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BLIZZARD ENTERTAINMENT
Settore 6
di Micky Neilson
Sembrava che le urla sarebbero potute proseguire per sempre.
Qualsiasi veterano capace di fare il proprio mestiere sapeva che, colpendo con un picco di calore il
sistema di alimentazione al plasma del guanto di un Piromane con la giusta angolazione, non appena il
povero bastardo avesse cercato di attivare il lanciafiamme Perdition si sarebbe arrostito dentro la sua
stessa tuta... una lezione illustrata in quel momento dal caso disperato che agitava le braccia e saltellava
sulla "terra" lurida di Beta Saul, mentre lamenti di morte provenivano dagli altoparlanti esterni della sua
tuta arancione, che solo i servocomandi mantenevano in piedi.
Il comandante Dorian avrebbe mentito, se avesse detto che non provava piacere ad ascoltare quella
feccia di pirata gemere come un pollo allo spiedo.
Infine, il miagolio cessò e la tuta rinunciò a ogni tentativo di mantenere il suo occupante in posizione
verticale. L'esoscheletro cadde in avanti, sparpagliandosi e quindi sparendo nella nebbia densa come
una zuppa di piselli.
L'"aria" di Beta Saul, dalla terra all'esosfera, era un cocktail nocivo di gas letali, che si condensavano fino
ad azzerare la visibilità a circa un metro sopra la superficie. Detta superficie era un fango denso,
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perforato qua e là da strani cipressi ricurvi, alcuni alti solo due metri, altri che raggiungevano due volte
la statura di un uomo medio.
L'unica cosa rimasta riconoscibile del Piromane erano i serbatoi che sporgevano dalla parte posteriore
della tuta. Da qualche parte nel pantano circostante c'erano altri tre cadaveri. Uno di loro indossava un
esoscheletro crivellato di colpi, così obsoleto che al confronto la tuta CMC che Dorian indossava poteva
definirsi nuova di zecca; gli altri due indossavano un guazzabuglio di equipaggiamenti protettivi che
avrebbe potuto chiamarsi "armatura" solo se la parola fosse stata la battuta finale di una qualche
barzelletta particolarmente morbosa. La navetta che aveva fatto uscire quella squadra suicida era
scomparsa nel cielo color bile.
"Torniamo indietro?" La domanda di Spanneti risuonò dagli altoparlanti esterni. Dorian strascicò gli
stivali nel fango in modo da poter intravedere di lato, attraverso la visiera, il soldato subordinato. Lui e
Spanneti erano gli unici due a essersi separati dalla Squadra Brute. Spanneti aveva preso un colpo alla
parte superiore destra dell'esoscheletro, probabilmente nulla che il loro medico, Zimmerman, non
potesse gestire. L'esoscheletro di Dorian si era bruciato quando l'"amico Piromante" l'aveva preso di
mira, schernendolo per tutto il tempo... ma era stato Dorian ad avere l'ultima parola: qualcosa riguardo
al fatto che la carne gli piaceva molto croccante.
"Sì, torn..."
La voce del sergente Bekkins, disturbata dalle interferenze radio, lo interruppe sulla frequenza codificata
della squadra. "Signore, qui è Bekkins. Quel rilascio era un'esca. Stanno muovendosi per prendere il
carico." Sembrava assolutamente, adeguatamente (per lei, almeno) calma. Dorian l'aveva chiamata
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"imperturbabile" una volta. Spanneti aveva confermato, raccontando che aveva provato a
"perturbarla" più volte, ma lei non ne aveva voluto sapere.
"Via!" gridò Dorian a Spanneti. I servocomponenti cominciarono a scalciare nel pantano melmoso
mentre i due uomini correvano in direzione del tempio xel'naga, una sorta di struttura piramidale visibile
anche attraverso la foschia putrida.
Poi, un'altra voce all'orecchio di Dorian: "Squadra Brute, qui è il Comando. Rapporto sulla situazione.
Passo."
Come al solito, il Comando era inutile. Dorian avrebbe impiegato più tempo a spiegare quello che stava
facendo piuttosto che a farlo e basta.
"Il rapporto sulla situazione è che sono occupato. Perché non dite voi a me la vostra posizione e il tempo
d'arrivo stimato?"
Un soffio infastidito. "Tempo di arrivo stimato: dieci minuti. Passo." L'ufficiale al Comando doveva essere
un tipo suscettibile.
Nonostante l'aiuto delle loro armature CMC, Dorian e Spanneti avrebbero impiegato un minuto intero
per percorrere quella distanza. Allontanarsi dal gruppo, loro due soli, era stato un azzardo, ma a Dorian
piaceva giocare a dadi col destino. Fare le cose seguendo rigorosamente il manuale, dopotutto, era da
principianti. Gli "esperti" che avevano scritto quel manuale non avevano mai guardato un fucile d'assalto
AGR-14 dalla parte della canna.
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A volte si doveva semplicemente usare il buon senso. Subito dopo aver sentito il rapporto sul contatto
col nemico, Dorian aveva sospettato una finta. Perché altrimenti la navetta sarebbe passata
direttamente sopra la posizione controllata da Spanneti? Il pilota voleva essere individuato, per
distogliere l'attenzione dall'obiettivo dei pirati: la reliquia.
Si trattava sempre di una reliquia, o di un manufatto, o di un qualche oggetto con un nome
impronunciabile e uno scopo segreto.
Quella reliquia non faceva eccezione. Era vecchia, molto, molto vecchia, ed era tutto ciò che Dorian ne
sapeva. A tutti gli operativi veniva detto "lo stretto indispensabile". I pezzi grossi, ossia la Fondazione
Moebius, erano specializzati, tra le altre cose, nella ricerca archeologica su civiltà aliene da lungo tempo
estinte. Non era sempre stato così per la Squadra Brute. Un tempo il loro capo era Arcturus Mengsk, e i
membri del team erano al cento per cento del corpo dei Marine del Dominio. Ma dopo un paio di strette
di mano segrete e di incontri a porte chiuse, la Squadra Brute era stata trasferita nella Divisione
Moebius, il braccio militare della Fondazione Moebius.
Quindi... era la Fondazione Moebius a scegliere le missioni. Quando gli esploratori dell'avanguardia
avevano localizzato quel particolare tempio alieno, appartenente a una razza millenaria nota come
xel'naga, la Squadra Brute era stata inviata a cercare e recuperare la reliquia al suo interno. Piuttosto
semplice. D'altronde, gli esploratori avevano riferito che il pianeta era disabitato e che il tempio era
abbandonato... e in effetti lo era, almeno finché non si era presentato il Club dei Giocatori (quei gruppi
di pirati avevano una misteriosa abilità nello scegliere i nomi più stupidi).
La struttura aliena si allargava fino a coprire tutto il campo visivo di Dorian. Lui e Spanneti correvano
verso l'entrata sud. Potevano sentire gli spari, poi degli scoppi violenti, seguiti da tre esplosioni da far
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stridere i denti. A meno che Dorian non sbagliasse con la sua ipotesi, quell'artiglieria pesante era opera
dello specialista Cranston, il loro Devastatore, un professionista blindato che dispensava granate tipo
"Punitore" come un soldato in congedo fa con la sua paga in uno strip bar.
Quando svoltarono attorno alla base del tempio, Dorian vide la navetta della Squadra Brute ferma
esattamente dove l'avevano lasciata, a diversi metri di distanza dall'entrata al lato della struttura. C'era
anche un altro veicolo, un vecchio Grizzly. Dorian dovette ammettere che i Giocatori non erano degli
idioti completi: avevano lasciato il Grizzly in un angolo, di fronte alla navetta della Moebius, e stavano
utilizzando le armi di bordo, oltre che per sopprimere il fuoco che proveniva da dietro la navetta stessa,
per mantenere l'equipaggio di Dorian bloccato all'ingresso del tempio. Era un classico di Zeus (il nome
assunto dall'arrogante leader dei pirati). La Squadra Brute e Zeus si erano incrociati un paio di volte negli
ultimi anni. Purtroppo, il pirata l'aveva fatta franca ogni volta... di solito a costo della vita di molti dei
suoi Giocatori. In qualche modo, però, riusciva sempre a raccattare altre reclute.
Chiaramente, in questo caso i pirati avevano sperato di attirare lontano la maggior parte delle forze di
Dorian. Dopotutto, che razza di comandante avrebbe mandato solo due dei suoi soldati ad affrontare
una navetta piena di nemici?
Dorian sorrise dietro la visiera. Un comandante che era sempre un passo avanti, ecco chi.
E adesso si trovava pochi passi dietro... dietro la posizione di copertura dei pirati vicino alla navetta della
Moebius.
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Un segnale della mano di Dorian fece fermare Spanneti. I due uomini alzarono le armi e le scaricarono
sui pirati, sminuzzando quei tre figli di puttana proprio dove si erano accucciati, vicino alla navetta. E sì,
facendo anche qualche bel buco nello scavo esterno della navetta e sulle rampe di attracco.
Dorian, Spanneti, Bekkins e Cranston si sfogarono tutti sul Grizzly. Anche il soldato semplice Hopper, il
membro più giovane e meno coraggioso della squadra, sparava dalla copertura. L'armatura del Grizzly
non avrebbe resistito a lungo, e il pilota lo sapeva. Il getto del motore travolse Dorian, poi un vortice di
pennellate verdi tagliò l'aria, mentre il trasporto si sollevava, si inclinava e volava via come un fantasma
nella foschia scura.
