DiArte 7 - Aracne · Ogni anno oltre 100 milioni di farfalle Monarca intr aprendono un lungo...

20
DiArte

Transcript of DiArte 7 - Aracne · Ogni anno oltre 100 milioni di farfalle Monarca intr aprendono un lungo...

  • DiArte

  • Direttore

    Ornella BUniversità degli Studi di Perugia

    Comitato scientifico

    Sandra CUniversità degli Studi Roma Tre

    Sandra H EUniversitat de Barcelona

    Gianni MUniversità degli Studi di Verona

    Antonio M RUniversidad Nacional de Educatión a Distancia

    Comitato redazionale

    Francesca BUniversità degli Studi di Perugia

    Enrico BUniversità degli Studi di Perugia

  • DiArte

    La collana risponde ai molteplici significati da attribuire allaDidattica dell’Arte e all’Educazione all’Arte in un’ottica di com-petenza e interazione con le discipline che ad esse afferiscono.La promozione della persona nella sua globalità espressiva siattua nella originalità di un percorso che si snoda tra esege-si, critica e rapporto con la tradizione, secondo un impegnoeducativo e formativo della relazione bellezza–bello.

  • Giovanni Festa

    Il montaggio sacrificale delle immaginie il retaggio rituale dell’opera d’arte

    Ejzenstejn, Warburg e Bataille

    Prefazione diBruno Roberti

  • Copyright © MMXVIIAracne editrice int.le S.r.l.

    [email protected]

    via Quarto Negroni, Ariccia (RM)

    ()

    ----

    I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

    con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

    Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

    I edizione: marzo

    [email protected]

  • 7

    Indice

    9 Prefazione di Bruno Roberti

    37 Introduzione

    45 Capitolo I

    Visioni del Messico 1.1. Messico crocevia culturale del Novecento, 45 – 1.2. L’immaginario

    messicano in Ejzenštejn, Warburg e Bataille, 55 – 1.2.1. Bataille e la scena

    sacrificale, 56 – 1.2.2. Ejzenštejn prima e dopo ¡Que Viva Mexico!, 6 – 1.2.3. Warburg e gli Hopi, 84

    6

    93 Capitolo II

    Il montaggio sacrificale 2.1. Per una definizione “sacrificale” e “rituale” del montaggio, 9 – 2.1.1.

    Montaggio e Sacrificio, 95 – 2.1.2. Montaggio sacrificale. Definizioni, 126 –

    2.1.3. Retaggio rituale del montaggio. Come opera il montaggio sacrificale sullo spettatore, 135

    3

    145 Capitolo III

    Tre tipi di montaggio sacrificale 3.1. Bataille e il montaggio crudele, 145 – 3.1.1. Paralleli con il montaggio

    sacrificale di Warburg e Ejzenštejn, 183 – 3.2. Warburg e il montaggio

    anatomico–magico, 188 – 3.2.1. Paralleli con il montaggio sacrificale di

    Bataille e Ejzenštejn, 251 – 3.3. Ejzenštejn e il montaggio dialettico, 25 –

    3.3.1. Paralleli con il montaggio sacrificale di Bataille e Warburg, 313

    6

    321 Capitolo IV

    Ejzenštejn e Bataille 4.1. Sacrificio, 321 – 4.2. Estasi, 377

    433 Capitolo V

    Warburg e Bataille 5.1. Pittogramma, 433 – 5.2. Rituale, 475

  • 8 Indice

    Ejzenštejn e Warburg 6.1. Linea serpentina, 515 – 6.2. Pathos, 560

    607 Una tavola di Mnemosyne “messicana”

    611 Bibliografia

    515 Capitolo VI

  • 9

    Glosse dell’immagine–farfalla

    BRUNO ROBERTI

    Ogni anno oltre 100 milioni di farfalle Monarca intraprendono

    un lungo viaggio, partendo dal est del Canada per arrivare alle

    foreste dell’altopiano messicano, un viaggio di oltre 4.000 km! I

    boschi scelti dalle farfalle coprono oltre 500 km quadrati, sono

    diventati santuari protetti e sono stati dichiarati Patrimonio

    dell’Umanità dall’UNESCO. Le farfalle arrivano ogni anno a

    fine ottobre e trascorrono l’inverno sulle cime degli alberi della

    riserva. Il loro arrivo coincide con il giorno dei morti, una delle

    feste popolari più importanti del Messico. Nel tempo, questo ha

    dato origine alla credenza che le farfalle siano in realtà le anime

    dei defunti che fanno ritorno a casa. Il loro ritorno si celebra

    con grandi banchetti, feste e offerte. Una volta arrivate nella ri-

    serva le farfalle passano i seguenti 5 mesi in gruppo e ricoprono

    i tronchi e i rami degli alberi come un grande manto arancione e

    nero.

