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Letteratura italiana Einaudi Breve dizionario di metrica italiana di Giorgio Bertone

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Letteratura italiana Einaudi

Breve dizionario di metrica italiana

di Giorgio Bertone

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Letteratura italiana Einaudi

Edizione di riferimento:Piccola Biblioteca Einaudi, Torino 1999

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Sommario

acatalessi, vedi catalessi/acatalessi 1accentuativa/quantitativa, metrica 1acefalo 4acrostico 4adonio 5alcaica/-o 7alcmania/-o 9alessandrino 10allitterazione 11anacreontica 13anacrusi 15anapesto 16anfibraco 16anisosillabismo, vedi isosillabismo/anisosillabismo 17antispasto, vedi piedi 17antistrofe, vedi epodo; strofe 17archilochea/-o 17aria 18aristofanio, vedi saffica/-o 19arsi/tesi 19asclepiadea/-o 20asinarteto/sinarteto 23assillabazione, vedi allitterazione 23assonanza 24asticcio 25baccheo, vedi piede 26ballata 26barzelletta 33brindisi 35caccia 36cacofonia, vedi eufonia/cacofonia 37

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cantare 37cantata, vedi aria 38canzone 38canzonetta 44canzuna, vedi strambotto 45capitolo 45caribo 47catalessi/acatalessi 47cesura 48chiave, vedi canzone 51clausola 51cobbola 52cobla 53coda 53colon 54combinatio, vedi canzone 54commiato, vedi canzone 54concatenazione, vedi canzone 55congedo, vedi canzone 55consonanza 55contrasto 55coriambo, vedi asclepiadea/-o; dimetro; piede 56couplet 56cretico, vedi piede 56cursus 56dattilo 58decasillabo 59décasyllabe 60decima rima 61dialefe/sinalefe 61diastole/sistole 64

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dicolo, vedi colon 65dieresi/sineresi 65diesinalefe 70digiambo, vedi piede 71dimetro 71discordo 72dispondeo, vedi piede 73disseminazione fonica 73distico 75distico elegiaco 75ditirambo 76ditrocheo, vedi piede 78docmio, vedi piede 78dodecasillabo 78egloga 79elegia 79elegiambo, vedi archilochea/-o 80emistichio 80encomio, vedi epinicio 83endecasillabo 83enjambement 86enneasillabo 89epigramma 89epinicio 90episinalefe 91epitafio 92epitalamio 93epitrito, vedi piede 94epodo 94esametro 96esasillabo, vedi alessandrino 99

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eterometrico, vedi isometrico/eterometrico 99eufonia/cacofonia 99ferecrateo 102fiore, vedi stornello 102fronte, vedi canzone; sonetto 102frottola 103giambelego, vedi archilochea/-o 105giambo 105gliconeo 105gli(u)ommero 107gobula, vedi cobbola 107haiku 108hammer rhyme 108hemíepes, vedi emistichio; esametro 109heptasyllabe, vedi ottonario 109ictus 110idillio 111imeneo, vedi epitalamio 111inno 112ionico, vedi piede 112ipermetria/ipometria 112isocolia, vedi colon 113isometrico/eterometrico 113isosillabismo/anisosillabismo 114itifallico, vedi archilochea/-o; trocheo 116lassa 117lauda 118leonino, vedi esametro 119libero, verso 119logaedico, vedi saffica/-o 122madrigale 123

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martelliano 125metrica 126metrica barbara 129metrica libera 131metricologia 132metro 135molosso, vedi piede 141monorima 141mottetto 142motto confetto 142mutazione, vedi ballata 143nona rima 144novenario 144octosyllabe 148ode 148omo(io)teleuto 149omometrico, vedi isometrico/eterometrico 149ottava 149ottava canterina, vedi cantare 151ottava rima, vedi cantare; ottava 151ottonario 151parallelismo 153pastorella 154pentametro 155piede 156pindarica, ode, vedi epinicio; epodo; ode 157pitiambica/-o 157polimetro 158prosa ritmica 159prosimetro 159prosodia 160

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quadernario, vedi capitolo 162quadrisillabo, vedi quaternario 162quarta rima 162quartina 163quaternario 163quinario 163recitativo, vedi aria 166refrain 166rejet, vedi enjambement 166riduzione vocalica 166rigetto, vedi enjambement 167rima 167rimalmezzo 175rim espars 175rim estramp 175rintronico, vedi tenzone 175ripresa, vedi ballata; refrain; strambotto 175rispetto 175ritmo 176ritornello 180romanella, vedi villot(t)a 181romanza 181rondeau 182rondel, vedi rondeau 182rotondello, vedi rondeau 182saffica/-o 183scansione 185sciolto, verso 185selva 187senario 187sequenza 188

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serventese 189sesta rima, vedi serventese 190sestetto, vedi sonetto 190sestina 190settenario 192sinafia 193senalefe, vedi dialefe/sinalefe 194sineresi, vedi dieresi/sineresi 194sir(i)ma, vedi canzone; coda; sonetto 194sirventese, vedi serventese 194sonettessa 194sonetto 195spondeo 199stanza 200stichico, vedi strofe; verso 200stornello 200strambotto 201strofa 203strofa zagialesca, vedi zejel 204strofe 204tenzone 205ternario, vedi trisillabo 206terza rima, vedi capitolo 206terzina 206tesi, vedi arsi/tesi 207tetrametro 207tmesi 208tornello, vedi ritornello 209tradizione astrofica 209trimetro 210trisillabo 211

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trispondaico 212trocheo 212tronco, verso 213veneziana 216verso 217villanella 223villot(t)a 223volta 224zejel 225zingaresca 225

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acatalessi → catalessi/acatalessi

accentuativa/quantitativa, metrica

Due metriche che, con una buona dose di astrazione e diestremizzazione anche cronologica, possono essere consi-derate in antitesi, poiché sfruttano diversi se non proprioopposti tratti distintivi della lingua (fonematici e prosodi-ci). In sintesi: la metrica accentuativa (grosso modo quel-la delle principali lingue moderne) si basa sugli accenti to-nici delle parole e/o sul numero delle sillabe; la metricaquantitativa (greca e latina) sulla quantità (breve o lunga)di vocali e sillabe, e sui piedi (→ metrica; piede). In anali-si: il fatto che Greci e Latini attribuissero una durata quan-titativa ai fonemi, cioè differenti lunghezze di suono, rien-trava in un sistema di opposizioni, per cui distinguevanovenit ‘egli viene’, da venit ‘egli venne’. Come effettivamentepronunciassero distinguendo è arduo ricostruire e ancorpiù riprodurre. Fatto sta che l’opposizione tra breve (^) elunga ( ) è caratterizzante e, a distanza di secoli, può es-sere contrapposta alla sensibilità romanza che, ormai per-duto il senso della quantità, possiede sillabe tendenzial-mente isocrone e distingue, in maniera altrettanto carat-terizzante, tra vocali aperte e vocali chiuse (“un colpod’accétta”, con e chiusa; “accètta le mie scuse” con e aper-ta). Ulteriormente gli antichi facevano differenza tra quan-tità di vocale e quantità di sillaba: la metrica greca e lati-na si basa, appunto, su quest’ultima, secondo la regola ge-

A

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nerale: una sillaba aperta – cioè in pratica terminante pervocale – è breve se contiene vocale breve, è lunga se con-tiene vocale lunga; una sillaba chiusa – cioè in pratica ter-minante per consonante – è sempre lunga, sia che conten-ga una vocale breve o una vocale lunga. Il secondo puntodifferenziale tra le due metriche è l’accento. Noi oggi (nel-le lingue romanze) interpretiamo l’accento in forma in-tensiva (uno sforzo maggiore nell’emissione dell’aria, percui si dice accento intensivo, o dinamico, o espiratorio); Gre-ci e Latini in epoca letteraria differenziavano l’accento tra-mite l’elevazione di tono (più o meno elevato, con mag-giore o minore vibrazione delle corde vocali, per cui si di-ce accento melodico, o musicale, o cromatico). Ne è con-ferma pure la terminologia che i Latini derivarono dai Gre-ci, tutta mutuata dal linguaggio musicale. Così Quintilia-no, così il grammatico Servio: «accentus dictus est quasiadcantus secundum Graecos, qui prosodían vocant, namapud Graecos prós dicitur ad, cantus vero odé vocatur».Due sono le leggi principali dell’accento latino: 1) l’accen-to cade sulla penultima sillaba quando questa è lunga, sul-la terzultima se la penultima è breve (legge della penulti-ma); 2) l’accento non può risalire oltre la terzultima silla-ba (legge del trisillabismo). Nei secoli scorsi, soprattuttoper l’intervento di grammatici di terra tedesca, si è attri-buito un → ictus vocale in determinate sedi (→ piedi) delverso, in modo da leggere, per esempio, un → esametrodattilico di schema

⁄ ^ ^, ⁄ ^ ^, ⁄ ^ ^, ⁄ ^ ^, ⁄ ^ ^, ⁄ _.quádrupedánte putrém sonitú quatit úngula cámpum

con alcuni accenti forzatamente spostati rispetto alla nor-male lettura secondo grammatica. Fu ed è una convenzio-ne (e un equivoco) scolastico che perdura; e che per noi ita-liani, che pur l’abbiamo accettato, risulta particolarmenteostico, poiché dobbiamo leggere sonitú, quando nella no-stra lingua c’è sònito come in latino. Mai i Latini e i Gre-ci lessero in questa maniera. Leggevano i versi «esatta-mente come la prosa e il ritmo era provocato da successio-ni di quantità» [Boldrini S., La prosodia e la metrica dei Ro-

2 ACCENTUATIVA/QUANTITATIVA, METRICA

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mani, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1992]. Nell’im-possibilità di riprodurre la quantità sillabica, si proiettò ilsistema dell’accento intensivo (percussivo) sul metro clas-sico, con la conseguenza di spostare dalla sede naturale l’ac-cento tonico delle parole (e renderle incomprensibili). Nondi ictus vocale si trattava, ma di ictus meccanico, cioè unelemento non metrico che alludeva semplicemente al col-po di piede o del dito che indicava l’inizio della serie rit-mica (→ arsi/tesi). Dal canto loro le metriche sillabico-ac-centuative non si conducono tutte in egual maniera. In ita-liano, per esempio, la sillaba si presta per la sua natura adessere adottata come unità di tempo, poiché l’italiano èuna lingua a «isocronismo sillabico» [Bertinetto P.M.,«Syllabic Blood», ovvero l’italiano come lingua ad isocroni-smo sillabico, in «Studi di Grammatica Italiana», VI, 1977,pp. 69-96], ovvero gli enunciati tendono ad avere ugualedurata quando hanno uguale numero di sillabe; mentre l’in-glese è una lingua a «isocronismo accentuale» (gli enun-ciati sono di uguale durata quando hanno uguale numerodi accenti, indipendentemente dal numero di sillabe). Mala lingua poetica (quella quantitativa inclusa) si differen-zia sempre dalla lingua comune e prosastica proprio per ilcomputo sillabico: 1) nell’incontro di vocali all’interno diparola (→ dieresi/sineresi) e tra una parola e l’altra (→ dia-lefe/sinalefe); 2) nella convenzione storica del conto dellaserie sillabica (sillabismo metrico); il quale ultimo, peresempio, in italiano, come in genere nell’area romanza,prende istituzionalmente in considerazione l’ultimo ac-cento come termine del computo (sono uguali due serie chepresentano lo stesso numero di sillabe fino all’ultima to-nica compresa, indipendentemente da ciò che segue, indi-pendentemente cioè, dall’uscita tronca, piana o sdruccio-la). Praticamente si potrà dire, per la metrica accentuati-va italiana, che i versi vanno considerati virtualmente tut-ti piani (uscita parossitona) e i tronchi e gli sdruccioli si ri-portano al modello piano, ipotizzando una sillaba in più oin meno, rispettivamente. → endecasillabo; metrica; tron-co, verso.

ACCENTUATIVA/QUANTITATIVA, METRICA 3

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acefalo

(gr. aképhalos ‘senza testa’). In metrica greca e latina, ver-so cui manca la prima sillaba rispetto allo schema proposto.Si usa anche in metrica romanza e italiana. Nella poesia po-polare e giullaresca medioevale si possono trovare versi ace-fali, cioè mancanti della prima sillaba (per il fenomeno in-verso → anacrusi; → anisosillabismo); la deficienza venivasuperata dall’esecuzione nella recitazione e/o dalla musicae dal canto. Più in generale, il termine si può impiegare nel-la valutazione dei rapporti tra misura e ritmo del verso.Esempio: un → novenario con accenti di 2a, 5a, 8a può es-sere considerato, in specifiche occasioni, un → decasillaboacefalo di 3a, 6a, 9a: (^) ^ / ^ ^ / ^ ^ / ^. Betteloni [cfr.Beccaria G. L., L’autonomia del significante. Figure del rit-mo e della sintassi. Dante, Pascoli, D’Annunzio, Einaudi, To-rino 1975] così criticava il novenario pascoliano: «Osticospecialmente mi riesce il verso novenario, che ora è tantodi moda. O esso è accentato sulla seconda, quinta e ottavasillaba, e allora è un decasillabo acefalo, al quale manca cioèla prima sillaba. O è altrimenti accentato, e allora non hasuono alcuno; è un verso eternamente infreddato, che nonpuò cantare in nessun modo. Si dice, che il D’Annunzio eil Pascoli usino di questa accentuazione spostata, per ac-costare il verso a quello della prosa. Ma allora scrivete inprosa, in prosa ritmica se più vi piace; ma quando si scrivein versi, per indole fortunata del nostro idioma, devono es-sere armonici e melodiosi».

acrostico

(gr. akróstichon ‘estremità del verso’). Componimento poe-tico le cui lettere iniziali di ogni verso, lette di seguito ver-ticalmente, compongono un nome, una parola, una o piùfrasi. Il Boccaccio nell’Amorosa visione diede forma con leiniziali di ogni terzina e degli altri versi dei singoli canti ad-dirittura a tre → sonetti, che fungono da proemio. Impie-gato anche in tempi moderni (in questo sonetto di Sangui-neti l’acrostico, desumibile dalla prima lettera di ogni sin-

4 ACEFALO

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golo verso, è «SANGUINETI AMAT»):

Se sa sedurti soltanto un sonetto,Archetipo d’amaro amore assente,Nasconderò nei tuoi nomi il mio niente,Golfo mio, mia girandola, mio ghetto:

Umiliato unicorno, unico, urgente,Inciderò in te impronte, intimo insetto,Nodo dei nodi, nudo nervosetto,Enfasi estrema, epigramma emergente:

Tenera in tutto, torre di tormenti,Infarcito mio infarto, idolo, inferno,Apristi a me, tu, aurora di aghi ardenti:

Muta medusa, muscolo materno,Ascoltami, arida aspide, e acconsenti:Tremo con te, tremendo, tardo terno:

(E. Sanguineti, Erotosonetto).

adonio

Verso eolico (cioè impiegato dagli antichi poeti greci di queldialetto, Saffo e Alceo in testa) poi ripreso da Orazio. Pren-de il nome dall’invocazione al dio Adone, che era in que-sto ritmo. Tali versi si distinguono dagli altri dei dialetticonsanguinei perché, di regola, una lunga non può esseresurrogata da due brevi e viceversa (eccezione è Pindaro)(→ piede): hanno dunque tendenzialmente numero fisso disillabe (→ accentuativa/quantitativa, metrica). Numero fis-so ha allora l’adonio che è un dimetro dattilico catalettico(→ catalessi):

⁄ ^ ^ ⁄ _. .

Documentato nella poesia latina già dai tempi del teatroplautino («quae m(e) habuisti»: ^ ^ ) e già con fun-zione di → clausola. Il suo impiego principale è nella stro-fe → saffica (minore) in cui giunge come conclusione di ver-so breve dopo tre endecasillabi saffici. Usarono l’adonioCatullo, Orazio («terruit urbem»: ^ ^ ^) e poi Seneca(«flamma tonantis»: ^ ^ ).

ADONIO 5

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Inserito nella saffica, il metro poté essere ospitato con ot-tima accoglienza nella → metrica barbara, risolto, nella stra-grande maggioranza dei casi, con un → quinario piano, conaccenti dunque di 1a e 4a. Nella tradizione barbara italia-na lo si può incontrare già al tempo del Certame coronario(1441), inserito da L. Dati nella terza parte della Scena. Poinella saffica più tipica dal Cinquecento fino a Pascoli (eD’Annunzio), passando per Fantoni e Carducci (Manzonisurroga il quinario con un → settenario nel Nome di Maria).Esempio:

Su le dentate scintillanti vettesalta il camoscio, tuona la valangade’ ghiacci immani rotolando per lesèlve crosciànti

(G. Carducci, Piemonte).

In questa strofa di Carducci l’adonio è sfruttato – anchetramite un → enjambement esasperato – come clausola bre-ve e finalmente bloccante, in modo brusco, di un tripliceampio movimento parallelo che si svolge in crescendo e in-fine cade arrestato.Su ritmo d’adonio termina il → novenario dattilico (^ , ⁄ ^^ , [ ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ]) che tanta parte tiene nella metrica bar-bara (e non sarà solo presente nell’→ enneasillabo alcaico).Confortato di un blasone classico, l’adonio si fa ritmo a sé(non più metro isolabile) prima e sopra tutti in Pascoli [cfr.Beccaria G. L., L’autonomia del significante. Figure del rit-mo e della sintassi. Dante, Pascoli, D’Annunzio, Einaudi, To-rino 1975]:

E l’isba scricchiolò con un lamentolungo ad un urto adonio

(Gli emigranti nella luna).

bianca di marmo in mezzo al cielo azzurro, adonioRòma dormıva

(La buona novella).

Il modulo ritmico preferibilmente fuso in unità sintagma-tiche abbastanza stabili (due aggettivi: «pallido e muto»,

6 ADONIO

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«tacita e scura», «piccolo e nero», o dittologie col tratti-no) si ritrova poi in molta poesia e prosa ritmica crepusco-lare (da Gozzano a Moretti) e vociana (da Rebora a Cam-pana e Boine [cfr. Bertone G., Il lavoro e la scrittura. Sag-gio in due tempi su Giovanni Boine, il Melangolo, Genova1987]).

alcaica/-o

Verso (→ metrica barbara) e → strofa della metrica orazia-na. Versi: → enneasillabo, decasillabo, endecasillabo. L’en-neasillabo alcaico è una pentapodia giambica catalettica (→piede; giambo; catalessi), con il primo elemento realizzatoda sillaba lunga, più frequentemente, o da sillaba breve econ cesura dopo il sesto elemento:

⁄ , ^ ⁄ , ⁄ , / ^ ⁄ , _.

Esempio:

⁄ ^ ⁄ ⁄ / ^ ⁄

aequáre néc taurí / ruéntis

(Orazio, Carmina).

Il decasillabo è una tetrapodia logaedica acatalettica concesura di solito dopo il quarto elemento:

⁄ ^ ^ , ⁄ ^ / ^ , ⁄ ^ , ⁄ _. .

Esempio:

⁄ ^ ^ ⁄ ^ / ^ ⁄ ^ ⁄

ínterióre / notá Falérni

(Orazio, Carmina).

L’endecasillabo è formato da una tripodia giambica cata-lettica e da un dimetro dattilico, col primo elemento di so-lito lungo e cesura dopo il quinto:

⁄ ^ ⁄ , / ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ _. .

ALCAICA/-O 7

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Esempio (qui con la prima sede breve):

^ ⁄ ^ ⁄ / ⁄ ^ ^ ⁄ ^ ⁄

vidés ut álta / stét nive cándidúm

(Orazio, Carmina).

La strofa alcaica è composizione tetrastica di due endeca-sillabi alcaici più un enneasillabo alcaico, più un decasilla-bo esso pure alcaico:

Odi profanum vulgus et arceo.Favete linguis: carmina non priusAudita, Musarum sacerdosVirginibus pueris canto

(Orazio, Carmina).

Nell’ambito della sua rivoluzione barbara (→ metrica bar-bara) G. Chiabrera risolve l’endecasillabo alcaico con unendecasillabo costituito di un → quinario piano e un qui-nario sdrucciolo (ottenendo così la cesura); l’enneasillabocon un → novenario piano dattilico per accenti, il decasil-labo (quarto e ultimo verso) con un → decasillabo accenta-to sulla 3a, 7a e 9a:

Sesto d’agosto, dolci Luciferi,Sesto d’agosto, dolcissimi Esperi,Sorgete dal chiuso orizzonte,Tutti sparsi di faville d’oro

(G. Chiabrera, Canzoni eroiche).

Questa soluzione si avvicina al modello latino e insieme ga-rantisce la variabilità di ritmo del verso italiano. Meno sod-disfacenti, invero, le soluzioni del terzo e quarto verso, pro-prio là dove si hanno le due mutazioni di ritmo caratteri-stiche, «due scosse» (D’Ovidio) tra i primi due versi e ilterzo, tra il terzo e il quarto. Rolli e Fantoni preferirono il→ settenario al posto dell’enneasillabo alcaico (terzo ver-so) e pure del decasillabo (quarto), scostandosi dal model-lo latino e plasmando la strofa in maniera ben più italiana(Fantoni, per di più, utilizzando anche la rima). Per il ter-zo verso Carducci adottò prevalentemente il novenario diChiabrera (più raramente un novenario non dattilico) e per

8 ALCAICA/-O

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la quarta sede scelse decasillabi piani di diversa accenta-zione: decasillabo su accenti in posizioni dispari; doppioquinario piano, con cesura, quindi; quinario sdrucciolo più→ quadrisillabo piano, o decasillabo anapestico «manzo-niano», come in Alla stazione:

Oh quei fanali come s’inseguonoaccidiosi là dietro gli alberi,tra i rami stillanti di pioggiasbadigliando la luce su ’l fango!

L’influenza della strofa alcaica su Lucini è sostenuta da Pin-chera [L’influsso della metrica classica sulla metrica italianadel Novecento (da Pascoli ai «novissimi»), in «Quaderni Ur-binati di cultura classica», I, 1966, pp. 92-127].

alcmania/-o

Verso o strofe. La strofe alcmania è un sistema → distico ora-ziano (per le Odi si è supposta una strofa tetrastica senza →sinafia tra i due distici) composto da un → esametro dattili-co e da un → tetrametro dattilico catalettico in duas syllabas(quest’ultimo detto verso alcmanio) (→ catalessi), congiuntiper sinafia:

⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ _.

⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ _. .

Come si vede, il tetrametro presenta un terzo piede costi-tuito immancabilmente da un puro dattilo, elemento sfrut-tato nella → metrica barbara. Esempio:

Laudabunt alii claram Rhodon, aut Mytilenen,Aut Epheson, bimarisve CorinthiiMoenia, vel Baccho Thebas, vel Apolline DelphosInsignes, aut Thessala Tempe

(Orazio, Carmina).

Il Carducci neoclassico realizza la sua nuova risoluzionedell’→ esametro con un verso doppio (qui → settenario più→ novenario dattilico), ottenendo, si badi, nel complessodella strofa ben quattro novenari dattilici (accenti 2a,5a, 8a), due isolati, due incastonati nell’esametro:

ALCMANIA/-O 9

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Conca in vivo smeraldo tra foschi passaggi dischiusa,o pia Courmayeur, ti saluto.Te da la gran Giurassa da l’ardua Grivola bellail sole più amabile arride

(G. Carducci, Courmayeur).

alessandrino

Verso fondamentale della metrica francese e provenzale; èun doppio esasillabo (hexasyllabe) che prende il nome dalRoman d’Alexandre, famoso poema francese del tardo XII

secolo, in cui viene impiegato. In italiano all’esasillabo cor-risponde il → settenario: l’alessandrino sarà allora un dop-pio settenario (→ martelliano). Normalmente si comportacome verso doppio: fra i due → emistichi non è ammessa→ sinalefe, né elisione, e il primo settenario può essere tron-co o addirittura sdrucciolo (ovvero vive come verso auto-nomo). Forte è la → cesura. Diffuso soprattutto nella let-teratura d’oïl, trasbordò nella letteratura didascalica del-l’Italia settentrionale nel XIII secolo: cfr. i Proverbia quaedicuntur super natura feminarum di Anonimo, forse il primotesto italiano in quartine monorime di alessandrini, col pri-mo emistichio non costantemente sdrucciolo (e poi Uguc-cione da Lodi, Giacomino da Verona, Bonvesin da la Ri-va). Si estese anche al Centro e al Sud: l’esempio più notoè il Contrasto di Cielo d’Alcamo, costituito di tre alessan-drini monorimi formati da un settenario sdrucciolo e unsettenario piano più due endecasillabi a rima baciata:

Rosa fresca aulentissima ch’apari inver’ la state,le donne ti disiano, pulzell’ e maritate:tràgemi d’este focora, se t’este a bolontate;per te non ajo abento notte e dia,penzando pur di voi, madonna mia.

Il verso costituito di un emistichio sdrucciolo e uno pianoè probabile derivi dal → tetrametro giambico catalettico,mentre la soluzione col primo settenario piano discende-rebbe direttamente dall’alessandrino francese che a sua vol-ta discende dall’asclepiadeo minore (→ asclepiadea/-o) [cfr.Avalle D’A. S., Le origini della quartina monorima di ales-

10 ALESSANDRINO

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sandrini, in «Bollettino del Centro di Studi Filologici e Lin-guistici Siciliani», VI, 1962, pp. 119-60]. Soltanto moltopiù avanti il Duecento ricompare in Italia il doppio sette-nario come verso teatrale (→ martelliano). Doppi settena-ri usano in epoca moderna, per esempio, Gozzano, con ri-me (interne ed esterne) incrociate:

Tra bande verdigialle d’innumeri ginestrela bella strada alpestre scendeva nella valle

(Le due strade)

e Montale, variamente:

Poiché la via percorsa, se mi volgo, è più lunga

(Voce giunta con le folaghe).

L’alexandrin libéré dei simbolisti francesi, da Verlaine inpoi (non più con → cesura dopo la 6a) è uno degli avvii eu-ropei al verso → libero (→ metrica libera).

allitterazione

Ripetizione della stessa consonante o della stessa sillaba(nel qual caso molti preferiscono parlare di assillabazione)all’inizio di parole limitrofe o poco distanti. Per estensio-ne: ripetizione di suoni in qualsiasi posizione, vicini tra lo-ro quanto basta per essere avvertiti facilmente nella lorosequenza. È una «struttura della lingua comune» [Valesio1967] che diviene figura stilistica in prosa e in poesia e puòdivenire una componente della simmetria fonica del verso(o gruppi di versi) o addirittura una componente metricastrutturale, come nel caso del verso allitterativo germani-co antico, in cui non vale l’→ isosillabismo ma il numerodegli accenti e le sillabe sotto accento sono legate fra lorograzie all’allitterazione. Allitterazione e rima, intese tipi-camente, costituiscono due tipi di rispondenze omofoni-che, l’una soprattutto interna al verso, tra parola e parola,l’altra esterna, tra punte di verso. E l’allitterazione è uncaso particolare, ancor più generalizzato della rima, del pa-rallelismo come struttura inerente all’artificio poetico ( →parallelismo; ritmo; verso). Esistono letterature ignare di

ALLITTERAZIONE 11

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→ rima, non ne esistono di prive di allitterazioni [cfr. Bec-caria G. L., L’autonomia del significante. Figure del ritmo edella sintassi. Dante, Pascoli, D’Annunzio, Einaudi, Torino1975]. Le origini si perdono nella primordialità liturgica eapotropaica (preghiere, scongiuri) e nel folklore (proverbi,litanie). La manualistica antica coniò il termine homoeo-próphoron (‘somiglianza di pronuncia’), e censurò il feno-meno come cacofonico (→ eufonia/cacofonia). A tale pro-posito Quintiliano citava un verso di Ennio: «o tite, tute,tati, tibi tanta, tyranne, tulisti». Allitteratio è conio dellazecca di G. Pontano umanista (Actius), con riguardo esclu-sivo all’avvio vocalico di parola. Il Dante comico-didasca-lico volge spesso il verso all’allitterazione con sistematicitàstrategica: «e fa fuggir le fiere e li pastori» (Inferno, IX,72), «lo montanaro, e rimirando ammuta» (Purgatorio, XX-VI, 68), «tutti tirati sono e tutti tirano» (Paradiso, XX-VIII, 129). A volte l’allitterazione ha in Dante una fun-zione di rilievo ritmico-semantico nelle posizioni forti delverso, sul primo e sull’ultimo accento, per esempio: «pre-se la terra, e con piene le pugna» (Inferno, VI, 26); oppu-re su → clausola di doppio bisillabo rafforzata appunto dal-l’allitterazione: «E quale il cicognin che leva l’ala» (Purga-torio, XXV, 10); e molte altre soluzioni non casuali. Allit-tera vistosamente il Tasso: «rauco suon della tartarea trom-ba», «Il pietoso pastor pianse al suo pianto». Allittera ilFoscolo: «Lieta dell’aer tuo veste la Luna | di luce limpi-dissima i tuoi colli». Allittera con speciale perseverenza eambizione la poesia simbolista, a partire, chez nous, da Pa-scoli: «non più sul pioppo picchia il pennato | più, né l’ecopiù gli risponde» (Il ritorno delle bestie), con intenti ono-matopeici («ci fermeremo tra il pulverulento | scalpita-mento de’ cavalli ansanti») e fonosimbolici («coi brividibrevi del vento»). O ancora: «Il ferro a voi fa d’uopo | perganci e graffi e raspe e seghe e morse». Allitterano, a va-rio titolo, un Montale («fiotta il fosso impetuoso»; «Unosparo | si schiaccia nell’etra vetrino»); o un Pasolini («de-gli istinti, dell’estetica passione; | attratto da una vita pro-letaria»); e intensissimamente spesso per partito (fonico)preso un neosperimentale come Sanguineti (cfr. Erotoso-netto, → acrostico, dove ogni verso è una scommessa di coe-

12 ALLITTERAZIONE

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renza allitterante a partire dalla prima lettera in acrostico).→ riduzione vocalica.

anacreontica

Nella metrica classica anacreontici sono versi tipici della li-rica da cui prendono il nome: quello di Anacreonte, poetadel VI secolo a. C. Per esempio, il dimetro ionico a minore,in una delle sue forme:

^ ^ ⁄^ ⁄

^ ⁄ .

Anacreontiche sono chiamate, poi, nella metrica della poe-sia francese e italiana, odi brevi e canzonette che si ispira-no per stile (cantabile) e temi (conviviali e amorosi ma sem-pre con leggerezza) alle Anacreontee, componimenti d’etàgreco-romana, pubblicati in Francia nel 1544 e indebita-mente attribuiti al medesimo Anacreonte. Si può conside-rare sinonimo di → ode-canzonetta o → canzonetta ana-creontica o canzonetta melica (perché destinata al canto). Es’intende primamente l’ode-canzonetta che G. Chiabrerasviluppò su stimolo e qualche modello della contemporaneaproduzione francese di Ronsard e della Pléiade, assestandocosì uno dei più duri colpi al sistema metrico dantesco-pe-trarchesco e alla sua compatta tenuta fino al Cinquecento.Le strofe sono preferibilmente di struttura semplice e i ver-si brevi, e se si presenta un → endecasillabo andrà subito ac-compagnato con un verso corto; ammesse sono tutte le mi-sure, comprese senza limitazioni le parisillabiche (dunquecon ben maggiori libertà rispetto alla → canzone e alla can-zone-ode, di cui non possiede le articolazioni interne istitu-zionali). L’esito più noto è l’esastico su schema di Ronsard(Odes):

O begli occhi, o pupillette, a8

che brunette a4

dentro un latte puro puro, b8

m’ancidete a tutte l’ore, c8

con splendore c4

d’un bel guardo scuro scuro; b8

(G. Chiabrera, Canzonette amorose)

ANACREONTICA 13

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con varianti a5a5b7c5c5b7 e a6a6b6c6c6b6. Ma Chiabrera im-piega anche senari piani (es.: aabccb), settenari piani ac-coppiati (es.: aabbcc) un po’ come i → couplets francesi econ ripercussione ritmica che ricorda il → rondeau; sette-nari sdruccioli non rimati alternati a settenari tronchi ri-mati a due a due, dove gli sdruccioli creano una rima rit-mica (scorgeano : fiorivano), cioè una rima sdrucciola in cuicomunque non conta – e manca in effetti – una corrispon-denza omofonica perfetta, ma in cui l’eccezionalità del rit-mo sdrucciolo è elevata a equivalente della rima, a confer-ma della forte esposizione ritmica che la canzonetta chia-breriana aspira a realizzare. Nell’esempio che segue siamodi fronte ad una strofa esastica composta da cinque quina-ri sdruccioli non rimati e da un quinario finale tronco la cuirima si ripete immutata in tutte le strofe successive(vo’ : no : cercherò, ecc. [cfr. Bertone G., Per una ricerca me-tricologica su Chiabrera, Marietti, Genova 1991]):

In van lusinghimi,in van minaccimi,figlio di Venere;quel giogo impostomidolce e spiacevole,Io più non vo’

(G. Chiabrera, Canzonette amorose).

Grande lo sviluppo della canzonetta per tutto il Seicento,con selezioni e modificazioni, fino all’Ottocento che la vol-gerà a forme nuove. Frugoni coltivò in ispecie una dellesue possibilità peculiari: le strofette accoppiate, collegatetra loro da una o più rime, per esempio abbc+addc, dovea è piano e senza rima, c tronco con rima e le misure pos-sono essere senarie o ottonarie o, più frequentemente, set-tenarie [cfr. Elwert W. T., Italienische Metrik, Max Hue-ber Verlag, München 1968 (trad. it. Versificazione italianadalle origini ai giorni nostri, Le Monnier, Firenze 1973)].Metastasio rende più prevedibile la successione delle rimenello schema generale vincolato dalla prima rima e dal-l’ultima tronca (→ aria; epitalamio):

Grazie agl’inganni tuoi, aal fin respiro, o Nice, b

14 ANACREONTICA

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al fin d’un infelice bebber gli dei pietà: c’

sento da’ lacci suoi, asento che l’alma è sciolta; dnon sogno questa volta dnon sogno libertà. c’

anacrusi

(gr. anákrusis ‘conduzione all’indietro’). Nella metrica gre-ca e latina è la sillaba anticipata, ovvero aggiunta, che sitrova davanti alla prima → arsi d’una serie ritmica; paral-lelamente nella musica anacrusi è la nota o le note che pre-cedono la prima battuta completa. In area classica proba-bilmente il termine aveva solamente valore musicale e nonmetrico (→ esametro). Nelle metriche moderne, in gene-rale, s’intende con anacrusi la sillaba o le sillabe atone fuo-ri della serie ritmica, aggregate all’inizio di un → verso, pri-ma dunque dell’accento. Si dice propria o regolare nei ver-si di tipo ascendente, cioè giambico e anapestico (→ ana-pesto; giambo), come il quinario e il decasillabo. Ad esem-pio il verso di Jacopone da Todi «Dilongato mi son da lavia», è un decasillabo in cui le sillabe Dilon- sono da con-siderarsi fuori battuta, ma la cui aggiunta fa parte della se-quenza ritmica (anapestica): (^ ^) ⁄ , ^ ^ ⁄ , ^ ^ ⁄ , ^. Sidice irregolare o, meglio, mobile quando si aggrega a versidi ritmo discendente, cioè trocaico o dattilico (come il →quadrisillabo e l’→ ottonario; → dattilo; trocheo). In que-st’ultimo caso il ritmo muta. Ad esempio in una poesia giul-laresca con base ottonaria si può trovare un verso ecce-dente (→ anisosillabismo) come «così m’andava l’altra dia»con cui il ritmo dell’ottonario trocaico ( ⁄ ^ ⁄ ^ ⁄ ^ ⁄ ^) di-viene ritmo di novenario giambico (^ ⁄ ^ ⁄ ^ ⁄ ^ ⁄ ^); mala sillaba co- viene considerata fuori battuta, mascherataprobabilmente dalla musica e dal canto. Idem, per lo più,nell’ottonario-novenario di Jacopone a base ottonaria: ilnovenario con accento di 4a corrisponde all’ottonario conaccento di 3a con una sillaba in più antecedente l’accento

ANACRUSI 15

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(= anacrusi) [cfr. Contini G. (a cura di), Poeti del Duecen-to, 2 voll., Ricciardi, Milano-Napoli 1960; Spongano R.,Nozioni ed esempi di metrica italiana, Pàtron, Bologna 1966;Di Girolamo C., Teoria e prassi della versificazione, il Mu-lino, Bologna 1976].

anapesto

(gr. anápaistos ‘battuto al contrario’, come se il carattereprincipale fosse l’esser l’inverso speculare del → dattilo).Piede composto di due brevi e una lunga, perciò di quat-tro tempi brevi e di ritmo ascendente: ^ ⁄ . Ritmo scan-dito energicamente consono a marce e canti corali. Il me-tro è formato solitamente da una dipodia (^ ^ ⁄ , ^ ^ ⁄ ).Esempio:

^ ^ ⁄ ^ ^ ⁄ ^ ^ ⁄ ^ ^ ⁄

memin(i) ét scio ét calle(o) et cómmeminí

(Plauto).

In metrica italiana si usa anapesto per indicare una suc-cessione di due sillabe atone (–) seguite da una tonica (+):– –+; e ritmo anapestico per indicare una serie ritmica pro-lungata di anapesto: – –+– –+ – –+, ecc. (eventualmen-te ricalcata sulla metrica quantitativa classica; → accen-tuativa/quantitativa, metrica; metrica barbara). Il decasil-labo con accenti fissi di 3a, 6a e 9a, detto ‘manzoniano’,«a sinístra rispónde uno squíllo», ha ritmo anapestico (→alcaica/-o). Lo stesso vale anche per moltissimi versi del pri-mo Pavese:

Stupefátto del móndo mi giúnse un’etàche tirávo i púgni nell’ária e piangévo da sólo

(Antenati).

anfibraco

Nella metrica classica è un → piede composto da una silla-ba lunga racchiusa tra due brevi, dunque di quattro tempi

16 ANAPESTO

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brevi: ^. Nell’ambito di un uso convenzionale della ter-minologia della metrica quantitativa per indicare i ritmi diquella accentuativa (→ accentuativa/quantitativa, metrica)Mengaldo [La tradizione del Novecento. Da D’Annunzio aMontale, Feltrinelli, Milano 1975] ha chiamato anfibraco il→ trisillabo della Fontana malata di A. Palazzeschi:

fontanail maleche haiil cuoremi preme

ovvero ^ ^ nel senso di sillaba atona (o tesi) più sillabatonica (o arsi) più sillaba atona; con altri segni diacritici:–+– (tesi, arsi, tesi). Ritmo poi esteso ai versi più lunghidelle prime raccolte dello stesso Palazzeschi:

Il parco è serrato serrato serrato,serrato da un muroch’è lungo le miglia le miglia le miglia

(Il parco umido).

anisosillabismo → isosillabismo/anisosillabismo

antispasto → piede

antistrofe → epodo; strofe

archilochea/-o

Quattro sono i sistemi archilochei oraziani

I)

⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ _.

⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , _.

cioè un → esametro dattilico più un → trimetro dattilico ca-

ARCHILOCHEA/-O 17

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talettico in syllabam, con giunzione mediante → sinafia (cfr.Orazio, Carmina, IV, 7);

II) (giambelego)

⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ _. ⁄

^ , ⁄^ , / ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , _.

cioè un esametro dattilico più un giambelego (→ asinarte-to) composto da un → dimetro giambico acatalettico e daun trimetro dattilico catalettico in syllabam, con cesura trale due parti (cfr. Orazio, Epodi, 13);

III) (elegiambico)

⁄^ , ⁄

^ , ⁄^ _.

⁄ ^ ^, ⁄ ^ ^, _. / ⁄^ ⁄ , ⁄

^ _.

cioè un → trimetro giambico acatalettico archilocheo piùun elegiambo (→ asinarteto), formato da un trimetro dat-tilico catalettico in syllabam e da un dimetro giambico aca-talettico con cesura dieretica dopo il primo emistichio (lacesura coincide cioè con la fine della parola e del piede; cfr.Orazio, Epodi, 11);

IV)

⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ / ⁄ ^ ^ ⁄ _. ^ ⁄ , ⁄

^ , ^ ⁄

cioè un archilocheo maggiore (tetrametro dattilico acata-lettico più una tripodia trocaica o itifallico, con cesura die-retica dopo il quarto dattilo) e un trimetro giambico cata-lettico, uniti per sinafia (cfr. Orazio, Carmina, I, 4).Carducci riprende il terzo sistema archilocheo in Saluto ita-lico sostituendo al trimetro giambico un endecasillabosdrucciolo, all’elegiambo un doppio settenario con il primoemistichio piano e il secondo sdrucciolo:

Molosso ringhia, o antichi versi italici,ch’io co ’l batter del dito segno o richiamo i numeri.

aria

Parte cantata nella poesia per musica (melodramma) e nel-

18 ARIA

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la cantata propriamente detta. La base metrica è l’→ ode-canzonetta (→ anacreontica) nelle forme nuove elaborateda G. Chiabrera: metri brevi, essenzialmente. Sia nel me-lodramma (con carattere più drammatico), sia nella canta-ta (a carattere più lirico) l’aria si accompagna e contrappo-ne al recitativo (metri più lunghi, endecasillabi uniti a set-tenari). Maestro dell’aria dentro il genere melodrammati-co fu Metastasio che ne volle anche in → decasillabi, comein «Se mai senti spirarti sul volto» dalla Clemenza di Tito(ABBCABC, con C tronco) (→ tronco, verso). Più fre-quente la composizione in due brevi strofe di metro agile(nell’esempio che segue la rima e è tronca):

Sentirsi dire a5

dal caro bene: b5

Ho cinto il core c5

d’altre catene, b5

quest’è un martire, a5

quest’è un dolore, c5

che un’alma fida d5

soffrir non può. e5

Se la mia fede f5

così l’affanna, g5

perché tiranna g5

m’innamorò? e5

(P. Metastasio, Semiramide).

aristofanio → saffica/-o

arsi/tesi

(gr. ársis ‘elevamento, sollevamento’ e thésis ‘abbassamen-to’). Nella metrica greca arsi è l’elevamento, tesi l’abbas-samento (della mano o del piede o del dito) nella → scan-sione del verso a indicare l’inizio di una serie ritmica. Dun-que l’arsi è il tempo debole (‘in levare’), la tesi, per con-trapposizione, il tempo forte (‘in battere’). Dunque: arsi èil tempo senza battuta, tesi è il tempo dell’→ ictus, dellabattuta. Questa terminologia implica, evidentemente, unfatto meccanico, non un fatto vocale. In seguito, in epoca

ARSI/TESI 19

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latina tarda (e in dichiarazioni esplicite dei grammatici Ma-rio Vittorino, IV secolo d. C., e Prisciano, VI secolo d. C.)i termini coinvolsero non più la bacchetta (dito o mano),ma la voce. Se arsi era l’elatio e tesi la depositio della voce,i termini si scambiavano i significati: arsi risultava il tem-po forte (colpito da ictus), tesi il tempo debole (senza ic-tus, o atono). Il cambiamento non è solo terminologico, maregistra una mutata sensibilità e situazione linguistica giàa partire dal II secolo d. C.: i parlanti già individuano, nel-l’accento, l’intensità, e non più la musicalità, come trattodistintivo; e l’ictus va a coincidere con l’arsi. Oggi, in gram-matica e manualistica, sempre s’intende per arsi il tempoforte, ovvero accentato, soggetto a ictus, tonico; per tesi iltempo debole, ovvero non accentato, non sede di ictus, ato-no (tranne che in occasioni peculiari, per esempio in Hallee Keyser [«Metrica», in Enciclopedia Einaudi, IX, Einau-di, Torino 1980, pp. 254-84], e non a caso, perché essi ri-ducono il fatto vocale a fatto cibernetico-visivo,una voltatradotto il batter dell’ictus in ‘segno’ di tempo forte indi-cato con F). → metro; verso.

asclepiadea/-o

Cinque sono i sistemi asclepiadei oraziani:

I)

⁄ , ⁄ ^ ^ \ / ⁄ ^ ^ \ , ^ _.

ovvero una successione sciolta di versi asclepiadei minori(uno → spondeo, due coriambi e un → giambo) con → ce-sura dopo il primo coriambo (forse in distici, altri diconotetrastici) (cfr. Orazio, Carmina, I, 1);

II)

⁄ , ⁄ ^ ^ \ / ⁄ ^ ^ \ , ^ _.

⁄ , ⁄ ^ ^ \ / ⁄ ^ ^ \ , ^ _.

⁄ , ⁄ ^ ^ \ / ⁄ ^ ^ \ , ^ _.

⁄ , ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ _.

ovvero un sistema strofico tetrastico formato da tre ascle-

20 ASCLEPIADEA/-O

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piadei minori (cfr. sistema I) e un → gliconeo (cfr. Orazio,Carmina, I, 6; 15; 24, ecc.);

III)

⁄ , ⁄ ^ ^ \ / ⁄ ^ ^ \ , ^ _.

⁄ , ⁄ ^ ^ \ / ⁄ ^ ^ \ , ^ _.

⁄ , ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ⁄ , ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ _.

cioè una strofa tetrastica formata da due asclepiadei mino-ri (cfr. sistema I) più un → ferecrateo e da un → gliconeo(cfr. sistema II) (cfr. Orazio, Carmina, I, 5; 14; 21, ecc.);

IV)

⁄ , ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ _.

⁄ , ⁄ ^ ^ \ / ⁄ ^ ^ \ , ^ _.

⁄ , ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ _.

⁄ , ⁄ ^ ^ \ / ⁄ ^ ^ \ , ^ _.

cioè un sistema tetrastico formato da gliconei (cfr. sistema II)e asclepiadei minori (cfr. sistema I) alternati senza → sina-fia tra i distici (cfr. Orazio, Carmina, I, 3; 13; 19, ecc.);

V)

⁄ , ⁄ ^ ^ \ / ⁄ ^ ^ \ / ⁄ ^ ^ \ , ^ _.

⁄ , ⁄ ^ ^ \ / ⁄ ^ ^ \ / ⁄ ^ ^ \ , ^ _.

⁄ , ⁄ ^ ^ \ / ⁄ ^ ^ \ / ⁄ ^ ^ \ , ^ _.

⁄ , ⁄ ^ ^ \ / ⁄ ^ ^ \ / ⁄ ^ ^ \ , ^ _.

cioè un sistema tetrastico (ma può essere considerato pureuna sequenza di versi sciolti) formato da quattro asclepia-dei maggiori che risultano formati, ciascuno, da uno spon-deo più tre coriambi più un giambo, con due cesure diere-tiche dopo il primo e il secondo coriambo (Orazio, Carmi-na, I, 11; 18; IV, 10) [cfr. Boldrini S., La prosodia e la me-trica dei Romani, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1992,Ramous M., Introduzione a Orazio, Odi ed Epodi, Garzan-ti, Milano 1986 e Lenchantin de Gubernatis M., Manualedi prosodia e metrica latina, Principato, Milano-Messina1964 (1934)].Il primo e l’ultimo sistema non furono imitati in → metri-ca barbara, poiché portavano semplicemente a un bottino

ASCLEPIADEA/-O 21

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magro di versi sciolti. Mentre gli altri tre misti di asclepia-dei e gliconei furono imitati già dal Chiabrera. Egli sosti-tuì nel sistema III al ferecrateo il settenario piano, al gli-coneo il settenario sdrucciolo. Per gli asclepiadei del II: en-decasillabi sdruccioli con cesura dopo la sesta sillaba, co-struiti con un settenario tronco nel primo emistichio, conobbligatorio accento forte di 6a, quinario sdrucciolo conarsi sulla prima sillaba nel secondo emistichio:

Odi tu mormorar l’onda che gelidaverso il florido pian limpida volgesiOnde i teneri fior languidi ed aridivezzeggiando ravvivansi?

Per gli asclepiadei del sistema III: quinario sdrucciolo conarsi sulla quarta più quinario sdrucciolo con arsi sulla pri-ma (la 7a del verso intero) e poi sulla 4a, ovviamente (cioèla 10a in generale):

Sull’età giovane ch’avida suggeresuol d’amor tossico, simile al nettare,quando il piangere è dolcee dolcissimo l’ardere.

Sistema IV: il settenario sdrucciolo sostituisce il gliconeo,un endecasillabo di due quinari sdruccioli sostituisce l’a-sclepiadeo:

Crudi fiati di Borea,fremendo torbidi, svellono gli alberi;giorni cari di Bromio,che a bere i popoli lieti consigliano

[cfr. Elwert W. T., Italienische Metrik, Max Hueber Ver-lag, München 1968 (trad. it. Versificazione italiana dalleorigini ai giorni nostri, Le Monnier, Firenze 1973)]. Fanto-ni e Carducci variamente imitarono. Carducci attenuò l’ef-fetto troppo monotono muovendo la sede degli accenti; peril sistema II adottò tre endecasillabi sdruccioli regolari,d’accenti variabili, più un settenario sdrucciolo per l’ulti-mo verso:

Tu parli; e de la voce a la molle auralenta cedendo, si abbandona l’anima

22 ASCLEPIADEA/-O

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del tuo parlar su l’onde carezzevoli,e a strane plaghe naviga

(Fantasia).

Per il III ripercorse Chiabrera in Su l’Adda; idem per il IVin Ave; raccolse la sfida del sistema I in Da Desenzano, bar-baramente restituito in strofe di quattro endecasillabisdruccioli, separati dalla sola sintassi e dalla divisione ti-pografica (elemento barbarissimo perché tipicamente mo-derno) delle strofe tetrastiche.

asinarteto/sinarteto

(gr. asynàrtetos ‘sconnesso, slegato’; sinarteto è il contra-rio). In metrica classica, con asinarteto s’intende un versocomposto di due cola (→ colon) di ritmo differente e bendistinti tra loro. Fra i due cola può esservi iato e sillaba an-cipite, possono dunque verificarsi le condizioni tipiche difine verso. Asinarteti, sono, per esempio, l’elegiambo e ilgiambelego (→ archilochea/-o; trimetro) che nascono dal-l’unione stichica di due versi differenti. Fraccaroli [D’unateoria razionale di metrica italiana, Loescher, Torino 1887]ha introdotto il termine nella metrica italiana e romanza,intendendo per asinarteti (slegati) versi come il → settena-rio doppio o l’→ alessandrino o il → martelliano e il → dé-casyllabe francese, dal momento che ogni membro è consi-derato come un verso a sé (e non c’è di regola la → sinale-fe tra i due emistichi; → emistichio; cesura). Al contrario,l’→ endecasillabo italiano sarebbe, in tale prospettiva, si-narteto, perché tra le due parti che normalmente lo com-pongono (quinario+settenario o viceversa) è di norma lasinalefe.

assillabazione → allitterazione

ASSILLABAZIONE 23

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assonanza

Uguaglianza, tra due parole, delle sole vocali (esclusa dun-que la o le consonanti) a contare dalla tonica in poi. Può es-serci assonanza anche della sola vocale tonica (assonanzatonica) o della sola vocale atona (assonanza atona). Di soli-to si differenzia dalla → consonanza, che è la corrispondenzadelle sole consonanti, sempre in zona rimica. Ma da anticadata la terminologia è oscillante. Elwert [Italienische Metrik,Max Hueber Verlag, München 1968 (trad. it. Versifica-zione italiana dalle origini ai giorni nostri, Le Monnier, Fi-renze 1973)] designa con «assonanza tonica quella in cui so-no uguali soltanto le vocali toniche, e non è necessario chesiano uguali anche le vocali atone della sillaba finale, adesempio: acqua : fatta, ma anche fronte : immoto : affon-da : opra (G. D’Annunzio, La notte di Caprera). Se coinci-dono soltanto la vocale finale e la consonante che la prece-de, si dice assonanza atona. Si ha invece assonanza conso-nantica quando le vocali sono diverse ma le consonanti ugua-li: -ente : -anto. Quest’ultimo caso è detto, non senza equi-voco, consonanza». Allora dovrebbe distinguersi un’asso-nanza consonantica (sole consonanti) da un’assonanzavocalica (sole vocali). Soprattutto si dirà: lo statuto dell’as-sonanza muta col variare storico della competenza metricae, più in particolare, del valore attribuito alla rima. Nonsempre dunque si può considerare l’assonanza come un’im-perfezione di rima (rima imperfetta). In alcune epoche e areel’assonanza può a tutti gli effetti sostituire nel suo ruolo dilegame dei versi la rima, ad esempio nelle chansons de gesteantico-francesi. Nella → lauda, nel → serventese e nel →cantare l’assonanza è ammessa accanto alla rima; in parti-colare abbiamo laude raggruppate stroficamente in quarti-ne monoassonanzate di → alessandrini. La poesia illustrenon è totalmente esclusa dal fenomeno: Dante nelle Rime(LVIII) fa corrispondere morto : scorto : ricolto (minimo loscarto in effetti); Cino da Pistoia (Degno son io di morte)morte : fore [cfr. Trovato P., Sulla rima imperfetta per asso-nanza nella lirica delle origini (con un’ipotesi per Cino, «De-gno son io»), in «Medioevo romanzo», XII, 1987, pp.