Spanneti andò a controllare gli altri. Zimmerman era già con loro, pronta a fornire il supporto medico
necessario.
"Comando," disse Dorian dopo aver riattivato la frequenza codificata. "Sembra che la festa sia finita."
Tornò verso la navetta e fissò i due cadaveri lì sotto. "Stiamo torn..."
Due cadaveri?
Avrebbero dovuto essere tre. Uno di loro evidentemente indossava un'armatura CMC ed era
sopravvissuto.
Una voca rauca e baritonale irruppe sulla frequenza aperta. "Mi hai colpito, comandante, ma non
abbastanza da mettermi al tappeto. Sei tu quello che dovrebbe essere morto. Tu e i tuoi soldatini. Ma
non hai seguito il protocollo, giusto? Non come gli altri robot fedeli al Dominio avrebbero fatto... Me ne
ricorderò, la prossima volta."
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Era la voce di Zeus. Era lui quello che indossava l'armatura CMC. Dorian avrebbe potuto finito. Aveva
avuto quel vigliacco di pirata proprio lì, alla sua mercé, e se l'era fatto scappare. Di nuovo.
All'inferno. Visto come stavano le cose, c'era una sola direzione che Zeus avrebbe potuto prendere senza
essere visto.
"Comando, qui è il comandante della Squadra Brute. Siamo all'inseguimento del sospettato principale,
Zeus. Ripeto..."
"Negativo, comandante. Se il carico è al sicuro, il recupero è la vostra unica priorità. Passo."
Dorian avrebbe potuto usare la vecchia scenetta del "Che cosa? Come? Non sento!", ma dopo le prime
volte, i suoi superiori avevano mangiato la foglia. Quella volta, quindi, non si prese nemmeno la briga:
semplicemente, non rispose.
Spanneti gli fece un segnale con la mano, chiedendogli se voleva del supporto. Il comandante negò: non
c'era bisogno che tutti venissero rimproverati per aver disubbidito agli ordini.
Dopo aver girato dietro un angolo inclinato della piramide, Dorian vide la silhouette di Zeus in piedi in
bella vista, con l'arma sollevata. Zeus sparò. Dorian sparò. I proiettili tagliarono l'aria alla sinistra del
comandante, pericolosamente vicini. La scarica di Dorian tatuò il braccio sinistro, la spalla e il bordo
dell'esoscheletro che copriva la testa del pirata, nel momento esatto in un cui una grossa forma, simile a
quella di una colomba, scendeva sollevando pennacchi di nuvole putrescenti. Un istante dopo, il Grizzly
bloccava la linea di fuoco di Dorian, e Zeus, non visto, senza dubbio stava salendo a bordo della nave.
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La raffica di Dorian proseguì, ma i proiettili rimbalzarono contro la corazza dell'ingombrante bestia, che
intanto si alzava in volo e scompariva nel miasma.
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Diverse ore dopo, il comandante Dorian stava guardando fuori dal finestrino d'osservazione di uno
shuttle planetario. Gli asteroidi, alcuni delle dimensioni di una moto Vulture, altri grandi come
incrociatori da battaglia, apparivano e scomparivano, spesso sfrecciando un po' troppo vicini per non
creare un certo disagio.
Il computer di bordo della nave era stato programmato con un ben preciso percorso di volo, lungo la
cintura chiamata Revanscar. Un errore anche solo di un metro avrebbe potuto provocare una perdita di
integrità, che era fondamentalmente un modo carino per dire che la nave sarebbe stata fatta a pezzi da
una di quelle rocce spaziali e che tutti i suoi occupanti, inclusa la Squadra Brute, sarebbero finiti fuori, in
mezzo alla distesa di asteroidi... una distesa che rappresentava tutto ciò che rimaneva del pianeta
Revan.
Più ci pensava, più non riusciva a togliersi quell'immagine dalla testa: Dorian e i membri della sua
squadra che galleggiavano in mezzo ai detriti sparsi, con una speranza di vita di circa novanta secondi nel
vuoto... o anche meno, se fossero stati polverizzati da uno di quei proiettili di pietra che viaggiavano a
circa venticinque chilometri al secondo. E il prezioso carico, quella lastra per la quale avevano rischiato
la vita, quanto sarebbe durata? Forse più di tutti loro. Dopotutto, era sopravvissuta fino a quel giorno.
Forse avrebbe trovato il suo posto perenne nel vuoto freddo e silenzioso.
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Il pilota annunciò che a breve avrebbero raggiunto la struttura della Fondazione Moebius. Una rapida
occhiata dal finestrino confermò che si stavano avvicinando all'enorme roccia che serviva da base per le
operazioni della Divisione Moebius. Mentre si avvicinavano, il comandante poté godere di una migliore
visione dell'impianto, che dominava quasi metà di quella massa terrestre. La base era composta da
piatte strutture tentacolari in neo-acciaio che si estendevano dal nucleo centrale come le dita della
mano di un gigante.
La nave oltrepassò una serie di torrette e fu accompagnata verso lo spazioporto, dove si preparò per
l'atterraggio. Era ora. Dorian era ansioso di liberarsi del carico e di riferire al maggiore Braxton, per poi
ricevere una nuova missione per la sua squadra. Qualunque fosse.
****
"Dimenticati di Braxton," sbottò il tenente colonnello Sparks. Sparks, Dorian lo stava imparando,
sbottava su tutto. Proprio come ogni altro ufficiale sotto cui aveva servito. "Fai rapporto a me, ora."
Dorian già lo odiava. Perché mai tutti quei soldati da poltrona facessero ricorso alla condiscendenza e
alla mancanza di rispetto per stabilire la loro superiorità, non riusciva davvero a capirlo.
"Certo, il maggiore ti ha lisciato, facendo leva sui tuoi risultati sul campo. Sai cosa penso? Penso che non
vedesse l'ora di trasferirti, di farti diventare il problema di qualcun altro. Ho il sospetto che possa essere
la stessa ragione per cui Arcturus ti ha passato alla Moebius, prima di andarsene: liberarsi di un peso
morto! A giudicare dai tuoi successi, sì, sei una superstar, ma a guardare le azioni disciplinari, sei un
fallito senza valore."
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La scrivania del tenente colonnello era immacolata, proprio come il resto dell'ufficio. Dorian era certo
che, se avesse passato un dito sopra una delle targhe appese al muro di Sparks, sarebbe rimasto pulito.
Gli unici oggetti sul tavolo erano un olo-proiettore e un telecomando sottile e affusolato, e anche quei
due oggetti erano stati posizionati con una cura maniacale.
"Sai una cosa?" proseguì il vecchio uccellaccio, impettito dietro la scrivania mentre Dorian era a riposo di
fronte a lui. "Ora sei una pigna nel mio, di culo. E non mi piacciono le pigne nel culo, comandante!"
Quel telecomando sottile, con l'estremità appuntita, sarebbe stata un'ottima arma, pensò Dorian.
Sarebbe stato abbastanza lungo da riuscire a raggiungere il cervello, una volta conficcato nell'occhio del
tenente colonnello.
Dorian si godette la visione di Sparks riverso sul pavimento, agonizzante, che cercava di afferrare il
telecomando conficcato, sanguinando e sputando gli ultimi spasmi di vita sui pannelli nuovi e intonsi.
"Allora?" abbaiò Sparks.
"Signore?" rispose Dorian. Non si era reso conto di aver completamente annullato la voce del vecchio
cane da discarica. Certo, ogni tanto fantasticava sullo strozzare delle persone, ma di solito non così nei
dettagli.
"Ti ho chiesto se avevi qualche idea intelligente sul perché non dovrei consegnare la tua carcassa
indegna a qualche altro sfortunato bastardo. Chiaramente la risposta è no. La ragione, caro amico
ignorante, è che sono a corto di personale. E indovina cosa andrete a fare, tu e la tua squadra di
superstar?"
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"Non ne ho idea, signore."
Sparks non camminava più avanti e indietro. Si era messo una mano sul fianco e con l'altra puntava
contro Dorian un dito accusatorio, tutto proteso in avanti come la sua mandibola sporgente.
"Vi occuperete della sicurezza. Proprio in questa base. Settore 6. Divisione di Ricerca Avanzata."
Sicurezza? Diceva sul serio? Fare da babysitter ai camici da laboratorio e a tutte le loro stronzate
sperimentali? Proteggere i loro progetti e loro, da chi poi? O da cosa? Niente avrebbe potuto
attraversare quel campo di asteroidi.
"Non sei eccitato, comandante? La cosa non ti rende felice? Non ti sorprenderà sapere che non me ne
frega un cazzo! Puoi scommetterci la tua pellaccia lurida che il buon vecchio Braxton, qualunque nuovo
incarico top secret abbia in ballo, sta ridendo a crepapelle in questo momento."
Dorian non ne dubitava affatto.
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"Che razza di cagata è questa?" Spanneti era furioso. Alzò le braccia e si fece tutto rosso in volto. "Non è
roba per noi!"
Spanneti era fortunato a essere in grado di alzare le braccia. Zimmerman aveva fatto un ottimo lavoro
con la sua ferita. Certo, nel corso degli anni aveva rattoppato lesioni molto peggiori per la squadra.
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Il soldato semplice Hopper si sporse in avanti, i gomiti sulle ginocchia. "Non mi piace affatto. Sta
succedendo qualcosa. Qualcosa che non ci stanno dicendo." Dorian spesso accusava Hopper di
spaventarsi della propria ombra. "È un brutto segno," proseguì. "Ci sbatteranno fuori dalla Divisione."