    A volte ho paura a guardare le sue opere. Paura di quella loro

    perfezione assoluta. Sembra che quest’uomo non conosca solo la

    magia di ogni mezzo tecnico, ma sappia anche agire sulle corde più

    segrete dei pensieri, delle immagini mentali e dei sentimenti umani.

    Così dovevano agire le prediche di San Francesco d’Assisi; così ci

    incantano i dipinti del Beato Angelico. Egli crea in una zona

    dell’intimo più profondo e primitivo. Là dove tutti siamo figli della

    natura. Crea a livello di una rappresentazione dell’uomo non ancora

    incatenato dalla logica, dalla ragione, dall’esperienza. È così che le

    farfalle creano il loro volo. Tale è la corrente elettrica di due immagini

    che si compenetrano1.

    Così scriveva all’inizio degli anni Ejzenštejn a proposito

    di Walt Disney, che aveva incontrato nel suo viaggio america-

    no. In Disney, Ejzenštejn scorgeva una vis formativa sganciata

    ‘ 40

    Università della Calabria.

    1 S. M. EJZENŠTEJN, Walt Disney, tr. it., SE, Milano 2004, p. 27.

  • 10 Prefazione

    da ogni struttura di senso, liberata dai nessi ideologici e rivolta

    unicamente al potere trasmutatorio dell’immagine. Questa con-

    tinua, incessante trasmutazione alchemica delle forme diventava

    per Ejzenštejn una sorta di stato “chimicamente puro” della

    traccia filmica, una forza visuale che connette pensiero, nella

    sua intensità nervosa, e generarsi delle forme, come in un vorti-

    ce elettrico che compenetra il formarsi delle immagini

    all’intensità, al pathos che fluisce nel loro porsi come stati della

    materia. Ciò comunica un incantamento, stabilisce un canale di

    flussione formale, e di continua liberazione dalla definizione e

    dalla referenza del segno, in un moto che tende a sganciarsi dal-

    la narratività, a fuoriuscire dalla rappresentazione, a de–

    figurarsi. Stato ek–statico delle immagini, nel loro comunicarsi

    e dislocare lo sguardo, come Ejzenštejn andava teorizzando. E

    infatti non mancava di cogliere in Disney, soprattutto nel primo

    Disney, una pura potenza del visivo in cui il corpo disegnato,

    anzi il suo contorno, cioè un corpo–linea, era spinto verso uno

    stadio prelinguistico e addirittura precorporale, dove la traccia,

    il tratto, il generarsi della scrittura stessa, il suo germinare

    preumano permette la fuoriuscita di una immagine che è pura

    potenza magica, puro agente di trasmutazione, qualcosa che fa

    macchia nel reale.

    L’allungamento esagerato del collo di un personaggio dise-

    gnato nel momento in cui la sua anima patisce una data emo-

    zione: questo l’esempio che Ejzenštejn adduce, per rendere

    questa incarnazione estatica, questa formula che accede alla Fi-

    gura in un moto che strappa da sé stesso il figurale, che tende

    fino all’estremo la figurazione, provocando uno stato di fuoriu-

    scita che permette un oltrepassamento del metaforico, un pas-

    saggio oltre il senso figurato, oltre il transfert, oltre la translitte-

    razione. Non si tratta più di trasmettere degli stati formali,

    quanto di mostrarli nel loro essere prelinguistico, premetafori-

    co: è lo stato patico, il de–formarsi dei sensi nel sentire diretto

    della linea che si trasforma secondo gli stadi intensivi del sen-

    timento. L’assonanza semantica di anima, animazione e anima-

    le diventa indicativa di ciò che Ejzenštejn presentiva come una

    specie di destino primo e ultimo delle immagini, come una sorta

  • Prefazione 11

    di loro vis intrinseca in cui lo strazio della forma, il suo strappo,

    la sua mostrificazione e deformazione, la sua metamorfosi in-

    terna ed esterna (in un passaggio infraumano tra animico e ani-

    malesco, estatico e selvaggio) procede come una sorta di rea-

    zione chimica, di precipitato che strappa il figurale alla dittatura

    standardizzante della “logica formale” delle immagini come rei-

    ficazione, come merce o come arma persuasiva di coercizione.