24 ASSILLABAZIONE

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337-52]. Molto frequente l’assonanza nelle composizioni(specie cantate) popolari, per esempio lo → stornello («Fio-rin, fiorino, | di voi bellina innamorato sono» [cfr. Cirese A.M., Ragioni metriche. Versificazione e tradizioni orali, Selle-rio, Palermo 1988]); e, dietro, Carducci («Fior tricolo-re, | tramontano le stelle in mezzo al mare»: assonanza ato-ne per Elwert). Dà alle a forza di strutturazione strofica (eson strofe illustri e complicate) D’Annunzio (ad esempio Se-ra fiesolana e Beatitudine, in Alcyone [cfr. Gavazzeni F., Lesinopie di «Alcione», Ricciardi, Milano-Napoli 1980]). NelNovecento vario e sempre d’elevata allusività l’uso dell’as-sonanza in rapporto alle rime (presenti o assenti): abba-glia : meraviglia : muraglia : bottiglia (Montale). Il Pasolinipolitico-didascalico surroga le rime delle sue terzine con di-versi tipi di assonanza: Picasso : bassa : grassa. Caproni ter-mina la sua lunga Litania di tutte rime («Genova mia cittàintera. | Geranio. Polveriera»), con l’unica assonanza: «ber-saglio dove inclina | la rondine: la rima».

asticcio

Gioco fonico-semantico tra due parole di un verso (o unaserie di versi) per cui una di esse, posta in punta di verso,è omonima di un’altra, posta all’interno (in casi di maggiorevidenza simmetrica, all’inizio) del verso. È figura di equi-vocazione (→ rima equivoca) che Antonio da Tempo (→ me-tricologia) chiamò astezus ed esemplificò con «Vostre ver-tute non son di ver tute | e se ’l dimostro, però no ’l dì mo-stro» (che sarebbe asticcio composito, cioè con parole com-poste: vertute / ver tute e dimostro / dì mostro). Giacomo daLentini declinò più complicatamente, ribadendo all’inter-no del verso e in rima la radice della parola (→ rima deri-vata) [cfr. Elwert W. T., Italienische Metrik, Max HueberVerlag, München 1968 (trad. it. Versificazione italiana dal-le origini ai giorni nostri, Le Monnier, Firenze 1973)] in que-sto suo sonetto:

Eo viso e son diviso da lo viso,e per aviso credo ben visare;però diviso viso da lo viso,ch’ altr’è lo viso che lo divisare.

ASTICCIO 25

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baccheo → piede

ballata

La ballata antica, originariamente accompagnata non soloda musica ma dai danzatori, dunque ‘canzone a ballo’ (prov.dansa), di discussa etimologia, è una composizione metricatipicamente italiana, che sorge a Firenze e Bologna attor-no alla metà del XIII secolo e viene condotta a perfezioned’arte alta dallo Stilnovismo e da Petrarca. Ignorata dai Si-ciliani, venne usata anche da Guittone e Jacopone e poi daaltri come metro della → lauda. Suo tratto fondamentale èla presenza, come prima → strofa, di un ritornello o ripresa(lat. responsorium) la cui ultima rima è ripetuta, di regola,alla fine della → stanza (o delle stanze, sempre tutte ugua-li tra loro, se sono al plurale). La forma più primitiva è quel-la detta zagialesca (→ zejel ) (per convenzione si dedicano leultime lettere dell’alfabeto alla ripresa):

Omo mittete a pensare x ritornelloonno te ven lo glorïare x

Omo pensa de che simo a stanzae de che fommo e a che gimo aed en che retornarimo; aora mittete a cuitare x

D’uman seme sii concetto: b stanza

B

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BALLATA 27

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putulente sta soietto bsi ben te vidi nel deritto bnon hai donne te essaltare x

(Jacopone da Todi).

Si sviluppò quindi così:

x ritornelloyyx

a stanzabababbx

x ritornelloyyx

c stanzadcdcddx

Ogni coppia ab (o cd) si chiama mutazione o piede (dunquetre mutazioni o piedi; prima mutazione, seconda, terza) eil quarto elemento bx (o dx) si chiama volta, perché con lasua rima volge al ritornello. Nell’esecuzione musicale la ri-presa è cantata tra una stanza e l’altra, nella versione lette-raria è frequente che la ballata sia formata solo da una ri-presa più una o più stanze (ballata pluristrofiche, dette daBembo vestite). L’evoluzione più matura della ballata anti-ca è la seguente:

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28 BALLATA

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Voi che savete ragionar d’Amore Xudite la ballata mia pietosa Yche parla d’una donna disdegnosa, Y

ritornello

la qual m’ha tolto il cor per suo valore X

Tanto disdegna qualunque la mira, Ache fa chinare gli occhi di paura B mutazioniperò che intorno a’ suoi sempre si gira A o piedid’ogni crudelitate una pintura; B stanza

ma dentro portan la dolze figura Bch’a l’anima gentil fa dir: «Merzede», Csì vertüosa che, quando si vede, C

volta

trae li sospiri altrui fora del core. X

Il primo verso della volta è dunque legato all’ultimo versodei piedi e l’ultimo verso della volta è legato al primo delritornello, la volta ha la stessa misura complessiva dei pie-di e – fatto d’obbligo in ogni tipo di ballata – ribadisce lastruttura del ritornello. Nel ‘ballo in tondo’ si svolgeva un«intero giro di danza a destra durante la ripresa, mezzo gi-ro a sinistra al primo piede, mezzo di nuovo a destra al se-condo, e uno intero a sinistra durante la volta; così alla fi-ne tutte le danzatrici si ritrovavano al posto di prima»[Spongano R., Nozioni ed esempi di metrica italiana, Pàtron,Bologna 1966]. Ecco un esempio di ballata letteraria dacolui che lanciò a Firenze la novità del metro, G. Caval-canti (lo schema è ripetuto per sei stanze):

Era in penser d’amor quand’i’ trovai Xdue foresette nove. yL’una cantava: «E’ piove ygioco d’amore in noi». z

Era la vista lor tanto soave Ae tanto queta, cortese e umìle, Bch’i’ dissi lor: «Vo’ portate la chiave Adi ciascuna vertù alta e gentile. BDeh, foresette, no m’abbiate a vile Bper lo colpo ch’io porto; cquesto cor mi fue morto cpoi che ’n Tolosa fui». z

Lo schema di Era in penser d’amore prevede dunque una ri-presa Xyyz e una strofa formata da due mutazioni (o pie-

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BALLATA 29

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di) AB e dalla volta Bccz: le maiuscole indicano endecasil-labi le minuscole settenari, secondo l’impiego imparisilla-bico di gran lunga più ricorrente e poi quasi canonico. Dan-te scrive per Beatrice un’unica ballata d’influsso cavalcan-tiano, Ballata, i’ vo’ che tu ritrovi Amore, contenuta nellaVita nova, e composta da quattro stanze:

Ballata, i’ vo’ che tu ritrovi Amore, Xe con lui vadi a madonna davante, Ysì che la scusa mia, la qual tu cante, Yragioni poi con lei lo mio segnore. X

Tu vai, ballata, sì cortesemente, Ache senza compagnia bdovresti in tutte parti avere ardire; Cma se tu vuoli andar sicuramente, Aretrova l’Amor pria, bché forse non è buon senza lui gire; Cperò che quella che ti dêe audire, Csì com’io credo, è ver’ di me adirata: Dse tu di lui non fossi acompagnata, Dleggieramente ti faria disnore. X

Quindi ripresa XYYX due mutazioni (o piedi) AbC e vol-ta CDDX (da notare il predominio degli endecasillabi suisettenari). Nel De vulgari eloquentia Dante teorizzerà la su-periorità delle canzoni sulle ballata (proprio perché que-st’ultime «hanno bisogno di danzatori»). Antonio da Tem-po (→ metricologia) trattò ampiamente le ballata dividen-dole in grandi, mezzane, minori e minime, a seconda dell’a-dozione dei metri della ripresa: grande con ripresa di tre en-decasillabi più un settenario; mezzana con ripresa di tre en-decasillabi oppure di due endecasillabi più due settenari o,ancora, di due endecasillabi più un settenario; minore conripresa di due versi; minima con ripresa di un solo verso (èindifferente per questi ultimi due tipi se il verso o i versisiano endecasillabi o settenari). Ma, al proposito, la ter-minologia è oscillante. Oggi si tende a semplificare indi-cando con:1) grande la ballata con ripresa di quattro versi (quattro en-decasillabi, oppure tre endecasillabi e un settenario varia-mente posizionato, oppure due endecasillabi e due sette-nari o altre soluzioni ancora).

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30 BALLATA

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Esempi:

Veggio negli occhi de la donna mia Xun lume pien di spiriti d’amore, Yche porta uno piacer novo nel core, Ysì che vi porta d’allegrezza vita. X

Cosa m’aven, quand’i’ le son presente, Ach’i’ no la posso a lo ’ntelletto dire: Bveder mi par de la sua labbia uscire Buna sì bella donna, che la mente Acomprender no la può, che ’mmantenente Ane nasce un’altra di bellezza nova, Cda la qual par ch’una stella si mova Ce dica: «La salute tua è apparita» X

(Guido Cavalcanti)

su due strofe, oppure:

Cara mia donna, vivi ormai contenta, Xch’anzi mi vo’ soffrir la mie gran doglia, Yche con tuo pena voglia ycercar grazia al disio che mi tormenta. X

Come degg’io da te grazia volere Adi quel piacer che turba la tuo mente? BChé, pur che tu me ’l die, nol posso avere, Apo’ che con pena l’animo ’l consente, Bperò ch’i’ t’amo sì perfettamente, Bche, come che del dono i’ mi sia vago, Cpoco nel cor m’apago, cpensando ch’appagata te non senta. X

(intonata da Francesco Landini)

monostrofica, come anche la successiva (che nella volta ri-prende, eccezionalmente, non l’ultima ma la prima rimadella ripresa):

Caro signor, palesa xla tuo legge a coste’, che non ha sdegno Ydi far forza ed offesa, xche se n’aquisti ’l ben del dolze regno. Y

Non vòl, Amor, ch’amante servi fede Adonna che ’l privi del suo dolc’ effetto, Bné ispergiuro sente o ’nganno vede, Apur ch’adempia suo voglia con diletto. B

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BALLATA 31

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Deh non ti sia in dispetto bquell’amorosa ferza, che l’accesa Xfiamma ch’i’ ho nel petto busar mi fece, a mie vita difesa X

(intonata da Francesco Landini);

2) mezzana quella con ripresa di tre versi (tre endecasillabio due endecasillabi e un settenario). Esempi:

A le’ s’andrà lo spirto e l’alma mia, Xomai che per amor il corpo privo Ylascia di vita e più non può star vivo. Y

Mostrò a me questa lucida stella, Ache par figlia d’Apollo, sì risplende Bco’ suo begli occhi, Amor con dolce vita. COr è rivolta la sua vista bella, Asì ch’a me cresce pena e più s’accende Bl’alma che piange la dura partita. CMa se Amor, il mio signor, m’aita Cch’ella vèr me si volga, anzi che privo Yio sia di vita ancor tornerò vivo. Y

(intonata da Francesco Landini)

Amor, quando fioria xmia spene, e ’l guidardon di tanta fede, Ytolta m’è quella ond’attendea mercede. Y

Ahi dispietata morte, ahi crudel vita! AL’una m’ha posto in doglia, bet mie speranze acerbamente à spente; Cl’altra mi tèn qua giù contra mia voglia, Bet lei che se n’è gita aseguir non posso, ch’ella nol consente. CMa pur ognor presente cnel mezzo del meo cor madonna siede, Yet qual è la mia vita, ella sel vede. Y

(Francesco Petrarca)

entrambe monostrofiche;3) minore quella con ripresa di due versi, di solito due en-decasillabi, ad esempio:

Abbonda di virtù chi sanza vizio Xserve ad Amor con fé sanz’altro ’ndizio. X

Amor non pregia forza né ricchezza, Ané gente di nazion né d’alto stato: B

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32 BALLATA

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vuol senno con virtù e gentilezza Adi cuore e sie cortese ed insegnato. BCui d’onestà quel sir vedrà dotato, Bper servo lui terrà nel suo ospizio. X

(intonata da Francesco Landini)

monostrofica; ma in qualche caso anche optando per la for-mula settenario+endecasillabo:

Per figura del cielo xquesta spera mortal a nullo celo, Y

ma mostr’ a tutti el suo corso celeste Acon grande spoglie ed ora in picciol veste, Ae muta doglia in feste ae così occulta a tutti el suo bel velo Y

(intonata da Bartolino da Padova)

su due strofe, con mutazioni di un solo verso;4) piccola quella con ripresa formata da un solo endecasil-labo. Esempio:

Ne la tuo luce tien’ la vita mia. X

Da gli occhi vien la speranza nel core Ae come piace a deo si vive e more, Aed Amor, ch’è mi’ duca, eterno fia. X

(intonata da Francesco Landini)

su due strofe;5) minima quella con ripresa formata da un solo verso dimisura minore all’endecasillabo:

Dio mi guardi di peggio! x

Guardami, Dio, da’ «come ben gli sta!» A’e «che andava cercando?»; bguardami, Dio, da colui che mal fa A’e che va mal pensando, bch’i’ altro non ti cheggio x

(intonata da Niccolò del Proposto).

Qualora la lunghezza della ripresa superi i quattro versi siparla di ballata estravagante, come in questo esempio di Ca-valcanti (su quattro stanze):

Perch’i’ no spero di tornar giammai, Xballatetta, in Toscana, y

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BARZELLETTA 33

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va’ tu, leggera e piana, ydritt’ a la donna mia, wche per sua cortesia wti farà molto onore. z

Tu porterai novelle di sospiri Apiene di dogli’ e di molta paura; Bma guarda che persona non ti miri Ache sia nemica di gentil natura: Bché certo per la mia disaventura Btu saresti contesa, ctanto da lei ripresa cche mi sarebbe angoscia; ddopo la morte, poscia, dpianto e novel dolore. z

Che Contini però definisce ballata «mezzana». Oscillazioninella definizione si trovano anche per i casi in cui la ripre-sa è formata da quattro versi tutti di misura inferiore al-l’endecasillabo (ad esempio la ballata intonata da France-sco Landini Donna, se ’l cor t’ho dato, con ripresa x7y7y7x7,due mutazioni a7b7 e volta b7c7c7x7), che possono essere de-finite «grandi» se si tien conto del numero dei versi dellaripresa, «mezzane» se si tien conto della loro qualità.Sono forme di ballata la → canzonetta tre-quattrocentesca,la → barzelletta, e alcune canzonette chiabreriane (Scherzi[cfr. Bertone G., Per una ricerca metricologica su Chiabrera,Marietti, Genova 1991]). La ballata antica verrà ripresa daTommaseo (Libertà) nello schema di gran lunga più fre-quente del Trecento (ripresa XX, due mutazioni AB e vol-ta BX); dal Carducci (Ballata dolorosa); da Pascoli, con op-zione di piccole e minime (Patria). Ballate variamente ca-muffate si van cercando e si trovano nella poesia del Nove-cento [su tutto cfr. Capovilla 1977, 1978a e 1978b]. Per laballata romantica → romanza.

barzelletta

Forse dal fr. bergerette che indicava in terra di Francia unaforma a metà tra virelai e → rondeau. Propria della poesiaitaliana; è detta anche frottola-barzelletta (→ frottola). Una

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34 BARZELLETTA

Letteratura italiana Einaudi

canzonetta con accompagnamento musicale (liuto e viola)in forma metrica di → ballata vestita di ottonari anzichéimparisillabi (cioè gli endecasillabi e settenari tipici dellaballata). Schema di base:

xyy

ripresa o ritornello

x

aba

piedi

bb

stanza

cc

volta

x

xyy

ripresa o ritornello

x

Diffusa nel Trecento e soprattutto nel Quattrocento, fuadottata e resa famosa, se non illustre, dal Magnifico e dalPoliziano:

Quant’è bella giovinezza, xche si fugge tuttavia! yChi vuol esser lieto, sia: ydi doman non c’è certezza. x

Quest’è Bacco e Arïanna, abelli, e l’un dell’altro ardenti: bperché ’l tempo fugge e inganna, asempre insieme stan contenti. bQueste ninfe ed altre genti bsono allegre tuttavia. yChi vuol esser lieto, sia: ydi doman non c’è certezza. x

(Lorenzo de’ Medici, Canzone di Bacco).

Questa barzelletta è tutta composta di ottonari e la voltaripete una parte del ritornello non solo con la rima ma contutto il verso o un emistichio.

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BRINDISI 35

Letteratura italiana Einaudi

brindisi

Non si tratta di uno schema metrico ma, a partire dal Cin-quecento italiano, di un genere: il genere conviviale e del-la simbolica bevuta celebrativa. Si vale di sistemi metriciaffini al → ditirambo e alla → canzonetta (→ anacreonti-ca/-o). Il componimento di Chiabrera «Vadano a volo i can-ti: anima pura | sempre è sicura | ecc.» (Le vendemmie diParnaso) è un brindisi per tema («beviamo») in forma diballata minore con forte influenza della canzonetta [cfr.Bertone G., Per una ricerca metricologica su Chiabrera, Ma-rietti, Genova 1991]. A Satana di Carducci è un → innoma anche un brindisi effettivamente recitato in un ban-chetto di amici, in strofe tetrastiche di → quinari sdruc-cioli e piani alternati.

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caccia

In origine termine d’accezione musicale, di discussa pro-venienza francese (XIII secolo) e sviluppi italiani (XIV) edeuropei. Poesia per musica polifonica. Metricamente for-mata negli schemi o di una → frottola o di una → barzel-letta, o → madrigale, o → ballata, o → polimetro (→ tra-dizione astrofica); prevalgono però i versi brevi. Il ter-mine indicava il modo in cui le diverse voci, procedendoda una stessa melodia, si inseguono, cioè si ‘dànno la cac-cia’. Si cita, di solito, F. Sacchetti, Passando con pensierper un boschetto, con struttura metrica irregolare, musi-cata da Nicolò del Preposto. Questi sono i primi venti ver-si della poesia:

Passando con pensier per un boschetto, Adonne per quello givan, fior cogliendo, B«To’ quel, to’ quel» dicendo. b7

«Eccolo, eccolo!» c5”«Che è, che è?» d5’«È fior alliso» e5

«Va là per le vïole» f7

«Omè, che ’l prun mi punge!» g7

«Quel’altra me’ v’aggiunge» g7

«Uh, uh! O che è quel che salta?» h9

«È un grillo» i3

«Venite qua, correte: j7

raperonzoli cogliete» j8

«E’ non son essi» «Sì, sono» k8

«Colei, l3

o colei, l4

C

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CANTARE 37

Letteratura italiana Einaudi

vie’ qua, m3’vie’ qua m3’pe’ funghi» n3

«Costà, costà, pel sermolino». o9

Col Carducci, antologizzatore metrico anche di Cacce in ri-ma dei secoli XIV e XV, il termine inerisce strettamente alcontenuto: scene di caccia con valore allusivo alle battaglied’amore, rappresentazioni tumultuose. Esemplari pure nel-la poesia inglese del Seicento [cfr. Russell R., Generi poe-tici medievali, Società Editrice Napoletana, Napoli1982].

cacofonia → eufonia/cacofonia

cantare

Poema narrativo originariamente orale e popolare, anchese non esclusivamente, di tema guerresco, eroico, cavalle-resco, leggendario o anche religioso. Grandi gli sviluppinei secoli XIV e XV. Veniva recitato davanti al pubblico daun cantastorie con l’accompagnamento di viola o altrostrumento a corda. La forma metrica prevalente è l’otta-va rima (→ ottava), chiamata pure ottava canterina. Spes-so anonimo come il famoso Cantare di Fiorio e Biancifioreo della Ponzela Gaia e La donna del Vergiù; o di paternitàcerta come i Cantari della guerra di Pisa di Antonio Pucci.Per essere cronologicamente limitrofi di poemi in ottaveimportanti come il Filostrato (1336; il Cantare di Fiorio eBiancifiore fu trascritto, non per la prima volta, nel 1343)pongono il problema della priorità d’invenzione dell’otta-va: i cantari o Boccaccio? O tutti e due da una tradizioneprecedente? L’approssimazione metrica dei cantari (→ ani-sosillabismo; assonanza; rima imperfetta) ha indotto a unconfronto con la → lauda (una lauda jacoponica ha sche-ma ABABABAB di ottava ‘siciliana’) [cfr. Balduino A. (acura di) Cantari del Trecento, Marzorati, Milano 1970; Id.,«Pater semper incertus». Ancora sulle origini dell’ottava ri-ma, in «Metrica», III, 1982, pp. 107-58].

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38 CANTATA

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cantata → aria

canzone

Componimento strofico (→ strofa) di alto rango e tema li-rico, principalmente, e poi dottrinale e politico, ma sempredantescamente «tragico» (lirico anche nel senso di legato,almeno in origine, alla musica) che i Siciliani e poi i Toscanimandarono a perfezione sul modello della cansò provenza-le. Dante lo praticò con particolare impegno e lo teorizzònel II libro del De vulgari eloquentia come la forma poeticapiù alta, signoreggiante sulla → ballata, ch’è gravata di ri-tornello e dipende dai piedi battenti dei danzatori, e sul →sonetto; Petrarca ne consegnò l’aureo modello ai secoli suc-cessivi (c petrarchesca). Semplificando molto e nella termi-nologia moderna (non esattamente quella del De vulgari elo-quentia) lo schema, per esempio, della dantesca Donne ch’a-vete intellecto d’amore (dalla Vita nova):

Donne ch’avete intellecto d’amore,i’ vo’ con voi della mia donna dire,non perch’io creda sua laude finire,ma ragionar per isfogar la mente.Io dico che pensando ’l suo valoreAmor sì dolce mi si fa sentire,che s’io allora non perdessi ardirefarei parlando innamorar la gente.E io non vo’ parlar sì altamentech’io divenissi per temenza vile;ma tracterò del suo stato gentilea rispecto di lei leggieramente,donne e donzelle amorose, con voi,ché non è cosa da parlarne altrui

è ABBC : ABBC; CDD : CEE (e così via nelle strofe suc-cessive: FGGH : FGGH; HII : HLL, ecc.). Ovvero: unprimo raggruppamento di versi (in vario numero: qui unaquartina) ABBC chiamato piede seguito un secondo rag-gruppamento simmetrico (secondo piede che ripete il pri-mo) che, sommati assieme, formano la fronte; un altro rag-gruppamento di versi (in vario numero: qui una terzina)

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CANZONE 39

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CDD chiamato volta che unito al suo simmetrico (ma il di-stico è su altre rime: seconda volta) compone la sirma (o si-rima, o coda). La sirma è collegata con la fronte da una ri-ma (C) che si chiama chiave (ma Dante la chiama concate-natio ‘concatenazione’, oppure diesis quando discute intermini più strettamente musicali dell’essenziale articola-zione in due parti della strofa). Dopo la prima strofa, chia-mata → stanza (in prov. coblas), nelle successive (nel no-stro esempio sono in tutto quattro) si ripete lo stesso sche-ma quanto a distribuzione delle rime e quanto a successio-ne dei versi (a un endecasillabo in prima sede corrispon-derà un endecasillabo in tutte le prime sedi successive; nel-l’esempio sono tutti – eccezionalmente persino dentro lerime dantesche – endecasillabi). I provenzali preferivanostanze unissonans, per mantenere cioè non solo lo stessoschema rimico ma proprio le stesse rime; Siciliani e Toscaniinvece stanze singulars, stesso schema ma rime rinnovatedi stanza in stanza. Dopo le varie stanze ne giunge un’ul-tima che si chiama congedo (o commiato; Dante nel Convi-vio: tornada, dal provenzale) in forza del contenuto meta-poetico con riferimento proprio al metro:

Canzone, io so che tu girai parlandoa donne assai, quand’io t’avrò avanzata.Or t’amonisco, poi ch’io t’ò allevataper figliuola d’Amor giovane e piana,che là ove giugni tu dichi pregando:«Insegnatemi gir, ch’io son mandataa quella di cui laude io so’ adornata».E se non vòli andar sì come vana,non restare ove sia gente villana:ingegnati, se puoi, d’esser palesesolo con donne o con omo cortese,che ti merranno là per via tostana.Tu troverai Amor con esso lei;raccomandami a.llui come tu dêi.

In Donne ch’avete lo schema del congedo è lo stesso dellestanze consorelle precedenti, ma non è obbligatorio che losia. Anzi, a partire soprattutto da Guittone d’Arezzo, il con-gedo riprende solitamente solo lo schema della sirma dellastanza (più raramente della fronte e ancor più di rado quel-

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40 CANZONE

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lo della sola volta della sirma). Ad esempio il congedo delladantesca E’ m’incresce di me sì duramente (Rime, LXVII):

Io ho parlato a voi, giovani donne,che avete li occhi di bellezze ornatie la mente d’amor vinta e pensosa,perché raccomandativi sian li detti miei ovunque sono:e ’nnanzi a voi perdonola morte mia a quella bella cosache me n’ha colpa e mai non fu pietosa

con schema ABCbDdCC, riproduce appunto la sirma del-la stanza (schema AbC : AbC; CDEdFfEE: alla chiave del-la stanza ‘normale’ corrisponde, nel congedo, una → rimairrelata).La tradizione provenzale ha escogitato, anche per finimnemonici, diversi tipi di legame tra le stanze (→ cobla).Varî i metri impiegati dai trovatori, varî quelli dei Sicilia-ni, inclusi con abbondanza i parisillabi. Tendono invece al-la selezione degli imparisillabi maggiori i Toscani: endeca-sillabo e settenario. Dante esalta l’endecasillabo e lo poned’obbligo all’inizio di stanza; Petrarca volentieri cederà: adesempio:

Chiare, fresche et dolci acque,ove le belle membrapose colei che sola a me par donna;gentil ramo ove piacque(con sospir’ mi rimembra)a lei di fare al bel fiancho colonna;herba et fior’ che la gonnaleggiadra ricoverseco l’angelico seno;aere sacro, sereno,ove Amor co’ begli occhi il cor m’aperse:date udïenza insiemea le dolenti mie parole extreme

con settenario d’apertura e ricco infarcimento di settena-ri, schema abC : abC; cdeeDfF, e congedo su tre versi cheaggancia lo schema degli ultimi tre della sirma. SempreDante ammette il settenario di sfumatura elegiaca (anchepiù d’uno, mai scompagnato dall’endecasillabo, però), e in

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CANZONE 41

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sott’ordine il quinario (il ternario solo come → emistichiodell’endecasillabo portante). Rigorosamente di tutti ende-casillabi la c → sestina per l’eccezionalità della sfida tecni-ca e semantica. Più sottilmente Dante enumera le struttu-re delle canzoni secondo queste possibilità: 1) due piedi+sirma indivisa; 2) due piedi+due volte; 3) fronte indivi-sa+2 volte (è uno schema, questo, praticamente inesisten-te nella tradizione italiana); esclusa invece la possibilità diuna stanza composta da fronte e sirma, perché priva delladivisione di almeno una delle due parti. Nei piedi tutti iversi devono rimare; nella sirma si ammettevano uno o dueversi senza rima (che rimano con i versi corrispondenti del-le stanze successive: Dante la nomina clavis ‘chiave’), main Dante medesimo si trova piuttosto (seppur di rado) larima irrelata, come in Lo doloroso amor che mi conduce (Ri-me, LXVIII):

Lo doloroso amor che mi conducea fin di morte per piacer di quellache lo mio cor solea tener gioioso,m’ha tolto e toglie ciascun dì la luceche avëan li occhi miei di tale stellache non credea di lei mai star doglioso:e ’l colpo suo, c’ho portato nascoso,omai si scopre per soverchia pena,la qual nasce del focoche m’ha tratto di gioco,sì ch’altro mai che male io non aspetto;e ’l viver mio (omai essere de’ poco)fin a la morte mia sospira e dice:«Per quella moro c’ha nome Beatrice»

che include nel suo schema ABC : ABC; CDeeFEGG, ledue rime D e F irrelate (abito poi dismesso dal Petrarca).Le sirme dantesche chiudono spesso con uno o più disticia rima baciata, col nome, ciascuno, di combinatio. Nellacanzone a stanze indivisibili ciascuno dei versi non trova ilsuo compagno all’interno della stanza ma in quelle succes-sive; è il caso di Verdi panni del Petrarca:

Verdi panni, sanguigni, oscuri o persi Anon vestì donna unquancho bné d’òr capelli in bionda treccia attorse, Csì bella com’è questa che mi spoglia (d3)E

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42 CANZONE

Letteratura italiana Einaudi

d’arbitrio, et dal camin de libertade Fseco mi tira sì ch’io non sostegno (g5)Halcun giogo men grave. i

Et se pur s’arma talor a dolersi Al’anima a cui vien mancho bconsiglio, ove ’l martir l’adduce in forse, Crappella lei da la sfrenata voglia (d3)Esùbita vista, ché del cor mi rade Fogni delira impresa, et ogni sdegno (g5)Hfa ’l veder lei soave. i

Stessa cosa vale per la c sestina. Paradigma per i secoli fu-turi, la c petrarchesca ha sempre sirma indivisa (tipo 1) ecombinatio, varietà di schemi, elusione di isometricità en-decasillabica. Così i petrarchisti e poi i secentisti, su su fi-no a Carducci e D’Annunzio e, rigorosamente petrarchi-sta, il Pasolini friulano di Cansion:

Lassàt in tal recuàrta fruvati, e in ta la lontanansaa lusi, sensa dòul jo i mi inpensidi te, sensa speransa.(Al ven sempri pí sidín e altil mar dai àins; e i to pras plensdi timp romai àrsit, i to puòrs vencsros di muarta padima, a son ta l’ordi chel mar: pierdús, e no planzús).Lassàs là scunussústa ciamps fores-c’ dopu che tant intòrdi lòur ài spasemàtdi amòur par capiju, par capí il puòrlusínt e pens so essi, a si àn sieràtcun te i to òmis sot di un sèil nulàt

con schema aBC : bAC; CDEeDfDFF, identico alle canti-lenae oculorum del Canzoniere, LXXI, LXXII e LXXIII.La rigorosa costruzione della c petrarchesca comincia ad es-sere intaccata da A. Caro e poi da G. Chiabrera, ma so-prattutto da A. Guidi (Canzoni a selva: → selva) con l’in-troduzione di stanze differenti tra loro (e perciò indipen-denti) sia per ordine di rime (con aumento delle irrelate)che per numero di versi. Giunge infine la progressiva spe-rimentazione leopardiana che conduce alla canzone liberao leopardiana (al limite, mera alternanza di settenari e en-

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CANZONE 43

Letteratura italiana Einaudi

decasillabi). Punto d’arrivo: A Silvia, 1828, con solamen-te l’ultimo verso di ogni stanza (settenario) legato a un ver-so interno di posizione variabile (cito la seconda e la quin-ta strofa, in corsivo le rime corrispondenti all’ultimo set-tenario della stanza):

Sonavan le quiete astanze, e le vie dintorno, bal tuo perpetuo canto, callor che all’opre femminili intenta Dsedevi, assai contenta ddi quel vago avvenir che in mente avevi. EEra il maggio odoroso: e tu solevi Ecosì menare il giorno. b

[…]

Tu pria che l’erba inaridisse il verno, Ada chiuso morbo combattuta e vinta, Bperivi, o tenerella. E non vedevi Cil fior degli anni tuoi; dnon ti molceva il core ela dolce lode or delle negre chiome, For degli sguardi innamorati e schivi; Gné teco le compagne ai dì festivi Gragionavan d’amore. e

Tappe: all’inizio, in All’Italia e Sopra il monumento di Dan-te alterna schemi diversi, uno per le stanze dispari uno perle pari (ma ugual numero di versi): ad esempio in All’Ita-lia le strofe dispari hanno schema ABcdABCeFGeFH-GIhIJiJ e quelle pari AbCDaBDEFgEfHgIHJKiK (e dun-que corrisponde in buona parte anche la successione dellerime, con spostamenti però dall’endecasillabo al settenarioe viceversa). Col Bruto minore (schema AbCDCEf-GhIJHklL) aumentano le rime irrelate (nove versi su quin-dici) fino all’Ultimo canto di Saffo in cui le stanze (diciottoversi) presentano ben sedici endecasillabi irrelati e una com-binatio (settenario+endecasillabo) a rima baciata. Per lacanzone a ballo → ballata; per la canzone di versi brevi →canzonetta; canzone eroica → ode pindarica; canzone frot-tolata → frottola.

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44 CANZONETTA

Letteratura italiana Einaudi

canzonetta

Nella metrica italiana delle origini è una → canzone che peressere di lunghezza ridotta, di versi più brevi (settenari eottonari, in prevalenza), all’interno di un rapporto moltostretto con la melodia, viene designata col diminutivo: co-sì già Jacopo da Lentini, Meravigliosa-mente, di tutti sette-nari con piedi abc : abc e sirma ddc (cito l’ultima strofa,con funzione di congedo):

Canzonetta novella,va’ canta nova cosa;lèvati da maitinodavanti a la più bella,fiore d’ogn’amorosa,bionda più c’auro fino:«Lo vostro amor, ch’è caro,donatelo al Notaroch’è nato da Lentino».

Nel De vulgari eloquentia Dante usa il termine lat. cantile-na. Ma lo schema metrico non è necessariamente legato aquello della canzone: la canzonetta è testo musicale che me-tricamente può declinarsi anche come → ballata (così nelQuattrocento; → barzelletta; e per le canzonette in formadi ballata di L. Giustinian dette giustiniane o veneziane →veneziana). Decisivo il rinnovamento di G. Chiabrera conla canzonetta → anacreontica, con predilezione per l’in-treccio di versi piani con sdruccioli e tronchi (e → rime rit-miche), con stretta connessione con le nuove forme musi-cali (per cui è detta pure canzonetta melica o ode-canzo-netta). Lo imitarono Rolli, Metastasio e, in vario modo, ilSette-Ottocento. Nel Novecento si veda la Canzonetta nuova di U. Saba,quattordici coppie di strofe di quinari abbc addc, con c qua-si sempre non tronco (cito la prima coppia):

Or che si tace– sia per brev’ora –quanto m’accorain me, nel mondo;

ed alla paceche m’ha beato

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CAPITOLO 45

Letteratura italiana Einaudi

è il cuore gratoquanto è profondo.

Richiama la canzonetta anche La scoperta di Marx di P. P.Pasolini, prevalentemente tre strofe di tre settenariabc.abc.ddc (cito la prima strofa [cfr. Bertone G., Note sul-la versificazione di Pasolini (I - «L’Usignolo della Chiesa cat-tolica»), in «Sigma», nuova serie, XIV, n. 2-3, pp. 38-561981]):

Può nascere da un’ombracon viso di fanciullae pudore di viola

un corpo che m’ingombrao, da un grembo azzurrouna coscienza – sola

dentro il mondo abitato?Fuori dal tempo è natoil figlio, e dentro muore.

canzuna → strambotto

capitolo

Il capitolo quadernario è una → strofa tetrastica che può es-sere composta di 1) tre endecasillabi monorimi più un qui-nario legato con la rima agli endecasillabi della strofa suc-cessiva, oppure 2) due endecasillabi più un settenario lega-to da rima all’endecasillabo precedente, più un altro ende-casillabo legato al primo della strofa successiva. Affine al cternario (cfr. infra) per l’incatenamento strofico, è una de-rivazione dal → serventese caudato avvenuta alla fine delXIV secolo. Schema più tipico (caso 2): ABbC | CDdE | EFfG | ... confinale di tre endecasillabi di cui due in → distico baciato:... | YZZ. Lo impiegò la lirica popolare e colta quattrocen-tesca (A. Pucci, Poliziano, L. Giustinian nelle sue → ve-neziane di tema amoroso). Ad esempio Poliziano, con sche-ma ABbC | CDdE | EFfG | ... | XYyZ | Z:

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46 CAPITOLO

Letteratura italiana Einaudi

I’ son costretto, po’ che vuole Amoreche vince e sforza tutto l’universonarrar con umil versola gran letizia che m’abonda il core.

Qui, eccezionalmente, nella prima strofa il primo verso,perché non rimanga irrelato, vien fatto rimare col quarto,per cui, a rigore, lo schema è ABbA; non così, ovviamen-te, nei successivi tetrastici.Il capitolo ternario, o semplicemente ternario o ternale o ter-za rima o terzina, è una strofa ternaria di endecasillabi in-catenata con intreccio di ciascuna rima che torna tre volte(tranne la prima e l’ultima che ricorrono solo due volte), laprima con la terza e la seconda con la prima della terzinasuccessiva e così via fino al verso isolato finale in rima colsecondo della terzina che precede: ABA | BCB | CDC | ...| XYX | YZY | Z. L’invenzione è quasi sicuramente di Dante (→ terzina). Ilnome di capitolo ternario o capitolo, secondo alcuni(A. Minturno, Arte poetica, 1564) discenderebbe dalle di-visioni dei Trionfi petrarcheschi, e fu poi applicato so-prattutto ai componimenti del Berni composti in quel me-tro e dopo di lui dai fedeli berneschi. Fu utilizzato poi inogni genere di poesia, soprattutto politica, didascalica emorale (sec. XIV), ma anche amorosa (sec. XV), nel sermo-ne satirico (sec. XV), nella satira e nell’epistola satirica dal-l’Ariosto all’Alfieri su fino a Leopardi, a Carducci e a Pa-solini. L’origine del ternario è variamente postulata: già Antonioda Tempo e Gidino da Sommacampagna (→ metricologia)lo facevano derivare dal → serventese incatenato semplice(AAAb | BBBc | CCCd, il quinario viene eliminato in tut-to ma non nella sua funzione rimica che viene spostata alsecondo verso, endecasillabo anch’esso: ABA | BCB | ecc.);altri indicano la sirma di → sonetto a terzetti incatenati(CDC DCD), ma si vedano anche i piedi della maggior par-te delle canzoni dantesche; altri ancora indicano addirit-tura la → sestina doppia.

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CATALESSI/ACATALESSI 47

Letteratura italiana Einaudi

caribo

Genere musicale del Duecento, danzato («danzando al lo-ro angelico caribo»: Dante, Purgatorio XXXI, 132) di rit-mo ineguale e volubile. Metricamente un componimentoassimilabile al → discordo (→ tradizione astrofica). Po-chissimi testimoni: il caribo di Giacomino Pugliese («Don-na, per vostro amore | trovo | e rinovo | mi’ coragio», conversi brevi anche bisillabi) e il caribetto di Meo de’ Tolo-mei.

catalessi/acatalessi

(gr. katálexis, < katalégo ‘finire, far cessare’). Nella → me-trica greca e latina la catalessi è la soppressione di una opiù sillabe nell’ultimo piede di un verso. L’acatalessi indi-ca che il fenomeno della soppressione non si è verificatoe, dunque, il piede terminale si mantiene intero. Si parladi catalessi in syllabam se del piede incompleto resta unasola sillaba, in dysillabum se ne restano due. Così l’→ esa-metro dattilico che esce in ⁄ ^ ^ , ⁄ _. è catalettico in di-syllabum, il → pentametro dattilico che esce in ⁄ ^ ^ , _. ècatalettico in syllabam (→ archilochea/-o; dimetro; epodo;tetrametro). Nelle sperimentazioni di metrica neoclassica(→ metrica barbara) la catalessi è uno dei punti nodali. Fin dal Cinquecento, per esempio, si vuole rendere il →trimetro giambico acatalettico con un → endecasillabosdrucciolo («Ecco la Lena, che vuol far spettacolo»: L.Ariosto, Lena) e il Trissino, nell’ambito dei tentativi di re-staurazione della metrica classica, volge l’orecchio all’au-scultazione dell’endecasillabo piano come un → trimetrogiambico catalettico, e come tale lo descrive in teoria.

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48 CESURA

Letteratura italiana Einaudi

cesura

(lat. caesura ‘taglio’). Nella metrica classica è la pausa rit-mica che cade nel verso alla fine d’una parola e nel mezzodi un piede. Ad esempio nell’→ esametro «Arma virumquecano Troiae qui primus ab oris», dopo cano si ha la cesura(segnata di norma con /) che divide per metà il terzo piede«-no/Troi-». In quest’ultimo caso dicesi pentemimera o se-miquinaria, perché cade dopo il quinto mezzo piede (dopol’→ arsi del terzo piede) o, come si preferisce oggi, dopo ilquinto elemento. La cesura è eftemimera quando cade do-po il settimo mezzo piede (dopo l’arsi del quarto piede), tri-temimera dopo il terzo mezzo piede, ecc. La pausa ritmicache cade nel verso alla fine d’una parola e alla fine (non nelmezzo) d’un piede, si chiama, invece, → dieresi. Esempio:

⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ / ^ ^ , ⁄ ^ ^ , / ⁄ ^ ^ , ⁄ ^Póllio et ípse facít / nova cármina; / páscite táurum

(Virgilio, Egloghe).

In questo verso la prima pausa, dopo «facit», è una cesura(pentemimera) la seconda, dopo «carmina», è una dieresiperché giunge a fine di piede. A volte le cesure possono es-sere addirittura tre: «ínfandúm, / regína, / iubés / renováredolórem». È maschile la cesura dopo una sillaba in arsi (cfr.l’esempio precedente tra «facit» e «nova»). Femminile lacesura dopo una sillaba in tesi; ad esempio:

⁄ ^ ^ , ⁄ , ⁄ ^ / ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ ^

Lábitur ét labétur / in ómne volúbilis aévum

(Orazio, Epistulae)

dove cade tra «labétur» e «in ómne». Possono esservi piùcesure (la principale e la secondaria) ma sempre almeno una.La poesia latina predilesse di gran lunga cesure maschili.Per la metrica romanza e italiana funzione e ruoli della ce-sura sono diversi; altro il discorso. La cesura, se c’è e se harilievo, ha sempre forza minore della fine-verso, può dun-que essere interpretata come pausa secondaria rispetto al-

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CESURA 49

Letteratura italiana Einaudi

la pausa primaria che caratterizza il verso (l’a capo), speciedopo l’impostazione tipografica (stampa) della parola poe-tica. Non sempre è rilevante, non sempre evidente o evi-denziata. Casi più vistosi, netti e indubitabili (perciò davalutarsi in sede di → scansione e recitazione) sono costi-tuiti dai versi che hanno c fissa come i versi dpppi: → ales-sandrino, → quinario doppio, → senario doppio, → nove-nario doppio (→ asinarteto; emistichio). Nell’alessandrino,per esempio, la cesura ha le proprietà, se non la forza, del-la pausa di fine-verso: tra i due emistichi non è ammessa(di norma) → sinalefe e se il primo emistichio è sdruccioloo tronco la misura del verso resta invariata (settenariosdrucciolo+settenario piano = due settenari, e non un ver-so di quindici sillabe); esempio: «Un autor di comme-die, / un uom che ha tanto sale» (C. Goldoni), doppio set-tenario in cui la c non permette la sinalefe. Nei quinari esenari doppi, poi, lo schema tràdito reclama un secondoemistichio che attacchi d’obbligo con consonante e il pri-mo sia piano (Jacopone: «Plange la terra, / plange lo ma-re»). Insomma, qui la c è 1) fissa, 2) divide in due membriindipendenti il verso, i quali 3) hanno uguale ritmo.Altro caso è quello dell’→ endecasillabo falecio o catullia-no (quinario sdrucciolo+quinario piano), che ha pure c fis-sa (a differenza degli endecasillabi normali, cfr. infra): peròqui l’ultima sillaba (atona) del primo quinario (sdrucciolo)va contata per raggiungere le undici sillabe occorrenti; edunque la cesura c’è, netta, ma i due emistichi non sonodel tutto indipendenti, pur mantenendo uno stacco. Esem-pio: «Cui dono il lepido / nuovo libretto» (Rolli, da Catul-lo: «Cui dono lepidum / novum libellum»).La cesura fu una delle sfide di quanti tentarono la → me-trica barbara. In alcuni casi trascurata, in altri recuperataritmicamente, specie nelle soluzioni con versi doppi. Esem-pio: la strofa → alcaica è risolta da G. Chiabrera nei primidue versi con un quinario piano più un quinario sdruccio-lo per restituire l’effetto della cesura oraziana: «Séstod’agósto, / dólci lucíferi, | sésto d’agósto, / dolcíssimi éspe-ri» (→ asclepiadea/-o). Nella traduzione ‘barbara’ dell’→esametro e del → pentametro Carducci propose l’accop-

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50 CESURA

Letteratura italiana Einaudi

piamento di due versi italiani separati da un inderogabilecesura, vale a dire intesi come due evidenti emistichi.Più delicata se non problematica (poiché da alcuni posta indubbio) la sussistenza e la pertinenza della c nei versi im-parisillabi, e in ispecie nel principe tra di essi, l’endecasil-labo. I primi trattatisti italiani (→ metricologia) non fannoparola della cesura dell’endecasillabo. Comunque la si vo-glia ipotizzare, la cesura sarà mobile e non dividerà con →dialefe i due emistichi che, di norma e prassi storica, con-stano di un quinario più un settenario o viceversa: anzi, èproprio la sinalefe una delle possibilità che quinario e set-tenario si accoppino per formare un endecasillabo («Tan-to gentile / e tanto onesta pare»: quinario+settenario consinalefe in c «gentile`e»). Ma c’è o non c’è cesura nel-l’endecasillabo? Fin dai primi secoli (e con Dante) la cesu-ra dell’endecasillabo non scinde affatto il verso in due unitàritmiche; questi rimane, all’opposto, compattamente uni-tario, in ispecie se facciamo confronti, per esempio, col ver-so epico francese la cui c taglia in due come un’ascia il ver-so; così il décasyllabe francese e provenzale, pur modellodell’endecasillabo italiano (ma la derivazione non ipotecala funzione della c nel verso derivato) è formato da due mi-sure, la prima di quattro sillabe (4a tonica), la seconda disei sillabe (6a tonica), con pausa forte dopo la 4a; e qui ilpoeta medioevale tratta la fine emistichio come la fine-ver-so [cfr. Avalle D’A. S., Preistoria dell’endecasillabo, Ric-ciardi, Milano-Napoli 1963]. Allora nei versi danteschi:«Cérbero, fiéra crudéle e divérsa | con tre góle caní-naménte látra» (Inferno, VI, 13-14), non può essere mar-cata una (ipotetica) cesura (dopo «fiéra» nell’a minore, eaddirittura dopo «caní-» nell’a maiore), ma va fatta preva-lere la recitazione secondo sintassi e rilievo semantico:«Cérbero, / fiéra crudéle e divérsa / con tre góle / cani-naménte látra», anche se l’odierna accanita rimonta dellacompetenza metrica e metricologica (→ metricologia) sug-gerisce di far sentire, ovviamente, sia l’accento di 4a («fié-ra») sia quello di 6a, grammaticalmente secondario («caní-»), con effetto che coinvolge pure il piano espressivo. Seviene fatta prevalere questa valutazione semantico-sintat-

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CLAUSOLA 51

Letteratura italiana Einaudi

tica (che sarà meglio chiamare pausa), le pause possono es-sere persino più d’una: «E caddi / come corpo morto / ca-de» (Inferno, V, 142). Infine: sulla questione per cui dueaccenti contigui, due → ictus, non potrebbero stare in ce-sura, cfr. Di Girolamo [Teoria e prassi della versificazione, ilMulino, Bologna 1976] e Bertinetto [Strutture sopraseg-mentali e sistema metrico. Ipotesi, verifiche, risposte, in «Me-trica», I,1978, pp. 1-54].

chiave → canzone

clausola

Nella letteratura classica la clausola o clausola metrica è l’u-nione di due o tre piedi che chiudono un periodo prosasti-co o le sue parti essenziali, ovvero quelle coincidenti conuna pausa logica. I prosatori greci e latini puntavano al nu-merus o → ritmo con diversi mezzi: scelta lessicale, → al-litterazione, → assonanza, ma in ispecie con l’utilizzazionedelle clausole metriche, non a caso teorizzate e predicatesia da Cicerone (seconda parte dell’Orator) sia da Quinti-liano (Institutio oratoria); il primo, però, specificava che ipiedi (→ piede) costituenti le clausole della prosa non do-vevano corrispondere a quelli di alcun verso riconosciuto.Le clausole che Cicerone segnala e adopera come più con-venienti sono: dicoreo ( ^ , _. ); cretico e spondeo ( ^ , _. ); dispondeo ( , _. ); peone primo e spondeo (

^ ^ ^ , _. ); peone quarto e spondeo (^ ^ ^ , _. ); tro-cheo e cretico ( ^ , ^ _. ); coriambo e cretico ( ^ ^ , ^ _. ). Rara in Cicerone la clausola d’esametro: ^ ^ , _. (→ adonio). Come nei versi catalettici (→ catalessi/aca-talessi) così nelle clausole, il piede importante è il penulti-mo, poiché conduce il ritmo; inoltre si tenga ben presenteche nella clausola → ictus e accenti grammaticali coincido-no [cfr. Lenchantin de Gubernatis M., Manuale di prosodiae metrica latina, Principato, Milano-Messina 1964 (1934)].Nella poesia medioevale la clausola è costituita da una se-

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52 COBBOLA

Letteratura italiana Einaudi

rie predeterminata di atone e toniche (→ arsi/tesi) nell’am-bito del → cursus. In generale, il termine a volte si usa per indicare l’uscita ol’ultimo → emistichio di un verso, o il verso che concludeuna strofa (→ saffica). Nella metrica italiana, può usarsi perindicare le ultime battute del → verso, ovvero l’uscita tron-ca, piana o sdrucciola del medesimo (→ tronco, verso). Lapiù acuta e scaltrita sensibilità ritmica e ritmemica odierna(dopo tanti sperimentalismi a partire dalla → metrica bar-bara fino alle prevalenze novecentesche di scansioni ritmi-che ‘per piedi’ del verso) coglie facilmente tipologie di clau-sole, nella diacronia del discorso poetico, come fenomeni ca-ratterizzanti. Per esempio, alcune clausole tipiche dantescheunite ad allitterazioni: «poscia che trasmutò le bianche ben-de» (Purgatorio, VIII, 47), «Urlar li fa la pioggia come cani»(Inferno, VI, 19), ovvero due parole bisillabe di ritmo ⁄ ^ , ⁄ ^ con allitterazione; oppure «la selva, dico, di spiritispessi» (Inferno, IV, 66), con clausola ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ (adonio).Inoltre un modulo finale di endecasillabo, per esempio ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ (ancora adonio; o, inteso altrimenti, chiusa d’e-sametro dattilico) con prima sillaba iniziante per vocale e si-nalefe conseguente, può essere riconosciuto come una figu-ra stabile della storia dell’endecasillabo italiano. Si vedanogli esempi: «Vede perfettamente`onne salute» (Dante, Vi-ta nova), «stanco nocchier di notte`alza la testa» (Petrarca,Canzoniere); «per le sonanti scale`altro celiando» (Parini),«baciò la sua petrosa`Itaca Ulisse» (Foscolo); «che di co-tanta speme`oggi n’avanza» (Leopardi); «forse ai morti ètolto`ogni riposo» (Montale), ecc. [cfr. Beccaria G. L.,L’autonomia del significante. Figure del ritmo e della sintassi.Dante, Pascoli, D’Annunzio, Einaudi, Torino 1975].

cobbola

(lat. copula, prov. → cobla, cioè → stanza, → strofa). Anchegobula. In genere usato per stanze isolate di → canzoni (adesempio la dantesca Sì lungiamente m’à tenuto Amore nellaVita nova e Poi che di doglia cor conven ch’i’ porti di G. Ca-

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CODA 53

Letteratura italiana Einaudi

valcanti), quelle che in provenzale si denominarono → co-blas esparsas. Termine praticato da Francesco da Barberinonei suoi Documenti d’amore per diversi tipi di raggruppa-mento, ma soprattutto → distici a rima baciata con privile-gio dunque dell’accezione ‘coppia’ (fr. → couplet).

cobla

Nella metrica provenzale è la → strofa di → canzone, chia-mata da Siciliani e Stilnovisti → stanza. Le stanze isolate ve-nivano chiamate coblas esparsas (→ cobbola). Le coblas de-terminavano anche il tipo di sistema: il sistema a coblas unis-sonans, tipico dei provenzali e raro nei Siciliani e Toscani,ripeteva, oltre allo stesso schema metrico, anche le stesse ri-me della prima stanza in quelle successive; il sistema a co-blas doblas coppie di stanze a rime uguali (non imitato dagliitaliani); il sistema a coblas singulars dove lo schema della pri-ma stanza rimane inalterato nelle altre, ma le rime cambia-no (sistema prediletto in Italia e addirittura teorizzato co-me l’unico regolare da Antonio da Tempo; → metricologia).Dal punto di vista dell’incatenamento tra le stanze della can-zone la terminologia trobadorica si è estesa nel tempo e an-che ad altre composizioni, e precisamente: coblas capfinidas,sono stanze legate in modo che l’inizio del primo verso diuna strofa riprenda, in una parola o un concetto, l’ultimaparola o concetto dell’ultimo verso della precedente; coblascapcaudadas, stanze in cui l’uscita del primo verso riprendala rima (o parola-rima nel caso della → sestina) dell’ultimoverso della stanza precedente; coblas capdenals, stanze cheiniziano (tutte o in parte) con la medesima parola.

coda

In genere, parte finale di un componimento metrico o, piut-tosto, di un sistema metrico. Può essere costituita da unverso o un gruppo di versi. L’appendice designa a volte laforma metrica: serventese caudato (→ serventese), sonetto

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54 COLON

Letteratura italiana Einaudi

caudato (→ sonetto). Se designa l’ultima parte della → stan-za di → canzone, è sinonimo di sirma o sirima.

colon

Termine latino (gr. kôlon ‘membro’, ‘elemento’; plur. co-la). Nella metrica classica è un’unità metrica minore cheriunisce in gruppo ritmico conchiuso una serie sillabica, ta-le che l’ultima sillaba non sia → ancipite e non faccia → ia-to con le unità ritmiche seguenti. Differisce dal → versoperché questi è, invece, una serie di piedi determinata dal-la sillaba ancipite finale e dalla possibilità di iato con la sil-laba iniziale del verso seguente. Verso e c possono essere avolte della stessa estensione e si distinguono unicamenteper l’ammissione o meno della sillaba ancipite e dello iato.Così un endecasillabo saffico, in Saffo è un colon, in Ora-zio invece un verso (→ saffica/-o). Il sistema dei versi (→strofa) è detto dicolo, tricolo, tetracolo se formato da due,tre, quattro cola.In prosa c designa un membro del periodo (una frase o unaparte di frase) caratterizzato da pause o da artifici ritmici(→ cursus). Dicesi isocolia l’eguaglianza precisa o tenden-ziale nel numero delle sillabe tra più membri (o versi o par-ti di verso) del discorso poetico.Un’ipotesi di lettura ‘colica’ della poesia italiana novecen-tesca pone il colon alla base del ritmo e del metro, come so-stitutivo del tradizionale → sillabismo; a una versificazionesillabica si sarebbe sostituita una versificazione per cola (→verso libero [cfr. Pinchera A., L’influsso della metrica clas-sica sulla metrica italiana del Novecento (da Pascoli ai «no-vissimi»), in «Quaderni Urbinati di cultura classica», I,1966, pp. 92-127].

combinatio → canzone

commiato → canzone

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CONTRASTO 55

Letteratura italiana Einaudi

concatenazione → canzone

congedo → canzone

consonanza

Di solito l’uguaglianza, tra due parole, solamente delle con-sonanti che seguono la vocale tonica. Ma Elwert [Italieni-sche Metrik, Max Hueber Verlag, München 1968 (trad. it.Versificazione italiana dalle origini ai giorni nostri, Le Mon-nier, Firenze 1973)] la chiama assonanza consonantica (→assonanza). È spesso accompagnata dalla corrispondenzadell’atona finale, per cui la consonante (o le consonanti) inposizione postonica e la vocale (o le vocali) di uscita risul-tano uguali alla perfezione (il → parallelismo e lo scarto del-la tonica dànno luogo al bisticcio). Montale lega coppie dirime per via di consonanza: vento : spento, profondo : mon-do, in Ossi di seppia) e nella Bufera rima amaranto : quan-do : fondo (prima un’assonanza ch’è quasi-rima, poi unaconsonanza = identità di nesso consonantico più identitàdi atona); ma già Pascoli consonanzava addirittura all’in-terno del verso aprendo le porte a una sorta di fonologiadella parola poetica: «il lamento eterno | della rana che ran-tola e del grillo | che trilla» (Astolfo).

contrasto

Non un metro preciso, ma un genere di tema amoroso omorale o dottrinale in cui due persone (o due entità astrat-te, come Quaresima e Carnevale) dialogano, discutono, sicontrastano sulla questione. Ne troviamo esempi numero-si nella letteratura latina medioevale e in quella provenza-le: il contrasto di Raimbaut de Vaqueiras tra un giullare cheparla in provenzale e una donna genovese col suo dialetto.Nella poesia italiana il nome si dava anche ai sonetti mis-sivi e responsivi quando non conservavano le medesime ri-

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56 CORIAMBO

Letteratura italiana Einaudi

me in una discussione d’amore (→ sonetto; tenzone). Con-trasto d’eccellenza storica è il dialogo non in forma di so-netto di Cielo d’Alcamo tra un dongiovanni e una ragazza,probabilmente giullare e contadina (metro non lirico): →strofa pentastica di tre alessandrini monorimi col primo →emistichio sdrucciolo con → distico finale di endecasillabi(→ alessandrino).

coriambo → asclepiadea/-o; dimetro; piede

couplet

Nella metrica francese la coppia di versi rimati a due a dueche in italiano fa → distico (→ anacreontica/-o; cobbola).

cretico → piede

cursus

Nella prosa ritmica medioevale più alta ed elegante, di-sposizione ritmica del periodo o delle → clausole, secondodeterminate leggi di distribuzione di toniche e atone (→ ar-si/tesi). Alla fine del secolo XI le Artes dictaminis, nell’am-bito di una regolamentazione retorica e ritmico-musicaledella prosa, teorizzarono e istituzionalizzarono il cursus.Le clausole (clausolae) più frequenti sono: 1) cursus planus,polisillabo piano più trisillabo piano, per esempio “retri-butioném merétur”, che può essere formalizzato così (inparentesi le sillabe facoltative): (^ ^ ^ ^) ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ (ado-nio), oppure così (+ = sillaba tonica, – = atona): (– – ––)+– – ,+ –; 2) cursus tardus o ecclesiasticus o durus, po-lisillabo piano più quadrisillabo sdrucciolo, esempio “com-moditátis intúitu”, (^ ^ ^ ) ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ oppure (– – – )+ – – ,+ – –; 3) cursus velox, polisillabo sdrucciolo piùquadrisillabo piano, esempio “éxitum sortiúntur”, ⁄ ^ ^ ^^ , ⁄ ^ oppure + – – – – ,+ –.