Hopper lanciò un'occhiata in direzione di Dorian. Il ragazzo non l'aveva detto. Nessuno l'aveva ancora,
detto, in realtà, ma...
"È perché hai inseguito quel pirata, Zeus?"
Zimmerman non aveva avuto paura di dirlo. Stava appoggiata allo schienale, con le braccia conserte, a
guardare Dorian con disapprovazione. Tutti sapevano che Dorian aveva un modo tutto suo di... far
saltare la mosca al naso al Comando. Fin dai tempi del Dominio. Morsi di senso di colpa si attorcigliarono
nel petto del comandante. E la sua testa, che già soffriva del padre di tutti i mal di testa, iniziò a pulsargli
ancora più forte.
"Non è un segreto che Braxton ce l'aveva con me," rispose. "Quasi fin dall'inizio. E sì, forse questa è una
sorta di vendetta. Ma una cosa la so: voi ragazzi", e agitò il dito verso di loro, "siete i migliori a fare
quello che fate."
Guardò ognuno di loro, a turno. Erano seduti al tavolo della piccola sala del personale. Zimmerman non
sembrava bersela. Spanneti annuiva. Hopper era agitato. Cranston, cui era stato bruciato il cervello o in
altri termini era stato "neuro risocializzato", lo fissava con lo sguardo fisso, gli occhi spalancati e un
sorriso leggero che gli faceva tremare le labbra. E Bekkins... Bekkins era Bekkins. Indecifrabile come
sempre, si massaggiava una tempia con un dito, inducendo Dorian a chiedersi se fosse anche lei
infastidita dal mal di testa. E... aveva la pelle leggermente imperlata di sudore, sulle braccia nude e sulla
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parte superiore del torace. Dorian, come il resto della squadra, indossava canottiera e pantaloncini.
Nonostante ciò, la stanza sembrava più calda di quanto dovesse essere. Dorian sentì una goccia di
sudore scivolargli lungo la fronte.
"Zimmerman," continuò Dorian, "tu collaborerai con il personale medico all'interno del Settore 6
durante questo incarico. Per il resto di voi, come ho già detto, attende la sorveglianza. Faremo la
guardia. Una volta che Sparks si sarà goduto la sua vittoria, torneremo in sella, a spaccare culi e
guadagnarci epiteti."
Non era sicuro che fosse vero, ma di certo era la cosa giusta da dire. Spanneti rispose. "Ci hai salvato la
pelle su Braxis... ci hai fatto vincere su Korhal, sulla Stazione Ghobi, su Pantera Prime... Diamine, se non
potessimo fidarci di te, a questo punto, tanto varrebbe fare i bagagli." Uno per uno, gli altri annuirono,
anche Zimmerman, benché per ultima.
Dorian sorrise. Era sempre bello sapere che la sua squadra aveva fiducia in lui, a prescindere da cosa
pensasse il Comando. "Questo è ciò che voglio sentire, Squadra Brute."
Il comandante concluse l'incontro, mentre il mal di testa prendeva il sopravvento.
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Le prime quarantotto ore furono noiose. Dorian non era riuscito a ottenere una risposta chiara da
Sparks, quando gli aveva chiesto quanto a lungo sarebbe durato il loro incarico. Il comandante sperava al
massimo sei mesi, che sarebbe stata la durata standard, ma nella Divisione Moebius non c'erano
garanzie.
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I mal di testa e la febbre erano proseguiti, ma senza altri sintomi influenzali, quindi Dorian archiviò il
tutto solo come un fastidio minore. Anche gli altri ne erano affetti, ma visto che non influiva sul loro
lavoro, non era un grosso problema.
La cosa più strana era il suono che l'aveva svegliato la notte prima: uno stridio molto acuto, diverso da
qualsiasi cosa avesse mai udito prima. Forse avrebbe potuto paragonarlo solo al lungo bip d'allarme
prodotto dalle macchine mediche quando un paziente andava in arresto cardiaco. Aveva interrotto il suo
sonno, ma era cessato subito dopo.
Quando si era affacciato dalla sua porta, non aveva visto niente nella stanza o nel corridoio degli alloggi
degli ufficiali. L'aveva quindi attribuito a qualche strano sogno che non riusciva a ricordare, ma mentre
se ne stava lì, al Cancello 4, Settore 6, non ne era poi così sicuro. Non riusciva a togliersi quel suono dalla
testa, e aveva l'impressione che avesse continuato brevemente, dopo che si era svegliato.
Dorian desiderò con tutto se stesso che accendessero l'aria condizionata. Non lo aiutava il fatto di
indossare un equipaggiamento tattico. L'armatura era minima, ma se avesse dovuto indossare la tenuta
CMC completa, almeno avrebbe potuto tenere sotto controllo la temperatura. Guardando l'ora sullo
schermo della sua visiera, Dorian si sentì in ansia per le successive due ore.
Fu allora che le urla iniziarono.
Non erano i lamenti che aveva sentito in sogno (sempre se di lamenti si era trattato). Erano grida
umane, il tipo di urla strazianti emesse da persone che stanno per morire o che credono al di là di ogni
dubbio di stare per morire. Dorian le aveva sentite spesso, solitamente troncate dal rumore dei colpi
delle armi.
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Thum! Thum!
Ed eccoli, i colpi.
Dorian era già operativo e passò il badge sullo scanner per accedere all'ingresso. Quando la porta si aprì
scivolando, vi corse attraverso, con il calcio del fucile d'assalto appoggiato contro la spalla e la canna che
ondeggiava a destra e a sinistra. Oltrepassò l'ingresso e continuò a correre.
Un tecnico di laboratorio uscì di corsa dalla stanza più lontana in fondo al corridoio, con la bocca aperta
e gli occhi sbarrati dal terrore, e quasi scivolò sul pavimento a pannelli quando gli fu accanto.
Un altro grido arrivò dalla stanza da cui era uscito il tecnico. Un altro colpo. Poi silenzio.
Dorian svoltò l'angolo. Un uomo dai capelli grigi in camice bianco stava in piedi vicino a una postazione
di lavoro e guardava il corpo a terra di un altro tecnico, il cui sangue stava fuoriuscendo ed
espandendosi a macchia sul metallo lucido. L'uomo fissava la vittima con un'espressione vuota, a labbra
serrate, e teneva stretta in mano un'arma piccola e compatta che Dorian non aveva mai visto prima.
Il comandante continuò ad avanzare, in attesa che il tecnico lo vedesse e sollevasse la sua arma, così da
permettergli di sparare due brevi sequenze di colpi, una al petto e una alla testa. Ma quel momento non
giunse. Quando Dorian gli fu vicino, l'uomo alzò lo sguardo, e nel momento in cui lo fece qualcosa guizzò
nei suoi occhi: qualcosa che sarebbe potuto essere una specie di... riconoscimento. Ma poi il bastardo
sorrise e disse...
"La sua ombra... si allunga."
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Dorian rispose fracassando la mandibola di quel folle con il calcio del fucile. Quando l'uomo lasciò
cadere l'arma e indietreggiò contro la postazione di lavoro, scattò un allarme di emergenza. Il suo corpo
cadde quindi in mezzo alle attrezzature sparse e si afflosciò, senza più muoversi.
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"L'arma era una pistola sperimentale al plasma," disse Sparks. Era in piedi dietro la sua scrivania, con le
mani sui fianchi. "L'ha rubata da un altro settore della base."
Dorian era in posizione di riposo, accigliato. "E l'ha portata nel Settore 6. Per sparare alla gente...
apparentemente a caso. Mi piacerebbe sapere il perché." Aveva preso delle pillole contro il mal di testa,
poco prima, che non avevano minimamente alleviato la sua terribile emicrania. Vermi. Si sentiva come
se dei vermi gli stessero scavando nel cervello... Era il peggior mal di testa che avesse mai avuto. Forse
sarebbe stato meglio, se quell'ufficio non fosse stato così terribilmente caldo.
"Be', quello è un lavoro per gli investigatori, no?" ribatté il tenente colonnello. "E tu non sei un
investigatore." Sparks si appoggiò sulla scrivania, mettendoci sopra le mani spalancate come per
reclamare la sua proprietà su quel pezzo di mobilio. "Tu ti occupi di sicurezza. Un agente di sicurezza che
ha permesso che due persone fossero uccise durante il suo turno."
"Cosa che si sarebbe potuta evitare, forse," rispose Dorian, "se qualcuno della mia squadra potesse stare
di guardia dentro il Settore."
"Tu stai dove noi ti diciamo di stare," ribatté Sparks.
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"Qualunque sia il motivo per cui il tecnico ha sbroccato... Poteva essere qualcosa su cui stava
lavorando? C'è il rischio di un altro incidente?"
Sparks rispose che tutti gli ufficiali del Settore 6 sarebbero stati dotati di armi da fianco, da quel
momento in poi. Proseguì quindi con qualche sciocca banalità sui permessi e i protocolli di sicurezza e la
vecchia tiritera sul sapere solo "lo stretto indispensabile". Una cosa era vera: il Settore 6 era al di là di
ogni classificazione. Nessuno sapeva su cosa stessero lavorando nei più profondi recessi della struttura,
anche se delle voci riferivano di esperimenti di xenobiologia.