    Nel movimento che dà anima al disegno, riportando a galla

    l’unione atavica fra moto e anima insito nella mentalità primiti-

    va, Ejzenštejn sottolinea come il gioco stupefacente dei contor-

    ni, vede questo tendersi e modellarsi in perfetta sincronia con lo

    stato d’animo, arrivando a deformazioni del tutto innaturali e

    così portate all’estremo come per esempio nel caso

    dell’allungamento esagerato di un collo,

    «l’allungamento/stiramento autonomo del contorno si decodifi-

    ca come “un’uscita del collo da sé”. E a questo punto si tra-

    sforma nell’incarnazione comica della formula del pathos e

    dell’estasi»2. Il generarsi immaginativo di linee e colori si as-

    soggetta così nell’animazione disneyana alla presa del nostro

    sguardo, e quanto più questo è capace di sganciarsi dalla pro-

    spettiva ottica, dalle leggi del visuale, tanto più empaticamente,

    magicamente, tattilmente, le forme si muteranno sotto un co-

    mando istintivamente innocente e se la purezza del bambino, il

    suo ritmico pendolare tra la perdita e il desiderio, tra

    l’oggettuale e il deflagarsi auroralmente, arcaicamente costitu-

    tivo del soggetto, il suo frantumarsi allo specchio, può avere in

    sé la potenza del gesto magico dello stregone, allo stesso tempo

    l’ombra animata di quel gesto, (come nel Topolino

    dell’Apprendista Stregone) pone in essere un moto incessante,

    una trasmutazione continua delle forme, un proliferare e un li-

    berarsi di stati di colore e di tratti che danno luogo alla Figura

    (che irromperà non tanto per rimettere tutto in ordine quanto per

    rivelarsi come volto supremamente generante, come vis figurale

    sottesa, nel momento in cui le forme, per mostrarsi, necessitano

    di uno scatenamento sensorio). L’immaginazione creatrice, con

    2 Ivi, p. 29.

  • 12 Prefazione

    il suo portato assoluto di magia empatica fa sì che abbia luogo

    una scrittura-incantesimo che genera la forma precisamente nel

    momento in cui il nostro sguardo la spinge fuori di sé in una

    mostrazione, un modo attrazionale e de–figurante. È come se

    l’animazione disneyana induca e lavori su uno stato sciamanico

    di controllo pulsionale delle forme oniriche, e Ejzenštejn coglie

    perfettamente questo aspetto. «Quanta magia nel ricostruire il

    mondo secondo la nostra fantasia e volontà. Un mondo imma-

    ginario di linee e colori che si assoggetta e si muta al nostro

    comando»3.

    La farfalla. se voglio godere del profilo delle sue ali e della per-

    fezione dei suoi colori devo catturarla, spillarla,ucciderla. Guar-

    dandola fuggire perderò tutto questo ma vedrò il suo battito, la

    su libertà. (Georges Didi-Hubermann)