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CURSUS 57

Letteratura italiana Einaudi

Altri espedienti del cursus sono l’uguaglianza sillabica tra ivari membri del periodo, o isocolia (→ colon) e, eventual-mente, come caso estremo di parallelismo, la → rima tra icola della frase. Nella sua prosa latina Dante impiegò in mo-do non uniforme né per regolarità né per frequenza le for-me più tipiche delle clausole, incluso il cursus trispondaicus(polisillabo piano più quadrisillabo piano). Discusso l’uso dialtre clausole minori, discutibilissima la tesi di un Dante cheintroduce le clausole nella sua prosa volgare [cfr. MengaldoP. V., «Cursus», in Enciclopedia Dantesca, II, 1970, pp.290-95].

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Letteratura italiana Einaudi

dattilo

(gr. dáktylos ‘dito’, perché il suo schema ricorda le tre fa-langi, una più lunga, le altre due più corte, del dito). Nel-la → metrica classica, evidentemente tanto iscritta nella cor-poreità, è dunque → piede di tre sillabe, una lunga più duebrevi; perciò di quattro tempi brevi: ^ ^. L’ → ictus ca-de sulla prima sillaba (lunga), l’intonazione è dunque di-scendente. Quando le due brevi si fondono in una lunga,si ha uno → spondeo ( ⁄ ), se, viceversa, la lunga si sciogliein due brevi si ha – molto di rado – un proceleusmatico (^^ ^ ^) (→ piede). Nell’esametro detto, appunto, dattilico,compare come possibilità di base dei primi quattro piedi, èinvece d’obbligo nel quinto (→ pentametro). Per il concet-to di verso dattilico → esametro.In metrica italiana si può usare il termine per indicare una se-rie ritmica di una sillaba tonica (+) seguita da due atone (– –):+– –; si parla, allora, di → novenario dattilico o di → dode-casillabo dattilico, per evidenziare il ritmo prevalente che viemerge. Lo stesso si predicherà per l’endecasillabo dattilico(endecasillabo con accenti di 1a, 4a, 7a, 10a: ^ ^ , ^ ^ , ^ ^ , ^ ovvero +– – , +– – , +– – , +–). Ad esempioil dantesco: «Quándo s’accórse d’alcúna dimóra» (Inferno,X, 70). → tetrametro dattilico; per il dattilo epitrito → pie-de.

D

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DECASILLABO 59

Letteratura italiana Einaudi

decasillabo

In generale, verso di dieci sillabe; nella metrica italiana l’ul-timo accento cade sulla 9a. Storicamente nella poesia no-strana si è affermato nella accentazione di 3a 6a 9a (deca-sillabo anapestico; → acefalo; anacrusi; anapesto; anisosil-labismo). Il decasillabo alcaico (una tetrapodia logaedica ca-talettica) compare nella strofa alcaica barbara (→ alcaica;metrica barbara) di G. Chiabrera in chiusa del tetrastico.La versione anapestica qualcuno preferì chiamarla decasil-labo manzoniano, per l’uso tipico ed esemplare: «S’ode adéstra uno squíllo di trómba» (coro del Carmagnola), e non«S’óde a déstra», ecc.; infatti «a sinístra rispónde unosquíllo» (sempre, e qui inequivocabilmente, 3a 6a 9a); e inMarzo 1821 (tetrastici di decasillabi ABBC ADDC con Ctronco) che risale a C. I. Frugoni, P. Rolli e alle canzonet-te (→ canzonetta; anacreontica/-o) da melodramma. A que-sto proposito cfr. il libretto di Lorenzo Da Ponte alle Noz-ze di Figaro di Mozart: nell’esempio le prime due strofe del-l’aria di Cherubino nella quinta scena del primo atto (duequartine di decasillabi di 3a 6a 9a con schema AABCDDBC e C tronco):

Non so più cosa son, cosa faccio…Or di fuoco, ora sono di ghiaccio…Ogni donna cangiar di colore,ogni donna mi fa palpitar.

Solo ai nomi d’amor, di dilettomi si turba, mi s’altera il petto,e a parlare mi sforza d’amoreun desio ch’io non posso spiegar!

Pascoli compone decasillabi dattilico-anapestici con nove-nari dattilici (2a 5a 8a, per il nostro orecchio ritmicamenteequivalenti): strofe, dunque, eterometriche e isoritmiche:

San Lorenzo lo so perché tantodi stelle nell’aria tranquilla

(X Agosto)

oppure decasillabi di diversa accentazione (4a 6a 9a) assie-me a endecasillabi (4a 7a 10a):

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60 DÉCASYLLABE

Letteratura italiana Einaudi

Oh, Valentino vestito di nuovo,come le brocche dei biancospini!

(Valentino).

In questo esempio i due versi vanno di pari passo ritmicofino all’→ ictus di 4a («Oh, Valentíno» = «come le bróc-che», quinari), poi ai decasillabi fa difetto una sillaba ato-na all’inizio della seconda parte («vestíto», ictus di 7a; «déibiancospíni», ictus di 6a su parola che grammaticalmentenon porta accento). Il decasillabo con → cesura fissa parepiuttosto un → quinario accoppiato (verso doppio; → ver-so) con due emistichi autonomi (né dialefe, né sinalefe frale due parti: il secondo emistichio comincia sempre per con-sonante). Ad esempio:

Al mio cantuccio, donde non sentose non le reste brusir del grano

(G. Pascoli, L’ora di Barga).

Per il decasillabo epico → endecasillabo.

décasyllabe

Nella metrica francese e provenzale è un → decasillabo cuicorrisponde, in quella italiana, l’→ endecasillabo; in effet-ti quello è modello di questo (almeno nei suoi tratti origi-nari) secondo Avalle [1963], il quale ha inoltre dimostratoche il d risulta adattamento galloromanzo di un verso pre-sente nei tropi della scuola di Limoges e già nel ritornellodell’→ inno cristiano dei primordi «Apparebit repentina dies magna domini» (→ tetrametro trocaico; metrica), chesuona «in tremendó die iudicií», con accenti sull’ultimasillaba dei due emistichi, dal momento che fin dalle origi-ni il d è formato da due misure, quattro sillabe (4a tonica)più sei sillabe (6a tonica): «Tant m’abellís / l’amoros pes-saméns» (Folchetto di Marsiglia); evidente la → cesura.Ognuno dei due → emistichi può avere una sillaba sopran-numeraria dopo l’ultima tronca.

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DIALEFE/SINALEFE 61

Letteratura italiana Einaudi

decima rima

È un componimento ben raro della metrica italiana instrofe; si compone di dieci endecasillabi disposti così:ABABABCCCB, ovvero sei versi a rima alternata, un te-trastico finale di cui tre versi baciati su altra rima, un ulti-mo verso che va a riagganciare il verso pari della serie al-ternata. Si dà anche l’alternativa (con richiamo alla strut-tura della → ballata) con X finale in luogo di B, cioè conuna rima ripresa identica in tutte le strofe. Non è formametrica narrativa (non deriva probabilmente dall’→ otta-va), ma è impiegata come stanza di lauda-ballata (→ lauda)e deriva forse dalla stanza di → canzone. Ogni strofa ri-prende con le sue prime parole le ultime della precedente(forma di cobla capfinida, → cobla). Parzialmente diversolo schema della Canzone di Auliver (primi anni del Trecen-to in una lingua con diversi apporti, veneti, provenzali efrancesi): cinque strofe ABABABCCDD, seguite alla fineda un distico baciato che riprende la rima dell’ultimo di-stico dell’ultima strofa [cfr. Contini G. (a cura di), Poeti delDuecento, 2 voll., Ricciardi, Milano-Napoli 1960 e ManettiR., La decima rima, in «Anticomoderno», II, 1996, pp.145-56].

dialefe/sinalefe

Nella metrica classica, la quantità di una sillaba finale cheuscisse in vocale o dittongo o in -m non veniva considera-ta se era seguita da parola iniziante con vocale o con h. Ilfenomeno si chiama sinalefe (gr. synaloiphé ‘fusione’) o an-che, ma impropriamente, elisione, perché, in effetti, la vo-cale finale non spariva del tutto, anche se veniva eviden-ziata – nella pronuncia e nell’ascolto – la quantità della se-conda solamente. Il fenomeno inverso, piuttosto che dia-lefe, in metrica latina, si chiama → iato.Nelle metriche accentuative e in quella italiana si dice si-nalefe il fenomeno che vede, all’interno del verso, la voca-le di uscita di una parola fondersi – nel computo metrico e

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62 DIALEFE/SINALEFE

Letteratura italiana Einaudi

non nella pronuncia – con la vocale iniziale della parola se-guente. Già il Minturno (Arte poetica, 1563): «[Le vocali]s’abbracciano talmente, che, benché l’une e l’altra vocales’oda, non però se ne fa più di una sillaba nelle misure delverso». Dunque le sillabe che grammaticalmente sono due,nel calcolo del metro valgono per una. Nella poesia italia-na e in ispecie petrarchesca e petrarchistica, è il caso di granlunga più frequente, normale e ‘naturale’ (da ben distin-guere rispetto alla elisione e all’aferesi). In questo esempiopetrarchesco lo stesso verso implica due sinalefi:

Voi ch’ascoltate`in rime sparse`il suono

Naturalmente, la possibilità che dall’incontro tra due (otre, o quattro) vocali derivi sinalefe (o dialefe) è vincolatoda circostanze linguistiche (prima tra tutte la posizione del-l’accento di frase), ma anche e spesso dalle opzioni stilisti-che dell’autore. In questi due versi di Petrarca:

il qual dì `et notte palpitando cerco

che dì~

et notte ne la mente stanno

identici quanto a scansione (sono entrambi endecasillabi di4a 8a), la stessa espressione formulare subisce nel primo ca-so sinalefe, nel secondo dialefe, senza che si possano ad-durre ragioni oggettive per l’una o l’altra delle scelte ope-rata dall’autore. Si deve dunque concordare con Menichetti[1993] quando afferma che «il fatto che non si sia impostoun fare univoco, che cioè il processo non si sia mai com-pletamente grammaticalizzato, fa dell’uso di sinalefe e dia-lefe un eccellente caratterizzatore del linguaggio metricoindividuale (certamente più della dieresi)» (→ dieresi/sine-resi). Nondimeno, qualche regola di massima (passibile cioèdi eccezioni anche ampie) è possibile enunciarla, sfruttan-do a questo fine la «griglia delle giunture intraverbali» al-lestita da Menichetti [Metrica italiana. Fondamenti metrici,prosodia, rima, Antenore, Padova 1993].Si dà s coinvolgendo sino a quattro vocali, nel caso di unio-ne di trittongo più vocale (in corsivo nell’esempio seguente):

Pieno`era`il mondo de’ suoi`honor’ perfecti

(Petrarca).

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DIALEFE/SINALEFE 63

Letteratura italiana Einaudi

La sinalefe può inoltre coinvolgere sino a tre parole:

Di mia speranza`ò`in te la maggior parte

(Petrarca).

Due casi eclatanti di sequenze di sinalefi in Petrarca e inPascoli (cinque in un solo verso per entrambi, con sei pa-role coinvolte):

Fior’, frondi,`herbe,`ombre,`antri,`onde,`aure soavi

(Petrarca).

ti studi,`entri,`esci,`apri,`alzi,`e sui castelli

(Pascoli).

Eccezionale il fenomeno inverso, chiamato dialefe, nel-l’incontro tra vocale finale atona e vocale iniziale atona, alpunto che, per casi simili (già più radi a partire dal Quat-trocento) si parla di dialefe di eccezione. Due casi in cui es-sa appare con una frequenza notabile è prima degli artico-li un, uno, una e prima della congiunzione e (anche in Dan-te, Inferno, I, 104: «ma sapïenza, amore

~e virtute»). In al-

cuni autori dalla prosodia non controllatissima (ad esempioF. Sacchetti) la dialefe di eccezione è però abbastanza co-mune.Si ha al contrario quasi sempre dialefe nell’incontro di duevocali toniche (persino in Petrarca: «è

~or commesso`il

nostro capo Roma»: tonica la prima e la seconda vocale del-la dialefe) o tra vocale tonica in fine di parola e atona; an-che tra dittongo discendente e vocale:

trovai~

Amore in mezzo de la via

(Dante)

mirai,~

alzando gli occhi gravi e stanchi

Ma voi,~

occhi beati, ond’io soffersi

(Petrarca)

che tessesser giammai~

angliche Aracni

(Parini).

La dialefe può riguardare anche più di due vocali, fino aquattro, ad esempio:

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64 DIASTOLE/SISTOLE

Letteratura italiana Einaudi

E~

io~

anima trista non son sola

(Dante).

Quasi sempre è utilizzata con effetti espressivi: ad esem-pio nel verso conclusivo, rallentato, del → sonetto dante-sco Negli occhi porta:

sì~

è novo miracolo`e gentile.

In Dante si ha solitamente dialefe se l’accento cade su unadelle vocali contigue o ambedue [cfr. Beccaria G. L., «Dia-lefe», in Enciclopedia Dantesca, II, 1970, pp. 420-24]. Incontrasto con l’idea d’imitazione neoclassica (che dovrebbefavorire la s) abbondanza di dialefi nel Carducci barbaro (→metrica barbara). In tempi più moderni la possibilità di dia-lefe crea doppie pronunce. Esempio: «squillano, immensaarpa sonora, al vento» (G. Pascoli, La via ferrata) compro-messo tra un → endecasillabo di 1a, 4a, 8a (con tre sinalefi)e un verso di «tredici sillabe [con due dialefi] che rompe (an-che se teoricamente il computo dell’endecasillabo torna co-me sempre esattissimo) ogni rigidezza e che dà l’andamentoritmico di un pentametro classico» [Beccaria G. L., L’auto-nomia del significante. Figure del ritmo e della sintassi. Dan-te, Pascoli, D’Annunzio, Einaudi, Torino 1975]. Non sem-pre distinguibile l’uso di sinalefe o dialefe negli autori più re-centi in area di versificazione liberata (→ dieresi/sineresi; li-bero, verso). Nei versi doppi la dialefe è obbligatoria in →cesura (→ clausola; emistichio).

diastole/sistole

(gr. diastolé ‘dilatazione’, systolé ‘contrazione’). Nella me-trica greca e latina rispettivamente allungamento di una vo-cale normalmente breve e abbreviamento di una vocale nor-malmente lunga. Nella poesia italiana per ragioni metriche(in ispecie ritmiche) è concesso spostare in avanti l’accentogrammaticale d’una parola (diastole) ovvero indietro (si-stole). In teoria può avvenire licenziosamente per ogni pa-rola, negli episodi storici si verifica, come al solito, una dra-stica riduzione della licenza su scelte già previste dalla lin-

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DIERESI/SINERESI 65

Letteratura italiana Einaudi

gua poetica e da fattori linguistici tout court (umíle per úmi-le, per influenza del provenzale; Ettórre per Éttore). Si ve-da nella Commedia: «della sampogna vento che penétra»;«né dolcezza di figlio né la piéta». Usati da Dante Cleopa-trás, Antigoné, per la predilezione medioevale per l’ossito-nia dei nomi greci.

dicolo → colon

dieresi/sineresi

Nella poesia classica dieresi metrica è la pausa ritmica checade nel verso alla fine d’una parola e alla fine (non nel mez-zo) d’un piede (simile, dunque, ma da distinguersi bene da→ cesura). Dieresi prosodica (→ prosodia) è invece il con-trario di sineresi o sinizesi, ovvero è il fenomeno per cuidue vocali contigue, generalmente pronunciate con una so-la emissione di fiato, vengono sillabate e contate come sil-labe distinte (di solito la dieresi è un arcaismo). Sineresi è,allora, la fusione in un’unica sillaba di due vocali contiguecome se costituissero un solo fonema tenuto.Nella metrica italiana si parla di dieresi quando si divido-no metricamente in sillabe staccate vocali contigue all’in-terno della stessa parola, che linguisticamente costituisconouna sola sillaba; di sineresi quando si uniscono metrica-mente in una sola sillaba vocali contigue di sillabe lingui-sticamente distinte. La dieresi venne segnata diacritica-mente con due puntini ( ¨) a partire dall’edizione 1803 del-le Poesie di Foscolo. Per tendenza linguistica si ha sinere-si (come, tra due parole, si ha → sinalefe), ma vi sono ec-cezioni, per ragioni metriche e financo espressive e stili-stiche. Esempi:

Voi cittadini mi chiamaste Ciacco

(Dante, Inferno, VI, 52)

in «Voi» c’è sineresi, metricamente si tratta di una sillabasola;

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66 DIERESI/SINERESI

Letteratura italiana Einaudi

O grazïosa luna, io mi rammento

(Leopardi, Alla luna)

dove in «grazïosa» c’è invece dieresi (sineresi, invece, in«io»). Rabbiosa la dieresi in «S’i’ fosse fuoco, arderëi ’lmondo» di Cecco Angiolieri. Nei casi di cielo, laccio, sag-gio, pregio, figlio, angoscia non si tratta di s perché in que-sto caso la i non è una vocale ma un segno diacritico cheindica la pronuncia palatale di (c)c, (g)g, gl e sc. BenchéD’Ovidio [Versificazione romanza. Poetica e poesia medioe-vale, 3 voll., Guida, Napoli 1932] avverta che usare la die-resi in simili casi equivale al tentativo di salire una scala di-pinta su un muro, non mancano esempi del genere anchein Carducci: ciglïa : figlïa; trifoglïo, Campidoglïo, secondole rilevazioni di D’Ovidio medesimo: «falsi sdruccioli pro-curati con dieresi assolutamente erronee», frequenti solo apartire dal Sette e Ottocento (quasi mai in autori ‘antichi’,neppure nella versificazione popolare; mai da Petrarca alSeicento). Lecita, invece, e spesso obbligata, la dieresi incasi come specie, religione, scienza, ecc., in cui domina l’o-rigine dotta, latina della parola [cfr. Menichetti A., Metri-ca italiana. Fondamenti metrici, prosodia, rima, Antenore,Padova 1993]: così Manzoni, nel Cinque Maggio, utilizza illatinismo solio (anziché soglio) proprio per ottenere, attra-verso la dieresi, il necessario esito sdrucciolo del settena-rio.Resta inteso che dieresi e s sono legate prima di tutto allalingua: ben difficilmente, insomma, un nesso vocalico chenella lingua viene pronunziato in modo unitario verrà, inpoesia, infranto da dieresi (e viceversa, ovviamente, per las). In generale, la dieresi non è mai tollerata (è errore pro-sodico): 1) quando i dittonghi ascendenti ie e uo derivanoda e, o brevi latine toniche, ad esempio piede (< pedem),uomo (< homo), cuore (< cor); 2) quando il dittongo ie de-riva da ae latino, ad esempio lieto (< laetum); 3) con [j] se-miconsonante che deriva da: a) l latino, ad esempio fiume(< flumen), chiaro (< clarum); b) -ri- latino, ad esempio li-braio (< librarium); c) i latina che provoca in italiano rad-doppiamento della consonante, ad esempio dubbio (< du-bium); 4) con [w] semiconsonante derivata da: a) -qu- lati-

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DIERESI/SINERESI 67

Letteratura italiana Einaudi

no, ad esempio acqua (< aqua); b) u semiconsonante latina,ad esempio sangue (< sanguis); c) u semiconsonante germa-nica, ad esempio guastare (< wastjan).La casistica per dieresi e sineresi è ampia e, soprattutto, va-riabile nella diacronia. Qui si possono fare solo alcuni esem-pi, rinviando per il panorama completo a Menichetti [Me-trica italiana. Fondamenti metrici, prosodia, rima, Antenore,Padova 1993]. Nel caso di dittonghi ascendenti (vocale ato-na+vocale tonica), la dieresi è obbligatoria negli incontridi a, e ed o+vocale tonica (esempi: paura, beato, poeta): èanzi ovvia, al punto da non dover essere nemmeno segna-lata graficamente. Tendenzialmente dieretici gli incontridi i+vocale tonica (ad esempio trionfo, viola, i grecismi deltipo dialogo, diagnosi, i composti verbali con ri- come ria-pre, riesce, ecc.), anche se nel caso di latinismi (specie suf-fissali, come -zione, -ienza, -iente, ecc.) si dà la doppia pos-sibilità dieresi/sineresi, che andrà valutata caso per caso al-l’interno del sistema metrico del singolo autore (Dante, adesempio, tende ad interpretare con sineresi i composti in -zione, Petrarca tutto il contrario). Sempre dieretico l’in-contro u+vocale tonica (eccetto, ovviamente, se la u è aséguito di labiovelare: qua-le, cuo-io, gua-io, e mai qu-ale,cu-oio, gu-aio).Nel caso di dittongo discendente (vocale tonica+vocaleatona) in fine di parola, di norma il nesso vocalico all’in-terno del verso forma sineresi, all’uscita dieresi (già in An-tonio da Tempo; → metricologia). Si tratta di norma pe-culiare del sistema italiano al contrario di quello proven-zale che distingue, in punta di verso, ïa bisillabico (versofemminile, cioè piano), da ai, eu, ecc. monosillabici (versomaschile). Dentro il verso ia può essere sia mono- che bi-sillabico; ai, eu di norma monosillabici [cfr. Beltrami P. G.,La metrica italiana, il Mulino, Bologna 1991]. Esempi ita-liani (entrambi dalla Gerusalemme liberata di T. Tasso):

Mio fosse un giorno! e no ’l vorrei già morto

Forse del sangue empir del popol mio.

Nel primo esempio «Mio» interno vuole sineresi, nel se-condo «mio» esterno vuole dieresi, non segnata diacritica-

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68 DIERESI/SINERESI

Letteratura italiana Einaudi

mente perché ovvia e anzi obbligatoria. Lo scarto dalla nor-ma della s interna si dice dieresi d’eccezione; in realtà piùfrequente di quanto la definizione non suggerisca. Anchein questo caso si dovrà comunque valutare l’‘eccezionalità’della dieresi volta per volta rispetto al contesto metrico delsingolo autore. Ad esempio ïo bisillabico, come nota Me-nichetti [Metrica italiana. Fondamenti metrici, prosodia, ri-ma, Antenore, Padova 1993], è frequente in Dante all’in-terno del verso:

Cred’ïo che’ei credette ch’io credesse

(Inferno, XIII, 25)

ïo stancato e amendue incerti

(Purgatorio, X, 19)

ficcava ïo sì come far suole

(Purgatorio, XXIII, 2)

un disio di parlare ond’ïo ardeva

(Paradiso, XXVI, 90).

Qualora il dittongo discendente sia all’interno di parola(dunque seguito da almeno una sillaba) tende ad essere die-retico a fine verso, sineretico all’interno (effettivamented’eccezione, in questo caso, la dieresi: in pratica solo se le-gittimata dall’etimo classicheggiante, come in Petrarca «su-biecto in me Callïope et Euterpe»). È un fatto che parolecome laido, diceano, eroico, aere e simili sono state comu-nemente utilizzate nella tradizione italiana in chiusura diversi sdruccioli sin ancora nell’Ottocento, ad esempio inCarducci, Per il quinto anniversario della battaglia di Menta-na (strofe di settenari con schema a”bc”d’e”bf”d’):

Ad altri, o dolce Italia,doni i sorrisi tuoi;ma i morti non oblianociò che più in vita amâr;ma Roma è nostra, i vindicidel nome suo siam noi:voliam su ’l Campidoglio,voliamo a trionfar.

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DIERESI/SINERESI 69

Letteratura italiana Einaudi

Da notare che il dittongo discendente in → cesura di → ales-sandrino non potrà che comportarsi come in fine-verso.I nessi vocalici atoni «sopportano tutti più o meno bene,alcuni perfettamente, sia la consillabazione sia lo iato» [Me-nichetti A., Metrica italiana. Fondamenti metrici, prosodia,rima, Antenore, Padova 1993]: questo in linea generale, an-che se di fatto «a frenare la libertà, agivano […] l’attra-zione del termine base, la ragione in senso lato etimologi-ca […] e l’eventuale presenza di nessi vocalici di solito bi-sillabici, come oe, ao, ecc.» [ibid.]. Se dunque si potrà ve-rificare, nella Commedia dantesca, un duplice trattamentodel tipo:

O Bëatrice, dolce guida e cara!

(Paradiso, XXIII, 34)

E tutto in dubbio dissi: «Ov’è Beatrice?»

(Purgatorio, XXXII, 85)

alla resa dei conti i doppioni prosodici simili a questo so-no assai rari e si nota anzi una tendenza (che è quasi re-gola all’interno del verso) alla sineresi. Un caso a parte èquello dei nessi atoni formati da i+vocale finale, normal-mente sineretici, ma utilizzati talvolta (soprattutto se la-tinismi d’origine) con dieresi in uscita di verso sdruccio-lo. Ad esempio:

L’arco ripiglia il fanciullin di Venere,che di ferir non è mai stanco, o sazïodi far de le medolla arida cenere.Progne ritorna a noi per tanto spazïocon la sorella sua dolce Cecropïa,a lamentarsi dell’antico strazïo.A dire il vero, oggi è tanta l’inopïadi pastor che cantando all’ombra seggiano,che par che stiamo in Scizïa o in Etiopïa

(I. Sannazaro, Arcadia).

Qualche caso dantesco di nessi atoni dieretici (dunque d’ec-cezione) segnala Menichetti [Metrica italiana. Fondamentimetrici, prosodia, rima, Antenore, Padova 1993] in Dante:

di quella nobil patrïa natio

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70 DIESINALEFE

Letteratura italiana Einaudi

l’infamïa di Creti era distesa

in Petrarca:

ad una gran marmorëa colonna

ove fra ’l biancho e l’aurëo colore

in Tasso:

studïo de le Muse, ch’a me scuopra

in Foscolo:

sparse per la funerëa campagna

in Pascoli:

Quale assidüo sciacquio.

Infine sono bisillabici i trittonghi all’interno e alla fine di ver-so (-aio-, -aia-, ecc.) e le combinazioni del tipo -aiuo-, -oiuo-,poiché i ha valore di [j] semiconsonante separativa. Talvoltail trittongo in finale di parola vale una sola sillaba: come re-gola nella poesia antica (per casi come gioia, noia, ma in Dan-te anche cuoio, beccaio, gennaio, ecc.), spesso anche in quel-la otto-novecentesca (ad esempio Pascoli, Il ciocco: «la zep-pola d’acciaio con un sprillo», endecasillabo). → diesinalefe.

diesinalefe

Nella metrica italiana, fenomeno per cui una dieresi d’ec-cezione (→ dieresi/sineresi) viene seguita da sinalefe (→ dia-lefe/sinalefe):

e Sisto e Pïo`e Calisto e Urbano

(Dante).

anzi scolpïo,`et que’ detti soavi

(Petrarca).

Sequenze di questo tipo finiscono con l’attenuare in buo-na parte l’effetto prosodico della dieresi d’eccezione, alpunto che autori che solitamente la evitano ricorrono in-vece alla diesinalefe. Ad esempio Poliziano:

Nel tempestoso Egëo`in grembo a Teti

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DIMETRO 71

Letteratura italiana Einaudi

[cfr. Menichetti A., Metrica italiana. Fondamenti metrici,prosodia, rima, Antenore, Padova 1993].

digiambo → piede

dimetro

Nella metrica classica è la successione di due → metri ugua-li, che in genere constano di due piedi l’uno, pertanto in to-tale fanno quattro piedi, ma vanno esclusi il dimetro dattili-co (→ dattilo) e quello coriambico ( ^ ^ ) formati rispet-tivamente da due dattili e due coriambi. Il più importanteper gli sviluppi anche in metrica mediolatina e romanza re-sta il dimetro giambico (→ giambo): X , , X , _. (X= elementum anceps, può essere realizzato da sillaba breve oda sillaba lunga o da due brevi) [Boldrini S., La prosodia e lametrica dei Romani, La Nuova Italia Scientifica, Roma1992]. Nel sistema oraziano entra a far parte (come → emi-stichio) dell’elegiambo (trimetro dattilico catalettico+di-metro giambico) e del giambelego (l’inverso: dimetro giam-bico+trimetro dattilico catalettico) (→ archilochea/-o; asi-narteto). Nella metrica neoclassica l’equivalente è il sette-nario (→ metrica barbara). Trissino interpretava il settena-rio sdrucciolo come dimetro giambico acata-lettico, quellopiano come dimetro giambico catalettico. Carducci risolvel’elegiambo, nel sistema archilocheo, con un doppio sette-nario con il primo → emistichio piano e il secondo sdruc-ciolo. Il dimetro giambico godette di vasta fortuna in areamediolatina in ispecie per l’inno ambrosiano (esempio: Ae-terne rerum conditor) e diede origine all’→ octosyllabe, checorrisponde al → novenario italiano tronco o piano.

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72 DISCORDO

Letteratura italiana Einaudi

discordo

Componimento metrico delle origini della poesia italianache trae nome dal provenzale descort (‘discordo’, ‘discor-danza’) ed è legato al rapporto ‘discordante’ con la musi-ca. Nello schema tipico si rivela assai semplice: aab aabaab ccd ccd ccd (senario due volte, poi ternario; ma constanze prevalentemente disuguali). Nei componimenti ol-tralpini le strofe erano differenti tra loro per numero diversi, distribuzione dei tipi di verso e di rima. Si diffusein Italia nel Duecento (Scuola siciliana) con tratti astro-fici (→ tradizione astrofica) e versi preferibilmente brevi(escluso l’endecasillabo). Il contrasto poteva anche esse-re tematico e comunque: contrasto amoroso, contrasto trail lamento d’amore e il son gai, cioè la melodia, contrastotra schema poetico e melodico, o contrasto cioè mesci-danza di lingue (discordo plurilingue) come in Aï faux ris,pour quoi traï avés, attribuito a Dante, che è chiamatocianson ‘canzone’, all’interno (ed è in effetti una → can-zone plurilingue, con schema ABC : BAC; cDEedFF) ein cui sono impiegati a rotazione il francese, il latino, iltoscano (e ciascun verso rima esclusivamente con altroscritto nella stessa lingua):

Aï faux ris, pour quoi traï avésoculos meos? Et quid tibi feci,che fatta m’hai così spietata fraude?Iam audivisset verba mei Greci.E selonch autres dames vous savésche ’ngannator non è degno di laude.Tu sai ben come gaudemiserum eius cor qui prestolatur:je li sper anc, e pas de moi non cure.Ai Dieus, quante malureatque fortuna ruinosa datura colui che aspettando il tempo perde,né già mai tocca di fioretto il verde.

Bonagiunta chiama «danza» il suo discordo Oi amadori,intendete l’affanno, e Giacomino Pugliese → caribo il suoDonna per vostro amore. Altro esempio: Dal core mi venedi Jacopo da Lentini con continua variazione di schema da

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DISSEMINAZIONE FONICA 73

Letteratura italiana Einaudi

un periodo metrico al successivo. Ecco il primo, per esem-plificazione, con presenza esclusiva di senari e novenari e→ rimalmezzo (ma già nel secondo mutano completamen-te lo schema rimico e i metri utilizzati, che là saranno qui-nari e senari):

Dal core mi vene a6

che gli occhi mi tene rosata: (a6)b9

spesso m’adivene a6

che la cera ò bene bagnata, (a6)b9

quando mi sovene a6

di mia bona spene c’ò data (a6)b9

in voi amorosa, c6

benaventurosa. c6

Però, se amate, d6

già non vi ’ngannate neiente, (d6)e9

ca pur aspetando, f6

in voi ’magginando, f6

l’amor c’aggio in voi g6

lo cor mi distrui, avenente; (g6)e9

ca.ss’io non temesse h6

c’a voi dispiacesse, h6

ben m’aucideria, i6

e non viverï’ a tormenti. (i6)e9

La sua collocazione fortemente cortese è forse la ragionedel suo sviluppo in ambito siciliano e del suo scarso suc-cesso postsiciliano nel resto della penisola [cfr. SponganoR., Nozioni ed esempi di metrica italiana, Pàtron, Bologna1966].

dispondeo → piede

disseminazione fonica

Fenomeno della poesia per cui nel verso si spandono i suo-ni (o alcuni suoni selezionati consciamente o meno) dellaparola-tema o parola-chiave del componimento. Intuito daSausurre, spiegato più articolatamente da Starobinski, ri-preso e applicato alla poesia italiana da Beccaria [L’auto-nomia del significante. Figure del ritmo e della sintassi. Dan-

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74 DISSEMINAZIONE FONICA

Letteratura italiana Einaudi

te, Pascoli, D’Annunzio, Einaudi, Torino 1975] e da altri,è fenomeno presente in ogni epoca, da Lucrezio a Virgilio,a Verlaine, a Valéry, a Pascoli. La disseminazione fonica,ovvero distribuzione di consonanti e vocali (o sillabe) del-la parola dominante tutt’attorno nel verso provoca → al-litterazione, → riduzione vocalica, anagrammi, paragram-mi, paronomasie. Nel verso di Baudelaire «L’irrésistible nuit établit son em-pire» pare che la /i/ di nuit si diffonda e diluisca nelle duedirezioni. In Pascoli la disseminazione fonica («Viene ilfreddo. Giri per dirlo | tu, sgricciolo, intorno le siepi; | esentire fai nel tuo zirlo | lo strido di gelo che crepi. | Il tuotrillo sembra la brina | Che sgrigiola, il vetro che incrina»)si fa tema sonoro, autonomo e astratto, al di là dell’imme-diata funzionalità onomatopeica volta a riprodurre, cioè,fenomeni fonici naturali. È possibile che la disseminazio-ne fonica accentui o riveli la fissazione psichica; per esem-pio nel Gelsomino notturno il deittico «là» («là sola una ca-sa bisbiglia») che segna la frattura fra il soggetto impeditoe la coppia di giovani sposi non nominata ma spiata imma-ginariamente nel congiungimento sessuale, è distribuito invario modo quasi ad ogni verso (anche sotto forma di al-litterazione di /l/ e /a/). È già stato notato come il nome diSilvia, divenuto impellente («Silvia, rimembri ancora», diLeopardi) si ricombini, infine, in anagramma («il limita-re | di gioventù salivi»). Simili analisi sono anche filiazioni degli studi sausurriani epostsausurriani, soprattutto delle analisi formaliste-strut-turaliste di Jakobson, applicate in concreto su Les Chats diBaudelaire [Jakobson R. e Lévi-Strauss C., «Les chats» deCharles Baudelaire, in «L’Homme», II, 1962, pp. 5-21(trad. it. «Les chats » di Charles Baudelaire, in R. Jakobson,Poetica e poesia. Questioni di teoria e analisi testuale, Einau-di, Torino 1985, pp. 149-69), su cui cfr. Contini G., Bre-viario di ecdotica, Ricciardi, Milano-Napoli 1986].

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DISTICO ELEGIACO 75

Letteratura italiana Einaudi

distico

Nella metrica classica per antonomasia il → distico elegia-co. In generale, periodo metrico costituito da una coppiadi versi legati per lo più da rima o eventualmente → asso-nanza o altro. Dante predilige e teorizza che a conclusionedella sirma della → canzone vadano a cadere due endeca-sillabi a rima baciata (distico baciato), ovvero la combina-tio, che lui evita solo in Rime, LXXXII e XC; Petrarca de-roga ancor di più. In distici di endecasillabi La cavalla stor-na di Pascoli. Per il distico di settenari → settenario.

distico elegiaco

Nella metrica greca e poi latina, in terreno elegiaco e d’e-pigramma (pure, extraletterariamente, in iscrizioni fune-bri), l’→ esametro (dattilico) compare accoppiato col → pen-tametro (pure dattilico) in forma di distico detto elegiaco.→ Strofa, dunque, elementare: ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ ^^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ _. | ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ / ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , _. . Esem-pio:

⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ , ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ ⁄ ^ ^ , ⁄ , ⁄ / ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄

⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ , ⁄ , ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ / ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄

Dívitiás aliús fulvó sibi cóngerat áuroét teneát cultí / iúgera múlta solí,quém labor ádsiduús vicíno térreat hóste,Mártia cúi somnós / clássica púlsa fugént

(Tibullo).

In Italia (→ metrica barbara) faticano non poco ad imitareil distico elegiaco i Cinquecentisti e i Secentisti (Campa-nella). La quartina detta dal Savioli degli Amori ‘saviolia-na’, è costituita da settenari sdruccioli non rimati se nonper rima ritmica e settenari piani rimati (abab, con a sdruc-ciolo):

Né di rossor si videro

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76 DITIRAMBO

Letteratura italiana Einaudi

contaminar la gota:è la vergogna inutiledove la colpa è ignota.

La quartina savioliana è derivazione dell’→ anacreonticachiabreriana, ma cela nella miniatura dei versi corti ritmi-ci, mimetistica più che precisamente mimetica, una tatticad’avvicinamento al distico elegiaco di Ovidio e di Proper-zio [cfr. Fubini M., La poesia settecentesca nella storia delleforme metriche italiane, in AA.VV., Problemi di lingua e let-teratura italiana del Settecento, Steiner, Wiesbaden 1965,pp. 38-56].Infine Carducci, che sopravanza in questo Chiabrera, ilquale non aveva raccolto la sfida di versi di lunghezza va-riabile come l’esametro e il pentametro. Molte le odi bar-bare in distici elegiaci, ad esempio Ad Annie:

Batto a la chiusa imposta con un ramicello di fioriglauchi ed azzurri, come i tuoi occhi, o Annie

tipicamente settenario+novenario (per l’esametro) seguitoda quinario+settenario (per il pentametro), ecc.; per le so-luzioni di ciascuno dei due versi → esametro; pentametro.Ma si noti almeno la chiusura sintattica del distico, dentroil quale è però frequentissimo l’enjambement, una delle ve-re novità nella novità del Carducci barbaro:

E quale iva salendo volubile e cerula comevelata emerse Teti da l’Egeo grande a Giove

(Elegia del Monte Spluga).

D’Annunzio, nelle Elegie Romane, arriverà perfino a far ri-mare gli → emistichi.

ditirambo

Nella Grecia classica il dithyrambos (lat. dithyrambus) fu uncanto corale a volte orgiastico accompagnato da danze e li-bagioni di vino in onore di Dioniso non conformato in unmodello metrico strofico preciso, ma come successione ir-regolare di versi eterometrici. Fu inserito pure nella strut-

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DITIRAMBO 77

Letteratura italiana Einaudi

tura drammatica e, secondo Aristotele, starebbe all’origi-ne della tragedia. Il termine fu ripreso modernamente daipoeti francesi della Pléiade (→ anacreontica/-o) e da G.Chiabrera che lo introdusse nella lirica italiana insieme conl’ode pindarica (→ epinicio; ode); si veda il Ditirambo all’u-so de’ greci con mimesi linguistica grecizzante delle formearcaiche:

In questa angusta terra,brevissimo soggiorno de’ mortali,stuoladdensate peneognor movono guerra.

Imitò l’imitatore dei Francesi, ottimamente, F. Redi conil noto Bacco in Toscana:

Chi l’acqua beve,mai non ricevegrazie da me.Sia pur l’acqua o bianca o fresca

con libertà di escursione dal quaternario all’endecasillaboe di rime piane, tronche e sdrucciole. Tra Otto e Nove-cento, in un’atmosfera di più sottili e sperimentate imita-zioni dei classici (dopo la → metrica barbara), D’Annunziorecuperò il ditirambo e inserì a intervalli scanditi in Alcyo-ne, a mo’ di cerniere nell’evolversi del tema, quattro com-ponimenti in versi di lunghezza variabile che fanno senti-re ritmicamente i piedi classici (anapesti, giambi, dattili,ecc.) e che chiamò, appunto, Ditirambi:

Ove sono i cavalli del Solecriniti di furia e di fiamma?le code prolisseannodate con listedi porpora, l’ugneadorne di lampisu l’aride ariste?

Nei Ditirambi solo nove strofe di differente lunghezza estruttura ritmica staccano la furiosa incalzante serie di qua-rantasette versi; il verso finale di ogni strofa rima con ilverso iniziale della strofa successiva, ma non nelle ultimedue.

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78 DITROCHEO

Letteratura italiana Einaudi

ditrocheo → piede

docmio → piede

dodecasillabo

Nella metrica italiana verso di dodici sillabe (metriche) conl’ultimo accento sulla 11a. Raro nella forma di → senariodoppio con → cesura fissa, come nella famosa adibizione(primo coro dell’Adelchi) del Manzoni:

Dagli atri muscosi, dai fori cadenti,dai boschi, dall’arse fucine stridenti,dai solchi bagnati di servo sudor,un vulgo disperso repente si desta;intende l’orecchio, solleva la testapercorso da novo crescente romor.

Si tratta di strofe esastiche AABCCB con B tronco, ac-cento sempre di 2a e di 5a. Rarissimo in altre forme. Ales-sandro Pazzi de’ Medici nella sua tragedia Didone in Car-tagine usò un dodecasillabo senza accenti fissi per ripro-durre il → trimetro giambico latino. Ugualmente un dode-casillabo senza ritmo fisso e con «cesura dopo l’ottava sil-laba di debole rispondenza sintattica» [Elwert W. T., Ita-lienische Metrik, Max Hueber Verlag, München 1968 (trad.it. Versificazione italiana dalle origini ai giorni nostri, LeMonnier, Firenze 1973)] impiegò Carducci nei primi dueversi di ogni strofa (tetrastica) di Notte d’estate:

Quando il tremulo splendore de la lunasi diffonde giù pei boschi, quando i fiorie i molli aliti de i tiglivia pe ’l fresco esalano

formato da ottonario (di 3a)+quadrisillabo (e si tratta co-munque di un esperimento di versione, da Klopstock). Inmetrica francese e provenzale si parla piuttosto di → ales-sandrino.

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Letteratura italiana Einaudi

egloga

(gr. eklogé ‘scelta’). Opera poetica ‘scelta’, ‘estratta’, ‘a séstante’, così nella letteratura greca. Nella latina: poesia pa-storale con riferimento antonomastico alle Bucoliche di Vir-gilio ( → esametro). Poi imitate dalla poesia quattrocente-sca, tanto in latino (T. V. Strozzi, G. Pontano) quanto involgare (soprattutto a Siena e a Napoli, con P. J. De Jen-naro e l’Arcadia di J. Sannazaro) in forma monodica o dia-logica su vari metri: principalmente la → terza rima (nel-l’Arcadia alternata con la prosa), stanze di → canzone divaria struttura, l’endecasillabo → sciolto, il → polimetro(con predilezione per i versi sdruccioli introdotti dall’Ar-zocchi come supporto per effetti linguisticamente espres-sionistici). Verticalmente e orizzontalmente con vocazio-ne dunque polimorfica.

elegia

(gr. elegheía, < élegos ‘canto di dolore con accompagna-mento di flauto’). Nella poesia classica è componimento in→ distici elegiaci, alle origini genere prima metrico che te-matico (Archiloco, Callimaco, Mimnermo). In terra latinaprese una strada sua soprattutto per mano di Catullo. Il di-stico elegiaco avrà sviluppi nella poesia tedesca (Schiller,Goethe, Hölderlin) e in quella italiana (Carducci, D’An-nunzio: → metrica barbara). Quando vollero misurarsi colgenere, gli umanisti e poi i cinquecentisti risolsero preferi-

E

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80 ELEGIAMBO

Letteratura italiana Einaudi

bilmente il distico latino con la → terzina (Alberti, inizia-tore del genere con la Mirtia: e poi Dolce, Ruscelli, Varchi,Alamanni, B. Tasso). In endecasillabi sciolti è la traduzio-ne di Melchiorre Cesarotti dell’Elegia di Tommaso Gray so-pra un cimitero di campagna (1772).

elegiambo → archilochea/-o

emistichio

(gr. hemistíchion ‘mezzo verso’). Ciascuna parte in cui unverso può essere diviso da una → cesura. Se il termine siusa pure per la metrica accentuativa moderna e romanza(→ accentuativa/quantitativa, metrica) in luoghi, cioè, do-ve la cesura può essere molto tenue (→ endecasillabo, inispecie quelli a maiore e a minore, con emistichi canonici),a fortiori lo si userà per la → metrica barbara (→ asclepia-dea/-o). Caso vistoso: i versi doppi con cui si risolvono esa-metro e pentametro. Nella poesia classica gli emistichi han-no dunque forte ma non autonomo rilievo per via della ce-sura, che l’esametro presenta per lo più semiquinaria o se-misettenaria e il pentametro sempre unica e fissa sicché idue emistichi risultano costituiti ognuno da un hemíepesmaschile (→ esametro), cioè due dattili e una sillaba lungasu cui cade → ictus: ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ / ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ .Nella poesia latina medioevale l’esametro leonino (→ esa-metro) fa rimare il primo emistichio con il secondo.Francamente più evidente, nella metrica italiana, la divi-sione in emistichi là dove essi coincidono con cesure com-piute e canoniche: nei versi doppi (→ dodecasillabo o se-nario doppio; → quinario doppio; → settenario doppio oalessandrino), in cui non è ammessa, di norma, → sinalefe.Non di una serie di settenari si tratta nel caso del Contra-sto di Cielo d’Alcamo, ma, come scoprì la Scuola storica,di strofe composte da tre alessandrini monorimi con emi-stichio dispari sdrucciolo e quello pari piano, concluse dadue endecasillabi pure a rima baciata. Dunque: il primo

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EMISTICHIO 81

Letteratura italiana Einaudi

emistichio può chiudere con una rima che avrà perciò no-me distintivo di → rimalmezzo. Il trattamento rimico del-l’emistichio fu in auge nell’area siculo-toscana (alla pro-venzale), più raro con lo Stil Nuovo, ma col caso eclatan-te della → canzone Donna me prega di G. Cavalcanti (su so-li endecasillabi; non è rimalmezzo, ma semplice rima inter-na, quella dei vv. 2, 5, 8 e 12 di ogni stanza, proprio per-ché non riguarda l’emistichio):

Donna me prega, per ch’eo voglio dire (a5)Bd’un accidente che sovente è fero (c5)(c4)Ded è sì altero ch’è chiamato amore: (d5)Esì chi lo nega possa ’l ver sentire! (a5)BEd a presente conoscente chero, (c5)(c4)Dperch’io no spero ch’om di basso core (d5)Ea tal ragione porti canoscenza: Fché senza natural dimostramento (f3)Gnon ho talento di voler provare (g5)Hlà dove posa, e chi lo fa creare, He qual sia sua vertute e sua potenza, Fl’essenza poi e ciascun suo movimento, (f3)Ge ’l piacimento che ’l fa dire amare, (g5)He s’omo per veder lo pò mostrare. H

Un unico caso in Petrarca, anche per lui su endecasillabo

Mai non vo’ più cantar com’io soleva (x)Ach’altri no m’intendeva; ond’ebbi scorno; (a)Be puossi in bel soggiorno esser molesto. (b)CIl sempre sospirar nulla releva; (x)Agià su per l’alpi neva d’ogni ’ntorno; (a)Bet è già presso al giorno: ond’io son desto. (b)CUn acto dolce honesto è gentil cosa; (c)Det in donna amorosa anchor m’aggrada, (d)Eche ’n vista vada altera et disdegnosa, (e5)Dnon superba et ritrosa: dAmor regge suo imperio senza spada. EChi smarrita à la strada torni indietro; (e)Fchi non à albergo, posisi in sul verde; Gchi non à l’auro, o ’l perde, gspenga la sete sua con un bel vetro. F

Dove la rimalmezzo x corrisponde sempre alla rima F (quel-la conclusiva) della stanza precedente, ad eccezione, ov-viamente, della prima stanza. Il Novecento non discono-

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82 EMISTICHIO

Letteratura italiana Einaudi

sce le antiche strutture ma offre anche nuove elaborazioni:al quinto distico di L’amica di Nonna Speranza, costituitodi doppi novenari, salvo qualche eccezione (ottonaria), ri-manti (A)B(B)A:

le tele di Massimo d’Azeglio, le miniaturei dagherottìpi: figure sognanti in perplessità

Gozzano spezza una parola (d’A-zeglio) ponendo cesura do-po la sua prima sillaba; solo così, almeno, si ristabilisce lamisura novenaria del primo emistichio e la rima (ottenibi-le peraltro solo con → sistole). La sensibilità moderna co-glie pure la partitura fonica degli emistichi quando son do-minati da diverse figure sonore; ad esempio:

cAlAto dA un AnsAnte UlUlo d’Uomo

(Pascoli, Il ciocco)

con riduzioni vocaliche distribuite con cura nei due emisti-chi dell’endecasillabo (→ riduzione vocalica); e così, appli-cando tale orecchio a ritroso in Inferno, II, 53: «e dOnna michiamÒ / beata e bella» con riduzione timbrica a o nel pri-mo e e allitterazione (o assillabazione) di be nel secondo. Inol-tre Pascoli sa isolare gli emistichi tramite la punteggiaturainterna al verso e l’enjambement, in modo da costruire condue di essi consecutivi, un altro verso, qui un decasillabo acavallo di due endecasillabi [cfr. Beccaria G.L., L’autono-mia del significante. Figure del ritmo e della sintassi. Dante,Pascoli, D’Annunzio, Einaudi, Torino 1975]:

E poi fece il piccone, arma che durechiede le braccia, e forte vuole il forte

(Le armi).

Quasi volesse complicare il leonino (cfr. supra), D’Annun-zio fa rimare il primo emistichio dell’esametro con l’uscitadel pentametro, e l’uscita dell’esametro con il primo e delpentametro, con rimalmezzo e rime in punta, ecco, incro-ciate:

Quale tremor giocondo la pace degli alberi, o Muse,agita e alle richiuse urne apre il sen profondo?

(Villa d’Este).

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ENDECASILLABO 83

Letteratura italiana Einaudi

encomio → epinicio

endecasillabo

Nella metrica classica, metro composto di undici sillabe fisseche non ammette sostituzione di lunga ( ) con due brevi (^ ^)o viceversa. Varietà: a) endecasillabo alcaico (→ alcaica/-o): ⁄ ^ ⁄ / ⁄ ^ ^ ⁄ ^ _. (tripodia giambica catalettica+di-metro dattilico); b) endecasillabo saffico (→ saffica/-o): ⁄ ^ ⁄ / ^ ^ ⁄ ^ _. (dipodia trocaica, dattilo, dipodia tro-caica). Per l’endecasillabo falecio o catulliano, → cesura.Nella poesia italiana, verso di undici sillabe metriche con ac-cento principale sulla decima. Il verso principe della nostratradizione, che rientra nelle formazioni più nobili, → balla-ta; → canzone; → sonetto; → ottava. Imparisillabo, dunquead accenti variabili, ma non arbitrari; mobile e duttile di rit-mo. Canonicamente, per la linea Dante (quasi sempre ‘nor-male’) – Petrarca (‘normale’ nella prassi) – Bembo (teorizza-tore della ‘norma’): accento almeno su 4a e/o su 6a. Se su 4a

solamente (a minore), inizia con un → quinario, ad esempio:

mi ritrovái / per una sélva oscúra

seguito qui, come di frequente, da accento di 8a, menospesso di 7a; ad esempio (sempre dallo stesso primo cantodell’Inferno, v. 22):

e come quéi / che con léna affannáta.