Mentre il tenente colonello continuava a berciare, un'altra immagine si insinuò nella mente di Dorian,
improvvisa e inattesa: Sparks, posizionato esattamente com'era, ma senza pelle. Dorian lo immaginò fin
nei più vividi dettagli: senza vestiti, senza peli, senza capelli, solo muscoli, tendini, vene... Sparks sollevò
le mani dalla scrivania, e con gli occhi della mente Dorian gli vide lasciare due impronte insanguinate sul
legno.
Il comandante chiuse gli occhi e contò fino a tre. Quando li riaprì, vide il volto di Sparks contorcersi in
una smorfia mentre lo guardava, come se Dorian fosse stato un pezzo del cibo che il tenente colonnello
aveva appena vomitato.
"Dovresti andare a farti vedere da un medico," gli disse Sparks, con un tono in qualche modo
accusatorio. "Hai un aspetto di merda."
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Dorian era di nuovo nella sua stanza, alla ricerca di un po' di riposo, quando l'ologramma di una testa
robotica di un'aiutante apparve sulla scrivania, comunicandogli che il sergente Bekkins aveva chiesto di
parlare con lui nel suo alloggio.
La stanza di Bekkins negli alloggi dei soldati era una caverna di ghiaccio. Ricordava a Dorian la
temperatura che aveva impostato nel proprio, di alloggio, e che insieme alle pillole antidolorifiche aveva
alleviato il suo mal di testa abbastanza da permettergli di non impazzire. Quando Bekkins aprì la porta,
era pallida e sudata, nonostante l'aria fredda e nonostante indossasse pantaloncini e canottiera. Tornò a
sedersi sulla sua branda e Dorian le si sedette di fronte, su una piccola sedia.
"C'è qualcosa che non va," esordì. Le sue spalle si piegarono in avanti mentre si grattava il braccio
sinistro. "Non so cosa stia succedendo, ma... Vedo delle cose con la coda dell'occhio. Movimenti, ombre,
cose che in realtà non ci sono." Lo guardò, e forse per la prima volta da quando Dorian potesse
ricordare, lasciò trapelare un'emozione dalla sua espressione. Era appena accennata, ma c'era.
Paura.
"Ho i brividi. E sento delle cose, anche," proseguì. "Cose che stanno dietro i muri. Come dei graffi. A
volte... delle urla. Urla lunghe e strazianti, e non capisco da dove vengano. Non dormo più. Quando
dormo è quasi peggio... quello che sogno. Le cose che... faccio mentre dormo, nei sogni."
Dorian attese prima di rispondere. Capiva che aveva bisogno di sfogarsi. "E non sono solo io," continuò
Bekkins. "Anche per gli altri è uguale, ma non così tanto. A parte Cranston, forse... Non possiamo
saperlo, per via della lobotomia. Quante volte lo hanno ripulito?"
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Dorian scrollò le spalle. Giravano voci che la prima risocializzazione neurale di Cranston non avesse
avuto successo, e che fosse stato necessario ripetere la procedura. Alcuni dicevano che era stato
sottoposto alla procedura diverse volte, subendo così danni cerebrali permanenti. Nessuno della
squadra sapeva tutta la verità, nemmeno Dorian. Tutto ciò che il comandante sapeva di Cranston gli
bastava: era un soldato efficiente.
Bekkins continuò. "È iniziato tutto quando abbiamo raccolto quella cosa su Beta Saul. Sono stata io a
guardarla, a raccoglierla, a trasportarla... Mi dava i brividi. E lo fa ancora."
"Sei andata a farti vedere da un medico?" chiese Dorian.
Bekkins scosse la testa. "Non ancora. Preferirei... Non voglio che il Comando lo sappia. Non voglio essere
azzerata da qualche scarica psichica."
"Capisco," disse Dorian, scegliendo con cura le parole. "Anch'io sono stato un po'... così. Vorrei che
comunque ti facessi vedere, almeno per i sintomi fisici. Anche il resto della squadra. Forse... Forse ci
siamo presi qualcosa mentre eravamo lì... nonostante le tute. Non lo so. O magari mentre stavamo
tornando. Forse i medici sistemeranno tutto..."
Un cinguettio risuonò sul tavolo accanto al comandante. L'ologramma proiettato era quello di
un'aiutante. "Sergente Bekkins, chiamata audio da parte del soldato semplice Hopper," disse.
"Accetta," rispose Bekkins.
La voce di Hopper uscì dalla base del proiettore. "Sergente, qui è Hopper. Hai visto Spanneti?"
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"Pensavo fosse di guardia," rispose Bekkins, guardando interrogativamente Dorian, che annuì.
"Sì, io sono il suo cambio," disse Hopper, "ma quando sono arrivato qui, se n'era già andato. Non è da lui
lasciare il posto. Sono preoccupato..."
Hopper era sempre preoccupato. Dorian però temette che, in quel caso, le preoccupazioni di Hopper
potessero essere giustificate.
****
Quando Dorian arrivò, Hopper stava camminando nervosamente avanti e indietro di fronte alla Rimessa
B, dove avrebbe dovuto prendere il posto di Spanneti. La Rimessa B era anche il luogo dov'era custodita
la reliquia che avevano recuperato su Beta Saul.
"L'hai trovato?" chiese il ragazzo, asciugandosi il sudore della sua fronte.
Dorian si fermò e fissò la porta, e il pensiero di quello che c'era là dietro lo paralizzò e quasi ipnotizzò
temporaneamente. "No," rispose. E senza prendersi del tempo per valutare le proprie azioni, si avvicinò
alla porta e passò sullo scanner il badge cucito sulla manica.
"Non... non dovresti entrare lì..." disse Hopper.
"Lo so," rispose Dorian mentre la porta si apriva.
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Entrò, e la porta si chiuse dietro di lui. Era una stanza spoglia di medie dimensioni, immersa nella luce
bianca proveniente dal soffitto. Al centro dello spazio vuoto c'era un podio e lì sopra la reliquia che
galleggiava. Sembrava così innocua: una lastra rettangolare nera, alta la metà di Dorian, con i bordi
inchinati leggermente verso l'interno al centro e curvati quel tanto che bastava per sembrare... sbagliati.
Non c'era molto da vedere. Eppure Spanneti era in piedi a un metro di distanza, lo sguardo fisso sulla
reliquia.
Non si accorse della presenza di Dorian. Rimase perfettamente immobile, con la testa inclinata, le
braccia abbandonate lungo i fianchi, a guardare il centro della stanza con aria assente, come se fosse
perso in qualche forma di ipnosi profonda. L'espressione vuota del suo volto, così come la sua postura,
ricordavano stranamente a Dorian il tecnico di laboratorio pazzo in piedi sopra la vittima cui aveva
appena sparato.
"Spanneti," disse Dorian.
Nessuna risposta.
"Spanneti!" Questa volta più forte, la voce riecheggiò sulle pareti.
Il soldato sbatté le palpebre, alzò la testa e lo guardò.
"Oh," disse. "Oh, ehi, capo."
"Hopper ti ha dato il cambio un quarto d'ora fa," disse Dorian.
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Lo sguardo di Spanneti era ancora lontano, come se stesse sognando a occhi aperti. Deglutì. "Mi sa
che, ehm, ho perso la cognizione del tempo."
Dorian guardò la reliquia. Aveva qualcosa... qualcosa di insondabile, qualcosa nella sua superficie d'onice
che ricordava gli enormi abissi tra le stelle.
Sforzandosi non poco, Dorian spostò lo sguardo dall'oggetto. "Non dovresti essere qui," disse al giovane.
"Signor sì, signore," rispose. "Io non... Sono nei guai?"
Dorian si voltò e passò il badge sullo scanner. "No," rispose, "ma ti porto subito a farti vedere da un
medico."
****
Alla Squadra Brute fu prescritto un farmaco antinfluenzale. Dorian sospettava che la maggior parte degli
altri (se non tutti) sapesse benissimo che ciò che li affliggeva era molto più grave di un'influenza.
Avrebbe voluto parlare con il tecnico di laboratorio impazzito, che era detenuto da qualche parte in una
cella di isolamento nel Settore 6. Ovviamente, il tenente colonnello Sparks si rifiutò di dargli il permesso.
Ma Dorian aveva un certo talento nell'aggirare tali ostacoli. In questo caso, tuttavia, aveva bisogno di un
complice. Qualcuno all'interno.
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C'erano voluti quindici minuti buoni per convincere il tenente Zimmerman che le sue motivazioni
erano giustificate. Zimmerman era un medico capo nel Settore 6 e, come tale, godeva di permessi di
sicurezza superiori a quelli di Dorian. Era anche il medico di base del professor Benz (che, come scoprì
Dorian, era il nome del tecnico di laboratorio pazzo).
Zimmerman aveva sentito e visto delle cose che l'avevano messa in uno stato perpetuo di confusione
fuori controllo. Aveva reagito con un regime di trattamenti auto-somministrati, un cocktail di sua
ideazione, che aveva ridotto i suoi "sintomi", ma l'aveva anche resa più debole. Stava somministrando
una variante dello stesso intruglio a Benz. Le condizioni del professore, aveva confidato a Dorian, erano
"estreme". Non aggiunse altro a riguardo. Disse che, anche se non era stata in grado di diagnosticare con
certezza la causa della sofferenza, credeva che avesse a che fare con la reliquia, e probabilmente con gli
esperimenti su alieni vivi che si svolgevano nella zona più interna del Settore 6, un'area denominata "Ala
Nera".