    «Zeus, il creatore “ispirato” è come il pittore un creatore di

    farfalle, immagini effimere e variopinte. E non è dubbio che il

    quadro sia una allegoria della pittura»4. Così scrive Argan nella

    sua Storia dell’arte italiana a proposito del dipinto cinquecen-

    tesco di Dosso Dossi Giove che dipinge farfalle, dove si vede

    Giove intento a dipingere farfalle su una tela mentre Ermes si

    volge a una immagine femminile di “Virtus” facendo il cenno

    ermetico del silenzio. Il suo caduceo, altrettanto volatile

    nell’ammaestrare il volo della mente e l’aria entro cui volteg-

    giano le farfalle–psiche, è segno di una aleggiante verità delle

    immagini che è anche una vita, una “animazione”, e altresì una

    comunicazione, una messa in movimento comunicativa, connet-

    tiva del tessuto stesso dell’apparire. Ciò avviene con un “mon-

    taggio interno” dal momento in cui nella stessa inquadratura si

    afferma, e si mette in forma, la potenza di reviviscenza, di na-

    chleben, di ogni movimento delle immagini, nello stesso punto

    del suo farsi, del suo darsi a un pathos di figurazione e di effi-

    mera de figurazione. L’immagine viene risvegliata nel punto

    3 Ivi, p. 31. 4 G. C. ARGAN, Storia dell’arte italiana (vol. II), Sansoni, Milano 2002, p. 64.

  • Prefazione 13

    stesso in cui essa sta per scomparire, riassopirsi nel silenzio, il

    suo venire alla luce ha bisogno di un buio da cui emergere e di

    una penombra in cui sfumarsi. È il destino di passaggio, ma an-

    che di passione sacrificale di ogni immagine nel suo montarsi.

    In ciò risiede un principio generativo delle immagini. Questa

    generazione delle immagini ha a che fare con il “credere di ve-

    dere”, o meglio con la connessione illusione/credenza. È lo

    stesso principio generativo del cinema che permette di vedere di

    più nel momento stesso in cui ciò che si vede è destinato alla

    sparizione, allo sparagmos dissipativo in cui, come una farfal-

    la, è presa l’immagine, nel reticolo del suo concatenarsi e scon-

    catenarsi. Occhio ulteriore e magico, che trascende e insieme è

    immanente al processo di visione dell’occhio sdoppiato mac-

    china/uomo. “Ho qualche volta visto quel che l’uomo ha credu-

    to di vedere?”, scriveva Rimbaud in Le bateau ivre. «Certamen-

    te all’artista – nonostante sia, la sua operazione, un concretarsi

    delle apparenze – è dato il potere di farsi laceratore di quelle,

    indagatore, per questa via, d’ogni senso riposto e misterioso»5.

    Tale mistero attiene alla connessione tra atto del montaggio

    (processo) e ministerium rituale della sua trasmutazione (proce-

    dura). La farfalla–anima nel suo processo “crisalidico” è il se-

    gno per l’antichità pagana e poi per la liturgia mistica dei primi

    cristiani del “passaggio” da una zona all’altra della visibilità, la

    penombra silenziosa inerente a ogni s–chiudersi dell’immagine

    è ciò che sta tra, che è da un lato la fuga dell’anima dalla “rete”

    del corpo (secondo una visione neoplatonica e gnostica),

    dall’altro il trasporsi su un piano “ulteriore” di esistenza nel

    “levarsi” resurrezionale del corpo stesso dell’immagine, diven-

    tando corpo glorioso. E in Dossi questo sdoppiamento proces-

    so–procedimento, lacerazione sacrificale dell’immagine che si

    sottopone e si sospende in una survivance rituale (come inten-

    deva Pasolini: in una ricapitolazione, in un taglio, che dà un

    senso retrospettivo e insieme anticipativo, profetico, alle imma-

    gini della vita nel momento di una messa a morte del corpo in

    favore di un suo sol–levarsi resurrezionale, trascinando quel

    5 D. GUZZI, Masci. Farfalle, Edizioni della Luna, Roma 1986, pp. 76-77.

  • 14 Prefazione

    corpo in una luce trasfigurante che si sprigiona solo

    nell’immanenza di un retaggio “rituale" del fare immagine, co-

    me del “fare anima”) ci pare racchiuso (e dischiuso) in un

    “montaggio dei gesti” entro cui decifriamo: da un lato la mano

    del pittore–creatore che libera sulla tela le farfalle in volo e in-

    sieme le inquadra (in un certo modo trafiggendole col pennello)

    e dall’altro la Virtus nelle vesti già quasi di una Santa barocca

    che porta la mano implorante al seno e il cui ventre è come “tra-

    fitto” dalla punta del caduceo ermetico simile a una lama (in

    una posa “sacrificale”) e tra le due immagini il gesto arpocrati-

    co di Ermes si pone come un taglio di montaggio (effettuato dal

    trasmettere da una mano il suggello del silenzio alla trafittura –

    connessione del caduceo su cui si posa l’altra mano). Non è un

    caso se ciò è già, modernamente, una messa in abisso,

    l’inscrizione di un quadro nel quadro, e ancor di più di un atto

    di pittura, di messa in forma, di figurazione (processualità del

    fare immagini concatenandole mentre le si sconcatena) che si

    ripercuote in una procedura rituale nel segno del silenzio entro

    cui (come pare compiere la figura mistica femminile) si ri– sol-

    leva l’immagine stessa.