Se su 6a solamente (a maiore), inizia con un settenario:

Nel mézzo del cammín / di nostra víta

(qui settenario tronco), inoltre accenti di 2a (come in que-sto caso) o di 3a. La distinzione non implica una divisionenetta mediante → cesura (qui sopra indicata per chiarez-za). Dibattutissima, difatti, la questione della cesura [cfr.Baldelli I., «Endecasillabo», in Enciclopedia Dantesca, II,1970, pp. 672-76; Elwert W. T., Italienische Metrik, MaxHueber Verlag, München 1968 (trad. it. Versificazione ita-liana dalle origini ai giorni nostri, Le Monnier, Firenze1973); Beccaria G.L., L’autonomia del significante. Figuredel ritmo e della sintassi. Dante, Pascoli, D’Annunzio, Ei-

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84 ENDECASILLABO

Letteratura italiana Einaudi

naudi, Torino 1975; Di Girolamo C., Teoria e prassi dellaversificazione, il Mulino, Bologna 1976]. L’e dicesi tronco,piano, sdrucciolo a seconda dell’uscita tronca, piana (‘nor-male’), sdrucciola. Ritmo a volte definibile secondo la di-stribuzione degli accenti: esempio e dattilico (→ dattilo).Per l’endecasillabo di 6a con clausola d’→ adonio e sina-lefe, → clausola. Possibile in Dante e Petrarca l’accento di9a più o meno forte (→ metro; verso):

A ciascun’álma présa e gentíl córe

(Dante, Vita nova).

Accento di 5a talvolta in Dante [cfr. Di Girolamo C., Teo-ria e prassi della versificazione, il Mulino, Bologna 1976]:

vestíto di nóvo d’un dráppo néro

(Rime)

e anche nelle rime di Boccaccio, mai invece in Petrarca enei petrarchisti, mentre appaiono ancora nella poesia quat-trocentesca, ad esempio L. B. Alberti e il Boiardo [cfr.Mengaldo P. V., La lingua del Boiardo lirico, Olschki, Fi-renze 1963]:

Così a Malagíse il dimón dicía

(Orlando innamorato).

Quanto all’origine, pur non escludendo una qualche in-fluenza francese (meglio, provenzale, come già accennato daBembo) e indicando, anzi, le somiglianze col → décasyllabe,D’Ovidio [Versificazione romanza. Poetica e poesia medioe-vale, 3 voll., Guida, Napoli 1932] ipotizza una derivazionedall’endecasillabo saffico attraverso la poesia mediolatinacon la mediazione, forse, del → trimetro giambico (ma giàTrissino; cfr. infra). Décasyllabe ed e discenderebbero, dun-que, per rami paralleli da rhythmi mediolatini (→ ritmo).Avalle [Preistoria dell’endecasillabo, Ricciardi, Milano-Na-poli 1963], invece (vista la denuncia inoltrata a suo tempodal Monteverdi contro gli endecasillabi dell’iscrizione delDuomo di Ferrara, risultati apocrifi, e collocando di conse-guenza i primi endecasillabi italici, al massimo, alla fine delsecolo XII), dimostra la discendenza più diretta dell’endeca-

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ENDECASILLABO 85

Letteratura italiana Einaudi

sillabo dal décasyllabe (come già affermato da Dante); que-st’ultimo poi sarebbe la versione galloromanza di un versogià presente nell’innografia mediolatina come il decasillabosdrucciolo «in tremendo / die iudicii» (in «Apparebit re-pentina»), con l’accento sull’ultima sillaba dell’uno e del-l’altro → emistichio (→ tetrametro; metrica) mediante atte-nuazione progressiva della cesura di 4a e aggiunta di una sil-laba soprannumeraria (secondo fonetica occitanica e poi ita-liana) [cfr. pure Beltrami P. G., La metrica italiana, il Mu-lino, Bologna 1991].Nelle origini si trovano forme non canoniche (atone sia la4a che la 6a); Dante esalta poi una tradizione a lui vicinache già privilegiava l’endecasillabo, e ne vanta la supre-mazia («superbissimum carmen», cioè il verso stilistica-mente tragico in sommo grado) per durata ritmica («tem-poribus occupatione»), plasticità e capienza («capacitatesententie, constructionis et vocabulorum»). Peculiare l’im-piego dantesco: per esempio la scelta di un accento fortedi 1a in casi di voluta intensità, interlocutoria o meno:

Dónne ch’avéte intellécto d’amóre

Dónna pietósa e di novélla etáde.

L’esempio petrarchesco di e dura nei secoli, e Della Casa,Tasso e altri variano gli insiemi con sistemi di complementoquale l’intenso → enjambement. Sull’onda dell’imitazioneneoclassica Ariosto comico adotta l’e sdrucciolo e il Tris-sino interpreta l’endecasillabo piano come → trimetrogiambico catalettico (→ metrica barbara). Pascoli ne coniauno sdrucciolo (in → rima ipermetra) con l’ultima sillabada imprestare al verso seguente mediante → episinalefe; eun altro di 1a, 3a, 5a, 8a (o 7a), e 10a che corrisponde per-fettamente all’e saffico, se letto fuori dell’accentazione na-turale:

Splénde al plénilúnïo l’órto; il mélo.

Nella metrica novecentesca (→ libero, verso) l’endecasilla-bo si presenta spesso in forme non canoniche:

quando un giórno da un malchiúso portóne

(Montale, I limoni: 3a 7a)

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86 ENJAMBEMENT

Letteratura italiana Einaudi

Il máre, le sue blandízie accidióse

(Ungaretti, I ricordi: 2a 7a)

a volte approssimato per difetto o per eccesso (→ iperme-tria), variato e manipolato; ma resta pur sempre una misu-ra di riferimento, quando non ripristinata compiutamente.Un caso particolare è il decasillabo epico: quinario tronco opiano+settenario piano, vietata la → sinalefe in cesura. So-lo nel primo caso (primo emistichio tronco) il verso risultadi undici sillabe, nel secondo se n’ottengono di fatto dodi-ci, ma la quinta atona va ritenuta come soprannumeraria(cesura epica). È un’artificiosa costruzione fineottocente-sca imitativa del décasyllabe francese epico. Esempio: il Pa-scoli della Canzone di Roland:

Alte montagne ed alberi ben alti:quattro pietroni v’ha lucidi di marmo.

Cfr. anche di D’Annunzio, La notte di Caprera.

enjambement

Alterazione della (ipotetica) corrispondenza tra unità delverso e unità sintattica; dunque frattura, più o meno for-te, a fine verso della sintassi o di un sintagma (o, persino,di una parola, → tmesi) causata dall’a capo. Ad esempio:

sol con un legno e con quella compagnapicciola da la qual non fui diserto

(Dante, Inferno, XXVI, 101-2).

Il termine enjambement è francese per paradosso storico:il Boileau nel Seicento lo usava per condannare il fenome-no, mentre in Italia, poiché era assai impiegato nella pras-si, non si sentiva alcuna necessità di una definizione teori-ca precisa [cfr. Pazzaglia M., Manuale di metrica italiana,Sansoni, Firenze 1990]. Il Tasso parlava di rompimento einarcatura (Discorso dell’Arte poetica), il Minturno di versiincatenati, catena (Arte poetica). Nonostante le insistenze(Fubini) su inarcatura, e s’è definitivamente affermato. Ri-getto (fr. rejet) è lo spezzone di unità sintattica collocato nel

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ENJAMBEMENT 87

Letteratura italiana Einaudi

verso seguente. Un sia pur leggero sfasamento tra struttu-ra metrica (versale e strofica) e struttura linguistica è insi-to nel principio stesso di codificazione metrica del discor-so poetico, che include appunto l’alterazione del flusso lin-guistico ‘normale’. L’enjambement non fa che accentuaretale sfasamento. Della questione s’impadronirono i forma-listi slavi (→ metro; verso) che concepivano il verso comela risultante di due forze distinte: l’impulso ritmico (→ rit-mo) e lo schema sintattico. L’e era per loro, appunto, unincremento della tensione tra ritmo e sintassi, un elemen-to vistosamente alterante la lingua standard, e, in aggiun-ta, un punto critico di attrito (spesso in zona rimica), conrottura del → parallelismo fonico-semantico, e un’intensi-ficazione della «esitazione tra suono e senso» (Valéry). Lescelte operate da un autore (o un’epoca) intorno alle di-sposizioni delle frasi sintattiche nello schema versale (e,conseguentemente, l’uso dell’e) possono essere assai im-portanti per definire la qualità materiale dei testi. Che iclassici abbiano sempre cercato, magari derogando soven-te, di evitare divergenze tra metro e sintassi, e romantici (esimbolisti) invece, abbiano strenuamente e polemicamenteperseguito il contrario, è asserzione appena indicativa etroppo generica. Nella Commedia gli enjambements fra dueversi sono rari (6 per cento):

Ma fu’ io solo, là dove soffertofu per ciascun di tòrre via Fiorenza

rarissimi tra una terzina e l’altra:

e quivi per l’orribile soperchiodel puzzo che ’l profondo abisso gitta,ci raccostammo, in dietro, ad un coperchio

d’un grand’ avello, ov’io vidi una scrittache dicea: «Anastasio papa guardo,lo qual trasse Fotin de la via dritta»

(in cui l’e tra terzine si incastona tra altri due ‘normali’).Dante plasma una → terzina che è sia metricamente sia sin-tatticamente unitaria. È il primo Cinquecento che per de-siderio di variare il petrarchismo senza offenderlo, fa unuso molto fitto dell’enjambement:

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88 ENJAMBEMENT

Letteratura italiana Einaudi

Volea gridar: «Dove, crudel, me solalasci?» ma il varco al suon chiuse il dolore

(T. Tasso, Gerusalemme Liberata)

e già Della Casa, con effetti di volta in volta sentimentali,patetici o «magnifici e sublimi», secondo lo stesso Tassoammirava. Poi Leopardi:

Ma sedendo e mirando, interminatispazi di là da quella, e sovrumanisilenzi, e profondissima quiete.

Impiega forti enjambements il Carducci barbaro (→ metricabarbara) aprendo la strada alla doppia lettura dei versi. Neusa abbondantemente di tutti i tipi Pascoli e a volte così fit-tamente da costringere a sentire sottili ritmi nuovi, inaugu-rando un Novecento che dell’enjambement fa uno strumen-to essenziale ora di innovazione ora di eversione del discor-so poetico:

coi riccioluti càvoli, che sononeri, ma buoni; e quelle mie violegialle, ch’hanno un odore... come il suono

dei vespri, dopo mezzogiorno, al solenuovo d’Aprile […]

(L’oliveta e l’orto).

Infine tre sono, almeno, i modi per misurare l’enjambe-ment: 1) la divaricazione sintattica (aggettivo/sostantivo;soggetto/verbo; verbo/complemento; copula/predicato no-minale; preposizione, pronome relativo, congiunzione, ar-ticolo posti sull’a capo, ecc.; con tutta una graduatoria:chiaro, per esempio, che è più forte aggettivo/sostantivoche il contrario). 2) rapporto tra forza della spezzatura ver-sale (non è però il verso a spezzarsi ma la sintassi) e pausainterna al verso seguente; per esempio, le terzine di Paso-lini sono infarcite di enjambements cui corrisponde quasisempre una pausa forte dentro il verso:

tra questi muri il suolo in cui trasudaaltro suolo; questo umido chericorda altro umido; e risuonano

(Le ceneri di Gramsci).

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EPIGRAMMA 89

Letteratura italiana Einaudi

3) rapporto tra e e → cesura (quando c’è) del verso seguente[cfr. Di Girolamo C., Teoria e prassi della versificazione, ilMulino, Bologna 1976; Cremante R., Nota sull’enjambe-ment, in «Lingua e stile», II, 1967, pp. 377-91].

enneasillabo

Letteralmente e semplicemente: verso di nove sillabe. Nel-la metrica classica: verso impiegato nella strofa → alcaicaoraziana, in terza posizione: , , , / ^ , _. , percui dicesi anche enneasillabo alcaico; è in sostanza unapentapodia giambica catalettica (→ piede; giambo; cata-lessi); cesura dopo il sesto elemento. Nella metrica italia-na viene usato spesso come (quasi) sinonimo di → nove-nario, oppure (→ anisosillabismo) come escursione possi-bile di un → ottonario.

epigramma

(gr. epígramma, < epigráphein ‘scrivere sopra’). Nella lette-ratura classica: iscrizione funeraria o commemorativa; poi,in età ellenistica e bizantina, breve componimento poeti-co di vario tema; infine in epoca imperiale, breve compo-nimento satirico e mordace. Fra i latini: Catullo (impie-gando distici elegiaci) e soprattutto Marziale, con accen-tuazione del tono tagliente arguto, satirico, veloce, comi-co (non umoristico, però). Metri: → distico elegiaco, → en-decasillabo falecio, → coliambo. Esempio:

Versiculos in me narratur scribere Cinna.Non scribit cuius carmina nemo legit.

(Marziale).

(«Versicoli contro di me mi dicono che Cinna scriva. Mascrivere come può, uno che nessuno legge?»). Imitarono gliantichi epigrammisti, ritenuti maestri ineguagliabili, i mo-derni: Poliziano (anche in greco) e Sannazaro (nel Quat-trocento in particolare con → quartina di endecasillabi AB-

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90 EPINICIO

Letteratura italiana Einaudi

BA), nel Cinquecento l’Alamanni (che negli Epigrammi ri-produce il distico elegiaco con una coppia di endecasillabia rima baciata o a rima zero); e poi i barocchi per una pe-culiare intesa su temi e toni arguti e d’effetto. Col Sette-cento s’aggiungono non marginalmente progetti di polemi-che personali, sociali e politiche (Monti, Foscolo, Alfieri):

Questi è Vincenzo Monti cavaliero,gran traduttor dei traduttor d’Omero

(Foscolo).

Esempi in epoca contemporanea: Pasolini, nella sezioneUmiliato e offeso di La religione del mio tempo, con disticia rima baciata che approssimano l’→ alessandrino:

In questo mondo colpevole, che solo compra e disprezza,il più colpevole son io, inaridito dall’amarezza

(A me).

Fortini in L’ospite ingrato:

Carlo Bo

No

Carlo Bo in realtà è il titolo; dunque il monosillabo «No» è lapiù breve poesia italiana e forse il più breve epigramma maiconcepito: che sia inoltre una negazione su rima tronca, ‘co-mica’, s’addice perfettamente alla struttura e al genere in que-stione.

epinicio

(gr. epiníkion ‘canto vittorioso’, che celebra la vittoria inispecie nelle gare atletiche d’Olimpia). Nella melica grecal’e assume una notevole importanza con Pindaro, ma daquel che resta di Bacchilide riusciamo a capire che le for-me metriche erano già ben evolute. Il termine designa siaun genere con le sue leggi che una forma particolare tri-partita (ma non sempre: Olimpiche, XIV; Pitiche, VI, XII,ecc.): → strofe (introduzione e annuncio dell’evento), → an-tistrofe (racconto mitico), → epodo (ripresa del motivo prin-

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EPISINALEFE 91

Letteratura italiana Einaudi

cipale, glorificazione del vincitore, della città, della divi-nità protettrice, del censo dell’atleta, il quale eccitava l’i-spirazione del poeta con una congrua somma di denaro).Forma minore è il kômos, sorta di serenata di amici sullaporta di casa del vincitore; a questo termine si connette,anche per via etimologica, l’encomio. L’influenza di Pindaro è ben avvertibile nel Cinque e Sei-cento italiano, soprattutto per le imitazioni metriche del-la canzone o ode pindarica da parte di G. Chiabrera (→epodo; ode).

episinalefe

Figura metrica che consiste nella fusione (→ sinalefe) inun’unica sillaba metrica della sillaba finale di un verso conla prima del verso successivo (iniziante per vocale); il fineesplicito sta nell’evitare l’→ ipermetria o l’ipometria. Uncaso particolare di episinalefe si ha dentro il fenomenodell’→ anisosillabismo. Esempio:

che frequentan co’ formice,en Dio te seccan la radice

(Jacopone da Todi)

dove il secondo verso, un novenario giambico al posto del-l’ottonario trocaico ch’è il metro dominante, è ipermetro;l’eccedenza viene medicata però con sinalefe a cavallo deidue versi, cioè episinalefe, appunto: «formice,` | `en».Per ragioni esteriormente classicheggianti, intimamente disperimentalismo ritmico, l’usò Pascoli assieme alla → sina-fia. Due, almeno, i casi:

pei bimbi che mamma le andavaa prendere in cielo

(La figlia maggiore)

cioè novenario più un quinario, che in realtà ha una sillabain più («a»), la quale va a unirsi per episinalefe con l’usci-ta del verso antecedente («andava»), e il quinario è bell’erestaurato.

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92 EPITAFIO

Letteratura italiana Einaudi

È l’alba: si chiudono i petaliun poco gualciti; si cova

(Il gelsomino notturno)

cioè due novenari di 2a 5a 8a, il primo dei quali è sdruc-ciolo, ma come tale perfettissimo (l’ultima sillaba non siconta, a norma della metrica italiana). Ciononostante ilpoeta introduce episinalefe, facendo iniziare il verso se-guente con vocale («petali` | `un») non dunque per ragionimetriche, ma per ragioni sottilmente ritmiche: infatti, con-siderando i versi separati, il ritmo sarebbe:

^ / ^ ^ / ^ ^ / ^ ^

^ / ^ ^ / ^ ^ / ^

dove il ritmo dattilico è interrotto esattamente a metà del-la serie; con l’e, invece, si ottiene una cascata di dattili cheinonda senza soluzioni i due versi:

^ / ^ ^ / ^ ^ / ^ ^ / ^ ^ / ^ ^ / ^

ciò che Pascoli precisamente voleva. Si potrebbe chiamarela prima episinalefe metrica e la seconda episinalefe ritmi-ca. Pascoli impreziosisce ulteriormente la figura con → ri-ma ipermetra.

epitafio

(gr. epitáphios ‘elogio funebre’). Discorso in onore dei mor-ti. Tipico della civiltà della pólis greca, dove un oratore s’in-caricava di celebrare l’eroe caduto per la difesa della patria;cfr. l’orazione di Pericle per gli Ateniesi morti in guerra inTucidide. Vicino alla lamentazione funebre di cui un pri-mo esempio per la morte di Ettore nell’Iliade. In Roma glicorrisponde la laudatio funebris, che rinvia, invece, all’o-nore della gens ed è quindi pronunciata, di solito, da un pa-rente. I versi per lo più esametri come quelli di Virgilio checanta Marcello in Eneide. Nella poesia moderna l’epitafioè una breve composizione che funge da iscrizione sepol-crale. Boccaccio racconta che dopo la morte di Dante vi fuuna gara spontanea tra molti versificatori per scrivere un

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EPITALAMIO 93

Letteratura italiana Einaudi

epitafio per il suo sepolcro. Il più noto è l’epitafio di Gio-vanni del Virgilio, in settenari disposti in distici che inizia«Theologus Dantes, nullius dogmatis expers». Oppure sitratta di un vero e proprio discorso elogiativo funebre co-me le Oraisons funébres di J.-B. Bossuet in onore dei per-sonaggi della famiglia di Luigi XIV. Come epitafi scrittisulla lapide della propria tomba dal medesimo morto sonoconcepite le poesie della Spoon River Anthology dell’ame-ricano E. L. Masters che allude all’Antologia Palatina (rac-colta di testi dal IV secolo all’età bizantina), la quale a suavolta raccoglieva brevi poesie funerarie. Gusto per l’epita-fio dimostra il tardo Ottocento italiano. Così, ad esempio,Vittoria Aganoor Pompilj, Pei funerali di Alinda Bruna-monti, in quartine di ottonari abba:

Vedi? è il trionfo. I sonoriInni odi tu? Pel sepoltoTuo corpo stanco hanno coltoTutte le rose e gli allori.

epitalamio

(gr. epithalámios ‘canto nuziale’, tenuto presso il thálamos‘letto nuziale’). È un canto per le nozze di qualche perso-naggio eseguito da un coro la sera o il giorno dopo lo spo-salizio; mentre l’imeneo s’intonava durante il rito. Saffoportò ai gradi alti della letteratura ciò che in origine, po-polarmente, era esclamazione e lode, ritornello e sempliceaugurio. L’idillio 18 di Teocrito per le nozze di Menelao eElena è l’unico epitalamio greco che possiamo leggere perintero. I latini accolsero la tradizione greca e la sviluppa-rono con Catullo, Ovidio e Seneca nella Medea. In Italiascrissero componimenti nuziali Tasso e Marino rifacendo-si a Claudiano e Ausonio più che a Catullo; poi Frugoni eFantoni. Le innumerevoli tirate in versi dell’Arcadia in oc-casione di nozze (insieme con monacazioni e funerali) sontratte a fresca e gioiosa ammonizione dal Parini nell’ode Lenozze in strofe di canzonetta raggruppate a due a due, diquattro ottonari ciascuna abbc addc con c tronco:

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94 EPITRITO

Letteratura italiana Einaudi

È pur dolce in su i begli anniDe la calda età novellaLo sposar vaga donzellaChe d’amor già ne ferì.

In quel giorno i primi affanniCi ritornano al pensiere:E maggior nasce il piacereDa la pena che fuggì.

Per Pascoli e il suo Gelsomino notturno, epitalamio sui ge-neris, → disseminazione fonica.

epitrito → piede

epodo

(gr. epoidós ‘canto aggiunto’). Come verso indica una mi-sura breve che chiude un periodo metrico più ampio. Co-me strofa, per estensione, una composizione di verso lun-go seguito da verso breve, come gli Epodi di Orazio, disti-ci formati da un → trimetro e un → dimetro, giambici eacatalettici entrambi (→ giambo; catalessi):

⁄ ^ ⁄ , ⁄ ^ ⁄ , ⁄ ^ _. ⁄ ^ , ⁄ ^ _. .

Esempio:

neq(ue) éxcitatur clássico milés trucineq(ue) hórret iratúm mare,forúmque vitat ét superbá civiumpotentíorium límina

(Epodi).

Come strofa, ancora, con epodo si allude all’ultima partedelle tre parti della formazione pindarica (le prime due →strofe; antistrofe), e alle sue traduzioni italiane («volta, ri-volta e stanza» secondo il Minturno; «ballata, controbal-lata e stanza» secondo l’Alamanni). Canzone o ode pinda-rica è istituto cinque-secentesco che volge in strofe italia-

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EPODO 95

Letteratura italiana Einaudi

ne, anche tipograficamente e visivamente scandite in tri-partizione, la voga dell’imitazione di quei greci (Pindaro)che, in vero, presentavano soluzioni di continuità ben piùsfumate e percettibili solo all’orecchio. Nel Cinquecento ilmedesimo L. Alamanni (che chiamò le proprie odi pinda-riche «inni») e altri impostarono uno schema di strofe diendecasillabi e settenari uguale all’antistrofe ab-CabCcdddDfF (struttura evidentemente ancora di → can-zone petrarchesca, riformalizzabile in abC : ab; c [chiave]dddDfF) e epodo ghIghIikllkmM (idem). Il solito Chiabrerarinnovò drasticamente contraendo e liberando, per esem-pio: strofe e antistrofe Ab7CCb7Ad7EEd7 (si noti che man-ca, tra l’altro, la chiave), epodo a7b7a7Bc5c5DD (dunque: un-dici, sette e pure cinque sillabe), in Al Principe Carlo Ducadi Ghisa. Per la presa della Roccella, nelle Canzoni eroiche(così chiamò le sue ‘pindariche’). Altre volte con strofe eantistrofe di otto versi e tripartizione meramente conte-nutistica, preludio ancor più chiaro alla canzonetta (→ ana-creontica/-o). L’imitazione più diretta, invece, del sistemagiambico (detto epodico) di Orazio giunge dall’asse bron-zeo Fantoni-Carducci con quartine di due endecasillabi edue settenari (ma anche viceversa) ora piani ora sdruccio-li. Barbara la soluzione di Ruit hora (S11S7S11S7 dove S =sdrucciolo, niente rime, otto strofe; → metrica barbara):

O desïata verde solitudinelungi al rumor de gli uomini!qui due con noi divini amici vengono,vino ed amore, o Lidia

ancor più italicamente A11b7A11b7 con rime alternate piane(ben nove dei Giambi ed Epodi):

Torpido fra la nebbia ed incresciosoesce su Roma il giorno:fiochi i suon de la vita, un paurososilenzio è d’ogn’intorno

(Per Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti).

Si veda anche Pascoli, per esempio Il croco (dai Canti di Ca-stelvecchio):

Ma messo ad un riso a6

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96 ESAMETRO

Letteratura italiana Einaudi

di luce e di cielo, b6

per subito inganno c6

ritorna il tuo stelo b6

colà donde l’hanno c6

diviso: a3

tu pallido e fiso a6

nel raggio che accora, d6

nel raggio che piace, e6

dimentichi ch’ora d6

sei esule, lacero, e6

ucciso: a3

tu apri il tuo cuore, f6

ch’è chiuso, che duole, g6

ch’è rotto, che muore, f6

nel sole! g3

in cui la rima G delle due parti (qui si è citata la seconda)è fissa (-ole).

esametro

(gr. hexámetron ‘[verso] di sei misure’). Il più antico versogreco a noi noto, poi passato ai latini. Nella sua più tipicadisposizione (quella dattilica; → dattilo) lo incarnano perl’eternità i poemi omerici (epici) e i poemi esiodei (didasca-lici). Introdotto poi da Ennio (Annales) diviene il verso del-l’epica latina e di altri non minori generi. Schema: ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ _. . Esempio:

⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ , ⁄ , ⁄ ^ ^ , ⁄

Árma virúmque canó, Troieáe qui prímus ab óris

(Eneide).

In quanto verso dattilico gli elementa longa ( ) possono es-sere realizzati solo da sillaba lunga. Dattilo puro in quintasede; ma quando, eccezionalmente, vi sta uno spondeo l’e-sametro per celebrare l’evento si chiama ‘spondaico’ (→spondeo). La → cesura è pentemimera o semiquinaria, ca-de cioè dopo il ‘quinto mezzo piede’, o meno frequente-mente eftemimera o semisettenaria, cade cioè dopo il ‘set-timo mezzo piede’, o, raramente, altrove. Il primo mem-

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ESAMETRO 97

Letteratura italiana Einaudi

bro sino alla cesura dicesi hemíepes, maschile ( ⁄ ^ ^ , ⁄ ^^ , ⁄ ) o femminile ( ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ ^) (→ emistichio).È un verso importante anche per la letteratura latina dimezzo, che vi introduce la → rimalmezzo: l’esametro leo-nino, diffusissimo nel medioevo, fa rimare i due emistichi:

In terra summus rex est hoc tempore Nummus

(Carmina Burana).

Per le letterature romanze, soprattutto quella italiana chevanta il più rilevante sforzo d’imitazione neoclassica, l’e-sametro costituì il più allettante ma il più difficile, forse,dei modelli (proprio per l’elasticità del numero sillabico),la più alta sfida. Tentarono, come soluzione massima-mente fedele (in teoria), basandosi su una prosodia rigi-damente quantitativa del toscano, L. Dati nella Scena del-l’Amicizia («I’ son Mercurio di tutto l’olimpico regno»)e l’Alberti (→ metrica barbara):

Dite, o mortali, che sì fulgente coronaponesti in mezzo, che pur mirando volete?

(L. B. Alberti, De Amicitia).

Si accontentarono, poi, come soluzione molto compromis-soria e concretamente infedele, dell’endecasillabo sdruc-ciolo o piano o sciolto, molti in età classica tra cui Trissi-no pratico e teorico (→ endecasillabo; sciolto, verso); cer-cando così d’ottenere la botte piena (l’endecasillabo, ver-so eletto e «tragico», per Dante) e la moglie ubriaca (unaqualche rispondenza o precisamente «rappresentazione»,come affermava il Varchi, dell’esametro). La rottura del si-stema delle forme metriche era implicita. Il più grande in-novatore, Chiabrera, rinunciò e passò la mano a Carducciche partì da zero e propose un aggiogamento di due versiitaliani già noti, preferibilmente nella combinazione di ba-se, settenario+novenario dattilico (→ novenario):

Tra le battaglie, Omero, nel carme tuo sempre sonantila calda ora mi vinse: chinommisi il capo tra ’l sonnoin riva di Scamandro, ma il cor mi fuggì su ’l Tirreno

(Sogno d’estate)

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98 ESAMETRO

Letteratura italiana Einaudi

ma anche in somma di misure limitrofe: quinario, senariosdrucciolo o, più frequentemente, ottonario+novenario;quinario o senario+decasillabo; ottonario+settenario eanche l’inverso (secondo, pure, suggerimenti di sperimen-tazioni tedesche). Realizzò, dunque: cesura, numero varia-bile di sillabe, libertà di ritmo, eccetto il finale dalla quin-tultima in poi con ritmo ⁄ ^ ^ ⁄ ^, nel secondo emistichio(→ adonio). Con ben maggior rigore rispetto all’«orecchia-tura» carducciana [Contini G., Varianti e altra linguistica.Una raccolta di saggi (1938-1968), Einaudi, Torino 1970]realizza l’esametro G. Pascoli che, filologia e poesia neo-classica tedesca alla mano, scandisce secondo quantità, intraduzione per esempio:

L’uomo, o Musa, mi dì, molt’agile il quale per moltocorse, da ch’ebbe la sacra città distrutta di Troia

come già aveva fatto, isolato, Campanella coi suoi disticielegiaci [Elwert W. T., Italienische Metrik, Max HueberVerlag, München 1968 (trad. it. Versificazione italiana dal-le origini ai giorni nostri, Le Monnier, Firenze 1973)]:

Musa latina è forza che prendi la barbara lingua:quando eri tu donna, il mondo beò la tua.Volgesi l’universo: ogni ente ha certa vicenda,libero e soggetto ond’ogni paese fue

(Al senno latino).

Le combinazioni pascoliane di novenario di 2a 5a 8a con me-tri affini (novenari d’altri accenti o decasillabi di 3a 6a 9a

ritmicamente equivalenti) rifanno su due linee l’e barbaro;basta porre in → anacrusi la prima delle due sillabe in tesi(→ arsi/tesi) [Pazzaglia M., Manuale di metrica italiana, San-soni, Firenze 1990]:

Ho nel cuore la mesta parolad’un bimbo ch’all’uscio mi viene

(Fanciullo mendico).

L’esametro dannunziano è fatto di senario+novenario (oviceversa) e, comunque, con rilievo dei gruppi ternari e se-nari, per accentuazione della fluttuazione ritmica e de-pressione della funzione bipartitiva della → cesura:

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EUFONIA/CACOFONIA 99

Letteratura italiana Einaudi

Oh fresca surgente dal grembo divino de l’acque

(Canto del sole).

Per l’esametro ‘personale’ di Thovez (doppio ottonario),→ metrica barbara.

esasillabo → alessandrino

eterometrico → isometrico/eterometrico

eufonia/cacofonia

(gr. eû ‘bene’, kakós ‘cattivo’+-phonía, < phoné ‘voce’,dunque ‘buona voce’, ‘buon suono’ VS ‘cattiva voce’, ‘cat-tivo suono’). Si potrebbe asserire in generale e in via sem-plificatoria che la poesia è la ricerca, attraverso vari accor-gimenti tra cui principalmente quelli metrici, della ‘buonavoce’ del ‘bel dire’ regolato in forme acusticamente grade-voli e memorabili e socialmente riconoscibili per l’orecchioe la mente della comunità. Ma certo le cose sono più com-plesse. Intanto perché non esiste un’accezione unica e uni-versale, anche all’interno di una medesima cultura, del‘buono’ e del ‘cattivo’ per l’orecchio, una volta per tutte.Ogni epoca, ogni area, ogni gruppo possiede la sua compe-tenza culturale della ‘buona voce’ poetica, anche se la tra-dizione e la conoscenza mutua delle tradizioni possono farintendere e apprezzare forme foniche molto distanti neltempo e nello spazio. Anzi, spesso ciò che viene offerto,avvertito inizialmente come cacofonico, costituisce unoshock in parte o in tutto programmato dall’artista e poi viavia assimilato dal pubblico e più o meno rapidamente ac-cettato e valutato positivamente, dunque come eufonico.Certe ricorrenze foniche distese per tutto il verso da Pa-scoli (→ allitterazione; riduzione vocalica), per esempio:

Quanto scampanellaretremulo di cicale!stridule pel filare

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100 EUFONIA

Letteratura italiana Einaudi

moveva il maestralele foglie accartocciate

costituirono per i contemporanei uno scandalo prima di tut-to nei confronti dell’orecchio; così come uno scandalo peressi fu il ritmo, la successione degli accenti, il non uso e poil’uso baciato della rima, su parole e senso popolareschi, diuna pseudoalcaica come:

Al suo passare le scarabattolefremono e i bricchi lustranti squillanoe la grave padellacol buon paiòl favella

con tutte quelle sdrucciole nelle prime due sedi, fuori e con-tro una tradizione dantesco-petrarchesca che esiliava tron-che e sdrucciole in punta di verso. Ben presto tali esperi-menti (non privi di antecedenti, certo, ma molto esposti),inizialmente ascrivibili alla cacofonia, s’integrarono nell’e-sperienza dei rilettori (cacofonia e eufonia si saggiano sem-pre a un’effettiva rilettura protratta) e dei successivi poe-ti, fino a mutare segno. Parimenti le rime e le allitterazio-ni di un Saba:

Ho attraversato tutta la città.Poi ho salita un’erta,popolosa in principio, in là deserta

(Trieste)

troppo ripetute, troppo facili, troppo bambinesche, e in-sieme troppo imparentate con un dettato prosastico per unpubblico, diciamo, carducciano, a un gusto più evoluto emagari allenato da più o meno contemporanee prove cre-puscolari, oltre che – si capisce – dalla lettura dell’infanziacome età psicanaliticamente decisiva, sono state ripensatee risentite come eufonicamente ‘buone’ e persino preziose,di fine sentire, perfettamente ‘adulte’ e aristocratiche.Per la vicenda del novenario ostico all’orecchio di Dante epoi per secoli ostracizzato come troppo monotonamente rit-mico e popolareggiante (troppo poco «alto» e «tragico») einfine riesumato e rivitalizzato in altra chiave da Pascoli→ novenario. Dalla somma degli esempi novecenteschi sa-le più evidente la coscienza poetica del secolo, disponibile

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EUFONIA 101

Letteratura italiana Einaudi

più di ogni altra, a definire l’endecasillabo non localmentecome bella parola dalla rotonda forma sonora precisamentecollocata, ma nella serie sintagmatica dei versi come ripeti-zione di determinati suoni, ricorrenza ecolalica, somma disottili artifici sonori, anche e spesso aspri e astrusi, di cuiquasi in ogni punto la poesia è intessuta. Per cui il complessodegli elementi eufonici (→ allitterazione; assillabazione; ac-cento; rima; ritmo) non costituiscono un impianto esternoe ornamentale, al limite accessorio, che funge da ‘accom-pagnamento’ del significato e del senso, ma la struttura del-la comunicazione poetica medesima in quanto accompagna,sposta e muta la struttura di ogni elemento del linguaggio(s’intenda, soprattutto, nei confronti della prosa).

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ferecrateo

Versetto eolico (da Ferecrate, comico nel V secolo), formacatalettica (→ catalessi/acatalessi) del → gliconeo. Nella me-trica sia greca che latina ha schema X X , ^ ^ , _. (le pri-me due sedi sono libere, saturate da sillaba breve o da lun-ga o da due brevi). Esempio:

^ , ⁄ ^ ^ , ⁄

puellaéque canámus

(Catullo).

Rientra in vari sistemi strofici, seguendo in clausola una se-rie di gliconei o misto ad altri versi. La più importante for-mazione strofica col ferecrateo resta l’→ asclepiadea III(due asclepiadei minori, più ferecrateo più gliconeo). Una-nimemente Chiabrera, Fantoni e Carducci imitarono conun settenario piano (→ metrica barbara):

Le mura dirute di Lodi fuggonoarrampicandosi nere al declivioverde e al docile colle. ferecrateoAddio, storia de gli uomini gliconeo

(Carducci, Su l’Adda).

fiore → stornello

fronte → canzone; sonetto

F

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frottola

Prima frotta, poi frottola (a. fr. frotte ‘gruppo numeroso’;ma più probabilmente direttamente dal lat. frocta ‘conge-rie disordinata’), dagli inizi del Trecento italiano è un com-ponimento astrofico (→ tradizione astrofica) di una certalunghezza, con riferimento al susseguirsi scoordinato e seg-mentato di pensieri, proverbi, sentenze e frasi (apparente-mente) senza senso. Non è metro preciso, ma volubile co-me il contenuto. Per lo più son versi brevi a rime baciate(a coppie, a terne o anche in agglomerati più lunghi) o en-decasillabi con → rimalmezzo; non distante dalla → caccia.Nella teoria antica, ad esempio Antonio da Tempo (→ me-tricologia), la frottola sembra assumere come uniche rego-le il divieto di → rime irrelate e la sovrapposizione tra si-stema delle rime e sequenza sintattica (il cambio di rimadeve avvenire all’interno di un periodo, mai alla fine).Esempio:

O mondo a3

immondo a3

e di ben mondo, a5

che già fosti giocondo a7

ed ora al fondo a5

vai di male in peggio! b6

S’io dico vero, io cheggio b7

ciascun che miri il seggio b7

di san Petro c4

ecc.

(F. Sacchetti).

Ormai acquisito che la cosiddetta frottola giullaresca è unaforma di → serventese (schemi: aaaab bbbbc ccccd, ecc.,tutti settenari o ottonari, ovvero a7a7a7b5 b7b7b7c5 c7c7c7d5,ecc.). Altrettanto illusoria (dal punto di vista di un’auto-nomia del genere metrico, ben s’intende) la cosiddetta frot-tola letteraria o d’arte con schema metrico costante: aaaxbbbx cccx, ecc., ovvero ab bc cd, ecc. Anche qui il model-lo di fondo è quello del sirventese, e la denominazione frot-tola è estensiva (indica la congerie dei materiali, non la for-ma metrica, regolarissima).

FROTTOLA 103

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104 FROTTOLA

Letteratura italiana Einaudi

Due esempi, del Tre e Quattrocento:

Del mondo ho cercato,per lungo e per lato,con caro mercato,per terra e per mare.Vedut’ ho Soriain fin Erminiae di Romaniagran parte mi pare

(Immanuel Romano)

Le galee per Quaracchidieron le vele al vento,giunsono a salvamentoche n’era capitanonon so chi da Spaccianoe due padron’ con elloda Pinti e di Mugello.

(L. Pulci).

Nel primo caso quartine di senari (aaax bbbx, ecc.), nel se-condo sequenza di settenari (ab bc cd, ecc.). Anche se Pe-trarca compose una canzone frottolata (la CV del Canzonie-re) di sei stanze, quindici versi ciascuna con due piedi(x)A(a)B(b)C e sirma (c)D(d)E(e5)DdE(e5)FGgF, tutta in-tessuta di sentenze (Mai non vo’ più cantar), imitata da Bem-bo e altri per omaggio al maestro, il petrarchismo respinse,con tutta la poesia e i metri popolareggianti, anche la frot-tola, ch’è tipicamente antiregolare, antiufficiale, satiricaanche nei confronti della tradizione formale dominante (eanche il → gliommero); e il componimento nella lirica illu-stre decadde (gli ultimi esempi sono quattrocenteschi, L.B. Alberti e il milanese B. Sachella [cfr. Verhulst S., Lafrottola (xiv-xv secolo): aspetti della codificazione e proposteesegetiche, Rijksuniversiteit Gent, Gent 1990; Pancheri A.,«Col suon chioccio». Per una frottola ‘dispersa’ attribuibile aFrancesco Petrarca, Antenore, Padova 1993]). La frottolamusicale (ch’è altra cosa) derivò nel Cinquecento dalla →villotta e ne costituì la variante letteraria giocata in formadi ballata o canzonetta popolare musicata.

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giambelego → archilochea/-o

giambo

Nella metrica greca e latina, → piede formato da una bre-ve e una lunga: ^ (piede giambico puro), perciò di tretempi brevi, con ritmo ascendente. A volte i versi giam-bici sono organizzati per piedi; altre per metra. Per me-trum s’intende una coppia di piedi giambici, ovvero unadipodia o digiambo ( ^ ⁄ ). Due dipodie costituisconoil → dimetro giambico, tre il → trimetro giambico (anche→ senario). Nella metrica italiana e moderna (→ accen-tuativa/quantitativa, metrica) si impiega per indicare unritmo costituito da successioni di sillabe atone (–) e toni-che (+): –+–+– +, ecc. Si parla allora di → settenariogiambico, → novenario giambico, → endecasillabo giam-bico. Esempio: «di qua, di là, di giù, di sù li mena» (In-ferno, V, 43).

gliconeo

Versetto eolico (da Glicone, poeta alessandrino). Nella me-trica greca e latina ha schema: X X , ^ ^ , X _. (con X= elementum anceps, → ferecrateo [cfr. Boldrini S., La pro-sodia e la metrica dei Romani, La Nuova Italia Scientifica,Roma 1992]). Usato da Alcmane, Saffo poi a Roma da Ca-

G

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Letteratura italiana Einaudi

tullo, Orazio, Seneca; metricologicamente molto discussala radice ritmica. Esempio in:

^ , ^ ^ , ^

puellae et pueri integri

Catullo usa strofe di tre gliconei e un ferecrateo, altrovequattro gliconei e un ferecrateo. Orazio lo inserisce comequarto verso (corto, di clausola) nella strofe → asclepiadeaseconda (tre asclepiadei minori+gliconeo) e nella strofe →asclepiadea terza (due asclepiadei minori+ferecrateo+gli-coneo). Chiabrera, Fantoni, Carducci li restituiscono, in →metrica barbara, con un settenario sdrucciolo dentro i si-stemi asclepiadei secondo e terzo. Sistema II:

L’erbe tutte per te liete verdeggiano,piange il bel rosignolo; eco rispondegli:pensa omai che l’età rapida volasi;Clori, vientene,vientene gliconeo

(Chiabrera, Sollazzi in metro classico)

Erra lungi l’odor su le salse auree si mesce al cantar lento de’ nauti,mentre una nave in vista al porto ammàinale rosse vele placida gliconeo

(Carducci, Fantasia).

Sistema III:

Omai per aria corrono turbinie nubi gravide versano grandini,né sostengono i campiormai l’orribil impeto gliconeo

(Chiabrera, Sollazzi in metro classico)

Corri, tra’ rosei fuochi del vespero,corri, Addua cerulo: Lidia su ’l placidofiume, e il tenero amore,al sole occiduo naviga gliconeo

(Carducci, Su l’Adda).

106 GLICONEO

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GOBULA 107

Letteratura italiana Einaudi

gli(u)ommero

(napoletano ‘gomitolo’). Forma in voga a Napoli nel Quat-trocento. Dapprima genere individuato su base tematica(costituito da un insieme di frasi, pensieri, motti e pro-verbi offerti alla rinfusa: dunque gli(u)ommero comeequivalente meridionale di → frottola), poi sinonimo diendecasillabo a maiore con → rimalmezzo (da qui la di-dascalia «Frotola in gli(u)ommero» per un componi-mento del Galeota) e, per estensione, di componimentidi carattere in prevalenza morale che utilizzino esclusi-vamente quella misura. Schema: (a7)A(a7)B(b7)C(c7)D…,ecc. con chiusura …(x7)Y(y7)ZZ. Affidato pure alla recita-zione in forma di monologo e adottato da J. Sannazaro eP. J. De Jennaro [cfr. Parenti 1978].

gobula → cobbola

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haiku

(pl. haikai). Voce giapponese giunta attraverso l’inglese. Èun componimento breve composto di diciassette sillabe di-vise in tre gruppi di 5, 7, 5. Anche il tema è rigorosamen-te ridotto, giusta una civiltà che ha inventato il bonsai: qua-si esclusivamente la contemplazione della natura da partedi un soggetto individuale.Per le origini si risale al renga o poesia a catena, specie diconcorso poetico in cui si dava un primo verso come tema(detto hokku, poi haiku) cui i partecipanti dovevano ag-giungere versi di quattordici sillabe. In epoca moderna icultori maggiori furono Shiki Masaoka e Kyoshi Takaha-ma. Per imitazione, sfida e gusto per i temi ‘naturali’ necompongono anche poeti occidentali e italiani (per esem-pio, D’Annunzio e da ultimo Sanguineti).

hammer rhyme

(ingl. ‘rima martellante’). Due o più parole che si susse-guono direttamente rimando tra loro (→ rima). Non è pro-priamente istituto della metrica italiana, ma può occorrere:«sarebbe il tuo furOR dolOR compito» (Dante, Inferno,XIV, 66). Così nella letteratura inglese: «his great brighteye most silently» (Coleridge), dove la rima martellante è«bright eye» [brait ai] [cfr. Valesio P., Strutture dell’allitte-razione. Grammatica, retorica e folklore verbale, Zanichelli,Bologna 1967]. → allitterazione; riduzione vocalica.

H

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hemíepes → emistichio; esametro

heptasyllabe → ottonario

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ictus

(lat. ictus, < icere ‘colpire’, ‘percuotere’). In metrica classi-ca, l’atto meccanico del battere del piede, della mano, dellabacchetta nella scansione del ritmo poetico, per avviarlo. Re-stano testimonianze dirette: «Lesbium servate pedem mei-que | pollicis ictum» (Orazio, Carmina: «rispettate questoritmo di Lesbo al battito della mia mano»). L’ictus o ‘colpo’corrispondeva, dunque, non all’insistere della voce ma allabattuta della bacchetta o suo surrogato somatico. Solo in se-guito in area latina e in epoca postclassica (dal II secolo d.C. in qua) l’ictus venne associato – nella competenza lin-guistica e nella terminologia – alla voce, e venne, dunque, adesignare l’→ arsi, ovvero il tempo forte, accentato metri-camente, tonico insomma. In tale accezione lo si usa ancoroggi in metricologia romanza e moderna: come sinonimo diaccento metrico (→ accentuativa/quantitativa, metrica; emi-stichio; piede; saffica), spesso per distinguerlo con maggiorevidenza e inequivocabilità dall’accento grammaticale. Nonè detto, infatti, che accento metrico (= ictus) e accento gram-maticale coincidano. Esempio: in «Quant’è bélla giovinéz-za», l’ictus è, conforme alla sequenza («del domán non v’ècértezza»), di 3a e l’accento grammaticale di Quant’è nellascansione è debolissimo (recitare: quantebél-). Viceversa puòdarsi che l’accento grammaticale modifichi gli ictus come sidànno nella normale successione. Esempio: «come fa don-na che in parturír sía» (Dante, Purgatorio, XX, 21), con ac-centi di 4a, 9a e 10a. L’ictus di 9a, appunto, di solito è evi-tato da Dante, non è normale, dal momento che la posizio-

I

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IMENEO 111

Letteratura italiana Einaudi

ne precedente la 10a è (regolarmente) occupata da una bre-ve. Dunque l’ictus può prevalere sull’accento e sovvertire«le gerarchie prosodiche dominanti della lingua standard»come da primo esempio, oppure può succedere il contrario,come da secondo [Di Girolamo C., Teoria e prassi della ver-sificazione, il Mulino, Bologna 1976; ma cfr. anche Berti-netto P. M., Strutture soprasegmentali e sistema metrico. Ipo-tesi, verifiche, risposte, in «Metrica», I, 1978, pp. 1-54].

idillio

(gr. eidyllion, diminutivo di eîdos ‘forma’). Nome genericodi un componimento lirico ampiamente sviluppato, d’am-bientazione bucolica, pastorale. I primi idilli pastorali so-no antichissimi, presenti già per tracce nei poemi omerici.Erano accompagnati dal flauto. Le prime poesie pastoralicompiute pervenuteci sono gli Idilli di Teocrito (inizi delIII secolo a. C.) prevalentemente in → esametri e di argo-mento erotico, mitologico, letterario, inclusa la contrap-posizione, tipica dell’idillio, tra pace dei campi e della na-tura e irrequietezza e disagi della vita cittadina. Imitaronoi Greci i Latini, sopra tutti Virgilio con le sue Egloghe, incui si usano allegorie del mondo arcadico greco per rap-presentare la realtà contemporanea. La poesia idillica nonmancò neppure in era mediolatina e poi in quella modernaa cominciare dalle Egloghe attribuite a Dante fino all’Ar-cadia del Sannazaro. Una forma di idillio è il dramma pa-storale in voga tra Cinque e Seicento (Aminta di T. Tasso,Pastor fido di G. B. Guarini). Idilliaca molta poesia ‘arca-dica’ del primo Settecento. Innalza l’idillio a sublime poe-sia in ultimo reattiva, polemica e tragica (ossia antidillica)G. Leopardi, che chiamò Idilli poesie come L’infinito, Al-la luna, ecc.

imeneo → epitalamio

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112 INNO

Letteratura italiana Einaudi

inno

Fin dall’antichità, un componimento di stampo religiosodedicato alla divinità e alla sua glorificazione. Sviluppatonella civiltà greca più che in quella latina; di solito in → esa-metri. Gli Inni omerici (fra l’VIII e il VI secolo a. C.) lo in-nalzarono a dignità letteraria. Altri poeti (Pindaro, Bac-chilide, Alceo, ecc.) lo svilupparono e variarono anche me-tricamente. Dopo la conclusione del mondo romano (si ve-da almeno il Carmen saeculare di Orazio, inno ufficiale scrit-to su commissione di Augusto per la celebrazione dei Ludisaeculares), di grande momento fu l’innografia cristiana, sustrofe metriche e ritmiche, cantate con e senza accompa-gnamento musicale (→ metrica; metro; ritmo). Nell’era mo-derna designa un componimento di tema sacro o anche po-litico nel momento in cui anche quella politica è una fedee sacre sono la patria e la sua libertà: Foscolo, Monti, Leo-pardi, Manzoni (Inni sacri), Carducci (→ brindisi). Il metroderiva dalla → canzonetta, strofe brevi di versi brevi conun ultimo verso tronco, che diedero origine all’→ ode so-prattutto per mano del Parini; le loro odi i romantici chia-marono, appunto, inni. → epodo.

ionico → piede

ipermetria/ipometria

Nella metrica greca e latina si chiama ipermetro un organi-smo metrico che eccede (gr. hypérmetros ‘sopra la misura’;l’ipometro sarà ‘sotto la misura’) la misura dei trenta tem-pi primi (morae) definiti regolari dai grammatici. Nella me-trica moderna e specificatamente in quella italiana, dicesiipermetro un verso approssimato per eccesso, rispetto al me-tro dato, di una o più sillabe, ipometro il verso approssimatoper difetto, sempre rispetto al metro dato, di una o più sil-labe. Ipermetria e ipometria si dànno in ogni epoca e sede(spesso anche come patologia, come errore di trasmissione)

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ISOMETRICO/ETEROMETRICO 113

Letteratura italiana Einaudi

ma con diversi statuti e convenzioni, in dipendenza dallacompetenza metrica di autori e lettori. Un fenomeno dellapoesia italiana delle origini per cui (per varie ragioni prin-cipalmente ritmico-musicali) si verificano ipermetria e ipo-metria (dunque non da correggere), meglio si definisce espiega con l’→ anisosillabismo. A volte un verso ipermetro(crescente di una sillaba) può essere ricondotto alla ragionedella misura prevalente grazie a → sinalefe con la vocale ini-ziale del verso seguente o finale del verso precedente. L’e-spediente era già noto nel Duecento (Jacopone da Todi) efu ripreso dal Pascoli (→ episinalefe; sinafia) che combinòipermetri e ipometri sempre compensabili fra di loro. Nel-la metrica novecentesca caratterizzata da varie forme di li-berazione metrica (→ libero, verso; metrica libera) è fre-quentissimo imbattersi, per esempio, in endecasillabi cre-scenti o calanti, ovvero, dentro una sequenza dove preval-gono gli endecasillabi, in versi che eccedono o mancano diuna o più sillabe. In poeti come Montale Gozzano Pasolinil’ipermetria o l’ipometria non è compensata né compensa-bile, ma reale, perché non c’è nessuna astuzia tecnica cherecuperi le sillabe soprannumerarie o reintegri quelle man-canti. Per la rima ipermetra → rima.

isocolia → colon

isometrico/eterometrico

Si dice isometrico (anche omometrico) un componimento ostrofa, in cui compaiono versi della medesima misura; ilcontrario è detto eterometrico. Per esempio una canzonecome Donne ch’avete intellecto d’amore di Dante di stanzedi soli endecasillabi, è una canzone isometrica. Quando ilcomponimento non solo è composto di versi di varie mi-sure ma non ha struttura regolare, si dice → polimetro.

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114 ISOSILLABISMO/ANISOSILLABISMO

Letteratura italiana Einaudi

isosillabismo/anisosillabismo

Isosillabismo significa, letteralmente, con ugual numero disillabe; anisosillabismo sarà il contrario. Nella metrica gre-ca e latina sono isosillabici quei versi (soprattutto gli eoliciquasi senza eccezioni) in cui non è concessa la sostituzionedi una lunga con due brevi, e che perciò constano di un nu-mero fisso di sillabe. L’ugual numero di sillabe diventa ad-dirittura fondamentale nelle metriche, come quella italiana,di cui una componente essenziale è quella detta appunto –per definizione generale – isosillabica (→ metrica; accen-tuativa/quantitativa, metrica). Ma bisogna distinguere dia-cronicamente. Nella letteratura italiana delle origini (ancheper la spagnola e la francese varranno notizie non dissimili)si ha irregolarità nella misura dei versi, ovvero oscillazioniin genere di una, meno frequentemente di due sillabe, inpiù o in meno rispetto alla misura di base. Per quanto ri-guarda l’Italia le oscillazioni si documentano soprattuttonella poesia giullaresca (a cominciare dai Ritmi, → ritmo) enelle laudi: tali scarti non vengono ritenuti alterazioni del-la forma metrica del testo. Già un esempio nella più antica– forse – poesia italiana:

Salva lo vescovo senato, novenariolo mellior c’umque sia nato ottonario

(Ritmo laurenziano).

