Di Marzo 1946 Prosodia e Metrica Latina

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Opere curate da ENRICO DI MARZO

Roma, viges. Antologia latina pn il Ginnasio Superiore e le prime classi del Liceo Scientifico.

Prosodia e metrica latina. Per il Liceo Classico e l'Istituto .Magistrale.

E. DI MARZO - C. CARAMELLO

Romana progenies. Antologia latina per il Ginnasio Superiore.

ENRICO DI MARZO

PROSODIA E

METRICA LATINA

PER IL LICEO CLASSICO E L'ISTITUTO MAGISTRALE

G. B. PARAVIA & C. TORINO. MILANO. GENOVA. PADOVA. BOLOGNA. FIRENZE· PESCARA. RO:r.IA

NAPOLI • BARI. PALERMO

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SECONDA EDIZIONE - TRENTOTTESIMA RISTAMPA

PROPRIETA' LETTERAHIA

Printed in ltaly

O 1946 Paravia, Torino

Si ritengono contralf atte le copie non firmate o non munite del timbro della S. I. A. E.

Società per Azioni G. B. Paravia & C .• 10139 Torino • Corso Racconigi, 16

70 (eA) 1974- 16771 [205)

PREFAZIONE

Il presente volume è dir iso in tre parti: la parte prosodica, come preparazione indispensabile ad ulteriori indagini me­triche (ed in essa vi sono delle novità, quali, ad esempio, il richiamo di certe regole grammaticali, necessarie per la com­prensione e l'applicazione di altre regole prosodichc ,· il capi­tolo riguardante la quantità delle sillabe interne delle furme verbali, ecc.),· la parte metrica, con le sue indispensabili no­zioni preliminari, e con l'esame dei singoli notissimi metri che s'incontrano nei testi dei poeti latini che vanno lett-i nelle Scuole superiori,· infine la terza parte riguardante la metrica oraziana.

La trattazione è piana,· abbiamo bandito ogni frammen­taria erudizione che, secondo il nostro modesto giudi.zio, riesce sempre inutile e non raggittnge lo scopo che un buon trattato di prosodia e di rnet1·ica latica deve proporsi, quello, cioè, « di porre il d·iscentc in condi.zioni di stabilire prontamente la quantità della sWaba latina, individuare un metro, scompo­nendolo negli elementi costit·utivi, tracciandone la struttura, sia che detto metro venga considerato isolatamente, sia in aggruppamento con altri metri; riconoscere sen.za tituban.m, una composi.zione poetica oraziana, scandendo e leggendo metricamente i versi che la compongono».

Ogni capitolo del volume presenta degli esercizi pratici: l'alunno, eseguendoli con pazienza ed amore, finirà col trovare accessibile una via alquanto dura, e coll'interessarsi, forse, allo studio della metrica. Parecchie tavole riassuntire corre­dano il libro, chiare e lineari, che s'imprimeranno con sicura

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traccia nello spirito del discente. Dopo l'esame delle singole forme metr-iche oraziane, divise in composizioni monastiche e nei sistemi distici, tetrastici ed ipermetri, chiude il volume una tavola riassuntiva di tutta la metrica oraziana, tracciata nei suoi caratteri essenziali, che farà orientare con sicurezza il giovane studioso.

Se in questo volumetto ci sono delle manchevolezze (quale libro ne è esente?), prego gli egregi Colleghi a volermele se­gnalare ed io sarò loro grato.

E. DI l\IARZO. P .ARTE PRIMA

PROSODIA

- I;;, DI }IARZo, Prosodia t metrica latino.

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§ l. - La parola r.pocrcp~(oc (da 7tp6ç, ad e <i>~~' cantus) fu resa in latino con l'espressione: ad cantum, da cui si ebbe accentua.

Il termine greco etimologicamente valse a significare l'ele­vazione della voce nel pronunziare la sillaba accentata; poi

. indicò la durata della pronunzia di ciascuna sillaba nel corpo della parola; da ultimo significò l'insieme delle regole e dei precetti che ci fanno conoscere la quantità delle sillabe, dalle quali è formata una parola.

Noi intendiamo il vocabolo in quest'ultimo significato, sl che ((la prosodia è la dottrina che studia la quantità delle sillabe che compongono la parola >>,

CAPO I.

POESIA ACCENTUATIVA E QUANTITATIVA

A) Poesia accentuativa.

§ 2. - Leggiamo ad alta voce: «N el mézzo del cammin di nostra vita

mi ritrovai per una sélva osc1àa, ché la diritta via era smarrita >>.

(DANTE, Inferno, c. I, v. 1-3).

Ciascuna di codeste righe contiene un verso endecasillabo, cioè, di undici sillabe; alCune di dette sillabe sono accentate

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o toniche, altre disaccentate o atone. Prova ne sia che se noi leggiamo uno dei tre versi, ad es.: il primo, calchiamo la voce, quasi senza accorgercene, su la sillaba mé di mezzo, su la sil­laba min di cammin, su la sillaba no di nostra e su la sillaba vi di vita; vale a dire pronunziamo accentandole la seconda, la sesta, l'ottava e la decim::t sillaba; all'incontro, pronun­ziamo lievemente le rimanenti sillabe disaccentate, dette atone, che compongono il verso prescelto.

Questo svolgersi di suoni forti e di suoni deboli, questo succedersi ad intervalli determinati di sillabe accentate e disac­centate, genera una certa piacevole musicalità, che accarez­zando l'orecchio, sviluppa una cadenza ritmica, la quale co­stituisce il principio formativo ed essenziale della poesia ita­liana, che è detta, perciò, accentuativa, giacchè è basata sul­l'accento.

L'accento governa non soltanto il verso italiano endeca­sillabo, ma anche tutti gli altri versi semplici e composti, usati nella nostra lingua.

Versi accentuativi italiani semplici e composti.

§ 3. - I versi semplici italiani sono:

l) l'endecasillabo, che consta di undici sillabe, con ac­centi forti, sulla quarta, ottava e decima sillaba (ovvero: sulla sesta e decima sillaba; ovvero: sulla quarta, settima e decima sillaba, ecc.);

2) il decasillabo, che consta di dieci sillabe, con tre ac­centi forti, sulla terza, sesta e nona sillaba;

3) il novenario, che consta di nove sillabe, con tre ac­centi forti, sulla seconda, quinta e ottava sillaba;

4) l'ottonario, che consta di otto sillabe, con accenti forti sulla terza e settima sillaba (ovvero: sulla seconda, ' quinta e settima sillaba; ovvero: sulla seconda, quarta e set-tima sillaba);

5) il settcna rio, eh e consta di sette sillabe, con due ac­centi forti, sulla sesta e su una delle prime quattro sillabe;

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6) il senario, che consta di sei sillabe, con accenti soli­tamente sulla seconda e quinta sillaba;

7) il quinario, che consta di cinque sillabe, con un solo accento fisso sulla quarta s llaba;

8) il quadrisillabo, che consta di quattro sillabe, con un accento fisso sulla terza sillaba;

9) il trisillabo, che consta di tre sillabe, con un solo ac­cento sulla seconda sillaba.

I versi composti italiani più usati sono: l'ottonario doppio, il settenario doppio, il senario doppio, il quinario doppio.

B) Poesia quantitativa.

§ 4. - La poesia latina, diversamente dall'italiana, si basa soltanto sulla quantità delle sillabe che compongono il verso: ossia, sulla durata di pronuncia, di ciascuna sillaba nel corpo della parola. Il verso latino, come si vedrà più innanzi, non tiene affatto conto del numero delle sillabe che lo compongono.

Cenni intorno all'origine della poesia quantitativa

ed accentuativa.

§ 5. - È da sapere che i Romani furono soliti distinguere le sillabe componenti una parola, in due specie o categorie: lu7:tghe e brevi, a seconda della durata di tempo che essi impie­gavano nel pronunziarle, come si vedrà più innanzi. La sil­laba lunga, sia. in prosa che in poesia, era pronunziata lenta­mente; la sillaba breve, celermente. Con l'andare del tempo accadde che tale distinzione di brevità e di lunghezza delle sillabe nel corpo delle parole, andò sempre più attenuandosi nella lingua parlata, sino a che non se ne tenne più conto: all'incontro, tale distinzione si conservò e rimase nella poesia che, come si è detto, si basò unicamente sulla qnantità delle sillabe formanti il verso.

In quanto all'origine della poesia accentuativa italiana, gli studiosi unanimemente ammettono che essa derivi dalla poesia latina. Ma come mai dalla poesia quantitativa si passò

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alla poesia accentuativaY Pare che ciò i'!ia derivato da una lenta e graduale trasformazione della prima. È noto, infatti, che nel secolo IV circa dopo Cristo il senso della quantità andò a poco a poco estinguendosi nella poesia latina, e si fini, in seguito, col badare soltanto al ritmo risultante dal numero determinato delle sillabe e dalla successione degli accenti che coincisero con gli accenti grammaticali. Non si può stabilire con precisione quando finisca la poesia quantitativa ed inco· minci la accentuativa. Alcuni inni della Chiesa ed i cosi detti canti goliardici, per non citare altre poesie dell'età medioevale, sono regolati ad un tempo dal ritmo e dalla quantità, cioè, dal ritmo quantitativo-accentuativo 1•

CAPO II.

NOZIONI PRELIMINARI INTORNO ALLA SILLABA LATINA

E ALLA SUA QUANTITÀ

A) La sillaba latina. § 6. - Comunemente intendiamo per siilaba l'articolazione

o il gruppo fonetico, che si pronunzia con una sola emissione di fiato. Anche in latino la sillaba può talora essere costituita da una semplice vocale o da un dittongo.

B) Divisione delle sillabe latine nel corpo della parola.

§ 7. - Le sillabe latine nel corpo della parola generalmente vengono divise come nella lingua italiana. C'è da osservare le seguenti regole fondamentali:

l In tempi non molto lontani. alcuni illustri studiosi della lingua e della lette· ra.tura di Roma intravidero nel più antico verso latino, il sclturnio, un verso silla­bico accentuativo, formato di cinque parole, divise in due emistichi, con tre o due accenti; se tale ipotesi fosse stata provata, si sarebbe potuto conchiudere che la primissima. poesia. latina. sarebbe stata accentuativa: se non che, alcuni valenti studiosi moderni hanno sostenuto con validi argomenti la scansione quantita.tiva di questo antichissimo verso e la sua derivazione da schemi lirici greci. (Cfr. Leo, Pasquali, ecc.).

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l) Una vocale seguita da un'altra vocale, eccetto cho non formi dittongo, fa sillaba a sè: de-a, pi-e. All'incontr<>: poe-na, Oae-sar.

2) Una consonante posta fra due vocali appartiene alla sillaba seguente: pa-nis, ma-ter.

3) Di due consonanti uguali, la prima va con la sillaba precedente e l'altra con la seguente: ter-ra, an-nus.

4) Una consonante muta (c, p, t, g, b, d) seguita da una liquida (l, r) forma con quest'ultima un gruppo inseparabile: a-gri-co-la, te-ne-brae.

5) Se fra due vocali c'è un gruppo di due o più conso­nanti con le quali può cominciare la parola latina, queste fanno parte della sillaba seguente: e-sca, a-strum, scri-psi.

6) Le parole composte sono separate nelle parti com ponenti: ad-eo, prae-mo-ve-re.

7) Il gruppo ps appartiene alla sillaba seguente: nu-psi; il gruppo mn nelle parole derivate dal greco appartiene alla sillaba seguente: Le-mnos, ma nelle parole latine d'ordinario si divide: om-nis.

O) Sillabe aperte e chiuse.

§ 8. - Le sillabe latine si distinguono in aperte e chiuse, Sono aperte quelle che terminano per vocale: ro-sa, fe-ro. S~o chiuse quelle che terminano per consonanti: car·men, tem-pus.

D) Quantità delle sillabe latine.

§ 9. - Secondo la durata o la quantità le sillabe latine possono essere brevi, lunghe, ancipiti, a seconda che le vocali che le formano siano brevi, lunghe o ancipiti 1•

a) Dicesi sillaba breve quella che ha la durata di un tempo primo, cioè, quella che si pronunzia in un solo tempo.

l Quando parliamo di vocali brevi, lunghe, ancipiti, non intendiamo già parlare delle sole vocali, ma. di tutta la sillaba., cui la vocale o.ppartiene.

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A chiarimento di quanto diciamo è da sapere che la durata di un tempo primo, presso i Romani, non era affatto deter­minata da frazione di minuto, ma era lasciata all'arbitrio di chi parlava o di chi leggeva. Un tempo primo poteva durare uno o più secondi: tuttavia i Romani osservavano sempre il rapporto di durata tra sillaba breve e sillaba lunga, e questa ultima aveva sempre una durata doppia di tempo della sil­laba breve.

Si suole indicare la sillaba breve con un semicerchio che va posto sopra la vocale che la forma (v): terra, poeta.

b) Dicesi sillaba lunga quella che ha una durata di tempo doppia della breve, cioè, quella che si pronunzia in due tempi primi. La sillaba lunga è indicata con una linea orizzontale sulla vocale o dittongo che la forma (-): iimplus, a,uriga.

c) Dicesi sillaba ancipite (da anceps: amb e caput, con due teste, doppio) quella che viene considerata ora breve ed ora lunga. Per indicare una sillaba ancipite si collocano i due segni su accennati sopra la vocale che la forma ('=:'): voliicris, tcnebrae.

E) Rapporto fra l'accento tonico e la quantità delle sillabe.

§ 10. - L'accento tonico non è affatto legato alla quan­tità delle sillabe; esso può cadere tanto sulle sillabe brevi quanto sulle lunghe. In un solo caso l'accento tonico coincide con la quantità della sillaba, e cioè, nelle parole polisillabe, quando la penultima sillaba è lunga: N eptunus, timére.

In quanto alla posizione dell'accento tonico si possono fissare le seguenti leggi:

a) le parole monosillabe, tmnne le enclitiche e le procli­tiche, hanno l'accento tonico su se stesse: fans, réx, p6ns, mé;

b) le parole bisillabe hanno l'accento t(mico sulla penul!

tima sillaba, sia essa lunga o breve: prcfztor, pater;

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c) le parole polisillabe hanno l'accento tonico:

ll ' l , l) su a penultima, se questa e unga: infidus, per-muto, praedamnare;

2) sulla terzultima, se la penultima è breve: célere, malédicus, infero;

d) l'accento tonico non cade mai oltre la terzultima sillaba (legge del trisillabismo): infidélitas, infirmitas, ecc.

NOTA. -a) Quando le enclitiche que, ve, ce, ne, pte si attaccano ad una parola, l'accento tonico cade sempre sulla sillaba che le precede, anche se questa sia breve: cura (nom, e voc. ), cuTaque (nom. e voc.).

b) Quando l'enclitica que perde il suo valore copulativo (que =el) dando origine ad una parola composta, l'accento si regola secondo le norme generali: itdque = et ita = e così; ma si dirà: undique = da ogni parte, iMnique = finalmente. Tale uso è spesso trascurato da noi moderni; noi diciamo più spesso armiique invece di armaque, come sarebhe più preciso, secondo le sopra ci~ate regolo; CUraque (nom. e VOC. sing.) e Ourt.<Ji'6 (abJ. sing.).

ESERCIZIO l.

Si scompongano nelle loro sillabe foTmative le paTole seguenti, e si precisi se la sillaba finale di ciascuna paTola sia aperta o chiusa:

Venio - credere - expositus - quoque - adt.tare - nut,rix - scripserant - Luperei - 1\lars - constitit - arbor - ambo - patria - poena - poenitentia - coelicola - taedium - coelum - amor - amans - praeficio - tenebrosus - infandum - tuus -faber - praesim - corripio - discumbere - relucet - quaestio - quantum - excurro - decidunt - lenimen - pauxillus - sex­angulus - pedcster - tennis - tradere - discolor - Roma -torridus - Sulmo - volucris - tenebrarum - abstinens - abs­tinentia - contineo - continuus - pertinacia - obtinueram - contentus - exprobro - patraverant - administrare - per­Iucidus - collustrant - illuminari - auferunt - differt - pro­tulit - transtulero - rettulit - antepono - perturbatum -

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respondens - perutilis - Psammetichus - scripserunt - pu­blicus - publicatio - pulsatio - reptatio - Samnis - Samnium - sarcinae- strigmentum - omnipotens - omnimodis - Lemnias - trimestris - cycnus.

ESERCIZIO 2.

Si segni l'accento tonico nelle parole seguenti:

Undique - omniaque - denique - deque - suopte -· dixeruntne - celerisque - bice - huncine - hoce - itaque ( = et ita) - itemque (avv.) - musaque (nom. e voc.) - rex - par - plus - cor - mel - cunctaque (nom. e voc.) - suapte (abl.) - plusve - minusve - crudelitas - feritas - pater - mater -fulgidus - terribilis - innocentissimus - infirmissima (nom.) - munitissimum - eripio - erogatio - errabundus - fataliter - fatuitas - feretrum - fidicina - foedifragus - formositas -gratulor - gubernaculum - gustavimus - herbosus - bine -hippodromos - hirundinis - hoc - humanitas - iactans -eademque (nom.) - identidem - ignipotens - illacrimabilis -imaginor - imago - immobilis - impatiens - impotens - im­puritas - intercido - libamen - lucubro - manus - mergimur - morbus - mons - obloquor - octogiens - oculus - omissum -omniparens - pactum - peculiariter - pecudis - pergravis -poenaque (abl.) - praeceps - praeceptor - provoco - qui -quies - reddidimus - reditus - sal - sagaciter - scalptum -seges - semita - spes - telum - temere - tempestivitas - vas - velox - veneficus - viscera - vis - vox - vultus - zephyrus - zonula - lucifer - deditus - finitimus - magnanimitas -- necessitas - innumerus - commodum.

-Il-

CAPO III.

QUANTITÀ DELLE SILLABE LATINE PER NATURA

E PER POSIZIONE

Le sillabe latine possono essere brevi o lunghe per natura e per posizione.

A) Quantità delle sillabe per natura.

§ 11. - Sono lunghe per natura:

l) le sillabe formate da dittonghi: Caesar, curae, poena, taedium, coelum. (Si eccettua il dittongo di prae dinanzi a vo­cale: prae-erat; ma dinanzi a consonante rimane lungo: prae­mium - Cfr. § 14, Nota 1);

2) le sillabe formate da vocali derivanti da contrazione o da un originario dittongo: tibicen (da tibiicen), mi (da mihi), di (da dii), cogo (da coago), includo (da in e claudo), ecc ...

NOTA. - Per riconoscere la quantità delle altre sillabe brevi o lunghe per natura, i grammatici non hanno fissato altre regole, all'infuori delle anzidette. Ed allora bisognerà ricorrere ad un buon dizionario prosodico, quale, ad esempio, la Regia Parnassi.

Sovente la posizione dell'accento tonico fa da guida nella cono­scenza della quantità di una sillaba. Se esso, ad esempio, cade sulla terzultima sillaba, la penultima è breve: tim~dus, amabilis; d'altra parte, nelle parole plurisillabe se cade sulla penultima sil­laba, questa è lunga: conticuére, terrénus.

B) Quantità delle sillabe per posizione.

§ 12. - Una vocale di natura breve, formante sillaba, può trovarsi in posizione forte o debole.

'C!r. l'antica regola: • Dipbtbongus longa est iu graeeis atque latlnls; • Prae rape praepositam vocali dieque praeustu!! •·

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a) Si dice che una vocale è in posizione forte, quando viene a trovarsi:

1) dinanzi a due o più consonanti: dictus, sancta; 2) dinanzi a consonante composta (x, z): gaza, exitus; 3) dinanzi a consonante finale di parola, cui segue

un'altra consonante iniziale di a:tra parola: sub monte.

NoTA. - a) Il gruppo qu è consonante semplice, e però non fa posizione: liiquor, iiqua l.

b) La Il non fa posizione, perchè non è considerata consonante: inhumanus, dixit homo.

c) La i ( = j) che sta a principio di parola ed è seguita da vo­cale, è consonante, e come tale, quando è preceduta da altra conso­nante, fa posizione: àdiuvo, sub Jove.

d) La i fra due vocali ( = j), e che suole essere resa in italiano con gg, viene considerata consonante doppia, e. per c?nseguenza la vocale che la precede è lunga: rnàior = maggwre. S1 eccettua: biiugus, t1.,'iiugus, quadriiugus, nelle quali la prima i resta b~eve, considerandosi la i di iugum, solo in composizione, come semplice 2•

b) Si dice che una vocale è in poszzwne debole, quando viene a trovarsi dinanzi a due consonanti, delle quali la prima è muta (c, p, t, g, b, d) e l'altra è liquida (l, r).

§ 13. - Una sillaba che è in posi.zione forte è lunga 8•

Una sillaba che è in posizione debole in poesia è ancipite, in prosa è breve '·

NOTA. - a) Per considerare ancipite una sillaha non basta che Ja vocale sia seguita da muta e da liquida, è necessario cl1e le due consonanti formino la stessa sillaba. come avviene nP-lla parola ten~-brac (non così in ob-latum ... ), e che la vocale sin. di natura breve,

l Si ricordi che la u è considerata come consonante dopo q e o e, come tale, non fa sillaba di per sè: quo-que, san~guis; mentre è vocale negli aggettivi in -uuu• e nei perfetti in -gui, nei qu::lrli fa siJlaba di per sè: exigu~us, vigu-i.

21 Cfr. l'antica regola: « (..)uach•iingus rapitur. biiugus coniungitur illi. • J n quihus i duylli.'X non est, sed consona shnples: •·

8 crr. rantica regola: • Vocalis Ionna est, si consona bina sequantur •· 'C!r. l'antica regola: • Coutrahit m·ator, variant in carmine vates,

, si 1nutarn Jiquillamque sirnul brevis una praeiblt ••

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come in s·apra, vol1Jcres (mentre si dirà laràcrum. salubris, ec!'., giacché la vocale è di natura lunga, essendo derivate queste parole da laràre, .~alus ... );

b) La vocale a di acer è lunga e rimane sempre tale: àcris ...

§ U. - Una \'Ocale seguita immediatamente da m~'altra vocale è breve, anche se sia interposta la h, che non conta: erudio, arduus, nihil 1•

ECCEZIONI. - Sono lunghe:

1) la e della terminazione ei del genitivo e dativo sin· golare della 5"' declinazione, quando è preceduta da vocale: diei, aciei (non preceduta da vocale è regolarmente breve: spei, rei);

2) l'a e l'e nel vocativo singolare dei nomi propri in aius ed eius: Gai, Pompei;

3) l'i di fio nelle forme senza r: fiebam (ma fieri, fierem ... , ecc.);

4) l 'i della desinenza ius del gen. sing. dei pronomi della za declinazione, che originariamente era lungo: illius, solius, unius. (Nei poeti è usata anche come breve, tranne in alius);

5) l'a del genitivo arcaico singolare della l"' declin.: auliii (sta per aulae). Nei nomi greci le vocali conservano la quantità originaria: Darius, Academia;

6) la e dell'interiezione eh eu.

NOTA. - Si ricorùi che il dittongo di prae seguito da vocale, nelle parole composte, è breve: praeustus, pmealtus, e che la i di Diana è ancipite.

Si ricordi, altreBÌ, che la i ( = j) che sta a principio di parola ed è seguìta. da vocale, ha. valore di consonante semplice: iugerum (Cfr. § 12, Nota, e).

.. 1 Cfr. l'antica rell'ola: • Vocal~m breYiant, alia subeun~t·, Latini

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ESERCIZIO 3.

Applicando le regole studiate si segnino le sillabe lunghe per natura nelle parole seguenti:

Coetus - Cumae - rosae - gaudeo - moenia - Orpheus - aurum- curae- bubus (da bovibus)- praenosco- praesim -praefuit - vitae - praedicatio - praedictum - · praeda - prae· feci - praefulgeo - aetas - praetor - nolo (da ne(v)olo) - mo­mentum (da movimentum) - gratis (da gratiis) - dis (da diis) - subus (da suibus) - Clodius (da Claudius) - Clusium (da Clausium) - mi (da mihi) - nilum (da nihilum) - copia (da coopia) - cogo (da coago) - nil (da nihil) - nemo (da ne e l'an-· tico hemo =homo) - proles (da prooles) - cogito (da coagito) - aequor - aequus - aest.us - aestas - aeternitas - aet.berius - aevum - auctor - auctio - augmen - Boeotii - Caecilius - Caecubum - caecus- caedes- coelum- Caeninenses- calum-niae - dominae - Genuae - Graviscae - lacertae - Oenot.ria - praenomen - praenuntius - praescribo - praeposuero -praesidium - praedator - praedium - trocbaeus - valvae.

ESERCIZIO 4.

Dalla posmone dell'accento tonico si riconosca la quantità della penultima sillaba delle parole seguenti:

Céleris - rapidus - c6rporis - tumidus - lfmpidus -di­vérsus - dissolutus - distare - edacis - emendatus - excurro - frémere- gérminis- germanus- gn1vitas- gratulor- fgnifer - fmmemor - ignarus - lucidus - laetabundus - mustéla -matérnus - natalis - opacus - putridus - rapiditas - saepfs­sime - ténerum - uvidus - terrigena - terrificus - tet6ndi -téssera - tim6rem - valetudo - vectigal - venéficus - venénum - venundo - verecundia - garrulitas - glomeratus - guber­natrix - bomicfda - bumilitas - illiberalis - immutésco -impertérritus - locupletatus - longinquitas - loquéla - lutu-

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léntus - memm1 Melp6mene - membranula - omnipotens - Pand6ra - propugnavimus - receptaculum - spéculum -suppleméntum - terriculum - vectabilis - vexillum - Z6pyrus.

ESERCIZIO 5.

Applicando le regole enunciate nei paragrafi 12 e 13 si segni la quantità delle sillabe che risultano di posizione forte e di posi­zione debole nelle parole seguenti:

Extremum - maestus - amans - quocumque - adspi­ceres - nescius - pectora - gemitusque - ad montem - sub Iove - infandum regina - volucres - peragro - cerebrum -integro - explere - repletus - duplex - supra - pharetra -formosus iuvenis - venitque - ad expositos natos - nutrix bona - sub vesperum - dixit pater - amavit liberos - tenebrae - acris - oblatum - oblongum - cingunt - biiugus - quadri­iugus - triiugus - periclum - salubris - falx - falsarius -fecundabant - fragrantiae - egregius - scripsi - sub radicibus collis - exspectatus - dulcissimum - matribus - turbo - plau­strum - plebs - amplexibus - dissipavit - tellus -bune- pro­cella - edixerunt - felix - contendit - ad regem - rubens -terrigenus - triclinium - transvolo - classicum - ad matrem suam- fert pecunias- filius diligens- ad rivum- inter fratres - concinunt - signa - salubritas - salubriter - lavabrum - te­nebrosus - inclemens - inclinabilis - per montes et maria - circiter centum - paulatim proferre.

ESERCIZIO 6.

Applicando le regole, di cui al paragrafo 14, si segni la quantità della sillaba che rientra in dette regole, nelle parole seguenti:

Adsiduus - excubiae - exclusio - Gai - diei - speciei -spei - fidei- rei - fiam - fierem - unius - alterius - totius -nulli.w.s - tuus - eheu - maior - gaudeo - nihil - nibilominus

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- peior- veho- Arion- Iphigenia - Thalia - Machaon - noso­comium - elegia - Cytherea - pictai - vestio - filius - fieri -- Pompei - praeustus - repleo - praeoptare - praeessent -praeeo - iugerum - Dianae - ullius - Zeuxis - Zoroastres -effigiei - planitiei - nihilum - fruatur - fierent - Academia -philosophia - praeivimus - praeisti - iugeribus - fiant -metior - miliarium - miluus - arduus - idoneus - antiquus - iacui- hinnio- hiems- heredium- dilatio- diluit - deleamus - conspicuus - conscius - cognitio - furia - furialiter - gre-mium - gruis - mortalium - viguit - exiguus - antiquo.

CAPO IV.

QUANTITÀ DELLE SnLABE FINALI

DEI POLISILLABI USCENTI IN VOCALE

§ 15. - L'a finale di una parola polisillaba è breve: luminri, carmina, vitid.

ECCEZIONI. - È lunga:

1) nell'ablativo singolare della 1a decl.: rosa, poeta; 2) nell'imperativo della 1a coniug.: ama, la1{dii; 3) nel vocativo dei nomi greci in as: Aenea;

4) nelle parole invariabili polisillabe: antea, contra, tri­ginta (tranne: itd, eia, quia);

5) i nomi greci di persona uscenti in a conservano spesso la loro quantità originaria: Andromeda, Electrii.

§ 16. - L'e finale di una parola polisillaba è breve: genere, domine, consule.

EccEZIONI. - È lunga: l) nell'ablativo singolare della 58 declin.: di e, specie;

2) nell'ablativo sing. fame, da james, gen. famis, deri­vato dall'antico fames, eì, della 5a declinazione;

17-

3) nell'imperativo della 2a coniug.: mone, time;

4) negli avverbi di maniera derivati da aggettivi della 2a declinazione: docte, sancte, aegre (eccetto male, here, bene, temere, necesse, nei quali l'e finale è breve; in inferni, supern'J l'e finale è ancipite);

5) negli avverbi fere e ferme e nella interiezione: ohè; 6) nei nomi derivati dal greco, nei quali in origine era

lunga, 'YJ (eta): Circe, Tempe, Andromache.

§ 17. - L'i finale di una parola polisillaba è lunga: viri, amari, spei, dici, viginti.

EcCEZIONI. - È breve:

l) in nisi, quasi; 2) nei nomi greci: Dafni, Palladi, Alexi;

È ancipite:

1) in mihi, tibi, sibf, ubi, cui (usato come bisillabo), ibi.

I composti di ibi, ubi hanno l'i breve in ubinam, necubi, sicubi, ubivis; lunga in ibidem, ubique, utrobique, alibi.

L'i di uti, sicuti, veluti è lungo, ma breve in utinam, utique, neutiquam.

§ 18. - L'o finale di una parola polisilbba è lungo: docto, ergo, laudabo, a~tdito.

EccEZIONI. - È breve:

1) in ego, duo, octo, cito, illico, modo (e nei suoi composti dummodo, quomodo, ecc.); nell'interiezione io;

2) in alcuni bisillabi che hanno la penultima sillaba lunga e che nello svol!!ersi dell'uso poetico h ,nno accorciato la loro finale: imo ( = .,,.mo), cèa6, lwùao, sermo, virgo, nemo 1•

l Nell''lSO poetico, si verifica l'accorciamento della finale nelle elencate forme da Ovidw in poi.

2 .- E. DI MARZO, Prosodia e metrica latina.

Page 13: Di Marzo 1946 Prosodia e Metrica Latina

- 18-

È ancipite:

_l) n~i bis~llabi _con la penultima sillaba breve: led, peto, hOmo! veto, volo, scio, ecc.;

2) in nesciiJ (ma breve in nescio quis), perseverò.

NOTA. - Virgilio, Orazio e Properzio abbreviano sovente l'o finale di Polio, dixe1·o, ecc ... : Ovidio abbrevia l'o di Sulmo, di Naso (Nasonis) ed anche dell'avverbio ergo.

§ 19. - L'u finale di una parola polisillaba è lungo: vocatU, fructu, noctu, diii, dictii.

§ 20. - L'y finale di una parola polisillaba è breve: moljj (erba moli).

ESERCIZIO 7.