Dorian voleva sapere da dove arrivavano tutte quelle informazioni. Per quanto riguardava la reliquia,
Zimmerman aveva appreso che il professor Benz era stato il tecnico a capo dell'analisi dell'oggetto.
Secondo le ricerche che aveva fatto su di lui, l'uomo non aveva mai dato segni di ostilità prima di
quell'incarico. Per quanto riguardava le altre informazioni, Dorian scoprì che Zimmerman aveva un
"amico" in sala mensa, un impiegato della sicurezza che l'aveva presa in simpatia. Il suo compito era
tenere sotto controllo i vari video forniti dalle telecamere di sorveglianza in tutto il Settore 6. Nell'Ala
Nera, le aveva confidato, non c'era nessuna telecamera.
Anche se Zimmerman non pensava che il suo corteggiatore fosse "affetto" da qualcosa, mostrava i
sintomi di una leggera paranoia. Il medico, tuttavia, aveva ritenuto i suoi sospetti sull'Ala Nera non del
tutto infondati. I suoi superiori la tenevano d'occhio e l'avevano sottoposta due volte a valutazioni
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psichiche, che chiaramente doveva superare per poter continuare a lavorare. Le stesse valutazioni
erano state eseguite sul suo corteggiatore, ed entrambi ritenevano che fossero necessarie per tutto il
personale chiave nel Settore 6. Per quanto riguardava i loro superiori, tutti gli alti ufficiali avevano
iniziato a indossare un dispositivo su un orecchio. Zimmerman non era sicura di cosa fosse esattamente,
ma l'aveva sentito chiamare "psico-schermo".
Nel corso della loro conversazione, il medico aveva espresso riluttanza all'idea di partecipare al piano di
Dorian. Ma alla fine decise che il rischio di non agire superava in gravità l'eventuale punizione. C'era
qualcosa che non andava, dovette ammettere, qualcosa di grosso... ed era tempo che trovassero delle
risposte.
****
Non c'erano telecamere dentro o nei pressi della cella di Benz che permettessero di vedere cosa
succedeva al suo interno. C'erano le telecamere esterne, quelle nell'Ala Iso e nei corridoi del Settore 6.
In preparazione a quanto stavano per fare, Zimmerman aveva accennato a Watkins (il suo corteggiatore
in sala mensa) che avrebbe accompagnato uno specialista esterno nella cella di Benz per una diagnosi
più accurata. Per fortuna, visto il suo interesse per lei, Zimmerman sapeva quando Watkins era
"disponibile", e di conseguenza sapeva anche quando sarebbe stato di servizio.
Così, il medico e Dorian erano entrambi coscienti che Watkins probabilmente li stava osservando in quel
momento, mentre proseguivano lungo un labirinto di corridoi, superando i passaggi del Settore 6 verso
l'Ala Iso. Anche se non era mai arrivato prima fino a quel punto del settore, Dorian intuiva che stavano
andando sempre più verso l'interno, verso il cuore oscuro della struttura, che li aspettava come un
ragno al centro della sua tela.
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La maggior parte dei tecnici non alzò lo sguardo dalle proprie postazioni di lavoro, e le poche persone
che passavano nei corridoi sembrarono non badare a Zimmerman e all'uomo che la accompagnava in
camice bianco. Tuttavia, Zimmerman era chiaramente molto tesa, e senza mezzi termini disse a Dorian
quanto ansiosa fosse di terminare in fretta la loro piccola bravata. Nonostante i nervi, aveva un aspetto
migliore di quello di Bekkins. Zimmerman aveva offerto loro delle dosi del suo intruglio speciale: Dorian
ne aveva prese alcune per sé e aveva distribuito delle fiale agli altri. E il comandante aveva dovuto
ammettere che il mal di testa martellante era diminuito in un sordo ma persistente disagio.
Infine, raggiunsero la cella e Zimmerman passò il suo badge sullo scanner. La porta si aprì. Dorian entrò
mentre il medico aspettava fuori.
La cella aveva pareti solide su tre lati. Il muro rimasto era occupato da una finestra d'osservazione da
pavimento a soffitto che si affacciava sul corridoio, e dall'ingresso che Dorian aveva appena varcato.
C'era un letto singolo lungo la parete opposta alla finestra, e una toilette nell'angolo ai piedi del letto.
Le luci rivelavano una serie di simboli che erano stati incisi sulle pareti bianche. In un primo momento gli
sembrarono casuali, ma più Dorian li osservava, più intuiva l'esistenza di una sorta di lingua primitiva a
pittogrammi. Doveva esserci un modello, un ordine di sequenza, con elementi piccoli che comparivano
in un punto e poi si ripetevano, ma Dorian non avrebbe saputo riconoscere quei simboli. Solo uno era
vagamente identificabile. Era il più grande, e dominava gran parte dello spazio della parete sopra il letto
di Benz: una figura eretta, con molti arti, in apparenza un po' zerg e un po' protoss. Quel disegno, come
gli altri, era stato colorato con diverse tonalità di cremisi.
Benz indossava una tuta bianca da ricovero. Stava rannicchiato vicino alla testa del letto, sulla parete
opposta rispetto a dove stava Dorian. La posizione del comandante gli permetteva di vedere solo la
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schiena dell'uomo, che era concentrato a fare qualcosa sul muro, presumibilmente aggiungere
dettagli alla sua tentacolare composizione.
"Professor Benz," disse Dorian. L'altro non rispose. Dal movimento della spalla destra, sembrò che il
professore si fosse portato la mano al volto per poi riportarla sul muro.
"Professore!" lo chiamò Dorian a voce più alta.
L'uomo si voltò quanto bastava per vedere il comandante. Le sue guance erano completamente rovinate
da segni di graffi e croste. Gli occhi spalancati erano nascosti in fondo alle orbite. La faccia e la testa
erano scavate. Il mento e la parte anteriore della tuta erano completamente sporchi di rosso sangue.
Benz si infilò un dito in bocca, lo agitò un po' e poi lo estrasse gocciolante, come fosse un pennello di
fortuna, e tornò al suo disegno.
Guardando ai piedi del professore, Dorian vide due denti, e intuì con disgusto che l'uomo stava usando
le cavità vuote delle gengive come macabri calamai di sangue. Pensò a Zimmerman, che aveva definito
le condizioni del tecnico "estreme". Sì, certo, era un modo di descriverlo.
Dorian si avvicinò e si mise accanto a Benz, il quale stava arricchendo con qualche imperscrutabile
particolare il suo ultimo disegno. Il comandante notò che sulle braccia del professore, visibili grazie alle
maniche arrotolate, c'erano ferite e lacerazioni simili a quelle che aveva sul volto.
"Professore, vorrei farle qualche domanda," disse Dorian, guardando dietro di sé sopra la spalla verso la
finestra di osservazione, dove si trovava Zimmerman. Se stava cercando di apparire disinvolta, stava
fallendo miseramente: gli occhi guizzavano ansiosi da un capo all'altro del corridoio.
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"La sua ombra..." cominciò l'uomo.
"Si allunga. Sì, lo so," disse Dorian, voltandosi verso di lui. "L'ha già detto. Ma l'ombra di chi? Qualcuno
l'ha costretta a fare... quello che ha fatto?"
Benz parlava con voce roca e bassa, in modo bleso a causa dei denti assenti, uno dei quali era un incisivo
superiore. Dorian dovette sforzarsi per sentirlo e decifrare le sue parole. "L'Eterno... vede tutto.
L'obbedienza sarà premiata. La resistenza... sarà punita."
"Chi è l'Eterno?" insistette Dorian, avvicinandosi.
Benz interruppe il suo lavoro. Si allontanò dal muro, fece un piccolo passo, si chinò sul letto e con
riverenza allungò le dita aperte sulla raffigurazione della strana forma di vita.
"Il suo messaggero."
Dorian fissò il disegno. "Questo è il suo messaggero? Il messaggero di quell'Eterno?"
"Io... obbedisco," disse Benz all'idolo, più e più volte. "Obbedisco. Obbedisco. Obbedisco..."
Dei colpi rapidi sulla finestra d'osservazione fecero trasalire Dorian. Si voltò e vide un'accigliata
Zimmerman, che ruotava la mano mostrando il polso, sollecitando il comandante a fare in fretta. Dorian
annuì. Sì, più a lungo restavano lì, maggiore era il rischio di essere scoperti.
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Dorian si diresse verso la porta, gettando un ultimo sguardo alla divinità di sangue scarabocchiata, al
suo messaggero o quello che era... e al suo devoto servitore.
Zimmerman sudava mentre se ne andavano, gli occhi che freneticamente scattavano in tutte le
direzioni. Lei e Dorian proseguirono nella direzione da cui erano venuti senza incidenti ed erano a pochi
metri dalla Rimessa B quando un cinguettio li fece fermare.
Era il comunicatore di Zimmerman. Il medico e il comandante si scambiarono un'occhiata. Zimmerman
era chiaramente restia a rispondere. Fece un profondo respiro, prese il dispositivo dalla tasca, premette
un pulsante e disse: "Qui Zimmerman," con la voce un po' rotta.
Dorian sentì qualcuno all'altro capo. Qualunque cosa venisse detta, sembrava urgente.
"Sì, signore," disse Zimmerman, e concluse la chiamata. Si rivolse al comandante. "C'è uno stato di
emergenza nella camera bianca. Ci vediamo più tardi." Zimmerman si rimise il comunicatore in tasca con
mano tremante e corse via.