In Giacomino da Verona abbiamo alternanza di emistichiosettenario e senario:

D’una cità santa ki ne vol oldir, 6+6com’el’è fata dentro, un poco ge n’ò dir, 7+7e ço ke ge’n dirò se ben vol retenir, 7+7gran pro ge farà sença nesun mentir 6+7

(De Ierusalem celesti)

contemplando «due varietà aritmetiche (per approssima-zione d’una sillaba sola) d’un medesimo tipo, coincidentinell’andatura accentuativa generale, che è all’ingrosso giam-bica nella forma crescente e trocaica nella calante, e perciòdivergente solo per l’assenza o la presenza d’un ‘tempo vuo-to’ iniziale. Questo fatto s’inquadra, allora, nella figura di

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ISOSILLABISMO/ANISOSILLABISMO 115

Letteratura italiana Einaudi

anisosillabismo che è di gran lunga la più diffusa nella let-teratura delle nostre origini» [Contini G., Esperienze d’unantologista del Duecento poetico italiano, 1961, in Id., Bre-viario di ecdotica, Ricciardi, Milano-Napoli 1986, pp.175-210]. Fitto l’anisosillabismo delle laudi, in ispecie ja-coponiche. Mentre nel tipo giullaresco la base è novenariacon riduzione ottosillabica, nelle laudi umbre la base è ot-tonaria con escursione enneasillabica. Perciò: non un no-venario con ‘tempo vuoto’ ma un ottonario con → anacrusi,con espansioni fino al decasillabo:

Or te guarda dal Nimico ottonarioen Dio te seccan la radice nove sillabe

( Jacopone).

L’anisosillabismo è fenomeno che si ritrova poi anche inGuittone d’Arezzo, la cui → ballata per san Domenico Me-raviglioso beato (una lauda, si noti), con ripresa x(x)y e stan-ze a(a)b : a(a)b ; bc(c)y, ammette alternanza di novenari-ottonari che alla rima interna determinano senari-quinari(si citano, a dimostrazione delle escursioni possibili, la pri-ma e la terza stanza):

Onor sé onor’ acresce 8a guisa de pesce in gran mare, (6) 9e vizio s’asconde e perisce 9e vertù notrisce a ben fare, (6) 9sì come certo appare, 8per te, Domenico santo, 8unde aggio canto in amore (5) 8

[…]

Agricola a nostro Signore 9non terra ma cor’ coltando, (5) 8fede, speranz’ e amore 8con vivo valor sementando: (6) 9oh quanti beni pugnando 8fai di diserti giardini 8con pomi di fin savore! (5) 8

Dante – anche sul piano tecnico, antiguittoniano di pro-gramma – fu rigorosamente isosillabico. Ma l’anisosillabi-smo delle origini (non violazione ma flessibilità metrica so-cialmente accettata, specie nella comunità recitante e can-

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116 ITIFALLICO

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tante) non va misurato sul rigido i petrarchesco e petrar-chistico dal Trecento in poi; né va confuso con la varia-zione sillabica della poesia moderna (→ metrica barbara; li-bero, verso), con, per esempio, componimenti come L’a-mica di nonna Speranza di Gozzano, che alterna nei versidoppi emistichi novenari con ottonari con ritmi distinti epropri:

il caminetto un po’ tetro, le scatole senza confetti, 8+9i frutti di marmo protetti dalle campane di vetro 9+8

[cfr. Avalle D’A. S., Alcune particolarità metriche e lingui-stiche della «Vita ritmica di San Zeno», in AA.VV., Linguisti-ca e filologia. Omaggio a Benvenuto Terracini, Mondadori,Milano, 1968, pp. 11-38; Di Girolamo C., Teoria e prassidella versificazione, il Mulino, Bologna 1976].

itifallico → archilochea/-o; trocheo

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lassa

Nella metrica francese e specificatamente nell’epica e nel-la poesia agiografica, e poi nelle altre metriche, serie diversi di numero variabile (all’opposto la → strofa ha un nu-mero fisso di versi). In quel tipo di lassa antonomastica vi-geva l’→ assonanza (lassa assonanzata) o la → rima (l rima-ta). Così è composta la Chanson de Roland come pure il ca-stigliano Cantar de mio Cid. Nella poesia italiana delle ori-gini di lasse sono composti i Ritmi (→) come il Ritmo Lau-renziano a base novenaria-ottonaria, e alcuni poemetti di-dascalici settentrionali (Uguccione da Lodi). La lassa verràrecuperata in tempi moderni per imitazione delle antiche:così la Canzone dell’Olifante (nelle Canzoni di re Enzio) diG. Pascoli che si rifece proprio alla Chanson più famosa,riproducendo pure il → décasyllabe epico francese con unendecasillabo italiano anomalo «monotono come nelle las-se della Chanson, con la forte cesura dopo accento sulla 4a,e versi che procedono a coppie [...] e ad uno ad uno» [Bec-caria G. L., L’autonomia del significante. Figure del ritmo edella sintassi. Dante, Pascoli, D’Annunzio, Einaudi, Torino1975]. Ritentò D’Annunzio con La notte di Caprera diste-sa in lasse di endecasillabi imitativi del verso epico d’ol-tralpe fortemente cesurati (quinario+settenario piano otronco):

Donato il regno al sopraggiunto re,il Dittatore silenziosamentesul far dell’alba con suoi pochi sen vienealla marina dove la nave attende.

L

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118 LAUDA

Letteratura italiana Einaudi

lauda

Poesia di argomento religioso, morale ed ascetico, che nac-que e si sviluppò nel secolo XIII, legata agli ambienti laicidi confraternite religiose (la più antica pare sia stata fon-data a Siena nel 1267). I laudesi avevano come compitospecifico il cantare le laude (questo nome deriva da Laudes,preghiera dell’alba nell’ufficiatura ecclesiastica). Accantoai laudesi, di carattere essenzialmente mariano, vanno ri-cordati i disciplinati, che si richiamavano alle opere peni-tenziali e alla devozione della passione di Cristo; e, ancoracon carattere mariano, i raccomandati di Maria. Le laude,la cui struttura metrica ricalca quella della → ballata (mag-giore e minore; non mancano però schemi diversi, come ilserventese, il sonetto, la sequenza), erano cantate nelle adu-nanze, nelle processioni, nei funerali; ispirata al tema del-la morte si ricorda la celeberrima Quando t’allegri di Jaco-pone da Todi, che, con Garzo e Guittone d’Arezzo, formala triade più importante di laudisti del Duecento; a Jaco-pone (o forse a Garzo) spetta il merito di avere applicatoalla lauda il cosiddetto schema zagialesco (xx / aaax;→ zejel ), mentre Guittone adoperava quello della ballata;in questi schemi sono frequenti, stando alle attestazioni deicodici, l’anisosillabismo (→ isosillabismo/anisosillabismo)e le rime imperfette. Numerosissimi sono i laudari rima-stici; fra questi va ricordato, perché di fine Due o del pri-mo Trecento, il laudario conservato nel codice 91 di Cor-tona, ornato con la musica; e musicato e riccamente mi-niato è il B. R. 18 (metà del secolo XIV) della Biblioteca Na-zionale Centrale di Firenze. La stagione della lauda, cheparte dalla seconda metà del Duecento (un caso a sé ed iso-lato è, per la struttura ed il contenuto, il Cantico di frate So-le di Francesco d’Assisi), arriva sino alla fine del Quattro-cento, quando si esplica all’interno della Sacra Rappresen-tazione, che della lauda è il naturale germoglio (si ricordi,come punto di riferimento, la iacoponica Donna de Paradi-so e le laude drammatiche, dette anche misteri, con le qua-li si mettevano in scena pagine del Vangelo o delle vite deisanti). La lauda, la cui lingua è ricca di latinismi biblico-li-

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LIBERO, VERSO 119

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turgici ma anche di vernacolarismi, fu uno strumento dicultura sacra (tenuta sotto controllo dalle autorità eccle-siastiche), specie se si pensa che le verità della fede, i dog-mi, i testi apocrifi e le vite dei santi furono spesso l’argo-mento di fondo; e l’irradiazione dall’Italia centrale (Um-bria e Toscana), soprattutto verso il Nord, servì anche co-me veicolo di lingua, pur con tutti gli adattamenti localioperati da cantori e copisti.

leonino → esametro

libero, verso

Quando non è usato per indicare, come un tempo, il verso→ sciolto il termine è traduzione letterale del francese verslibre, cui qui si preferiscono i termini di ‘metrica libera’ e‘metrica liberata’ (per le intere ragioni → metrica libera).Verso libero potrebbe ridursi – e di fatto è ridotto nellavulgata – a un mero fatto aritmetico-sillabico della lineaversale, inducendo spesso l’idea di una liberazione assolu-ta dalla forma, puntualmente negata dai diretti interessati(Montale: «Non si dà poesia senza artifizio»; Eliot: «Nes-sun verso è libero per chi vuol fare un buon lavoro»); men-tre metrica ‘libera’ e ‘liberata’ coinvolgono preliminar-mente l’intero organismo poetico, anzi il fatto istituziona-le in sé. Poiché è chiaro che, al di là dei termini prescelti,sotto la parola libertà o ‘liberazione’, stanno elementi cherinviano a una diversa concezione dell’oggetto-poesia e, inultima analisi, a una diversa concezione letteraria ed este-tica (fineotto-novecentesca). Infatti un Gustave Kahn, teo-rizzatore del verso libero francese (nella seconda metà de-gli anni Ottanta del secolo scorso), con non poche influen-ze sugli italiani, poneva tre condizioni: a) la lunghezza delverso e il suo ritmo dovevano essere dettati dall’idea poe-tica (sconsigliava perciò l’→ enjambement); b) la rima do-veva poter essere surrogata dall’assonanza e soprattuttodall’→ allitterazione come nuova strutturazione armonica

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120 LIBERO, VERSO

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del verso; c) anche la strofa come il verso doveva essere mo-dellata liberamente secondo il movimento del pensiero [cfr.Deloffre F., Le vers français, Cdu Sedes, Paris 1969].In Italia la liberazione fu più tarda e graduale, ed ebbe viesia squisitamente autoctone sia fortemente ipotecate dalleesperienze d’oltralpe (Petits poèmes en prose di Baudelaire),ma non solo dai Francesi, anche, per esempio, dall’ameri-cano W. Whitman (Leaves of Grass) che propose un origi-nale ‘verso lungo’ (strutturato soprattutto su ripetizioni,cadenze, allitterazioni e iterazioni di calco biblico) plasmatoogni volta secondo un’interna energia vitale, ogni volta dimisura nuovamente realizzata, un free verse insomma ch’e-ra una sfida e un’emancipazione dalla tradizione (leggi an-che: della letteratura americana nei confronti di quella in-glese). Fanno parte della preistoria italiana del verso libe-ro – ma si tratta di episodi in fondo slegati dai successivifenomeni di fine secolo e poi novecenteschi – le traduzio-ni dei Canti del popolo greco e dei Canti illirici (1841) permano di N. Tommaseo e i Semiritmi (1888) di L. Capuana.La data del 1903 di solito avanzata per fissare la nascita delverso libero nel calendario italiano (Corazzini, Tipografiaabbandonata; Govoni, Armonia in grigio et in silentio)dev’essere anticipata e reinterpretata: esperimenti ‘liberi-sti’ s’erano già affacciati negli anni Novanta con simboli-sti quali Sormani, Quaglino, Sinadinò. Ma, sopra tutto, vaconsiderato il lento e sfumato progresso – non privo di ri-torni e compensi – verso la liberazione metrica, per esem-pio, di un Govoni, che s’incammina sui binari dei sonettiregolari di endecasillabi, ma già sfaldati, quest’ultimi, nel-la → prosodia (pullulano le dieresi di marca Liberty) e ne-gli accenti (di 3a e 7a) per poi introdurre un verso lungo ditredici sillabe e approdare con gli Aborti (1907) a una libe-razione metrica su più piani (versale e anche strofico) [cfr.Beccaria G. L., La somma atonale: Corrado Govoni, 1983,in Id., Le forme della lontananza, Garzanti, Milano 1989,pp. 180-226; Mengaldo P. V., La tradizione del Novecento.Nuova serie, Vallecchi, Firenze 1987 e La tradizione del No-vecento. Terza serie, Einaudi, Torino 1991]. Versi lunghioffrono pure, tra gli altri, G. P. Lucini (Revolverate, 1909),

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E. Thovez, A. Palazzeschi, e poi R. Bacchelli e C. Pavese.Ma nelle misure dei primi due è possibile reperire la com-binazione di due versi canonici. Tanto il teorizzatore delverso libero (Gian Pietro Lucini, Ragion poetica e pro-gramma del Verso Libero, 1908) quanto il Thovez nel Poe-ma dell’adolescenza (1901) risentono direttamente dell’in-flusso della → metrica barbara. Ma il doppio ottonario concesura fissa con cui Thovez mima l’esametro, risentirà pu-re dell’→ alessandrino francese. In effetti la metrica bar-bara rappresenta una via tutta italiana (non la sola, però)al verso libero, o meglio a una liberazione ritmica e metri-ca. Oltre alla depressione della rima e alla violazione del-l’isosillabismo, la metrica barbara comporta di fatto ele-menti stabili e riconoscibilissimi anche isolatamente, comel’uscita dell’esametro barbaro carducciano («Quando a lenostre case / la diva severa discende»; ma si veda pure la rea-lizzazione dell’→ alcmania infarcita di novenari dattilici)che preludono alla reintroduzione pascoliana del novena-rio di 2a 5a 8a, detto appunto dattilico, e all’esaltazione diun ritmo scandito per → piedi che fa aggio sul metro: ilportato più clamoroso di un Pascoli che erode dal di den-tro la tradizione senza sconvolgerne l’impianto istituzio-nale. Mentre uno degli aspetti più vivi e prolifici della me-trica dannunziana è l’idea (sulla scorta della metrica quan-titativa) dell’equivalenza ritmica, per cui metri di diffe-rente consistenza sillabica vengono sentiti come tipica-mente equivalenti.Così il primo Palazzeschi può inventare un verso di lun-ghezza variabile – da un minimo di tre fino a diciotto sil-labe – rigorosamente vincolato (tutt’altro che indistinta-mente ‘libero’, dunque) da una precisa cadenza ritmica,dattilica (→ dattilo): «Il párco è serráto serráto serráto»[cfr. Mengaldo P. V., La tradizione del Novecento. DaD’Annunzio a Montale, Feltrinelli, Milano 1975]. Più tar-di Pavese (Lavorare stanca, 1936) si costruirà un verso piùo meno analogamente ingranato su multipli di ternario(«camminiámo una séra sul fiánco di un cólle») di tipo ana-pestico (→ anapesto). S’ottiene così una successione di →arsi e di tesi più o meno rigorosa (poiché la sequenza può

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122 LOGAEDICO

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concedersi inserimenti di endecasillabi canonici che modi-ficano il ritmo). Bacchelli, invece, coi Poemi lirici (1914;«Il víso d’una dónna, i bióndi lineaménti») intesse versi va-riabili sia in lunghezza che in numero sillabico di piedi, macon un numero costante di → ictus per ogni verso. Paionoesenti dall’influsso barbaro gli episodi govoniani; il visto-so exploit futurista [Marinetti F. T. (a cura di), Enquête in-ternationale sur le vers libre, Edizioni di «Poesia», Milano1909] con le «parole in libertà» (Manifesto tecnico del Fu-turismo, 1912) che perviene all’impiego di diversi tipi di ca-ratteri per ogni riga (o tutti aggettivi, o tutte onomatopee,o tutti verbi infinitivi, ecc.), esasperando, nonostante laprima impressione di orchestrazione rumoreggiante, il ver-sante visivo della poesia; il primo Ungaretti nel quale, «ral-lentato il ridottissimo enunciato, singoli vocaboli o sintag-mi assai contratti diventano, per così dire, ‘centro di ver-so’» [Contini G., Varianti e altra linguistica. Una raccolta disaggi (1938-1968), Einaudi, Torino 1970]:

Lasciatemi cosìcome una cosaposatain un angoloe dimenticata.

Il secondo Ungaretti e la moderata libertà metrica di Mon-tale, infine, appaiono oggi, sempre più, come una mossa evaria ‘restaurazione metrica’ che si conferma in tanti altriautori di tardo Novecento.

logaedico → saffica/-o

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madrigale

1. Forma musicale italiana legata all’Ars Nova trecentescae poi alla polifonia [cfr. Roncaglia A., Sul «divorzio tra mu-sica e poesia» nel Duecento italiano, in aa.vv., L’Ars NovaItaliana del Trecento, IV, Centro di Studi sull’Ars Nova Ita-liana del Trecento, Certaldo, pp. 365-97 1978].2. Composizione metrica della poesia italiana legata allaforma musicale, ma da distinguersi da questa; si differenzianel tempo: madrigale antico, trecentesco e madrigale cin-quecentesco. L’etimo del nome è incerto e fra i più dibat-tuti: da mandrialis (Gidino; → metricologia), come «cosauscita dela mandra dele pecore» (così pure Antonio da Tem-po); da matrix, chiesa madre o cattedrale, dove stavano imaestri musici [Corsi G., Madrigali inediti del Trecento, in«Belfagor», XIV, pp. 72-82 1959]; da matricale carmen, can-to in lingua materna, in volgare cioè (non in latino) e in for-ma domestica, cioè semplice [Gallo F. A., Dal Duecento alQuattrocento, in Letteratura italiana, diretta da A. Asor Ro-sa, VI. Teatro, musica, tradizione dei classici, Einaudi, To-rino 1986, pp. 245-63]. Non ci sono buone ragioni, però,di sospettarne una preistoria popolare [Capovilla G., Mate-riali per la morfologia e la storia del madrigale «antico», dalms. Vaticano Rossi 215 al Novecento, in «Metrica», III,1982, pp. 159-252; I madrigali (LII, LIV, CVI, CXXI), 1982-83, in Id., «Sì vario stile». Studi sul Canzoniere del Petrarca,Mucchi, Modena 1998, pp. 47-90]. La versione trecente-sca è una composizione breve in terzine (da due, come mi-nimo, che è la soluzione più frequente, fino a cinque) e un

M

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124 MADRIGALE

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duetto (o coppia di duetti o verso isolato) finale. Schemi va-riabili. Dunque, entro certi limiti, mosso e movibile: su te-mi amorosi, idillici, bucolici. Per esempio:1) ABB.CDD.EE (lo schema più ricorrente);2) ABC.ABC.DD; 3) ABA.BCB.CC; 4) ABB.ACC.DD.Tutti → endecasillabi in Petrarca che offre coi suoi quat-tro madrigali del Canzoniere (LII, LIV, CVI, CXXI) gli esem-pi più antichi:

Non al suo amante più Dïana piacque, Aquando per tal ventura tuta ignuda Bla vide in mezzo de le gelide acque, A

ch’a me la pastorella alpestra et cruda Bposta a bagnar un leggiadretto velo, Cch’a l’aura il vago et biondo capel chiuda, B

tal che mi fece, or quand’egli arde ’l cielo, Ctutto tremar d’un amoroso gielo C

Frequenti i misti di settenari o con settenario di rinterza-mento (→ sonetto rinterzato):

Passato ha ’l sol tutti i celesti segni Agià l’undecima volta, bche nel tempio ov’i’ son, voi, donna, amai; Ce qui mi trovo, amando più che mai. C

I lucenti capelli erano sparti; Dor su la vaga fronte eveggio raccolti, e con maggior biltate Fche non furon già mai in lor etate. F

Tempo non vien che tal bellezza offenda, Gné che per tempo Amor più non m’accenda. G

(F. Sacchetti).

Il madrigale trecentesco venne ripreso a fine Ottocento: daCarducci («Ancor mi ride ne la fantasia», tre madrigalicongiunti), da D’Annunzio (Madrigali dei sogni, nell’Isottèo)e da Pascoli, che lo predilige (più di sessanta madrigali) re-cuperando spesso lo schema petrarchesco (Canzoniere, LIV)ABA.CBC.DE.DE (ad esempio nei sedici madrigali del-l’Ultima passeggiata in Myricae), che a volte modifica fino

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MARTELLIANO 125

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a contaminarlo con altre strutture [cfr. Bertone G., Notesulla versificazione di Pasolini (I - «L’Usignolo della Chiesacattolica»), in «Sigma», nuova serie, XIV, n. 2-3, 1981,pp. 38-56 ]. Il madrigale cinquecentesco, largamente dif-fuso, non più strettamente legato alla melodia, si sviluppòtra forme più varie e libere e contaminazioni con ballata ecanzone [cfr. Harrán 1988]. Escursioni dai cinque ai quin-dici versi, preferibilmente da sette a undici, endecasillabie settenari; maggior libertà nei rapporti rimici (da tre a no-ve rime), aumento delle irrelate (→ rima irrelata), fino atre. Per esempio: AbACBEcEdfF; aa.bB.CC. dD.EE.F.GG;ABCCbDDEDEFF; Tasso anche aBBcDdCefEgGfHH;pure Michelangelo:

S’egli è, donna, che puoi acome cosa mortal, benché sia diva Bdi beltà, c’ancor viva be mangi e dorma e parli qui fra noi, Aa non seguirti poi, acessato il dubbio, tua grazia e mercede, Cqual pena a tal peccato degna fora? DChé alcun ne’ pensier suoi, aco’ l’occhio che non vede, cper virtù propia tardi s’innamora. DDisegna in me di fuora, dcom’io fo in pietra od in candido foglio, Eche nulla ha dentro, e èvvi ciò ch’io voglio. E

Al madrigale cinquecentesco si riagganciano anche i Ma-drigali a Dio (L’usignolo della Chiesa cattolica) di P. P. Pa-solini (cinque in tutto, su schema variabile, misti di ende-casillabi e settenari ad eccezione dell’ultimo, con soli en-decasillabi).

martelliano

Col nome di Pier Jacopo Martelli si battezzò l’→ alessan-drino a distici baciati (→ distico) che quell’autore impiegònelle sue tragedie e poi teorizzò in Del verso tragico, 1709:cioè due settenari accoppiati, su paradigma francese, in-

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126 METRICA

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derogabilmente piani. Martelli: «O miserabil padre, perquanto il guardo scorre»; Goldoni: «Per certo il vostro no-me voi non vi scorderete» (Cavalier Giocondo). Quartinedi due distici AABB riprende il Carducci in Su i campi diMarenco, con strategico uso dell’→ enjambement, e ammis-sione di → emistichio sdrucciolo (qui al secondo verso):

Su i campi di Marenco batte la luna; fòscotra la Bormida e il Tanaro s’agita e mugge un bosco;un bosco d’alabarde, d’uomini e di cavalli,che fuggon d’Alessandria da i mal tentati valli

Più volte recuperato, nel Novecento, da P. P. Pasolini.

metrica

(gr. metriké [téchne] ‘arte del → metro’). Sia 1) l’insieme diregole e leggi che governano il testo poetico come arte del→ verso; sia 2) l’insieme dei metri usati da un autore, o dauna corrente o epoca. Nell’accezione 1), più generalmenteallargata, metrica è la definizione delle leggi primarie del-l’organizzazione formale e ritmica della poesia, nella 2) è,invece, un concreto catalogo ragionato, per esempio, la me-trica dantesca (= i metri usati da Dante e perché), la me-trica stilnovistica, la metrica bizantina, la → metrica bar-bara, la metrica moderna, ecc.Di tutta la metrica, almeno di quella occidentale, possonodarsi divisioni di massima: metrica classica o quantitativa(greca e latina); metrica medioevale (il Medioevo indicavacome poesia metrica quella che seguiva la versificazione clas-sica o quantitativa VS poesia ritmica [→ ritmo], nuovo tipodi versificazione che si allontanava dalla valutazione quan-titativa della sillaba e procedeva nella direzione di una ver-sificazione tonico-sillabica); metrica romanza (provenzale,francese, italiana, ecc.); metrica barbara (versificazione mo-derna che tenta di riprodurre o ricalcare la versificazione an-tica). Tali (e ulteriori) divisioni andranno specificate. Le prin-cipali differenze tra la metrica classica quantitativa e quellaromanza accentuativa si riassumono nel diverso valore del-la vocale (e della sillaba) e dell’accento. A una durata quan-

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METRICA 127

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titativa dei fonemi (= diverse lunghezze di suono: malus ‘me-lo’ ~ malus ‘cattivo’), si sostituisce nelle nostre lingue la ten-denziale isocronia della sillaba e la distinzione tra vocale aper-ta e vocale chiusa. L’accento poi non è più melodico o cro-matico ma intensivo o dinamico; di qui la distinzione che sifa nelle rispettive metriche (→ accentuativa/quantitativa, me-trica). La poesia ritmica medioevale si stacca da quella me-trica, puntando le sue carte sul numero delle sillabe, sull’ac-cento, sulle rime (→ omo(io)teleuto). Trasformazione dellatecnica poetica e trasformazione linguistica vanno di pari pas-so, naturalmente. Nelle lingue romanze la scomparsa dellaquantità provoca la caduta della ‘legge della penultima’ (→accentuativa/quantitativa, metrica) e l’accento, che divienelibero, acquista valore fonologico: cànto, cantò. Avalle [1979]individua in un testo di Beda, il De arte metrica, una delle piùchiare prese di coscienza della cosiddetta ‘ritmica’ mediola-tina (→ metro; ritmo). Beda infatti è il primo, o tra i primi,a valersi del termine ‘ritmo’ per definire la nuova tecnica ba-sata sul computo delle sillabe che contraddistingue la mag-gior parte dell’innografia altomedioevale. Tra l’altro, Bedacita l’inno alfabetico (ogni strofa comincia con una letteradell’alfabeto, nell’ordine):

Ápparebit répentina díes magna dómini,Fúr obscura vélut nocte ínprovisos óccupans,ín tremendo díe iudicii

rinviando al modello del metro trocaico. Più precisamenteil modello è il tetrametro trocaico catalettico (→ trocheo;catalessi), detto versus quadratus, perché fatto di quattrometri:

⁄ ^ , ⁄ ^ _. / ⁄ ^ , ⁄ ^ _.

(cfr. lo schema in versione di settenario tronco classico → te-trametro). Come si vede, ictus e accenti tonici tendono acoincidere, e le sillabe risultano contate. Tale verso fu il mo-dello del versus caudatus tripertitus, per la strofa della → se-quenza inventata da Ugo di San Vittore, costituita dallascomposizione del settenario trocaico e dal raddoppiamen-to del suo primo emistichio:

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128 METRICA

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Stábat máter dólorósaiúxta crúcem lácrimósadúm pendébat fílius

( Jacopone).

Qui l’isosillabismo e la regolarità nella disposizione degliaccenti sono ancor più strettamente osservati.Per quanto è possibile documentare, le forme metriche ro-manze nascono dalla rielaborazione (dapprima in francesee in provenzale poi nelle altre lingue romanze) della metri-ca mediolatina. Per esempio, la quartina monorima di ales-sandrini può etimologicamente correlarsi all’uso mediola-tino della quartina d’asclepiadei minori (→ asclepiadea/-o;alessandrino). È probabile che cooperino anche influssi dimetriche non latine, come nel caso della strofa zagialescaindebitata con lo → zejel arabo. Divide la metrica medio-latina da quella romanza almeno un fatto importante: nel-la prima i versi si corrispondono con esattezza per numerodi sillabe e nell’uscita finale (parossitona o proparossitona),mentre nella metrica romanza ciò che conta per il compu-to è l’ultimo accento (in italiano un endecasillabo sdruc-ciolo, che ha dodici sillabe, uno piano, con undici, e unotronco, con dieci, si equivalgono). Chi insiste sulla base gal-loromanza della metrica moderna (italiana), esalta per l’ap-punto quel tratto peculiare: poiché nell’area linguistica gal-loromanza i versi latini ‘ritmici’ sono pronunciati con l’ac-cento sull’ultima sillaba, la corrispondenza al verso latinos’ottiene con un ugual numero di sillabe e l’accento sul-l’ultima. Corrispondenza perfetta se il verso esce in tron-ca, non perfetta se in piana (e perciò la sillaba atona finaleviene a essere considerata soprannumeraria) [cfr. BeltramiP. G., La metrica italiana, il Mulino, Bologna 1991].Ai fatti storico-linguistici sono congiunti fatti storico-cul-turali, per cui ogni sistema metrico avrà la sua autonomia eil suo sviluppo. Puntualmente, però, nella ricerca delle ori-gini di un verso si discute il generale assetto di una metri-ca; per esempio, nel caso dell’→ endecasillabo, se derivi daun modello latino e poi mediolatino o da uno franco-pro-venzale. Nella metrica italiana delle origini, inoltre, va ac-quisita la convivenza di forme isosillabiche con forme ani-

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METRICA BARBARA 129

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sosillabiche (→ isosillabismo/anisosillabismo), di cui sonoesempi i Ritmi (→ ritmo). La tradizione metrica italiana,infine, prende il suo più forte impulso regolare e il ‘la’ peril suo cammino col Dante delle Rime, della Commedia e deitrattati e poi con la selezione e regolamentazione ulterio-re (non accompagnata da teoria), di Petrarca.La metrica è correlata con l’oralità, sempre [cfr. Cirese1988]. Ma può essere – e spesso, non solo alle origini, lo èstata – intrecciata inscindibilmente con la musica, il can-to, la danza [cfr. Nattiez J.-J., «Ritmica/metrica», in En-ciclopedia Einaudi, XII, Einaudi, Torino 1981, pp.151-84].

metrica barbara

Indica per accettata sineddoche (dal barbarismo delle Odidel Carducci a tutto un ‘genere’ metrico) quell’arte di farversi che riproducano in lingue romanze (ma anche germa-niche, ecc.) la metrica antica greca e latina (→ metrica). Ilpassaggio da una metrica accentuativa a una metrica in qual-che modo (o apparentemente) quantitativa (→ accentuati-va/quantitativa, metrica) s’ottiene con vari accorgimenti etecnicismi, tutti artificiosi, spesso forzosi, sempre accom-pagnati iperculturalmente da una fitta teorizzazione, quan-do non coniati in versi metapoetici. L’epiteto di ‘barbara’(variamente usato anche in secoli anteriori: Campanella,Foscolo) fu affibbiato dal Carducci alle proprie → odi «per-ché tali sonerebbero agli orecchi e al giudizio dei greci e deiromani, se bene volute comporre nelle forme metriche del-la loro lirica, e perché tali suoneranno pur troppo a moltis-simi italiani, se bene composte e armonizzate di versi e ac-centi italiani». Nei suoi predecessori Carducci studiò gli in-cunaboli della propria sperimentazione metrica. In realtà leopzioni tecniche possibili per tentare il passaggio da unaversificazione all’altra sono, anche storicamente, diverse.Il primo laboratorio di metrica barbara fu al tempo del Cer-tame coronario (1441) con L. B. Alberti (De Amicitia: esa-metri) e L. Dati (Scena: esametri e strofe saffiche senza però

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130 METRICA BARBARA

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rinunciare del tutto alla rima), i quali vollero riprodurre la→ prosodia latina, a partire dalla distinzione (possibile an-che in toscano) tra sillabe brevi e lunghe per natura o posi-zione. La via era aperta. Fu spianata nel Cinquecento conle Regolette de la Nuova Poesia Toscana da C. Tolomei e daaltri teorici e praticanti di un secolo che già coltiva il verso→ sciolto (endecasillabo eroico e tragico; cfr. la traduzionedell’Eneide di A. Caro) e l’endecasillabo sdrucciolo (Ario-sto comico), e interpreta (Trissino) l’endecasillabo piano co-me → trimetro giambico catalettico per avvicinarsi, in ideee coscienza ritmica, e per giunta dentro strutture stichiche(→ asinarteto) e assenza di rime, alle forme latine. Con Chia-brera si sviluppa un’altra possibilità (nel campo quasi esclu-sivo della lirica): rendere i metri classici con le risorse e lestrutture della metrica italiana, cioè numero sillabico e ac-centi (non lunghe e brevi ma → arsi e tesi fatte coinciderecon quelle latine), ricorrendo a un verso o a una combina-zione di due versi italiani. Chiabrera rinuncia all’imitazio-ne dei versi ‘elastici’ ovvero variabili (→ esametro; penta-metro) e si concentra sui metri di Orazio che sono già bel-l’e isosillabici e strofici (non stichici, almeno i più impor-tanti); recupera, al di là della tradizione dantesco-petrar-chesca, versi sdruccioli e tronchi (reintrodotti così nella tra-dizione italiana per la finestra incontestabile della metricaclassica); e ripristina la → cesura (che di solito in un versoitalico, preso in veste semplice, non si sente) grazie alla giu-stapposizione di due versi. Adotta per primo la strofa → al-caica e il sistema asclepiadeo II, III, IV (→ asclepiadea/-o).La rotta davvero innovativa e per certi aspetti rivoluziona-ria era scoperta o, piuttosto, come fece il suo Colombo, in-ventata. Fantoni e Carducci imitarono, sia pur con varia-zioni e aggiunte, ma sempre accettando i principî chiabre-riani, ivi compresa la lettura ‘italiana’, cioè accentuativa,dei versi latini. La più importante novità carducciana fu l’i-mitazione dell’→ esametro e del → distico elegiaco, an-ch’essa nel giro di una riscoperta romantica del → ritmo(non esente da influssi di metrica classica tedesca: Klo-pstock). Risolse brillantemente la difficoltà proponendo unverso in cui due emistichi erano composti di due versi (va-

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METRICA LIBERA 131

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riabili) italiani tradizionali (parisillabi e imparisillabi) con lasola clausola ritmica finale dell’esametro ( ^ ^ , ^) pie-namente rispettata, e ritmo libero per il resto. Unica ecce-zione: Nevicata:

Lenta fiocca la neve pe ’l cielo cinerëo: gridi,suoni di vita più non salgono da la città,

non d’erbaiola il grido o corrente rumore di carro,non d’amor la canzon ilare e di gioventù

cinque distici in cui è ammessa la lettura con scansione quan-titativa, alla latina (o meglio, ‘alla tedesca’; → metrica; pen-tametro), come fece poi Pascoli nella sua propria produzio-ne e nelle traduzioni (→ saffica). Fu solleticato dalla metri-ca barbara anche il giovanissimo D’Annunzio che, folgora-to sulla via delle Odi, debutta ‘barbaramente’ (Primo vere,Canto novo). E siamo ormai in un’area dove più chiara sistaglia la funzione liberatoria di tale sperimentalismo (libe-ratoria della rima e persino dell’isosillabismo dell’usata poe-sia di cui proprio ora si sente l’uggia; complice, nella libe-razione, un uso sempre più disinvolto ma ben programma-to, dell’→ enjambement); così da aprire la possibilità di unverso progressivamente (e in questo caso per via tortuosa-mente arcaica) liberato: per esempio, l’esametro di E. Tho-vez costruito su base di doppio → ottonario foggiato perso-nalmente:

Giaccio disteso su l’erba sopra la cima del monte,supino, sotto un cespuglio, gli occhi sbarrati all’azzurro

(Oblio).

metrica libera

Le varie e graduate liberazioni metriche che comunemen-te cadono sotto l’etichetta di verso → libero. Quest’ultimotermine è, piuttosto, traduzione del fr. vers libre, e vieneimpiegato troppo spesso in modo passivo e in senso gene-rale e assoluto a troppi casi differenti per di più concen-trando sul solo elemento versale una fenomenologia com-plessiva (strofica e di componimento). Così Mengaldo [La

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132 METRICOLOGIA

Letteratura italiana Einaudi

tradizione del Novecento. Nuova serie, Vallecchi, Firenze1987] ha proposto la distinzione tra metrica libera e ‘me-trica liberata’ o ‘liberazione metrica’ nelle varie forme egradi, sulla scorta di quanto già affermato, in terra gallica,da Gustave Kahn, teorizzatore, alla fine degli anni Ottan-ta dell’Ottocento, del ‘verso libero’ e primo promotore diuna differenziazione tra vers libre, cioè veramente libero, evers libéré, il verso cioè che ottempera alle regole tradizio-nali circa il numero delle sillabe, ma non alle convenzionirelative alla -e muta finale e al computo sillabico, dovuteanche ai mutamenti fonetici del francese. Mengaldo ha ap-prestato una tabella di requisiti della metrica effettiva-mente ‘libera’, quasi in esclusiva funzione dell’analisi diGovoni, che tuttavia può essere adottata indicativamentein un ventaglio più ampio di situazioni: 1) perdita di rego-larità e di funzione strutturale della → rima; 2) libera me-scolanza di versi canonici e non canonici (ossia, per questiultimi, versi lunghi, maggiori dell’endecasillabo e non coin-cidenti con doppio senario o doppio settenario); 3) aniso-strofismo, ossia mancanza della corrispondenza tra strofe(o esse portano lo stesso numero di versi, ma questi hannodifferenti misure e collocazione, oppure differiscono in tut-to, numero e tipo di versi). Nel caso storico italiano si pre-senta un tipico graduale itinerario dalla metrica tradizio-nale alla metrica libera attraverso spostamenti liberatoriprogressivi. → libero, verso.

metricologia

S’intende, in modo più specifico che con → metrica, la trat-tazione, più o meno scientifica mediante manuali, trattatio saggi teorici e sul campo, di principî o situazioni perti-nenti al metro o ai metri della poesia. Per quanto riguardal’Italia, il primo trattato di metricologia sarà il De vulgarieloquentia di Dante nei luoghi in cui tratta dei versi e deicomponimenti e teorizza la → canzone e la sua superioritàsu → ballata e → sonetto (→ endecasillabo). Dopo l’eserci-zio metricologico autoglossatorio di Francesco da Barberi-

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METRICOLOGIA 133

Letteratura italiana Einaudi

no (Documenti d’Amore), in latino, frutto di pura teoresidi studioso è la trattazione primotrecentesca del giudice pa-dovano Antonio da Tempo (Summa artis rithmici vulgarisdictaminis, 1332) che classifica o descrive i ‘generi mag-giori’ (sonetto, ballata, canzone) e quelli ‘minori’ (più dif-fusi in area settentrionale: frottola, rondò, madrigale, sir-ventese). La Summa venne tradotta (ma con discreti mar-gini di intervento) da Gidino da Sommacampagna nel Trat-tato e arte deli rithimi volgari (1384-87). Nel Quattrocento:Francesco Baratella (Compendium particulare artis ritmice inseptem generibus dicendi, 1447, altro rifacimento di Anto-nio da Tempo) e poi i trattatelli di Guido Stella e un altroanonimo d’inizio Cinquecento [cfr. Dionisotti C., Ragionimetriche del Quattrocento, in «Giornale Storico della Let-teratura Italiana», LXIV, 1947, pp. 1-34]. Apposta non famenzione di Antonio da Tempo il Bembo nelle Prose (1525,ma diffuse prima) per ripartire su basi tutte nuove e tuttesue, petrarchistiche rigorosamente, tese all’hedoné dell’au-scultazione ritmico-linguistico-sintattica misurata dalla gra-vitas (→ eufonia), teorizzando la triplice divisione delle«maniere di rime»: regolate (→ terzina, → ottava, → sesti-na), libere (→ madrigale, in accezione generalizzata), me-scolate (→ canzone, compresa la → ballata che lui chiamò«vestita», → sonetto). Dopo le Istituzioni di M. Equicola ela Poetica di G. G. Trissino, fitta la trattatistica a partiredalla metà del XVI secolo (L. Dolce, G. Ruscelli, A. Min-turno, G. B. Strozzi, il Tasso de La cavalletta, ecc.) con va-ri dibattimenti, incluso quello attorno al verso → sciolto ealla → metrica barbara (con la sfida alla ‘quantità’ classi-ca). Nel Seicento fondamentali alcuni Dialoghi del Chia-brera in quanto spalleggiano una prassi fortemente inno-vativa. Non per niente s’inaugura con un trattato Del ver-so tragico di P. J. Martello (→ martelliano) il Settecento, ilsecolo che approvvigionerà dei primi manuali pratici. Inquello successivo decisivi progressi sia sul versante scienti-fico e storiografico sia su quello delle teorizzazioni da par-te di letterati eruditissimi. Incarna magnificamente i dueversanti (anche per la notevolissima prosa modellata neisaggi metricologici) il Carducci della Poesia barbara nei se-

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134 METRICOLOGIA

Letteratura italiana Einaudi

coli xv e xvi, del Dello svolgimento dell’ode in Italia e del-le Odi. Interessantissime ma più minute e sparse le osser-vazioni di G. Pascoli (per esempio, il saggio A GiuseppeChiarini della metrica neoclassica, iniziato nel 1900); di granlunga superiore riesce, per le decisive invenzioni metrichee ritmiche, la prassi. Desertificata dall’estetica crociana la prima metà del No-vecento, con rare eccezioni [cfr. Dionisotti C., Ragioni me-triche del Quattrocento, in «Giornale Storico della Lettera-tura Italiana», LXIV, 1947, pp. 1-34] la metricologia ri-prende aìre lentamente a partire da Avalle [Preistoria del-l’endecasillabo, Ricciardi, Milano-Napoli 1963] e poi consempre più intense frequentazioni sia da parte degli stu-diosi, anche con trattazioni comparatistiche e di teoria ge-nerale (cfr., ma fuori dell’ambito italiano sebbene con im-plicazioni sulla metrica italiana, Halle e Keyser [«Metri-ca», in Enciclopedia Einaudi, IX, Einaudi, Torino 1980,pp. 254-84]), che dei poeti, spesso abilissimi teorici, comedi regola generale nel secolo, anche per le conseguenze, nel-la fattispecie, delle diverse interpretazioni della rivoluzio-ne del verso libero. Sempre più densa l’investigazione, perfino attorno a unarivista («Metrica») e la produzione di manuali [CremanteR. e Pazzaglia M., La metrica, il Mulino, Bologna 1972;Bausi F. e Martelli M., La metrica italiana. Testi e storia, LeLettere, Firenze 1993; Orlando S., Manuale di metrica ita-liana, Bompiani, Milano 1993; De Rosa F. e Sangirardi G.,Introduzione alla metrica italiana, Sansoni, Firenze 1996;Lavezzi G., Manuale di metrica italiana, La Nuova ItaliaScientifica, Roma 1996], fra cui, in ultimo, i manuali-trat-tati di metrica italiana di Beltrami [La metrica italiana, ilMulino, Bologna 1991] e Menichetti [Metrica italiana. Fon-damenti metrici, prosodia, rima, Antenore, Padova 1993],quest’ultimo irrinunciabile per ogni questione connessa al-la → prosodia italiana; e, per la metrica latina, Boldrini [Laprosodia e la metrica dei Romani, La Nuova Italia Scienti-fica, Roma 1992].

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METRO 135

Letteratura italiana Einaudi

metro

(gr. métron ‘misura’, ‘mezzo per misurare’, ‘cosa misura-ta’; lat. metrum ‘metro’ e anche, per metonimia, ‘verso’).Nella → metrica classica è ciascuna unità di uno o due→ piedi che costituisce il verso; per esempio nell’→ esa-metro ogni piede costituisce un metro; invece il dimetro èla successione di due misure metriche uguali, in generecomposte da un totale di quattro piedi (il dimetro dattili-co è però costituito da due dattili, quello coriambico dadue coriambi).Nella metrica romanza (→ accentuativa/quantitativa, me-trica) e in generale nelle teorie metricologiche (→ metrico-logia), è lo schema normativo che sovrintende alla compo-sizione del linguaggio poetico versale. Ogni tradizione let-teraria in una data lingua possiede i suoi metri che da que-sto punto di vista costituiscono il sistema convenzionale,riconoscibile nel tempo, di una cultura e di un pubblico, inbase al quale ogni lettore potenzialmente riconosce e cal-cola la conservazione e la novità di ciascun componimentoe autore, ossia accerta e valuta e fruisce esteticamente l’in-venzione ritmica (→ ritmo). Nel patrimonio di ogni tradi-zione sono racchiusi uno o più metri esemplari da studiar-si come fenomeno esplicativo della storia tecnica della poe-sia e come caso teorico paradigmatico della → prosodia diquella medesima area linguistico-letteraria. Alla tradizioneclassica può collegarsi, come eminente e preponderante, peresempio, l’→ esametro, a quella italiana l’→ endecasillaboo anche il → settenario, a quella francese l’→ alessandrino,a quella inglese il pentametro giambico (→ giambo), ecc.Sempre inscindibile dal rapporto più o meno oppositivo(anche in età classica, ma con diversa accezione) con ‘rit-mo’, nei tempi recenti il metro è stato via via assolutizza-to nella sua essenza e funzione di schema astratto e sem-plice (fino alla teoria di Halle e Keyser, di cui infra), nono-stante qualche avvertenza di Jakobson sul fatto che il mo-dello (metro come schema del verso) e realizzazione del ver-so medesimo sono concetti correlativi, e soprattutto di

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136 METRO

Letteratura italiana Einaudi

quanti, su un piano storico, insistono nell’intendere il me-tro non come schema di sillabe e accenti, ma come qualco-sa di calato ogni volta su parole, ovvero significanti e si-gnificati, quali vengono offerti da una cultura storica e in-dividuale. Per cui il metro sarebbe meno ciò che estrapola-no, teorizzando, i metricologi che non ciò che realizzano ipoeti, loro vittime. Nondimeno si va verso la distinzionetra metro e → scansione (interpretazione del verso in baseal metro e mediante le regole prosodiche di una data lin-gua). Più di tutti considerano il metro come schema astrat-to Halle [On Meter and Prosody, in M. Bierwisch e K. E.Heidolph (a cura di), Progress in Linguistics, Mouton,’s-Gravenhage 1970 (trad. it. parziale in Cremante R. ePazzaglia M., La metrica, il Mulino, Bologna 1972, pp.

141-48)] e Halle e Keyser [«Metrica», in Enciclopedia Ei-naudi, IX, Einaudi, Torino1980, pp. 254-84] (su cui Di Gi-rolamo [Teoria e prassi della versificazione, il Mulino, Bolo-gna 1976] e Bertinetto [Strutture soprasegmentali e sistemametrico. Ipotesi, verifiche, risposte, in «Metrica», I, 1978,pp. 1-54]). Semplificando: la teoria assume come unità mi-nima del verso la posizione; ogni posizione (P) metrica puòessere saturata da una sillaba oppure da due sillabe (→ si-nalefe; sineresi), oppure ancora una sillaba dittongata puòsaturare due posizioni metriche (→ dieresi). Nella versifi-cazione comunemente detta tonico-sillabica il modello me-trico di ogni verso è dato da un numero fisso di posizioni eda un → ictus fisso che cade su una determinata posizione,l’ultima P corrispondendo all’ultima sillaba accentata. Co-sì, per esempio, per l’endecasillabo «Nel mezzo del cammindi nostra vita» si avrebbe lo schema metrico #P

1P

2P

3P

4P

5

P6P

7P

8P

9P

10 # (s(s)) (dove P = posizione; s = sillaba; # =

limite del verso, e le parentesi tonde indicano elementi op-zionali [cfr. Di Girolamo C., Teoria e prassi della versifica-zione, il Mulino, Bologna 1976]). Nei secoli, invece, si èindicato con endecasillabo un verso di undici sillabe me-triche con uscita piana, riportando all’ideale modello pia-no i versi tronchi (Maggi: «Meritatamente l’inclita Città»)o sdruccioli (Sannazaro: «Nell’onda solca, e sull’arena se-mina»), in pratica supponendo con l’orecchio una sillabain più per i primi e una sillaba in meno per i secondi. Nel-

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METRO 137

Letteratura italiana Einaudi

la teoria di Halle e Keyser e nelle sue diverse applicazio-ni, di solito private delle implicazioni generativiste origi-narie, non la sillaba ma la posizione compone la strutturadel metro e le sillabe soprannumerarie non vi partecipano:parteciperanno al modello ritmico. Parimenti non l’accen-to ma l’ictus compone la struttura del metro poiché silla-be normalmente atone possono portare l’accento metrico.Costruita per spiegare piuttosto il pentametro giambico in-glese e poi per una spiegazione onnicomprensiva e ciber-netica della metrica d’ogni lingua e paese, quella teoriaesalta l’astrattezza dello schema metrico fino a definirel’endecasillabo in questione così: DDDDDDDDDF, doveD = elemento debole, F = elemento forte. Allora l’endeca-sillabo italiano, al limite, non avrebbe ragione d’essere chia-mato così, avendo nulla o poco a che fare con undici silla-be, se non per mera convenzionalità. Si rivela, dunque, del-la teoria, tutto il carattere antistorico, laddove storica è al-l’opposto la terminologia tradizionale in quanto fa costan-te riferimento alla diacronia delle realizzazioni e alle epo-che letterarie. Rimane tuttavia istruttivo circoscriverel’ambito delle formulazioni di Halle e Kayser per delinea-re anche contrastivamente le questioni. Essi sono stati ca-paci di una semplificazione notevole tale da ritrovare equi-valenti di sequenze DF analoghe anche nei telai per la tes-situra o nella disposizione di fiori in un’aiuola. Ancora, allimite: un apparecchio cibernetico così tarato giungerebbea riconoscere nove piccoli salti leggeri+uno grande e po-tente di un canguro come un endecasillabo. Inoltre, dal fat-to che tra P

1e P

9si possano collocare tanto sillabe atone

che sillabe toniche, s’inferisce la neutralità della sequenza.In realtà le toniche non hanno sede fissa, certo, ma devonocomunque realizzarsi. E in certi ambiti d’autore o di scuo-la hanno addirittura alcune sedi pressoché canoniche (an-cora → endecasillabo). Per di più: nel caso di → episinale-fe e, meglio, di → sinafia si dovrebbe postulare (s) = P ov-vero bisognerebbe ammettere che l’opzionalità si convertain elemento strutturale; il che è almeno parzialmente con-traddittorio. Sempre in ambito italiano, la teoria di Hallee Keyser riporta in auge indirettamente e coonesta la tesi,

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138 METRO

Letteratura italiana Einaudi

di debolissimo se non erroneo fondamento linguistico, se-condo cui non si può dare successione di due toniche (né al-l’interno di parola, né nell’unità del gruppo fonematico; eparimenti non si può dare successione di tre atone). Dun-que, la P

9dell’endecasillabo dovrebbe essere sempre e co-

munque priva di ictus. Non c’è ragione, invece, com’è purstato proposto, di ritrarre l’accento da «mortál» che è e ri-mane tronco nel verso «gráve a la térra per lo mortál gélo»(Dante, Purgatorio, XII, 30). Come non c’è ragione di equi-parare in tutto e per tutto i versi «come fa dónna che inparturír sía» e «Io dicea fra me stesso pensándo:`“Écco”»sulla base degli accenti ravvicinati di 9a e 10a. Tali accen-ti risultano in ambedue i casi d’uguale insistenza percussi-va solo se si trasformi la coppia nello schema P

9+ P

10+ (s)

(il segno+= ictus); e si tralasci del tutto la considerazioneche nel secondo caso la sinalefe -do`Ec- forma, sì, un’uni-ca sillaba metrica, ma le due sillabe grammaticali non scom-paiono, tantomeno nella pronuncia: sinalefe non vuol direannullamento (in Halle e Kayser = ∅ ). Insomma, più si ren-de astratto il modello metrico, più insorge il livello proso-dico, inscindibile da quello. Non molto si sa, in effetti, su come i poeti realizzino unverso rispettando – in varia misura – un metro. «I nove-nari, i settenari, gli endecasillabi, i quinari, non essendoper me mai schemi, non mi nascono dunque dopo trovatele parole, per partito preso; ma mi nascono insieme alle pa-role, muovendone naturalmente il senso», è dichiarazionedi G. Ungaretti in consonanza – almeno generale e per l’ul-tima asserzione con più puntualità – con l’atmosfera for-malista novecentesca. Contini [Varianti e altra linguistica.Una raccolta di saggi (1938-1968), Einaudi, Torino 1970]ha messo in risalto, su di un campione quale Dante, il va-lore della memoria. Una memoria non puramente verbale-semantica, ma organizzata in figure ritmiche:

e ’l viso m’era a la marina tortoOnd’io, ch’era ora a la marina volto

Com’a l’annunzio di dogliosi dannicon tristo annunzio di futuro danno.

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METRO 139

Letteratura italiana Einaudi

Alla memoria di se stesso va aggiunta la memoria dei suc-cessori:

Al tornar de la mente, che si schiuse

(Dante)

Al cader d’una pianta che si svelse

(Petrarca).