Si segni la quantità delle sillabe finali delle parole seguenti:

Nomine - igne - nostro - fabula (nom.) - nulla (abl.) -mihi - puero - digna (voc.) - crimine - firme - toro - ultima (nom.) - viri - laeviora- indignata (abl.) -para (imperativo) - Atla (voc. di Atlas) - Palla (voc. di Pallas, antis) - quadra­ginta - contra - supra - frustra - antea - postea - sperne (imperativo) - doce (imperativo) - misce (imperativo) - tene (imperativo) - ita - qui a - eia - Tempe - sancte - ferme -postridie - timide - bene - temere - male - inferne - multi -audi - heri - Paridi - sibi - tibi - cui - ubinam - sicubi -utique - Dido - denuo - piro - dummodo - quomodo - homo - octo - volo - sermo - amabo - factu - senatu - cito - illico - scio - nescio - equitatu - dictu - fructu - diu - io - Polio -Sulmo - Naso - utinam - utique - utrobique - planitie -effigie - die - spe - Hecube - hyperbole - Hypsipyle - celeri - mari - calcari - vi - intepui - Sequani - agni - neutiquam -fero - foro - fremo - Jongo - gustatu - specu - tribu - quercu - acu - arcu - interdiu - memoratu.

-19-

CAPO V.

QUANTITA DELLE SILLABE FINALI

DEI POLISILLABI USCENTI IN CONSONANTE

§ 21. - Le sillabe finali di parole polisillabe uscenti in qualsiasi consonante, elle non sia s, sono brevi: exul, flu­mén, mater, egit, tamen, ecc.

NOTA. -a) È necessario che tali sillabe finali si trovino dinanzi • a parola che incominci per vocale, altrimenti diverranno lunghe

per posizione. b) Si tenga presente che nel verso la finale m (cfr. § 45, l) di­

nanzi a parola cominciante per vocale si elide: patre(m) adit e per conseguenza si perde la sillaba per l'incontro di due vocali.

EccEZIONI. - Sono lunghe le sillabe finali:

l) in Hiber, eris, e nei composti di par (compiir, dispiir, impiir, ecc.);

2) negli avverbi desinenti in c: illic, istic, adh uc, ecc. (tranne donec);

3) nel genitivo plurale della l& e 2a declinaz. uscente in um invece che in -arum od -orum: drachmum, amphorum, deum, ecc.;

4) nella terza persona sing. dei perfetti contratti in iit per ivit: petiit ( = petit•it);

5) nelle parole derivate dal greco, terminanti nel no­minativo sing. o nell'accus. sing. in an, en, on, in, yn: Titiin, Aeneiin, Nioben, Anphion.

NOTA. - Sovente il poeta Virgilio nell'Eneide allunga la sil­laba finale breve dei nomi in or, come amor, specie in arsi e cesura.

Per le sillabe terminanti in s occorrerà osservare le regole seguenti:

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§ 22. - La sillaba finale as è lunga: piratas, rosas, laudas, moneas, audiveras.

ECCEZIONI. - È breve:

l) in aniis (aniitis);

2) nel nominativo sing. dei nomi greci uscenti in as, genit. ddis o iidos: Palliis (Palliidis), lampiis (lampiidis), Ilids (lliddis) ... ;

S) nell'accusativo plurale dei nomi greci della sa decli­nazione: herods, Thyadiis, Areadiis.

§ 2S. - La sillaba finale es è lunga: prolés, demés, dicés, audi·-

ECCEZIONI. - È breve:

l) nel nominativo e vocativo singolare dei nomi impari­sillabi della sa declinaz. uscenti in es, col genitivo in itis, etis, idis: miles (militis), seges (segetis), praeses (praesidis), tranne: abiés (abietis), ariés (arietis), pariés (pariet~s), qua­drupés (quadrupedis). È lunga in Cerés (Cm·i!J·is);

2) nella preposizione penes;

S) nella 2a persona singolare del presente indicativo di sum, e nei suoi composti: es, abi!s, potes, ines, ecc.;

4) nei nomi greci: Arcades, Aeacides, Troades, ecc; ma al singolare: Anchisés, Aeacidés, ecc ....

§ 24. - La sillaba finale os è lunga: pueros, eos, dominos, honos.

ECCEZIONI. - È breve:

l) in compos, impos; 2) nel nominativo e nel genitivo sing. dei nomi derivati

dal greco, nei quali si mantiene l'o breve (omicron): Delos, Pallados.

§ 25. - La sillaba finale is è breve: consulis, diffìcilis, scribis, omnis, amaveris.

-21-

ECCEZIONI. - È lunga:

l) nel dativo e ablativo plurale della 1a e 2a declina­zione: terris, dominis, agnis, e negli avverbi derivati da abla­tivi: foris, imprimis, ecc.;

2) nell'accusativo plurale della sa declinaz. uscente in is (per es): hostis ( = hostes ), civis ( = civ es), ecc.;

S) nella 2a persona singolare del presente indicativo della 4a coniug.: audis, advenis ... ;

4) nella 2a persona sing. dei presenti congiuntivi uscenti in t'm: sis (da sum, e in tutti i composti), velis, malis, nolis (e per analogia vis, da volo);

5) nei nomi greci: Simois.

È ancipite in sanguis e pulvis.

§ 26. - La sillaba finale us è breve: bonus, clarus, amamus, penitùs ...

ECCEZIONI. - È lunga:

l) nel nominativo della sa declinaz., con l'u tematico lungo (u del genitivo lungo): incus (incudis), virtils (virtiltis), tcllus ( telluris);

2) nel genitivo singolare e nel nominativo, accusativo, vocativo plurale della 43 declinaz.: senatils (gen. sing.), fructils (nom., accus., voc. plur.);

S) nei nomi derivati dal greco, uscenti originariamente in ous: tripus (tripodis), Opfis (Opilntis); così nei genitivi di forma greca: Didus, Sapph ùs, ecc.

§ 27. - La sillaba fin:1Je ys dei pochi nomi di origine greca è breve: Libys (gen. Libyis).

ECCEZIONI. - È lunga:

in Tethys (gen. Tethyos) ed Erinnys (anche Ennys).

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ESERCIZIO 8.

Si segni la quantità delle sillabe finali delle parole che seguono:

Romanis - temporibus - pater - intellexit - petiit -acumen- tamen- caput- illud- consul - Hannibal - procul - crater - compar - dispar - imprimis - malis - velis - nolis - sanguis - pulvis - amaveris - vulnus - sensibus - funditus - melius - cantus (gen.) - sensus (nom. plur.) - Amathus (Amathuntis)- lampas- Naias- aetas- laudaveras- Arpinas (Arpinatis) - omnes - doces - toties - duces - montes - Ar­cades - daemones - rhetores - compos - melos - Amaryllidos - forsitan- Iumen- nomen- Ilion- paries- praeses- servitus - palus- comes (comitis) - hospes (hospitis) - eques (equitis)-seges (segetis) - paries (parietis) - Ceres (Cereris) - anas -georgicon - drachmum - deum - istic - illuc - donec - audis -sis - adsis - sepelis - pervenis - sentis - farcis - brutus -bubulcus - calor - triumvir - decemvir - Iuppiter - iter -iecur - femur - acer - alacer - volucer - pedester - audax -supplex - anceps - vigil - flumen - animai - clades - virtus - montes - dolor - deduc - imaginis - marmor - requies -elephas - anguis - thorax - lupos - humanitas - srctos -adelphos - Arcados - heros - interes - praees - illos. - dicis -amor - visus (gen. sing.) - miles (militis).

CAPO ,VI.

QUANTITÀ DEI MONOSILLABI

§ 28. - I monosillabi uscenti in vocale sono lunghi: tu, mé, sé, a, ecc.

ECCEZIONI. - Sono brevi:

l) le enclitiche qui!, ce, te, pti!, ne (tranne teté);

2) la forma enclitica dell'indefinito qua (nomin. singo­lare femm. o neutro plurale).

-23-

§ 29. - I monosillabi uscenti in consonante, sostantivi e aggettivi, sono lunghi: sol, piir, os (oris), vér (veris).

ECCEZIONI. - Sono brevi: cor, vir, mel, fel, os (ossis), vas (vadis).

§ 30. - I monosillabi uscenti in consonante, ma che non siano sostantivi o aggettivi, sono brevi: ab, per, dat, an, ecc.

EccEZIONI. - Sono lunghi:

l) criis, cur, én, non, quin, sin;

2) tutti i monosillabi uscenti in c: sic, huc, hiic, hoc, ecc. (tranne nec, fac);

• 3) il pronome quis, quando sta per quibus.

II pronome hfc è ancipite; hic avverbio è lungo; es 2a. per­sona sing. presente indicativo di sum è breve (cfr. § 23, 3); es di edo è lungo.

ESERCIZIO 9.

Si segni la quantità dei seguenti monosillabi:

Cur - ver - far - par - lar (laris) - cor - glis (gliris) -plus - crus - sus (suis) - grus (gruis) - bos - vos - ros (roris) - es (sum) - os (ossis) - in - an -ne -me - se - te - tu - ob -e- a- ex- de- pte- hoc- ve- ce-fel- hac- hic (avverbio) - quis (= quibus) -es (edo) - cras- quin- fur (furis) - sin - non - hic (pronome) - nec - fac - lis (litis) - ius - mus -mas (maris) - nix - strix (strigis) - nox - dens - urbs - fons -ars - mons - mel - lac - fas - aes - grex - sol - vas (vasis) -rex - res - spes - dat - et - abs - cis.

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- 2-i-

CAPO VII.

QUANTITÀ DELLE SILLABE RADICALI

NELLE FORME DERIVATE E NELLE PAROLE COMPOSTE

§ 31. - La quantità della sillaba radicale di un nome, in linea di massima, rimane immutata nelle forme derivate e nelle parole composte 1 :

agcr; derivati: agellus, agricultura, agricola, agrarius, dgrestis, agripeta, ecc.;

nepos: pronepos, ecc.

EcCEZIONI. - Molte sono le eccezioni a questa regola. Eccone alcune:

1) bos, gen. bOvis; Zar, gen. laris; sal, gen. salis; pés, gen. pedis; rnas, gen. maris; par, gen. pans, ecc.

2) In sedeo la radicale è breve, ma nel sostantivo suo derivato sedcs è lunga; così la radicale di rego è breve, ma nel suo derivato regina è lunga; in voco la radicale è breve, ma nel derivato vox, vocis diventa lunga; in lego la radicale è breve, ma nel derivato lex, légis è lunga; all'incontro, in liicco la radicale è lunga, ma nel derivato lucerna è breve; iu vado la radicale è lunga, ma nel derivato vadum diventa breve; in areo la radicale è lunga, ma nel derivato arista è breve; in dico la radicale è lunga, ma nei derivati dicax, male­dicus, veridicus diventa breve, in nubo la radicale è lunga, ma nel suo derivato pronùba diventa breve, ecc.

3) Accanto alle forme religio, religiosus, rifl1'quiac tro­vansi le forme religio, religiosus, reliquiae con radicale breve; da preferire per i primi due nomi la forma con la radicale lunga, giacchè l'arcaico red fu reso con rell, e :;i ebbero rel­Ugio, relligiosus, ecc.

l Cfr. l'antica regola: • Deri"t'ata pntrls natura m verba sequnntur •·

-25-

NOTA. - PreTTlesso che non si può stabilire una norma precisa e generica per determinare la quantità delle sillabe radicali delle parole latine l, accenniamo qui brevemente alle principali cause che determinano le frequenti eccezioni alla regola espo~:>ta al § Hl. Esse vanno ricercate nelle varie trasformazioni che la sillaba radi­cale subisce per alcune leggi della fonetica (contrazione, dittonga­zione, posizione, pmlwngamento di compenso e organico, sposta­mento dell'accento).

a) Talora la sillaba radicale, venendo a contatto con un'altra vocale, anche per la caduta di qualche consonante intermedia, va soggetta alla contrazione; ne deriva che se essa era lunga, resterà tale; ma se era breve, per la contrazione, si muterà in lunga: mihi = mi; coopia = copia.; màvolo = malo; siem = sim; coago = cago; nivolo = ?Wlo, ecc.

b) Spesso due vocali che costituivano sillabe separate (il che è diverso dal caso precedente), si uniscono in dittongo per il feuomeno della diltonga~ione; na-vt-jragus = na·u-jragl&S; ne-ufer ~ neu-ter, ecc.

Talora un dittongo passa a semplice vocale, e questa è sempre di natura lunga: quaero = inq·uiro; aequus = iniq1~us; moenia =

munio; Cla·udius = Clodius; Crausiu-m = ClUsi1-t,m, ecc. c) Sovente la sillaba ra:licale di natura breve diventa lunga

per posizione, a causa di pii1 consonanti (o consonanti doppie) che s'incontrano nella formazione delle parole. Esempio: la sil­laba radicale mrl.q che è breve di natura (cfr. magis), diventa lunga per posizione in miigm&~, a causa dell'incontro di due consonanti (g + n); la sillaba radicale cap, anch'essa di natura breve (cfr. capio), diventa lunga per posizione in ciipt·us per la stessa ragione (p+ t); la sillaba radicale mor. ùi natura breve, (cfr. morior), diventa lunga in mort·uus (r + t), ecc.

d) Talora la sillaba radicale breve, nella formazione delle parole, si è allungata, onde compensare la perdita di qualche con­sonante (prolungamento di compenso). Così, la radicale cii di ciisus risulta allungata per compensare la perdita del d della parola ca.(d)sus, da cui deriva, mentre detta sillaba originariamente era breve (cfr. cadere); lo stesso fenomeno si è verificato nelle forme motum

1 Alcuni studiosi banno formulate delle regole per stabilire la quantit!t della sillaba radicale degli imparisillabi della 3• declinazione. (Cfr. Roccr, Trattato ài Prosodia ... , Paravia, p. 42, 43); ma poicbè esse non ci sembrano compl~te, rite­niamo ometterle, e consigliamo il discente a fare uso di buoni dizionari e della Regia Parnassi, onde accertarsi, caso per caso, della quantità delle sillabe radicali. brevi o lunghe per natura, come si diceva al i 11, nota.

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da mo(v)tum (cfr. moveo); iutum da iu(v)fum (cfr. adiuvo); votum da vo(v)tum (cfr. voveo); prelum (torchio) da pre(m)lum (cfr. premo), ecc.

e) Non di rado la sillaba radicale breve risulta allungata, nella flessione o formazione delle parole, per prolungamento organico. (Cfr. la definizione e le regole del prolungamento organico nella grammatica della lingua greca). Esempio: la sillaba radicale te di tego si è allungata per prolungamento organico nella voce tegula; la sillaba radicale breve se di sero ,;i è allungata in semen per lo stesso fenomeno; la sillaba radicale re di rego si è allungata in re­g,ula, ecc.

f) Da ricordare, infine, che lo spostamento dell'accento dalla sillaba radicale verso altre sillabe può a volte determinare il veri­ficarsi o meno del prolungamento organico e, per conseguenza, modificare la quantità della. sillaba radicale. Se questa, ad esempio, viene a perdere l'accento, perchè esso si è trasferito in altre sil­labe, talora non si verifica il prolungamento organico e, conseguen­temente, la sillaba radicale lunga può mutarsi in breve. Esempio: la sillaba radicale se di sedes è divenuta breve in sedile, perchè l'accento si è trasferito dalla sillaba radicale sulla sillaba seguente; lo stesso fenomeno si è verificato in luceo, lucérna; iicer, iicérbus; moles, molést'US; areo, iiréna, ecc.

ESERCIZIO 10.

Si segni la quantità della sillaba radicale delle parole seguenti:

Artifex - artificium - artificialis - artificiosus - augeo -augmen - auctor - auctio - bcllum - bellator - bellatrix -bellicosus - bellicum - luceo - lucerna - rego - regina - re­ligio - religiosus - reliquiae - moveo - mobilis - lapis - la­pillus - lapideus - lapidosus - lapidator - animus - magna­nimus - pes - tripes - nepos - pronepos - avia - proavia -mensis - bimestris - pugna - oppugnatio - oppugnator -facio - praefectus - sedeo - cano - canor - canorus - canticus - cantilena - cantito - cantrix - accino - accentus - concino - concentus - locus - collocare - collocatio - locuples - lo-cupleto - fides - fidelitas - perfidus - perfidia - infidus -fluo - flumen - fugere - fugitivus - profugus - transfuga - fulgeo - fulmen - opes - inops - opulentus - opimus - opi-

-27-

tulari - opus (operis) - magnopere - tantopere - os (oris) -osculum - orare - orator - coram - pario - pactio - pagina - parere - parentes - pars - exp~rs - particeps - cor (cordis) - discors - misericors - praccordia - cura - incuria - securus - curro - cursus - concursus - curriculum - colo - incola -agricola - colonia - bos - bovile - boatus - annus - perennis - quotannis - anniversarìus - annona.

CAPO VIII.

QUANTITA DEI PREFISSI

§ 32. - I prefissi, com'è noto, sono elementi sillabici che si prepongono al tema di una parola per rafforzarne o va­riarne il significato.

Sono prefissi le preposizioni monosillabiche e bisillabiche ed alcune particelle, come ne, se, ni, re, ecc.

a) Circa la quantità delle preposizioni monosillabiche, si è già detto al Capo VI trattando dei monosillabi.

b) Circa la quantità delle preposizioni bisillabiche, si ve­dano le regole date ai Capi IV e V per le parole polisillabe in vocale o in consonante.

c) Circa la quantità delle particelle, usate come prefissi, si danno le regole seguenti:

1. Sono brevi: ne, n!f, re. Esempio: nefas, nefastus, nequeo, nisi, redttco, rejert, riporta (d~ refero), ecc.

ECCEZIONI: nequam, neve, nimirum, nedum, nequitia, réfert, importa (da res e fert).

La particella re (da red) è breve davanti a muta e liquida: recreo, repleo, ecc.

2. Sono lunghe: di, sé, trii (da trans). Esempio: di­mitto, segrego, traduco, ecc.

ECCEZIONI: dirimo, disertus.

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- 2S-

NOTA. - a) Il prefì~>so pn5, come rilevasi dalla regola al § 28, è lungo.

È breve nelle forme:

proficiscor e derivati, projiteor e derivati, prof~mdo e derivati, procella, p1·ocul, proceres, projanus, projari, profecto, profestus, p'l'ojugio, pronepos, propitius, protervus.

Lo stesso prefisso nei composti greci è sempre breve:

prodromus, prologus, ecc.

b) La particella a (derivante dall'alfa privativa greco), e la particella di (dal greco 8~c;) sono brevi: adytum, atheus, dilemma, ecc.

c) Si tenga sempre presente che la quantità di tutti i prefissi va soggetta ai mutamenti che possono verificarsi per le regole di posizione. Esempio: pro in composizione di avus, venendosi a tro­vare dinanzi a vocale, diventa breve: pro-avus; ad in composizione di facio, venendosi a trovare in posizione forte, diventa lunga: adficio, adfectus; re b:ru• "' diventa lunga per posizione forte nella forma respicio, ecc.

ESERCIZIO 11.

Si distinguano i prefissi nelle parole seguenti e si segni la quantità dei medesimi:

Adeo - atheus - adequitant - adhaerent - adhortor - adigere - admisit - aduro - circumagere - circumclusi -circumdederunt - circumtulerant - coerceo - cogitem - coegit - collaudatio - collustrare - consors - detulerim - deftagratio - deformis - depugnare - deligere - denuntiavit - depugnent - depositio - divaricare - diverbium - divertere - dilemma - edurus- educare- eduxerunt- efficiam- egredior- emanare - expoposci - expositio - exspectatio - extimui - extrusi -incruentus - incultus - indecorus - indemnis - indocilis -infclix - interrumpere - intervallum - inverecundus - neco­pinatus - nedum - nefarius - nefas - nefastus - nequam -nequiquam - nescio - nimirum - nisi - nequitia - obduresco - oblevi - obnoxius - percensent - periremus - perfidelis -perfugio - permollis '- perno x - pernoxius - praelongus -

prod11cere - protuleram - profestus - profundo - profanus - protervus - prologus - propugnatio - reclamare - reclusuru

-29-

- rccumbo - recurro - reddere - relinquo - rrmorsum- requies - refert (da res e fert) - trado - traductio - transcribere-transgressus - transmarinus - propitius - adytum - dimitto - segregare - prodromus - proavus - adfectus - respicere -disertus.

CAPO IX.

QUANTITÀ DELLA FLESSIONE VERBALE

A) Elementi costitutivi del verbo.

§ 33. - Gli elementi costitutivi del verbo sono: la radicale o tema verbale generale, il tema temporale, la desinenza personale.

l) Il tema verbale generale è quella parte del verbo che resta invariata in tutta la flessione; esso si ottiene staccando dall'infinito presente le sillabe are nella l a coniug., ere nella 2a coniug., ere nella 3a coniug., ire nella 4a coniug.: am-are; mon-ere; leg-ere; aud-ire.

2) Il tema temporale è quella parte del verbo che assume la determinazione del tempo; esso si ottiene aggiungendo al tema verbale generale qualche suffisso che determina ciascun tempo. E poichè è noto che tre sono i temi temporali fon­damentali (del presente, del perfetto, del supino), accenniamo brevemente alla formazione di questi tre temi fondamentali:

a) il tema temporale del presente si ottiene aggiun­gendo al tema generale la vocale tematica 1 a per la prima co­niug. (am +a); la vocale tematica e per la 2a coniug. (del+ e); la vocale tematica i per la 4a coniug. (aud +i).

La 3a coniugazione non ha vocale tematica, ma vocali copulative: i, e, o, tt, che uniscono il tema verbale generale alle desinenze.

1 Alcuni grammatici chiamano dette vocali non già tematiche, ma caratteri· stiche : tale terminologia è errata, giacchè la caratteristica dei tempi è una sola, e non sono tante : mentre è noto che le vocali tematiche non sono che modificazioni di nn'a primitiva. (Cf. E. DI MARZO, Grammatica Latina, Paravia, Torino, p. 139, § 93 N.). Altri grammatici confondono le vocali tematiche con le copulativB.

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-30-

Dal tema del presente gli altri tempi da esso d eri va ti si formano mediante suffissi: ba per l'imperf. indicativo; bo per il futuro indicativo della P· e za coniug., ecc.

b) Il tema temporale del perfetto si forma in vari modi: l) aggiungendo al tema generale av, ev, iv: am-av(i),

del-ev(i), aud-iv(i); oppure u o s: mon-u(i), clau(d)-s(i); 2) allungando l'ultima vocale del tema: video, vid- vid(i); 3) premettendo il raddoppiamento: curro- cucurr(i), ccc.

c) Il tema temporale del supino si forma aggiungendo al tema verbale generale i suffissi tum o sum, preceduti dalla vocale tema ti ca per la l a, za, 4a coniugazione: laud-a-tum, del-e-tum, aud-i-tum.

3) Le desinenze personali che ci fanno conoscere la per­sona che fa o subisce l'azione, sono le seguenti:

DESINENZE PERSONAU ATTIVE

Indicativo Perfetto Imperativo Persone

e congiuntivo indicativo Presente Futuro

s. Pers. 13· o, m i - -za s i-sti - t o 3a t i-t - t o

P. Pers. la mus i-mus - -za tis i-stis te t o te 3a n t e-runt (re) - nto

DESINENZE PERSONAU PASSIVE

Impemtivo Persone Indicativo e co,giuntivo

Presente Futuro

s. Pers. la r - -2a ris (te) re t or 3a tur - t or

P. Pers. la mur - -za. mini mini -3& ntur - n t or

--

-31-

Premesse queste indispensabili nozioni, passiamo ad occu­parci intorno alla quantità della flessione verbale.

B) Quantità della sillaba radicale di un verbo.

§ 34. - La quantità della sillaba radicale di un verbo, anche se composto, rimane invariata in tutte le forme derivate, eccezion fatta per i perfetti ed i supini, per i quali si danno regole a parte: facio, perficio, t"itor, abutor.

§ 35. - La quantità della sillaba radicale si mantiene inva­riata in tutte le forme verbali derivanti dal medesimo tema temporale: pono, poncbam, ponam, ponerem, ponere, ponens, po­nendi, ponendus; posui, posuerarn, posuissem, posuerim, posuero, posuisse; positum, positurus, positurum, positus; ecc.

§ 36. - I perfetti ed i supini bisillabi hanno la radicale lunga, anche se nel presente essa sia breve: vici, egi, rnotum, victum, ecc.

EccEZIONI. - Sono eccettuati i seguenti perfetti e supini bisillabi: a) bibi, fidi, steti (sto), tuli, scidi (scindo), stiti (sisto); b) citurn, ddtum 1

, itum, litum, quitum, rdtum, rutum, sdtum - - ' sttum, statum, ecc.

NOTA. - I supini polisillabi hanno la penultima sillaba lunga: laudiitum, auditum, ecc., ad eccezione dei supini in itum apparte. nenti a verbi il cui perfetto non esce in vi, come: condo, supino conditu1n; dorno, supino: domitum (tranne cognosco, che avendo il perfetto in vi, ha il supino con la penultima sillaba breve: cognitum ).

§ 37. - Nei perfetti con raddoppiamento la sillaba radi­cale e la sillaba raddoppiata sono brevi, a meno che questa non diventi lunga per posizione: d id ici, pupugi, cecidi, ecc.; ma in totondi, in cucurri, ecc., la sillaba radicale è lunga per posizione forte.

EccEziONI. - Sono eccettuati: cecidi (caedo), pepédi (pédo).

1 Ila di dare è sempre breve, anche nei compo~ti, tranne ch" nelle forme das

e da che è lunga.

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-32-

C) Quantità delle sillabe interne di un verbo.

QUANTITÀ DELLE VOCALI TEMATICHE E COPULATIVE.

§ 38. - Le sillabe interne di un verbo, formate dalle vocali tematiche (a per la la; e per la 2a; i per la 4a coniug.), con­servano la loro quantità lunga in tutta la flessione:

amare, amabam, amaveram, amiivero, amabo, ecc.; de­lere, delébam, deléveram, delévero, delérem, ecc.; audire, audi­vero, audiveram, audivi, audivissem, ecc.

NoTA.- Soltanto in due casi le vocali ternatiche mutano la loro quantità lunga in breve:

a) quando vengono a trovarsi dinanzi ad altra vocale: audio, monéo, deléam;

b) quando sono unite a desinenza breve (per es.: la t finale di parola dinanzi ad altra parola cominciante per vocale): a·mdt, delét, audit, ecc. (amiit e1~m).

§ 39. - Le sillabe interne di un verbo, formate dalle voeali copulative i, e, o, u (queste vocali uniscono il tema verbale generale alla desinenza nei verbi della 3a coniug.), sono brevi: leg-e-rem; leg-i-mus; nol-it-mus, ecc.

ECCEZIONI. - Sono lunghe:

l) nell'imperfetto indicativo: leg-é-bamtts;

2) quando vengono a trovarsi in posizione forte: dic-fi-nt,

dic-e-nt. NoTA. - Nell'imperfetto indicativo della 4a coniugazione s'in­

troduce, per analogia ai verbi della 3a coniug., una vocale copu­lativa e lunga: aud-i-e-bam.

QUANTITÀ DEI SUFFISSI TEMPORALI.

§ 40. - La sillaba interna di un verbo, formata dal suffisso temporale ba dell'imperfetto indicativo, è lunga: ama-bii-mus,

audie-bii-mus.

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Va da sè che diventa breve, se la vocale è unita a desi­nenza breve: lauda-ba-t. (Cfr. § 38, Nota, b).

§ 41. - La sillaba interna di un verbo, formata dal suffisso temporale i del perfetto indicativo, è lunga, eccetto nella 3• persona singolare e nella Ia persona plurale: amav-i-sti; leg-i, ecc., ma amav-i-t (cfr. § 38, Nota, b), leg-i-mus.

§ 42. - La sillaba interna di un verbo, formata dal suffisso temporale del presente congiuntivo e dell'imperfetto con­giuntivo, è lunga: am-e-m, dele-a-m; audi-ii-tis, ecc., e così .~i-mus, noli-mus; amar-e-m, deler-é-m, audir-e-m, ecc.

§ 43. - La sillaba interna di un verbo, formata dal suffis11o temporale bi del futuro semplice indicativo per la P e 2~ co­niugazione, è breve; quella formata dal suffisso temporale ii del futuro semplice indicativo per la 3a e 4a coniug., è lunga:

ama-bi-tis, mone-bi-mus; leg-e-s, audi-e-mini.

D) Quantità delle sillabe finali delle forme verbali.

§ 44. - Per le sillabe finali di un verbo si applicano le re­gole già fissate per le sillabe aperte o chiuse. (Cfr. Cap. IV, § 15 e seguenti; Cap. V, § 21 e seguenti; Cap. VI, § 28 e seguenti).

ESERCIZIO 12.

Si segni la quantità di tutte le sillabe, delle quali si compone ciascuna forma verbale qui sotto trascritta:

Laudabant - diximus - ducemus - moneo - moneam -monuisse - delevi - auditurus - auditum - amatum - cogni­tum - conditum - deletum - monitum - bibi - fidi - pot.ui -potuisse - rutum - situm - didici - cucurri- cecidi - pendere - pependi - nolumus - velim - dicent - audiebamus - nolimus

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- paravissemus - laudabit - laudabimus - amantur - paretur - dicito- dicitote- currens- emi- carpsi- emptum- redimo - adimis - accensum - esum - lego - intelligo - negligo - ver-tere - animadvertere - vinco - convinco - arguo - redarguo - scio - nescio - venio - pervenio - invenirent - pungit - pu­pugit - tangunt - tetigerunt - conveniunt - fallo - fefelli -pello - pepulimus - contundo - contudi - appellem - appella­remur - dictus - dicturus - lecturus - parcitum - tactum -monebimus - audiebamur - legi - deleamini - simus - oppu­gnor - conscribemur - Iaturus - diligendi - Iegeris - nomina­beris - vocaverim - putareris - condiderimus - transeuntis - venire - venundare.

ESERCIZIO 13.

Si segni la quantità delle sillabe componenti ciascuna parola dei versi che seguono:

Tempus hoc laetitiae, dies festus hodie; omnes debent psallere, cantilenas promere, cum affectu pectoris, toto gestu corporis et scolares maxime, qui festa colunt maxime.

(Da un canto dei Ole1 ici Vagalltf~t).

Dives eram et dilectus, inter pares praelectus 1,

modo curvat me senectus et aetate sum confectus.

Paupertatis fero pondus, meus ager, meus fundus, domus mea totus mundus quem pererro vagabundus.

1 Da prae-leoo = ooelto primi>, prescelto.

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Quondam felix et fecundus et facetus et facundus, quondam primus, nunc secundus, victum quaero verecundus.

(Da un canto dei Cleri C'i r aganl~•).

Hector beate ca eli tum, Qui sic amas mortalium Salutem, ut almi filii Cruore sancto laveris Peccata eorum, suspice Servi precantis spiritum, Qui fretus unica tua Benignitate languidos Artus Iibenter deserit, Ut alta caeli sidera Petens fruatur, optime Pater, tua praesentia (ab!.), Et sempiterno gaudio.

(M. A. Flaminio, Carm., l. VIII).

Puella delicatior Molli columba, pulchrior Rosae rubentis flosculo, Our immerentem candidis Te saeva Parca fratribus, Et coniugi dulcissimo Prima inventa (abl.) sustulitT Sic florem hiantem mollibus Telluris almae amplexibus Vellens procella turbinis Leves in auras dissipat ...

(M. A. Flaminio, Carm., I. I).

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CAPO X.

LICE~ZE PUOSOIHCHE

§ 45. - Non semp:e 1 poeti usservano scrupolosamente nelle loro p1 !(>SÌE' le legg p n; SI d1dH che, Clllle Si è visto, fissano la quantità delle sillab1• compLnenti ciascuna parola, consi­derandola isolatamente: spesso i poeti, nell'aggruppare più parole in venil, si so ne arrcgata la libertà di far breve una sillak lunga. l' lunga um dlaba breve.