****
Quindici minuti più tardi, quando Dorian incontrò Bekkins fuori dalla Rimessa B, aveva un aspetto
migliore. Tuttavia, il comandante non voleva correre il rischio di una ricaduta.
"Vai, Bekkins. Ti do il cambio," disse.
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Sul dorso delle mani del sergente c'erano graffi in via di guarigione. Il viso era pallido, ma gli occhi
erano limpidi. "Sicuro?" chiese.
"Sì, riposati un po'."
"Ricevuto" disse Bekkins, e se ne andò.
Il tempo scivolò via per la prima ora. Il corridoio era deserto. Dorian si ritrovò a guardare continuamente
verso la porta della rimessa, ripensando a Spanneti che se ne stava lì in piedi, perso a osservare la
reliquia.
Quando non stava guardando la porta, Dorian pensava a quale sarebbe stata la sua prossima mossa,
preoccupato com'era per la sua squadra, soprattutto dopo la "conversazione" con Benz. Inizialmente il
mal di testa di Dorian era peggiorato, ma passata l'ora iniziale, il dolore cominciò ad attenuarsi. Più
passava il tempo, più si sentiva sollevato. Ben presto si ritrovò appoggiato al muro vicino alla porta, con
la testa inclinata e gli occhi chiusi. Si riprese, alzando di scatto la testa, e fece due passi per svegliarsi. Ma
non passò molto tempo che rallentò, si fermò di nuovo con la schiena contro il muro, e cominciò a
sonnecchiare, le palpebre pesanti...
Il suo corpo era da qualche altra parte. La sua... anima? Spirito? Qualunque cosa fosse, galleggiava. Era
calmo, sereno, senza alcun dolore. Il vuoto era semplicemente l'assenza di tutte le cose. Non c'era
niente, e poi ci fu una voce, proveniente dal nulla e da ovunque.
"Il conto alla rovescia è iniziato. Tu sei tra i Prescelti."
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Quella voce sembrava risuonare in tutto il suo essere. "Prescelto per cosa?" chiese.
"Prescelto per servire. Servire l'Eterno," disse la voce.
Poi d'improvviso si rese conto di tutto: dell'ambiente circostante, dei sentimenti di serenità... erano solo
fumo e chiacchiere, stronzate. "Io non servo nessuno," replicò.
"Tu obbedirai," rispose la voce. Era più forte, ma in qualche modo ancora rassicurante.
"Qualunque cosa tu stia cercando di fare, non funzionerà," ribatté Dorian. "Rinuncia. Ti sono addosso.
Mi hai sentito? Stai lontano da me e dalla mia squadra. Altrimenti, ti troverò e ti zittirò io. Ricorda le mie
parole, alieno di..."
"EEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE..."
L'urlo fu come un coltello infuocato al calor bianco attraverso il cervello. Dorian si piegò, chiuse gli occhi
e si batté le mani sulle orecchie, ma così sembrava solo peggiorare le cose. Quello stridio era dentro la
sua testa.
Dopo forse un minuto, il suono cessò. Il mal di testa era tornato, peggiore di prima. Dorian lentamente
aprì gli occhi, aspettandosi di essere nel corridoio fuori dalla Rimessa B.
E invece no, era dentro la rimessa. La reliquia galleggiava sopra il suo piedistallo come un marchio nero
sulla realtà stessa, una ferita aperta nel tempo e nello spazio. Il comandante immaginò che aspetto
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doveva aver avuto visto dall'esterno pochi istanti prima, in piedi davanti alla lastra, incosciente,
esattamente come Spanneti.
Si strofinò le tempie mentre camminava verso la porta. Doveva incontrare Zimmerman per sapere
dell'emergenza nella camera bianca, prima di parlare con la squadra di quello che gli era appena
successo.
E... aveva bisogno di qualche altra fiala del suo speciale cocktail di farmaci.
****
Pochi minuti dopo, Dorian era negli alloggi C degli ufficiali, di fronte alla porta della stanza di
Zimmerman, a premere il pulsante di chiamata.
Nessuna risposta.
Il comandante indossava ancora l'equipaggiamento tattico. La voce del tenente colonnello Sparks giunse
nell'auricolare, sul canale della sicurezza. "Comandante Dorian, qui Sparks. Sto cercando il tenente
Zimmerman da un'ora."
Sapeva che si trovava davanti alla sua porta?
"Io... non l'ho vista in questo lasso di tempo, signore."
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"Se la trovi, mettiti subito in contatto con me." Sparks chiuse la trasmissione. Dorian prese il
comunicatore e compose il numero del medico...
Un cinguettio, ovattato ma udibile, risuonava dall'altra parte della porta di Zimmerman.
Forse era sotto la doccia... ma Sparks la stava cercando da un'ora. Una doccia un po' troppo lunga.
Il personale di sicurezza possedeva un codice master in grado di sbloccare tutte le porte degli alloggi in
caso di emergenza. Dati i recenti eventi, il comandante si sentì giustificato a utilizzarlo. Digitò quindi il
codice sulla tastiera vicino alla porta, che immediatamente si aprì.
Dorian entrò nella stanza. Zimmerman era sdraiata sulla sua branda, vestita ancora con canottiera e
pantaloncini. Le labbra erano blu, la carnagione di un bianco spettrale, la bocca e gli occhi spalancati. Le
gambe, dove si vedeva la pelle, erano viola. La mano sinistra era appoggiata sul fianco mentre la destra
era stesa verso l'esterno e pendeva sopra il bordo del materasso. Un taglio netto correva verticalmente
lungo l'interno del polso. Le lenzuola sotto il suo corpo, e gran parte del pavimento di metallo, erano
rossi del suo sangue.
Il comandante si precipitò verso di lei e le mise due dita sul collo. Nessun battito. Iniziò le compressioni
toraciche, sapendo che in fondo era tutto inutile. Era morta da troppo tempo per avere una qualsiasi
possibilità di riprendersi. Tuttavia insistette per alcuni minuti, finché le sue braccia non si stancarono. Si
inginocchiò, singhiozzando, i pensieri fuori controllo. Era stata lei a farsi tutto questo? O era stato
qualcun altro? E perché mai?
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Alzò lo sguardo, notando che le punte di due dita erano coperte di sangue. E quell'immagine gli fece
ricordare il professor Benz...
Dorian si voltò e fissò la parete di fronte ai piedi della branda.
Scritte sul muro c'erano tre parole, ripetute più e più e più volte, a lettere rosse sulla superficie bianca:
"IO NON OBBEDIRÒ. IO NON OBBEDIRÒ. IO NON OBBEDIRÒ..."
****
"Non posso credere che sia morta."
Bekkins era stanca, e si vedeva. Era anche scioccata. Lo erano tutti (tranne, forse, Cranston). La squadra
si era radunata nella stanza di Dorian, e la loro incredulità era evidente nel silenzio e negli sguardi vuoti
e persi. L'unico che non sembrava sbalordito era Cranston. naturalmente. Guardava Dorian con
apprensione, come un cane in attesa che il suo padrone gli lanci la palla.
"Cos'ha detto Sparks?" chiese Bekkins.
"Non ho ancora fatto rapporto," disse Dorian. In risposta ai volti stupiti che si trovò di fronte, proseguì.
"Penso che la Moebius custodisca un alieno nell'Ala Nera del Settore 6... e penso che quell'essere stia
entrando nelle nostre teste. Ci fa stare male, ci fa vedere cose, sentire cose, ci sta spezzando... per
poterci controllare."
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Spanneti annuì. Bekkins rimase impassibile. Hopper distolse lo sguardo. Cranston sorrise. Dorian
continuò. "Ho anche il sospetto che stia usando quella reliquia che abbiamo recuperato... come una
specie di amplificatore."
"Forse hai ragione, capo," disse Spanneti. "Ha senso."
"Non ho fatto rapporto su Zimmerman per due ragioni," continuò Dorian. "Non so se l'alieno ha preso il
controllo di qualcun altro, e, se così fosse, quanto in alto nella catena di comando è arrivato. Sparks non
mi è sembrato per niente desideroso di condurre un'approfondita indagine sul comportamento del
professor Benz..."
"Pensi che l'alieno tenga Sparks sotto controllo?" disse Hopper.
"Non lo so," ammise Dorian. "Il nostro vecchio capo, Braxton... forse non gli piacevo, ma credo che mi
avrebbe ascoltato. Purtroppo, non ho modo di contattarlo direttamente... Sparks mi ha fatto capire che
è impegnato in qualche operazione speciale."
"Allora... Allora andiamo più in alto," insistette Hopper.
"Vuoi dire passando attraverso i canali ufficiali?" Le parole di Bekkins erano intrise di acidità. "Sai quanto
tempo ci vorrà?"
"Ha ragione," confermò Dorian. "Anche se riuscissimo ad aggirare Sparks, quanti altri rischierebbero di
morire nel frattempo?"
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"Giusto," intervenne Spanneti. "Allora prendiamo quella reliquia e buttiamola via, o nascondiamola da
qualche parte..."
"Lasciamo stare la reliquia," disse Dorian. "Se la tocchiamo, l'alieno capirà che stiamo combinando
qualcosa."
"Hai detto che c'erano due ragioni per cui non hai fatto rapporto su Zimmerman," intervenne Bekkins.
"Qual è la seconda?"
