anche per l'assoluta ed eccessiva importanza assegnata in talune occasioni alle proteine o nel caso venga prescritto di eliminare completamente i carboidrati. Tutti aspetti, di volta in volta, presi come unica bandiera da seguire indicati nei nuovi regimi dietetici per fini commerciali. Insomma, quello che conta, per ottenere dei risultati che vadano anche in direzione della salute, è considerare un insieme di fattori che partano dalla situazione del singolo caso. Di contro, la necessità dell'industria è quella di vendere. Non per niente si ingegna

nello sfornare novità presentandole spesso, e a torto, come panacea per tutti i mali. Il primo passo, quindi, rimane quello di partire dal determinare quante calorie è necessario assumere giornalmente a seconda degli obiettivi che si vogliono raggiungere. Dopo, e solo dopo, è bene sperimentare il proprio organismo e valutare di volta in volta come questo risponde a un regime mediterraneo (60% di carboidrati). Se effettivamente non si vedono grandi risultati, allora è il caso di dare una sferzata al proprio metabolismo riducendo le quantità di carboidrati e, ovviamente, aumentando le proteine. Giocando in questa maniera, si giunge a quello specifico equilibrio personalizzato tra carboidrati, grassi e proteine che è in grado di assicurare il corretto bilanciamento ormonale e un dimagrimento facile, senza rinunce, naturale e in perfetta salute.