Le prineip:l.l! l·f'l·nzt. ,., ntra.r:e alle leggi della prosodia, sono:

l) L'elisi. nt (d . .J lat. no elidere = togliere via, annullare). Se una p;ìrola. t.eJm na pu vocale o per m, ed è immediata­mente s1 :·u t,p da un'altra parola che comincia per vocale o pPr h, cer1: m1 n te si g1 nua un suono l'gradevole; a.d evitarlo, si ricorre ad elidere la sillaba precedrnte, che non conta, come si vedrà in seguito, nella misura del verso, e nella lettura non si fa sentire la vocale o la sillaba con m elisa.

ESEMPI: Cuntwuere omnes = conticuer'omnes; Vince animos = vinc'animos; ~Multa adeo = mult'adeo; .M onstrum informe = monstr'informe.

2) L'iato. Quando la m o la vocale, finali di parola, non si elidono per necessità metriche, dinanzi alla vocale o la h con cui si inizia la parola seguente, si ha l'iato, che è licenza contraria all'elisione. La parola iato viene dal latino hiatus = gola, apertura, in quanto nella pronunzia, a causa dell'incontro di tale lettera o della vocale, siamo costretti a tenere la bocca un po' più aperta del solito.

ESEMPIO: Spe l! t'nimica; Et vera Il incessu.

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3) La sinéresi o sinezési ( cruvodpemç da cruv-odp€w = prendo insieme). Essa consiste nel considerare come una sola sillaba due vocali che dovrebbero fare sillaba ciascuna da sè:

ESEMPIO: Proinde (trisillabo) = proin-de ostrea (trisillabo) = o-strea.

4) La diéresi (aw.[fJEO'tç da at:x·:x1piw =separo). È una licenza opposta alla precedente; consiste nel separare in due sillabe, per necessità metriche, due vocali costituenti una sola sillaba.

ESEMPIO: Si-lu-ae per sil-vae; Ye-i-us per Ve-ius.

5) La sistole ( crucr·wÀ ~ da cruv-cr·rénw = abbrevio). Con­siste nel far breve una sillaba lunga, specie nella sa persona plurale dei perfetti.

ESEMPIO: Tulerunt, invece di tulerunt; dederunt, in vece di dederunt.

6) La diastole (atiXO'TOÀ~ da atO<-O'TÉÀÀW =allungo). Si ha quando si fa lunga una sillaba che di sua natura è breve.

ESE~IPIO: la e di es (seconda persona sing. ind. di esse) è breve; talora per diastole si fa lunga: és.

§ 46. - Alle anzidette licenze prosodiche occorre aggiungere le seguenti alterazioni per rnetaplasmo, nella struttura delle parole:

l) La protesi (np60e:crtç da npo·Tf0'Y)[Lt = metto avanti). Consiste nell'aggiungere qualche suono a principio di parola:

ESEMPIO: gnatus = natus; edurum = durum.

2) l'aferesi (&;n.fpe:at:; da chp:xtpÉw =tolgo ria, s_op~rimo): Consiste nella soppressione di qualche suono a prmCJp!O di parola:

ESEMPIO: temno = contemno; factum-st = factum est.

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3) L'epéntesi (È7tév8Ecr~ç, da È7t-Ev--rW'Y)tJ.L =pongo in mezzo). Consiste nell'aggiungere qualche suono nel corpo della parola:

ESEMPIO: Alcumena per Alcmena; balineum per balneum.

4) La sincope {cruyx.o7t~, da cruy-x67t-rw =taglio in mezzo). Consiste nella soppressione di qualche suono nel corpo della parola:

ESEMPIO: saecl7tm per saeculum; periclum per periculum.

5) La paragoge (7t<Xpocywy~, da 1tocp&yw =prolungo). Con­siste nell'aggiungere qualche suono in fine di parola:

ESEMPIO: deludier per deludi.

6) L'apocope (&7to-x67t-rw =taglio dopo). Consiste nella soppressione di qualche suono in fine di parola:

ESEMPIO: oti per otii; viden per videsne.

7) La tmesi (-rtJ.'ljcrtç da -rÉtJ.VW =separo, stacco). Con­siste nello staccare gli elementi formanti una parola, ponen· dovi in mezzo altre parole:

ESEMPIO: septem subiecta trioni = subiecta septentrioni; quam rem cumque = quamcumque rem.

8) La metatesi ([LE-rif8Ecrtç da tJ.E't"<X--rW'Y)tJ.~ = traspongo). Consiste nella trasposizione di una parte della parola:

ESEMPIO: emt inter = interemt; fecit are = arefecit.

PARTE SECONDA

MRTRICA

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§ 47. - La parola rnetrica 1 (grecamente fl<:Tp~x-~ (-rt;{V"YJ) da y.é-rpov =misura; in latino ars metrica o mctrvrum ratio), in senso generico è l'arte che insegna a comporre dei versi e a collegarli tra di loro; in senso ristretto, è la dottrina che studia gli elementi costitutivi del verso a base quantitativa, proprio delle lingue classiche', greca e latina.

CAPO I.

RITMO • ARSI E TESI • PIEDI

A) Ritmo.

§ 48. - Principio informativo ed essenziale del verso latino è il ritmo (in greco pu6f1.6ç, cadenza, movimento uniforme; in latino: numerus).

1 Nella compilazione della 2• e 3• parte di qnestB volume a.bbiamo oonsult&t9 le opere seguenti: LUCIANO MULLER, Metrica dei Gr.ci e il<i Romani, 2• ediz., Hoepli, 1926; FR. VOLLMER, RiJmische JJfetrick, Leipzig - Berlin, 1923; BIONE, Lt forme metriche dei Greci e dei Romani; La mdrica dei poeti Greci t Latini, Nuov& Italia Firenze; O. ScHROEDER, Nomendator metricus, Heidelberg, 1929; CRIST 'VIHEL· MEN, Metrik dr,r Griechen und Romer, Leipzig, 1879; SCHROEDER OTTo, Horazens Vermasse ... , Leipzig, 1911; FR. A.UG. MEINEKK, prefaz. all'edizione di Orazio, Ber!in, 1834; LACKMANN, In • Klein. Schrift, zur Klass. Phil. •, 1876; BINDI, Orazio Flacco, 7• ediz. Napoli, Ia89; GIRI GIACOMO, Ora~io, Odi ed Epodi, 7" ediz., .!.l­brighi " E'egati, 1913; RASI PIETRo, Orazio, Sandron, Palermo, 1910; P. FosSA· TARO, Manuale teorico-pratico di prosodia ed elementi di metrica latina, Napoli, 1927; M. LE,.-CHAN'riN DE GUBERNATIS, Manuale di prosodia t metrica latina, Messina, 1934; TI101toTTI, 11fetrica latina classica e eristiana, S. E. 1., Torino; ET'rORE STAMPINI, La metrica fH Orazio, Loescher, Torino, 1913; CLAUDIO VAIOLI, Elemtnti di prosodia e metrica tatin~, Boloi'na, Zanichelli; CARLO DEL GRANDE, Elementi Ili prosodia e metrica l<tiina, LoJiredo, Napoli, 1923. - Abbiamo altresl consult&to non pochi altri autori eh& qui ai c.m~tt,ono.

Page 25: Di Marzo 1946 Prosodia e Metrica Latina

-42-

Dicesi ritmo il regolare alternarsi di suoni deboli e forti. Nella poesia italiana il ritmo è dato, come si è detto a

principio del volume, dal succedersi a determinati intervalli di sillabe accentate e disaccentate; nella poesia latina il ritmo risulta dalla studiata e regolata successione di sillabe lunghe e di sillabe brevi, o meglio, dall'alternarsi, secondo determi­nate leggi, delle arsi e delle tesi.

B) Arsi e tesi.

§ 49. - Quando pronunziamo una parola, non pronunziamo già tutte le sillabe di essa con la stessa tonalità, ma da prima. eleviamo il tono della voce, poi l'abbassiamo. Pronunziando, ad esempio, la p::trola mater, facciamo sentire l'a accentata con una tonalità più alta che il resto della parola. Ebbene, l'innalzamento della voce dicesi arsi (grecamente &pcrtç, da OttpCù =sollevo; in latino sublatio = innalzamento): l'abbassa­mento della voce dicesi tesi (Stcrtç, da -d6'Y)fH = depongo; in latino positio = abbassamento).

L'arsi è la sillaba lunga, su cui cade l'accento acuto (l'icttts), e pertanto dicesi che essa è in posizione forte; la tesi, al con­trario, che è costituita della rimanente parte della parola, non essendo sottoposta all'ictus, dicesi che è in posizione debole.

Arsi e tesi sono i due elementi formativi del piede, del quale parleremo subito.

NOTA. - a) In origine que~ti due vocaboli: ar.~i e tesi, ~Signifi­carono l'opposto di quanto si è detto sopra; tesi fu la parte fort~, 'lrsi la parte debole. Scientificamente così dovrebbe essere; n01, per non ingenerare confusione, manteniamo la terminologia che da tempo è invalsa nella scuola.

b) Prima di passare ad altro argomento, ci sembra opportuno l!ltabilire qui la differenza che passa tra l'accento tonico e l'ictu.r metrico.

Ci spieghiamo con un esempio. Secondo I'accento.tor,dco occor~e pronunziare le seguenti parole tratte da un verso _d1 T1bullo, c?s1: • horréndos primus »; mentre, secondo l'ictu~ metr;co, l_ e ~edes1me parole vanno lette nel modo che segue: • horrendos p1:~n:us ». .

L'ictus metrico, come si vede, interessa la quant1ta delle sil­labe, o, per essere più precisi, tutte le arsi; l'accento tonico, al

- 43-

contrario, segna la posa della voce sulla sillaba di ciascuna parola, nella consueta pronunzia di questa, libera da considerazioni metriche.

O) Piedi.

§ 50. - Dicesi piede un aggruppamento di un certo numero di sillabe lunghe e brevi, collocate in determinati posti.

Il piede è l'elemento formativo del verso, e si chiamò così dall'abitudine che avevano gli antichi di misurare il tempo, sollevando il piede da terra e abbassandolo a terra.

L'unità di misura del piede è la sillaba breve (v) (greca­mente y,_p6voç npw't'oç = tempo primo; in latino: mom, cioè: spazio, durata).

La sillaba breve è detta battuta. Una sillaba lunga equi­vale a due battute, cioè a due brevi; e però ogni sillaba lunga si può sciogliere in due brevi e due sillabe brevi possono essere sostituite da una lunga (nel verso esametro dattilico, come si vedrà, la sillaba lunga dell'arsi non può essere soluta, mentre le due brevi della tesi possono essere sostituite dalla lunga) (Cfr. § 69).

Come la battuta è detta anche misura, così il piede è detto da alcuni studiosi anche metro ([LÉ't'pov), perchè serve a misurare il tempo con esattezza (esempio: esametro = sei metri o piedi). Infatti mediante la combinazione delle lunghe con le brevi, di cui è costituito il piede, possiamo calcolare il tempo con la più grande precisione possibile, osservando una regolare distanza fra una percussione e un'altra, e man­tenendo così quel perfetto sincronismo che è nella natura del ritmo. Per l'esattezza dobbiamo, però, far notare che piedi e metri non sempre sono termini equivalenti; difatti l'equivalenza soltanto esiste, quando trattasi di piedi che nel verso si misurano separatamcnte, come per esempio: il dattilo, lo spondeo; mentre non c'è alcuna equivalenza quando trattasi di piedi che si misurano a dipodie, quali il giambo, il trocheo; giacchè l'unità di misura è data, non dai singoli piedi, ma dalle dipodie. (Cfr. § 56).

NoTA. -Anche nella musica, che anticamente fu connessa con la poesia, si ha, com'è noto, una rni>mra chiamata comunemente battuta, la quale serve a dividere il tempo, inteso in. _quell'anda.-

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-H-

mento simmetrico, che viene applicato a tale arte. Come i cultori di musica sanno, il tempo ha due sorta di battute: battute con movimento pari e battute con movimento dispari. I movimenti della battuta vengono regolati col piede e con la mano. I tempi con movimento pari sono quelli nei quali la battuta è divisa in due, quattro e sei movimenti; i tempi con movimento dispari sono quelli le cui battute si dividono in tre movimenti; e cioè, due in battere e l'altro in levare. In musica la breve (v) può essere rap.

presentata con la croma (n. e la lunga(-) può essere rappresen·

tata con la semiminima ( ~ ). Ciò posto, nella musica, così come

nella poesia, si verifica il rapporto di equivalenza di varie specie di battute: infatti la semibreve ha la rlurata di tempo uguale a due minime; la minima ha la durata di tempo uguale a due semi­minime; la semimiuima ha la rlurata di tempo uguale a due crome; e via dicendo.

Varie specie di piedi.

§ 51. - I piedi che noi chiamiamo fondamentali o ritmici, sono i sette seguenti:

l. ..!. .__ v, dattilo ( = dito), formato di una sillaba lunga , e di due sillabe brtvi, ~on l'ictus sulla prima sillaba: dio~re;

2) .1. v, trocheo o coreo ( = corsivo), formato_ dL '~na &!1-

laba lunga e di una breve, con l'ictus suiia prima sillaba: arma;

3) v .1., giambJ ( = pulsante), formato di una sillaba breve , e di una lunga, con I'ict7ts sulla seconda sillaba: meae;

4) v v..!.' anapesto o antidattilo (=ribattuto), formato di due sillabe brevi ed una lunga, con l'ictus sulla terza sil-

laba: elephas; 5) ..!. v v v, peone ( = peana), form::tto di una sillaba

lunga e di tre brevi, con l'ictus sulla prima sillaba: Jrnbrosiii; 6) v v..!. _

1 ionico a minore (=della Ionia), formato eli

due sillabe brevi e di due lunghe, con l'ictus sulla terza sil·

laba: Perim~dé; 7) ..!. _ v v, ionico a maiore ( = della Ionia), formatn

di due sillabe lunghe e due brevi, con l'ictus sulla prima sil· l.J ba: provincia.

- 45 --

Dall'accoppiamento di questi piedi o dalle loro trasforma­zioni (giacchè sappiamo - § 50 -- che una sillaba lunga si può sciogliere in due brevi e due sillabe brevi si possono cam­biare in una lunga), si originano altri piedi, che noi chiamiamo impropri, e, precisamente, i seguenti:

l) .1. _, spondeo ( = per libazione), formato di due sii-' labe lunghe, con l'ictus sulla prima sillaba: cliiméns;

2) J., v v, tribraco ( = tre brevi), formato di tre sillabe urevi, con l'ictus sulla prima (ma quando sostituisce il giambo l'ictus cade &ulla seconda sillaba): mfnimiis;

3) v J., v v, proceleusmatico (=affrettato), formato di lJ. uattro sillabe brevi con l'ictus d'ordinario sulla seconda:

animiUa. Questo piede celerissimo da solo è usato raramente in sostituzione del dattilo e dell'anapesto;

4) .1. v_, eretico(= [ballo] cretese) o anfimacro (=[due lunghe] attorno), formato di nna breve in mezzo a due lunghe; l'ictus è sulla prima sillaba: c~ntio;

5) v..!._, bacchio (=[canto] bacchico), formato di una breve e due lunghe, con l'ictus snlla seconda sillaba: avari;

6) .1. _v, antibacchio (= [crmto] bacchico inverso) for­mato di due sillabe lunghe ed una breve, con l'ictus sulla prima sillaba: àfc mater;

7) ..!. v v_, coriambo (= coreo +giambo) formato di due sillabe brevi in mezzo a due lunghe, con l'ictus sulla prima sillaba: Virgo poti-tu;

8) - ..L _, molosso ( = nome di regione o di popolo), for­mato di tre dlabe lunghe, con l'ictus sulla seconda sillaba: divillo·

' 9) v .1. v, anfibraco ( = [due brevi] attorno), formato di

una sillaba lunga in mezzo a due brevi, con l'ictus sulla se­conda: libùrnti.

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10) v 2 _v, antispasto (=[le brevi] in parti opposte), formato di due sillabe lunghe in mezzo a due sillabe brevi, con l'ictus sulla seconda sillaba: inaréscit;

11) v_.!-_, epltrito (=[breve] dopo tre [lunghe]), for­mato di una sillaba breve e di tre lunghe, con l'ictus sulla seconda· perabsurde.

E poichè la sillaba breve può cambiare di posto, si hanno altre tre forme di questo piede: epitrito 2° (- u __ ), epitrito 3° (_ -v -), epitrito 40 (_ - - v).

NOTA. -a) Il pirrichio, formato di due sillabe brevi (v v) da alcuni viene considerato come il più breve piede del verso latino, da altri non è affatto considerato un piede, data la rapidità di tale battuta.

b) In quanto al peone, quello che abbiamo segnato è il peone primo; ma si hanno il p eone secondo (v 2 v v), il peone terzo (v v ..1 v); il peone quarto (v v v 2).

c) Come si dirà più innanzi, alcuni piedi, quali ad esempio, il giambo, il trocheo, sono adoperati per lo più in coppie, ed allora possono chiamarsi anche: diambo (v- v-), ditrocheo (-v- v), e per analogia, una coppia di spondei si dice dispondeo (- - - - ).

§ 52. - I piedi vanno distinti secondo il tempo o balluta e secondo il numero delle sillabe.

a) secondo il tempo i piedi sono di:

2 tempi Pirrichio uv

TTibTaco .J..,vv

3 tempi Giambo v...!

TToclleo o coreo ...!v

l Dattilo _!v v

l Anapesto v v....!

4 tempi ( Anfibraco v_!_v

~ Proceleusmatico 1.. ... ..1J.-.vv

Spondeo ' l Oretico o anfimacro _!v_

l Bacchio ',J _!_-

6 tempi

( A ntibacch io .....!.-v

P eone lO J..vvv

P eone 20: u _]_v v; peone 3°: v v_!_ v; peone 40: vvv2

Ionico a minore Ionico a maiore

-47-

G tempi Molosso .

7 tempi l Antispasto Coriambo

Epitrito }O

20 30 40

v_!_- v

_!_uv-

u_! __

- u--

-- u-

--- \,_..1

b) Secondo il numero delle snlabe piedi sono di:

l spondeo

2 sillabe tr_ocheo g~ambo

pinicllio

. l 3 Sillabe 1

l 4 sillabe

dattilo anapesto tribmco eretico bacchio antibacchio anfibraco molo.sso

peone l 0 , 2°, 3°, 1~ ionico a minore ionico a maiore proceleusmatico coriambo antispasto di ambo, dilrocheo, dispo n d,'tJ

epitteto 1°, 2°, 3o, 4o.

§ 53. - Quando il piede è completo, dicesi acatalettico; ma se manca di una o più sillabe, dicesi catalettico o tronco. I piedi tronchi generalmente si trovano in fine del verso, e la sillaba e le sillabe mancanti vengono sostituite da pausa della voce. Non sempre il piede tronco è in fine verso; talora, come nel pentametro elegiaco (cfr. § 73), può trovarsi anche nel corpo del ·verso,

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§ 54. - Dicesi piede discendente quello che comincia con l'arsi, come il dattilo (2 v v), il trocheo (2 v), ecc ... ; dicesi piede ascendente quello che comincia con la tesi, come il giambo (v 2), l'ionico a minore {v v 2 -),ecc.

§ 55. - Dicesi piede pari quello, in cui il tempo (o durata) dell'arsi equivale al tempo (o durata) della tesi.

ESEMPIO: il dattilo (_!_v v). In questo piede l'arsi, essendo costituita di due tempi, equivale alla tesi, che è parimente di due tempi. Lo stesso dicasi dello spondeo (_!_ -), dell'ana­pesto {v v _!_), ecc.

Dicesi piede impari quello, in cui il tempo (o durata) del­l'arsi non è uguale al tempo (o durata) della tesi.

ESEMPIO: il giambo (v_!_), il trocheo (-L v), ecc.

§ 56. - Dei numerosi piedi che abbiamo esaminati, alcuni fanno metro di per sè, sono, cioè, delle misure ritmiche (ad esempio: il dattilo e lo spondeo); ma altri piedi, essendo molto brevi, come ad esempio, i giambi, i trochei - e talora anche gli anapesti -, si uniscono insieme a due a due: la nuova unità, ritmica si chiama dipodia (giambica, trocaica, anapestica).

Qun.ndo si uniscono tre piedi uguali si ha una tripodia (giambica, trocaica, ecc.).

Se si uniscono quattro piedi eguali si ha una tetrapodia; se cinque piedi eguali, si ha una pentapodia; se sei piedi eguali, un;1 csapodia, ecc.

Qu:tndo si uniscono due piedi di tre tempi, si forma un metro o una dipodia di sei tempi; se si uniscono due piedi di quattro tempi, si ha una dipodia di otto tempi.

Il primo dei due piedi trochei che si uniscono in una più ampia unità ritmica, fa come una specie di arsi rispetto al secondo ehe funge da tesi, e però l'ictus o arsi del primo avrà valore preponderante. Nella dipodia giambica e anapestica è il secondo piede che funge da arsi al primo, e però l'ichll

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del seeondo ha valore preponderante 1• ~ per questa ragione che modernamente si suole segnare doppia la prima arsi della dipodia troeaica, mentre nella dipodia giambica va segnata doppia l'arsi del seeondo piede.

EcoJ come alcuni moderni studiosi segnano una dipodia trocaica, una dipodia giambica e una dipodia anapestica:

a) ...!!..u...!.u;

b) v..!.v.!!_;

c) v v _L v v..!!..

§ 57. - I metri giambici e trocaici, usati in serie continua, generano un ritmo molto rapido. I poeti ad attenuarlo tro­varono l'espediente di allungare una delle sillabe brevi del metro: la. sillaba allungata che prende il posto della breve si disse lunga irrazionale, ed il piede eosì allungato (es.: _ 2 :

in eambio di v _!_), si disse piede irrazionale. Tali piedi irrazionali, specie se trattasi di giambi e di

troehei, sono chiaramente individuabili per la posizione di­versa, su cui l'ictus si posa.

1 Alcuni studioei di metrica latini> !Cfr. W'eil, Rlass, ecc.) eostengono che lo percussioni forti nelle dipodie ~;iambiche c&dt>no nel primo piede delle sin~:ole

dipodie.

(. - 1'. DI MAliZO. Pro1t~lli1t • mtfr(M lnlitatJ.

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TAVOI,A RIASSUNTIVA DEL PIEDE

Piedi ritmici \

__!v v

..Lv

v ..L

t . ..Lv v v

uv....!..­_,__uu

dattilo trocheo giambo anapesto peone 1° ionico a minon ionico a maioro

\

' spondeo :Z =: v tribraco v ~ v v proceleusrnatieo __t_ v_ eretico v __t__ bacchio

antibacch' o Piedi impropri ~:; ~ _ coriambo

_ __t__ molosso v __t_ v anfibraco v ..L _ v antispasto v..L-- epitrito 1° v v pirrichio

1

2 tempi { Pirrichio 3 tempi { Tibraco Giambo - Trocheo

. 1 Dattilo - Anapesto - Anfibmco · 4 tempi 1 Procelcnsmatico - Sponde~

~ eretico o anfimacro - BacchiO ·

Piedi ' Piedi distinti ~e- 5 tempi An ti bacchio - Peone l 0 2°, 3", condo iJ tempo l 4o

~Ionico a minore - Ionico a ma-

G tempi iore. - Molosqo - Antispa~to -eonarnbo

7 tempi 1 Epiuito 1°, 2°, 30, 4o . )Bpondeo . Trocheo - Giaml1o -

l 2 sillabe Pirrichio

~ Dattilo - Anapesto - Tr!braco. -

3 sillabe eretico - Bacchio - Ant1bacchw Piedi distinti se- . Anfibraco - Molosso condoi.lnumero' Peone 1,, 2o, 3o, 4o. Ionico a delle Sillabe ) minore . Ionico a mai ore -

4 sillabe • Proceleu~rnatico.- .eoriamb~ . Antispasto - Ep1tnto l 0 , 2 , 3°, 4°

Piedi distinti se- ) Pari: __t_ v v, ecc. condo il posto Dispari: __t_ v, ecc.

P1ed1 m prosecu- Tetrapodia . . . ) ~!r;ìdra

zione • • • • Pentapodia E,;apodia, ecc.

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C.APO II.

VERSO - CESURA - SCANSIONE E LETTURA METRICA

VERSI IN SERIE INDETERMINATA

ED IN CO~IPOSIZIONE STROFICA

.A.) Del verso.

§ 58. - Un determinato numero di piedi (o dipodie) uguali o diversi tra loro, governati dall'ictus e disposti sopra una riga di scrittura, formano un'unità ritmica, che prende il nome di membro (x(;)Àov).

Quando due o più membri sono congiunti secondo una legge di simmetria e di eufonia rispondente a determinate esigenze artistiche, si ha il cosiddetto periodo ritmico, cui si dà il nome di verso. (La parola verso deriva dalla voce latina versus, da vm·tere =voltare, andare a capo. In latino la parola significa: riga, linea di scrittura, terminata la quale, bisogna voltare, per andare a capo. Il vocabolo greco corrispondente è (ntxoc;, che vale propriamente: riga). I membri, o xwÀrx,

possono essere uniti nel verso in vari modi. Quando si veri­fica la continuità melodica dei membri e tra di essi non c'è l'iato, nè la sillaba ancipite, si ha la sinafia (cruvrl.cpe~()( = coninnctio); in tal caso il verso è sinarteto, cioè, connesHo.

§ 59. - Secondo il genere dei piedi il verso latino può essere puro ed impuro.

È puro quando consta di una sola specie di piedi; es.: o dattili, o spondei, o trochei, ecc .

È impuro, quando consta di piedi di genere differente. I versi impuri possono essere: versi composti o asinarteti,

misti o logaedi.

§ 60. · Si dicono versi composti o asinarteti quelli che con­st.ano di singoli membri puri, ma di ritmo diverso, essendo formati di piedi di genere differente.

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Ci spieghiamo con un esempio.

Supponiamo di avere una serie dattilica (genero pari); orbene, per formare il verso occorre aggiungere una serie giambica (genere dispari): ne deriva che i due membri (ossia xwì,éi<), costituenti il verso, risultano di piedi di tempo diffe­rente:

-.!vv, ....!.vv, v2, v_!_

Tali versi composti sono anche dett,i asinarteti (dal greco a privativo e a•Jvéi<p-r&Ul =congiungo), cioè, sconnessi, perchè in verità i due membri che li formano rimangono distinti, come se fossero serie ritmiche, indipendenti, ammettendosi tra i due membri l'iato e la sillaba ancipite.

§ 61. - Quando nello stesso membro c'è mescolanza di piedi di genere pari e di genere dispari, jJ verso che ne risulta, si dice misto o logaedo. Esempio: dattili e trochei nel medesimo membro o xwÀov: _,_v v, _,_ v, _,_v v Il ...

Tali sono il verso asclepiadeo, il saffico, l'alcaico, usati da Orazio. Si chiamano logacdi in quanto codesta disposizione di piedi sta fra il canto ed il rccitativo (Myo;).

NoTA. -Tali versi logaedi hanno per lo più una combinazione di ritmi <•Ì<1lllhici e trocaici, ossia sono metri coria.mbici, ovver~, coriambic~-giamhico, per cui alcuni studiosi banno negato J'e,;J­sten za dei versi l ogacJ ici.

~ 62. - È stato detto (cfr. § 50) che metro è uguale a piede; c p;rò, quando noi, ad esempio, diciamo esametro, vogliamo sicrnificare un verso composto di sei metri o piedi, cioè, una es~podia; quando diciamo trimctro, vogliamo significare una tripodia: qua,ndo diciamo tetramctro, una tetrapodia, ecc.

Si badi, però, che nei metri giambici e trocaici, invece, la parola metro, è eguale ad una dipodia; quindi: trimctro. giam~ 1Jico va inteso nel senso di tre dipodie giambiche, ossia, se1 giambi (senario); trirntiro trocaico significa tre dipodie di trochei, ossia sci trochci.

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§ 63. - Il verso è dattilico, se consta di dattili; trocaico, se consta di trochei; giambico, se di giambi; scazonte, se trat­tasi di un trimetro giambico avente uno spondeo in fine (sca­zonte =zoppicante: ossia, giambo zoppo); eretico, se consta di eretici, ecc.

§ 64. - Quando un verso, in rapporto ai piedi di cui si compone, presenta l'ultimo piede completo, in modo da fare apparire come se il ritmo continuasse, si dice acatalettico.

Quando, viceversa, l'ultimo p i e dc manca di qualche ele­mento di cui dovrebbe comporsi, ossia, quando è incompleto, il verso dicesi catalettico (dal greco xa-raÀÉ!Ul =cesso, finisco). In tal caso, se all'ultimo piede rimane una sola sillaba, il verso è cata­lettico in syllabam, (la sillaba mancante di un tempo suole essere segnata col segno /\) 1 ; se all'ultimo piede restano invece due sillabe, il verso è catalettico in dissyllabam, (si adopera lo stesso segno con più una lineetta 7\ se mancano due tempi).

Quando l'ultima dipodia è mancante di un intero piede, il verso è detto brachicatalettico.

Talora il verso può avere una sillaba di più nell'ultimo piede; tale sillaba finale, che è una vocale, si amalgama, per elisione, con la prima sillaba, anche essa vocale, del verso seguente: d'ordinario la sillaba soprabbondanie è la encli­tica que. Tale verso è detto ipermetro (da tmÉp e [LÉ-rpov), cioè, che va al di là del metro; ma tale terminologia è inesatta, perchè l'elisione fa rientrare il verso nella giusta misura. Un verso ipermetro è detto ipercatalcttico.

Codesti versi ipermetri sono frequenti ne1l'Encide (cfr. En., l. I, 448; I. II, 745; l. V, 573; l. VI, 602, ecc.). Eecone un esempio:

Omnia Mercurio similis voccmque colorem(quc) Et crines ...

Infine dicesi verso dicatalettico, se il piede rimane incom­pleto alla fine di ciascuno emistichio (ossia, mezza riga), di

l Quale l'origine di questo segno! È noto che Aristide Quintilliano fu il primo a chiamare ÀELf.tf.tOC tale segno, che in seguito s'indicò con un À, lettera iniziale di ÀeÌ:f.tf.tOC: poi si pose sull'iniziale una piccola linea orizzontale ad indi· e.are la mancanza di d ne tempi (n: p 6o6EcrLç).

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-M-

cui il verso si compone: tale, per esempio, è il pentametro, che, come si dirà innanzi (cfr. § 73), ha due piedi incompleti; dicesi verso tt"icatalettico, se il piede resta incompleto alla fine di tre membri. .Alcuni studiosi chiamano procatalettico il verso che ha un piede incompleto nella cesura (Cfr. § 65, nel quale si parla della cesura).

Non bisogna pensare che ciascuna parola del verso debba fare piede da sè; al contrario, i poeti, convinti che un verso, formato di parole, ciascuna delle quali fa piede da sè, riesca slegato e bruttissimo, se ne sono sempre ben guardati, ed hanno avuto l'accortezza di disporre le parole nel verso in modo che la fine di un piede e l'inizio del piede seguente cadano possibil­mente nella stessa parola. Si osservi, ad esempio, il verso che segue:

T~de~ ' t:mq~e m: l n~s P~~ l m~m c~n lsp~x~ ~l n~rm:_s NOTA. - l) Il verso latino, come è stato detto da principio,

non tien conto del numero delle sillabe, ma solo dei tempi, e nel computarli si deve tener presente che la sillaba lunga vale sempre due tempi.

2) II verso latino termina sempre con parola intera. 3) La quantità della vocale finale del verso è spesso contraria

alla normale misura del piede cui essa appartiene; essa è consi­derata ancipite, giacchè, nella recitazione, potrà essere compensata da una più lunga pausa della voce.

4) Quando la fine di un membro, o xwÀov, corrisponde alla fine del piede, ed il membro seguente coincide con l'inizio di altro piede, tra i membri si ha l~ dieresi; se, al _contrario •• i due ~embri s'incontrano nello stesso piede, tra una sillaba e l altra d1 detto piede, si ha un taglio, cioè, la cesnra '·

B) Cesura - Dieresi.