    Le farfalle notturne sono i messaggeri, o meglio ancora i custo-

    di dell’eternità… esse portano sulle ali una polvere… una pol-

    vere d’oro scuro… questa polvere è la polvere del sapere. Il sa-

    pere si spande come granelli di polvere d’oro… Dunque, per un

    guerriero, sapere è come ricevere su di sé una pioggia di granel-

    li di polvere d’oro scuro. (Don Juan a Castaneda)

    Nel 1923, data di “rinascita” primaverile del 21 Aprile, Aby

    Warburg pronuncia la propria conferenza sul rituale del serpen-

    te presso gli indiani Pueblo, nella clinica di Bellevue a Kreu-

    zlingen (dove fu paziente di Binswanger). È una conferenza di

    “risalita” nella luce dal periodo di catabasi infernale della ma-

    lattia psichica, e chissà che (in onore alla Belle-Vue cui è intito-

    lata la clinica) non si sia dato accesso visuale in quella occasio-

    ne a ciò che Giorgio de Chirico (in Sull’arte metafisica, pazzia

    ed arte, in Valori Plastici, aprile/maggio 1919) invocava, riper-

  • Prefazione 15

    correndo l’ivresse di Rimbaud, come quel quid che ai più fugge:

    non si sia manifestata come l’aleggiante e auratica presenza di

    una fanciulla “anadiomene” (di “fanciulla indicibile”, che la

    Menade danzante e serpentina di cui Warburg scrive nel Rituale

    del serpente, è la serpentiforme e farfalliforme immagine di una

    ninfa, quale la Kore era l’archetipo, e ancor prima le piccole

    Dame dei serpenti cretesi, tanto ammalianti e dai riccioli svo-

    lazzanti come le parisiennes anni ‘20 cui sono state comparate),

    fanciulla–falena attirata dal buio, alla luce e che pure (in quanto

    Psyche) la luce brucia (come brucia la pellicola assorbita ed

    emessa dalla luce) e per cui (illuminato dalla luce della lampa-

    da) fugge Eros (benjaminiana immagine in fuga). Ciò dal mo-

    mento che Warburg (come risulta dagli archivi Binswanger di

    Tubingen):

    Pratica un culto con le falene e le piccole farfalle che volano di notte

    nella sua stanza. Lui parla con loro nel trascorrere delle ore, gli affida

    le sue lacrime.. Le chiama “piccole anime viventi”. Forse nelle farfalle

    alle quali Warburg confida la sua melanconia bisogna vedere una

    nuova manifestazione della Ninfa che, nel 1918, continua ad incantar-

    lo6.

    Ernst Gombrich, nella sua biografia, cita un carteggio, che è an-

    che la bozza di un romanzo possibile dedicato alla ninfa farfal-

    lina, progettato a inizio del secolo scorso con il suo amico filo-

    sofo André Jolles, dove si evoca la Ninfa come una bella farfal-

    la che si cerca di afferrare.

    La più bella farfalla che io abbia mai trafitta con uno spillo mi appare

    improvvisamente sul vetro e si mette a danzare nell’aria azzurra…

    Ora, bisogna che l’afferri, ma non sono pronto per questo genere di

    esercizio. O, più esattamente, lo vorrei, ma la mia formazione

    intellettuale non me lo permette. Anche io sono nato in Platonia e sarei

    felice insieme a te se potessi guardare dall’alto di una montagna il

    volo circolare delle idee. Vorrei, quando la fanciulla dal passo leggero

    mi si avvicina, lasciarmi trascinare volteggiando con lei gaiamente.

    Ma questi slanci non sono per me. A me è concesso guardare indietro

    6 E. GOMBRICH, Aby Warburg. Una biografia intellettuale, tr. it., Feltrinelli, Milano

    2003, p. 103.