Se invece dello schema astratto si pone in rilievo, del m,la sua individuabilità e, dunque, la parte che spetta al let-tore e alla sua competenza, emerge la funzione non solostorica, ma sociale del metro e, insieme, un altro aspettodella contrapposizione metro/ritmo. Un titolo di giornale(«Contro tutte le discriminazioni»), un titolo di romanzo(«Se una notte d’inverno un viaggiatore») non vengono lìper lì percepiti nella loro metricità, anche se sono – se-condo la griglia dell’endecasillabo – perfettamente metri-ci. O sono casuali o involontari, oppure collocati in mododa non suscitare la nostra attesa vuoi per il contesto (pro-sastico o addirittura non letterario) vuoi perché non sonoseguiti immediatamente da una catena omogenea, sia purbreve, che li confermi. Il metro non è dunque sufficientea definire e garantire il verso; è la sequenza in cui compa-re e la sistemazione generale a guidarci verso la sua deci-frazione. Neppure il solo découpage (l’a capo tipografico)è sufficiente: pure nei titoli si va a capo. Tutto ciò che creale condizioni della nostra ipotesi che si tratti di un verso,spinge ad attivare la nostra competenza del metro. In al-tri termini, il verso non è solo un prodotto della volontàdell’autore ma esige la disponibilità, l’attenzione, l’assen-so, anche per via di ipotesi, del lettore. E tale lettore hatratti sociali e storici, non ideali, come nelle più avanzateteorie formalistiche in cui il testo viene a darsi come si-stema di rapporti autosufficiente, per cui la funzione de-codificante del destinatario poteva essere emarginata co-me superflua. Sottolineò fin dagli anni Cinquanta il ca-rattere sociale del patto poeta/lettore Fortini esasperandola divaricazione tra metro e ritmo: a quest’ultimo spette-rebbe il compito di evocare una regola, quindi un pensie-

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140 METRO

Letteratura italiana Einaudi

ro obiettivo, esterno, sociale; al primo il compito di rea-lizzare la libertà individuale: «se l’aspettazione ritmica èattesa della conferma della identità psichica attraverso laripetizione [...] l’aspettazione metrica è attesa della con-ferma dell’identità sociale» [Fortini F., Metrica e libertà,Verso Libero e metrica nuova, Su alcuni paradossi della me-trica moderna, in Id., Saggi italiani, De Donato, Bari 1974,pp. 301-31]. Ma poiché la convenzione tra autore e desti-natario appartiene al sociale, essa è storica: è suscettibileallora di evoluzione e mutamenti nella diacronia, come pu-re nella sincronia da lingua a lingua, da un gruppo socio-culturale ad un altro. Quel tanto di iper-romantico che ènella teoria porta alla tesi, insinuata, che le ‘rivalutazioni’metriche vadano in parallelo con la reazione politica. Mol-to più pertinente l’osservazione fortiniana sull’attuale co-scienza metrica (‘media’ = di un lettore medio) che non di-stingue tra due versi quali «mi allontanai sulla debole bi-cicletta» (Tobino) e «non confessare che sono un ragaz-zo» (Pasolini), cioè tra un verso libero per sillabe e accen-ti e un endecasillabo a minore del tutto regolare e tradi-zionale. «Non è più avvertibile il prezzo della libertàpagato da artefici pur espertissimi quale appunto Unga-retti», concluderebbe Contini [Varianti e altra linguistica.Una raccolta di saggi (1938-1968), Einaudi, Torino 1970]. Sicuro è che tra Otto e Novecento è cambiata in modo de-cisivo la coscienza metrica di autori e lettori di poesia. Iformalisti ne avevano preso atto nel momento in cui han-no depresso il metro a componente – una delle tante, e nonnecessariamente la maggiore – del ritmo, promuovendoquest’ultimo a culmine totalizzante del verso: ovvero rit-mo come movimento globale del materiale linguistico.Molti poeti hanno infatti valorizzato al massimo la distri-buzione delle parole nella pagina, la sintassi, le singole pa-role stesse, i loro significati e significanti ed eletto a isti-tuzione (valida almeno temporaneamente e singolarmen-te) e quasi equivalente del metro. Oppure hanno isolatoun’unità ritmica fissa (che per convenzione può dirsi unpiede, ma senza confonderlo con la metrica quantitativa)e lo hanno iterato in versi di differente lunghezza (e per-

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MONORIMA 141

Letteratura italiana Einaudi

ciò di misura non preordinata né prevedibile). Non a caso Pascoli parla di «coscienza ritmica» a proposi-to del → novenario di 2a, 5a, 8a e lo sente perfino nellaprosa, nel debutto dei Promessi sposi («Quel rámo del lágodi Cómo»). Sente cioè la forma ritmica di un verso ‘nuo-vo’ da lui medesimo riesumato e massicciamente adibito,dopo la secolare quaresima ingenerata dall’ostracismo dan-tesco. Si veda poi, a testimonianza dell’elevazione del rit-mo (inteso come nucleo preciso, ‘piede moderno’) il primoPalazzeschi:

Il párco è serráto serráto serráto,serráto da un múroch’è lúngo le míglia le míglia le míglia

o Campana:

Le véle le véle le véleChe schióccano e frústano al véntoChe gónfia di váne sequéleLe véle le véle le véle

su ritmi ternari (dattilici: ⁄ ^ ^; come nel novenario dat-tilico) e versi di lunghezza variabile (ma multipli o anchesottomultipli del ternario). Quel metro, il novenario, fu ilcavallo di Troia autarchico dell’incipiente Novecento ita-liano, francesizzante e potenzialmente rivoluzionario e ver-liberista, nella fortezza della metrica tràdita.

molosso → piede

monorima

Lett. ‘una sola rima’. → Lassa monorimica o → strofa mo-norimica, cioè costituita da una sola rima (AAA..., ecc.). →Distico monorimo: due versi sulla stessa rima, che a voltechiudono un sistema, per esempio, la stanza di molte can-zoni dantesche, in cui prende il nome di combinatio (→ can-zone). → alessandrino; barzelletta; frottola; serventese.

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mottetto

In origine, genere musicale polifonico francese, poi emi-grato anche in Italia. Letterariamente componimento me-trico intessuto in modo vario e non facilmente catalogabi-le di due (ma anche tre, fino a cinque) versi. Il nome rin-via al contenuto: una sentenza, un aforisma, un proverbio.Esempio: il Trattato delle virtù morali di Graziolo dei Bam-baglioli (sec. XIV), cinque versi ABbCC, endecasillabi consettenario:

Ogni tesoro avanza il vero amico,però ch’elli ama e serve ogni stagionené chiede guigliardone.Ma il falso segue sol prosperitadee fugge il tempo dell’avversitade.

Altro esempio sono i cinquanta mottetti del documento VI,parte II dei Documenti d’Amore di Francesco da Barberi-no, di escursione variabile (da due a otto versi). Nel mot-tetto di Guido Cavalcanti a Gianni Alfani (Gianni, quelGuido salute), poiché il componimento è più disteso, il suc-co sentenzioso giunge negli ultimi tre versi: mottetto a ri-me baciate, o rinterzate o irrelate e versi di varia misura.Complessa la struttura dei Mottetti di E. Montale, quasisempre scanditi su due strofe brevi contrassegnate da «duediverse scale timbriche, talvolta da due diversi movimentiritmici» [Isella D., Introduzione a E. Montale, Mottetti,Adelphi, Milano 1988].

motto confetto

Secondo Antonio da Tempo (→ metricologia) è una formadi → frottola, ma più elevata quanto a stile. In realtà [cfr.Pancheri 1993] il motto confetto è in sostanza un’inven-zione terminologica del trattatista padovano (e l’esempiorecato da Antonio, Dio voglia che ben vada, altro non è cheuna frottola, appunto). I vari «moti» dell’Anonimo Geno-vese (sec. XIII), come il seguente, composto da quattro quar-tine di senari (schema: aaax bbbx, ecc.):

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Letteratura italiana Einaudi

Quoddam ‘moto’ notabile de barba:

Non è za ben rasoa chi è romasogran pei soto nasoper man negligente

saranno semmai da intendere come esemplari di → mot-tetto.

mutazione → ballata

143 MUTAZIONE

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Letteratura italiana Einaudi

nona rima

Componimento strofico (→ strofa) di nove endecasillabicon schema ABABABCCB (ma con numerate eccezioni)impiegato nella poesia italiana esclusivamente nel poemet-to didattico toscano anonimo Intelligenza (sec. XIII), poi re-cuperato con calcolato intento antiquario da G. Giusti (AGino Capponi) G. Marradi e G. D’Annunzio (Il dolce grap-polo, nell’Isottèo; la poesia è tra l’altro intessuta di citazio-ni proprio dall’Intelligenza). Apparentabile con «una stan-za di canzone di 3 piedi AB.AB.AB e sirma CCB» [Bel-trami P. G., La metrica italiana, il Mulino, Bologna 1991]o, ancor più da vicino, con la → decima rima (ABA-BABCCCB), da cui si distingue solo per la sottrazione diun verso. P. P. Pasolini nel Canto popolare (Le ceneri diGramsci) utilizza una specie di nona rima su schemaABABCDCDC su endecasillabi non sempre regolari e surime surrogate a volte da assonanze.

novenario

Verso della poesia italiana costituito di nove sillabe (me-triche) con l’ultimo accento sull’ottava. Peculiarmente car-sico il suo itinerario nella tradizione nostrana: momenti diabbattimento e finanche di ostracismo, riaffioramentigrandiosi. Dante lo condannò come «triplicatum trisylla-

N

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NOVENARIO 145

Letteratura italiana Einaudi

bum» (‘trisillabo triplicato’), poiché non era stato molto«onorato» dai poeti a lui precedenti e perciò «disusato»(De vulgari eloquentia); forse ne intuì la debolezza ritmicaquando presenta accenti mobili o di 4a e, invece, l’ecces-siva monotonia e troppa evidenza ritmica quando è di 2a

e 5a, tanto che assomiglia a un parisillabo (e come tale con-dannabile: → endecasillabo): e tanto più che l’aveva usa-to il «plebeo» di gusti Guittone nella fronte di O dolce ter-ra aretina (per di più con oscillazione verso l’ottonario,dunque con → anisosillabismo). Di fatto, Dante impiegòil novenario soltanto nelle mutazioni della ballata Per unaghirlandetta:

I’ vidi a voi, donna, portare a9

ghirlandetta di fior gentile, b9

e sovr’a lei vidi volare a9

un angiolel d’amore umile; b9

e ’n suo cantar sottile b7

dicea: «Chi mi vedrà x7

lauderà ’l mio signore». y7

Riprende aìre decisivamente con Chiabrera sperimentato-re di versi parisillabici (antipetrarchistici) e barbari:«Sorgéte dal chiúso orizzónte» (2a, 5a, 8a nella terza sededella strofa → alcaica), così come Carducci («tra i rámi stil-lánti di pióggia»), ma già come metro esclusivo nella → ro-manza Jaufrè Rudel (Rime e ritmi):

Dal Libano trema e rosseggia asu ’l mare la fresca mattina: bda Cipri avanzando veleggia ala nave crociata latina. bA poppa di febbre anelante csta il prence di Blaia, Rudello, de cerca co ’l guardo natante cdi Tripoli in alto il castello. d

Poi con Pascoli il novenario diventa il verso base degli in-teri Canti di Castelvecchio con le sotterranee rivoluzioni rit-miche che comporta (→ episinalefe; sinafia); presente perògià in Myricae, soprattutto quello dattilico di 2a, 5a, 8a. Dasolo:

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146 NOVENARIO

Letteratura italiana Einaudi

La vergine dorme. Ma lenta.la fiamma del puro alabastrole immemori palpebre tenta

(Il sogno della vergine).

Con un ternario e/o un senario che si propongono come sot-tomultipli del novenario ripercorrendone il ritmo dattilico:

Io sono una lampada ch’ardasoave!

la lampada, forse, che guardapendendo alla fumida trave,

la veglia che fila

(La poesia).

In quartine con novenario trocaico nelle sedi dispari (in ge-nere, accentate la 1a, 3a e 5a) e dattilico nelle sedi pari (s’ag-giunga che il novenario trocaico è pressoché sconosciutonella poesia aulica e noto solo nelle canzoni popolari delNord Italia):

C’è una voce nella mia vitache avverto nel punto che muorevoce stanca voce smarritacol tremito del batticuore

(La voce).

Con senario in strofe tetrastiche di foggia neoclassica:

A’ piedi del vecchio maniero a9

che ingombrano l’edera e il rovo; b9

dove abita un bruno sparviero, a9

non altro, di vivo; c6

che strilla e si leva, ed a spire d9

poi torna, turbato, nel covo, b9

chi sa? dall’andare e venire d9

d’un vecchio balivo: c6

a’ piedi dell’odio che, alfine, e9

solo è con le proprie rovine, e9

piantiamo l’ulivo! c6

(La canzone dell’ulivo)

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Letteratura italiana Einaudi

con sei strofe, composta ciascuna di due quartine e di unepodo di tre versi. Con → decasillabo dattilico in modo daformare strofe eterometriche e isoritmiche:

San Lorenzo, io lo so perché tantodi stelle per l’aria tranquilla

arde e cade, perché sì gran piantonel concavo cielo sfavilla

(X Agosto).

Per questo aspetto il novenario dattilico può essere sentitocome un decasillabo di 3a, 6a, 9a → acefalo, e come tale fudescritto (e pure condannato). Dopo Pascoli, assai vasta esoprattutto più importante di quel che si crede la fortunae l’influenza sul Novecento: sia nei singoli versi (Montale:«nell’ora che lenta s’annera | suonasse te pure stasera», Cor-no inglese; e prima Gozzano col suo novenario doppio, →emistichio; poi Gatto; Penna), sia in quella che si può chia-mare rivoluzione ritmica (Campana, Palazzeschi; → ritmo)[cfr. Capovilla G., Appunti sul novenario, in R. Luperini (acura di), Tradizione traduzione società. Saggi per Franco For-tini, Editori Riuniti, Roma 1989, pp. 75-88].

NOVENARIO 147

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Letteratura italiana Einaudi

octosyllabe

Nella metrica francese e provenzale, verso che ha l’ultimatonica sull’ottava sillaba; ebbe assai fortuna nei generi liri-ci e narrativi. Alle sue origini sta il dimetro giambico me-diolatino (→ dimetro; giambo). Nella poesia italiana delDue-Trecento gli corrisponde il → novenario ma assai fre-quentemente in forme anisosillabiche (→ isosillabismo/ani-sosillabismo).

ode

(gr. odé ‘canto’). Nella poesia greca è un componimento li-rico accompagnato da musica che veste metri vari sia nellaversione monodica (Alceo, Saffo, Anacreonte) sia nella co-rale (Bacchilide, Pindaro), così come nella poesia latina l’o,sganciata dalla musica, si vale di una molteplicità di metri(cfr. Odi ed Epodi di Orazio). Il nome di ode fu ripescatonel Cinquecento italiano più grecizzante, probabilmenteper mano di Bernardo Tasso, per designare strofe di tipooraziano (cinque o sei versi di schema aBabB o aBbAcC)di → endecasillabi e → settenari come nella → canzone pe-trarchesca, ma, a differenza di questa, senza divisione in-terna di piedi e di sirma e stanze più brevi; le stanze peròdevono essere simmetriche per numero e distribuzione ditipi di verso e per schema rimico. Prende il nome, pure, di‘canzone-ode’. Il secondo schema tassiano ebbe gran suc-cesso in Spagna. Nel Seicento G. Chiabrera, G. Marino,

O

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OTTAVA 149

Letteratura italiana Einaudi

F. Testi e altri continuarono l’imitazione oraziana, chenella soluzione di base (a parte i tentativi di → metricabarbara) propone sulla falsariga del tetrastico oraziano laquartina di endecasillabi con schema incrociato o alterno:ABBA o ABAB. Chiabrera usa pure: aBBaCC (Per la Prin-cipessa D. Maria Medici) sempre endecasillabi con settena-ri, e altri schemi, pronti eventualmente per essere adibiti astrofe e antistrofe della ‘canzone pindarica’ o ‘ode pinda-rica’ che Chiabrera chiama ‘canzone eroica’ (→ epodo). Perode-canzonetta → anacreontica; canzonetta. Per ode bar-bara → metrica barbara. Per ode pitiambica → pitiambica.

omo(io)teleuto

(gr. homoiotéleuton ‘che ha simile desinenza’). Anche omeo-teleuto. Nella poesia classica è la corrispondenza di suonoo di metrica, fra due periodi simmetricamente contrappo-sti. Per estensione è l’identità o somiglianza di uscita(omofonia) di due parole, due frasi, due versi. Un caso pe-culiare è la → rima, ma anche l’→ allitterazione.

omometrico → isometrico/eterometrico

ottava

In metrica italiana, → strofa di otto versi → endecasillabisu tre rime con andamento alternato delle prime due e un→ distico finale sulla terza: ABABABCC. Chiamata pure→ stanza, od ottava rima, impiegata soprattutto in ambitonarrativo, epico, religioso. Strofa, dunque, chiusa: le sin-gole stanze non sono incatenate come, ad esempio, la ter-zina. Discussa assai la genesi. Dionisotti [Appunti su testiantichi, in «Italia medioevale e umanistica», VII, 1964, pp.77-131] e Gorni [1978; 1984] sostennero la tesi della pa-ternità boccacciana, dunque alta, colta, illustre: Boccaccioimpiega l’ottava nel Filostrato, poi nel Teseida e nel Ninfa-

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150 OTTAVA

Letteratura italiana Einaudi

le fiesolano; contro la tesi di un etimo popolare (date vici-nissime: il Cantare di Fiorio e Biancifiore è di sette anni po-steriore al Filostrato; → cantare). Non dall’ottava lirica(stanza isolata; → strambotto; rispetto) deriverebbe l’otta-va narrativa boccacciana ma da una stanza di canzone o bal-lata: uso, dunque, non lirico di forme squisitamente liri-che. Forse dal rifacimento di una fortunata canzone di Ci-no da Pistoia (La dolce vista e ’l bel guardo soave, schemaAB : AB; CddeE):

La dolce vista e ’l bel guardo soavede’ più begli occhi che lucesser mai,c’ho perduto, mi fa parer sì gravela vita mia ch’i’ vo traendo guai;e ’nvece di pensier’ leggiadri e gaich’aver solea d’Amore,porto disir’ nel coreche son nati di morteper la partenza, sì me ne duol forte.

tradotta in ottave nel Filostrato, come ammicco quasi a sug-gerire l’etimo [Gorni G., Un’ipotesi sull’origine dell’ottavarima, in Id., Metrica e analisi letteraria, il Mulino, Bologna1978, pp. 153-70]:

La dolce vista e ’l bel guardo soavede’ più begli occhi che si vider mai,ch’i’ ho perduti, fan parer sì gravela vita mia ch’io vo traendo guai;ed a tal punto già condotto m’have,che ’nvece di sospir leggiadri e gai,ch’aver solea, disii porto di morteper la partenza, sì me ne duol forte.

Altri [cfr. Balduino 1970 e 1982] propongono l’origine po-polare, attraverso la → lauda che, in alcune sue forme,fornì un tramite ai cantastorie per l’ottava ‘siciliana’ o‘iacoponica’: esempio L’omo fo creato vertuoso, di Jacopo-ne, con strofe ABABABAB (si alternano per anisosillabi-smo endecasillabi e decasillabi) da ottava siciliana:

L’omo fo creato vertüoso,vòlsela sprezar per sua follia;lo cademento fo pericoloso,la luce fo tornata en tenebria;

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OTTONARIO 151

Letteratura italiana Einaudi

lo resalire emposto è faticoso;a chi nol vede parli gran follia,a chi lo passa parli glorïosoe paradiso sente en questa via.

Andrà rilevato, con Balduino, che sia gli autori delle laudiche quelli dei cantari concedono molto all’→ ipermetria eipometria e al fenomeno, appunto, dell’anisosillabismo(→ isosillabismo/anisosillabismo), così come a rime imper-fette e assonanze. Comunque sia, è chiaro che al Boccac-cio va, almeno, il merito di una propulsione decisiva delmetro a quote d’arte nobile e raffinata. L’ottava nella ver-sione ‘toscana’ (ABABABCC) è la strofa delle Stanze delPoliziano e dei poemi cinquecenteschi di Ariosto e Tasso,che ne seppero modulare e flettere lo schema solo appa-rentemente monotono e invitante a figure ripetitive.

ottava canterina → cantare

ottava rima → cantare; ottava

ottonario

Nella metrica classica (latina), verso di otto trochei vir-tuali, in cui ogni → arsi può dar luogo a due brevi e ognitesi può essere rappresentata, oltre che dalla consueta bre-ve, da una lunga e, eccettuati il quarto e l’ottavo piede, dadue brevi secondo uno schema che è la riunione di due qua-ternari trocaici: X X X _. / X X X _. (X = elemen-tum anceps, realizzato da breve o da lunga o da due brevi,e _. = elementum indifferens, realizzato da una sola breve oda una lunga) [cfr. Boldrini S., La prosodia e la metrica deiRomani, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1992].Nella poesia italiana, verso di otto sillabe metriche e ac-cento di 7a. Di solito l’altro accento principale cade su 3a

(oppure 1a e 4a):

Sul castéllo di Veróna

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Letteratura italiana Einaudi

batte il sóle a mezzogiórno:da la chiúsa al pian rintrónasolitário un suon di córno

(Carducci, La leggenda di Teodorico).

D’Ovidio [Versificazione romanza. Poetica e poesia medioe-vale, 3 voll., Guida, Napoli 1932] ha proposto una deriva-zione dall’emistichio dell’ottonario trocaico, ossia il → te-tramembro trocaico acatalettico, passato attraverso il sal-mo agostiniano e ha notato una corrispondenza con l’otto-nario del primo emistichio del settenario trocaico («Appa-rebit repentina dies magna domini») (→ metrica; settena-rio; tetrametro; trocheo). Nella tradizione italica fuimpiegato anche omometricamente, ma spesso senza ritmocostante, dalla Scuola siciliana (gli corrispondeva l’hepta-syllabe provenzale). Con la selezione in favore degli impa-risillabi (→ settenario e soprattutto → endecasillabo) impo-sta da Dante e Petrarca, fu relegato nelle composizioni permusica (religiose: → lauda; laiche: → barzelletta). Suona inottonari il canto carnascialesco (Canzona a ballo) del Ma-gnifico: «Quant’è bella giovinezza | che si fugge tuttavia».Dopo il Cinquecento arruolò l’ottonario nella sua rivolu-zione metrica il Chiabrera (→ anacreontica; canzonetta;ode). L’ottonario preferito dai romantici e tardoromantici(il Carducci) può essere occasione di sottesa parodia nel No-vecento:

Me ne vado per le stradeStrette oscure e misteriose:Vedo dietro le vetrateAffacciarsi Gemme e Rose

(D. Campana, La petite promenade du poète).

→ anisosillabismo; epitafio; epitalamio.

152 OTTONARIO

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Letteratura italiana Einaudi

parallelismo

Nella poetica di accezione moderna e di marca jakobsonia-na, figura dominante e definitoria della struttura della poe-sia. Il → verso stesso non sarebbe che una «figura fonica rei-terativa» e la → rima non altro che un caso particolare, maintensissimo per occhio e per orecchio, di parallelismo.Jakobson [Closing Statements: Linguistics and Poetics, in Th.A. Sebeok (a cura di), Style in Language, Wiley, New York- London 1960, pp. 350-77 (trad. it. Linguistica e poetica,in Saggi di linguistica generale, Feltrinelli, Milano 1966, pp.181-218)] si rifaceva ai saggi di G. M. Hopkins che fin dal1865 aveva intuito la peculiare struttura del discorso poeti-co [cfr. Hopkins G. M., The Journals and Papers of GerardManley Hopkins, a cura di M. House, Oxford UniversityPress, London 1959]. Precorrendo i formalisti (→ metrica;ritmo; verso), Hopkins sostenne che ogni forma di artificiodella poesia poggia sul parallelismo. Un parallelismo conti-nuo caratterizza le varie occorrenze storiche: i parallelismitecnici (per iterazioni di → colon) della poesia ebraica, le an-tifone della musica liturgica e il complesso della metrica gre-ca, latina, italiana o inglese. Il ritmo, il → metro, l’→ allit-terrazione, l’→ assonanza, la rima, sarebbero dunque le in-carnazioni principali del principio del parallelismo. Il pa-rallelismo formale (fonico, grafico) suscita poi un paralleli-smo nelle parole e nel pensiero (parallelismo del senso): percui si ha parallelismo anche nel campo retorico (metafora,similitudine, parabola, antitesi, ecc.). Jakobson sviluppò ilconcetto per cui l’equivalenza del suono implica inevitabil-mente equivalenza semantica, fino a elaborare il «principio

P

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154 PASTORELLA

Letteratura italiana Einaudi

di equivalenza» che funziona anche in assenza: come atte-sa delusa di una ricorrenza, di una identità. E ancora: «Lecategorie sintattiche e morfologiche, le radici, gli affissi, ifonemi e i tratti distintivi loro componenti, in altri termi-ni: tutti gli elementi costitutivi del codice linguistico, sonoposti a confronto, giustapposti, messi in relazione di conti-guità secondo il principio della similarità e del contrasto, ediventano così veicolo di un significato proprio». Il lin-guaggio letterario sarà dunque lingua della ripetizione, delritorno, del parallelismo, appunto. La poesia novecentescasovrabbonda di processi parallelistici (ma si trovano visto-se figure di simmetria, di iterazione, anche fuori del campopoetico e letterario: pubblicità, slogan, ecc.; in ispecie quan-do all’indebolimento della metrica tradizionale [→ libero,verso; metrica libera] corrisponde un rafforzamento dellerispondenze foniche, e/o semantiche, verbali, sintagmati-che, ecc.).

pastorella

Nella letteratura prima provenzale poi italiana, un compo-nimento poetico che rinvia al suo contenuto: la finzione diun dialogo amoroso tra poeta e pastorella. L’unico esem-pio italiano veste la forma della → ballata (minore; schemaY(y)X; AB : AB ; B(b)X):

In un boschetto trova’ pasturellapiù che la stella bella, al mi’ parere

Cavelli avea biondetti e ricciutelli,e gli occhi pien’ d’amor, cera rosata;con sua verghetta pasturav’ agnelli;discalza, di rugiada era bagnata;cantava come fosse ’namorata:er’ adornata di tutto piacere

(G. Cavalcanti).

Dalla forma metrica della pastorella deriva la → villanellae dal principio dialogico e scenico elementare il nocciolodel dramma pastorale (→ idillio).

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PENTAMETRO 155

Letteratura italiana Einaudi

pentametro

(gr. pentámetros). Verso dattilico (→ dattilo) dal nome in-gannevole: dovrebbe essere di ‘cinque misure’, mentre loschema ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ / ⁄ ^ ^, ⁄ ^ ^, ⁄ denuncia sei → ic-tus; è dunque un esametro composto da due membri cata-lettici in syllabam (→ catalessi); ovvero è pensabile come unraddoppio del → colon dell’esametro dattilico determinatodalla cesura pentemimera, ovvero una duplicazione del-l’hemíepes (→ esametro). Nel secondo colon non è ammes-sa la sostituzione dello spondeo al dattilo. Quintiliano neindicò una diversa scansione a cinque ictus che ne giustifi-cava storicamente il nome; ma si veda la lettera di A. Boi-to a D’Ovidio in D’Ovidio [Versificazione romanza. Poeti-ca e poesia medioevale, 3 voll., Guida, Napoli 1932] in cuisi dimostra che sul pentametro cadono inequivocabilmen-te sei accenti. Chiamasi anche elegiaco. Raramente è usatoda solo, raramente è anteposto all’esametro, ad esso s’ac-coppia, invece, stroficamente in posizione subordinata nel→ distico elegiaco (a Roma: Catullo, Tibullo, Properzio,Ovidio). Nella riduzione barbara (→ metrica barbara), poiché nel se-condo → emistichio il pentametro presenta sempre sette sil-labe, Carducci risolse con un settenario piano nella secon-da parte e un quinario, senario o, ancora, settenario, nellaprima. Le più volte con doppio settenario: «e traverso gliabeti tremola d’oro il sole» (L’ostessa di Gaby); con qui-nario piano+settenario: «da lungi il rombo de la volan-te s’ode» (Mors); con quinario sdrucciolo+settenario:«Non corre un fremito per le virenti cime» (ibid.). Il rit-mo del pentametro antico letto secondo una → scansioneche segnali con accenti forti la quantità (le lunghe) esige-rebbe l’accento sull’ultima sillaba del primo e del secondoemistichio («Nón est cónveniéns / lúctibus ílle colór», Ovi-dio); Carducci lo riprodusse esattamente (in scansione dun-que quantitativa ‘alla tedesca’; → metrica barbara) solo nel-la per questo famosa Nevicata (con settenario tronco+ot-tonario tronco):

suóni di víta piú / nón salgon dálla cittá

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156 PIEDE

Letteratura italiana Einaudi

nón d’amór la canzón / ílare dí gioventú

gémon, cóme sospír / d’ún mondo lúngi dal dí.

piede

Nella metrica greca e latina, gruppo unitario di due o piùsillabe brevi o lunghe riunite sotto un → ictus. Nel piedesi distingue l’→ arsi, l’elemento forte, segnato dall’ictus, ela tesi, l’elemento debole dove la voce si abbassa. Tale grup-po costituisce l’elemento basilare di un metro o di un rit-mo; e designa l’arte medesima: «pedibus claudere verba»per dire «scrivere versi», (Orazio, Satire). Dentro il piedel’unità di misura è la breve (chrónos prôtos ‘tempo primo’;in lat. mora). Generalmente vale l’equazione = ^ ^, inquanto la lunga viene considerata di durata doppia della bre-ve. Quanto al numero dei tempi primi i piedi principali sidistinguono così: 1) di due tempi: pirrichio (^ ^); 2) di tretempi: → giambo (^ ⁄ ), → trocheo ( ⁄ ^), tribraco (^ ^ ^);3) di quattro tempi: → spondeo ( ⁄ ), → dattilo ( ⁄ ^ ^),→ anapesto (^ ^ ⁄ ), → anfibraco (^ ⁄ ^), proceleusmati-co (^ ^ ^ ^); 4) di cinque tempi: baccheo (^ ⁄ ), cretico( ⁄ ^ ), palimbaccheo ( ⁄ ^), peone (in quattro forme: ⁄ ^ ^\ ^, ^⁄ ^\ ^, ^⁄ ^ ^\ , ^⁄ ^ ^ \ ); 5) di sei tempi: i dueionici ( ⁄ ^ ^, ^ ^ ⁄ ), coriambo ( ⁄ ^ ^ \ ), digiambo(^ ^ ⁄ ), ditrocheo ( ⁄ ^ ^), antispasto (^ ⁄ \ ^), molos-so ( ); 6) di sette tempi: epitrito (in diverse forme, tra cui:

^ ⁄ , ⁄ ^ , ⁄ ^ , ⁄ ^), docmio (^ ⁄ ⁄ ^ );7) di otto tempi: dispondeo ( ).Quanto al ritmo si distingue il piede ascendente, quello che,cominciando dalla tesi va rinforzandosi con movimentoascendente verso l’arsi (esempio ^ ^ ⁄ ) dal piede discen-dente, quello che comincia dall’arsi, decrescendo progres-sivamente verso la tesi (esempio ⁄ ^ ^). Inoltre dicevansifino a ieri piedi razionali quelli che mantengono lo schemaloro proprio, irrazionali quelli che lo modificano sostituendoin un verso piedi di durata minore, ad esempio ⁄ , oppure ^⁄ ^, oppure ^ ⁄ che sostituiscono ⁄ . Ci sono metricostituiti da un solo piede (→ dattilo, esametro dattilico) o

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PITIAMBICA/-O 157

Letteratura italiana Einaudi

da dipodie come le serie giambiche, trocaiche e anapesti-che (→ giambo; trocheo; anapesto).Nell’area mediolatina pes designa un verso in quanto fa par-te di una copula o coppia di versi o di raggruppamenti diversi, che vengono detti pedes. Nella metrica italiana si chia-mano piedi i gruppi di versi in cui può essere divisa la pri-ma parte della → canzone o la stanza della → ballata, o an-che le prime due quartine del → sonetto. La → metrica bar-bara s’appropria del piede come dello strumento principedell’imitazione neoclassica, parlando di piedi persino pole-micamente contro l’usata poesia (Carducci). La metrica no-vecentesca sente ritmicamente il piede e ne esalta, qua e làcon forza, funzione autonoma e valenza di contro all’→ iso-sillabismo (→ libero, verso).

pindarica, ode → epinicio; epodo; ode.

pitiambica/-o

Nella metrica classica, sistema strofico → distico, in dueversioni. La prima:

I)

⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ _. ^ ⁄ , ⁄ ^ _.

cioè un → esametro dattilico+un → dimetro giambico aca-talettico (→ dimetro; giambo; catalessi); usato da Archilo-co poi da Orazio:

Nòx eràt et caelò fulgèbat luna serènointer minòra sıdera

(Orazio, Epodi, 15, vv. 1-2).

L’altra:

II)

⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ _.

^ ⁄ ^ , ^ ⁄ ^ , ^ ⁄ ^ _.

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158 POLIMETRO

Letteratura italiana Einaudi

cioè un esametro dattilico come sopra+un trimetro giam-bico puro. Ad esempio:

Àltera iàm teritur bellıs civılibus aètas,suıs et ipsa Ròma viribus ruit

(Orazio, Epodi, 16, vv. 1-2).

Carducci seguì Orazio restituendo in Sirmione l’esametroalla maniera sua e il dimetro giambico acatalettico (primosistema) con un settenario sdrucciolo; e in Le due torri (mai distici sono aggregati in strofe tetrastiche) il trimetrogiambico (secondo sistema) con un endecasillabo sdruccio-lo. Vale la denominazione generica di → ode.

polimetro

Componimento poetico costituito di versi di differente mi-sura senza uno schema regolare neppure nelle rime; oppurecostituito di diversi organismi metrici regolari in sequenzairregolare (→ tradizione astrofica; isometrico). Tipica la pro-pensione alla polimetria della versificazione ‘bucolica’ giàquattrocentesca (ad esempio La notte torna e l’aria e ’l ciels’annera nella Bella mano di Giusto de’ Conti), e poi negliesiti per la scena del genere, il dramma pastorale, come l’A-minta del Tasso o il Pastor fido di G. B. Guarini, che pre-sentano i tradizionali endecasillabi e settenari nelle azioni eforme liriche, inclusa la canzone petrarchesca nei cori («Obella età dell’oro» nell’Aminta, schema identico a Chiare fre-sche et dolci acque; abC : abC; cdeeDfF per cinque stanzepiù congedo). Così poi, con aggiunta dei metri brevi del-l’ode-canzonetta, nel melodramma metastasiano. Più in-tensa la polimetria dell’opera lirica moderna. Nel librettodella Butterfly di Puccini, Illica e Giacosa usano, isometri-camente o in combinazione con altri versi, tutte le misurecanoniche dal trisillabo al doppio settenario, e poi: versilunghi nei recitativi (→ aria) per esigenze di avvicinamen-to alla prosa della conversazione, frattura ad libitum dei ver-si nelle battute dialogiche, ecc. [cfr. Mengaldo P. V., Que-stioni metriche novecentesche, 1989, in Id., La tradizione delNovecento. Terza serie, Einaudi, Torino 1991, pp. 27-74].

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PROSIMETRO 159

Letteratura italiana Einaudi

prosa ritmica

Greci e Romani si studiarono di produrre il numerus o rit-mo nella prosa grazie a opportune scelte di vocaboli con ac-centi calcolati, → allitterazioni, ecc. Sarà meglio chiamar-la, non ritmica né poetica, ma prosa metrica: (→ clausola;cursus). Per la prosa ritmica italiana in tempi recenti, no-vecenteschi, si possono fare tre esempi: 1) le figure ritmi-co-sintattiche dell’ultima prosa dannunziana, più intimi-stica, ma anche quella ufficiale (i discorsi di Fiume: «certecadenze, certe clausole mi balenavano dentro come queibaleni che appariscono a fior del metallo strutto, ai margi-ni della fossa fusoria», così il Vate nel Libro segreto [cfr.Beccaria G. L., L’autonomia del significante. Figure del rit-mo e della sintassi. Dante, Pascoli, D’Annunzio, Einaudi, To-rino 1975]); 2) il Boine dei Frantumi: «Quándo la séra rincá-so e mi séggo all’accéso camíno…», con ritmo ternario (dat-tilico; → dattilo; novenario), e si vedano anche altri vocia-ni sempre a cavallo tra prosa e poesia [cfr. Bertone G., Illavoro e la scrittura. Saggio in due tempi su Giovanni Boine,il Melangolo, Genova 1987]; 3) Pavese: «Cosí, il giórnoche salímmo insiéme sulle cóste áride délla collína, di frón-te – príma, nelle óre bruciáte, avevámo battúto il fiúme ei cannéti – non so béne se fóssimo sóli» (Il nome, Feria d’A-gosto), su ritmi, non regolarissimi, dell’→ anapesto di La-vorare stanca (perfetto invece l’ultimo membro; → decasil-labo anapestico).

prosimetro

(lat. prosimetrum ‘prosa e versi’). Opera letteraria in cui laprosa è alternata, in misura maggiore o minore, ai versi.Esempi di prosimetro sono già nella letteratura latina clas-sica (ad esempio gli esametri inseriti nel Satyricon di Petro-nio), ma è nel Medioevo che la forma si impone con la Con-solatio Philosophiae di Boezio e con le opere dei poeti-filo-sofi della scuola di Chartres (Alano di Lilla, Bernardo Sil-vestre). Nella tradizione italiana il primo prosimetro è la Vi-

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160 PROSODIA

Letteratura italiana Einaudi

ta nova di Dante, che si rifà proprio all’esempio boeziano ein cui una scelta di trentuno liriche giovanili viene corre-data da una prosa a doppia funzione, narrativa (la storia del-l’amore per Beatrice) e critico-esegetica (le ‘divisioni’, ov-vero l’illustrazione tematica del significato delle varie poe-sie). Nella Vita nova si assiste insomma, per la prima voltae in contemporanea, alla natura duplice che il rapporto traprosa e poesia può mettere in atto: Dante opterà poi per lasola seconda funzione, quella critico-esegetica, nell’altro suoprosimetro, il Convivio. La tradizione italiana sceglierà divolta in volta per l’una o l’altra via, con una preferenza perquella narrativa (a partire dalla Commedia delle ninfe fio-rentine di Boccaccio per arrivare all’Arcadia di Sannazaro eagli Asolani di Bembo) che non è però esclusiva (alla strut-tura del Convivio, in cui cioè la prosa ha la funzione di chia-rire e illustrare le potenzialità filosofiche e teoretiche degliinserti versificati, rimandano ad esempio gli Eroici furori diGiordano Bruno). Nell’Ottocento e nel Novecento il pro-simetro perde progressivamente terreno in coincidenza conla stessa rivoluzione e rielaborazione concettuale cui è sot-toposta una delle sue componenti principali, appunto il ver-so (→ libero, verso; verso). Con un inno alla morte intes-suto di settenari ed endecasillabi variamente rimati si apreil Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie contenutonelle Operette morali di Leopardi, e un’alternanza di versie prosa (lirica) è presente in alcune parti dei Canti orfici diDino Campana.

prosodia

(gr. prosodía ‘accento, modulazione della voce’, prós ‘ac-canto, verso’+odé ‘canto’). In origine il termine indicavai modi della disposizione delle parole del canto. Fu tradot-to esattamente dai latini con accentus (ad-cantus) e impie-gato per designare l’accento, ma anche la quantità (→ ac-centuativa/quantitativa, metrica; metrica; metro), l’aspira-zione e altri fattori della distinzione delle parole poetico-me-lodiche. In generale prosodia divenne il nome dell’in-

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sieme dei fenomeni e regole dell’accentazione e della quan-tità sillabica (piedi, lunghe e brevi, versi, ecc.); e dunque ètermine strettamente legato alla metrica classica, quantita-tiva per eccellenza. Poi, per estensione – a parte il signifi-cato prettamente linguistico –, prosodia s’impiega oggi perindicare le regole del verso che in qualche modo sono lega-te alla fonetica, per esempio la rima, il sillabismo, l’accen-to, ecc. Di recente questo approccio prosodico all’analisiformale della poesia s’è ampliato cospicuamente, da una par-te per lo sviluppo degli studi linguistici, dall’altra per la me-desima utilizzazione esasperata della lingua e del metro adopera di poeti del Novecento. Hallesuoi problemi fonologici; e giù quindi con le questioni squi-sitamente prosodiche come la valenza (gerarchica) degli ac-centi secondari, della loro trasformazione in → ictus, dellapossibilità di due accenti (o ictus) contigui, ecc. (→ metro;cesura).

PROSODIA 161

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quadernario → capitolo

quadrisillabo → quaternario

quarta rima

Componimento poetico in strofe di quattro versi ciascuna.Ogni strofa è autonoma quanto a schema di rime:ABAB | CDCD | , ecc. (schema separato), oppure è auto-noma, ma ripete lo schema: ABBA | ABBA | , ecc.; oppure,raramente, le strofe sono incatenate a mo’ di → terzina:ABBA | BCCB | CDDC | , ecc. Di grosso successo in alcunifrangenti storici la → monorima: AAAA | BBBB | CCCC | ,ecc., impiegata per temi didascalici, espositivi, spesso inalessandrini (→ alessandrino). Esempio:

Quasi ogni greco per comunè lairaor, neco e soperbo;e in nostra contrà n’è unchi de li àotri è pu axerbo

(Anonimo genovese)

su schema abab cdcd efef di novenari. Il Valentino del Pa-scoli è in quartine ABAB con endecasillabi in sede disparie decasillabi in sede pari (→ decasillabo). Alcuni distin-guono da → quartina.

Q

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QUARTINA 163

Letteratura italiana Einaudi

quartina

Propriamente, una strofa di quattro versi. È possibile di-stinguerla da → quarta rima, in quanto quest’ultima sareb-be il nome dell’intero componimento suddiviso in quarti-ne. Di fatto oggi si usa quartina o ‘in quartine’ per una poe-sia come, per esempio, Valentino di Pascoli. La quartinapuò essere monorima (AAAA), a rima alternata (ABAB),baciata (AABB), incrociata (ABBA) o anche su tre rime piùuna isolata (AAAB) (→ rima). La sequenza può prevederevari rapporti tra quartine (→ quarta rima). → anacreonti-ca/-o; epodo; sonetto.

quaternario

Anche quadrisillabo. Nella poesia italiana verso di quattrosillabe metriche con accento principale di 3a e gli altri va-riabili. Già nelle origini, ma anche, tipicamente, nella →canzonetta del Chiabrera, magari misto all’→ ottonario:

damigellatutta bellaversa, versa quel bel vino.

Ha ritmo trocaico (→ trocheo). Secondo D’Ovidio [Ver-sificazione romanza. Poetica e poesia medioevale, 3 voll.,Guida, Napoli 1932] il quaternario è uno «spezzamento»dell’ottonario e due quaternari più un ottonario riprodu-cono il tetrametro trocaico acatalettico (→ tetrametro; ca-talessi).

quinario

Nella poesia italiana, verso di cinque sillabe metriche conaccento principale in 4a, secondario di solito in 2a, giam-bico dunque il ritmo, oppure anche in 1a:

Mélanconía,nínfa gentíle,la víta mía

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164 QUINARIO

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cónsegno a té

(I. Pindemonte, La melanconia).

Dante, che delegò l’eccellenza all’→ endecasillabo e in su-bordine pose il → settenario, ammise nel De vulgari elo-quentia il quinario, che già era stato adoperato dalla Scuolasiciliana e poi dai Toscani. Come → emistichio dell’ende-casillabo (dunque con → rimalmezzo che lo demarca) lo im-piegò pure Cavalcanti (e dell’endecasillabo, nelle varie epo-che, è sentito come figlio partenogenetico). Per conto suoDante lo usò nella canzone Poscia ch’Amor, su schemaAa5(a3)Bb7c7D : Aa5(a3)Bb7c7D ; d7Ee7FGg7F, in rima col pri-mo endecasillabo e con il → trisillabo che fa parte del suc-cessivo endecasillabo con effetto locale di rima ravvicinatae martellante:

Poscia ch’Amor del tutto m’ha lasciato, Anon per mio grato, a5

ché stato non avea tanto gioioso, (a3)Bma però che pietoso b7

fu tanto del meo core c7

che non sofferse d’ascoltar suo pianto; Di’ cantero così disamorato Acontra ’l peccato a5

ch’è nato in noi, di chiamare a ritroso (a3)Btal ch’è vile e noioso b7

con nome di valore, c7

cioè di leggiadria, ch’è bella tanto Dche fa degno di manto d7

imperïal colui dov’ella regna: Eell’è verace insegna e7

la qual dimostra u’ la vertù dimora; Fper ch’io son certo, se ben la difendo Gnel dir com’io la ‘ntendo, g7

ch’Amor di sé mi farà grazia ancora F

Di doppi quinari (adoni), con gli emistichi indipendenti ècostituito «Plange la Chiesa, plange e dolora, | sente for-tura de pessimo stato» (Jacopone; con → anisosillabismo:quinario crescente per sillaba atona). Il quinario doppio puòessere considerato un → decasillabo con → cesura fissa (vie-tata la sinalefe tra i due emistichi). Esempio:

Al mio cantuccio, donde non sento

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se non le reste brusir del grano

(Pascoli, L’ora di Barga)

con accenti 2a, 4a / 1a, 4a | 2a, 4a / 2a, 4a.Per il quinario come emistichio dell’endecasillabo falecio→ endecasillabo. Per il quinario in veste barbara → ado-nio. Per i quinari (piani o sdruccioli) dell’endecasillabo bar-baro → alcaica/-o; asclepiadea/-o.

QUINARIO 165

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Letteratura italiana Einaudi

recitativo → aria

refrain

Anche respos o refranh; in provenzale è il → ritornello o ri-presa (responsorium per Dante nel De vulgari eloquentia) inorigine cantata in coro della → ballata; ritornello legato al-le strofe seguenti in modo che l’ultima sua rima debba es-sere ripresa da quella dell’ultimo verso della strofa.

rejet → enjambement

riduzione vocalica

Strutturazione del verso riportato per intero o quasi al do-minio di una sola vocale. Dante: «PrisciAn sen vA conquellA turbA grAmA» (Inferno, XX, 81). Il fenomeno po-trebbe rientrare nell’→ allitterazione, ma se ne fa un casoa parte per la rilevanza in area simbolista e post-simbolista[cfr. Beccaria 1975]. Similmente la riduzione timbrica(espressione di Contini) è concentrazione in genere su duesole vocali fondamentali, come nella selezione dei timbriaperti di /a/ e di /o/ in «e in guisA di vOrAgine prOfOn-dA | s’Apre lA bOccA d’AtrO sAngue immOndA» (Tas-so, Gerusalemme Liberata). Nella poesia moderna – in Ita-lia, sopra tutti, il solito Pascoli – riduzione vocalica e tim-

R

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RIMA 167

Letteratura italiana Einaudi

brica ricorrono con ossessione pari alla preziosità e al vir-tuosismo, a dimostrazione del prevalere, al limite, dei si-gnificanti, ovvero della forma dell’espressione, sui signifi-cati. Il suono delle parole (soprattutto le parole tematiche)induce la selezione, conduce l’orchestrazione vocale delverso ed evoca idee immagini cose: «glI aSSIduI bISbIglIperdutI | nel SIbIlo aSSIduo deI fuSI» con propagazionetimbrica di /i/ e allitterazione di sibilanti. E in Montale:«cAvAne Avide d’AcquA» (Proda di Versilia). Un esempiodi riduzione vocalica è l’Erotosonetto di E. Sanguineti (→acrostico) soprattutto nei versi inizianti per vocale. Di ispi-razione neosperimentale riduzioni vocaliche drastiche, co-me il riassunto Moby Dick o La balena, di G. Varaldo, inun perfetto sonetto in cui compare solo /a/:

Achab avvampa la masnada stanca,a tal campagna aspra fatta atta:l’amalgama, la plasma, la maltratta...Salda ha la gamba sana, l’altra manca:

la Dannata staccata l’ha dall’anca;la gran plaga salata a far da fratta,là braccata, stanata, la s’abbatta!Flask ammazzata ha la razza franca:

ma l’alba massa ambrata al mar s’avanza:massacra, cala, appar, la matta fa;attratta dal navarca, la paranza

alla macabra danza, al dramma va.L’alma scampata alla fatal mattanza(la bara a galla sta) narrar saprà.

rigetto → enjambement

rima

(lat. rhythmus ‘ritmo’, probabilmente attraverso il fr. rime).Identità di suono (omofonia) tra due o più parole dalla vo-cale tonica, compresa, alla fine; di solito collocata in pun-ta di verso (però → rimalmezzo): vITA : smarrITA; oscU-

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168 RIMA

Letteratura italiana Einaudi

RA : dURA : paURA. Ripetizioni di segmenti o parti so-nore di parole si dànno in tutte le lingue, anche in prosa,dove a noi giungono, di solito, fastidiose; diventano inve-ce accettato o indispensabile elemento metrico quando so-no incluse nella struttura del verso. Non è del tutto veroche la metrica classica non conosca rima; meglio, in questocaso, parlare di → omeoteleuto. Né la → metrica barbarala proibisce. In latino la rima è quantitativa se ripete la so-la quantità finale (→ accentuativa/quantitativa, metrica),oppure quantitativo-melodica se le quantità melodiche por-tano gli stessi accenti melodici. Diffusissimo nel Medioe-vo l’→ endecasillabo leonino con rima baciata al mezzo, incesura ch’ebbe influenza sui distici a rima baciata roman-zi. Ad esempio:

In terra summus rex est Nummus.Nummum mirantur reges et ei famulantur.Nummo venalis favet ordo pontificalis

(Carmina Burana).