§ 65. -Non è possibile pronunziare di un solo fiato un vers.o di una certa lunghezza, però è necessario, durante la rem-----

1 Negli schemi metrici che seguiranno, da p. 57 i~ poi, per d~stinguere la. ce· sura dalla dieresi, indicheremo la prima con una_ sola h~eetta }~rt!Cale,_ la seco?d~ con due lineette verticali. Non si confondano gli schemt metr"c' con_ gli es~mp1 r1 portati dei ~·ersi scanditi; giacchè In questi ultimi una lineetta vertiCale d1stmgue n piede, la doppia linea verticale distingue la cesura.

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tazione, fare qualche pausa ritmica al posto stabilito. Tale pausa che divide il piede in due parti, dicesi cesura (caesura, taglio: da caedere, tagliare), vale a dire, spezzatura o taglio del piede.

La cesura può essere maschile e femminile. È maschile quando si verifica dopo l'arsi del piede, ossia

dopo un tempo forte:

~rm~ ~ l r~mqu~ ~ l n~ li Troiae qui primus ab oris

È femminile quando si verifica dopo la tesi del piede, ossia dopo la sillaba che trovasi in posizione debole:

~n qu~ l r~m s~~ / ~~ jj l~ l cum frondesque dolique

Quando la cesura non taglia il piede in due parti, ma cade alla fine di esso, si ha la dieresi.

ESEMPIO:

~~ ~ j ~ q~n l d~m f~ l ~x p~c~s, /1 ile ca pella e

In questo esametro virgiliano la cesura cade alla fine del quarto piede, ed è detta dieresi bucolica. (Cfr. § 71, d).

Tanto la cesura che la dieresi dividono il verso in parti, che sono delle serie ritmiche, alle quali, come si è detto, si dà il nome di membri. (Cfr. § 58).

C) Scansione e lettura metrica.

§ 66. - Scdndere o scandire un verso significa distinguerlo, sezionarlo nei suoi piedi costitutivi. Da notare che l'espres­sione latina: << scandere versus )) fu usata dagli antichi gram­matici, nel senso di dividere i versi nei loro piedi, come sa­lendo (scandere = salire, montare) per i gradi della loro misura.

Per leggere metricamente un verso bisogna fare risaltare le arsi di ciascun piede di cui il verso si compone, facendone sentire la cesura o la dieresi; e per ottenere ciò occorre accen­tare fortemente con la voce le sillabe sulle quali cadono le

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ìusi, e fare una pausa prolungata della voce al posto dove s'incontrano cesura e dieresi. Diamo un esempio:

Qu:s ~~~ l h~rrC:: j d~s Il p~i l m~s q~i Il pr:t~~t l ~ns~? Codesto verso va letto come se esso fosse scritto su due

righe, calcando la voce sulle sillabe accentate:

Quis fuit h6rrend6s prirm(s qui pr6tulit énses?

In tal modo, nella lettura, rimangono staccati i due membri dell'esametro, divisi da cesura semiquinaria. (Cfr. § 71, a).

D) Versi in serie indeterminata ed in composi­.~ione strofìca.

§ 67. - Un verso può usars1 m serie indeterminata, quale, ad es., l'esametro (cfr. l'Eneide di Virgilio, il De Rerum Na­tura di Lucrezio, le ~Metamorfosi di Ovidio, ecc.), ed allora dicesi sciolto o continuato.

La composizione poetica, nella quale è ripetuto uno stesso genere di versi, in serie indeterminata, come nei nostri ende­casillabi sciolti, dicesi monastica (f1.6voc; =solo e a't"(xoc; = verso).

§ 68. - Due o più versi della stessa specie metrica o di 1 peci e differente, disposti e raggruppati in più ampia unità ritmica, ripetuta a piacimento, formano un sistema.

Il sistema è distico (da òlc;, due volte e a't"(xoc;, verso) se consta di due versi; tristico, se consta di tre versi; tetmstico, l:le consta di quattro versi. Il sistema distico, tristico, tetra­stico è chiamato anche strofa (a't"pocp~). La strofa, dunque, è un sistema metrico ripetuto a piacimento, una o più volte; ciò va inteso nei riguardi soltanto della poesia latina, giacchè presso i Greci, come è noto, nella lirica dorica e nei canti corali della tragedia, le strofe di numero pari (ad esempio: la seconda, la quarta, ecc.) sono dette antistrofe.

NoTA. - Tra i sistf'mi distici sono assai noti il distico elegiaco t~ l'epodo. Il distico degiaco consta di due versi: un esametro (cfr.§ 69) e un pentametro (cfr. § 73). Fu detto elegiaco, perchè fu usato molto

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nella elegia, la quale, se nella sua origine presso i Greci fu un com­ponimento di contenuto indeterminato e vario, fini poi per diven­tare un canto tenero e soave, come appare dai poeti elegiaci latini Catullo, Tibullo, Ovidio e Properzio.

L'aggruppamento di due versi disuguali dal punto di vista metrico, generalmente uno lungo ed uno breve, formano l'epodo. Sono famosi gli epodi del poeta Orazio. In verità Orazio chiamò codesti componimenti poetici col nome di giambi; il nome di epodo fu loro dato dai grammatici posteriori.

VI.:RSO

Tavola riassuntiva del periodo ritmico o verso.

Secondo la composizione dei piedi ••.•.

Secondo il numero degli identici piedi in prost>­cuzione •...•

Secondo la specie dei piedi

Secondo l'ultimo piede (del verso)

( puro o semplice ) ~ composto o agi.

l impuro _narteto misto o logaedo

~ l

l dimetro, trimetro, tetrame.

tro, pentarnetro, esametro

dattilico, eretico, giambic ~· trocaico, scazonte, ecc.

acatalettico, catalettico in svllaham, in lis!!vllab!lm, " ipercatalett.ico o ipermetro, dicatalettico, tricatalettico, procatalettico.

CAPO III.

VARIE SPECIE DI METRI· METRI DATTILICI

I metri dattilici comprendono: l'esametro duttilico, il pen­tamctro elegiaco, I' adonio, l'archilocheo, l' alcrnanio.

A) Esametro dattilico. § 69. · L'esametro (dal greco ~;, sei e fl.hpov, misura) è

un verso di sei piedi, detto dattilico, perchè risulta di dattili consecutivi.

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Questo metro fu usato dapprima da Omero (e da Esiodo) nella poesia epica, e perciò fu detto: versus eroicus; fu anche usato dalla Pizia nei responsi, e fu detto: versus pythius. In tempi posteriori fu usato con molta fortuna nella poesia di­dattica e nella bucolica, ed in seguito nella satirica, e persino nella drammatica. Fu usato felicemente da non pochi poeti latini, ora da solo, in serie indeterminata, ora in accoppia­mento con altri metri, ed in particolare con il pentametro, di cui parleremo più sotto a proposito del distico elegiaco.

Lo schema dell'esametro puro è il seguente:

_! vv' _! uv' _! uv' _l v v ' _!. vv ' _! vv

Ma poichè due sillabe brevi, come abbiamo accennato nel § 50, equivalgono quantitativamente ad una lunga, ed una sillaba lunga equivale a due sillabe brevi, questo verso ammette che si sostituisca una sillaba lunga a due sillabe brevi, ma non ammette il contrario: non ammette, cioè, che l'arsi lunga venga soluta in due brevi; ne consegue che il dattilo si può sostituire con lo spondeo. Tale sostituzione che si verifica in tutti i piedi, tranne che nel quinto, è voluta da ragioni di varietà e di armonia, in quanto l'esametro dat­tilico puro, usato ininterrottamente, riuscirebbe monotono. L'ultimo piede dell'esametro è sempre di due sillabe; e siccome generalmente gli antichi poeti non tenevano conto della quan­tità dell'ultima sillaba del verso, da tale usanza consegue che il sesto piede può essere un trocheo (_t_ v) o uno spondeo (_t__); alcuni studiosi moderni sostengono, peraltro, che l'ultimo piede dell'esametro dattilico sia un dattilo catalettico in dis­syllabam e non affatto un trocheo o spondeo; come che sia, è bene ricordare che alla fine del verso non è ammessa l'eli­sione o l'apostrofo.

Lo schema completo dell'esametro è il seguente:

__! vv ' _L uv ' _! vv l _L vv ' _l vu , _L v

§ 70. - Si è detto che il quinto piede è generalmente un dattilo; talvolta anche il quinto piede può essere uno spondeo,

,, l -59-

ma in questo caso nel quarto piede suole esserci un dattilo: codesto esametro dicesi spondaico, e termina, il più delle volte, con un quadrisillabo o con un trisillabo.

Ecco lo schema dell'esametro spondaico:

J.. uv ' _l vv ' _L ~ ' _L v v , _L - ' _L v

Raramente l'esametro spondaico manca del dattilo nel quarto piede: ce ne offre degli esemplari Virgilio, il quale, mosso da intendimenti artistici, volendo riprodurre l'armonia imitativa, usò lo spondeo non solo nel quinto, ma anche nel quarto piede.

Eccone un esempio:

A ~t li l vJs ocre l Js lén l tJ du l cilnt ar l gknto

§ 71. - L'esametro dattilico ha quattro cesure: la semi­quinaria o pentemimera, la semisettenaria o eftemimera, la trocaica, la bucolica.

a) La cesura semiquinaria o pentemimera è quella che cade dopo il quinto mezzo piede, ossia, dopo l'arsi o sillaba lunga del terzo piede:

Essa è assai frequente, perchè divide l'esametro in due parti che, pur distinte armonicamente tra di loro, conser­vano speciale cadenza. Si badi che nel contare i mezzi piedi occorre tener presente che due sillabe brevi, nelle quali è stata sciolta una sillaba lunga, fanno mezzo piede.

ESEMPI:

' l ' l. Il ' ' '-Ltibitiir et ptil lént ti l misso l sangnlnè' vénae

, l ' l, , , , Felix qui pot1'i it Il re l rum co l gnoscè'rè' l caustis.

b) La cesura semisettenaria o eftemirnera è quella che cade dopo il settimo mezzo piede, ossia, dopo l'arsi del quarto piede:

J \..tV 1 J VV' _!uv' J ! =-::: ' _l uv '

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ESEMPIO:

Urbem l qurfm di l cant Ilo l mdm, Il Meli l b""iée, pu l t~vi. Questa cesura. semisettenaria, essendo un po' lontana,

comunemente suole essere preceduta da un'altra cesura. se­condaria, detta semiternaria o tritemimera, che cade dopo l'arsi del secondo piede:

_..! vv ' .J_ l ~ , _! vv ' _! l ::::::;:; ' _! vv ' _L '-~

ESEMPI:

_!_ r

Astni te l nent Il cae l zkste 80 llilm Il r r

for l ma(que de l iJ,·um _!_ r Infan l dum Il

r r

1

r r re 1 gina iu 1 bes Il reno vare do ltorem.

c) La cesura trocaica è quella che cade dopo la prima sillaba breve del terzo piede, che sarà necessariamente un dattilo. È detta del terzo trocheo, perchè cadendo nel mezzo della tesi del terzo piede, si forma in tal modo un trocheo:

_! vv ' _! ~ ' _!.. v l v ' _L ~ ' _! vv ' _! ~

ESEMPIO:

virbii: li ve l nit N ii l talis ad [ ariis

d) La cesura bucolica, così detta, perchè usata dai poeti bucolici greci, cade alla fine del quarto piede. È chiamata anche dieresi bucolica, perchè coincide con la fine di un piede: vale a dire, il quarto piede termina con parola completa:

ESEì\IPIO:

' r !te me 1 ae q~ton 1 dtim te 1 1ix pect'ts, Il fte ca 1 pkua:e

NoTA. -La sospensione della. voce, voluta. dalla cesura., spesso fa. sì che non si verifichi la sinalefe (cioè l'elisione di vocale o dit.

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tongo dinanzi ad altra vocale), e che si ammetta l'iato, quando capiti immediatamente dopo la eesura. Esempio:

Quid struitf aut qua spefinimica in gente moratur r 1•

Alcuni suggerimenti per ben comporre degli esametri latini.

§ 72. - Perchè un esametro riesca metricamente perfetto, occorre badare principalmente alle sospensioni nel mezzo del verso, ossia alle cesure; alla proporzione dei dattili e degli spondei nei primi quattro piedi; agli ultimi due piedi finali che chiudono il verso; alla legatura dei piedi ed alla varietà delle parole nei riguardi delle sillabe onde risultano formate.

Diciamo qualche cosa su ciascuno dei punti suddetti.

l) Sebbene la cesura semiquinaria sia la più frequente, perchè, come si è detto (cfr. § 71, a), divide l'esametro in due parti distinte ed armoniche, tuttavia, per motivi di va­rietà, gradita all'orecchio, occorre far uso, negli esametri in

l Il Carducci, avendo perfezionato l tentativi di L. Battista Albertl, del Dati, di Claudio Tolomel, e l'antico metodo del Chiabrera, del Rolli e del Fantoni, ripro· dusse nella poesia italiana metri e sistemi greci e latini, servendosi di metri ac· centuativi; raggiunse lo scopo per mezzo di speciali accorgimenti, quali, ad esempio, facendo corrispondere alle arsi le sillabe accentate, e alle tesi le sillabe disaccentato o atone, servendosi di speciali cesure, ecc.; in tal modo riuscl ad ottenere dei metri italiani riproducenti un ritmo in certo qual modo simile a quello del corrispondente metro latino. Riprodusse l'esametro latino in vari modi, e cioè:

l) con un settenario pimw, seguito da un novenario: • Sognai, placide cose Il del miei novelli anni sognai •;

2) con un .~ettenario piano, seguito da un ottonario: • .Miste le bionde spighe Il strappa. anche i grappoli ve n! i •:

3) con un senario piano, seguito da. un nnvenario: • E !"ombra. dell'ala. il che gelida. gelida. avanza ;

() con un quinario piano, r-eguito da. un novenario, distinti da cesura: • lnvecchian iv! K ne l'ombra l superstiti al rombo •:

6) con un quinario piano Reguito da un decasillabo, dlstlnti da cesura: • E molli d'auree U Kinestre al paravano l colli•.

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serie, anche della cesura semisettenaria e delle altre sospen­sioni, giacchè una sequela di esametri aventi la sola cesura semiquinaria, finirebbe col generare monotonia.

2) Per quanto riguarda l'uso dei dattili e degli spondei nei primi quattro piedi, bisogna che ci sia, dal punto di vista della ricercatezza, una giudiziosa varietà, tenendo presente che la poesia latina, come non comporta il largo uso di dattili nello stesso esametro (sono piuttosto rari presso i poeti dell'età classica gli esametri composti di piedi tutti dattili, e sono tollerati soltanto per motivi di armonia imitativa, giacchè quanto più numerosi sono i dattili, tanto più agitato risulta il ritmo), così non ama eccessivamente gli esametri formati con piedi, tutti spondei:tanto vero che questi ultimi esemplari sono piuttosto di scarso numero e sono stati ammessi dai poeti, in massima parte, per motivi artistici, specie se si vuole esprimere calma e solennità, giacchè quanto più numerosi sono gli spondei, tanto più lento risulta il ritmo (cfr. Virgilio, Eneide: l. II, v. 251, 256; l. III, v. 538; l. V, v. 351, 559; l. VIII, v. 552, ecc.) 1.

3) Per chiudere bene un esametro, occorre fare uso, dal punto di vista della ricercatezza, di un bisillabo finale, preceduto da un polisillabo, e questo, a sua volta, preceduto, possibilmente da un monosillabo o da un bisillabo; ad es.: « ••• Caelo nitidissimo alto>> (Ovidio); << ••• in contraria versos • (Ovidio).

Quando l'esametro finisce con un trisillabo, e questo è preceduto da una parola lunga, i piedi risultano legati, come nell'ovidiano: « ••• lacrimosa minzstri )),

Le chiuse monosillabiche, frequenti nella poesia arcaica, come quella nella quale l'esametro in formazione metrica, non aveva raggiunto il pieno sviluppo, non mancano nella poesia classica; ma tali chiuse monosillabiche sono, in massima

1 Cfr. la prefazione al vol. II dell'Eneide, con note d! Arcan~~:ell e Rlll:ctfnl, riveduta da h. Ramorino, Zanlcbelll, Bolo~rna, 1922.

-63 ·-

parte, ad effetto, cioè, mirano al raggiungimento di una fi. nalità artistica, come, ad esempio, il famoso esametro vir­giliano: « ... procumbit lwmi bos ))' nel quale il monosillabo finale dà la sensazione della caduta d eli 'animale. J_,e chiuse con due monosillabi, dci quali il primo costituisce l'arsi del sesto piede (cfr. il verso 370 delle Georgiche: «At Boreae de parte trucis cum fulminat, et cum >>),sono ammesse raramente dai poeti dell'età classica, mentre nella poesia arcaica sono frequenti.

Gli esametri che terminano con parola assai lunga, in modo che questa formi gli ultimi piedi del nrso, non man­cano nella poesia classica; ma tali chiuse, frequenti nella poesia arcaica, mirano manifestamente al conseguimento di finalità artistiche e sono da considerare, in massima parte, chiuse ad effetto; come l'oraziano: « Divisit mediurn fortis­sima Tyndaridarum >> (Satire, l. I, v. 100). Il pentasillabo finale mira, manifestamente, al raggiungimcnto di un deter­minato effetto. Gli esametri che terminano con forme del verbo esse, specie con la 3 11 persona sing. del presente indica­tivo, sono frequentiss:mi nella poesia arcaica, ma di tali esem­plari non scarseggia, in verità, neanche la poesia classica. Tali chiuse riescono alquanto sgradite all'orecchio, e però, dal punto di vista della ricercatezza, sono da evitare.

4) I piedi costituenti l'esametro è bene siano, il più possibile, legati fra di loro: un esametro, e in generale un qualsiasi verso, che risultasse composto di parole, formanti ciascuna di esse un piede a sè, riuscirebbe sgraditissimo, per non dire, orribile. Parimenti brutto riesce il verso composto di monosillabi o di bisillabi.

Si conclude affermando che la giudiziosa varietà di parole, formate di una o di più sillabe, come serve ai fini della lega­tura dei piedi, così riesce atta alla formazione di versi metri­camente buoni.

Ricordiamo, da ultimo, che la legge d'eufonia non ammette il ritorno troppo frequente in uno stesso verso, della mede­sima lettera, come, ad esempio, l'enniano: «O Ti te tute Tati tibi tanta tyrartne tulisti)) (Ann., 113).

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-64-

B) Pentametro elegiaco.

§ 73. - Pentarnetro (dal greco 7tÉvTE:, cinque, e [J.'-r O'l,

misura) significa: «di cinque misure o piedi "i in realtà questo verso consta non di cinque, ma di sei piedi, giacchè esso non è che un esametro dattilico dicatalettico (due volte catalettico), cioè, con due piedi, il terzo e l'ultimo, catalettici in syllabarn 1•

Risulta composto di due emistichi; nel primo ci sono due dattili, sostituibili con due spandei, e una sillaba lunga, la quale è l'arsi del terzo piede catalettico (in essa cade la ce­sura"); il secondo emistichio è composto di una dipodia dat­tilica, non sostituibile, ed una sillaba ancipite. Ordinaria­mente tra la fine del primo emistichio e l'inizio del secondo non sono ammessi nè l'iato nè l'elisione.

Lo schema del pentametro elegiaco è il seguente:

_!.vv' ..!..'-'v' _!'Il ...!...v.._,, _!_vu, ':!!..

Eccone degli esempi: _! , , , , , ,

l mits dd l insi l gnis 1/ urbfs ab l arte vi l ros

Scribére l tknta l bam 1/ vkrbd soiZhta rno l dis

Questo metro non fu mai usato da solo, ma in aggruppa­mento con l'esametro dattilico nel distico elegiaco. Esso fu usato da Callino, da Archiloco e da molti altri fra i lirici greci, e non trascurato, certamente, dai poeti elegiaci latini, Catullo, Tibullo, Properzio ed Ovidio.

l Si diede a questo verso il nome di pentametro, perchè anticamente si pensò che l due mezzi piedi, il 3• e il G• costituissero un solo piede, che con l quattro rl· mancnti. formava nn verso di cinque piedi. Questa opinione oggi appare falsa, giacché i due piedi cato.lettici sono da considerare come due piedi veri e propr l e alle loro tesi mancanti, si supplisce con due pause nella lettura.

J La cesura del pentametro, coincidendo sempre con la fine del piede, è pro· p mmente una dieresi.

-65-

Il pentametro che ha lo spondeo nel secondo piede riesce armonioso e ben accetto, come il tibulliano:

O) Adonio.

§ 74. - Pare che il nome di questo metro derivi dal ritor­nello (;) -r?iv "A~c.mv, usato nei cantici destinati ad Adone. Consta di una dipodia dattilica catalettica in dissyllabam 2•

Orazio l'usa come chiusura del sistema saffico minore 8,

SOHE111A:

.1 vv, _!v

ESEMPIO: , , Térruit l urbém '

D) Archilocheo.

§ 75. - Questo metro che alcuni chiamano trimetro archi­locheo, ebbe nome dal poeta greco Archiloco di Paro, fiorito nella 2a metà del sec. VII a. Or., creatore della poesia giam­bica ed introduttore del distico elegiaco nell'epigramma.

1 Il Carducci riprodusse il pentametro nella poesia italiana nei modi seguenti:

a) con due seilenari piani: • Volano ucce.li strani Il per il purpureo cielo •:

b) con un quinario piano, seguito da un senario sdrucciolo: • Gli arbusti lieti il di lor rame giovani •:

c) con un senario piano, seguito da un 8'1ttnario piano: • Filtra con la pioggia Il per rossa stanche. Io tremo •:

à) con un s~nario sdrucciolo, seg-uito da un settenario piano: • Ccr;lo pnrpureo Il nunzio di primavera •.

2 Alcuni studio•! sostengono che questo metro sia logaedico. formato, cioè, di una <Upo<tia dalti/o·lrocaica. Il Weil d'altra parte nella sua nuova teoria, ri­pudia tutti i metri logaedici, che riduce in dimetri, trimetri e tetrametri coriam• bici, eliminando i dattili.

3 Lo t;tampini affaccia l'ipotesi che il sistema saffico minore sia tristico e so· >petta che questo metro che in Orazio chiude la strofe saffica minore, appartenga al terzo verso di detto sistema.

t li Carducci riprodusse nella poesia italiana questo metro con un quinario ldano: • A ve .:\i aria •.

5. - E. DI _i\1 -\.HZO, Pro.sodia e rnetrica latina.

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Consta di un trimetro dattilico catalettico in syllabam (tre dattili di cui l'ultimo catalettico in syllabam). '

SCHEMA:

_l vu , ....1 vu , ~ A ESEMPIO; , l , . l , Li ber ii t H ippoly tfim

E) Alcmanio.

§ 76. - Fu così chiamato dal poeta greco AJcmane, .:be fiorì nella 2a metà del secolo VII (650) a. Or.

Consta di un tetrametro dattilico catalettico in dissyllabam: esso è uguale agli ultimi quattro piedi dell'esametro e però fu detto eroico acefalo. '

II 3° dattilo, d'ordinario, è puro; rarissimamente ammette la sostituzione spondaica. Orazio l'usò non da solo ma in

. ' accoppiamento con altri metri, cioè, con l'esametro dattilico nel sistema alcmanio,,(nel dodicesimo epodo) e nella Ja 7a ~ 2sa ode dél pri{ùo liÌìro dei carmi. ' '

SCHEMA:

_! vv ' _L uv ' _!_ vv ' ....! :; 1\ ESEMPIO:

_l v , ,

.A 11t EphC l silm bima 1 risve Co 1 rinthi.

ESERCIZIO 14.

Si scompongano nei loro piedi costitutivi i seguenti esametri, segnandone le diverse cesure e leggendo metricamente ciascun verso.

Talia iactanti stridens Aquilone procella velum adversa ferit, fluctusque ad sidera tollit. Franguntur remi; tum prora avertit et undis dat latus; insequitur cumulo praeruptus aquae mons.

(Virg. En., l. l, 102 e seg).

-67-

Interea magno misceri murmure pontum emissamque biemem sensit Neptunus et imis stagna refusa vadis graviter commotus, et alto prospiciens, summa placidum caput extulit unda.

(Virg., En., l. l, 123 e seg.).

Regia Solis erat sublimibus alta columnis, clara micante auro flammasque imitante pyropo, cuius ebur nitidum fastigia summa tegebat, argenti bifores radiabant lumine valvae.

(Ov., Metam01josi, l. II, v. l e seg.).

Aurea prima sata est aetas, quae vindice nullo, Sponte sua, sine lege fidem rectumque colebat. Poena metusque aberant, nec verba minacia fixo Aere legebantur, nec supplex turba timebat Iudicis ora sui, sed erant sine vindice tuti. N ondum caesa suis, peregrinum ut viseret orbem, Montibus in liquidas pinus descenderat undas, Nullaque mortales praeter sua litora norant. Nondum praecipites cingebant oppida fossae; Non tuba directi, non aeris cornua flexi, Non galeae, non ensis erant: sine militis usu Mollia securae peragebant otia gentes.

(Ovidio, Metamorfosi, l. I, vv. 89-100).

Atque ait: <• O toto quaesitae virginis orbe Et frugum genetrix, immensos siste labores, Neve tibi fidae violenta irascere terrae! Terra nibil meruit, patuitque invita rapinae. Nec sum pro patria supplex: bue bospita veni, Pisa mihi patria est, et ab Elide ducimus ortus. Sicaniam peregrina colo; sed gratior omni Haec mihi terra solo est: hos nunc Arethusa penates, Hanc ha beo sedem, quam tu, mitissima, serva ... n.

(Ovidio, Metamorfosi, l. V, vv. 489-497).

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Ultima restabat; quam toto corpore mater, Tota veste tegens: << U naro minimamque relinque! De multis minimam posco », clamavit, «et unam ».

Dumque rogat, pro qua rogat, occidit. Orba resedit Exanimes inter natos natasque virumque, Diriguitque malis: nullos movet aura capillos, In vultu color est sine sanguine, lumina maestis Stant immota genis, nihil est in imagine vivum. Ipsa quoque interius cum duro lingua palato Congelat, et venae desistunt posse moveri; N cc flecti cervi x n cc bracchi a reddere motus Nec pes ire potest: intra quoque viscera saxum est.

(Ovidio, Metamorfosi, l. VI, vv. 298-309).

ESERCIZIO 15.

Si scompongano nei loro piedi costitutivi i seguenti penta· metri, distinguendone i due emistichi, segnandone la cesura, e leggendo metricamente ciascun verso:

l\Iaius erat nostris viribus illud onus. Quotque aderant vates, rebar adesse deos. Nomine sub nostro fabula nulla fuit. Abstulerat decies praemia victor equus. Ipsa multa tuli non leviora fuga. Tristia, quo possum, carmine fata levo. Sic tamen absumo decipioque diem. Protinus ut moriar, non ero, terra, tuus.

(Ovidio, Trist., l. IV).

Et teneat culti iugera multa soli. Martia cui somnos classica pulsa fugent. Duro meus adsiduo luceat igne focus. Rusticus et facili grandia poma manu. Praebeat et pieno pinguia musta lacu.

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Seu vetus in trivio florida serta lapis. Libatum agricolae ponitur ante deo. Spicca, quae templi pendeat ante fores. Terreat ut saeva falce Priapus aves. Custodes, fertis munera vestra, Lares. Nunc agna exigui est hostia parva soli. Clamet «io, messes et bona vina date». Nec semper longae deditus esse viae. Arboris ad rivos praetereuntis aquae.

(Tibullo, Elegie, I).

ESERCIZIO 16.

Si scompongano nei loro piedi costituti t'i i distici seguenti, segnando le diverse cesure di ciascun verso, e leggendo i versi metricamente:

Quam bene Saturno vivebant rege, priusquam . ' Tellus in longas est patefacta v1as.

Nondum caeruleas pinus contempserat undas, Effusum ventis praebueratque sinum,

N ec vagus ignotis repetens compendia terris Presserat cxterna navita merce ratem.

Illo non validus subiit iuga tempore taurus, Non domito frenos ore momordit equus,

Non domus ulla fores habuit, non fixus in :...61'18, Qui regeret certis finibus arva, lapis;

Ipsae mella dabant quercus, ultroque ferebant Obvia seCLuis ubera Iactis oves.

Non acies, nor1 ira fuit, non bella, nec enscm Immiti sauus duxerat arte faber.

Nunc Iove sub domino caedes et vulnera semper, Nunc mare, nunc leti mille repente viae.

(Ti bullo, Elegie, l. I, 3, v v. 35-50).

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Luctus erat, falsaeque patres in cnmme caedis, Haesissetque animis forsitan illa fides:

Sed Proculus Longa veniebat Iulius Alba, Lunaque fulgebat, nec facis usus erat,

Cum subito motu saepes tremuere sinistrae: Rettulit ille gradus, horrueruntque comae.

Pulcher et humano maior trabeaque decorus Romulus in media visus adesse via

Et dixisse simul «Pro h i be lugere Quirites, Neo violent lacrimis numina nostra suis:

Tura ferant placentque novnm pia turba Quirinum, Et patrias artes militiamque colant ».

Iussit et in tenues oculis evanuit auras; Convocat hic populos iussaque verba refert.

Tempia deo fiunt: collis quoque dictus ab ilio est, Et referunt certi sacra paterna dies.

(Ovidio, Fasti, II, vv. 497-512).

Quod mare non novit, quae nescit Ariona tellus? Carmine currentes ille tenebat aquas.

Saepe sequens agnam lnpus est hac voce retentus, Saepe avidum fugiens restitit agna lupum.

Saepe canes leporesque umbra cubuere sub una, Et stetit in saxo }'roxima cerva leae.

Et sine lite loquax cum Palladis alite cornix Sedit, et accipitri iuncta columba fuit.

Cynthia saepe tuis fertur, vocalis Arion, Tamquam fraternis obstupuisse modis.

Nomen Arionium Siculas impleverat urbes, Captaque erat lyricis Ausonis ora sonis.

(Ovidio, Fasti, II, vv. 83-94),

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Et gelidus fons est: et nulla salubrior unda: Et molli circum gramine terra viret:

Et ramis arcent soles frondentibus alni: Et levis in nullo gratior aura loco est:

Et medio Titan nunc ardentissimus axe est: Exustusque gravi sidere fervet ager.

(A. Navagerio, Lusus, vv. 1-6).

Sci te puer, mellite puer, nate uni ce, dormi; Claude, tenelle, oculos, conde, tenelle, genas.

Ipse so por: «Non condis, ai t, non claudis ocellos? n

En cubat ante tuos Luscula 1 lassa pedes.

Languidulos, bene habet, conditque et claudit ocellos Lucius, et roseo est fusus in ore sopor.

Aura, veni, foveasque meum placidissima natum. An strepitant frondesT Tam levis aura venit;

Scite puer, mellite puer, nate unice, dormi; Aura favet flatu, mater amata sinu.

(G. Pontano, De Am,_ Con., n. V).

CAPO IV.

METRI GIAMBICI

I metri giambici comprendono: il senario giambico o tri­metro giambico, il trimetro giambico catalettico, il trimetro giam­bico ipponatteo, il dimetro giambico ipercatalettico.

A) Senario giambico (o trimetro giambico).

§ 77. - Il senario giambico (versus senarius) può essere puro ed impuro.

l Il nome della ca~netta.

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SEN ARIO GIAMBICO PURO.