  • 16 Prefazione

    e assaporare nei bruchi il formarsi della farfalla7.

    Il rapido movimento dell’immagine–farfalla capta auratica-

    mente ciò che Warburg vede pur non vedendolo, o meglio vede

    in trasparenza, come su un fotogramma risalendo a ciò che è

    stato visto, alla genealogia di quella visione, e dunque “vedendo

    ciò che non (si) vede”, o che incessantemente fugge alla vista,

    sguscia come un serpente, abbaglia e scompare e incenerisce

    come un fulmine, bagliore che arriva guardando indietro, e a-

    vanza, si spinge avanti, come l’entrata della fanciulla col cane-

    stro (nella Visita alla camera della puerpera in Santa Maria

    Novella) Salomè che irrompe danzando: l’avvenire delle imma-

    gini è come l’apparizione improvvisa della farfalla notturna.

    L’accendersi improvviso dello schermo. Ciò può indurre (come

    l’arrivo del treno dei Lumière) a un moto di fuga degli astanti,

    simmetrico all’avanzare dell’immagine–farfalla e che in sé ri-

    specchia il fuggire via dell’immagine–farfalla stessa, trascinata

    dal movimento circolare che è anche lo scorrere e il trascina-

    mento dei fotogrammi, e quindi dare accesso a follia e guari-

    gione insieme ( una “follia” viene dalle ninfe, per dirla con Ca-

    lasso, ma anche una estasi liberatrice e guaritrice), per cui “si

    perde la testa” (come Orfeo e Oloferne cha hanno visto il pro-

    prio roteare di capo mozzato sotto le mani svolazzanti della nin-

    fa che taglia e trafigge tanto quanto il collezionista di farfalle fa

    con le piccole “psychai” fuggenti, eppure è da lì che si solleva

    la polvere d’oro delle ali di farfalla, “polvere di proiezione”, po-

    tere alchemico e trasmutativo dell’ “apprensione” filmica che si

    “rivela”, come le sue immagini–farfalla, attraverso un velo on-

    deggiante, schermo d’acqua e pioggia d’oro come per la Danae

    del Tiziano).

    Così le immagini volano, corrono, irrompono, si librano co-

    me le farfalle, e la mania , l’ossessione, sopravviene:

    In certi momenti ho l’impressione che l’ancella si slanci con piedi

    alati attraverso l’etere luminoso, anziché correre sulla terra… Basta,

    7 P.-A. MICHAUD, Aby Warburg et l’image en mouvement, Macula, Parigi, 2012, p.

    89 (trad. mia).

  • Prefazione 17

    ho perduto la testa per lei e nei giorni di ansia che sono seguiti l’ho

    vista dappertutto […] Nella scena che sarebbe stata serena, era sempre

    lei a recare vita e movimento. Certo, sembrava l’incarnazione del

    movimento… ma non era facile amarla… Chi è? Da dove viene?

    Dove l’ho incontrata prima? Voglio dire, millecinquecento anni prima.

    Viene da un nobile lignaggio greco, e la sua antenata ha avuto una

    relazione con qualcuno dell’Asia Minore, dell’Egitto o della

    Mesopotamia?8.

    Binswanger (e lo de–scrive a Freud nel 1921) parla, diagno-

    sticando Warburg, di rituali ossessivi che lo accompagnano

    dall’infanzia, e di eccitazione psicomotoria, ed è la stessa deri-

    va (quella evidentemente teorizzata da Guy Debord nel 1958:

    lasciarsi andare alle sollecitazioni del terreno e degli incontri

    che vi corrispondono, dal momento che “territorio” e “terrore”

    hanno la stessa etimologia, come fuggire e irrompere si corri-

    spondono nel medesimo “movimento di immagine” a farfalla )