Nella metrica mediolatina con rhythmus s’indica in genereuna versificazione costituita da un certo numero di sillabeconsuonanti (cioè rimanti) regolate da un certo ritmo (edunque da regole metrico-quantitative). Di qui, nell’incer-tezza della terminologia dell’epoca, la stretta correlazionedi verso ritmico (= non quantitativo, non metrico) e rima,e la progressiva identificazione, in ambito romanzo, di ri-macon verso. La rima divenne così l’elemento più impor-tante della struttura, per sineddoche il medesimo discorsopoetico in volgare.Significativamente già in senso moderno, nell’attualizza-zione del contrasto con la metrica latina, Dante nel Convi-vio intende per rima sia 1) «quella concordanza che ne l’ul-tima e penultima sillaba far si suole»; sia, in senso più lar-go, 2) «tutto quel parlare che in numeri e tempo regolatoin rimate consonanze cade». Di fatto Dante concede mas-sima importanza e cura alla rima. Si veda ad esempio comea) sempre la rima cade sulla concatenazione della → canzo-ne (unica eccezione Sì lungiamente, a stanza unica); b) del-le 204 occorrenze di → hàpax nella Commedia ben 173 ca-

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RIMA 169

Letteratura italiana Einaudi

dono in rima (ma cfr. infra e Baldelli [«Rima», in Enciclo-pedia Dantesca, IV, 1973, pp. 930-49]).Nega alla rima il mero ruolo di abbellimento eufonico delverso il formalismo novecentesco; che insiste invece sullarima come eccellente fattore metrico, organizzazione ver-sale già nel momento in cui scompone irrazionalmente il te-sto poetico in una serie, dove ‘irrazionalmente’ va intesonel senso dello scarto dalla norma grammaticale. Se è veropoi che il principio regale del discorso poetico sta nel → pa-rallelismo, la rima proporrà la più alta delle equivalenze disuono, fino al punto da investire lo stesso significato delleparole in rima.Si possono considerare, della rima, almeno le seguenti fun-zioni: 1) eufonica; 2) strutturale-versale; 3) parallelistica (pa-rallelismo fonico-semantico); 4) strutturale-strofica; 5) strut-turale-ritmica; 6) selezionatrice del linguaggio. La funzio-ne 1) va intesa nel senso di un’hedoné auditiva che fa del-la rima (nei versi) un ornamento non esterno ma volto prin-cipalmente a indicare, più di ogni altro indice, la fisicitàdella parola, il lato non intellettuale e astratto del segno, omeglio l’amalgama di segno convenzionale e di qualità sen-soriali proprie del verso (di qui l’effetto di sorpresa, ancheminimo, ma immancabile) e il piacere della ripetizione edella memoria (cfr. il finale di Meriggiare, dove Montale fail pieno di assaporamento di rime consonanzanti tra loro econ un verso intermedio). La 2) per un aspetto può dirsi‘demarcativa’, poiché fornisce un indice alla nostra perce-zione del limite del verso, un indice non esclusivo, certo,e per di più variabile a seconda delle culture; particolar-mente rilevato, poi, in alcuni casi, come, per esempio, nel-l’anisosillabismo, o in composti di forme metriche varie (→frottola), quando ci dice con chiarezza il compiersi dellamisura. La 3), anche ‘iterativa’, è fondante del discorsopoetico e la rima la attua più di ogni altro elemento: le pa-role in rima possono far correre parallelamente suoni e si-gnificati, che dunque si corrispondono e si potenziano fis-sandosi (cfr. le prime terzine dalla Commedia o il primo so-netto del Canzoniere, suono : core : errore : sono) creandoquasi un discorso a sé in banda laterale; oppure, al polo op-

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170 RIMA

Letteratura italiana Einaudi

posto, possono farli discordare, e allora, quanto più si di-stanziano tra loro per significato le due parole in rima, tan-to più il suono le rende paradossalmente gemelle, creandonel lettore uno spaesamento logico-semantico; che è nuovostimolo al suo intelletto e ulteriore informazione (ben no-te per la polemica implicita le rime gozzaniane duoli : fa-giuoli, Nietzsche : camicie, trastullo : sullo, ironico-parodi-stiche le prime due, testimone dell’intenzione d’usare pa-role sincategorematiche tutt’altro che preziose, l’ultima;con la proposta, più generale, di far entrare per la finestradelle rime nuove liste lessicali nella casa della poesia, sfrut-tando con astuzia pure la funzione 6). Nel caso delle rimeidentiche, che usualmente comportano un massimo di se-lezione linguistica e ideologica, l’autore spesso ne divaricai significati fino all’equivocità (rima equivoca) e il lettore èinvitato a sorprendere, comunque, le sia pur lievi e sfuma-te differenziazioni semantiche. La funzione 4) si risolve,vistosamente, nel raggruppamento strofico dei versi, percui questi diconsi → distici (baciati, dunque, AA BB CC,ecc.), → terzine, → quartine, ecc. e non a caso alcuni por-tano il nome di → terza r, → ottava rima, ecc. fino al casodella strofa → monorima. Correlata alla funzione 2) la 5),come da etimo, è presente non solo sull’asse verticale – fun-zione 3) – ma anche su quello orizzontale: la rima convo-glia, regola e turba la sintassi e non di rado proietta all’in-dietro la propria valenza fonica coordinando allitterazionee assillabazione («di Malebolge e li AltrI piAntI vAnI»,Dante, Inferno, XXI, 5). Non ultima la funzione 6) che sipuò esemplificare con le prime rime della canzone dante-sca Donne ch’avete: amore : dire : (laude) finire : mente : va-lore : sentire : ardire : gente, ecc. che attestano un preciso se-tacciamento lessicale (per ora solo verbi e sostantivi; paro-le-chiavi, insomma) teorizzato sul piano ideologico (dolceStilnovo e tesi dei magnalia nel De vulgari eloquentia) e fo-nico-espressivo.Secondo l’accento di parola le rime si dividono in: piane,cioè rime tra parole piane (ritenute normali, come il versotipico italiano, ch’è piano); tronche, cioè tra parole tronche(tronca in vocale: può : co : Po; tronca in consonante: mar-

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RIMA 171

Letteratura italiana Einaudi

tir : gioir, ardor : cor); sdrucciole (vínsemi : sospínsemi). Rimatronca e sdrucciola non sono assenti nella poesia delle ori-gini, ma di solito evitate o eliminate mediante → epitesi,in ispecie nella lirica illustre; vengono adottate generosa-mente da Chiabrera nell’→ ode-canzonetta, che ne lanciala moda con ottima fortuna perché ben favoriva le esigen-ze della poesia cantata e poi del melodramma: verranno cas-sate da Pascoli perché urtanti un orecchio assai indulgen-te verso gli effetti prosastici in poesia.Secondo morfologia la rima è facile, quando il repertorio adisposizione è ampio (amplissimo quello di una rima desi-nenziale: amare : toccare), difficile, quando è ricercata den-tro un ristretto ventaglio disponibile (scoppio : doppio : ac-coppio, unica rima in -oppio della Commedia). Le facili pos-sono essere, oltre che desinenziali, anche grammaticali esuffissali, o ripetitive. La rima grammaticale si basa su un rapporto grammaticaletra due serie di rime (cadde già in disuso nel XIII secolo elo Stilnovo la trascura): clami : clama : c’ami : c’ama (Jaco-po da Lentini). Suffissale è per esempio quella ottenuta congli avverbi in -mente. È derivativa quando interviene un le-game derivativo etimologico (disagio : agio; speranza : di-speranza). Invece è inclusiva o a eco quando c’è inclusionefonica, non d’etimo (perdono : dono; arte : carte). Prose-guendo nel tecnicismo (tecniche sono infatti tutte questerime più complesse), la rima è 1) ricca se all’identità foni-ca ‘regolare’ si aggiunge quella di almeno un fonema ante-cedente la tonica (incluso il secondo elemento di un nessoconsonantico: seCONDO : gioCONDO; distRATTO : ba-RATTO); solitamente – e per le origini – ai dittonghi vie-ne attribuita ‘ricchezza’ solo quando almeno uno dei ri-manti ammetta pronuncia dieretica (→ dieresi/sineresi): di-svïata : mischiata; 2) equivoca, se fonematicamente identi-ca ma di senso diverso (per etimo o situazione semantica)o di diversa pertinenza grammaticale: luce (‘la luce’, so-stantivo) : luce (sempre sostantivo, ma ‘gli occhi’); sole (so-stantivo) : sole (aggettivo femm. pl.). Tipica dei Siciliani edi Guittone; 3) equivoca contraffatta (per esempio: pu-ro : pur ho), se costituita da catene foneticamente identi-

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172 RIMA

Letteratura italiana Einaudi

che ma graficamente distinte e risolte con elementi diver-si grammaticalmente; 4) franta (o composta o spezzata o rot-ta), con spezzatura della catena fonica in parole diverse:parte : far te; e Dante: sol tre : poltre e non ci ha : oncia; 5)per l’occhio, se propriamente con la stessa grafia ma con ac-centi diversi: partì : sarti; 6) identica, quando una parola ri-ma con se stessa; normalmente evitata, diviene occasionedi gioco sperimentale o, d’altro lato, di esaltazione sacraledella sede rimica con l’eccezionalità dell’occorrenza (nellaCommedia dantesca Cristo rima solo con se stesso). Altracosa è l’impiego della rima identica nella → sestina, dovevige quasi sempre la regola di attribuirle significati più omeno diversi (identica equivoca); 7) per la rima per tmesi, →tmesi; 8) irrelata, quando è senza compagna (→ rim espars;rim estramp). Nel De vulgari eloquentia Dante prevede cheun verso o due della sirma restino senza consanguinei (e lichiama clavis; ma → canzone; rim estramp); 9) ipermetra,quando una sdrucciola rima con una piana; sarebbe per-fetta se si eliminasse l’ultima sillaba dell’ipermetra. L’ec-cedenza è dunque della parola sdrucciola, non del verso:esali : alito (Pascoli); acquerugiola : rifugio (Govoni). Pasco-li trasborda la sillaba ‘eccedente’ nel computo del verso suc-cessivo mediante → episinalefe o → sinafia; 10) per la rimaritmica (termine un po’ equivoco) → anacreontica.Quanto alla rima siciliana va tenuto conto del vocalismotonico siciliano, che presenta cinque vocali incluse la o e lae, con l’unica pronuncia là ammessa, quella aperta, mentrequello toscano ne presenta sette, incluse la o e la e apertee chiuse. I Siciliani facevano rimare perfettamente usu :amorusu e aviri : sirviri. I manoscritti dei loro testi furonotoscanizzati dai vari copisti (e così son giunti fino a noi,con un paio di eccezioni). Per cui gli amanuensi scriveva-no e i poeti toscani (ignari del mutamento) leggevano uso: amoroso, avere : servire. I rimatori del continente coglie-vano tali rime nel loro modello privilegiato, le ritenevanoperfette e rimavano facilmente e costantemente, per esem-pio, voi : altrui. Per antichissimo uso editoriale, infine, siregolarizzavano le rime ‘imperfette’ e si pubblicava vui : al-trui (oggi si propende a ristabilire la rima siciliana nel suo

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RIMA 173

Letteratura italiana Einaudi

originario equivoco fonetico e culturale). La rima sicilianasopravvive in forme fisse puramente culturali fino a Man-zoni, Cinque Maggio (nui : lui).Inoltre, per tendenza latineggiante e provenzaleggiante, iSiciliani prediligevano amori (invece del loro proprio amu-ri) e lo accoppiavano con cori, in rima perfetta poiché nel-l’isola le due o sono, senza alternative, aperte. Non così inToscana dove amori ha o chiusa e cori aperta. Quest’ulti-ma ‘imperfezione’ fu accettata dai Toscani, e poi, per con-senso, da tutta la tradizione italiana, dove, dunque, valeanche e aperta : e chiusa. Così anche per z, s sorde con, ri-spettivamente, z, s sonore. Ad esempio, nella Commedia,cozzo (sordo) : sozzo (sonoro, ma forse sordo ai tempi diDante) : mozzo (sordo); rispose : cose : spose (sonoro). Ma fi-no al Cinquecento nella lirica z sorda non rima con z so-nora [cfr. D’Ovidio F., Versificazione romanza. Poetica epoesia medioevale, 3 voll., Guida, Napoli 1932].Estensioni (per ragioni a volte anche di fonetica delle va-rietà linguistiche) di quella siciliana sono 1) la rima aretina(o guittoniana) in cui la rima tra e : i e tra u : o è estesa dae, o chiusa anche ad e, o aperta (esempio tipico, altrui : poi)per astuzia di ragionamento transitivo al servizio dello spe-rimentare e 2) la rima bolognese, analoga a quest’ultima: lu-me : nome : come, grazie al fatto che lume suona lome in bo-lognese. Chiaro che si tratta di scelta stilistica e ipercultu-rale, così come culturale è il fenomeno della rima siciliana(di cui i Siciliani ovviamente ignoravano l’esistenza e cheusavano invece i Toscani). Altre rime culturali sono la ri-ma francese (-ente : -ante e -enza : -anza), frequente nella poe-sia delle origini e che presuppone appunto una pronunciamentale ‘alla francese’ di -en- (per cui avenente suona comeavenante e può rimare con amante); e le varie rime setten-trionali, influenzate da tratti fonetici locali (per ciò in Emi-lia può capitare che lezze, forma dialetalizzata di ‘legge’,rimi con vaghezze).Dall’ordine strutturale in cui compare nel componimento,ovvero, per l’occhio, nella catena verticale le rime presen-tano combinazioni storiche tipiche, come soluzioni dellaloro funzione strutturante e strofica (→ strofa). Le forme

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174 RIMALMEZZO

Letteratura italiana Einaudi

metriche, infatti, vengono individuate sinteticamente esimbolicamente con le lettere che rinviano alle rime (a let-tere uguali rime uguali), oltreché con maiuscole e minuscole(per i versi più lunghi e più corti, rispettivamente) e connumeri all’esponente per individuare il metro qualora sipossa creare ambiguità. Rima baciata, o accoppiata, è quella a coppie AA, BB. Ri-ma alternata: ABAB (che già individua una → quartina; →sonetto; ottava). Rima incrociata, lo schema è ABBA (manella metrica francese croisée indica l’alternata) (→ sonet-to). Rima incatenata, ABA / BCB / CDC, ecc. (cfr. la Com-media; → terzina; encadenata nei provenzali indicava inve-ce la rima alternata). Rima ripetuta, o costante o replicata:ABC / ABC (→ canzone; sonetto). Rima rinterzata o raffor-zata quando cade su un verso breve che rima con un versolungo immediatamente precedente o seguente (→ sonetto).Impropriamente si dice imperfetta la siciliana che gli uten-ti sentivano come perfetta; imperfetta piuttosto va dettodi una rima che, in generale, presenta una corrispondenzadi suoni eccepibile senza scusanti di tradizione. L’imper-fezione è molto lieve in casi come arte : alte (scambio di li-quide; ma → assonanza; consonanza). Il Novecento offre una vasta gamma di imperfette, spessoequiparate, nella coscienza metrica, alle perfette, altre vol-te sentite come una violazione o parodia della norma; co-me la totale assenza di rime (una buona fetta dell’ermeti-smo) ha valenza strategica. Per la rimalmezzo e la rima in-terna → rimalmezzo.

rimalmezzo

Rima che cade in fine di → emistichio, dunque in → cesu-ra. Piuttosto rima interna va chiamata, invece, la rima checade dentro il verso ma in un’altra posizione qualsiasi chenon sia la fine di emistichio. Rimalmezzo e rima internapossono avere come compagne sia altre rimalmezzo o rimeinterne sia rime ‘esterne’, cioè in punta di verso.

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RISPETTO 175

Letteratura italiana Einaudi

rim espars

È, in provenzale, la rima irrelata: una → rima che non haaltre compagne né nella strofa in cui compare, né in quel-le successive. Dicesi anche verso irrelato quello che non hacorrispondenza con nessun altro, beninteso sempre in unacompagine di versi legati da uno schema riconoscibile (adesempio in Lo doloroso amor che mi conduce di Dante, percui → canzone).

rim estramp

Termine provenzale: nella sirma della → canzone è una→ rima (ma possono essere anche due) priva di compagnadentro la stanza ma che ha, però, una corrispondenza inidentica sede nelle stanze successive o in sedi diverse (→ se-stina); è ciò che Dante nel De vulgari eloquentia chiama cla-vis ‘chiave’.

rintronico → tenzone

ripresa → ballata; refrain; strambotto

rispetto

Forma metrica che copre un’area più o meno coincidentecon quella dello → strambotto, di cui per alcuni è sinoni-mo. Forma, dunque, lirica e popolare; ma anche propriadella poesia d’arte (con relazioni e influssi verticali reci-proci e conseguenti problemi di priorità). In quanto liricae popolare, affine allo → stornello, alla → villanella, alla→ villotta. Se alle origini rispetto e strambotto sono ter-mini usati indifferentemente per gli stessi individui (tantocon → ottava siciliana che toscana; cfr. ancora → stornel-lo), in seguito spesso il rispetto distingue la variante to-

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176 RITMO

Letteratura italiana Einaudi

scana: ABABABCC, oppure AB.AB.CC.DD. Spongano[Nozioni ed esempi di metrica italiana, Pàtron, Bologna 1966]ne presenta alcuni anonimi del secolo XIV con schemi:AB.AB.CC (con l’ultimo distico riccamente assonanzato);AB.AB.AB; AB.AB. AB.AB.CD.CD; e ancora il tipicoAB.AB.AB.CC:

Più che lo mele hai dolce la parola,saggia e onesta, nobile e insegnata;hai le bellezze della Camiola,Isotta la bionda e Morgana la fata;se Biacifiori ci fosse ancora,delle bellezze la giunta è passata.Sotto le ciglia porti cinque cose:amore e foco e fiamma e giglio e rose.

La soluzione in ottava toscana è la più consueta nei rispet-ti continuati, sequenza in ottave (liriche, non narrative: qui,ancora, la differenza) chiamate anche stanze per strambotti,con le stanze legate tra loro con qualche figura retorica diripresa o di sviluppo. Stanze rusticali compose Lorenzo de’Medici (Nencia da Barberino) conducendo la bucolica su to-ni popolareggianti. I rispetti spicciolati, invece, sono sì insequenza ma senza legami di stanza in stanza: cfr. i Rispettispicciolati del Poliziano.

ritmo

1. Dal gr. rhythmós, che in origine aveva designato un par-ticolare modo della forma di essere momentaneamente di-sposta (per esempio un peplo che si dispone a piacimento),con Platone si applicò alla musica o alla danza per indica-re il ‘movimento ordinato’ [cfr. Benveniste É, Problèmesde linguistique générale, Gallimard, Paris 1966 (trad. it. Pro-blemi di linguistica generale, Il Saggiatore, Milano 1971)].Si poté applicare, quindi, il termine ritmo a una danza, uncanto, i gesti di lavoro, un procedere. E Aristotele poté poisostenere il ritmo misurarsi attraverso un movimento defi-nito. Ancor oggi si parla del ritmo delle stagioni, del cuo-re, del respiro: s’intende sempre un trascorrere nel tempo

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RITMO 177

Letteratura italiana Einaudi

e un alternarsi regolare e periodico, non necessariamentesimmetrico, anzi spesso fondato sull’attesa mancata e la va-riazione. Il ritmo poetico è, in genere, un alternarsi di sil-labe accentate nel tempo, ovvero la successione di momentiforti e deboli, di → arsi e tesi, nel → metro, ovvero la suc-cessione di → ictus nella → scansione metrica e nella ef-fettiva recitazione. Nella cultura romanza ritmo è fin dal-le origini nozione non disgiungibile da quella di metro (→metrica) e dalle varie accezioni dei singoli termini in cop-pia oppositiva derivano le diverse concezioni del verso poe-tico e dei suoi rapporti con la prosa. A periodi particolari,o di transizione o di crisi, corrisponde quasi sempre un’e-saltazione dell’opposizione o una più intensificata tensio-ne. Per noi, nel Novecento, ritmo è l’attualizzazione con-creta e complessiva di un modello metrico contrapposta aquest’ultimo in quanto schema teorico e canone. Semplifi-cando, si dirà, per esempio, che metro dei singoli versi del-la Commedia è l’endecasillabo ma che il ritmo dell’endeca-sillabo di Dante risulta diverso da quello del Petrarca, ov-vero le singole realizzazioni dantesche propongono un mo-dello ritmico verificabilmente diverso, nel suo insieme, daquello di altri autori ed epoche. Invece, in senso strettamente tecnico, nell’antichità greca,con ritmo s’indicava il prodotto dei poeti melici nella liri-ca o dei tragici nei cori; ma sempre in contrapposizione al-la distribuzione ordinata dei piedi (→ piede). E i gramma-tici latini contrapponevano rhythmus (nel lat. medioevaleanche rythmus o rithmus) a metrum per indicare un discor-so in ‘piedi’, intesi come unità ritmiche che compongonoil verso, ma in sequenza libera, ossia non regolata organi-camente e delimitata dal verso regolarizzato (metrum, ap-punto). A lungo, in epoca classica e oltre, il ritmo fu dun-que legato al piede, pur non ‘misurato’. Chi contrastò de-cisamente questa tradizionale identificazione fu infine ilformalismo slavo, che mise in discussione radicalmente l’u-tilità del concetto basilare della → prosodia greco-latina,appunto il piede, dal momento che gli sostituì, quale unitàfondamentale del ritmo poetico, il verso inteso come seg-mento ‘ritmico-sintattico’ o segmento d’ ‘intonazione’. An-

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178 RITMO

Letteratura italiana Einaudi

che da questo punto di vista, quella formalista fu una ri-voluzione. Nel tentativo, in gran parte riuscito, di con-centrare attenzione e valori sul testo poetico in quanto ta-le, e nella sua aurea autonomia, i formalisti espulsero ognirapporto esterno e/o naturale (astronomico, biologico) perenfatizzare la peculiarità ritmica del testo, con le punteestreme di chi sostenne che il ritmo giambico preesiste alverso giambico (→ giambo) così per estensione, l’anapesti-co (→ anapesto), ecc., secondo il presupposto per cui l’im-pulso ritmico, l’organizzazione ritmica del movimento, sus-sistono nella coscienza prima di ogni loro materializzazio-ne. I concetti fondamentali di ‘imprevedibilità’, ‘attesa fru-strata’ (il tempo del linguaggio del verso è un tempo d’at-tesa), ‘scarto’ dalla lingua corrente, nonché la ricerca di unelemento o una gerarchia di elementi strutturanti l’interodiscorso poetico, propri del formalismo russo, trovano illoro punto focale nel ritmo concepito come principale fat-tore organizzante e variabile necessaria e dominante: laqualità totale del movimento di un verso. Il metro alloraviene a ricoprire il ruolo subalterno di una componente delritmo. Il ritmo viene ad essere la realizzazione specifica mainsieme l’infrazione necessaria e determinante del canonemetrico. Se la poesia fu il primo amore dei formalisti, il concetto diritmo fu la sostanza di quell’amore; e finì che la poesia stes-sa vi si identificò come nell’elemento distintivo per eccel-lenza e nel principio primo del linguaggio poetico. Veni-vano ad essere inclusi in tal modo nel ritmo sia elementi‘quantitativi’ o ‘di relazione’ come accento, tono, durata,sia ‘qualitativi’ o intrinseci come l’allitterazione. Ma an-che la semantica e la sintassi rientrano di conseguenza apieno titolo nell’ ‘orchestrazione’ e individuazione ritmicadei versi: il verso non è che l’effetto di una combinazionedi vocaboli ritmico-sintattico-semantica. Cade l’ipotesiestremistica (iperformalista ma avversata dai formalisti) dichi vuole che meglio si senta e comprenda il ritmo in unalingua straniera ignota; e risulta riconfermata l’intraduci-bilità della poesia. Il ritmo sarà costituito, in ultima anali-si, non dalle singole sillabe e fonemi e accenti, ma dalle pa-

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RITMO 179

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role e dall’ordine e qualità d’esse; viceversa il ritmo com-plessivo ‘deforma’ il significato delle parole (che è un altroaspetto dello scarto dalla lingua standard).La differenziazione tra ritmo e metro progredisce anchesul lato della ‘competenza’: il metro come sistema di mi-sure fissato dalla tradizione, può essere solo riconosciutoe applicato, il ritmo può essere percepito anche da un ascol-tatore ignaro delle norme che sovrintendono la composi-zione dei versi, ignaro cioè dei metri. Il formalismo decli-na e spiega, dunque, sul versante dei rapporti col fruitoree del patto autore/pubblico, l’antico detto di Beda che rias-sumeva una larga convinzione, poter esserci ritmo senzametro ma non viceversa: «et quidem rhythmus per se sinemetro esse potest, metrum vero sine rhythmo esse non po-test, quod liquidius ita definitur: metrum est ratio cum mo-dulatione, rhythmus modulatio sine ratione» [cfr. AvalleD’A. S., Le origini della versificazione moderna, Giappi-chelli, Torino 1979]. L’idea che il verso possa fare a menodel metro ma non del ritmo va inquadrata nell’ambito diuna più o meno coeva poesia russa ed europea (futurista esimbolista) in cui le nuove esperienze di verso → libero in-sistono sul ritmo progressivamente elevato a norma di sestesso. L’idea formalista della necessità delle irregolaritàmetriche nella materializzazione del linguaggio versale, vadi pari passo con la pratica delle irregolarità e violazionimetriche programmate della nuova poesia da Blok a Eliote con le ricerche di forme alternative. Mallarmé indivi-duava nel ritmo la sigla del linguaggio poetico comunquesi manifesti, anche attraverso la prosa: «Non esiste prosa;c’è l’alfabeto e poi dei versi, più o meno compatti, più omeno effusi. Tutte le volte che c’è sforzo verso lo stile, c’èversificazione». Ch’è un’altra manifestazione estrema del-l’equazione formalista ritmo = stile. È significativo che chiinaugura in Italia una moderna sensibilità del linguaggiopoetico, Pascoli, parli, a proposito di un metro (decisivo intale contesto) quale il → novenario di 2a, 5a, 8a, di nuova«coscienza ritmica», scovandolo persino in «Quel rámo dellágo di Cómo».La radicalizzazione dell’opposizione ritmo/metro ha per-

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180 RITORNELLO

Letteratura italiana Einaudi

corso, nella riflessione degli studiosi, via via tutti i binomicontrastivi delle scienze linguistiche attuali. Dunque: il rit-mo sta al metro, cioè il fatto individuale sta alla norma col-lettiva, sociale, istituzionale, come la parole sta alla langue,in termini sausurriani, e come il messaggio sta al codice intermini jakobsoniani e, in senso linguisticamente più stret-to, come la stilistica sta alla grammatica. Tale iter della ra-dicalizzazione si spiega anche, sul terreno letterario, conl’accamparsi assoluto, nel Novecento, di una lirica che vuoldistaccarsi dal sistema dei generi e offrirsi come campo af-fermativo di un’assoluta libertà dell’individuo. E perciò:ritmo come funzione di tale istanza di libertà, come siglastilistica assoluta. È probabile che più attenzione vada ri-volta sia a chi, metricologo o antropologo, attesta la fisio-logicità e insomma la matrice antropologica (Leroi-Gourhan), la carica fisico-energetica del ritmo, sia – e mol-to più – a chi, come Bachtin, indirettamente contesta chela parole sia individuale e la cala nel ‘genere’ sociale, nelladialogicità interna tra l’io e l’altro [cfr. inoltre Seidel W.,Rhythmus. Eine Begriffsbestimmung, Wissenschaftliche Buch-gesellschaft, Darmstadt 1976 (trad. it. Il ritmo, il Mulino,Bologna 1987) e Baratta G., «Ritmo», in Enciclopedia Ei-naudi, XII, Einaudi, Torino 1981, pp. 185-209].2. In un’accezione specifica, in metrica italiana, s’indicacon r seguito da un aggettivo convenzionale (Ritmo Lau-renziano: «Salva lo vescovo senato»; Ritmo Cassinese: «Eo,sinjuri, s’eo fabello»; Ritmo su Sant’Alessio: «Dolce, novaconsonanza») quegli organismi poetici delle origini più ar-caiche composti in → lasse monorime (novenari-ottonari suuna rima più una serie minore di deca-endecasillabi suun’altra rima; e dunque caratterizzati da → anisosillabismo)di ambiente benedettino, che sembrano varcare la sogliatra la metrica bassolatina e quella accentuativa romanza (→accentuativa/quantitativa, metrica).

ritornello

Nella → metricologia delle origini ritornello o tornello è unverso o gruppo di versi (distico, perciò ritornello doppio)

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ROMANZA 181

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che chiudono uno schema (sonetto ritornellato, servente-se ritornellato). → ballata; refrain.

romanella → villot(t)a

romanza

Sinonimo di ballata romantica, sia in poesia sia nella mo-derna (romantica) opera lirica musicale (→ aria). La ro-manza è di origine nordica (inglese e scozzese), di natalipopolari e solo molto più tardi si è diffusa in Europa nel-la forma letteraria. Nel periodo arcaico eran distici a rimabaciata di versi di quattordici sillabe ad andamento giam-bico catalettico (→ catalessi; giambo), in seguito tetrasti-ci a rima alterna con ritmo di → tetrametro giambico-ana-pestico nelle sedi pari, chiusi da un → ritornello di due ver-si, più tardi ancora soppresso. Caratteristica precipua ri-mane il tema: non lirico (come nella ballata mediterranea)ma narrativo, epico-lirico, legato a una visione mistico-eroica e fantastica delle imprese d’amore, di morte e del-la Natura nella cornice di un mito feudale e cavalleresco.Glorioso lo sviluppo germanico con Goethe, Schiller, Cho-misso, ecc. e inglese con W. Scott, Wordsworth, Cole-ridge. In tali vesti di temi e gusti, propriamente rivolu-zionari, e non negli schemi metrici, la romanza giunse an-che più a sud e in Italia nel primo e pieno Ottocento: in-nanzitutto G. Berchet con traduzioni prosastiche da Bur-ger (Leonora e Il cacciatore feroce) dentro la Lettera semi-seria, poi la traduzione in versi della Leonora medesima;e ancora S. Biava, D. Guerrazzi, G. Prati e poi Carducci(La leggenda di Teodorico; Jaufré Rudel ), con preferenzaper una metrica di facile e orecchiabile ritmo, e perciò conripresa dell’→ ode-canzonetta preferibilmente in parisil-labi, ad esempio l’ottonario:

Su ’l castello di Verona abatte il sole a mezzogiorno, bda la Chiusa al pian rintrona asolitario un suon di corno, b

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182 RONDEAU

Letteratura italiana Einaudi

mormorando per l’aprico cverde il grande Adige va; d’ed il re Tëodorico cvecchio e triste al bagno sta d’

(La leggenda di Teodorico)

o con versi come il → novenario di 2a, 5a, 8a (Jaufrè Ru-del ) che è un finto imparisillabo. Frequentemente opzio-nato il → polimetro (I profughi di Parga di G. Berchet).

rondeau

Nella metrica francese è un componimento per musica, chein antico si chiamava pure rondel, solitamente di otto versi,dei quali uno o più vengono ripetuti integralmente in alcu-ne posizioni, specialmente all’inizio e alla fine. Originaria-mente accompagnava un ballo in tondo, di qui il nome chein italiano suona rondò o rotondello. Scarsissimi da noi glisviluppi. Antonio da Tempo (rotundellus) e poi Gidino daSommacampagna (→ metricologia) ne dànno esempi da la-boratorio non distanti da varianti di → ballata: ab aaab aaab(settenari), con i vv. 1, 4, 8 ripetuti pari pari. Boiardo chia-ma rodundelus una forma di ballata molto complessa: ripre-sa xYyX e otto stanze unissonans (tante quanto i numeri diversi della strofa) XAaB bCcX. La compagine originariaverrà ripescata dai cultori antiquarî per nuovi esperimenti(Carducci, O piccola Maria; D’Annunzio, con varie soluzio-ni, nell’Intermezzo melico della Chimera) (→ barzelletta).

rondel → rondeau

rotondello → rondeau

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Letteratura italiana Einaudi

saffica/-o

Verso o strofe (minore e maggiore). Il verso saffico minoreè chiamato anche → endecasillabo saffico, ed è impiegatonella strofe minore (o sistema saffico minore; cfr. infra).Schema: ⁄ ^ , ⁄ / ^ ^ , ⁄ ^ _. , ovvero una pentapo-dia logaedica col dattilo in terza sede (logaedico è un pe-riodo ritmico formato da dattili e trochei). La → cesura piùfrequente è quella maschile dopo la quinta sillaba. In Ora-zio il secondo piede è spondaico. In struttura stichica ri-corre in Seneca; in strofe tetrastica – ben più importanteapparizione – in Catullo, Orazio e ancora Seneca. Ecco loschema del sistema saffico minore (non per importanza maper lunghezza del verso saffico):

⁄ ^ , ⁄ / ^ ^ , ⁄ ^ _.

⁄ ^ , ⁄ / ^ ^ , ⁄ ^ _.

⁄ ^ , ⁄ / ^ ^ , ⁄ ^ _.

⁄ ^ ^ , ⁄ _.

ovvero tre volte un endecasillabo saffico minore più un →adonio. Esempio:

Mércuri, facúnde nepós Atlantis,quí feros cultús hominúm recentumvóce formastí catus ét decoraemóre paláestrae

(Orazio, Carmina).

Secondo alcuni trattasi del precedente dell’→ endecasilla-bo italiano.Il verso saffico maggiore è verso di quindici sillabe di

S

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184 SAFFICA/-O

Letteratura italiana Einaudi

schema: ⁄ ^ , ⁄ ^ ^ \ , / ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ⁄ _. . S’unisce in se-conda sede all’aristofanio (cosiddetto dall’uso che ne feceAristofane; è costituito da un dattilo seguito da due trochei: ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ⁄ _. ) nel sistema saffico maggiore: strofe distica,dunque, che ricorre in una sola ode oraziana.La → metrica barbara puntò al solo sistema saffico mino-re, realizzato con tre endecasillabi e un quinario (ch’è giàla struttura del → serventese caudato). Tentò l’imitazionegià Leonardo Dati al tempo del Certame Coronario. Poiancora, nel Cinquecento, Tolomei e altri; e sugli inizi delsecolo Galeotto del Carretto [cfr. Martelli M., Le formepoetiche italiane dal Cinquecento ai nostri giorni, in Lettera-tura italiana, diretta da A. Asor Rosa, III/1. Le forme deltesto. Teoria e poesia, Einaudi, Torino 1984, pp. 519-620]con tre endecasillabi con rimalmezzo che isola il quinarioiniziale per surrogare così la cesura latina. La soluzione inseguito più consueta fu quella di endecasillabi preferibil-mente di 4a (più rispondenti al modello) oppure di 6a piùl’adonio (quinario solitamente con accento di 1a), rimatiABAb, o non rimati, come in Carducci, Dinanzi alle termedi Caracalla:

Corron tra ’l Celio fòsche e l’Aventinole nubi: il vento dal pian tristo moveumido: in fondo stanno i monti albanibianchi di neve.

Sostituiscono settenario a quinario in ultima sede Monti eManzoni. Come al solito Pascoli, alla cui sensibilità la saf-fica fu congeniale, complica il gioco e la sfida: costruisceun endecasillabo di 1a, 3a, 5a, 8a (o 7a) e 10a che corri-sponde perfettamente all’endecasillabo saffico a costo diandare a calcare con → ictus sillabe linguisticamente ato-ne (o debolmente toniche); fenomeno tipico della tecnicapascoliana capace di fare di «e così» un → dattilo:

Splende al plenilunïo l’orto; il melotrema appena d’un tremolio d’argento...Nei lontani monti color di cielosibila il vento

(Solon, Poemi conviviali).

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SCIOLTO, VERSO 185

Letteratura italiana Einaudi

scansione

Comunemente: lettura esecutiva del verso che ne fa risal-tare gli istituti linguistico-metrici, cioè numero delle silla-be, → ictus, → arsi/tesi, brevi e lunghe (→ accentuati-va/quantitativa, metrica) e in definitiva il → metro. Oggisi tende a distinguere tra scansione e lettura (o esecuzio-ne o recitazione). Quest’ultima è la concreta realizzazionefonico-corporale del verso come messaggio sonoro (non im-porta che tale oralità risuoni nell’aria esterna ad alta voceoppure nell’interno della coscienza auditiva: si può ese-guire una poesia o un motivetto melodico nella propriamente). Mentre la s metrica è il momento in cui si cala loschema metrico (che è uno schema astratto) nel materialefonico-verbale (nel corpo del lessico e della sintassi) per ri-conoscere l’effettiva possibilità di realizzazione (e l’effi-cacia) del primo. Non è detto, poi, che la lettura debba se-guire necessariamente l’accertata corrispondenza tra me-tro e segni linguistici. Per esempio, ci sono testi teatraliversificati (in endecasillabi sdruccioli, poniamo) che pos-sono essere eseguiti come da scansione, cioè proprio comeendecasillabi sdruccioli (di solito con forti enjambements),ricondotti forzatamente agli accenti di 4a o 6a, e fatti ri-suonare come tali. Ma molto più naturalmente possono es-sere recitati come prosa o quasi, pur avendoli riconosciu-ti nella loro struttura metrica [cfr. Bertinetto P. M., Strut-ture soprasegmentali e sistema metrico. Ipotesi, verifiche, ri-sposte, in «Metrica», I, 1978, pp. 1-54 e Id., Autonomia erelazionalità della metrica, in «Annali della Scuola Norma-le Superiore di Pisa. Classe di Lettere», serie III, XVIII,1988, pp. 1387-409]. → metrica; metro; ritmo; verso.

sciolto, verso

Nella → metricologia del Cinquecento un verso con accentinon ‘legati’, per esempio un → endecasillabo con accentosulla 4a non accompagnato da accento su 6a o 8a (Mintur-no). Oggi e in generale: endecasillabo non rimato, cioè se-

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186 SCIOLTO, VERSO

Letteratura italiana Einaudi

rie di endecasillabi (o, eventualmente, di versi di ugual me-tro) non legati da rima, quelli, insomma, nati e sviluppatida un Cinquecento classicheggiante e consacrati definiti-vamente dal Settecento (a parte qualche esempio prece-dente isolato e non preannunciante come il Mare amoroso,secolo XIII). Esempi: Luigi Alamanni, egloga necrologicaper Cosimo Rucellai; il → recitativo dell’Aminta; la tradu-zione dell’Eneide di Annibal Caro. Poi, con grande torni-tura sintattica, il Parini del Giorno:

Sorge il mattino in compagnia dell’albaDinanzi al sol che di poi grande appareSu l’estremo orizzonte a render lietiGli animali e le piante e i campi e l’onde.

E ancora traduzioni: l’Odissea di I. Pindemonte e l’Iliade diV. Monti. Nell’Ottocento: i Sepolcri e le Grazie del Foscolo:

All’ombra de’ cipressi e dentro l’urneConfortate di pianto è forse il sonnoDella morte men duro? Ove più il SolePer me alla terra non fecondi questaBella d’erbe famiglia e d’animali…

(Dei Sepolcri).

Tre vaghissime donne a cui le trecceInfiora di felici Itale roseGiovinezza, e per cui splende più belloSul lor sembiante il giorno, all’ara vostraSacerdotesse, o care Grazie, io guido.

(Le Grazie).

Urania, poemetto giovanile manzoniano, L’infinito, Allaluna, ecc. di Leopardi fino al Pascoli nei Poemi conviviali.Il quale Pascoli, rispondendo all’inchiesta di Marinetti sulverso libero (→ libero, verso; metrica libera) sosteneva, perrinviare al mittente l’implicito invito, che «un verso libe-ro dai mille atteggiamenti, capace coi suoi accavallamentidelle più imprevedibili sorprese ritmiche, l’avevamo e daun pezzo: il verso endecasillabo sciolto». E ancora nel No-vecento pieno scrivono versi sciolti il Gozzano del poe-metto Le farfalle, Sbarbaro, Saba, Fortini:

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SENARIO 187

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Ogni cosa, puoi dirlo, è assai più buiadi quanto avevi immaginato, in questacasa dove ti han detto di aspettareche tornino gli amici tumultuosi

(F. Fortini, Un’altra attesa).

selva

Componimento poetico astrofico (→ tradizione astrofica;strofa) che assiepa liberamente (‘a selva’) metri di varia mi-sura. Mutuò il nome da una silloge del latino Stazio (variaanche di argomenti), sorse e fiorì nel Seicento barocco. Peresempio, gli Idilli favolosi, epico-lirici, del Marino con mo-nologhi che mimano l’agilità ritmica della poesia teatrale:endecasillabi e settenari liberamente mescolati anche conquinari e ternari; schemi preferibilmente liberi dalla rimao con rime libere. Anche Canzone a selva, ovvero → can-zone (relativamente) libera (A. Guidi).

senario

Nella metrica classica, verso della poesia scenica romanapoi anche della satura e della favola. Di ritmo giambico:X , X , X , X , X , ^ _. (X = elementum anceps, realizza-to da sillaba breve o da lunga o da due brevi; _. = elementumindifferens: una sillaba, breve o lunga). → Cesura di solito do-po il quinto elemento (semiquinaria) [cfr. Boldrini S., La pro-sodia e la metrica dei Romani, La Nuova Italia Scientifica,Roma 1992].Nella poesia italiana, verso di sei sillabe (metriche) con ac-cento principale in 5a e gli altri accenti in 1a o 3a (o 2a).Se di 2a, di ritmo dattilico (prima sillaba in → anacrusi):

Del nostro StivaleAi poveri naniQuel solito maleDei grilli romaniIn oggi daccapoFa perdere il capo

(Giusti).

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188 SEQUENZA

Letteratura italiana Einaudi

Se di 1a, di ritmo trocaico:

Dolci miei sospiri,Dolci miei martiri,Dolce mio desio

(Chiabrera).

Già usato dalla Scuola siciliana (con ritmo variabile di versoin verso) fu poi portato in auge, come ogni parisillabo, daChiabrera e dai poeti dell’Ottocento (con accenti fissi): «Ve-nite, esultiamo» (Tommaseo, Pe’ morti), fino al Pascoli chelo usò principalmente assieme al → novenario di 2a, 5a e 8a

come versione abbreviata di esso, su accenti identici (2a e 5a):

Soletto su l’orlo di un lago novenarioChe al rosso tramonto riluce, novenarioV’è un uomo col refe e con l’ago novenarioche cuce trisillabotra l’erica bassa senario

(Il mendico, dai Canti di Castelvecchio).

sequenza

Componimento melodico mediolatino di argomento reli-gioso. È caratterizzato da ripetizioni simmetriche di seriesillabiche. In origine alle singole note corrispondevano sin-gole sillabe. Nel canto responsoriale strofe e antistrofe ite-ravano la medesima linea melodica, perciò ne scaturivanoserie di periodi accoppiati, di misura variabile da una cop-pia all’altra, ma necessariamente uguale tra i due membridi ogni coppia: (A), BB, CC..., XX, YY, (Z). Col tempos’introdussero le rime (monosillabiche prima, poi bisillabi-che) e pure le corrispondenze sintattiche e accentuative permarcare la simmetria delle coppie. Dopo il Mille si accen-tuò la regolarità dei versi ritmici e la precisione del → pa-rallelismo dentro un organismo di periodi strofici più com-plessi, di modo che la sequenza si assimilò alla lirica inno-dica: aax bbx ccx, ecc. Esempio: «Stabat mater dolorosa».Per la → lauda in forma di sequenza cfr. Pasquali [Due se-quenze in volgare del secoloxiii, in «Studi di Filologia Ita-liana», XXXIV, 1976, pp. 5-26].

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SERVENTESE 189

Letteratura italiana Einaudi

serventese

Anche sirventese o sermentese (sermintese). Nella metrica ita-liana è un componimento strofico (→ strofa) di vario sche-ma e argomento, preferibilmente didascalico e moraleg-giante, praticato e sviluppato a partire dai secoli XIII e XIV.Nome e ‘genere’ ad esso legati corrispondono al proven-zale sirventes che ha però, in effetti, il metro della → can-zone. Il termine provenzale deriva dal suo essere servo diuna melodia di canzone preesistente o dall’essere intrec-ciato dal subalterno (servo) per il signore. Il termine ita-liano nella variante sermontese viene fatto derivare da ‘ser-mone’ per pseudoetimologia a posteriori, visto il contenu-to sermoneggiante.Si può distinguere fra: 1) serventese bicaudato: AAAbAbBBBcBc, ecc. (endecasillabi e settenari) esemplificato daGidino (→ metricologia) con «Per grande tema la giente La-tina»; 2) serventese caudato: strofe tetrastiche di tre ende-casillabi monorimi più un verso breve (di solito quinario)che rima con i versi lunghi (endecasillabi) della strofa se-guente: AAAb BBBc CCCd, ecc. Come tale non è distan-te dalla → saffica. Una modificazione fine-trecentesca diquesto schema porta al → capitolo quadernario (ABbC CD-dE EFfG, ecc.), col verso breve settenario invece che qui-nario; 3) serventese duato: serie di → distici monorimi inversi di varia misura (settenari, ottonari, novenari, endeca-sillabi): aa bb cc, ecc. Esempio: il Detto del Gatto lupesco(di Anonimo del XIII secolo), duato in novenari-ottonari ariproduzione dell’→ octosyllabe francese, con possibilità diescursione decasillabica (→ decasillabo; anisosillabismo); 4)per il serventese incatenato o terza rima, → terzina; 5) ser-ventese incrociato: nome dato da Antonio da Tempo e daGidino a una strofa tetrastica di endecasillabi a rima cheper noi è alternata ABAB CDCD, ecc. (→ rima); 6) ser-ventese ritornellato, o sesta rima: strofa esastica di endeca-sillabi ABABCC DEDEFF, ecc. coll’aggettivo giustificatoqualora si guardi come una quartina di serventese incrocia-to più un ritornello doppio costituito da un distico baciatodi endecasillabi.

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190 SESTA RIMA

Letteratura italiana Einaudi

sesta rima → serventese

sestetto → sonetto

sestina

Due accezioni diversissime, non confondibili: sesta rima os narrativa (→ serventese); canzone sestina o sestina lirica.Quest’ultima è un tipo particolarmente virtuosistico di →canzone a stanze indivisibili. In ciascuna → stanza, com-posta di 6 versi (di norma tutti endecasillabi in Italia), so-no assenti le consuete divisioni: piedi, volte, fronte, sirma,verso-chiave. Non ci sono legami di rime: ogni stanza legale sue rime (o meglio, parole-rima; → rima identica) a quel-le della successiva che le presenta uguali ma in altro ordi-ne. La legge di quest’ordine è la retrogradatio cruciata, ov-vero nella seconda stanza appare come prima parola-rimal’ultima della stanza precedente, come seconda la primadella stanza precedente, come terza la penultima, comequarta la seconda, come quinta la terzultima e, infine, co-me ultima la terza. Graficamente:

I II III IV V VI

A F C E D BB A F C E DC E D B A FD B A F C EE D B A F CF C E D B A

Finite le combinazioni, in tutto sono sei stanze. Esempio(da Dante, che appunto introduce il genere in Italia):

Al poco giorno e al gran cerchio d’ombra Ason giunto, lasso, ed al bianchir de’ colli, Bquando si perde lo color ne l’erba: Ce ’l mio disio però non cangia il verde, Dsì è barbato ne la dura petra Eche parla e sente come fosse donna. F

Similemente questa nova donna F

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SESTINA 191

Letteratura italiana Einaudi

si sta gelata come neve a l’ombra: Aché non la move, se non come petra, Eil dolce tempo che riscalda i colli, Be che li fa tornar di bianco in verde Dperché li copre di fioretti e d’erba C

e così di seguito. Modello è la canzone di Arnaut Daniel Loferm voler que·l cor m’intra, ma Arnaut (che debuttava conun settenario seguito da cinque decasillabi) tentava solo unodei molti modi di legare coblas unissonans (→ cobla), men-tre Dante istituisce una forma fissa come variante preziosadella canzone. Nell’ipotesi di una settima stanza, la fisio-nomia di quest’ultima ripreterebbe lo schema della prima:così avviene nella s doppia di Petrarca Mia benigna fortunae ’l viver lieto, che itera lo schema (peraltro tematizzando-lo esplicitamente: «et doppiando ’l dolor, doppia lo stile»)per complessive, dunque, dodici stanze. Nel Quattrocento,poi, si avranno esperimenti di sestine triple (diciotto stan-ze) e addirittura quadruple (ventiquattro stanze) [cfr. Com-boni A., Rarità metriche nelle antologie di Feliciano, in «Stu-di di Filologia Italiana», LII, 1994], nonché esperimenticon versi brevi (sestine in ottonari, senari, ecc.), e persinodi terzine, in cui la retrogradatio cruciata è applicata su treanziché su sei parole-rima [cfr. Carrai S., Un esperimentometrico quattrocentesco (la terzina) e una poesia dell’Alber-ti, in «Interpres», V, 1983-84, pp. 34-45]. Congedo su treversi; ma Dante modificò anche il sistema di congedo pro-venzale, che prevedeva il ripescaggio delle tre parole-rimapiù vicine, come si presentavano nell’ultima stanza (dun-que ECA). Dante invece riprende tutte e sei le parole-rima,distribuite due per verso, una all’interno (rima interna o →rimalmezzo) e una in punta di verso in ordine diretto, conschema (B)A(D)F(E)C (altre soluzioni saranno poi in Pe-trarca). Nove ne compose poi il Petrarca, consacrando la se-stina come schema classico su cui intere generazioni do-vranno dimostrare il proprio valore, almeno sino al Cin-quecento. Espulsa dal territorio della metrica italiano a par-tire dal Seicento sotto l’accusa di essere una bizzarria finea se stessa, verrà rilanciata da Carducci (anche sul piano teo-rico, col saggio storico-interpretativo Della sestina) e D’An-

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192 SETTENARIO

Letteratura italiana Einaudi

nunzio. Sporadici gli esempi novecenteschi: G. Ungaretti(Recitativo di Palinuro), F. Fortini (Sestina a Firenze). Ritor-no di fiamma (incluse le varianti più ardite, e inclusa la ter-zina) in tempi recentissimi, sia nella produzione che nellateoria, con il saggio di G. Frasca [La furia della sintassi. Lasestina in Italia, Bibliopolis, Napoli 1992].

settenario

Nella poesia latina verso trocaico o giambico. Il settenariotrocaico è il → tetrametro trocaico catalettico, così il set-tenario giambico è il → tetrametro giambico catalettico.Esiste un settenario anapestico. Nella metrica italiana èuno dei versi più usati, reso nobile, in subordine e in al-ternanza con l’→ endecasillabo (di cui non va dimenticatoche il s costituisce il primo emistichio nel caso dell’a maio-re), da Dante nel De vulgari eloquentia. Verso di sette sil-labe (metriche) con → ictus principale sulla 6a, e altri ac-centi variabili su una delle prime cinque sedi (rari, ma at-testati, i settenari con accenti di 1a e 6a, dunque con quat-tro sillabe atone: Guarino: «gli uómini e gli animáli»; Ma-rino: «fússero spettatóri»). Ritmo sia giambico che ana-pestico o trocaico. Dalle canzonette delle origini, dai disticibaciati del Tesoretto di B. Latini:

Al valente segnore,di cui non so miglioresulla terra trovare:ché non avete parené ’n pace né in guerra,

dalla canzone di tutti settenari (abc : abc; effef) di G. Gui-nizzelli Donna, l’amor mi sforza (si cita la seconda stanza):

Nave ch’esce di portocon vento dolze e piano,fra mar giunge in altura;poi vèn lo tempo torto,tempesta e grande affanoli aduce la ventura;allor si sforza moltocomo possa campare,

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SINAFIA 193

Letteratura italiana Einaudi

che non perisca in mare:così l’amor m’ha coltoe di bon loco toltoe miso a tempestare,

fino a oggi, attraverso la → canzone, l’→ ode-canzonetta(→ anacreontica), il secondo coro dell’Adelchi (piani, sdruc-cioli, tronchi), la lirica e i libretti d’opera fine Otto e No-vecento, con Pascoli che ne dislocò la cantabilità rompen-dolo con forti → enjambements. Pure nell’ultimo Nove-cento, ad esempio nella canzonetta Assenzio di A. Zanzotto(quartine abab cdcd con assonanze surrogatorie):

La deserta stagionenell’acqua dei cortilile sue gioie scomponeprecipita dai clivi.

sinafia

(gr. synápheia ‘connessione’). Nella metrica classica, lastretta unione ritmica dei cola (→ colon) d’un sistema ca-ratterizzato dall’assenza di sillaba ancipite e di iato alla fi-ne dei singoli cola e dalla possibilità dell’elisione e della →tmesi di parola tra l’uno e l’altro colon. La riprende il Pa-scoli per i suoi esperimenti fortemente innovativi ma nonrivoluzionari. Modernamente allora s’intende per sinafiail fenomeno metrico per cui la sillaba finale di un verso puòcontare nella misura di quello successivo (che inizi per con-sonante e non per vocale come nel caso dell’ → episinale-fe), ad evitare → ipermetria. Esempio:

Dei fulmini fragili restanocirri di porpora e d’oro

(La mia sera)

dove il primo verso è un novenario di 2a, 5a e 8a sdruc-ciolo (di per sé, a norma della → metrica italiana, regola-rissimo) ma è seguito da un ottonario (al posto di un no-venario come richiederebbe lo schema), al quale va ‘in pre-stito’ l’ultima sillaba («resta-no») del novenario sdruccio-

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194 SINALEFE

Letteratura italiana Einaudi

lo (dieci sillabe in tutto) precedente; per cui tutti e due, difatto, ne possono vantare nove. Si noti che l’esigenza, an-cora una volta, più che metrica, è ritmica; infatti se ancheil secondo verso avesse nove sillabe, la lettura unitaria del-l’insieme darebbe / ^ ^ / ^ ^ / ^ ^ ^ / ^ ^ / ^ ^ / ^, cioèuna rottura dello scorrimento ininterrotto dei dattili. Mail secondo verso è ottonario con accento in prima sede («cir-ri»), dunque: / ^ ^ / ^ ^ / ^ ^ (10a = 1a) / ^ ^ / ^ ^ / ^.

sinalefe → dialefe/sinalefe

sineresi → dieresi/sineresi

sir(i)ma → canzone; coda; sonetto

sirventese → serventese

sonettessa

In sostanza sinonimo di sonetto caudato, variante trecente-sca del sonetto ritornellato. Il sonetto caudato è un → sonettocui è aggiunta la → coda di un settenario legato all’ultimoverso dell’ultima terzina del sonetto più un distico baciatodi endecasillabi. Lo schema più frequente è: ABBA ABBACDC DCD dEE. La coda, appunto, è dEE. Diffusissimonel Trecento, quasi sempre in contesti stilistici comici, gra-zie anche alla presenza di un’appendice adatta a una bat-tuta finale. Enorme fortuna cinquecentesca con F. Berni,poi recuperato da Carducci. La coda è replicabile due o treo più volte (in Berni si arriva, nelle Vaghezze di maestroGuazzalletto medico, ad accumularne ventuno).

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SONETTO 195

Letteratura italiana Einaudi

sonetto

Forma metrica di origine italiana (siciliana), è costituito,nel suo schema di base, da quattordici versi tutti endeca-sillabi divisi in una prima parte di otto (detta fronte o ot-tetto) e una seconda parte di sei (detta anche sirma o se-stetto). Il nome deriva dal provenzale sonet con riferimen-to a ‘suono’, cioè alla melodia. Eppure il sonetto nasce inambito di Scuola siciliana (prima metà del XIII secolo), os-sia in un clima di divorzio della poesia dalla musica [cfr.Roncaglia A., Sul «divorzio tra musica e poesia» nel Due-cento italiano, in aa.vv., L’Ars Nova Italiana del Trecento,IV, 1978, Centro di Studi sull’Ars Nova Italiana del Tre-cento, Certaldo, pp. 365-97]. Varia e complessa la discus-sione sull’etimologia: l’opinione forse maggioritaria lega ilsonetto alla stanza di canzone. Biadene [Morfologia del so-netto nei secoli xiii-xiv, in «Studj di filologia romanza», IV,parte I, 1888; ristampa anastatica a cura di R. Fedi, Le Let-tere, Firenze 1977] e Wilkins [The Invention of the Sonnetand Other Studies in Italian Literature, Edizioni di Storia eLetteratura, Roma 1959] propendono per la derivazionedallo → strambotto, il quale però è molto più tardo (cfr. leobiezioni alla tesi strambottista di Dionisotti [Appunti sutesti antichi, in «Italia medioevale e umanistica», VII,1964, pp. 77-131]). Che si preferisca parlare, comunque,di «invenzione» piuttosto che di «origine», sottolinea lapossibile matrice colta, alta e individuale dell’organismo.E la personalità di gran lunga più accreditata della re-sponsabilità di tanto parto è il Notaio. Antonelli [L’«in-venzione» del sonetto, in aa.vv., Miscellanea di studi in ono-re di Aurelio Roncaglia, Mucchi, Modena 1989, pp. 35-75]ne ha dato una dimostrazione strettamente metricologicaesterna (in rapporto al sistema metrico trobadorico) e in-terna (in rapporto al sistema metrico siciliano e, in parti-colare, proprio di Giacomo da Lentini). Per cui viene di-mostrata pure la volontà e la ‘coscienza’ – da parte del-l’artefice, così indipendente e originale rispetto ai model-li metrici assunti – della creazione di una forma e di un ge-nere metrico precisi. Il sonetto deriverebbe dunque da una

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196 SONETTO

Letteratura italiana Einaudi

→ cobla esparsa (stanza isolata di → canzone) per dilata-zione verticale fino ai quattordici versi e orizzontale finoall’endecasillabo. E pienamente legittima pare dunque l’al-lusione alla ripartizione di canzone con i termini fronte esirma; anche se poi la ripartizione canonica diverrà quellain due quartetti (o quartine) e due terzetti (o terzine). Lo sche-ma rimico più antico della fronte sarebbe indiviso: ABA-BABAB (→ tenzone), più tardi diviso ABAB ABAB, mapur sempre alternato; e solo con lo Stilnovo conquisterà lasua definitiva predominanza lo schema alternativo, bipar-tito e incrociato, ABBA ABBA (→ quartina; rima). Più va-riabile il sestetto: in antico soprattutto CDC DCD e CDECDE. Esempio da Giacomo da Lentini:

Molti amadori la lor malatia Aportano in core, che ’n vista non pare; Bed io non posso sì celar la mia, Ach’ella non paia per lo mio pensare: B

però che so’ sotto altrui segnoria, Ané di meve non ho neiente a· ffare, Bse non quanto madonna mia voria, Ach’ella mi pote morte e vita dare. B

Su’ è lo core e suo so’ tutto quanto; Ce chi non ha consiglio da suo core Dnon vive infra la gente como deve: E

cad io non sono mio né più né tanto, Cse non quanto madonna è de mi fore Ded uno poco di spirito è ’n meve. E

Nei Toscani preferenze inverse per le terzine: CDC DCDsupera di poco CDE CDE. Dante nel De vulgari eloquen-tia non arriva a parlare direttamente del sonetto bensì del-la forma tragica della → canzone. Ma è chiaro, già dalla Vi-ta nova che il sonetto, dopo la canzone e la ballata, è rite-nuto forma alta e illustre. La canzone prototipica Donnech’avete ha uno schema di quattordici versi tutti endeca-sillabi (ABBC : ABBC; CDD : CEE) molto simile alloschema e alla divisione del sonetto (con riprova a posterioridella derivazione dalla cobla?) Inoltre Menichetti [Impli-cazioni retoriche nell’invenzione del sonetto, in «Strumenticritici», XXVI, 1975, pp. 1-30] ha dimostrato che nel so-

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SONETTO 197

Letteratura italiana Einaudi

netto antico tra fronte e sirma ci sono relazioni semanti-che e retoriche; come esistono tra fronte e sirma della can-zone (a dimostrazione della stretta parentela?; cfr. Santa-gata [La lirica aragonese. Studi sulla poesia napoletana del se-condo Quattrocento, Antenore, Padova 1979 e Dal sonettoal canzoniere. Ricerche sulla preistoria e la costituzione di ungenere, Liviana, Padova 1989]). Di quante cure teoriche (ilsonetto è sempre accompagnato da teorie e riflessioni me-tapoetiche sulla sua forma, spesso espresse nella sua forma)abbia goduto il sonetto emerge dall’analisi di Antonio daTempo (→ metricologia) che classificò sedici forme diver-se. Tra le modernissime definizioni: «gran poema in pic-colo» (Mallarmé). Discute la sua forma D’Annunzio (chearriva a scrivere, nella Chimera, pseudo-sonetti di quat-tordici endecasillabi senza alcuna rima ma con suddivisio-ni tipografiche per le quartine e le terzine); lo adottano pereroderlo da dentro crepuscolari e affini (Corazzini, Goz-zano,Govoni); poi Saba, magari con sostanziali variazioni(secondo sonetto del dittico Ordine sparso, su schemaABBC CDDA EFF GGE con G assonanzato):

Le bestie per cui esso è casa, è letto,è talamo, è podere, è mensa, è tutto.Vi godono la vita, ogni suo frutto,vi dànno e vi ricevono la morte.