Consta di sei giambi. E poichè nella serie dei giambi l'unità di misura è la dipodia (come si è detto al § 56) che occorre far sentire nella scansione, ne consegue che i sei piedi giambi vengono aggruppati in tre misure (tripodia giambica acata­lettica), ed è per questo che il suddetto metro prende il nome di trimetro ('rpl[Le-rpov) giambico acatalettico t.

Eccone lo schema:

v!_, v!!_, v/.!.., , v-"

Questo verso ammette la cesura semiquinaria o pente­mimera, cioè, dopo il quinto mezzo piede (ossia, dopo la breve del terzo giambo):

ESEMPIO:

, " , , , , Phiiselus il/ te l quem ridé J tis, hospites

L'ultima sillaba può essere anche breve, come in questo altro esempio:

, " , " l ,

ait fùisJse l nadum celerr'imus

NOTA. - È ammessa, sebbene meno spesso, la cesura semisette. naria, cioè, dopo il settimo mezzo piede (ossia, dopo la breve del quarto piede):

, v.!_u!!...., v.!._vl!!_, -v.!...v'::!

SENARIO GIAMBICO JMPUIW.

§ 78. - Il senario giambico puro è usato dai poeti non con eccessiva frequenza; assai più frequenti sono gli altri schemi

1 Alcuni studiosi distinguono per altro li senario giambico dal trimetro giam­

bico; considerano quest'ultimo come un verso composto di tre metri, ed il senario che sostengono esser derivato daJ trimt>lro~ come un verso che va misurato non in rapporto ai metri, ma bensl ai piedi di cui si compone, ciascuno dei quali conserva l a sua posizione !orte.

l

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da esso derivati, e che hanno dato or1gme al senario giam­bico impuro. Gli è che il versus senarius risulta fra i più mo­bili versi della poesia latina, per il semplice fatto che in tutti i suoi piedi giambi, eccetto l'ultimo, una sillaba breve può essere sostituita da una lunga irrazionale (cfr. § 57), ed una lunga, anche irrazionale, può essere sciolta successivamente in due brevi: ne deriva varietà e mobilità schematica. Codesto senario giambico che noi chiamiamo impnro, fu usato, come è noto, dai poeti tragici e comici, specie nella poesia recitativa, e da Orazio negli Epodi; fu usato anche nelle favole di Fedro. In forza di detta sostituzione, in questo verso impuro, oltre al giambo, sono ammessi altri piedi, considerati come aventi la medesima quantità del giambo (ma non hanno la stessa quantità!), e cioè:

l) v ..1., giambo puro;

2) _ ..t, giambo con la lunga irrazionale;

3) v~ v, giambo con la lunga della posizione forte sciolta in due brevi (v vv; sistema tribraco);

4) _ ~v, giambo con la lunga di posizione forte sciolta in due brevi, e con la breve di posizione debole allungata irrazionalmente (: vv; sistema dattilo);

5) v v ..1., giambo con la breve di posizione debole allun­gata irrazionalmente e la irrazionale di poi sciolta in due brevi (vv -i sistema anapesto);

6) v v .v v, giambo con la breve di posizione debole allungata irrazionalmente e le due sillabe lunghe sciolte in qtLtttro brevi (~ ~; sistema proceleusrnatico).

Riepilogando: al posto del giambo possiamo trovare i se­guenti piedi:

1 , spondeo, con l'ictns nella 2a sillaba,

\ = : v tribraco, con l'ictus nella za sillaba, '--' .!.. , _ .v v dattilo, con l'ictus nella za sillaba,

l v v .!.. anapesto, con l'ictus nella 3a sillaba,

\ u ._, .v v proceleusmatico, con l'ictus nella 3a sillaba.

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Lo schema del senario giambico impuro può, dunque, sin­tetizzarsi come segue:

A A A ...!-.. ...!-.. v..__· ~ yv ~, v v v v v v '=!.'-:!_ v_, '=!.'-:!_ v ~ = ' .__.... ' = ' .__.... '

La cesura è la pentemimera, cioè, dopo la posizione debole del 5° piede.

ScHEMI DI SENARIO GIAMBICO IMPURO USATI DA FEDRO.

§ 79. - Il senario giambico nei suoi svariati schemi fu lar­gamente usato dal favolista Fedro, il quale, se modificò varia­mente i primi cinque piedi, conservò quasi sempre il giambo nel sesto piede.

Elenchiamo gli schemi più frequentemente usati da questo poeta, cominciando dallo schema del senario puro.

l) Schema: puro v.!... v!!_ , ,

' v-'-- v- v.!... v'='

2) Schema: tribraco , , , n

vvv v...!..,v t ,

v'=' v-, " '-'-

3) Schema: spondaico , , , _!! , ,

v"='

4) Schema: anapestico vu...J.., ~~, ~J., ~.!!.., vv..lt

5) Schema: dattilico

- .Lv v~ v-, -

6) Schema: proceleusmatico

\...•v,J.; v

NOTA. - a) Non si confonda questo specchietto con l'altro di cui al § 78; occorre por mente alle varie sostituzioni relative alle

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aedi; cosl, per es., Fedro suole introdurre il tribraco nella 2a, 3• e 4" sede; lo spondeo nelle prime 5 sedi; l'anapesto nella l a e 5' sede (il Poeta non tollera due anapesti di seguito); il dattilo è in­trodotto nelle prime 3 sedi; il proceleusmatico è per lo più in l a sede (generalmente il piede consta di due parole, delle quali, una costi­tuisce l'arsi del piede e l'altra parola la tesi); talora il proceleu­smatico trovasi anche nella 3"' e nella 5• sede.

b) Le varie sostituzioni usate da Fedro, son sottoposte gene­ralmente alle leggi seguenti:

l. il giambo trovasi sempre, come si è detto, nella sesta sede; e poichè l'ultima sillaba del verso è ancipite, si può avere il pir­richio (v JJ) invece del giambo;

2) il giambo può trovarsi in tutte le sedi, ma più di sovente nelle sedi pari (2"' e 4");

3. le varie sostituzioni si verificano con più frequenza, nelle prime quattro sedi, nelle quali, oltre al giambo, si possono trovare il tribraco, lo spondeo, l'anapesto, il dattilo;

4. nella quinta sede si incontrano lo spondeo e l'anapesto; di rado il dattilo, rarissimamente il proceleusmatico, mai il tribraco.

In quanto alla cesura, Fedro ammette generalmente quella del senario puro, cioè, la pentemimera; talora usa anche la eftemimera.

Esempio di scansione: -, , , , , , .Aes6pus auc l t6r guam miiteri l iim rippèrit,

, , , , , , Hiinc ego poli l vi Il versibus l séniirìls

l " , , , "

Duplex libil l li Il doll est quod l risum mclvèt , , , " , ,

Et guod pruden l ti IJ t·itiim con l slli6 monèt.

B) T1·imetro giambico irnpuro catalettico.

§ 80. - Questo metro fu usato da Archiloco, famoso giam­bografo greco. Consta di tre dipodie giambiche, l'ultima delle quali catalettica. Si tenga presente, però, che il secondo piede della terza dipodia è mancante della prima sillaba, la quale viene sostituita da una pausa di tempo. In compenso di tale mancanza, la penultima sillaba del verso, che è la seconda del quinto giambo si considera come equivalente a tre tempi, anzichè a due tempi. Codesto prolungamento si suole indicare

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col segno L. (il puntino serve ad indicare la mancanza della sillaba). Nelle sedi dispari il giambo può essere sostituito dallo spondeo; ma il quinto piede di rado ammette tale sostituzione. Questo verso ammette la cesura pentemimera. Orazio l'usa in accoppiamento con l'archilocheo maggiore.

SCHE:IiA:

" 'd.

ESEMPIO:

, , , , Triihunt que sic l ciis l mii chinae l carin~s

0) Trimetro giambico ipponatteo.

§ 81. - Il trimetro giambico ipponatteo, detto anche verso coliambo o scazonte, è composto di cinque giambi ed uno spon­deo all'ultimo piede del verso. Lo spondeo, facendo variare il regolare ritmo, genera quasi un urto improvviso, così da sembrare che il verso zoppichi; da ciò deriva il nome di sr;a­zonte, dato a questo metro, cioè, zoppicante; ovvero coliambo, cioè, giambo zoppo (cfr. § 63).

Nel primo e terzo piede invece del giambo può trovarsi Io spondeo: talora le arsi dei primi quattro piedi possono sciogliersi in due sillabe brevi. La cesura è la semiquinaria o pentemimera, come nel giambo puro.

Eccone lo schema completo:

ESEMPIO:

r " l l " ~~'V~':; ~'V~' v_!_t _!~

Hom(o) kst vena lstus l Jt d·tcdx l et Jrbanus

Misir Cat-az Ile 1 d~sì'nas 1 inipth·e.

D) Dimetro giambico ipercatalettico.

§ 82. - Questo metro ebbe il nome da Alceo di Mitilene, che visse nella 28 metà del secolo VII e all'inizio del secolo VI a. Cr. È formato di quattro giambi, più una sillaba finale (spondeo

-7ì-

nelle sedi impari). È detto anche alcaico enneasillabo: fu usato da Orazio quale terzo verso della strofe alcaica.

SCHEMA:

ESE:'tiPIO:

Silv;e l liib6 l rantks l getil. l que

NoTA. -Secondo altri l'enneasillabo alcaico sarebbe una tetra­podia trocaica con lo spondeo irrazionale alla seconda sede e con anacrusi 1 a principio, secondo il seguente schema:

ESERCIZIO 17.

Si scompongano nei loro piedi costitutivi i seguenti senari giambici puri, segnandone le cesure, e leggendo metricamente ciascun verso:

Phaselus ille, quem videtis, hospites, Ait fuisse navium celerrimus, Neque ullius natantis impetum trabis Nequisse praeterire, sive palmulis Opus foret volare sive linteo. Et hoc negat minacis Adriatici Negare litus insulasve Cycladas Rhodumque nobilem horridamque Thraciam Propontida trucemve Ponticum sinum, Ubi iste post phaselus antea fuit Cornata silva: nam Cytorio in iugo Loquente saepe sibilum edidit coma. Amastri Pontica et Cytore buxifer, Tibi haec fuisse et esse cognitissima Ait phaselus: ultima ex origine Tuo stetisse dicit in ca.cumine, Tuo imbuisse palmulas in aequore, Et inde tot per impotentia freta

1 L'anacrusi è una. sillaba lunga fuori battuta e che dii. inizio a.! verso.

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Herum tulisse, laeva sive dextera Vocaret aura, sive utrumque Iuppiter Simul secundus incidisset in pedem; Neque ulla vota litoralibus deis Sibi esse facta, curo veniret a marei ( = mari) Novissime hunc ad usque limpidum lacum. Sed haec prius fuere: nunc recondita Senet quiete seque dedicat tibi, Gemelle Castor et gemelle Castoris.

(Catullo, IV).

Quid est, Catulle1 quid moraris emoriT Sella in curuli struma Nonius sedet, Per consulatum peierat Vatinius: Quid est, Catulle? quid moraris emoriY

(Catullo, LII ).

ESERCIZIO 18.

Si scompongano nei loro piedi costitutivi i seguenti senari giambici impuri, segnandone le cesure, e leggendo metricamente ciascun verso:

Ad rivum eundem lupus et agnus venerant Si ti com pulsi; superior sta ba t lupus Longeque inferior agnus. Tunc fauce improba Latro incitatus iurgii causam intulit. Cur, inquit, turbulentam fecisti mihi Aquam bibenti? Laniger contra timens: Qui possum, quaeso, facere, quod quereris, lupe! A te decurrit ad meos haustus liquor. Repulsus ille veritatis viribus: Ante hos sex menses male, ait, dixisti mibi. Respondit agnus: Equidem natus non eram. Pater hercle tuus, ille inquit, male dixit mibi. Atque ita correptum Iacerat iniusta nece.

Haec propter illos scripta est homines fabula, Qui fictis causis innocentes opprimunt.

(Fedro, Favole, l. l, l).

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Peras imposuit Iuppiter nobis duas: Propriis repletam vitiis post tergum dedit Alienis ante pectus suspendit gravem. '

Hac re videre nostra mala non possumus; Alii simul delinquunt, censores sumus.

(Fedro, Favolll, l. 4, IO).

Nunc, nequis erret vestrum, paucis in viam Deducam, si quidem operam dare promittitis ... Primum mihi Plautus Luxuriae indidit: Turo hanc mihi gnatam esse voluit Inopiam.

(Plauto, Trinummus, Prolog.).

ESERCIZIO 19.

Si scompongano nei loro piedi costitutivi i seguenti trimetri giambici_ ipponattei, segnandone le cesure, e leggendo metrica­mente ctascun verso:

O Funde noster seu Sabine seu Tiburs ' Fui libenter in tua suburbana

Villa, malamque pectore exspui tussim, Non immerenti quam mihi meus venter, Duro sumptuosas appeto, dedit, cenas. Nam, Sestianus dum volo esse conviva, Orationem in Antium petitorem Plenam veneni et pestilentiae Iegi. Hic me gravedo frigida et frequens tussis Quassavit usque duro in tuum sinum fugi, Et me recuravi otioque et urtica. Quare refectus maximas tibi grates Ago, meum quod non es ulta peccatum. Nec deprecor iam, si nefaria scripta Sesti recepso, quin gravedinem et tussim Non mihi, sed ipsi Sesti o ferat frigus, Qui tunc v oca t me, cum malum librnm legi.

(Catullo, XLIV).

Page 44: Di Marzo 1946 Prosodia e Metrica Latina

-80-

Egnatius, quod candidos habet dentes, Henidet usque quaque: sei ( = si) ad rei ventum est Subsellium 1, cum orator excitat ftetum, Hcnidet ille: si ad pii rogum fili Lugetur, orba cum ftet unicum mater, Henidet ille: quicquid est, ubicumque est, Quodcumque agit, renidet: bune habct morbum, N eque elegantem, ut arbitror, n eque urbanum. Quare monendum te est mihi, bone Egnati. Si urbanus esses aut Sabinus aut Tibnrs, Aut parcus Umber aut obesus Etruscus, Aut Lanuvinus ater atque dentatus, Aut Transpadanus, ut meos quoque attingam, Aut quilubet, qui puriter lavit dentes, Tamen renidere usque quaque te nollem: Nam risu inepto res ineptior nulla est ...

(Catullo, XXXIX).

c.Aro v.

Jl E T R I T R O C A I C I

I metri trocaici comprendono: il dimetro trocaico catalet­tico e il verso itifallico.

A) Dimeh·o trocaico catalettico.

§ 83. - Consta di una tetrapodia trocaica catalettica in syl­labam, vale a dire: tre t.rocbei ed una sillaba finale. Questo metro fu usato da Orazio una sola volta, nell'ode 18 del se­condo libro, in accoppiamento col trimetro giambico catalettico, nel sistema ipponatteo. Ammette nelle sedi pari lo spondeo, ma Orazio non usa tale licenza.

1 Se travasi presso lo scanno d! un reQ,

' l

-81-

SCHEMA:

ESEMPIO: ..! ,

At jfdés et J Ingeni

B) llifallico.

§ 84. - Questo metro fu così chiamato, perchè in esso erano composti i cantici destinati alle processioni falliche. Consta di una tripodia trocaica acatalettica.

SCHEMA:

~ usato in asinarteto, preceduto da un tetrametro dattilico, dando origine all'archilocheo maggiore (cfr. § 96).

CAPO VI.

METRI IJOGAEDICI t

I metri logaedici comprendono: il gliconeo secondo, il fera­crateo secondo, il priapeo, l'asclepiadeo minore, l'asclepiadeo maggiore, il saffico minore, il saffico maggiore, l'alcaico ende­casillr'tbo, l'alcaico decasillabo, l'aristofaneo, il faleceo.

A) Gliconeo secondo.

§ 85. - Ebbe il nome o dal comico greco Leucone, o, se­condo altri, dal greco Glicone, che ne sarebbe stato l'inven­tore (cfr. Efestionc).

Modernamente si sostiene che la struttura di questo verso consista in una tetrapodia logaedica catalettica in syllabam con spondeo o trocheo in prima sede e dattilo alla seconda (ovvero:

l Noi non seguiamo la teoria del Weil, il quale, come si è accennato, ripudia tutti l versi logaedlcl che riduce a. dimetri, trimetri e tetrametri coriamhicl.

6. - E. DJ MARZO, Prosodia e metrica latina.

Page 45: Di Marzo 1946 Prosodia e Metrica Latina

- 82-

uno spondeo o trocheo base, un dattilo ed una dipodia trocaica catalettica in syllabam).

Nella prima sede raramente travasi il trocheo. Orazio l'usa quù,]e primo verso del sistema asclepiadeo

terzo, e quale quarto verso dt-1 sistema asclepiadeo secondo: presso i Greci Io usarono Saffo e Anacreonte.

SCHEMA:

ESEMPIO: , , , '

Miles l té duce 1 gesse l rit

B) Ferecrateo (o Ferecrazio) secondo.

§ 86. - Derivato dal gliconeo, è a questo eguale, senza l'ultima sillaba; consta di una tripodia logaedica acatalettica con spondeo o trocheo in prima sede e dattilo alla seconda; (e precisamente: uno spondeo o trocheo base, un dattilo, un trocheo o spondeo). Orazio l'usa in composizione con gliconei ed asclepiadei.

SCHEMA:

ESEMPIO:

Grato l P~rrii sub l Jntro

O) Priapeo.

§ 87. - Ebbe il nome, secondo Mario Vittorino, dal fatto che in tal metro si cantavano le lodi in onore di Priapo. Consta di due membri, e precisamente, di un gliconeo secondo e di un ferecrateo secondo, collegati insieme e divisi allo stesso tempo dalla cesura, che spessissimo è anche dieresi. Fu usato da Catullo.

SCHEMA:

_!_v, -.!v v, _L v' -v _, Il _l u' ..!.uv, _J-..J

ESEMPIO:

..!. , __!_ eu l pis , ,

' o Co IZOniii, qua e Il ponte ZUderè long o

-83-

D) Asclepiadeo minore.

§ 88. - Fu così chiamato dal poeta greco Asclepiade di Samo, che fiori nell'età ellenistica e fu inventore dei due metri asclepiadei, il minore ed il maggiore. Questo verso è composto di due parti, divise nettamente dalla cesura che, in generale, è anche dieresi; la prima parte è la base di un ferecrateo se­condo (tripodia dattilico-trocaica catalettica in syllabam con spondeo in prima sede e dattilo in seconda sede); la seconda parte è una tripodia logaedica (un dattilo, seguito da due trochei, di cui l'ultimo catalettico in syllabam). La cesura, che è dieresi, cade fra le parti componenti, cioè, dopo la sesta sillaba. Orazio usò questo verso in composizione monastica, ripetuto in serie indeterminata; oppure accoppiato con altri versi, nei sistemi degli asclepiadei 1o, 2o, so.

SCHEMA:

, Il _!uv, _l v,

ESEMPIO:

M ~ecé l nhs iita l via Il ~dite l rtgi l b 1is.

E) Asclepiadeo maggiore.

§ 89. - Differisce dal precedente metro per l'inserzione di una dipodia dattilica catalettica in syllabam dopo il terzo piede dell'asclepiadeo minore.

La cesura che è del pari dieresi (salvo qualche eccezione), cade dopo la sesta sillaba; talvolta se ne trova un'altra, dopo la decima sillaba.

SCHEMA:

.....!. _ , _! ~.....~ v , _!. 1\ , Il _! uv , _! l\ , !1 ....1 v v , _!_ u , ~ 1\

ESEMPJO:

, _!_ , ' , , , ,

Tu ne l quaesie l ris 1\ scirè ne l fiis l\ quém mihi l quém ti l bi.

Page 46: Di Marzo 1946 Prosodia e Metrica Latina

-84-

F) Saffico minore.

§ 90. - Ebbe il nome dalla poetessa Sa:ffo di 1\:litilene, che vissuta tra la fine del VII sec. e l'inizio del VI secolo a. Cr., fu concittadina e contemporanea di Alceo.

Questo verso è una pentapodia dattilico-trocaica acatalet­tica, con il dattilo nella terza sede e lo spondeo nella seconda (e precisamente: due trochei, il secondo dei quali è sostituito dallo spondeo; un dattilo c due trochei finali). Saffo trascurò la cesura; Orazio non seguì una regola determinata, usò la semiquinaria e qualche volta la trocaica, dopo la 6a. sillaba; adoperò assai spesso questo verso, nelle odi, in accoppia­mento con l'adonio, nel sistema del saffico minore.

SCHEMA:

-~ v ' _l - ' _! l v v ' _l v ' ...!... v

ESEMPIO:

z:rm sa l tL: tér l ris nivis l atque l dlrac

G) Saffico maggim·e.

§ 91. - È l'ampliamento del precedente metro per l'inser­zione dopo i primi du.e piedi del rnedesirno di una dipodia dat­tilica catalettica t"n syllabarn. Orazio fu solito far cadere la cesura, che è anche dieresi, il più delle volte, dopo la terza arsi ed usò una cesura stabile, che è anche dieresi, dopo la dipodia dattilica inserita: usò questo verso in accoppiamento con l'aristofaneo nel sistema del saffico maggiore.

SCHE~1A:

_.!v, _!_, _!_ Il v v, _!.À, Il ...!..v v, _!v, _!_v

ESEMPIO:

TJ de 1 Js o l rJ, Il s.ifba l rin Il ,

l , ,

ciir prope res a 1 mando.

H) Alcaico endecasillabo.

§ 92. - Fu così ehiamato da Alceo di lVIitilene, nobile poeta, che visse nella 2a metà del sec. VII e l'inizio del sec. VI a. Cr.

-85-

Questo metro è diviso in due parti da cesura (dieresi) stabile: la prima consta di tre giambi di cui l'ultimo catalettico in syl­labam, con la sostituzione della lunga alla breve nel primo e terzo piede; la seconda di una tripodia dattilico-trocaica catalettica in syllabam. Orazio usò questo metro quale primo e secondo verso della strofe alcaica.

SCHEMA:

v_!' v . ....!., ~l\'

ESK\IPIO:

Vidls l ut alj la Il sÙt nire l candi l dam.

NOTA. - L'alcaico enneasillabo, essendo un metro giambico, è stato elencato al § 82: esso non è che il dimetTo giambico iper­catalettico.

l) Alcaico decasillabo.

§ 93. - Consta di una tetrapodia dattilico-trocaica acata­lettica (e precisamente: due dattili e due trochei); chiude, quale quarto verso, la strofe alcaica.

SCHEMA:

_..!.vv, _!.v'V, _!.v, _lv

EsE~IPIO:

Flilmina l cbnslite l rlnt a l cflto.

L) Aristofaneo.

§ 94. - Fu così chiamato dal poeta Aristofane. Consta di una tripodia dattilico-trocaica acatalettica, col dattilo nella prima sede (e precisamente: un dattilo e due trochei). È il primo verso del sistema saffico maggiore.

SCHEMA:

ESEl\IPIO:

Lidia, J dic per j Jmnis.

Page 47: Di Marzo 1946 Prosodia e Metrica Latina

-86-

M) Falecèo o Endecasillabo.

§ 95. • Il faleceo, detto anche endecasillabo perchè ri· sulta di undici sillabe, è una pentapodia dattilico-trocaica, con il dattilo nella seconda sede e con la sostituzione dello spondeo o del giambo al primo trocheo.

Con altre parole lo si può anche definire così: il faleceo è un verso di cinque piedi, il secondo dei quali un dattilo e gli altri quattro trochei; al primo trocheo si può sostituire lo spondeo o il giambo.

Questo verso che fu largamente usato da Valeria Catu 1 , è tutto proprio della poesia piana e delicata. Esso non h.1. una cesura fissa, ma per lo più la cesura cade dopo l'arsi del terzo piede (cesura tritemimera); anche la si trova dopo l'arsi del secondo e del quarto piede.

Eccone lo schema completo:

..!.lv , , l __ , -VV,- v, _tu, ..!v

ESEMPIO:

PJsser l dkzici l de l me l Ife pu l Jzzae Qulm plìls l ill(a) ocu llis l su l is a l mabtit.

ESERCIZIO 20.

Si scompongano nei loro piedi costitutivi i seguenti versi falecei, segnandone la cesura, e leggendo metricamente ciascun verso:

Quoi dono lepidum novum libellum Arida modo pumice expolitum? Corneli, tibi: namque tu solebas meas esse aliquid putare nugas ...

Lugete, o Veneres Cupidinesque, Et quantum est hominum venustiorum.

(Catullo, I).

-87-

Passer mortuus est meae puellae, Passer, deliciae meae puellae, Quem plus illa oculis suis amabat: Nam mellitus erat suamque norat Ipsam tam bene quam puella matrem ...

Furi, villula nostra non ad Austri Flatus opposita est neque ad Favoni

(Catullo, II I).

Nec saevi Boreae aut Apheliotae (=levante), Verum ad milia quindecim et ducentos. O ventum horribilem atque pestilentem!

(Catullo, XXVI).

Hesterno, Licini, die otiosi Multum lusimus in meis tabellis, Ut convenerat esse delicatos. Scribens versiculos uterque nostrum Ludebat numero modo hoc modo illoc, Reddens mutua 1 per iocum atque vinum. Atque illinc abii tuo lepore Incensus, Licini, facetiisque, Ut nec me miserum cibus iuvaret, Nec somnus tegeret quiete ocellos, Sed toto indomitus furore lecto Versarer, cupiens videre lucem, Ut tecum loquerer, simulque ut essem. At defessa labore membra postquam Semimortua lectulo iacebant., Hoc \ iocunde, tibi poema feci, Ex quo perspiceres meum dolorem. Nunc audax cave sis, precesque nostras, Oramus, cave despuas, ocelle,

l Sott. carmina. Redàere mataa ha il significato di alterni& canert, a botta e risposta.

2 Hoc ... poema = questa poesia.

Page 48: Di Marzo 1946 Prosodia e Metrica Latina

-88-

Ne poenas Nemesis reposcat a te. Est vehemens dea: laedere hanc caveto.

Risi nescio quem modo e corona, Qui, cum mirifice Vatiniana

(Catullo, L).

Meus crimina Calvos ( = Calvus) explicasset, .Admirans ait haec manusque tollens, <<Dii magni, salaputium disertum!, t.

(Catullo, Llll).

C.APO VII.

METRI ASINARTETI

I metri asinarteti più usati sono: l'archilocheo maggiore, il giambèlego, J'elegiambo.

A) Archilocheo maggiore.

§ 96. - Si chiamò così da .Archiloco di Paro. Consta di una tetrapodia dattilica acatalettica, che ha la cesura semi­quinaria ed il quarto dattilo puro, seguita dal verso itifallico (cfr. § 84) (tripodia trocaica acatalettica). Dieresi fra le parti componenti. Orazio non l'usa mai solo, ma in accoppiamento di altri versi, nel sistema dell'archilocheo 4o.

SCHEMA:

...1 vv, _!. vv, ....1. ........,,_,., ....!. '-' ..._,.. Il _! ......... ...!. v, ....!.. v

ESEMPIO:

s61rrtur l Jcris hì l ims l gra 1 t a vfcè Il t'Jris Jt Fa l v6ni.

1 Senso. Quanta ò ~loquento que1to nanetto ls<~lapul•um)!

-89-

B) Giamhèlego.

§ 97. - Consta di due parti distinte, quasi si trattasse di due versi differenti, e cioè, di un dimetro giambico acatalettico a ritmo ascendente con l'ultima sillaba spesso ancipite quale finale di verso e l'iato tra essa e la sillaba del verso seguente (ma Orazio evita sempre l'iato), e di un trimetro dattilico cata­lettico in syllabam a ritmo discendente, che non ammette la sostituzione dello spondeo al dattilo. Cesura (dieresi) fra le parti componenti. Orazio l'usa in accoppiamento con altri metri nel sistema dell'archilocheo secondo.

SCHEMA: ,

.._,_t, v!!.., .._,.__!, .._,~"

ESEMPIO:

, , , Nivés 1 que de 1 ducunt

" , , , lovém; Il nunc mare l nunc sìlu l ae.

C) Elegiambo.

§ 98. - È il giambelego invertito; consta, cioè, di 1m tri­metro dattilico catalettico in syllabam, seguito da nn dimetro giambico acatalettico.

Questo verso ammette nella sa arsi la sillaba breve e l'iato fra le due unità componenti. Cesura (dieresi) fra le parti com­ponenti. Orazio usa questo verso in accoppiamento con altri metri nel sistema dell'archilocheo terzo nell'epodo XI.

SCHEMA:

...lv v, ~f... Il

ESEMPIO:

v_!' v.!!.,. " v~

Scribère l vlrsicu !Z6s Il ambi re plr l cussJm l gravi.

Page 49: Di Marzo 1946 Prosodia e Metrica Latina

-90-

CAPO VIII.

METRI IONICI

Furono detti ionici, perchè in uso tra i poeti della Ionia (specie Anacreonte), nei canti simposiaci ed eroici: tali metri sono: l'ionico a minore o anacreontica, il galliambo anaclomeno, il sotadeo.

A) Ionico a minore.

§ 99. - Intorno alla composizione di questo metro gli stu· diosi dissentono tra di loro; alcuni, infatti, sostengono che esso sia un tetrametro di ionici a minore; altri un decametro di ionici a minore, ecc.

Sappiamo che presso i Greci il verso ionico comprendeva dodici tempi primi, cioè, una dipodia di ionici a minore; o al più, diciotto tempi primi (Alceo e Alcmane), cioè, una tripodia di ionici a minore, secondo i seguenti schemi:

SCHEMA 2°:

Ora., presso i poeti latini, Orazio costrusse questo verso nientemeno che con dieci piedi di ionici a minore (cfr. l. III, ode 12), secondo il seguente schema:

Un verso cosi lungo non entra in una sola riga, e però gli studiosi furono concordi nello spezzettarlo, ma non si accordano affatto nel determinarne le parti. (Cfr. § 123).

-!H-

B) Galliambo anaclomeno.

§ 100. - Fu detto galliambo dai Galli, sacerdoti di Cibele, che adoperavano questo metro nei loro canti. La parola ana­clomeno (grecamente &vll(xÀÙlfLevov), deriva da anàclasi (inver­sione =battuta a contrattempo), ad indicare la variazione del ritmo che si ba allora quando in un piede si sostituisce la breve alla lunga e la lunga alla breve. Questo verso è una tetrapodia di ionici a minore catalettica con anàclasi, cioè, con interversione ritmica.

Lo schema fondamentale è costituito dalla prosecuzione di quattro ionici a minore, dei quali l'ultimo catalettico:

•._~v_!__, vv_!_, '-'v_!__, uv_!/\

Ma per I'anàclasi si ba una grande varietà scbematica di questo metro. Il poeta latino Catullo l'usò nel carme LXIII; nel detto carme ci sono almeno tredici schemi differenti, dei quali il più usato è il seguente:

SCHEMA:

uv-lv• .. _u_!_t uv2.v• uvv'=!

ESEMPIO: , , ,

Siiper iilta l vectus Attis Il ce1eri ra l te maria

C) Soladeo.

§ 101. - Questo metro ebbe il nome da Sotade, poeta del III sec. a. Or. È un tetrametro di ionici a maiore, senza anà­clasi, con l'ultimo piede catalettico.

SCHEMA:

ESEMPIO:

, -v ocalia

, , quaedam mrhnò l rdnt consònd l quacdàm.

Page 50: Di Marzo 1946 Prosodia e Metrica Latina

--l

~ 2 :;; -., "' ;:: 3 .... ., ~

4

5

l 6

c; 7 ;.;

E3 ., 'Ei, 8 ;:: .... ., ~

9

l lO _]) ... "' -;~ ~ ..

E-< 11

l

TAVOLA RIASSUNTIVA DEI PRINCI

METRO SCHEMA.