    che lo spinge a pro–seguire il viaggio americano dell’inverno

    1895–1896 (medesimi anni dell’invenzione del cinema) da Nord

    a Sud, e dall’East al West, fino al Nuovo Messico, e che prende

    le mosse nella conferenza intitolata Immagini del territorio de-

    gli indiani Pueblos dell’America del Nord. L’inseguimento di

    una farfalla notturna come l’inseguimento di una immagine. E

    nympha è la denominazione del bozzolo crisalidico da cui si

    metamorfosizza la farfalla, e chenille in francese è insieme bru-

    co e filamento, ciniglia bozzolata, trama di filo, direi tessitura

    schermica da cui procedono le immagini. “La farfalla antica

    vien fuori dal bozzolo a ciniglia borgognone, la veste trionfal-

    mente ondulata e le ali di Medusa si sono sostituite al peso della

    cuffia”, sosteneva Warburg a proposito della fanciulla danzante

    che da una stampa attribuita a Baccio Baldini “si trasmette” a

    Botticelli. Sembra così in–seguire una trama vibrante,

    l’elettricità di fili–capigliature che diventano veli “in metamor-

    fosi”, sdipanandosi e insieme indicando con tracce mnestiche

    8 Jolles a Warburg in GOMBRICH, cit. pp.101-102.

  • 18 Prefazione

    un cammino in volo, linee nervose ed elettrizzanti di trasmis-

    sione, onde di immagini.

    Se volete esprimervi in modo preciso secondo gli stregoni, ma

    in modo molto ridicolo secondo il vostro linguaggio, potete dire

    che stanotte avevate un appuntamento con una farfalla notturna.

    Il sapere è una farfalla notturna (Carlos Castaneda).

    La scoperta dell’esotismo amerindiano e messicano, nel

    quadro degli esotismi tra fine ottocento e anni ‘30 del Novecen-

    to, è stata studiata, tra gli altri, da Elemire Zolla, il quale ipo-

    tizza che tali voli ispirativi e squarci su terre vergini inquietanti

    nascondesse un “passaggio alla quarta dimensione”, laddove il

    tempo diventa spazio, e che tale “avanzare in terra vergine, tre-

    mando”, costituisca uno degli aspetti segreti delle avanguardie.

    Si trattava, come scrive Zolla, di “inoltrarsi tra le incognite di

    un sincretismo assoluto”. L’esoterismo–esotismo si manifesta

    come porta su un’altra dimensione già a surrealisti non ortodos-

    si come Artaud o Daumal, in un ambito in cui l’etnologia si fa

    “accensione” visionaria su territori altri (come per Leiris, Cail-

    lois e Bataille). Tale via Artaud insegue e persegue in Messico e

    ai “pays” Tarahumara. «Con Artaud le menti più vigili scoprono

    che le arti tribali non sono ferine, ma parlano di stati alternativi

    della coscienza, non sono gridi di angoscia esistenziale, ma

    punti di appoggio per attivare la conoscenza di distinti stati

    dell’essere»9.

    Chi scoprì un campo di “ermeneutica” simbologia, allargan-

    do la visione del tribalismo oltre ogni evoluzionismo e su un o-

    rizzonte di reviviscenza anacronica, fu Franz Boas (non a caso

    le letture di Boas indirizzarono e spinsero Warburg nel suo

    “passaggio dimensionale” dal Nord-Ovest verso il Sud-Ovest

    americano). Ma la scoperta avvenne in Germania nel 1885 do-

    ve il giovane Boas vide una compagnia di danzatori tribali ame-

    rindi che gli squarciò lo sguardo sul “meraviglioso” etnologico,

    aprendo la strada ai surrealisti che, durante la Seconda Guerra

    9 E. ZOLLA, Uscite dal mondo, tr. it., Adelphi, Milano 1992, p. 466.

  • Prefazione 19

    Mondiale, «profughi a New York con Lévi-Strauss scoprono,

    ultima a incantare l’Europa, l’arte della costa nord-occidentale

    dell’America»10

    .

    Nel 1920 l’inizio della “rivoluzione permanente” in Messi-

    co assume risvolti allucinatori certo ma anche valenze metafi-

    siche, di una metafisica plastica, concreta, in atto, elementare,

    inscritta nel paesaggio e insieme “varcante” le porte percettive

    sulla quarta dimensione. I lampi eizensteniani sono la lunga vi-

    brazione di tutto ciò. Artaud, come ricorda Zolla, precorre Cas-

    taneda nello scrivere i suoi messages révolutionnaires : «Le

    Dieux du Méxique qui tournent autour du vide donnent une

    sorte de moyen chiffré de retrouver les forces d’un vide sans le-

    quel il n’y a pas de réalité»11

    . Nel 1939 Breton scrive Mexique e

    procederà nel 1950 a una redazione tutta messicana

    dell’Almanacco surrealista di mezzo secolo (dove si addita tra i

    libri essenziali del Novecento Les dieux, les héros et les hom-

    mes de l’ancien Guatemala d’après le Livre du Conseil di Ge-

    orges Raynaud, 1925).