"Per guadagnare un po' di tempo. Intendo per me. Non per voi, ragazzi. Quello che ho intenzione di fare
va contro ogni regola e potrei finire davanti alla corte marziale o peggio. Diavolo, potrei morirci. Ma se
ho ragione... lo farò salvando molte vite e impedendo all'alieno di fare qualsiasi cosa abbia intenzione di
fare. Quindi, per me, ne vale la pena." Dorian lasciò quindi scorrere lo sguardo sulle facce di fronte a lui
e concluse. " Quello che ho intenzione di fare... è uccidere quel figlio di puttana."
****
Il comandante non si aspettava che la squadra appoggiasse il suo piano. Non voleva condividere con loro
il rischio. Ma Zimmerman, nonostante fosse notoriamente una rompicoglioni, aveva salvato la vita a tutti
loro, una volta o l'altra. Ora si sentivano in colpa per non essere riusciti a salvare la sua, di vita, e
volevano vendicarsi con la creatura che l'aveva uccisa.
Così, alla fine, tutti si offrirono di aiutarlo. Anche Hopper. E non avrebbero accettato un no come
risposta... anche se il piano di Dorian non era ancora molto chiaro.
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Infiltrarsi nel Settore 6 non sarebbe stato facile. Avrebbero potuto trovare delle difese automatiche e
anche una resistenza umana. Le torrette automatiche non sarebbero state un problema, ma quelle vite
innocenti?
"Colpi non letali," aveva detto il comandante. "Spegnetegli solo la luce. Come facevamo per la
pacificazione." C'erano state missioni in cui le popolazioni indigene avevano tentato di impedire alla
Divisione Moebius di recuperare importanti oggetti. Se la gente del posto non usava armi letali, la
Moebius non impiegava misure letali. "Spegnere la luce" significava mandare in corto circuito il sistema
nervoso centrale e lasciare l'obiettivo incosciente per un tempo variabile da venti a quarantacinque
minuti.
Quando la squadra ebbe raggiunto un accordo, tutti bevvero l'intruglio di Zimmerman e si procurarono
la giusta quantità di munizioni dall'armeria. A quel punto, c'era un altro elemento della sicurezza del
settore per il quale dovevano essere pronti: le telecamere.
Grazie al legame tra Zimmerman e Watkins (e la visita a Benz), Dorian conosceva i turni dell'impiegato
della sicurezza. Il momento della "cena" nella sala mensa capitava giusto prima dell'inizio del turno di
Watkins. Il comandante aveva rubato dei sedativi nella stanza di Zimmerman prima di andarsene. Quello
che non sapeva era quanto forte sarebbe dovuto essere il dosaggio o quanto tempo ci sarebbe voluto
perché il farmaco facesse effetto. Una volta trovate le risposte a quelle domande, fu relativamente
semplice per Spanneti far cadere il suo vassoio e distrarre Watkins affinché Bekkins gli adulterasse
l'acqua.
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Dorian contava anche sul fatto che il corpo di Zimmerman non venisse ritrovato prima dell'esecuzione
del loro piano o che, se proprio fosse successo, nessuno notasse troppo presto che le mancava il suo
badge di accesso.
Il comandante aveva preso in considerazione anche di attivare un'evacuazione di emergenza, ma
naturalmente, in quel modo avrebbe richiamato più attenzione e più rapidamente di quanto avrebbe
voluto. Così, Dorian e la sua squadra entrarono nel Settore 6 armati e con l'equipaggiamento tattico.
L'idea era di continuare a muoversi, le armi nelle fondine, e assicurare a chiunque lo chiedesse che non
c'era nulla di cui preoccuparsi (e sperare che da qualche parte, nella sua stanza piena di monitor,
Watkins si fosse addormentato alla sua postazione).
Fin lì tutto bene.
Avanzarono nelle aree di lavoro più esterne e poi nell'Ala Iso, in direzione, speravano, del centro del
settore. Dorian sospettava che ci fossero altre vie che avrebbero potuto percorrere, ma la cosa bella
dell'Ala Iso era che sembrava poco trafficata. Dopo l'incontro di Dorian con Benz, il comandante aveva
capito il perché.
All'interno dell'ala, passarono accanto a diverse celle vuote mentre procedevano verso quella che
ospitava il professore. Prima di raggiungerla, però, Dorian e la sua squadra trovarono un'altra stanza
occupata...
C'era una donna. Aveva la tuta fatta a brandelli e sotto si vedeva la pelle graffiata e squarciata. Alcune
ferite erano abbastanza fresche, altre avevano già delle croste sopra. Stava decorando la parete della
cella nello stesso modo bizzarro di Benz, quando si girò a guardare Dorian in modo lascivo. Il naso era
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schiacciato, fracassato, con larghe strisce di sangue che scendevano dalle narici sulla bocca e
gocciolavano giù dal mento.
Guardò il comandante per alcuni secondi prima di inzuppare un dito nel sangue appena sotto il naso,
voltarsi e ricominciare il suo passatempo macabro, completando qualche simbolo esoterico con quel
dito. Era questa l'"emergenza" per cui Zimmerman era stata chiamata prima? Forse. Non che importasse
più.
Dorian aveva descritto alla squadra l'incontro con Benz. Superarono silenziosamente la camera della
donna, e dopo pochi passi il comandante si ritrovò a guardare nella finestra d'osservazione della cella di
Benz.
Il mosaico di simboli criptici era cresciuto fino a includere la finestra stessa. All'estrema destra, vicino
alla porta, il raggruppamento era più fitto, creando un rivestimento quasi opaco sul vetro. Le spire e le
barre si diradavano verso sinistra. Il comandante era assorto nell'osservazione di quegli strani segni,
quando la figura che lui presumeva essere Benz gli lanciò contro un bicchiere, creando un palmo d'acqua
davanti alla faccia di Dorian. Lui indietreggiò, fissando incredulo la figura grottesca che aveva di fronte. Il
professore si era strappato via la quasi totalità della tuta, così come la maggior parte della pelle. Si
vedevano i muscoli sul viso tagliuzzato dell'uomo, l'epidermide era quasi completamente scomparsa,
salvo qualche striscia solitaria ancora aggrappata al naso e al cuoio capelluto. Una delle orecchie del
professore mancava del tutto.
Con la bocca quasi completamente senza denti, biascicò più volte una sola parola, abbastanza forte
perché Dorian lo sentisse. "Obbedisco. Obbedisco. Obbedisco..."
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Dietro il comandante, esclamazioni di sgomento e orrore. Dorian si allontanò, si voltò e fece segno
alla squadra di seguirlo.
Più in profondità, dopo l'Ala Iso e un breve labirinto di corridoi, il badge di Zimmerman consentì loro
l'accesso a una zona spogliatoio. All'estremità opposta c'era un portello. Lungo il lato destro pendeva
una fila di tute protettive, abbigliamento destinato a coprire da capo a piedi chi lo indossasse.
Bekkins guardò Dorian con aria interrogativa. "Immagino che dovremmo indossare quelle, prima di
continuare."
"Sì," rispose il comandante, e poi si voltò verso gli altri. "Allora, mettete su queste tute, ma tenete
pronte le armi."
La squadra seguì le istruzioni. Dorian non sapeva quanto in là avrebbe potuto condurli il badge di
Zimmerman, ma era riuscito ad aprire il primo portellone, e poi anche un secondo.
Lo spazio successivo che incontrarono era un'enorme camera bianca. Grosse ventole regolavano l'aria
da un soffitto alto due piani. I tecnici lavoravano alacremente nelle postazioni dedicate (per quanto
potesse capirne Dorian) a esperimenti bio-organici. C'erano degli organismi (e parti di organismi) che il
comandante non riconosceva, ma anche altri che gli erano familiari: diversi pezzi di zerg erano agganciati
a tubi e monitor, alcuni venivano sezionati da bracci robotici all'interno di capsule di protezione, altri
erano immersi in grandi serbatoi pieni di un liquido chiaro. Lungo la parete opposta, a sinistra, un'intera
camera d'osservazione lunga la metà della stanza sembrava essere riservata esclusivamente al biostrato,
il tappeto organico che veniva usato dagli zerg per alimentarsi. Copriva anche diverse parti del vetro e,
fin dove Dorian riusciva a vedere dentro la stanza, la bio-materia si era allungata anche sulle pareti, con
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la luce che pulsava piano attraverso la melma spessa, illuminando tutta la cella con il suo misterioso
bagliore viola.
Era quella l'Ala Nera? Secondo Dorian, no. Non c'era traccia di un alieno intero che non fosse
chiaramente morto. Guardando verso l'estremità opposta della stanza, il comandante intravide un altro
portellone.
La maggior parte dei tecnici era assorbita nel proprio lavoro. Alcuni di loro notarono la squadra e si
fermarono, ma senza dire nulla. Dorian era a dieci metri di distanza dal successivo portellone, quando le
sue orecchie furono raggiunte da una voce familiare. L'uomo era in piedi a sinistra del comandante, le
mani sui fianchi, e gridava attraverso la maschera contro un tecnico agitato. Era Sparks, e Dorian notò
l'arma da fianco che si era legato alla gamba destra, all'esterno della tuta.
Terminata la filippica, Sparks si voltò e fece due passi prima di fermarsi di colpo di fronte a Dorian e al
resto della Squadra Brute. Gli occhi del tenente colonello si spostarono sulle loro armi. Dorian avanzò
verso Sparks, con il braccio sinistro sollevato, il palmo verso l'alto, ma la mano di Sparks aveva già
afferrato la pistola nella fondina. "Mettete giù le armi!" gridò Sparks mentre sollevava la sua. Dorian si
lanciò ad afferrare il polso destro del tenente colonnello. Sparks strattonò quella mano verso l'alto,
sparando un colpo contro i ventilatori nel soffitto.