Esametro - - - -. . _!..vv, _..!.. vv, _!.vu, _!_vv, -

_!v v, 2v

Pentametro - - l . . _]_ vv' _!vv, _L -l..vv,

_!_v v, ':li. l

Adonio -_!v v' _Lv

Archilocheo . ...Lv v, -lv v, ':li./\

Alcmanlo - - _L~ 1\ . .....!uv, _!uv, _!v v'

Trimetro giambico puro vi..!, acat. (senario) v_!_, v.!!., v.!!.., v2,

" '--'~

Trimetro giambico i m-puro catalettico . -:;_!.v!!., l ' " - "

V -V-, vL·~

Trlmetro giambico lp· ponatteo --'- , l , , . vvv, vvv, V \...IV 1 VVVt

v_!' _!_~

Dimetro giamb. fperca· talettico (cfr. alcaico enneasilla.bo) - - ~l\ v_!' v_!' v_!, \...l_!'

Dimetro trocaico ca t a-letti co . .'!_v, .Jv, !!.... \.J, ~l\

-l Hifallico . . .J..v, ...!v' .lv

PALI METRI E LORO STRUTTURA

STRUTTURA

Esapodia dattilica con sostituzioni spondaiche in tutti i piedi, tranne il quinto. Cesura semiquinaria o semisettenaria o troca.ica, ecc.

Esapodia dattilica dica.talettica con sostituzioni sponda.iche nel l o

emistichio. Cesura tra i due emistichi.

Dipodia dattilica catalettica in dissyllabam.

Trimetro dattilico catai. in syllabam (t.re daUili, di cui l'ultimo catai. in syllabam).

Tetrametro dattilico catai. in dissyllabam, con sostituzioni spon­daicbe in tutti i piedi, eccetto il terzo.

Tripodia giambica acat., con cesura semiquinaria.

Tripodia giambica catai. con sostituzioni spondaiche al giambo nel 1° e 3° piede, raramente nel 5° piede. Cesura semiquinaria.

Cinque giambi +uno spondeo finale (sesto piede). Nel 1° e 3° piede invece del giambo può trovarsi lo spondeo, le arsi dei primi 4 piedi possono scio g) iersi in 2 sillabe brevi.

Quattro giambi + una sillaba finale (spondeo nelle sedi impari). Secondo altri è un dimetro trocaico aeat. con anacrusi a principio e spondeo irrazionale nella 2a sede: _ , __1 v, ..! _ , __1 v, __1 ~

Tetrapodia trocaica catai. in syllabam (tre trocbei ed una sillaba finale).

Tripodia trocaica acatalettica .

Page 51: Di Marzo 1946 Prosodia e Metrica Latina

Segue TAVOLA RIASSUNTIVA DEI PRINCI

METRO SCHEMA

-------1------------------l------------------------

12 Gliconeo secondo

13 Ferecrateo (o Ferecra-zio) secondo ..1. v , ..1. v v, ..1. v

14 Priapeo ....!.v, _!vv, _!.v, ~,!J....!:;, .J..vv, _.!.V

15 Asclepiadeo minore • ..1. _, ..1. v v, ..1. 1\. [[ ..1. v v,

..l v, ..Ji 1\

16 Asclepiadeo magg. ..1. _ , ..1. v v , ..1. A ., Il ..1. v v , - l'

....!./\,.1i....!vv, _!v,~/\

17 Samco minore ..1. v , ..1. _ , _l l __, ...- , ..1. v , ..1. v

18 Saffico maggiore ..1. v • ..1.-, ..1. Il v v, ..1. 1\ ., il Jvv, _!v, _!v

19 Alcaico endecasillabo :; ..1., v ..1., :; 1\, [[..1. v v, ..1. v, ..1. 1\

20

21

enneaslllabo

decasillabo

22 Aristofaneo (o Ferecra-

Cfr. N. 9

...!..uv, _!uv, Jv, .-lv

zlo primo) ..1. u v , ..1. u , ..1. u

23 Faleceo o endecasillabo --1! '=< , 1 v v , . .1 \ v , ..1. v, ..1. v

PALI METRI E LORO STRUTTURA

STRUTTURA

Tetrapodia logaedica catai. in syllabam con spondeo o trocheo in l 3 sede e dattilo alla 23 sede (ovvero: spondeo o trocheo base, un dattilo e una dipodia trocaica catai. in syllabam). Raramente trovasi il trocheo in l" sede.

Tripodia logaedica acatal. con spondeo o trocheo in l"· sede e dattilo in 2" sede (uno spondeo o trocheo base, un dattilo, un trocheo o spondeo).

Consta di due membri: gliconeo secondo + ferecrateo, divisi da cesura che spesso è dieresi. Cfr. N. 12 e N. 13 .

Tripodia dattilico-trocaica cat. in syll. con spondeo in ]& sede e dattilo in 23 sede + una tripodia logaedica (un dattilo e due trochei di cui l'ultimo catai. in syll. ). Cesura (dieresi) fra le parti componenti.

Uguale al precedente + una dipodia dattilica catai. in sylZ. inserita dopo il 3° piede dell'asclepiadeo minore. Cesura (dieresi) dopo la 6" sillaba e talora altra cesura (dieresi) dopo la 103 sillaba.

Pentapodia dattilico-trocaica acatal. con dattilo in 3'" e lo spondeo in 2" sede. Cesura semiquinaria; talora trocaica, dopo la 6" sillaba.

Uguale al precedente +una dipodia dattilica ca t. in syll. inserita dopo il 2° piede del saffico minore. Cesura (dieresi) dopo la 3" arsi e ce­sura stabile, che è anche dieresi, dopo la dipodia dattilica inserita.

Tre giambi di cui l'ultimo catai. in syll., con la sostituzione della lunga alla breve nel primo e terzo piede + tripodia dattilico-tro­caica catai. in 1yll. Cesura (dieresi) fra le parti componenti.

Cfr. il N. 9.

Tetrapodia dattilico-trocaica a.catal. (due dattili e due trochei).

Tripodia dattilico-trocaica a.ca.tal. con dattilo in I• sede (un dattilo e due trochei).

Pentapodia dattilico-trocaica. con dattilo in 2• sede e la sostituzione dello spondeo o del giambo al l 0 trocheo. Cesura dopo l'arsi del 3° piede.

Page 52: Di Marzo 1946 Prosodia e Metrica Latina

Segue TAVOLA RIASSUNTIVA DEI PRINCI

METRO SCHE:\IA

---------------------------- ~------------------------1

-.; ·= o .... "C -~ ~

24 Archilocheo maggiore . _t vv, _t vv,:! l ~, _t v v, li J.v,2v,....!u

25 Giambèlego v!!., ,

Il v......!.' v.,!' v'::!,

.J.uv, ..!.. V V l ~ 1\

26 Elegiambo 2 v v' Juv, ~l\ , Il ~ ,

V ..l.' v!!.., w.J.' v'd.

27 Ionico a minore uv..!.-, uv-L-. vv-L-,

vuJ-, v v_!-, vvJ._,

uv......!-. vv_!_, vv...l.-,

uv..!.-

28 Galliambo anaclomeno uv-1- . uv_!-, vv.J..-,

vu_! 1\

29 Sotadeo . . . . . . ...1.-vu, ..1.-vu, ....l-uv,

_t 'd. 1\

PALI METRI E LORO STRUTTURA

STRUTTURA

Tetrapodia dattilica acat. con cesura semiquinaria ed il quarto dattilo puro +il verso itifallico. (Cfr. N. Il). Dieresi fra le parti componenti.

Dimetro giambico acat. + trimetro dattilico catai. in syll. Cesura (dieresi) fra le parti componenti.

Trimetro dattilico catai. in syll. + dimetro giambico acat. Cesura (dieresi) fra le parti. È il giambèlego invertito.

Dieci piedi di ionici a minore.

Tetrapodia di ionici a minore catai. con anàclasi (- interversione ritmica).

Tetrametro di ionici a maiore, senza anàclasi, con l'ultimo piede catai.

f. - E. DI :M.lazo, .l'to1odiG e metrica /alina.

Page 53: Di Marzo 1946 Prosodia e Metrica Latina

P ARTE TER-ZA

METRICA ORAZIANA

Page 54: Di Marzo 1946 Prosodia e Metrica Latina

CAPO I.

NOZIONI PUELUHNARI

§ 102. - Le forme metriche usate dal poeta. Orazio 1 sono state variamente elencate ed enunciate dagli studiosi di me­trica: noi sulle orme di Ettore Stampini (cfr. E. 8TAMPINI1

La metrica di Orazio, Loescher, 1913), le classificheremo in: composizioni monastiche, sistemi distici e tetrastici, composi­zioni ipermetriche.

Per quanto riguarda la spiegazione di composzzwni mona­stiche e di sistemi, si vedano i paragrafi 67 e 68.

NOTA.

§ l 03. - Si tenga presente che gli studiosi di metrica oraziana dissentono nello stabilire se le odi di Orazio siano formate tutte di strofe tetrastiche: il l\Ieineke, il Lackmann, il Cri'st, il Rasi, ecc., ne ammettono per tutte la composizione strofica tetra.stica; mentre altri, ad es. il Giri, lo Stampini, il Bindi, ecc., sono di parere con­trario.

Ai discenti che nei loro testi trovino le odi oraziane, tutte, in composizione strofica. tetrastica, facciamo sapere che la strofa tetrastica può essere di quattro tipi:

a) tutti e quattro versi uguali (fJ.ÉTpov [J.av6xwì-ov). Es.: l'ascle· piadeo maggiore e minore che noi consideriamo in composizione monostica in serie indeterminata;

b) i primi tre versi uguali, l'ultimo differente (fJ.ÉTpov ll!xwÀov). Es.: la strofa sa.ffica minore;

1 In tutto 19; alcuni autori di metrica oraziana. ne elencano 20 (Cfr. Giri, Rasi, ecc.). Ciò è dipeso dal fatto che, essendo stata adottata una trattazione, nella quale i metri delle odi vengono distinti dai metri degli epodi, uno stesso sistema, e pre· elsamente l'alcmanio, è ripetuto due volte, ricorrendo esso tanto nelle odi quanto negli epodi (Odi 7 e 28 del libro I ed Epodo 12).

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-102-

c) i due primi versi uguali, gli altri differenti fra loro e dai primi (flhpov •pfzwì.ov). Es.: la strofa alcaica;

d) il primo verso uguale al terzo e il secondo al quarto (doppio distico; fJ.É't'po•' S!zwÀov ). Es.: il sa(Jico maggiore che noi consideriamo in composizione semplicemente distica e non di doppio distico.

§ 104. TAVOLA SCHE~IATICA DELLE

l ~ l Trimetri giambici in serie indeterminata

A) Composizioni 2' Asclepiadei minori in serie indeterminata 1\'lonostiche g: Asclepiadei maggiori in serie indeterminata

\ B) Sistemi •..

Sistemi Distici

Sistemi Tetrastici

4. Sistema Epodico o giambico · 5. Sistema Alcmanio 6. Archilocheo l o 7. Archilocheo 2o 8. Archilocheo go 9. Archilocheo 4°

IO. li. 12. 13.

l 14.

\ 15.

l 16.

' l 7. \ 18.

Pitiambico ]o Pitiambico 2o Ipponatteo .. Asclepiadeo minore go . Saffico maggiore

Strofa Alcaica

Saffica m in ore

Asclepiadea l"' Asclepiadea 2a

l O l Composi~ieni Ipermetro ' 19. Periodi decametrici di i onici a minori lpermetnche 1 j

- Iog-

Prima d'iniziare partitamente lo studio delle forme me­triche usate da Orazio, ci sembra utile premettere la seguente tavola schematica delle medesime, onde facilitarne l'appren­dimento.

FORME METRICHE USATE DA ORAZIO

Epodo 17. Odi, I, l; III, go; IV, S. Odi, I, 11, 18; IV, IO.

- Epodo l, 2, g, 4, 5, 6, 7, 8, 9, IO. - Odi, I, 7, 28; Epodo 12. -Odi, IV, 7. - Epodo Jg. - Epodo l l. -Odi, I, 4. - Epodo 14, 15. - Epodo 16.

Odi, Il, 18. Odi, I, g, 1g, 19, g6; III, 9, 15, 19, 24, 25, 28; IV, l, 3. Odi, I, 8.

Odi, I, 9, 16, 17, 26, 27, 29, 31, g4, g5, 37; II, l, 3, 5, 7, 9, 11, 13, 14, 15, 17, 19, 20; III, l, 2, 3, 4, 5, 6, 17, 21, 23, 26, 29; IV, 4, 9, 14, 15.

-Odi, I, 2, 10, 12, 20, 22, 25, 30, 32, 38; II, 2, 4, 6, 8, IO, 16; III, 8, Il, 14, 18, 20, 22, 27; IV, 2, 6, l l, e il Carmen Saeculare.

Odi, I, 6, 15, 24, 33; II, 12; III, lO, 16; IV, 5, 12. Odi, I, 5, 14, 21, 2g; III, 7, 13; IV, 1g.

- Odi, III, 12.

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-104-

CAPO II.

COlUPOSIZIONI lUONOSTICHE

I.

Trimetri giambici

(in composizione monastica).

§ 105. - Orazio ripete in serie indeterminata il trimetro giambico, di cui si è parlato al § 78, e che, come sappiamo, consta di tre dipodie giambiche impure acatalettiche. Nel primo piede di ciascuna delle tre dipodie è ammessa la lunga irra­zionale; inoltre è pure ammesso, in certe sedi, Io scioglimento di una lunga (anche irrazionale) in due brevi; in tal modo il giambo o lo spondeo possono cambiarsi in anapesto, in tribraco (con l'ictus sulla prima breve rappresentante la lunga), in dattilo (con l'ictus parimente sulla prima breve), e talora in proceleusmatico. La cesura è la semiquinaria; talvolta tro­vasi la semisettenaria in unione con la semiquinaria o con la dieresi dopo il 2o giambo.

SCHEMI VARI:

v...!_' v !!... " ~ l ...!_' v.!.. ., " u-!.., v"=!

" '-1-JI

v.!....., v!!.-,

-, l - .. v -.l,v !!,v....!.,v~

' '-'' --- .

v!!_, uu v.!_,

, V-,

, " , , v ..vu. . v ~.::d , v~~ , '--' ~~ .. v -- ........ ~ , ecc.

Orazio usò questo metro in composizione monostica una volta sola, nell'epodo 17.

~ 105-

ESERCIZIO 21.

Si continui ad accentare tutte le arsi dei piedt che cornpon gono i versi seguenti:

Iam iam efficaci do manus scientiaé, supplex et òro regna pér Proserpinaé, per et Dianae non movenda numina, per atque libros carminum valentium, refixa caelo devocare sidera, Canidia, parco vocibus tandem sacris citumque retro solve, solve turbinem! Movit nepotem Telephus Nereium, in qnem superbus ordinarat agmina Mysorum et in quem tela acuta torscrat. Unxere matres lliae addictum feris alitibus atque canibus homicidam Hectorem, postquam relictis moenibus rex procidit heu! pervicacis ad pedes .Achillei. Saetosa duris exuere pellibus laboriosi remiges Ulixei volente Circa membra: tunc mens et sonus relapsus atque notus in vultus honor. Dedi satis supcrque poenarum tibi, amata nautis multum et institoribus. Fugit iuventas et verecundus color reliquit ossa pelle amicta lurida, tuis capillus albus est odoribus, nullum a labore me reclinat otium; urget diem nox et dies noctem, neque e~t levare tenta spiritu praecordia. Ergo negatum vincor ut credam miser, Sabella pectus increpare carmina caputque Marsa dissilire nenia. Q,uid amplius vis~ o mare et terra, ardeo, quantum neque atro delibutus Hercules N essi cruore nec Sicana fervida

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-106-

virens in Aetna fiamma; tu, donec cinis iniuriosis aridus ventis ferar, cales venenis officina Colchicis. Quae finis aut quod me manet stipendium 1 Effare: iussas cum fide poenas luam, paratus expiare, seu poposceris centum iuvencos, sive mendaci lyra voles sonari. Tu pudica, tu proba perambulabis astra sidus aureum!. ..

(Orazio, Epodo 17, vv. 1-41).

II.

Asclepiadei minori

(in composizione monastica).

§ 106. - Orazio ripete in serie indeterminata l'asclepiadeo minore che, come abbiamo visto al paragrafo 88, consta di due parti divise dalla cesura, che generalmente è anche die­resi: la prima è una tripodia dattilico-trocaica catalettica in syllabam con spondeo in prima sede e dattilo in seconda sede: la seconda una tripodia logaedica, e precisamente un dattilo, seguito da due trochei, di cui l'ultimo catalettico in syllabam. Il ritmo di questo verso, secondo gli studiosi, si avvicina a quello del pentametro elegiaco (cfr. Rasi).

SCHEMA:

--' ' 1\ Il · · J., " - , - v '-' ' -- v ' - .' \

Orazio usò questo metro in composizione monastica nelle Odi, I, l; III, 30; IV, 8.

ESERCIZIO 22.

Si continui ad accentare tutte le arsi dei piedi che compongono i 1:ersi seguenti:

Maécenas atavis édite régibus, o et praesidium et dulce decus meum.

-107-

sunt quos curriculo pulverem Olympicum collegisse iuvat, metaque fervidis evitata rotis palmaque nobilis terrarum dominos evehit ad deos: bune, si mobilium turba Quiritium certat tergeminis tollere honoribus, illum, si proprio condidit horreo quicquid de Libycis verritur areis. Gaudentem patrios findere sarculo agros Attalicis condicionibus numquam demoveas, ut trabe Cypria Myrtoum pavidus nauta secet mare. Luctantem Icariis fluctibus Africum mercator metuens, otium et oppidi laudat rura sui; mox reficit rates quassas, indocilis pauperiem pati. Est qui nec veteris pocula Massici nec partem solido demere de die spernit, nunc viridi membra sub arbuto stratus, nunc ad aquae lene caput sacrae.

(Garm. I, l, vv. 1-22).

Éxegi monuméntum aére perénnius régalique situ Pyramidum altius, quod non imber edax, non Aquilo impotens possit diruere aut innumerabilis annorum series et fuga temporum. Non omnis moriar multaque pars mei vitabit Libitinam: usqne ego postera crescam laude recens, dum Capitolium scandet cnm tacita virgine pontifex. Dicar, qua violens obstrepit Aufidus et qua pauper aquae Daunus agrestium regnavit populorum, ex bumili potens prjnceps Aeolium carmen ad Italos deduxisse modos. Sume superbiam

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-108-

quaesitam meritis et mihi Delphica lauro cinge volens, Melpomene, comam •.

(Orazio, Cm·m. III, 30, vv. 1·16).

III.

Asclepiadei maggiori

(in composizione monastica).

§ 107. - Orazio ripete in serie indeterminata l'asclepiadeo maggiore che, come sappiamo dal paragrafo 89, è uguale al­l'asclepiadeo minore, con in più una dipodia dattilica catalet­tica in syllabam, inserita dopo il terzo piede dell'asclepiadeo minore. La cesura, che è del pari dieresi, cade dopo la sesta sillaba; talvolta, oltre alla predetta, se ne trova un'altra dopo la decima sillaba.

SCHEMA:

Questo metro ricorre nel l. I, 11, 18; I. IV, 10 dei Carm.

ESERCIZIO 23.

Si continui ad accentare tutte le arsi dei piedi che compon­gono i versi seguenti:

Tu ne quaésieris, scire nefas, quém mihi, quém tibi finem di dederint, Leuconoé, néc Babyl6ni6s temptaris numeros. Ut melius, quicquid eri t, patì! Seu plures hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam, quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare Tyrrhenum, sapias: vina Iiques et spatio brevi spem longam reseces. Dum loquimur, fugerit invida aetas: carpe diem, quam minimum credula postero.

(Orazio, Carm. I, 11, vv. 1·8).

1 Il Carducci riprodusse nella poesia italiana questo verso per mezzo dell'ende· rasi/labo ldrucciolo:

•lieto sorgesse nel mattin del popoli •·

-109-

Nullam, Vare, sacra vite prius séveris arborém circa mite solum Tiburis ét moénia Catili; siccis omnia nam dura deus proposuit, neque mordaces aliter diffugiunt sollecitudines. Quis post vina gravem militiam aut pauperiem crepat7 Quis non te potius, Bacche pater, teque, deccns Venus! Ac nequis modici transil!at munera Liberi, Centaurea monet cum Lapithis rixa super mero debellata, monet Sithoniis non levis Euhim, cum fas atque nefas exiguo fine libidinum discernunt avidi. Non ego te, candide Bassarcu, invitum quatiam nec variis obsita frondibus sub divum rapiam. Saeva tene cum Berecyntio cornu tympana, quae subsequitur caecus amor sui et tollens vacuum plus nimio gloria verticem, arcanique fides prodiga, perlucidior vitro.

(Orazio, Carm. I, 18, vv. J.J6).

CAPO III.

SISTEMI DISTICI

IV.

Sistema epodico.

(sistema giambico).

§ 108. - Questo sistema distico consta di due versi, dei quali:

a) il primo è trimetro giambico impu1'o acatalettico (cfr § 78 e § 105);

b) il secondo è dimetro giambico impuro acatalettico in forma epodica (due dipodie giambiche acatalettiche impure). Questo verso non ammette la sostituzione di due sillabe brevi alla lunga, ma soltanto può allungare irrazionalmente la sil­laba, breve del primo piede di ciascuna dipodia.

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-IlO-

Cesura semiquinaria generalmente, poche volte la semi· settenaria.

SCHEMA:

v.!.....:., \....' ~" = 1 ...!___'

v.!..:., v!!_,, v [ _!_,

, v!!_,,.._,..!...., v'::!.

" v~

In questo sistema il Poeta compose i primi 10 epodi che chiamò giambi.

ESERCIZIO 24.

Si continui a segnare le percussioni forti delle dipodie giam· biche che compongono i versi seguenti:

Ibis Liburnis inter alta navium, amice, pr6pugnacula,

paratus omne Caesaris periculum subire, Maecenas, tuo:

quid nos, quibus te vita si superstite iucunda, si contra, gravisT

Utrumne iussi persequemur otium non dulce, ni tecum simul,

an bune laborem mente latud, decet qua ferre non molles viros!

Feremus. Et te vel per Alpium iuga inhospitalem et Caucasum,

vel Occidentis usque ad ultimum sinum forti sequemur pectore.

Roges, tuum labore quid iuvem meo, imbellis ac firmus parumT

- 111-

Comes, minore sum futurus in metu, qui maior absentes habet,

ut assidens implumibus pullis avis serpentium allapsus timet

magis relictis, non, ut adsit, auxili latura plus praesentibus.

(Orazio, Epodo l, vv. 1-22).

Quo, quo scelésti ruitis? aut cnr dexteris aptantur énses conditi?

Parumne campis atque Neptuno super fusum est Latini sanguinisT

N o n ut superbas invidae Carthaginis Romanus arces ureret,

intactus aut Britannus ut descenderet Sacra catenatus via,

sed ut secundum vota Parthorurn sua urbs haec periret dextera.

Neque hic lupis mos nec fuit leonibus, umquam, nisi in dispar feris.

Furorne caecus an rapit vis acrior an culpa? Responsum date!

Tacent, et ora pallor albus inficit, mentesque perculsae stupent ... 1•

(Orazio, Epodo 7, vv. 1-16).

1 Il Carducci (nelle Odi barbare) riproduce Que~to sistema cosi: Il primo ver~o con un entlecasillabo sdrucciolo, ed il secondo verso con un settenario sdrucciolo:

• Dimmi: percbè sotto Il fiammante ve~pero mi~terJosl gemiti

man<:J.!i Il mare la giù l q n al. canti, o LI dia, tra lnr quel pini cantano! •.

(CARDUCCI, Ruit Rora),

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- ll2-

V.

Sistema alcmanio (sistema dattilico puro).

§ 109. Questo sistema distico consta di due versi, dei quali:

a) il primo è un esametro dattilico (cfr § 69): esapodia dattilica con sostituzioni spondaiche in tutti i piedi, eccetto il quinto; cesura semiquinarìa, meno comune la settenaria., rara la trocaica;

b) il secondo è un tetrametro dattilico catalettico in dis­syllabam (verso alcmanio, detto anche eroico acefalo; cfr. § 76). Eccezionalmente il 3° dattilo ammette la sostituzione spon­daica.

ScHEMA:

-v

Orazio usò questo sistema in Carm., l. I, 7, 28, e nell'epodo 12.

ESERCIZIO 25.

Si continui ad accentare tutte le arsi dei piedi che compon­gono i versi seguenti:

LaUdabunt alii claram Rhodon aut J\lytilénen aut Ephes6n bimarisve Corinthi

moenia vel Baccho Thebas vel Apolline Delphos insignes aut Thessala Tempe.

Sunt quibus unum opus est, intactae Palladis urbem carmine perpetuo celebrare et

undique decerptam fronti praeponere olivam. Plurimus in Iunonis honorem

-113-

aptum dicet equis Argos ditesque ~Iycenas. Me nec tam patiens Lacedaemon

nec tam Larisae percussit campns opimae, quam domus Albuneae resonantis

et praeceps Anio ac Tiburni lueus et uda mobilibus pomaria rivis.

Albus ut obscuro deterget nubila caelo saepe Notus neque parturit imbres

perpetuo, sic tu sapiens finire memento tristitiam vitaeque labores

molli, Plance, mero, seu te fulgentia signis castra tenent seu densa tenebit

Tiburis umbra tui. Teucer Salamina p~tremque cum fugeret, tamen uda Lyaeo

tempora populea fertur vinxisse corona, sic tristes affatus amicos: ... 1•

(Orazio, Carrn. I, 7, vv. 1-24).

VI.

Sistema archilocheo primo (sistema dattilico puro).

§ 110. - Questo sistema distico consta di due versi, dei quali:

a) il primo è un esametro dattilico (cfr. § 69): esapodia dattilica con sostituzioni spondaiche in tutti i piedi eccetto il 5°; cesura semiquinaria, ecc.;

1 Il Carducci riprodusse questo sistema nella poesia italiana usando un esa­metro (cfr. § 71, nota) per primo verso, e per secondo un nouenario piano:

• Salve, o pia. Courmayeur, che l'ultimo riso d'Italia. al piè del gigante de l'Alpi

:echi soave l Te, datrice di posa. e di canti, lo reco nel verso d'Italia. •.

(CARDUCCI, Courma!ltur),

- E. DI MARZO, Prosoàia e metrica latina.

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- ll4-

b) il secondo è un trimetro dattilico catalettico in .~yl­

labam (3 dattili, di cui l'ultimo catalettico in syll.). È il venw archilocheo. (Cfr § 75).

SCIIEMA:

2... vw' ...!._uv,

urazio usò tale sistema in Carm., l. IV, 7.

ESERCIZIO 28.

Si continui ad accentare tutte le arsi dei piedt che Mmpon­gono i versi seguenti:

Diffugére nivés, redeunt iam gramina campis arboribusque coma' ;

mutat terra vices et decresccntia ripas flumina praetereunt;

Gratia cum Nymphis geminisque sororibus audet ducere nuda choros.

Immortalia ne speres, monet annus et almum quae rapit bora diem.

Frigora mitescunt Zephyris, ver proterit aestas interitura, simul

pomifer autumnus fruges effuderit, et mox bruma recurrit iners.

Damna tamen celeres reparant eaelestia lunae: nos ubi decidimus,

quo pius Aeneas, quo Tullus dives et Ancus, pulvis et umbra sumus.

Qnis scit an adiiciant hodiernae crastina summae tempora di superi T

Cuncta manus avidas fugient heredis, amico quae dederis animo.

-115-

Cum seme! occideris et de te splendida Minos fecerit arbìtrìa,

non, Torquate, genus, non te facundia, non te restituet pietas;

infernis neque enim tenebris Diana pudicum liberat Hippolytum,

nec Lethaea valet Thcseus abrumpcre caro vincula Pirithoo.

(Orazio, Carm. IV, 7, vv. 1-28).

VII.

Sistema archilocheo secondo (sistema giambico-dati'ilico).

§ 111. - Questo sistema distico consta di due versi, dei quali:

a) il primo è un esametro dattilico (cfr § 69); esapodia dattilica con sostituzioni spondaiche in tutti i piedi, eccetto il quinto; cesura semiquinaria, ecc.;

b) il secondo è un giambèlego (cfr.§ 97). Tale verso consta, come si è detto, di due parti: un dimetro giambico acatalettico a ritmo ascendente con l'ultima sillaba ancipite quale finale di metro e l'iato tra essa e la sillaba del piede seguente (ma Orazio evita sempre lo iato); la seconda è un trimetro datti­lico catalettico in syllabam a ritmo discendente, e non am­mette quasi mai la sostituzione dello spondeo al dattilo. Ce­sura (dieresi) tra le parti componenti. Non essendovi la con­tinuità ritmica fra i membri, questo verso appartiene agli asinarteti.

SCHEMA:

_l uv' ,1--~vv, .....!. uv . ..lv v, .Jv

- - " Il , ,, ' v V-, v-, v_, v_, ..lvv,

Orazio usa tale sistema nell'epodo 13.

Page 62: Di Marzo 1946 Prosodia e Metrica Latina

-!Hl-

ESERClZIO 27.

Si continui ad accentare tutte le arsi dei piedi che compon­gono i versi seguenti:

H6rrida témpestas caelum contn\xit, et imbres nivesque déducunt Iovém; mine mare, nunc siluaé

Threicio Aquilone sonant. Rapiamus, amici, occasionem de die, dumque virent genua

et decet, obducta solvatur fronte senectus. Tu vina Torquato move consule pressa meo.

Cetera mitte loqui: deus haec fortasse benigna reducet in sedem vice. Nunc et Achaemenio

perfundi nardo iuvat et fide Cyllenea levare diris pectora sollicitudinibus,

nobilis ut grandi cecinit Centaurus alumno: « Invicte mortalis dea nate puer Thetide,

te manet Assaraci tellus, quam frigida parvi findunt Scamandri flumina, lubricus et Simois,

unde tibi reditum certo subtemine Parcae rupere, nec mater domum caerula te revehet.

Illi omne malum vino cantuque levato, deformts aegrimoniae dulcibus alloquiis ».

(Orazio, Epodo l 3, v v. l. l 8 ),

VIII.

Sistema archilocheo terzo (sistema giambico-dattilico).

§ 112. - Questo sistema distico consta di due versi, dei quali:

a) il primo è un trimetro giambico acatalettico impuro (tripodia giambica impura; non ammette la soluzione delle lunghe; cfr. § 78 e § 105);

- 117-

b) il secondo è un elegiambo (giambelego invertito, cfr.§ 98). (Trimetro dattilico catalettico in syllabam +dimetro giambico acatalettico). Il verso elegiambo ammette nella terza arsi la sillaba breve e l'iato fra le due metà di cui è composto. Ce­sura (dieresi) tra le parti componenti.

SCHEMA:

v_!. v !!__ " = l __!_ ' v !!_ ,. "-' _! '

, u'=!.

_!_ I...J '-' , _L -.....~ ..._, • 4!. l\ ,, Il : _! , u !!... ,.

Orazio usò tale sistema nell'epodo 11.

ESERCIZIO 28.

v..!'

, v'=!.

Si continui ad accentare tutte le arsi dei piedi che compon­gono i versi seguenti:

Petti, nihil me sicut antea iuvat scribere vérsicul6s amore pércussum gravi,

amore, qui me praeter omnis expetit mollibus in pueris aut in puellis urere.

Hic tertius December, ex quo destiti Inachia furere, silvis honorem decutit.

Heu me! per urbem - nam pudet tanti mali -fabula quanta fui! Conviviorum et paenitet,

in quis amantem languor et silentium arguit et latere petitus imo spiritus.

((Contrane lucrum nil valere candidum pauperis ingenium~ querebar adplorans tibi,

simul calentis inverecundus deus fervidiore mero arcana promorat loco.