    È Octavio Paz a evocare il volo della dea–farfalla, Itzapapa-

    lotl, nel poemetto Farfalla d’ossidiana, assimilata e amplificata

    proprio tramite l’impressione fotogrammatica di una potenza

    spirituale sul telo miracoloso e nelle iridi sacrali della Madonna

    di Guadalupe, che dischiude le “porte del sogno”.

    La “compagine” di un palinsesto di civiltà si fonda, per Ba-

    taille, così come ogni operazione di montaggio, sul dispendio

    sacrificale e sacrale:

    L’uomo è sedotto e aggregato alla comunità da uno spettacolo di in-

    guardabile orrore, pura spesa di vita. Il villaggio medioevale si agglo-

    merava unanime attorno alla tavola eucaristica dove si celebrava il pa-

    sto di carni adorate. Lo sgozzamento atroce è legato al culto del sole,

    che è in sé stesso un sacrificio di fuoco, una offerta accecante, a cui si

    risponde con una danza estatica […] Chi osa guardare questo centro,

    rimane agghiacciato e trasfigurato. Per elaborare la sua sociologia, Ba-

    10 Ivi, p. 467. 11 A. ARTAUD, Messages révolutionnaires, Gallimard, Paris, 1981 (trad. it., Mes-

    saggi rivoluzionari, a cura di Marcello Gallucci, Monteleone, Vibo Valentia, 1994), p.

    131.

  • 20 Prefazione

    taille tenne fisso alla mente l’esempio del Messico rivoluzionario, nel

    quale in qualche modo riaffiora il passato, l’adorazione del sole e del

    sangue12.

    Del pari fanno Artaud e Ejzenstejn , rispettivamente nello

    spettacolo reviviscente di immagini infuocate e sanguinanti di

    La conquista del Messico e nel “carnevale sacrificale” e rivolu-

    zionario delle immagini “sparagmatiche” di Que Viva México, e

    comunque su una tavola anatomica che è lo spazio solido e sa-

    crale, animico e fisico del montaggio.

    Sia Bataille che Caillois, ricorda Zolla, seguirono il corso di

    Dumèzil sui centauri, negli anni della fine del Front Populaire.

    In questo ambito le masse di energia psichica si condensano, si

    sprigionano e si spostano tramite le pratiche magiche propagate

    dal sacrificio cruento (come vide anche Marcel Mauss). Si ri-

    percuoteva così, dallo sciamanismo delle confraternite indoeu-

    ropee dei giovani “lievi e violenti” centauri, un incontro dello

    spirito russo, transiberiano, con quello dell’altra estremità occi-

    dentale, amerindiano. Due profughi russi, Levickij e Kojève,

    furono tra i maestri del gruppo che darà vita al Collège de So-

    ciologie (sorta di società segreta che si riuniva nel retrobottega

    di una libreria e dove si davano convegno anche Wahl e Paul-

    han, Klossowski e Leiris, Horkeimer e Benjamin). Il primo in-

    segnava a ripercorrere lo sciamanesimo siberiano, il secondo

    “rovesciava” Hegel nell’energia della “potenza del negativo”. Il

    vortice, la spirale come “disegno occulto” attorno cui le correnti

    magnetiche si agglomerano e si liberano, (la forza della forma

    di “immaginità” avrebbe detto Ejzenštejn), diventa un “princi-

    pio di montaggio”, dove si smonta e si rimonta l’organismo se-

    condo leggi segrete di reviviscenza. Attrazione e repulsione

    (immagine–conflitto, pathos del cozzo delle immagini su cui

    lavorava anche Ejzenštejn) presiedono come sensitività allo

    spazio vorticante del rituale del dispendio, come una “ferita a-

    perta sulla vita”.

    12 E. ZOLLA, Uscite dal mondo, cit. p. 468-9.