Fu allora che iniziarono le urla. Il comandante si accorse vagamente di una fuga precipitosa verso il
portellone da cui erano entrati loro. Ci furono degli spari, poi scariche di fuoco che Dorian suppose
provenissero da quelli della sua squadra, colpi non letali per evitare che i lavoratori scappassero a dare
l'allarme. Tutto questo registrato solo marginalmente, mentre il comandante continuava a lottare con
Sparks. Il tenente colonnello stringeva una mano sul polso di Dorian, che cercava di prendergli la pistola,
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e quello spostamento continuo avanti e indietro dei due uomini che si spingevano li portò vicino alla
postazione di lavoro dove si trovava Sparks in precedenza. Il tenente colonnello era muscoloso per la sua
età e teneva duro. Più volte il suo ginocchio si era proteso in avanti, nel tentativo di piegare in due
Dorian. Il comandante in risposta aveva raddrizzato il tronco finché, alla fine, rispose con un calcio in
avanti, colpendo il suo avversario nella pancia.
Sparks indietreggiò e picchiò la testa su un serbatoio cilindrico, pieno forse di progenie zerg. Il tenente
colonnello cadde su un fianco, mentre dal vetro spaccato sopra di lui sgorgava un liquido giallastro che
ricadeva sulla sua tuta. Il contenitore si ribaltò un istante dopo, scaricando il resto del suo fluido e un
alieno morto sulla testa dell'ufficiale. Imprecando, Sparks spinse via lo zerg proprio mentre Dorian
sollevava la sua arma per sparargli un proiettile che gli avrebbe "spento la luce". Sparks grugnì
all'impatto, si bloccò per qualche secondo e infine si afflosciò.
Mentre riprendeva fiato, Dorian si rivolse verso la stanza. Diversi corpi in tuta da lavoro giacevano proni
nello spazio davanti al portellone d'uscita. Ma c'era qualcosa di molto, molto sbagliato: sotto gli abiti
bianchi brillavano pozze di cremisi, che si spandevano lungo i pannelli del pavimento.
Morti. I lavoratori erano tutti morti.
La squadra stava lì, in piedi, a guardare i corpi per terra. Poi tutti guardarono Dorian mentre si avvicinava
barcollando, togliendosi la maschera.
"Come...?"
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"È stato Cranston, capo..." Era la voce di Bekkins, che si era tolta la maschera. "È uscito fuori di testa e
ha iniziato a sparare con proiettili veri." Puntò con l'arma contro uno dei caduti. Il comandante vide
attraverso la visiera che era Cranston, sanguinante da più ferite. "Abbiamo dovuto cambiare i caricatori
e abbatterlo prima che si girasse contro di noi."
La testa di Dorian era come immersa in un liquido. Un dolore martellante schiacciava i suoi pensieri.
Anche gli altri membri della squadra si erano tolti le maschere. "Alcuni tecnici sono riusciti a scappare,
capo," disse Spanneti. "Dobbiamo seguirli?"
Quanti erano i morti? Dorian scansionò la carneficina: otto corpi, tra cui quello di Cranston. Non sarebbe
mai dovuto succedere...
"Capo?" insistette Spanneti.
Finalmente il comandante scosse la testa. "No, no... dobbiamo continuare ad avanzare." Dorian si
strappò la tuta di dosso e proseguì verso il portellone successivo. Tentò di utilizzare il badge di
Zimmerman lì, ma non funzionò. Poi notò lo scanner biometrico.
Spanneti e Dorian trascinarono Sparks, ancora privo di sensi, fino al lettore di retina, lo appoggiarono
contro, gli tennero aperte le palpebre, attesero alcuni secondi di tensione... e infine si rilassarono
quando videro una luce verde.
Il portellone si aprì. Una volta che il comandante e la sua squadra furono passati, servì lo stesso processo
per aprire anche il passaggio successivo. Completato il quale si ritrovarono finalmente nell'Ala Nera.
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L'Ala Nera era certo il nome giusto. L'ambiente era composto interamente di metallo nero lucido. Luci
blu pulsavano lungo le pareti, nei punti in cui incontravano pavimento e soffitto. Lunghi corridoi si
aprivano su entrambi i lati. Davanti a Dorian si estendeva una struttura semicircolare senza alcuna porta
visibile.
Un impeto di malessere gli torse le budella. Le immagini dei tecnici sporchi di sangue gli esplodevano
continuamente in testa. Non era giusto. Non sarebbe dovuta andare in quel modo.
Il suono di un allarme. Uno dei tecnici fuggiti doveva aver notificato a qualcuno la violazione. Dal
pavimento e dalle pareti si sollevarono delle piastre da cui comparvero delle torrette automatiche.
Accanto a Dorian, Spanneti si mise in ginocchio, sparò due volte, espulse il caricatore, raggiunse la coscia
per recuperare quello successivo, lo inserì nell'arma e ricominciò a sparare...
Quei corpi. Non sarebbe dovuta andare in quel modo. Era sbagliato. C'era qualcosa di profondamente
sbagliato in tutto quello...
Spari riecheggiavano lungo le pareti e giù per i corridoi. Dorian si voltò, sentendosi come se si stesse
muovendo al rallentatore. In piedi nel corridoio alla sua sinistra... c'era Zimmerman. Zimmerman? Lo
fissava intensamente. La sua pelle era pallida e attraversata da vene... blu, blu come le labbra. La
postura rigida smentiva la fluidità dei suoi movimenti, mentre si voltava e spariva a grandi passi nel
corridoio.
Il mal di testa martellante di Dorian peggiorava. Sbagliato. Era tutto così sbagliato.
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Dorian la seguì, accelerando l'andatura per cercare di raggiungere il medico. Più avanti, le pareti del
corridoio curvavano. Dorian passò la curva e vide Zimmerman entrare in un corridoio laterale a destra.
Abbiamo dovuto cambiare i caricatori...
Il comandante raggiunse un breve corridoio. Zimmerman era in piedi lì, alla fine del passaggio, con una
parete nera e spoglia dietro di sé. Indietreggiò e passò attraverso la barriera.
Dorian corse in avanti, mentre immagini scorrevano rapidamente nella sua mente pulsante: i corpi delle
vittime sparpagliati, la squadra nelle tute della camera bianca che guarda verso il pavimento, Spanneti
che estrae il caricatore e lo sostituisce con quello in tasca, Cranston che sorride in quel modo innocente
e ignaro...
Il comandante allungò la mano e toccò la parete solida. In quel momento, udì dei passi più dietro di sé.
Hopper, Bekkins e Spanneti erano tutti lì quando si voltò, molto vicini. Dorian li fissò, scuotendo la testa.
"Non avresti potuto cambiare il caricatore," disse. "Il caricatore con i proiettili veri sarebbe dovuto
essere... sarebbe dovuto essere nelle tasche dei pantaloni. Avresti dovuto toglierti la tuta per
raggiungerlo."
"Rilassati, capo," disse Bekkins. "Mi sa che hai la mente un po' confusa." I tre erano in piedi molto vicini,
gli bloccavano l'uscita e lo guardavano con diffidenza.
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"Avevate le armi caricate con proiettili veri per tutto il tempo." La mano di Dorian si strinse sulla sua
arma. "E Cranston... probabilmente lui... lui dev'essere stato l'unico a non uccidere i tecnici. Perché
l'alieno non è riuscito a raggiungerlo... a causa di tutti quegli azzeramenti mentali..."
"È tutto a posto ora," disse Spanneti. "Siamo alla fine. Andrà tutto bene."
Dorian alzò il fucile. "Abbassate le armi," disse.
"È inutile combattere, capo," disse Hopper. "Ci abbiamo provato."
"Vi ucciderò tutti, se dovrò," disse il comandante, agitando la sua arma contro i tre. Un rumore morbido,
di qualcosa di denso che scorreva lungo una superficie, risuonò alle sue spalle. Dorian sentì una leggera
brezza sulla parte posteriore del collo, mentre una luce calda illuminava i volti concentrati della squadra.
"Io... io..."
Dorian si voltò, lo sguardo verso l'alto. L'alieno era lì, in piedi nel passaggio. Somigliava molto alla
rappresentazione sul muro di Benz: un incrocio tra l'anatomia di un protoss e uno zerg, con il viso
magro, il cranio esteso coperto da un elmo, piastre segmentate sopra gli arti sottili, e massicci artigli
neri. Era torreggiante e massiccio, una presenza dominante, strana e unica e del tutto incomprensibile. E
i suoi occhi... gli occhi ricordavano a Dorian la superficie nera della reliquia. Un enorme vuoto
incommensurabile lo aspettava dietro quelle sfere nere, e Dorian si sentì cadere, perdersi.
"Io..."
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C'era solo l'abisso. C'era solo l'ombra dell'Eterno che si espandeva nell'oblio. Coloro che erano stati
selezionati per stare al suo interno erano i più fortunati. C'erano gli alieni, ibridi, messaggeri che
facevano rispettare la volontà dell'Eterno. E c'erano i Prescelti, i Prescelti che lo avrebbero servito.
Dorian si voltò verso i suoi compagni. Li guardò con occhi che rispecchiavano le sfere nere dell'ibrido. E
con una voce che non era più sua, disse...
"Obbedisco."