(c Quodsi meis inaestuet praecordiis libera bilis, ut haec ingrata ventis dividat

fomenta, vulnus nil malum levantia, desinet imparibus certare summotus pudor ».

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-118-

Ubi haec severus te palam laudaveram, iussus abire domum ferebar incerto pede

ad non amicos heu! mihi postes et heu! limina dura, quibus lumbos et infregi latus.

Nunc gloriantis quamlibet mulierculam vincere mollitia amor Lycisci me tenet;

unde expedire non amicorum queant libera consilia nec contumeliae graves,

sed alius ardor aut puellae candidae aut teretis pueri longam renodantis comam 1•

(Orazio, Epodo Il, vv. l-28).

IX.

Sistema archilocheo quarto

(sistema logaedico-giambico ).

§ 113. - Questo sistema distico consta di due versi, dei quali:

a) il primo è un archilocheo maggiore (cfr. § 96) (tetrapodia dattilica acatalettica che ha la cesura semiquinaria ed il quarto dattilo puro + il verso itifallico, cioè: tripodia trocaica acata­lettica. Dieresi fra le parti componenti);

b) il secondo è un trimetro giambico impuro catalettico (cfr. § 80) (tripodia giambica impura catalettica; nelle sedi dispari il giambo può essere sostituito dallo ~pondeo. Cesura semiquinaria).

l 11 Carducci riprodusse nella poe•ia italiana questo sistema cosi: il primo verso con un endecasillabo sàrucciolo; il secondo con àue versi selt<nari accoppiati, dei quali l'ultimo sdrucciolo:

c Ob, al bel mar di Trieste, ai poggi, agll animi Volate col nuovo anno, anticbi versi italici:

n~· rai del sol cbe San Petronio imporpora volate di San Gimto sovra l romani ruderi •.

(CARDUCCI, Saluto italico),

-119-

SCHEMA:

...!.uv, ....!\:=;:;,...!.uv,, 11....!....1, .!v, ..!.v

- -, - ., v ...1. , v .!!.. ,, u ..! , v !!.... ,, v L · ':::!..

Orazio usò questo sistema in Carmina, l. I, 4.

ESERCIZIO 29.

Si continui ad accentare tutte le arsi dei piedi che compon·

gono i versi seguenti:

S6lvitur acris hiéms grata vice véris ét Fav6ni, trahuntque siccas machinaé carinas,

ac neque iam stabulis gaudet pecus aut arator igni, nec prata canis albicant pruinis.

Iam Cytherea choros ducit Venus imminente luna iunctaeque Nymphis Gratiae decentes

alterno terram quatiunt pede, dum gravis Cyclopum Vulcanus ardens visit officinas.

Nunc decet aut viridi nitidum caput impedire myrto aut fiore, terrae quam ferunt solutae,

nunc et in umbrosis Fauno decet immolare lucis, seu poscat agna sive malit haedo.

Pallida Mors aequo pulsat pede pauperum tabernas regumque turres. O beate Sesti,

vitae summa brevis spem nos vetat inchoare longam: iam te premet nox fabulaeque Manes

et domus exilis Plutonia; quo simul mearis, non regna vini sortiere talis

nec tenerum Lycidan mirabere, quo calet iuventus nunc omnis et mox virgines tepebunt.

(Orazio, Oarrn. l, 4, vv. 1-20).

Page 64: Di Marzo 1946 Prosodia e Metrica Latina

- 120-

x.

Sistema pitiambico primo

(sistema giambico-dattilico).

§ 114. Questo sistema distico consta di due versi, dei qual!:

a) il primo è un esametro dattilico, che, come sappiamo (cfr. § 69), fu anche detto verso pitico da nuOwc;. Esso è una esapodia dattilica con sostituzioni spondaiche in tutti i piedi, eccetto il 5o, Cesura semiquinaria, ecc.;

b) il secondo è un dimetro giambico impuro acatalettico (due dzpodie giambiche impure acatalettiche). Nel primo piede di ogni dipodia la breve può essere sostituita dalla lunga irrazionale. Cesura semiquinaria.

-, " v!!_, v_.!, v':::::

Orazio usò questo sistema negli epodi 14, 15.

ESERCIZIO 30.

Si continui ad accentare tutte le arsi dei piedi che compm,. gono i versi seguenti :

l\16llis inértia cur tantam diffuderit imis oblivi6nem sensibus,

pocula Lethaeos ut si ducentia somnos arente fauce traxerim,

candide :Maecenas, occidis saepe rogando: deus, deus nam me vetat

/ - 121-

inceptos, olim promissum carmen, iambos ad umbilicum adducere.

Non aliter Samio dicunt arsisse Bathyllo A.nacreonta Teium,

qui persaepe cava testudiue flevit amorem non elaboratum ad pedem.

Ureris ipse miser: quodsi non pulchrior ignis accendit obsessam Ilion,

gaude sorte tua; me libertina, nec uno contenta, Phryne macerat.

(Epodo 14, vv. 1-16).

N6x erat ét cael6 fulgébat luna seréno inter min6ra sidera,

cum tu magnorum numen Jaesura deorum, in verba iurabas mea,

artius atque hedera procera astringitur ilex; lentis adhaerens bracchiis,

dum pecori lupus et nautis infestus Orion turbaret hibernum mare

intonsosque agitaret A.pollinis aura capillos, fore hunc amorem mutuum.

O dolitura mea multum virtute Neaera! Nam siquid in Fiacco viri est,

non feret assiduas potiori te dare noctes, et quaeret iratus parem.

Nec semel offensae cedet constantia formae, si certus intrarit dolor.

Et tu, quicumque es felicior atque meo nunc superbus incedis malo,

sis pecore et multa dives tellure licebit tibique Pactolus fluat,

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-122-

nec te Pythagorae fa1lant arcana renati, formaque vincas Nirea,

heu heu! translatos alio maerebis amores: ast ego vicissim risero 1•

§ 115. quali:

(Orazio, Epodo 15, vv. 1-24).

XI.

Sistema pitiambico secondo (sistema giambico-dattilico).

Questo sistema distico consta di due versi, dei

a) il primo è un esametro dattilico (cfr. § 69): esapodia dattilica, con sostituzioni spondaicbe in tutti i piedi, eccetto il 5°. Cesura semiquinaria, ecc.;

b) il secondo è un trimetro giambico acatalettico puro (tripodia giambica acatalettica pura, con cesura semiquinaria). (Cfr. § 77). È usato in forma pura in tutto l'epodo 16o.

, v ...1. ' v !!_ " v l ..! • ......, !!_ '' v ..! ' v~

Orazio usò questo sistema nell'epodo 16.

1 Il Cnrducci riprodusse questo sistema cosi: li primo verso con un esamflro (cfr. § 71, nota), il secondo con un sellenario sdrucciolo:

• Ecco: la verde Sirmio nel lucido lago sorride, fiore de le penisole.

Il sol la guarda e vezzeggia: somiglia d'intorno Il Benaco una gran tazza argentea,

cui placido olivo per gli orli nitidi corre misto a l'eterno lauro •.

(CARDUCCI, Sirmiont), .. ·q.

J

-123-

ESERCIZIO 31.

Si continui ad accentare tutte le arsi dei piedi che compon· gono i versi seguenti: ,

Altera 1am teritur bellis civflibus aétas, suis et fpsa Roma vfribus ruit.

Quam neque finitimi valnerunt perdere l\brsi, minacis aut Etrusca Porsenae manus,

aemula nec virtus Capuae, nec Spartacus acer novisque rebus infidelis Allobrox,

nec fera caerulea domuit Germania pube parentibusque abominatus Hannibal,

impia perdemus devoti sanguinis aetas, ferisque rursus occupabitur solum.

Barbarus heu! Cineres insistet victor et Urbem eques sonante verberabit ungula,

quaeque carent ventis et solibus ossa Quirini, nefas videre! dissipabit insolens.

Forte, quid expediat, communiter aut meìior pars malis carere quaeritis laboribus:

nulla sit hac potior sententia: Phocaeorum velut profugit exsecrata civitas

agros atque Lares patrios, habitandaque fana apris reliquit et rapacibus lupis,

ire, pedes quocumque ferent, quocumque per undas Notus vocabit aut protervus Africus.

Sic placetT an melius quis babet suadere? Secunda ratem occupare quid moramur alite?

Sed iuremus in haec: <• Simul imis saxa renarint vadis levata, ne redire sit nefas;

neu conversa domum pigeat dare lintea, quando Padus Matina laverit cacumina,

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-124-

in mare seu celsus procurrerit Appenninus novaque monstra iunxerit libidine

mirus amor, iuvet ut tigres subsidere cervis, adulteretur et columba miluo,

credula nec ravos timeant armenta Ieones, ametque salsa Ievis hircus aequora )) 1•

(Ora.zio, Epa:la 16, vv. 1-34).

XII.

Sistema ipponatteo

(sistema giambico-trocaico ).

§ 116. - Questo sistema distico consta di due versi, dei quali: a) il primo è un dimetro trocaico catalettico in syllabam

(dutJ dipodie trocaiche catalettiche in syllabam) (cfr. § 83). Orazio usa una sola volta tale metro, precisamente in questo sistema ipponatteo, lasciando immutato il secondo trocheo della prima dipodia;

b) il secondo è un trimetro giambico impuro catalettico (tripodia giambica impura catalettica). Nelle sedi dispari il giambo può essere sostituito dallo spondeo. Cesura semi­quinaria (cfr. § 80).

SCHEMA:

.!!_u, .!_u, !!_v, l! 1\

v.!_, v_!_ ,, ~ / _!_. v!!_,, :=L · ~ Or&zio usò questo sistema in Carmina, l. II~ 18.

1 Il Cnrducci riproduce questo sistema cosi: il primo verso con un esamtfr~ :cir, ! 71, nota), il secondo con un en-Jecasillabo sdrucciolo:

• Io d'Italia dal cuor tra impeti d'inni balzai quando l'Alpi di barbari snebbiarono

o sul popnleo Po p 'l verde paese i carrocci tutte le trombe reduci suonavano •.

(CARDUCCI, Le Due Torri).

-125-

ESERCIZIO 32.

Si continui ad accentare tutte le arsi dei piedi che compon· g ono i versi seguenti:

Non ebur neque aureum mea renidet in domo lacunar,

non trabes Hymettiae premunt columnas ultima recisas

Africa, neque Attali ignotus heres regiam occupavi,

nec Laconicas mihi trahunt honestae purpuras clientae.

At fides et ingeni benigna vena est, pauperemque dives

mc petit: nihil supra deos lacesso nec potentem amicum

largiora flagito, satis beatus unicis Sabinis.

Truditur dies die, novaeque pergunt interire Lunae:

tu secanda marmora locas sub ipsum funus et sepulchri

immemor struis domos, marisque Bais obstrepentis urges

1mmmovere Iitora, parum locuples continente ripa.

Quid, quod usque proximos revellis agri terminos et ultra

limites clientium salis avarus~ Pellitur paternos

in sinu ferens deos et uxor et vir sordidosque natos.

Nulla certior tamen rapacis Orci fine destinata

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-126-

aula divitem mauet erum. Quid ultra tendisT Aequa tellus

pauperi recluditur regumque pueris, nec satelles Orci

callidum Promethea revexit auro captus. Hic superbum

Tantalum atque Tantali genus coercet, hic levare functum

pauperem laboribus vocatus atque non vocatus audit.

(Orazio, Oarm,ina, Il, 18, vv. l 40).

XIII.

Sistema asclepiadeo minore terzo (sistema logaedico).

§ 117. - Questo sistema distico consta di due versi, dei quali: a) il primo è un gliconeo secondo (tetrapodia logaedica

catalettica in syllabam, con spondeo o trocheo in prima sede e dattilo in seconda sede), (ovvero: spondeo o trocheo base, un dattilo e una dipodia trocaica catalettica in syllabam). Raramente trovasi il trocheo in P. sede. (Cfr. § 85);

b) il secondo è un asclepiadeo minore (tripodia dattilico­trocaica catalettica in syllabam, con spondeo in prima sede e dattilo in seconda sede + tripodia logaedica (un dattilo e due trochei, di cui l'ultimo catalettico in syllabam). Cesura (die­resi) fra le parti componenti. (Cfr. § 88).

SCHEMA:

....!..v, .!....uv, ..!... v' ~ 1\ .!...!\,Il -'-.uu, .!...u, ~/\ , --· _!_uv,

Orazio usò questo sistema in: Carmina, l. I, 3, 13, 19, 36; III, 9, 15, 19, 24, 25, 28; IV, l, 3.

-127-

ESERCIZIO 33.

Si continui ad accentare tutte le arsi dei piedi che compon· gono i versi seguenti:

Sic te diva poténs Cyprf sic fratrés Helenaé, lucida sidera,

ventorumque regat pater obstrictis aliis praeter Iapyga

navis, quae tibi creditum debes Vergilium: finibus Atticis

reddas incolumem, precor, et serves animae dimidium meae.

Illi robur et aes triplex circa pectus erat, qui fragilem truci

commisit pelago ratem primus, nec timuit praecipitem .Africum

decertantem .Aquilonibus nec tristes Hyadas nec rabiem N o ti,

quo non arbiter Hadriae maior, tollere seu ponere vult frE>ta.

Quem mortis timuit gradum, qui siccis oculis monstra natantia,

qui vidit mare turbidum et infames scopulos .Acroceraunia 1

Nequicquam deus abscidit prudens Oceano dissociabili

terras, si tamen impiae non tangenda rates transiliunt vada .

Audax omnia perpeti gens humana ruit per vetitum nehs:

audax Iapeti genus ignem fraude mala gentibus intulit.

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- 128-

Post ignem aetheria domo subductum macies et nova febrium

terris incubuit cohors, semotique prius tarda necessitas

leti corripit gradum. Expertns vacuum Daedalus aera

pinnis non homini datis; perrupit Acheronta Herculeus Jabor.

Nil mortalibus ardui est; caelum ipsum petimus stultitia, neque

per nostrum patimur scelus iracunda lovero ponere fulmina.

(Orazio, Carm., l, 3, vv. 1-40).

XIV.

Sistema sartlco maggiore (sistema logaedico).

§ 118. - Questo sistema distico consta di due ver11i, dei quali:

a) il primo è un aristofaneo (tripodia dattilico-trocaica acatalettica, col dattilo in prima sede; ovvero: un dattilo e due trochei) (Cfr. § 94);

b) il secondo è un saffico maggiore (efr. § 91). Questo verso è l'ampliamento del saffico minore (pentapodia datti­lico-trocaica acatalettica; cfr. § 90), per l'inserzione dopo i primi due piedi del minore di una dipodia dattilica catalettica in syllabam. Il saffico maggiore ha due cesure: la prima cesura (dieresi) dopo la 5n sillaba, la seconda che è stabile, oltre che è dieresi, dopo la dipodia dattilica inserita, vale a dire dopo 1'8• sillaba..

- 129-

ScHE~rA:

Lvu, .!_v, !_v

!_ v , __!_ _ _ , _!_ Il v v , ..!.. 1\ , , ! l _!__ ..._, v , ..!.. u , !_ --.~

Orazio usò codesto sistema in: Carmina, l. I, 8.

ESERCIZIO 34.

Si continui ad accentare tutte le arsi dei piedi che compon­gono i versi seg,uenti:

Lydia, dic, per 6mnes té de6s or6, Sybarin cur properés amando

perdere; cur apricum oderit campum, patiens pulveris atque solis;

cur neque militares inter aequales equitet, Gallica nec lupatis

ternperet ora frenis. Cur timet ftavum Tiberim tangere? Cur olivum

sanguine viperino cautius vitat, neque iarn livida gestat armis

bracchia, saepe disco, saepe trans finem iaculo nobilis expedito!

Quid latet, ut marinae filium dicunt Thetidis sub lacrimosa Troiae

funera, ne virilis cultus in caedem et Lycias proriperet catervasY

(Orazio, Oarm. I, 8, vv. 1-18).

9, - E. DT M.n<zo, Prosodia ~ m'irica tatma.

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- 1'30 --

CAPO IV.

SISTEMI TETRASTICI

xv. Sistema alcaico

(strofa tetrastica alcaica).

§ 119. - II sistema alcaico che trionfò nella melica greca, fu il preferito da Orazio.

Questa atrofa. tetrastica (!Lhpov -rp(xwÀov) consta di quattro versi, dei quali:

a) i primi due sono alcaici ~ndecasillabi (tre giambi, di etti l'ultimo catalettico in syllabam, con la sostituzione della lunga alla breve nel primo e terzo piede + tripodia dattilico-troeaica cata­lettica in syllabctm. Cesura stabile, che è anche dieresi, fra le parti componenti). (Cfr. § 92);

b) il terzo è un enneasillabo alcaico (quattro giambi + una sillaba finale; spondeo nelle sedi impari) (Cfr. § 82);

c) il quarto è un decasillabo alcaico (tetrapodia dattilico­trocaica acatalettica; ossia, due dattili e due trochei). (Cfr. § 93).

SCHEMA:

v_!_, - l\ Il A v~. v !_v v, !_v. !...

- - l\ l! A v!.._, v_!_, u ,

.!_v. -'-' -v v.

u_!_, -- - l\ v_!_. v_!_ v-'- v

Orazio usò codesta. l'!trofa alcaica in 3 7 odi· I 9 16 17 . ' ' ' ' 26, 27, 29, 31, 34, 35, 37; II, 1, 3, 5, 7, 9, 11, 13, 14, 15, 17, 19, 20; I. III, 1-6, 17, 21, 23, 26, 29; I. IV, 4, 9, H, 15.

-131-

ESERCIZIO 35.

Si continui ad accentare tutte le arsi dei piedi che cmnpon­

gono i versi seguenti:

Nunc ést bibéndum, nuuc pede libero pulsanda téllus, nunc Saliaribus

ornare pulvinar deorum témpus erat dapibus, sodales.

Antehac ncfas depromere Caecubum cellis avitis, dum Capitolio

regina dementes ruinas, funus et imperio parabat

contaminato cum grege turpium morbo virorum, quidlibet impotens

sperare fortunaque dulci ebria. Sed minuit furorem

vix una sospes navis ab ignibus, mentemque lymphatam l\Iareotico

redegit in veros timores Caesar, ab Italia volantcm

remis adurgens, accipiter veìut molles columbas aut leporem citl13

venator in campis nivalis Haemoniae, daret ut catenis

fatale monstrum. Quae generosius perire quaerens nec muliebriter

expavit ensem nec latentes classe cita reparavit oras ...

(Orazio, Oarm., I, 37, vv. l-24).

Vidés ut alta stét nive candidum Soracte néc iam sustineant onus

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-132-

silvaé Iab6rantés geluque ftumina c6nstiterint acuto.

Dissolve frigus ligna super foco large reponens atque benignius

deprome quadrimum Sabina, o Thaliarche, merum diota.

Permitte divis cetera, qui simul stravere ventos aequore fervido

deproeliantes, nec cupressi nec veteres agitantur orni.

Quid sit futurum cras, fuge quaerere et, quero Fors dierum cumque dabit, lucro

appone nec dulces amores sperne, puer, neque tu choreas,

donec virenti canities abest morosa. Nunc et campus et areae

lenesque sub noctem susurri composita repetantur bora, ... 1.

(Orazio, Oarm., I, 9, vv. l 20).

1 La strofa. alcaica è stata riprodotta da poeti moderniClMl: J'endf>caslllabo alcaico con due quinari, piano il primo e sdrucciolo l'altro; l'enneasillabo con un novenario; il de<>"-•illabo alcaico con un decasillabo port•mte l'accento o sulla sesta o sulla settima ou .. >ba, oppure con due quinari piani accoppiati. Diamo un esempio del D'Annunzio:

• Alcaica strofe, canora, vigile, che vai fremendo su l'ali rosee

de l'aura vagante tra gl'itali verdi lauri e mirteti, salute! •.

Un esempio del Carducci:

• Te redemito l di fior purpurei aprii te vide l su 'l colle emergere

da 'l solco di Romolo torva riguardante su i selvaggi piani:

te dopo tanta l forza di secoli apri1e irraggia, l sub11me, massima,

e Il sole e l'Italia. saluta te, Flora di nostra. gente, o Roma •.

!CARDUCCI, Nell'annuale àt/la Fondmicne di Rom,;a).

-133-

XVI.

Sistema saffico minore

(strofa tetrastica saffica minore).

§ 120. - Ettore Stampini 1 sospetta che questa strofe sa­rebbe tristica, basandosi sul frammento greco di una lirica della poetessa Saffo, dal quale risulta che l'ultima parola del terzo verso (parola semplice, non composta) trovasi spez­zata in due parti, la seconda delle quali continua in un verso successivo: tale spezzatura proverebbe l'inesistenza del quarto verso; e però potrebbesi conchiudere che originariamente co­desta strofe sarebbe stata tristica, e che col tempo sarebbe divenuta tetrastica, essendo stato spezzato in due il terzo verso che risultava alquanto lungo.

Noi, seguendo l'antico uso, anche per non creare dispa­rità, includiamo fra le tetrastiche questa strofa di tipo abtCùÀOV

che, se non ha l'energia dell'alcaica, è permeata di grazia e di delicatezza.

Essa consta di quattro versi, dei quali:

a) il primo, il secondo ed il terzo sono M(fici minori •, (pentapodia dattilico-trocaica acatalettica, con dattilo in terza sede e lo spondeo in seconda sede; oppure: un trocheo, uno spondeo, un dattilo e due trochei finali. Cesura semiquinaria {cfr § 90), e qualche volta trocaica, dopo la 6a sillaba);

b) l'ultimo è un adonio (dipodia dattilica catalettica in dis.syllabam) (cfr. § 74).

1 ETTORE STA~IPINI, 11/etriGa oraziana, Loescher, Torino, 1913, p. 4 9. 2 Lo etesso Stampini sostien(l ')be il verso sa.lllco minore abbia ritmo i"iaw•

bico. !Cfr. op. cit., p. 50).

Page 71: Di Marzo 1946 Prosodia e Metrica Latina

-134-

ScHEMA:

-...!.v, !_ - . !_ v u !_ v !_u

-.!....v !_ - ' -'-- u u . !_ u . !_u

-'--v . -'-- - . !_ vu ' !_ v . -'-- v

!_ u v !_ '-'

Codesto sistema lirico è stato applicato ben 26 volte, e precisamente, in Carm.: I, 2, 10, 12, 20, 22, 25, 30, 32, 38; I. II, 2, 4, 6, 8, 10, 16; I. III, 8, 11, 14, 18, 20, 22, 27: l. IV, 2, 6, 11, e nel Carmen Saeculare.

ESERCIZlO 36.

Si continui ad accentare tutte le arsi dei piedi che compon­gono i versi seg1tenti:

Phoébe silvarumque poténs Diana, Iucidum caeli decus, 6 coléndi sémper ét cult.i, date quaé precamur

témpore sacro,

quo Sibyllini monuere versus virgines leetas puerosque casto11 dis, quihus septem placuere colles,

dicere carmen.

Alme sol, curru nitido diem qui promis et celas aliusque et idem nasccris, possis nihil urbe Roma

visere maiua!

-135-

Rite maturos aperire partus Ienis, Ilithyia, tuere matres, sive tu Lucina probas vocari

seu Genitalis.

Diva, producas subolem patrumque prosperes decreta super iugandis feminis prolisque novae feraci

Jege marita,

certus undenos deciens per annos orbis ut cantus referatque Judos ter die claro totiensque grata

nocte frequentes ...

(Orazio, Carmen Saeculare, TV. 1-U).

Mércurf, facunde nep6s Atlantis, quf fer6s cultus hominum recéntum voce formasti eatus ét dec6rae

m6re paléstrae,

Te canaro, magni Iovis et deorum nuntium curvaeque Jyrae parentem, callidum, quicquid placuit, iocoso

condere furto.

Te, boves olim nisi reddidisses per dolum amotas, puerum minaci voce dum terret, viduus pharetra

risit Apollo.

Quin et Atridas duce te superbos Ilio dives Priamus relicto Thessalosque ignes et iniqua Troiae

castra fefellit.

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- 136-

Tu pias laetis animas reponis sedibus virgaque levem coerces Aurea turbam, superis deorum

gratus et imis 1.

(Orazio, Carni., I, IO, vv. l-20).

XVII.

Sistema asclepiadeo primo (.~trofa tetrastica asclepiadea 1").

§ 121. - Questo sistema tetrastico ([Lhpov alx:wÀov) consta. di quattro versi, dei quali:

a) i primi tre sono asclepiadei minori (tripodia dattilico­trocaica catalettica in syllabam con spondeo in prima sede e dattilo in seconda sede + tripodia logaedica; cioè: un dattilo, seguito da due trochei, di cui l'ultimo catalettico in syllabam. Cesura, che è dieresi, tra le parti componenti). (Cfr. § 88).

1 La strofe sa.fflca. minore è sta.ta. resa. dal Carducci cosi: i primi tre versi con tre endecasillabi piani, aventi una cesura. dopo la. quinta. sillaba., e privi di accento sulla. seconda. sillaba; il quarto ver30 con un q~tinario piano. Eccone un esempio:

• Una di flauti lenta melodia passa. invisibil fra la terra e il cielo: spiriti forse che ruron, che sono

e che saranno.

• Un oblio lene de la. faticosa vita., un pensos:J . aspirar quiete, una. soave volontà di pianto

J'anime invade.

• Taccion le fiere e gli uomini e Je cose, roseo 'l tramonto ne l'azzurro sfuma, mormoran gli alti vertici ondeggianti:

A ve .Maria. •.

(C&RDUCCI, La chiesa di Polenta),

' '

! l

-137-

b) il quarto è un gliconeo secondo (tetrapodia logaedica catalettica in syllabam, con spondeo o trocheo in prima sede e dattilo in seconda sede). (Cfr. § 85).

SCHEMA:

' ' .!..A, Il _!_v v, .!_v, -!d . "-. -'--''-'•

' .!_'-''-'t .!..A Il .!.. .!_v, ~ A - -· ' '-"''-'.

, _!_ '-' '-' ' .!.. /\ Il ..!.. v v, _.!_ ._.' ~A --·

' , .:...v. ~A -v, -v v,

Riscontriamo applicata questa strofe nove volte, e pre· cisamente: in Carm.: l. I, 6, 15, 24, 33; I. II, 12; I. III, 10, 16; 1. IV, 5, 12.

ESERCIZIO 37.

Si continui ad accentare tutte le arsi dei piedi che compon­gono i versi seguenti:

Scriberis Vario f6rtis et h6stium victor Maéonii carminis alité, quam rem cumque fer6x navibus aut equis

miles té duce gésserit.

Nos, Agrippa, neque haec dicere nec gravem Pelidae stomachum cedere nescii, nec cursus duplicis per mare Uli:xei,

nec saevam Pelopis domum

conamur, tenues grandia, dum pudor imbellisque lyrae Musa potens vetat laudes egregii Caesaris et tuas

culpa deterere ingeni.

Page 73: Di Marzo 1946 Prosodia e Metrica Latina

- 138-

Quis Martem tunica tectum adamantina digne scripserit~ aut pulvere Troico nigrum Merionen ~ aut ope Palladis

Tydiden superis paremY 1.

(Orazio, Oarm., I, 6, vv. 1-16).

XVIII.

Sistema asclepiadeo secondo (strofa tetrastica asclepiadea 2).

§ 122. · Questo sistema tetrastico ([LÉ"rpov -rp[xwÀov) consta di quattro versi, dei quali:

a) i primi due sono asclepiadei minori (cfr. il sistema precedente e il § 88);

b) il terzo è un feracrateo secondo (tripodia logaedica aca­talettica con spondeo o trocheo in prima sede e dattilo in se­conda sede). (Cfr. § 86);

l Il Carducci ci ha reso questa strofe cosi: i primi tre versi con tre endecasillabi 1druccio/i o tre coppie di quinari sdruccioli; il quarto con un settenario •drucciolo. Fccone un esempio, in cui i primi tre versi sono formati da 3 coppie di quinari •druccioli:

• Sorgono e in agili l file dilungano. gl'immani ed ardui l steli marmorei, e ne la tenebra l sacra somigliano

di giganti un esercito

• t· be guerra mediti l con l'invisibile: le areate salgono l chete, si slanciano quindi a voi rapido, l poi si abbracciano

prone per l'alto e pendule • (CARDUCCI, In una chiesa yot;cn).

Ecco un altro esempio, In cui i pr•im i 3 versi sono formati da tre endecasillabi sdruccioli:

• Tu parli; e, de la voce a la molle aura lenta cedendo, si abbandona l'anima del tuo parlar su l'onde carezzevoli,

e a strane piaghe naviga •. !CARDUCCI, Fantasia!,

- 139-

c) il quarto è un gliconeo secondo (cfr. il sistema prece­dente e il § 85). Come si vede, codesta strofe differisce dalla precedente solo nel terzo verso.

_!_, 2vv, _LÀ .. Il _!vv, ..tu, ~l\

-'- _ • ..!. v v • 2 1\ . Il .! v v , ..!. v , -1< 1\

J..v. _!_vv, ...!..v

2v • ....!vv, ...!...v, ...J!I\

Ricorre in Carm.: l. I, 5, 14, 21, 23; l. III, 7, 13: l. IV, 13.

ESERCIZIO 38.

Si continui ad accentare tutte le arsi dei piedi che compon­gono i versi seguenti:

, O fons Bandusiaé, spléndidi6r vitr6, dulci digne mer6 n6n sine fl6ribus,

cras donaberis haédo, cui frons turgida c6rnibus

primis et venerem et proelia destinat frustra: nam gclidos inficiet tibi

rubro sanguine rivos lascivi suboles gregis.

Te flagrantis atrox bora Caniculae nescit tangere, tu frigus amabile

fessis vomere tauris praebes et pecori vago.

Fies nobilium tu quoque fontium, me dicente cavis impositam ilicem

saxis, unde loquaces lymphae desiliunt tuae.

(Orazio, Oarm., III, 13, vv. 1-16).

Page 74: Di Marzo 1946 Prosodia e Metrica Latina

- 140-,

O navis, referént in mare té novi ' fluctus! O quid agis~ F6rtiter 6ccupa

p6rtum. Nonne vidés, ut nudum rémigi6 latus

et malus celeri saucius Africo antemnaeque gemant, ac sine funibus

vix durare carinae possint imperiosius

aequor? Non tibi sunt integra lintea, non Di, quos iterum pressa voces malo.

Quamvis Pontica pinus, silvae filia nobilis,

iactes et genus et nomen inutile, nil pictis timidus navita puppibus

fidit. Tu, nisi ventis debes ludibrium, cave.

Nuper sollicitum quae mihi taedium, nunc desiderium curaque non levis,

interfusa nitentes vites aequora Cycladas 1•

(Orazio, Carm., I, 14, vv. 1·20).

l Questa strofe è resa dal Carducci cosl: i primi due versi eono riprodotti con due coppie di quinari sdruccioli: il terzo verso è riprodotto con un settenario piano; il Quarto con un settenario sdrucciolo.

Eccone un esempio:

• Sotto l'olimpico l riso de l'aera la terra palpita: l ogn'onda accendesi e trepida risalta. ùi fu1gidi amor turgida 1

• (CARDUCCI, Su l'Adda},

··.l

t

-141-

CAPO V.

COMPOSIZIONI IPERlUE'rRICHE

XIX.

Periodi decametrici di ionici a minore.

§ 123. - L'ode 128 del III libro consta di quattro periodi metrici aventi dieci piedi di ionici a minore (v v _L-) ciascuno.

È da sapere che presso i Greci il x6lÀov ionico poteva comprendere dodici tempi primi (due dipodie di ionici a mi­nore), o, tutt'al più, diciotto tempi primi (tre dipodie di ionici a minore); ora, se il periodo ionico sarà costituito da dieci piedi di ionici a minore, esso oltrepasserà la misura ordinaria e sarà, naturalmente, · ipermetro. (Cfr. E. Stam­pini, op. c., p. 60).

Se si ammette che Orazio avrebbe composto la suddetta ode, con versi comprendenti, nientemeno, che dieci piedi di ionici a minore, ne risulterà un verso dal seguente schema:

\,.,.1 \.-/ _!... - ' v v_..!_ - .• v v_!._ - ' v v!.._ - ,. ' v \.J --

, ' , , l v \,...,1 - - ' ' v v - - ' u v - - ,, v v- - ' \.......< v - -

Un verso così lungo non può entrare in una sola riga: e però gli studiosi di metrica, se sono stati concordi nel divi­dere codesti versi (o meglio: periodi metrici) in parti, non si accordano affatto nello stabilirne le parti e nell'aggrup­p.ule in strofe. Alcuni hanno propugnato la trascrizione di­stica, altri la tristica, ed altri ancora la tetrastica. Messa da parte la trascrizione distica, gli studiosi moderni si sono fer­mati alla trascrizione su tre righe, in modo che la prima e la seconda riga contengano quattro piedi di ionici a minore,

Page 75: Di Marzo 1946 Prosodia e Metrica Latina

- 142-

la terza, due piedi di ionici a minore, secondo Io schema se· guente:

Altri studiosi accettano, si, la trascrizione su tre righe, m:1 sostengono una diversa distribuzione di piedi su ciascuna riga, e precisamente ammettono che la prima riga comprenda quattro piedi ionici a minore; la seconda e la terza riga, tre piedi ionici a minore ciascuna, secondo questo altro schema:

Vi sono infine alcuni insignì studiosi che sostengono la trascrizione tetrastiea (cfr. Laehmann, Meineke, ecc.), la quale, secondo noi, è la preferibile, sia per ragioni di analogia, sia per ragioni basate sulla tradizione pervenutaci dai Greci, i quali, come si diceva di sopra, solevano aggruppare gli io­nici a minori in membri di due, o al massimo, di tre piedi. Facciamo notare, d'altro canto, che tutte le divisioni sono rese possibili dal fatto ehe Orazio fa coincidere la fine di una parola con la fine del piede. Anche per la trascrizione tetra­stica c'è disparità di opinioni circa la distribuzione dei piedi nelle quattro righe.

Riportiamo soltanto i due schemi seguenti:

ScHEMA .A.

}O verso: vu.....! - ' v v __! -2ù v v ...l. - ' '-' '-' __! -3D v v __! - ' v v __! - '

vvJ -40 v v l - ' V '<....l-L- ' v v -.l-

. 1

-143-

I primi due versi comprendono due piedi ionici a minore; il terzo e il quarto, tre piedi di ionici a minore.

Trascriviamo, secondo questo schema, la prima strofe della suddetta ode:

1!-Iiserarurnst nequ(e) arnon dare ludurn neque d11lci mala vino laver(e) aut exanimari metuéntes patruaé verbera Unguae.

(Orazio, Oarm., III, 12, vv. l 4) •

ScHE!\fA B.

}O verso: v v _1 - ' v v _1 -

20 v v _1 - ' v v _1 -so v v _! - ' '-' v ~ - ' '-' v _1 - ' v '-' _l

40 v v .! - ' '-' '-' __! -

Il primo, secondo e quarto verso comprendono due piedi di ionici a minore, il terzo verso, quattro piedi di ionici a minore.

Trascriviamo, secondo questo schema, la prima strofa della suddetta ode:

Miserarurnst nequ(e) amor. dare ludttm neque dulci mala vino laver(e) aut exanimari metuéntes patrttaé rerbera linguae.

(Orazio, Carm., III, 12, vv. 1-4).

Page 76: Di Marzo 1946 Prosodia e Metrica Latina

§ 124.

Nu· mero

2

3

4

Esempi

Iam iam efficaci do manus [scientiaé,

Maécenas atavfs édite régibus

Nullam, V are, sacra vite prius (séveris arborém

Quo, quo scelésti ruitis aut [cur dAsterfs

aptantur énses conditi!

TAVOLA RIASSUNTIVA

Classificazione metrica

del Carmi

Epodo 17

Odi. I, 1; III, 30; IV, g_

Odi, I, 11, 18; lV, 10.

l Epodo l, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10.

A) Composizioni

Metro

Trimetro giam­bico acataletl.

Asell'piadeo minore

AselPpiadeo maggiore

B) Sistemi

Sistema Epodieo

DELLA METRICA ORAZIANA

~lonostiche

Formazione

Trimetro ginn•­bleo hnpuro u­t'atalett. (in se­rie indetermina­ta)

Schema

- " -t " u_!_,v-,,v _!..,v_,,

- " v__L, v~

A!lciPpladeo mi- ..L _ , ..! v v ..! 1\ , Il nore (in serie in-determinata) i ..! v v , ..! v , '-k 1\

Asclepiadeo,..!- • ..! v v • ..! 1\" il maggiore (in l -serie inàetermi- ! _L v v, _L i\ , \ [ _L v v , nata)

distici

1 • verso: trhne­tro gianibico impuro acatal.

2• verso: dimetro giambieo im­puro aeatal.

-v _L'

-v _L'

-\,.l _L,

v.!!_, ,

v'='

v!!_

~l , _L '

\....)_,,

~l " "

..!, v ""'

Struttura dei versi

Trimeh·o giambleo impuro acat. Tr<' dipodw ~?:iarnbiche. Nel pl'imo piede di ciascuna di p odia è am · messa la lunga irrazionale; inoltre è pure ammesso, in certe sedi, lo scioglimento di una lunga (anche irrazionale) In due brevi; in tal modo il giambo o lo spondt'o pos­sono mutarsi in ft.napesto, iu t.ri­braco e In dattilo (gli ultimi due con l'ictns sulJa prima breve, che rappresenta la lunga), e talora in proceleusmatico. La cesura è la semiquinaria. Talora trovMi la semisettenaria in unione con la semlquinaria o con la dieresi dopo Il 2• giambo.

A!leleplalleo minore. Consta di due psrti:

a) una tripodia dattllico-tro­caica catai. in svllabam, con spon­deo in prima sede e dattilo In 2• aede;

b) una tripodia logaedlca (cioè: un dattilo seguito da due trochei, di cui l'ultimo catai. in svllabam). Ce~ura, che è dieresi, tra le parti componenti.

Asclepiadeo maggiore: uguale al precedente, con In più una dipodla dattilica catai. in svllabam inse­rita dopo il terzo piede. Cesur:~

che è dieresi, dopo la 6• sillaba; talora dopo la 10• sillaba travasi una seconda cesura (dieresi).

Trlmetro giambico Impuro aca­talettico. Come al N. l.

Dimetro giambico impuro aea­taletlico: due dipodie giambiche impure acatalettiche. Nel primo piede di ogni dipodia la breve può essere sostituita dalla lunga irra­zionale. Cesura eemiquinaria.

Page 77: Di Marzo 1946 Prosodia e Metrica Latina

Segue

Nu· Esempi mero

--5 Laudabunt alii claram Rhodon

[aut l\iytilénen aut Ephes6n bimarisve Co-

[rinthi

6 Diffugére nivés, redeunt iam [gramina campis

arboribusque comaé;

7 H orrida. témpestas coelum [contraxit, et imbres

nivesque déducunt Iovém; nunc mare, nunc siluaé

8 Petti, nihil me sicut antea [iuvat

scribere vérsicul6s amore pér-(cussum gravi,

'

T A. VOLA. RIASSUNTIVA.

B) Sistemi

Classificazione l metrica Metro dei Carmi i

Odi, I, 7, 28. SistenJa Epodo 12. Alcmanlo

Odi, IV, 7, Archilocheo prhno

Epodo 13. Archilocheo secondo

Epodo 11. Archilocheo terzo

DELLA. METRICA. ORA.ZIA.NA.

distici

Formazione

l • verso: tosame­tro dattilico

2• verso: tetra­ml'tro dattilico eatal. 111 di•· a;yllabam

1• verso: e~tame­tro dattilico

Schema

_!uv, 2vv, 2]~, 2vv,

....!.vv, 2uv,

_L vv' 2uv,

..L.vv, -Lvv, ..Lv

2° verso: trime- 2 v v , _t_ v v , ':k 1\ tro dattll. ca-tal. iD 11yllabam

1• verso: esame­tro dattilico

2• verso: glam­bèlego

_! vv , _!. vv '

J.vv, _t_vv, _!v

- - , v_!, v!!_, v ....L' v~" l l

1• verso: trlme- :; .J., v.!!_,, ~ /....!, tro giambico _ " v-"

" acatal. impuro v ..L , v ~

2° verso: eleglambo

_Lv'-'' -.Lv v,":!:!. 1\ "]j - - , v-L, v!!...., v...!, v':::::

Struttura. del versi

Esametro dattilleo: esapodia dat· tilica con sostituzione dello spon· deo al dattilo in tutti i piedi, ec· cetto il 5•. Cesura semiquinaria; meno comune la settenaria; talora la troeaica.

Tetrametro dattilico (è Il verso alcmanio -cfr. § 7!i), formato di una tetrapodia dattilica catai. In dissvllabam, detto anche eroico acefalo. Eccezionalmente il 3 • dattilo ammette la sostituzione sponda.ica.

Eaametro dattilico: come al N. 5 (verso primo).

Trimdro dattll. cat. in S)'l• (Tre dattili, di cui l'ultimo catai. in svll.). - È Il verso archilocheo (cfr. S 75).

Esametro dattilico: come al N. 5 (verso primo).

Giambèlego: dimetro giambico acatalettico + trimetro dattilico catalettico In svllabam. Cesura (dieresi) fra le parti componenti.

Trimetro giambico acat. Impu­ro: cfr. il N. 1. Non scioglie in brevi che la lunga della l" dipodia del verso 2 7.

Elegiambo: uguale al giambèlego invertito, cioè: trimetro dattilico ca.t. in svllabam + dimetro ltÌam­blco acatalettico. N ella s• arsi talora c'è la sillaba. breve e l'lato. Cesura (dieresi) tra le parti com­ponenti.

Page 78: Di Marzo 1946 Prosodia e Metrica Latina

Segue T A. VOLA. RIA.SSUNTIV A.

B) Sistemi

Classificazione Nu- Esempi metrica Metro mero dei Carmi

9 S6lvitur acris hiéms grata vice Odi, I, 4. Archilocheo

[véris ét Fav6ni, quarto

trahuntque siccM machinaé [carinas,

IO M6llis inértia cur tantam dif- Epodo 14, 15. Pitiamblco

[fuderit imis prhno

oblivi6nem sensibus,

, Il Altera iam teritur bellis civi- Epodo 16. Pitiamblco

[libus aétas, secondo

suis et ipsa l~ orna viri bus [ruit.

12 Non ebur neque aureum Odi, II, 18, lpponatteo

mea renidet in dom6lacunar,

13 Sic te diva poténs Cypri Odi, I, 3, 13,19, 36; Asel('piadro

sic fratrés Helenaé, lucida III, 9, 15, 19, 24, Inioor·e terzo

(sidera, 25, 28;

IV, l, 3.

"

DELLA. METRICA. ORAZIANA

distici

Formazione

l• verso: archi­locheo magg,

Schema

_l vv,

_!vv,

J.v

2• verso: trlme- -tro gia1nbico v_!.' v!!...." v l_.!.' v!!...., ln1puro catai.

l 0 verso: rsarne­tro dattilico

- , v L·~

_!.uv,

_! vv'

_!.v

2• verso: dirne- - - " tro giambico v ...! ' v !!.. " v f .2. , v "':::::!

impuro acata-lettico

l" verso: esame­tro dattilico

2 • verso: trlme­tro giambico acataJ, puro

_!. vv t _!. VVt

...J.\-/Vt _!uv, ...J.v

"'-'..2' v~ .. vJ ' " _,v_,, ,

Struttura dei versi

Archilocheo maggiore: tetrapodia dattilica acatal. (con cesura seml­quinaria ed il quarto dattilo puro) + il verso itifallieo (tripodia tro­caica acatal.). Dieresi tra le parti componenti.

Trlmetro giambico Impuro ca t.: tripodia giambica Impura catai. Nelle sedl dispari il giambo può essere sostituito dallo spondeo. Cesura semlquinaria (cfr. § 80).

Esametro dattilico: come al N. 5 (verso primo).

Dimetro giambico Impuro aca­tal.: come al N. 4 (verso secondo).

Esametro dattilico: come al N. 5 (verso primo).

Trimetro giambico acat. puro: tripodia. giambica acatal. pura, con cesura semiquinaria. Non am­mette la sostituzione delle lunghe alle brevi e non scioglie In brevi le sillabe lunghe ed è usato In forma pura in tutto l'epodo 16•.

1• verso: dime­tro trocaico ca t. In syll.

" -V> _!v, , -v• ~ 1\ Dimetro trocaico cat. in syll.:

due dipodie trocaiche catai. in svllabam.

, V-'' 2° verso: trirne- : ~ ,

tro giambico impuro catai.

- ,

l' verso; glico­neo secondo

v L·~

Trimetro giambico Impuro ca­tal. come al N. 9 (verso secondo).

Glieoneo secondo: tetrapodia lo-gaedica catai. in syllabam, con spondeo o t.rocheo in P sede e dattilo in 2• sede; ovvero: uno spondeo o trocheo base, un dat­tilo e una dipodia trocaica cata­lettica in syll. Raramente trovasi usato il trocheo in P sede.

2• Terso: asde­piadeo Jnioore

_t_, _!.vv, ....1.1\, -l.VV! _f_vJ ~/\

Il Asclepiadeo minore: Come al N 2.

Page 79: Di Marzo 1946 Prosodia e Metrica Latina

Segue

Nn­mero

14

)5

16

Esempi

Lydia., dic, per omnis t~ deos oro, Syba.rfn cur pro­

(perés amando

Vidés ut iUta. stét nive candi­[dum

Soracte néc ia.m sustineimt [o nus

Rilva.é la.bora.ntés geluque flumina. constiterint acUto.

Mércurf, facunde n epos AtHm­[tis,

qui feros cultus bominum re­[eéntum

voce formasti ca.tus ét de­[cora.e

more jJaléstrae,

TAVOLA RIASSUN·TIVA

B) Sistemi

Classificazione metrica

dei Carmi

Odi, I, 8.

Metro

Saffico maggiore

C) Sistemi

Odi, I, 9, 16, 17, (Strofa) 26, 27, 2!), 31, 34, (iJ.É'I"p0\1

Alcaica -.p(xw-

35, 37; À0\1)

II, l, 3, 5, 7, 9, 11, 13, 14, 15, 17, 19, 20;

III, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 17. 21, 23, 26, 29;

IV, 4, 9, 14, 15.

Odi, I, 2, 10, 12, 20, 22, 25, 30, 32, 38;

II, 2, 4, 6, 8,10,16;

III, 8, 11, 14, 18, 20, 22, 27;

IV, 2, 6, 11 e Car­men Saeculare

(Strofa) Safflca minore

(iJ.É'I"pov òlxwÀov)

DELLA METRICA ORAZIANA

distici

Formazione Schema

1° verso: arislo- 2 v v, ......!... v, 2 v fa neo

2• verso: saJfico •naggiore

Tetrastici

l • verso: alcaico endecasillabo

_!v, _i_,_!. 1/ uv,

....! 1\ ,. Il ..1. v v, ..1. v,

...!.v

~ 2, v ..1., ~ 1\, !l_! v v,

J v • ...!./\

2• verso: alcaico - -1\ Il v_!., v-..!, v ' ......!... v\ .. /) endecasillabo

3• verso: alcaico ;,::; ...!. , enneasillabo

4• verso: alcaico de(asillabo

I• verso: safJico minore

2• verso: saflico

...!.v

...l.. v,

_L v'

v...!., v_!.,

_!..v v,

_!-' ...!. l -...!.v

nlinore Come il precedente.

3• verso: salfico minore

4.• verso: adonio

Come Il precedente.

v _t,

v v,

Struttura del versi

Aristofaneo: tripodi a dattllico-tro­caica acatalettica, con dattilo in 1• sede; (un dattilo e due trochei).

Salfico maggiore: uguale al sar­flco minore, di cui al N. 16, + una dipodia dattilica catai. in s11llabam inserita dopo Il 2• piede del sat­llco miuore. Cesura (dieresi) dopo la 3• arsi, e cesura stabile, che è dieresi, dopo la dlpodla dattilica Inserita, cioè: dopo 1'8• sillaba.

Alcaico endeeasillabo: tre giambi di cui l'ultimo catai. in SIJll. con la sostituzione della lunga alla breve nel primo e terzo piede+ tripodia dattilico-trocaica catai. iu S!ll­labam. Cesura stabile (dieresi) fra le parti componenti.

Aleaieo endeea!!lllabo: come Il pre­cedente.

Alcaico ennea!!illabo: quattro giambi + una sillaba finale; spon­deo nelle sedi impari.

Alcaico deeasillabo: tetrapodia dattilico-trocaica acatalett. (due dattili e due trochei) .

Safflco minore: pentapodia datti­Iico-trocaica acatalettica, con dat­tilo in 3• sede e lo spondeo nella 2• sede, oppure: un trocheo, uno spondeo, un dattilo e due trochei finali. Cesura semiquinaria; talora trocaica dopo la 6• sillaba.

Adonio: dipodia dattilica catai. In di•·•!lllabam.

Page 80: Di Marzo 1946 Prosodia e Metrica Latina

Segue

Nu· mero

17

18

19

Esempi

Scrfberfs Vario fortis et ho­[f'tium,

victor :Maéonii carminis alité, quiim rem cumque ferox nii­

[vibus aut equis mi! es té duce gésserit.

, O navi~. referént fn mare té

, [novi fluctus! O qui d agis t Fortiter

[occupa portum. Nonne vidés, ut

nudum rémigio latus

Miserarumst nequ(e) amOri dare ludum neque dulci mala vino laver(e}, aut exa­

[nimari metuéntes patruaé verbera

[linguae.

Miser3.rumst nequ(e) amOri dare ludum neque dulci mala vino laver(e) aut exa­

[nimiiri metuéntes patruaé verbera lfnguae.

TAVOLA RIASSUNTIVA

Classificazione metrica

dei Carmi

Odi, I, 6, 15, 24, 33;

II, 12;

III, 10, 16;

IV, 5, 12.

Odi, I, 5, 14, 21, 23;

III, 7, 13;

IV, 13,

Odi, III, 12.

C) Sistemi

1\fetro

(Strofa) Ascle-piadea prima

([LÉ't"pov l)(xooÀov)

(Strofa) pia dca

{[LÉ't"pov Àov)

A scie­seconda 't"p[xoo-

D) Composizioni

Periodi decame­lrlci di tonici a 1ninore

DELLA lUETRICA ORAZIANA

Tetrastici

Formazione

1• verso: ascle­piadeo minore

z• verso: ascll!­pladeo minore

3• verso: a~cle­pladeo minore

4° verso: glico­neo secondo

1• verso: ascle­piadeo n1inorc

2• verso: ascle­piadeo minore

3° verso: lerarre­teo secondo

Schema

2 1\ • Il ~l\

__,_ 1\ Il ~l\

2 1\ • Il JJI\

Struttura dei versi

Asclepiadeo n1inore: come al N. 2.

_.!v, _2. v v, ..!... v, '.:k 1\ Gliconeo secondo: con1e al N. 13 (verso primo).

2 1\ , Il Asclepiadeo min.: come al N. 2.

:k(\

_!. 1\ ' l! :kl\

_!v Ferecrateo secondo: tripodla lo­

ll'aedica acatalettica con spondeo o trocheo In 1• sede e dattilo In 2• sede.

4 8 verso: glico- 2 v, _.!v v, ...!.. v, ~ 1\ neo !!econdo

Gliconeo secondo: come al N. 13 (verso primo).

ipermetriche

1• verso: dlpodla di lonlci a mi­nore

2• verso: Idem

3• verso: tripodi a di lonicl a mi­nore

4.• verso: Idem

1• verso: dipodia di ionicl a mi­nore

2• verso: Idem

3• verso: tetra­podio di !onici a minore

4.• verso: dlpodia di lonlcl a mi­nore

v v_!_, v v_!.-, v v-L-

v v_!_, v v_!_, v v_!-

SCHEMA B.

vv...l-tvv...l.-

Nola. - Le trascrizioni di questi periodi decametrici di !onici a. mi­nore sono varie e tutte le divisioni sono possibili, perchè l singoli piedi dell'ode coincidono quasi sempre con la fine della parola. Preferiamo la trascrizione tetrastica, della quale diamo due schemi:

A) La. prima e la. seconda. riga comprendono due piedi di !onici a minore; la terza e la quarta., tre piedi di !onici a minore.

B) La prima, seconda. e quarta riga comprendono due piedi di !onici a minore; la terza riga, quattro piedi di !onici a minore. Per il resto con· fronta. § 123.

Page 81: Di Marzo 1946 Prosodia e Metrica Latina

INDICE

P.tEFAZIONE .•....•••••.•••••••• Ptl]. Tll

PARTE I

P ROSO DIA

CAPO I. - Poesia accentuativa e quantitativa . . . . . rag. 3 §l. Prosodia.- § 2. Poesia accentuativa.- § 3. Versi

accentuativi italiani Jemplici e composti. - § 4. Poesia quantitativa. - § 5. Cenni sull'origine della poesia quantitativa e accentuativa

CAPO II. - Nozioni preliminari intorno alla sillaba latina e alla sua quantità . • • . . • • . . . . • . . . 6

§ 6. La sillaba latina. - § 7. Divisione delle sillabe latine nel corpo della parola. - § 8. Sillabe aperte e chiuse.- § 9. Quantità delle sillabe latine.- § l O. Rap. porto fra l'accento tonico e la quantità delle sillabe.

E~ercizio l, 2 . . . . . . . . . . . . . . . . . 9

CAPO III. - Quantità delle sillabe latine per natura e per posizione . • . . • . . . . . . . . . . . • . . • Il

§ 11. Quantità delle sillabe per natura.- § 12. Quan. tità delle sillabe per posizione. - § 13-14. Regole sulla quantità delle sillabe in posizione forte ed in posizione debole e intorno alla vocale seguita da altra vocale.

Esercizio 3, 4, 15, 6. • . . . . . . . . . . . . . 14

CAPO I V. -Quantità delle sillabe finali dei polisillabi uscenti in vocale (sillabe aperte) • . • • • . • • • • • • l G

§ 15. Quantità della vocale a, finale di polisillabi. -§ 16. Quantità della vocale e finale di polisillabi. -

Page 82: Di Marzo 1946 Prosodia e Metrica Latina

-156-

§ 17. Quantità della vocale i, finale di poli;:tillabi -§ I R. Quantità della vocale o, finale di polisillabi. -§ 19. Quantità della vocale u, finale di polisillabi. -§ 20. Quantità della y, finale di polisillabi.

Esercizio 7 . . . . . . . • • . . • . . . . . . Paf!. 19

CAPO V. - Quantità delle sillabe finali dei pollsillabi uscenti in consonante (sillabe chiuse) . • • . • . . . . . 18

§ 21. Regola generale sulla quantità delle sillabe finali di polisillabi uscenti in qualsiasi consonante che non sia s. - § 22. Quantità della sillaba finale as: - § 23. Quantità della sillaba finale es. - § 24. Quan­tità della sillaba finale os. - § 25. Quantità della sil­laba finale is. - § 26. Quantità della sillaba finale us. - § 27. Quantità della sillaba finale ys.

Esercizio 8 . • • . . . • . . . . 22

C.uo VI. - Quantità dei monosillabi § 28. Quantità dei monosillabi uscenti in vocale.

- § 29. Quantità dei monosillabi uscenti in conso­nante sostantivi e aggettivi. - § 30. Quantità dei monosillabi uscenti in consonanti che non siano so­f>tantivi o aggettivi.

Esercizio 9 . . . .

CAPO VII. - Quantità delle sillabe radicali nelle forme derivate e nelle parole composte • • . . . .

§ 31. Regola generale. Esercizio 10 . • . . • . . . .

CAPO VIII. - Quantità dei prefissi . § 32. Regole generali

Esercizio 11 . • • • . • . . . . . .

CAPO IX. -Quantità della flessione -verbale § 33. Elementi costitutivi del verbo. - § 34. Quan•

tità della sillaba radicale di un verbo: regola gene· rale. - § 35. Quantità deol.la sillaba radicale in tutte le forme verbali derivanti dal medesimo tema tem­porale. - § 36. Quantità dei perfetti e dei supini bisillabi. - § 37. Quantità dei perfetti con raddop­piamento. - § 38. Quantità delle sillabe interne di un verbo, formate dalle vocali tematiche. -§ 39. Quantità delle sillabe interne di un verbo, formate dalle vocali copulative. - § 40. Quantità

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delle sillabe interne di un verbo formate dal suf­fisso temporale ba dell'imp. ind.- § 41. Quantità della. sillaba interna di un verbo, formata dal suffisso tempo­rale i del perfetto indicativo. - § 42. Quantità della sillaba interna di un verbo, formata dal suffisso tem­porale del presente congiuntivo e dell'imperfetto con­giuntivo. - § 43. Quantità della sillaba interna di un verbo, formata dal suffisso temporale bi del fu­turo semplice indicativo (l e II coniug.), dal suffisso temporale e del futuro semplice ind. (III e IV co­niugazione). - § 44. Richiamo alla quantità delle sillabe finali delle forme verbali.

Esercizio 12, 13 . . . . . . . . •...

CAFO X. -Licenze prosodiclle • . . . . . .. § 45. Elisione, iato, sineresi, dieresi, sistole, dia­

stole. - § 46. Alterazioni per metaplasmo: protesi, aferesi, epentesi, sincope, paragoge, apocope, tmeRi, metatesi.

PARTE II

METRICA

CAPO I. - Ritmo - Arsi e tesi • Piedi • • . • • • • § 47. Definir,ione. - § 48. Ritmo. - § 49. Arsi e

tesi. - §50. Piedi. - § 51. Piedi fondamentali o ritmici e piedi derivati o impropri. - § 52. Piedi distinti secondo il tempo e secondo il numero delle sillabe. - § 53. Piedi acatalettici e tronchi. - § 54. Piedi di­scendenti e ascendenti. - § 55. Piedi pari ed impari. -§ 56. Piedi in serie: dipodia, tripodia, tetrapodia., pentapodia, esapodia, ecc. - § 57. Piede irrazionale.

Tavola riassuntiva del piede

CAPO II. - Verso - Cesura - Scansione e lettura metrica -Versi in serie indeterminata ed in composizione strofica

§ 58. Membro, periodo ritmico, verso. - § 59. Verso puro ed impuro. - § 60. Versi composti o asinarteti. -§ 61. Versi misti o logaedi. - § 62. Chiarimento sul significato di metro nei versi giambici e trocaici. -§ 63. Distinzione di versi secondo la specie dei piedi componenti. - § 64. Versi completi ed incom•

Pag.

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pleti e ipermetri; chiarimeuti sulla disposizione della parola per formare i piedi del verso. - § 65. Cesura. maschile e femminile - Dieresi. - § 66. Scansione del verso e lettura metrica. - § 67. Versi in serie indeterminata ed in composizione strofica. - § 68. Sistemi: distico, tristico, tetra.stico.

Tavola riassuntiva del periodo ritmico o verso Pag. 57

CAPO III. - Varie specie di metri - Metri dattilici . . . 57 § 69. Esametro dattilico. - § 70. Esametro s pon. daico. - § 71. Cesure dell'esametro dattilico. -§ 72. Alcuni suggerimenti per ben comporre degli e~ametri lati n i. - § 73. Pentametro elegiaco. -§ 74. Adonio. - § 75. Archilocheo. - § 76. Alcmanio.

Esercizio 14, 15, 16 . . . . . . . . . . . . . .

CAPO IV. - lUetri giambici § 77. Senario giambico puro. - § 78. Senario giam­

bico impuro. - § 79. Schemi di senario giambico im­puro usati da li'edro. - § 80. Trimetro giambico im­puro catalettico. - § 81. Trimetro giambico ippo­natteo. - § 82. Dimetro giambico ipercatalettico.

Esercizio 17, 18, 19 . . . . . . .

CAPO V. - Metri trocaici . . . . . . . § 83. Dimb.:o trocaico catalettico. - § 8-!. Verso

itifallico.

CAPO VI. - Metri logaedici . . § 85. Gliconeo secondo. - § 86. Ferecrazio se­

condo. - § 87. Priapeo. - § 88. Asclepiadeo minore. - § 89. Asclepiadeo maggiore. - § 90. Saffico minore. - § 91. Saffico maggiore. - § 92. Alcaico endecasil-labo. - § 93. Alcaico decasillabo. - § 94. Aristofaneo. - § 95. li'aleceo.

Esercizio 20 . . . . •

CAPO VII. - l\letri asinarteti § 96. Archilocheo maggiore. - § 97. Giambelego. -

§ 98. Elegiambo.

CAPO VIII. - Metri ioniri § 99. Ionico a minore. - § 100. GalliamiJo anaclo­

meno. - § 101. Sotadeo.

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Tavola riassuntiva dei principali metri . • • • • 92

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PARTE III

METRICA ORAZIANA

CAPO I. - Nozioni preliminari . • . . . . . . . . Pag.

§ l 02. Classificazione dei carmi oraziani. - § l 03. Vari tipi di strofe tetrastiche. - § 104. Tavola schematica delle forme metriche usate da Orazio.

CAPO II. - Composizioni monosti('l!e . . . . . . . . .

§ 105. Trimetri giambici in composizione mono­siica.

Esercizio 21 . . . . . • . .

§ 106. Asclepiadei minori in composizione mono­stica.

Esercizio 22 • • • . . . . .

§ 107. Asclepiadei maggiori in composizione mo­nostica.

Esercizio 23 .

CAPO III. - Sistemi distici

§ 108. Sistema epodico (sistema giambico).

Esercizio 24 . . . . . .

§ 109. Sistema alcmanio (sistema dattilico puro).

l!Jsercizio 2.5 . .

§ 110. Sistema arcliilocheo primo (sistema dat­tilico puro).

Rse1·cizio 26

§ 111. Sistema archilocheo secondo (sistema giambico Hiattllieo).

Escrf'izio 27 . •

§ 112. Sistema archilocheo terzo (sistema giam­bico-dattilico).

Esercizio 28 . .

§ 113. Sistema archilocheo quarto (sistema lo­gaedico-giambico ).

Esercizio 29 . • • • • • • •

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§ 114. Sistema piliambico primo (sistema giam­oico-dattilico ).

Esercizio 30 . Pag. 120

§ 115. Sistema. pitia.mbico secondo (sistema giam­bico- dattilico).

Esercizio 31 . . . • . • • •

§ 116. Sistema ipponatteo (sistema gia.mbico­trocaico).

Esercizio 32 . . . . . • . .

§ li 7. Sistema asclepiadeo minore terzo (sistema loga.edico ).

Esercizio 33 . .

§ 118. Sistema saffico maggiore (sistema logae­dico).

Bsercizio 34 . .

CAPO IV. - Sistemi tetrastici

§ 119. Sistema alcaico (strofa tetra!>tica alcaica).

Esercizio 35 .

l 20. Sistema saffico minore (strofa tetrastica saffico minore).

Esercizio 36 .

121. Sistema asclepiadeo primo (strofa tetrastica asclepadea 1 a).

Esercizio 37 .

§ l 22. Sistema asclepiadeo secondo (strofa tetra­etica asclepiadea 2• ).

Esercizio -38 • • •

CAPO V. - Composizioni ipermetriche .

lndiet

§ l 23. Periodi decametrici di ionici a minore. § l 24. Tavola riassuntiva della metrica ora2iana.

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