Or, come vuole la mia bella sorte,non la sola bellezza al paesaggiochiedo, quanto una siepe od un selvaggiotronco che mi nasconda il capo e il petto.

Né le cose d’intorno a me più tantedànno malinconie dolci e complesse.Sì mi domando: per colpire ov’esse

stanno, come porrei del mio fucilel’alzo, col sol che più le fa vicine,con l’ombra che allontana uomini e piante?

E poi Luzi, Caproni, ecc., a volte con ossequio formale permeri stacchi tipografici. In Finisterre Montale riprende li-beramente, ma senza spaziature strofiche, il sonetto shake-speariano, tendenzialmente tre quartine su rime diverse(spesso sostituite da assonanze) ma alternate più un disti-

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198 SONETTO

Letteratura italiana Einaudi

co baciato (ABAB CDCD EFEF GG):

Ut pictura… Le labbra che confondono,gli sguardi, i segni, i giorni ormai cadutiprovo a figgerli là come in un tondodi canocchiale arrovesciato, mutie immoti, ma più vivi. Era una giostrad’uomini e ordegni in fuga tra quel fumoch’Euro batteva, e già l’alba l’inostracon un sussulto e rompe quelle brume.Luce la madreperla, la calancavertiginosa inghiotte ancora vittime,ma le tue piume sulle guance sbiancanoe il giorno è forse salvo. O colpi fitti,quando ti schiudi, o crudi lampi, o scroscisull’orde! (Muore chi ti riconosce?)

(Il ventaglio).

Molti i tipi storici derivati dalla forma base: 1) sonetto con-tinuo: le rime delle quartine si estendono alle terzine; 2)sonetto retrogrado: si può leggere a cominciare dall’ultimoverso risalendo fino al primo; 3) sonetto acrostico: → acro-stico; 4) sonetto sdrucciolo (o duodenario secondo Antonioda Tempo), tronco (o muto), a rime composte, a rime ricche,a rime equivoche: con versi uscenti con rime sdrucciole,tronche, ecc.; 5) sonetto caudato: → sonettessa; 6) sonet-to ritornellato: cui s’aggiunge un → ritornello di un verso(in rima con l’ultimo del ‘corpo’ del sonetto) o di due ver-si (in rima baciata indipendente); 7) sonetto raddoppiato:di 14 x 2 versi: otto volte AB, più tre volte CD e tre vol-te EF, oppure due volte CDE e due volte FGH (esempi inMonte Andrea e, prima di lui, in Guittone); 8) sonetto rin-terzato: cioè ‘rafforzato’, sulla base ABAB ABAB CDCDCD, con l’aggiunta di un settenario ai versi dispari del-le quartine e al primo e secondo verso delle terzine. I set-tenari stanno in rima con, e così rafforzano, il verso cheprecede: AaBAaB AaBAaB CcDdC DdCcD. Frutto della fucina sperimentale di Guittone (Solament’ èvertù che debitore), lo ripropone ancora Dante nella Vitanova con un di più di coerenza numerologica: aggiunge unsettenario ai versi dispari (per posizione) delle strofe pariper numero di versi (quartine) e un settenario ai versi pa-

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SPONDEO 199

Letteratura italiana Einaudi

ri delle strofe dispari per numero di versi (terzine) sia suottetto ‘siciliano’ ABAB ABAB sia ‘toscano’ ABBA AB-BA; esempio del secondo tipo:

Morte villana, di Pietà nemica, Adi dolor madre antica, aiuditio incontastabile gravoso, Bpoi ch’ài dato materia al cor doglioso, Bond’io vado pensoso, bdi te blasmar la lingua s’afatica. A

E s’io di gratia ti vo’ far mendica, Aconvenesi ch’io dica alo tuo fallar d’ogni torto tortoso, Bnon però ch’alla gente sia nascoso, Bma per farne cruccioso bchi d’amore per innanzi si nostrica. A

Dal secolo ài partita cortesia Ce ciò ch’è in donna da pregiar vertute; Din gaia gioventute ddistructa ài l’amorosa leggiadria. C

Più non vo’ discovrir qual donna sia Cche per le propietà sue conosciute. DChi non merta salute dnon speri mai d’aver sua compagnia. C

9) sonetto metrico: con versi italiani costruiti secondo le re-gole della metrica accentuativa e versi latini (in rima) co-struiti secondo le regole della metrica quantitativa (secon-do Antonio da Tempo: se anche i versi latini seguono lametrica accentuativa Antonio lo chiama sonetto semilette-rato); 10) sonetto bilingue: con versi italiani e versi di altralingua romanza (sempre secondo Antonio da Tempo).

spondeo

(gr. spondeîos → piede della spondé ‘libagione’). Nella me-trica classica, piede composto di due lunghe, perciò quat-tro tempi brevi: . Può avere → ictus sulla prima (preva-lentemente) o sulla seconda sillaba. Nel primo caso metri-camente equivale al → dattilo, nel secondo all’→ anapesto.Nell’→ esametro si può avere spondeo al posto del dattilo

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200 STANZA

Letteratura italiana Einaudi

in ogni sede, ma nella quinta solo di rado; l’eccezionalitàdel caso ridefinisce l’esametro come spondaico. La presen-za e iterazione di spondei rallenta il verso e lo adatta a untono solenne e grave (così nel peculiare uso virgiliano).

stanza

Nella poesia italiana è, generalmente, un gruppo di versistrutturato secondo un determinato ordine. Può essere uncomponimento a sé e allora, di solito, è l’→ ottava rima(‘stanze rusticali’ sono appunto testi poetici di toni rusti-cali in ottava rima come la Nencia o la Beca; → rispetto).Chiamansi ‘stanze’ anche alcuni poemetti in ottave comele Stanze per la giostra di Giuliano de’ Medici del Poliziano.Con stanza si indicò e s’indica una delle strofe (→ strofa)di cui è composta la → canzone o una canzone composta diuna sola strofa (→ cobla). Si impiega pure per le stanze perstrambotti (→ rispetto), cioè per l’ottava toscana svilup-patasi dalle canzoni a ballo, sola o in serie, accompagnatain origine da strumento musicale per serenate, mattinate,dipartite e disperate. Anche una parte della → ballata (pre-cisamente i piedi più la volta). Alamanni e Minturno chia-marono stanza l’→ epodo della canzone pindarica.

stichico → strofe; verso

stornello

Nella poesia italiana, popolare e colta (popolareggiante) èun componimento breve in origine (ma piuttosto recente,dal XVII secolo circa, ma ebbe sviluppi e fortuna solo nel-l’Ottocento; prima attestazione: 1811) costituito da un ver-so d’invocazione seguito da due endecasillabi uniti da con-sonanza atona. Esempio:

Fiorin, fiorinodi voi bellina innamorato sono,

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STRAMBOTTO 201

Letteratura italiana Einaudi

la vita vi darei per un bacino

[cfr. Cirese A. M., Ragioni metriche. Versificazione e tradi-zioni orali, Sellerio, Palermo 1988]. Il verso breve è di so-lito un quinario (altre volte settenario); il secondo endeca-sillabo in rima col quinario e il verso intermedio in asso-nanza atona (→ assonanza/consonanza) con gli altri due.Vien detto anche fiore perché l’invocazione iniziale è di so-lito a un fiore dedicata (e il nome del fiore dev’essere inqualche modo legato al contenuto dei versi seguenti).Elwert [Italienische Metrik, Max Hueber Verlag, München1968 (trad. it. Versificazione italiana dalle origini ai giorninostri, Le Monnier, Firenze 1973)] ne asserisce la deriva-zione dallo strambotto. È certamente una struttura adattaall’improvvisazione. Cantato, si presta bene a voci alterne:il secondo stornellatore ripete solo il primo verso. Proprioquello schema aBA riprende Carducci nel Congedo di Ri-me e ritmi:

Fior tricoloretramontano le stelle in mezzo al maree si spengono i canti entro il mio cuore.

Altri tipi privi d’invocazione breve o con invocazione bre-ve ma senza l’impiego di rima più assonanza atona semprein Cirese [Ragioni metriche. Versificazione e tradizioni ora-li, Sellerio, Palermo 1988].

strambotto

Nella metrica italiana, forma breve (una → stanza) di poe-sia destinata alla musica, sviluppatasi nel Trecento e digrande successo nel Quattrocento; costituita di endecasil-labi di solito nella misura di otto con vari schemi. Discus-sa l’origine, specialmente se popolare o aulica. E poi: anti-ca o recente? Normanna, provenzale, spagnola, siciliana otoscana? In partenza, forma breve o brevissima (distico,tetrastico o addirittura monostico). Negli schemi adulti enormali presenta la variante in → ottava siciliana o canzu-na (ABABABAB) e in ottava toscana (ABABABCC), det-

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202 STRAMBOTTO

Letteratura italiana Einaudi

ta anche → rispetto. Nelle sillogi antiche rispetto e s so-vrappongono i loro nomi. Ciò che lo distingue dall’→ otta-va rima non è necessariamente il monostrofismo, ma so-prattutto il tema, qui amoroso là narrativo ed epico. Si tro-vano strambotti di tre coppie a rime alterne: AB AB AB, ocon variante baciata nel distico finale: AB AB CC DD EE.Ne esistono di rime tronche o sdrucciole. Ma la successio-ne di rime alterne e poi baciate ha carattere specifico. Ne-gli strambotti (o rispetti) di estrazione popolare l’opposi-zione tra la prima parte (alternata) e la seconda (baciata)instaura una serie di legami iterativi retorici, fonici, ritmi-ci così forti ed evidenti da diventare più caratterizzanti delmedesimo schema metrico: la forma interna fa aggio suquella esterna. La prima parte contiene il ‘nocciolo’ delcomponimento, la seconda come l’‘eco musicale’. Nel ri-spetto toscano poi il primo verso della seconda parte si le-ga lessicalmente con uno dei versi della prima. (Il legamepuò riguardare tutti i versi delle coppie a rima baciata).Nella seconda poi (detta anche ripresa) ciascuna delle cop-pie successive ripete con variazioni la prima. Esempio:

E sete la più bella giovinettaChe in cielo e in terra si possa trovare,E colorita più che rosa fresca:E chi vi vede fate innamorare.E chi vi vede e non vi dona il core,O non è nato, o non conosce amore:E chi vi ha visto, e il cor non v’ha donato,O non conosce amor, o non è nato

dove lo schema è A1B

1A

2B

2C

1C

2D

1D

2e le relazioni sono tra

B2, C

1e D

1e tra C

2e D

2[cfr. Cirese A. M., Ragioni metri-

che. Versificazione e tradizioni orali, Sellerio, Palermo1988]. Squisitamente ripescò il metro popolare il Pascoli,sia in forma di distici a rima alternata (Con gli angioli, inMyricae: AB AB AB AB), sia nella forma più complessa delrispetto a quartina alternata seguito da due distici baciati(ABAB CC DD) sempre con spazi tipografici che eviden-ziano lo schema, ad esempio in Il piccolo aratore (in Myri-cae) con assonanza finale come intarsio di un microelemen-to dell’organismo popolare:

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STROFA 203

Letteratura italiana Einaudi

Scrive... (la nonna ammira): ara bel bello,guida l’aratro con la mano lenta;semina con suo piccolo marrello:il campo è bianco, nera la sementa.

D’inverno egli ara: la sementa è nerad’inverno spunta, sfronza a primavera;fiorisce, ed ecco il primo tuon di Marzorotola in aria, e il serpe esce dal balzo.

strofa

Sistema metrico di più versi ripetibile più volte. Il rag-gruppamento può essere costituito di versi della stessa mi-sura (strofa isometrica o monometrica) o di lunghezza dif-ferente (strofa eterometrica o polimetrica). La strutturazio-ne della strofa nella metrica romanza coincide essenzial-mente con l’ordinamento delle rime e col tipo di versi usa-ti (per convenzione si attribuiscono lettere dell’alfabeto,maiuscole per i versi maggiori, minuscole per i minori,eventualmente col numero delle sillabe – o altre indicazio-ni – all’esponente; le rime al mezzo tra parentesi; per unritornello di ballata si impiegano le ultime lettere dell’al-fabeto). Ad esempio, un → sonetto moderno è costituitodi quattro strofe di endecasillabi, due quartine rimate, peripotesi, ABBA e due terzine CDE (pertanto ABBA ABBACDE CDE). La storia delle strofe coincide con la storiadella competenza metrica, delle scelte e del gusto delle va-rie epoche. La compattezza di un ordinamento strofico nonvien meno se si aggiunge, per esempio, una strofa a sé co-me nel → ritornello di una ballata o nel → congedo di unacanzone; anzi la riconoscibilità del componimento ne ri-sulta perfezionata. Fin dalle origini della metrica italianaa poco a poco si affermarono forme strofiche stabili qualiil → sonetto, la → canzone, la → ballata, la → sestina, il →madrigale, che dureranno fino al Rinascimento e ben piùin là. Insieme i rimatori inclinarono a raggruppare nelle me-desime strofe versi di ritmo simile (o tutti parisillabi o tut-ti imparisillabi); classica la combinazione, nella canzone,di endecasillabi e settenari. Dante chiamò → stanza la s dicanzone e il Poliziano usò il termine (Stanze per la giostra)

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204 STROFA ZAGIALESCA

Letteratura italiana Einaudi

per indicare le sue ottave (→ ottava rima). Nuove formestrofiche vennero introdotte tra Cinque e Seicento so-prattutto da G. Chiabrera (la → canzonetta anacreontica o→ ode-canzonetta: frequenti le strofe di nove settenari pia-ni abba acddc; oppure ottonari e quaternari a8a4b8c8c4b8) e,da quel medesimo principalmente, con la → metrica bar-bara, che prevede aggregazioni di versi di tipo differente.La rivoluzione romantica arricchì il bagaglio metrico dinuove strutture e combinazioni, inclusi i ripescaggi di stro-fe popolari (→ stornello; strambotto); e si allargò la possi-bilità di abbinamento dei versi, accogliendo anche parisil-labi e imparisillabi nella stessa impaginazione strofica. Fral’altro Pascoli architettò strofe isometriche e eteroritmiche(La voce: novenari dattilici più novenari trocaici), e strofeeterometriche e isoritmiche (X Agosto: decasillabi dattilicipiù novenari dattilici → decasillabo). Nella poesia nove-centesca si usa spesso strofa per indicare un gruppo di ver-si contraddistinti anche solo da un intervallo bianco tipo-grafico, perciò senza implicazioni di strutture simmetricheripetute (→ tradizione astrofica). Una serie di versi di nu-mero non fisso ma variabile si chiama → lassa. Per la stro-fa tetrastica monorima → quartina. Per l’accezione classi-ca → strofe.

strofa zagialesca → zejel

strofe

Termine più classico per → strofa. Nella metrica greca (eo-lica) o latina, raggruppamento di versi in unità metriche ri-petute più volte. All’opposto sta l’impiego del verso katàstíkon ‘stichico’, mantenuto cioè nella sua autonomia e in-dividualità. Nella lirica corale greca è la prima parte di unmetro composto da strofe appunto, antistrofe, epodo, poiripreso nella sua ode pindarica dal Chiabrera (→ epodo; epi-nicio; ode) nell’ambito della → metrica barbara. Esempi distrofe del primo tipo sono la → saffica, l’→ alcaica, l’→asclepiadea nei diversi sistemi. → metrica barbara.

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tenzone

(lat. contentio, prov. tenso). È, nella poesia romanza, unaserie (due o più) di componimenti che due o più rimatori siscambiavano su un medesimo oggetto del contendere. Prin-cipalmente la quaestio era amorosa (già coi Siciliani e giàimpiegando sonetti ‘per le rime’ o anche ‘a rime obbliga-te’, cioè utilizzando le stesse rime dell’avversario; → rima;sonetto). Esempio: i cinque sonetti in tenzone tra l’Abatedi Tivoli e Giacomo da Lentini, in questa sequenza: 1) Aba-te di Tivoli, Oi deo d’amore, a te faccio preghera (ABABABAB CDC DCD); 2) Giacomo da Lentini, Feruto sonoisvarïatamente (ABAB ABAB CDE CDE); 3) Abate di Ti-voli, Qual om riprende altrù’ ispessamente (stesso schema di2, con A = A e B = E); 4) Giacomo da Lentini, Cotale gio-co mai non fue veduto (ABAB ABAB CDC DCD); 5) Aba-te di Tivoli, Con vostro onore facciovi uno ’nvito (ABABABAB CDE CDE). Con la richiesta d’interpretazione diun sogno con Madonna e Amore (A ciascun’alma presa egentil core) s’avvia la silloge poetica della Vita nova: al so-netto replicheranno davvero alcuni tra i poeti destinatariinterpellati, e della risposta di G. Cavalcanti (Vedeste, almio parere, onne valore) dà notizia lo stesso Dante nella pro-sa del «libello» (le altre due risposte pervenuteci sono diTerino da Castelfiorentino e, in stile comico, di Dante daMaiano). Scontro su materia letteraria e propriamente discuola poetica è quello tra Bonagiunta Orbicciani (Voi ch’a-vete mutata la mainera) e G. Guinizzelli (Omo ch’è saggionon corre leggero). Sul privato, con scherzi e colpi basso-co-

T

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206 TERNARIO

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mici, la tenzone tra Dante e Forese Donati. Una tenzonemoderna? Una polemica in versi di P. P. Pasolini (pubbli-cata su «Officina» nel 1956) cui risponde E. Sanguineticon Una polemica in prosa (ibid., 1957), facendo il verso al-le terzine pasoliniane, variamente irregolari e a tratti solotipografiche.

ternario → trisillabo

terza rima → capitolo

terzina

Strofa di tre versi. Solitamente s’intende per t quella dan-tesca o → capitolo ternario, che Dante chiamava canto: in-somma ABA BCB CDC … XYX Z. Ma esistono altreforme di terzina: ABA CBC DED FEF+chiusura in di-stico baciato, ch’è la terzina dell’Acerba di Cecco d’Asco-li (terzine legate a due a due dalla rima centrale) imitatanell’Ottocento da Pascoli (Il giorno dei morti). Anche ter-zina lirica (impiegata nel Quattrocento), con schema ABCCAB BCA X, sempre su parole-rima (→ rima), con X chele contiene tutte e tre, di cui una in punta di verso, e mec-canismo di retrogradatio cruciata assimilabile a quello del-la → sestina. Ma la terzina per antonomasia e importanza storica asso-luta è appunto quella dantesca, ultima fondazione sulla nu-merologia del ‘3’ (nell’Epistola a Cangrande: «Prima divi-sio est, qua totum opus dividitur in tres canticas. Secun-da, qua quaelibet cantica dividitur in cantus. Tertia, quaquilibet cantus dividitur in rithimos»). Inoltre: 3 i versidella terzina, 3 volte si ripete la stessa rima, 33 i canti d’o-gni cantica, 3 le cantiche. La serie di terzine in ciascuncanto è di numero variabile, ma risulta marcata all’inizioe alla fine da un verso che rima due volte; a ciò serve ap-punto l’ultimo verso solitario quanto a legame strofico:

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TETRAMETRO 207

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ABA BCB … YZY Z (A…A-…-…Z…-Z), mentre le altrerime ricorrono tre volte, tutte. Ciò risulta importante an-che in vista della grande solidità complessiva tra sintassi emetro nella Commedia. La fine del terzo verso delimita unconfine solo raramente infranto dal periodo. Le spezzatu-re (→ enjambement) si trovano più frequentemente, dun-que, nei primi due versi. Tra i tanti imitatori (→ capitolo)Pascoli varierà in forme e modi suoi. A volte scorcia la se-rie fino a un minimo: ABA BCB C (La notte) e la fa asso-migliare così a un → madrigale; altre volte distribuisce insequenze più distese o in piccoli canti, come in Italy, duecanti di nove e venti sequenze di numero variabile di ter-zine ma con sfaldature varie sia sul piano orizzontale, sin-tattico-versale, che sul piano verticale: periodi sintatticiframmentati, interrotti da spezzature e discorsi diretti; laventesima sequenza del secondo canto è disposta in disti-ci [cfr. Bertone G., La rima nelle «Ceneri di Gramsci» diPier Paolo Pasolini, in «Metrica», IV, 1986, pp. 225-65].Nelle Ceneri di Gramsci e in altre raccolte P. P. Pasolini im-piega una terzina irregolare, qua e là violentata nei suoitratti istituzionali (assonanze al posto di rime, per conver-so rime ricche; schemi a volte varianti: ABA BAC; ecc.).

tesi → arsi/tesi

tetrametro

Nella metrica classica, si chiama così ogni verso compostodi quattro elementi metrici. Si può usare l’→ anapesto, il→ dattilo, il → giambo, il → coriambo, il → cretico, ecc. eallora il tetrametro si dirà ‘anapestico’, ‘dattilico’, ‘giam-bico’, ecc. Il tetrametro trocaico catalettico, o meglio set-tenario trocaico, è un verso assai impiegato nella poesiadrammatica, specie comica, è composto di otto trochei (→trocheo), di cui l’ultimo catalettico (→ catalessi) per la ca-duta della tesi. Schema: X , X , X , _. / X , X , ^ , _.(dove X = elementum anceps, realizzato da sillaba breve o

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208 TMESI

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lunga o da due brevi). Esempio:

Rèspondıt mihi pàucis vèrbis / àtque adeò fidèliter

⁄ , ⁄ ^ ^ , ⁄ , ⁄ / ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ , ⁄ ^ , ^⁄

(Plauto, Curculio).

Quando un verso di questo tipo viene concepito per metrie non per piedi (ogni metro due piedi), come in Seneca, vaallora considerato proprio come tetrametro trocaico cata-lettico, detto pure versus trochaicus quadratus. Così comesono piuttosto tetrametri i versi popolari cantati scherzo-samente dai soldati di Cesare durante il trionfo gallico eriferiti da Svetonio:

Gàlliàs Caesàr subègit / Nıcomèdes Càesarèm;ècce Càesar nunc triumphat / qui subègit Gàlliàs,Nıcomèdes nòn triumphat / quı subègit Càesarèm.

Si tratta in questo caso di una testimonianza preziosa perseguire l’evoluzione del metro in area mediolatina: cfr. Bol-drini [La prosodia e la metrica dei Romani, La Nuova ItaliaScientifica, Roma 1992] e D’Ovidio [Versificazione ro-manza. Poetica e poesia medioevale, 3 voll., Guida, Napoli1932]. Importanti anche il tetrametro giambico cataletti-co (settenario giambico), il tetrametro anapestico acata-lettico (greco e latino: Plauto) e il tetrametro dattilico ca-talettico (archilocheo), metro oraziano.

tmesi

(gr. tmêsis ‘azione del tagliare’). Figura metrica per cui unaparola viene appunto ‘tagliata’ in due parti in coinciden-za della fine del verso, originando la cosiddetta rima intmesi (→ rima). Di solito la tmesi coinvolge parole già av-vertite come metricamente divisibili, ad esempio gli av-verbi modali in -mente (così anche in Dante, Paradiso,XXV, 16-17: «così quelle parole, differente- | mente dan-zando…»), ma non mancano casi nella letteratura anticain cui la rima in tmesi agisce addirittura a dispetto dellanormale scansione sillabica, come in questo esempio di

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TRADIZIONE ASTROFICA 209

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Monte Andrea: «Coralment’ ò me stesso ’n ira, ca ppo-| rgo, a tal, mio dire…». Nell’ambito della neoavanguardianovecentesca, fenomeni di tmesi si trovano a fine verso,pur senza originare rima, in alcune poesie di Nanni Bale-strini (ad esempio La prova: «A mia madre a cui il boia hatagliato la te | sta attraverso di cercando di passa | re…»), inalcuni casi lasciando alla sola intuizione del lettore la par-te iniziale o finale del termine tagliato (ad esempio I fune-rali di Togliatti «con venature rosse e pun», dove la parolaconclusiva dev’essere mentalmente integrata «punti»).

tornello → ritornello

tradizione astrofica

Mancanza di strutturazione strofica (→ strofa). Là dove lastrofa è ordine d’iterazione di uno schema, l’astrofismopropone una commistione irregolare di versi differenti inuno schema irregolare di rime (o assonanze), o anche sen-za di esse. L’opposizione strofismo/astrofismo è nella mag-gior parte dei casi storici cosciente e dunque marcata: i duepoli si riconoscono l’un l’altro e l’astrofismo vige in quan-to nega una tradizione (eventualmente dominante). Nellaletteratura romanza delle origini (epica francese medieva-le; poema agiografico in → décasyllabes o → alessandrini;poesia epica franco-veneta) non si ha ordinamento in stro-fe, la misura melodica verticale del testo è il verso singolo;però i versi vengono aggregati in serie di lunghezza varia-bile collegati da → rima o → assonanza (→ lassa). Nella me-trica provenzale e nel Duecento italiano il → discordo è unesempio di componimento in cui le strofe differiscono l’u-na dall’altra per numero di versi, per disposizione dei tipidi verso, per rime. Più tardi si userà il termine → polime-tro per indicare componimenti, sotto questo aspetto, irre-golari. Anche la → caccia è formata di una serie irregolaredi versi di tipo differente; così la → frottola intesse irre-golarmente versi lunghi e, preferibilmente, brevi. Mentre

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210 TRIMETRO

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il discordo risponde a un principio di opposizione allo stro-fismo regolare, invece nella caccia e frottola l’astrofismoderiva dalla mancata condensazione in una forma fissa diun genere musicale o letterario [cfr. Elwert W. A., Italie-nische Metrik, Max Hueber Verlag, München 1968 (trad.it. Versificazione italiana dalle origini ai giorni nostri, LeMonnier, Firenze 1973)]. Strofe di struttura differente sitrovano nella poesia drammatica (Sacre Rappresentazioni)del Quattrocento; e la tradizione teatrale si aggiudicheràun suo terreno polimetrico dal Poliziano al Rinuccini, alMetastasio fino ai librettisti dell’Ottocento. Nel Cinque-cento la poesia astrofica riceve una sanzione classicisticacol → verso sciolto a imitazione della poesia antica; men-tre nel Seicento è rappresentata bene dalla → selva e dal →ditirambo. Altro e ultimo discorso per il verso → libero ot-to-novecentesco, francese, italiano, europeo, americano,che nei casi estremi fa giustizia dell’ordinamento stroficotradizionale insieme con altri istituti orizzontali (→ isosil-labismo, ecc.): buona parte della poesia novecentesca ten-de insomma a mutare il concetto di strofismo (a volte re-legandolo a una pura scansione tipografica di intervallibianchi) [cfr. Mengaldo P. V., Questioni metriche novecen-tesche, 1989, in Id., La tradizione del Novecento. Terza se-rie, Einaudi, Torino 1991, pp. 27-74].

trimetro

Nella metrica greca e romana si chiama così ogni verso com-posto di tre elementi metrici. La più utilizzata è la compo-nente giambica (→ giambo) in due versioni affini. Senariogiambico: X , X , X , X , X , ^ _. (con X = elemen-tum anceps, realizzato da sillaba breve o lunga o da due bre-vi), verso della poesia teatrale latina, poi anche della sati-ra e della favola. Prevalente la → cesura pentemimera, manel caso successivo eftemimera:

⁄ , ^ ^ ⁄ , ⁄ , ^ / ^⁄ ^ , ⁄ , ^ ⁄

qui fàcta hominum morèsque, pıetatem èt fidèm

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TRISILLABO 211

Letteratura italiana Einaudi

Prossimo al trimetro giambico greco è il trimetro giambicolatino: X ^ , X ^ , X ^ _. , che si differenzia dal se-nario perché sono brevi anche la terza e la settima sede.Cesura per lo più pentemimera. Esempio:

animumque rèbus / crèdulum laetıs dedıt

(Seneca).

Con il teatro di Seneca si irrigidiscono le leggi interne chenei tragici greci (che usavano il senario e non il trimetro)erano solo delle tendenze [cfr. Boldrini S., La prosodia e lametrica dei Romani, La Nuova Italia Scientifica, Roma1992]. Orazio usa negli Epodi il trimetro giambico in com-posizione distica con un elegiambo (→ archilochea/-o) e,sempre in distico, un trimetro di giambi puri dopo un esa-metro dattilico nel sistema pitiambico secondo (→ pitiam-bica/-o). Un trimetro giambico catalettico viene usato an-cora da Orazio nel sistema archilocheo IV (→ archilochea/-o); e un trimetro questa volta dattilico (e sempre cataletti-co: «àrboribusque comàe», nelle Odi, cioè ⁄ ^ ^, ⁄ , ^,_. ) in varie combinazioni negli altri suoi sistemi archilochei.

trisillabo

(lat. trisyllabum ‘composto di tre sillabe’). Anche detto ter-nario. Verso breve, costruito su tre sole sillabe con ictusche non può che cadere sulla 2a. Dante lo usa come emi-stichio segnato dalla rima internamente all’endecasillabonella → stanza isolata di canzone Lo meo servente core; eancora demarcato dalla → rima interna (che non vieta la si-nalefe) in Poscia ch’Amor:

Poscia ch’Amor del tutto m’ha lasciato,non per mio grato [quinario]ché stato [trisillabo] non avea tanto gioioso

Lo teorizza nel De vulgari eloquentia sconsigliandone l’usonello stile tragico come verso autonomo, «per se substi-nens». Occorre andarlo a cercare nel Trissino della Sofo-nisba e nel Rolli. Boito nell’Ottocento:

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212 TRISPONDAICO

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Re OrsoTi scherniDal morsoDe’ vermi

(Re Orso).

Poi in Pascoli perfino, eccezionalmente per virtuosismofunzionale all’impianto fonico-rimico, tronco (Scalpitìo, daMyricae); ma preferibilmente piano in → strofe, → anti-strofe, → epodo: per esempio, senari e trisillabo finale,ABCBCa-ADEDEa-FGFg (Il croco, dai Canti di Castel-vecchio); raccordato in genere col → senario o → novena-rio dattilico di cui diventa un sottomultiplo che ne ripro-pone o estende il ritmo. Il trisillabo della Fontana malatadi Palazzeschi («Tossisce | tossisce | un poco | si tace»), cherifà in qualche modo, con sottile parodia d’acque e di rit-miche La pioggia nel pineto di D’Annunzio («Taci. Su le so-glie | del bosco non odo | parole che dici | lontane»), inter-pretato da Mengaldo [La tradizione del Novecento. DaD’Annunzio a Montale, Feltrinelli, Milano 1975] come →anfibraco può essere inteso, se si privilegia la catena rit-mica dei versi, come una sequenza di ictus ternari (^ / ^^ / ^ ^ / ^, ecc.) com’era già in Pascoli.

trispondaico

Composto di tre spondei (→ piede; spondeo).

trocheo

(gr. trochaîos ‘veloce’, < troché ‘corsa’; vale a dire → ‘[pie-de] di ritmo veloce’). Nella metrica classica si chiama co-sì la sequenza di sillaba lunga e sillaba breve. Nella rea-lizzazione più schematica: ^. → Piede dunque di tre tem-pi con ritmo discendente. L’unità metrica (→ metro) deiversi trocaici è di solito composta da due piedi (dipodia): ⁄ ^ _. . Nella letteratura greca unioni di due dipodie tro-caiche (dimetri) furono usate da Archiloco, Alceo, Aristo-

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fane, Euripide. Nel mondo latino, i versi trocaici furonoampiamente adottati dal teatro. Esempio:

⁄ ^ ⁄ ^ ⁄ ^óccupés adíre

(Plauto).

La tripodia trocaica o itifallico ( ^ ^ _. ) in composi-zione, come secondo → colon, con un → tetrametro datti-lico la si trova nel IV dei sistemi oraziani (→ archilochea/-o). Il trimetro trocaico si dà in forma acatalettica (

⁄^

_. , ⁄

^ _. , ⁄

^ _. ) nella lirica corale (Alcmane, Ste-sicoro) e in forma catalettica (

⁄^ _. ,

⁄^ _. ,

⁄^

) nei cori tragici [cfr. Ramous M., La metrica, Garzanti,Milano 1984]. Per l’importante tetrametro trocaico cata-lettico → tetrametro.Nella metrica italiana si usa trocheo per indicare la suc-cessione di una sillaba tonica più una atona e ritmo tro-caico indica una serie ripetuta di sillabe toniche (+) segui-te da atone (–): –+–+–, ecc. (eventualmente ricalcata sul-la metrica quantitativa classica; → metrica barbara). Un ot-tonario trocaico sarà, per esempio, un ottonario con ac-cento di 3a.

tronco, verso

Verso italiano che termina con parola tronca (o ossitona).Se c’è rima, sarà rima tronca. Nella poesia delle origini epoi con Petrarca e il petrarchismo si preferiva ad esempiocittade (cioè la parola piana e eventualmente il verso pia-no) alla versione tronca città per mantenere piano sia il ver-so che la parola e, dentro il verso, per evitare la → dialefecon la vocale della parola seguente. In francese e in pro-venzale si usa il termine maschile: così si chiamano le usci-te di verso in sillaba tonica in contrapposto a uscite di ver-so in sillaba tonica+atona (femminili, ovvero parossitone;fino a quando la a provenzale e la e francese, atone finali,venivano pronunciate; più avanti non verranno più scan-dite e le uscite di verso saranno tutte in sillaba tonica, ma

TRONCO, VERSO 213

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214 TRONCO, VERSO

Letteratura italiana Einaudi

resterà la distinzione). Pressoché assenti nella poesia ita-liana delle origini, i versi tronchi ricevono forte impulsodestinato a grande successo con la rivoluzione ritmico-me-trica del Chiabrera (→ anacreontica/-o; metrica barbara;ode-canzonetta) uniti o meno a versi sdruccioli. Spesso ver-si tronchi e versi sdruccioli non sono rimati: si considera-no però rime ritmiche (→ rima). Esempio:

Fronte d’avorio,e ciglia d’ebano,labbra di porpora,e rose teneresul volto vidiviin fresca età

(Chiabrera, Caducità della bellezza)

cinque quinari sdruccioli più un quinario tronco in chiusadi strofa (in rima con ciascuno dei versi finali delle altresette strofe). Poi Frugoni e Metastasio per i testi destinatial melodramma (→ aria). Parini con sfruttamento intensi-vo ma non cantabile delle tre possibilità d’uscita:

Me non nato a percotere,Le dure illustri porteNudo accorrà, ma libero,Il regno de la morte.No, ricchezza né onoreCon frode o con viltàIl secol venditoremercar non mi vedrà

(La vita rustica)

ossia settenari AsB

pA'

sB

pC

pD

tC

pD

t, dove tra A e A' non c’è

vera rima e D è rima perfetta tra versi tronchi (s = sdruc-ciolo; p = piano; t = tronco). Poi l’Ottocento, ad esempiocol Manzoni degli Inni sacri e delle poesie civili:

Ei fu. Siccome immobiledato il mortal sospirostette la spoglia immemoreorba di tanto spiro,così percossa, attonitala terra al nunzio sta

(Cinque maggio).

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TRONCO, VERSO 215

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Per ricerca di naturalezza nella → prosodia, Pascoli preferìeliminare il verso tronco (e la rima tronca) in consonante,individuo artificiale che discosta dalla lingua della prosa edel parlato: «Le parole tronche quali amor e gentil a me pa-re assurdo metterle, come s’è usato e non s’usa ormai più,in fin di verso e perciò spesso o quasi sempre in fin di pe-riodo» (A G. Chiarini, 1900).

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venezianaNella poesia italiana è un tipo di → canzonetta di origineveneziana e popolare, sul metro della → ballata (ma an-che del → capitolo quadernario). Poeti colti la portaronoin auge, primo fra tutti L. Giustinian (da cui il nome an-che di giustiniana), che componeva in parte le melodie del-le sue composizioni polifoniche [cfr. Elwert W. T., Ita-lienische Metrik, Max Hueber Verlag, München 1968 (trad.it. Versificazione italiana dalle origini ai giorni nostri, LeMonnier, Firenze 1973)]. Esempio:

«Dona, sto mio lamentopiàzate aldire in paze;ascolta un poco e poi responderai»

«Amante, e’ me contentoaldir quel che te piaze;responder volio a quel che tu dirai»

«Chiamo la morte riaal dì mile fïadeché in te crudel zudia:non so troval pietade.In ti za non credìafose tal crudeltade;o Morte, viene e trâme de sti guai!».

In questo caso un contrasto su modulo di ballata mezzana(→ ballata) con due riprese, una xyZ per l’amante e la se-conda, stesso schema, per la donna e stanze di tre muta-zioni ab ab ab e volta Z [cfr. Spongano R., Nozioni ed esem-pi di metrica italiana, Pàtron, Bologna 1966].

V

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VERSO 217

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verso

(lat. versus, < vertere ‘volgere, rivoltare’; significa linea, ri-ga, verso in contrapposizione a soluta oratio, prosa oratio,cioè prosa, < prorsus ‘diritto’, che prosegue di continuo inlinea dritta). Nella tradizione europea verso è ciò che ap-punto viene rivolto indietro, torna indietro; la poesia si ri-conosce subito, in tale tradizione, per l’a capo, ovvero l’al-lineamento a sinistra dei segmenti linguistici, accompagnatia volte dall’iniziale maiuscola (indipendentemente da pun-teggiatura e sintassi) e dallo spazio bianco a destra, decisodal ritorno a capo (sempre indipendentemente da quelli),almeno in linea di principio. Nella tradizione manoscrittaabbiamo esempi di versi scritti uno di seguito all’altro (poe-sia delle origini, Petrarca, ecc.) per ragioni di spazio, eco-nomia o per un qualche legame del verso stesso con il suooriginario carattere orale (o musicale, melodico) prima del-l’avvento della stampa che – funzioni orali e musicali a par-te – esalta definitivamente l’icasticità tipografica del ver-so. L’elemento visivo del verso (in pratica, ancora, l’a ca-po) è tanto meno rilevante quanto più si retrocede nel tem-po. Per gli antichi verso era innanzitutto un → metro, unafrase regolata metricamente. Per Quintiliano un susseguirsiordinato delle quantità (→ accentuativa/quantitativa, me-trica). Per ogni verso sussisteva – e si potrebbe sostenereche sussiste ancora, con diverse modalità e diversi gradi diriconoscibilità, sempre per ogni metrica – un modello idea-le, astratto, di cui il singolo verso con le sue parole, sin-tassi, ritmi, è concreta realizzazione. Già per la metricagreca si distinguevano versi recitati (→ esametro dattilico,omerico, per esempio) e versi cantati (→ dimetro giambi-co di Alcmane). E i versi, anche in metrica latina, si diffe-renziavano in dattilici, giambici, trocaici, anapestici, ecc.a seconda dei → piedi impiegati. Mentre i versi recitati ri-sultano, per lo più composti in ‘file’ (katà stíchon) e si di-cono stichici, i versi cantati di solito sono raggruppati in →strofe. Il verso mediolatino promuove l’emancipazione dal-la metrica classica esaltando accento e numero sillabico,sulla base delle mutate situazioni linguistiche (→ metrica)

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218 VERSO

Letteratura italiana Einaudi

e avvia la metrica romanza che presenta alle sue origini fe-nomeni tipici come l’anisosillabismo (→ isosillabismo/ani-sosillabismo). Significativamente nel Dante della Vita no-va la parola verso indica la poesia classica quantitativa (la-tina) in contrapposizione, visto il contesto, con la versifi-cazione volgare, che è arte di dire per → rima. Nelle ope-re successive Dante impiegherà altrimenti il termine: ostanza di canzone (Convivio) o suddivisione della secondaparte della stanza (appunto versus: De vulgari eloquentia).Per indicare l’unità del periodo ritmico, regolato, ciò chenoi chiamiamo verso, usa, invece, carmen. Pertanto in Dan-te verso fa parte di una terminologia meno legata al com-puto metrico-grammaticale delle sillabe che musicale; e l’es-senza del verso romanzo è indicata con la nota definizionedel Convivio: «tutto quel parlare che in numeri e tempo re-golato in rimate consonanze cade».Le definizioni moderne di verso sono tutte complicate dal-l’esigenza d’includere, intanto, la fenomenologia fine ot-to- novecentesca denominata verso → libero e di far fron-te agli sconquassi anche teorici conseguenti. Troppo cau-telativamente e quindi genericamente il verso sarà una por-zione di testo regolata secondo l’idea di metro che ogni cul-tura possiede; e dunque è verso ciò che una cultura rico-nosce – scorgendone l’iterabilità, dentro la continuità diuna tradizione – come tale. La definizione di verso liberorimane qui affidata alla capacità del termine ‘cultura’ didar conto della nuova coscienza metrica che prescinde inpiù o men larga parte dal patrimonio di metri tràditi e isti-tuisce, non nuovi metri regolari, quanto piuttosto una li-bertà di variazione giocata volta per volta nell’ambito diuna poesia, un’epoca, una carriera. In tal modo il verso inquanto tale – specie nel suo aspetto vistoso di a capo – seperde il suo supporto strutturale storicamente riconoscibi-le (il metro), non perde ma potenzia – per compensazione– una sua sacralità socialmente riconosciuta che affonda leradici lontanissime in testi anche non letterari, religiosi, ogiuridici, versificati e rimati per questioni mnemoniche, sì,ma pure per avvolgerli di un’aura d’assoluta distanza e in-tangibilità. Col venir meno della metricità (tradizional-

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Letteratura italiana Einaudi

mente intesa) del verso (ma non la necessità dell’ a capoche non dovrebbe risultare comunque arbitrario; dicevaClaudel: «Il verso è una linea che si ferma, non perché siaarrivata a una frontiera materiale e perché le manchi spa-zio, ma perché la sua cifra interna è compiuta e la sua virtùè consumata») sono emersi nella pratica e nella teoria tut-ti gli attributi interni propri del verso; non solo i primari(→ ictus; sillaba; rima), anche i secondari, che sono statipromossi al primo grado. Nel momento in cui s’è preso co-scienza che gli ingredienti (per semplificare: metro, → stro-fa o serie, → ritmo, → accento, → cesura, fonosimbolismo,→ allitterazione, → enjambement, → rima, incluse le inter-ne, → assonanza) che consustanziano parole e sintassi e for-mano il verso, sono in fondo ciò che caratterizza il discor-so poetico medesimo come discorso testuale dotato di unasua irriducibile organicità, autonomia e scarto da altri lin-guaggi, ogni teoria del verso è venuta a coincidere con unateoria della poesia. Così, per primi, i formalisti. I quali ri-cavarono, in tutti quegli ingredienti, il principio del → pa-rallelismo (principio di simmetria, opposizione e corri-spondenza). Dal progetto del formalismo dell’analisi in-terna della struttura della poesia come rete di relazioni frasuoni, sensi, costrutti, figure, nasce la moderna sensibilità(e competenza) del verso come attualizzazione di una so-stanza sonora e luogo primario di realizzazione di ciò cheJakobson definiva «la proiezione del principio di equiva-lenza dall’asse della selezione all’asse della combinazione».A questo punto si può capire non dal lato meramente ester-no, dei nudi termini, come la differentia sostanziale tra poe-sia e prosa stia nel verso. L’esasperazione della sensibilitàper il libero gesto del poeta, finisce, a forza di spostamen-ti progressivi, per far coincidere verso con stile. Non negama riafferma e giustifica tale cultura poetica l’idea di Mal-larmé che «non esiste prosa; c’è l’alfabeto e poi dei versi,più o meno compatti, più o meno effusi. Tutte le volte chec’è sforzo verso lo stile, c’è versificazione». Da un lato siproclama l’indipendenza dai moduli metrici e ritmici delpassato, e finanche le basi della convenzione metrica (sia-mo nell’area del poème en prose), dall’altra viene sublima-

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to l’atto originale del singolo alla ricerca di un marchio (rit-mo, cadenza) unico per assolutezza e rivelazione, da in-carnarsi in una parola o sintagma o frase che risulti fon-dante hic et nunc, ovvero immediatamente fondante di sestessa. Dalla considerazione non schematico-grammatica-le ma formalista del verso scaturisce uno statuto specialeper i due ‘ingredienti’ che nelle metriche occidentali se-gnalano la fine del verso (e perciò, per sineddoche, il ver-so stesso): l’enjambement e la rima (o assonanza sostituti-va). Il verso è costituito da una struttura sintattica e in-sieme da una struttura ritmica; l’enjambement segna unpunto di discordanza tra le due strutture e insieme le de-nuncia: il verso nasce proprio da questa combinazione. Inun verso (meglio, una serie) l’enjambement c’è sempre, an-che nel caso, per esempio, della prima terzina della Com-media, dove i tre periodi sintattici (complemento di tem-po+reggente+subordinata) si distendono precisamentenei tre endecasillabi. In linea di principio l’enjambementsegna uno degli scarti massimi dalla grammatica (nella lin-gua standard non ci sono pause sintattiche, non fratture‘irrazionali’ del discorso come l’a capo) e svela la sua in-dole antigrammaticale. Inoltre una concezione organica delverso porta alla conclusione che non è la rima che sanciscela fine del verso, ma il verso col suo dinamismo interno cheproduce, giunto al termine del percorso, la rima.Tanta insistenza sul limite estremo destro del verso portaad aporie e a una domanda: ma tutto ciò che è verso è poe-sia? Ogni volta che si va a capo in modo altro dalla prosa,abbiamo dei versi poetici? Di qui i vari esperimenti cheimmancabilmente costellano la trattatistica. Riassumibiliin: 1) la stesura prosastica di una poesia nota e ben strut-turata (esempio, A Zacinto scritta tutta di seguito); 2) lastesura verticale, con a capo, di un testo prosastico qual-siasi (un avviso economico); 3) la stesura prosastica di unapoesia poco strutturata quanto a metro, ritmo e rime (unapoesia dell’ultimo e più discorsivo Montale). In 1) è di-mostrata l’alta efficacia dell’a capo nell’evidenziazione delritmo complessivo, e persino la sua (secondo alcuni decisi-va) insostituibilità per la comprensione del verso. In 2)

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emerge lo spiazzamento e vero spaesamento di un lettorecome noi, che dopo millenni di poesia e mezzo millenniodi stampa, è uso a intendere l’a capo immediatamente co-me marca del verso e del discorso in versi, e per riflessocondizionato, come il cane di Pavlov, è pronto ad attribuirela qualifica di poetico a un linguaggio che si rivela ben pre-sto deludente. In 3) si dimostra che effettivamente gli a ca-po di un poeta – per quanto l’anima del lettore si danni peraggrapparsi a qualsiasi appiglio ritmico-formale – possonopersino suscitare qualche sospetto di arbitrarietà. In que-st’ultimo caso, allora, evidentemente contano anche moltialtri fattori intratestuali, intertestuali, cotestuali: l’autorestesso, il suo nome, la sua carriera giunta a quel punto, illibro, la collana, il titolo, l’aura intorno all’evento della pub-blicazione, la nostra familiarità con quel linguaggio, ecc. Eciò vale, al contrario, per il caso 2).Non pare però che basti l’a capo per determinare un versopoetico, sia pure a un grado zero. Questa tesi non è altroche espressione del fondamentale visualismo della culturamoderna, visualismo negato dagli stessi poeti, anche quan-do lo sfruttano, nel momento in cui fanno risaltare persi-no con pedanteria i movimenti sonori e quasi tattili dellaloro versificazione, o che, come G. Caproni, affidano an-che alla dislocazione tipografica e scelta dei caratteri l’in-vito a una dizione vocale che interpreti quella come parti-tura. Chiaro che nel cosiddetto verso → libero l’a capo hauna valenza formidabile. In determinate circostanze (te-stuali, cotestuali) il v e l’assetto grafico assumono una fun-zione dinamica e anticipatrice: insomma, ci attendiamo unv e una sequenza di versi, nonché di cogliere qualsiasi trac-cia o fenomeno più macroscopico come indizi di metro osostituti di metro, e siamo pronti a dargli vita adeguata.Aspetto visivo (tipografico-spaziale) e auditivo (orale-in-tonazionale) del verso ricevono nell’Otto-Novecento nuo-vi impulsi, diverse modificazioni, estreme accentuazioni.Da una parte i versi vengono declinati nelle forme grafi-che che la moderna stampa può permettere. Già qualchepoemetto di Mallarmé si presentava in formazione grafi-ca strategica, assai complessa. Il futurismo e soprattutto

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Marinetti distribuivano le loro «parole in libertà» in ver-si tipografici, ovvero ad ogni linea veniva attribuito un ca-rattere particolare, dipendentemente dal lessico e dalle in-teriezioni-onomatopee (maiuscolo, grassetto, tondo, cor-sivo, ecc.). Govoni in Rarefazioni e parole in libertà (peresempio Il palombaro) univa disegni a parole e versi-me-tafora, scritti di suo pugno. Pasolini recupera l’antica pre-ziosa arte (dall’alessandrinismo al Seicento) di allineareversi in modo da raffigurare, stilizzatamente, un oggettoemblematico, con le sue poesie «in forma di rosa». Mon-tale asseriva: «I confini tra verso e prosa si sono molto rav-vicinati: oggi il verso è spesso un’illusione ottica. In unacerta misura lo è sempre stato; una impaginazione sbagliatapuò rovinare una poesia. I fiumi di Ungaretti non sonocomprensibili senza lo stillicidio verticale delle sillabe.Gran parte della poesia moderna può essere ascoltata soloda chi l’abbia veduta».Non ingannino simili esperimenti né le dichiarazioni di unpoeta che in verità nella sua poesia maggiore ha puntatofortemente sui valori fonici. Spesso i segnali tipografici nonsono che un rinvio a questi ultimi, e, comunque, la poesiamoderna non ha certo depresso le valenze fonico-ritmiche,se mai, privandosi in parte o in tutto del metro, le ha rin-carate. Ha interpretato, dunque, il verso come arte dellafonazione; e ha costretto la lettura moderna (silenziosa, pri-vata) a scandire una recitazione particolare che risuona in-ternamente (i versi di Montale costringono a leggere così),quando non in pubblico come un tempo. Il recupero poi dellinguaggio comune, tipico della poesia moderna, ha intro-dotto massicciamente l’oralità, sia pur filtrata e citata. Datutti questi fenomeni le numerose discussioni novecente-sche sulla retta dizione dei versi e l’importanza interpreta-tiva della recitazione degli autori medesimi (G. Ungaretti,E. Sanguineti).

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villanella

Nella poesia italiana, componimento per musica in originedi argomento rustico, coltivato dal Quattrocento agli ini-zi del Seicento. Senza schemi metrici fissi, mutua quellidella → ballata o → barzelletta [ma cfr. Elwert W. T., Ita-lienische Metrik, Max Hueber Verlag, München 1968 (trad.it. Versificazione italiana dalle origini ai giorni nostri, LeMonnier, Firenze 1973)], soprattutto i moduli di una va-riante del → madrigale, con privilegio accordato all’→ en-decasillabo. Ma sempre nelle soluzioni più semplici, agili,rapide: schemi prevalenti AABB CCDD e ABBCDD [cfr.Orlando S., Manuale di metrica italiana, Bompiani, Milano1993].

villot(t)a

Da distinguersi in villota antica e villota moderna. L’anticaè un componimento per danza e voci, le quali polifonica-mente (a quattro) imitano la musica. Schema prossimo al-la → ballata; strofe preferibilmente brevi, rime alternate eincrociate con appendice di ritornello concitato che si chia-ma uio con o senza liolela cioè note di canto, fornite di sen-so (la sol fa re mi ‘lascia fare a me’) o prive (lallallarillolle-la) [cfr. Spongano R., Nozioni ed esempi di metrica italiana,Pàtron, Bologna 1966]. Quella moderna è composizionepopolare per canto non distante dallo → strambotto, dif-fusa nel Nord-Est, specie nelle Venezie. Soprattutto en-decasillabi a rima alterna ABAB. In Emilia Romagna sichiama romanella, con schema preferito AABB o ABAB,e disponibile a vestire contrasti tra due antagonisti che siconcedono ognuno una quartina. In Friuli: ottonari ababcon sedi pari tronche (→ tronco, verso). E in friulano la Vi-lota di P. P. Pasolini:

O ciamps lontàns! Miris-cis!fresc cianti e fresc i vai,vestri antıc soranèl,in miès dai muàrs rivaj

(La meglio gioventù)

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di settenari abcb con a e c tronchi («O campi lontani! Mi-rische! fresco canto e fresco vado, vostro antico ragazzet-to, in mezzo alle morte prodaie»).

volta

Elemento strutturante della → ballata (seconda parte del-la stanza che segue i piedi), della → canzone (sottodivisio-ne della sirma, quando essa non si presenta unitaria) e del→ sonetto (i due terzetti finali). Dante nel De vulgari elo-quentia per designare la volta usa versus (i versi chiama in-vece carmina; → verso) e afferma che volta è il termine chesi usa per diesis (ovvero concatenazione, per noi chiave; →canzone) quando si parla al volgo.

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zejel

Anche zajal. Nome di componimento arabo-ispanico che hadato origine a un organismo strofico romanzo (ma anchenell’innologia mediolatina che potrebbe aver assunto le par-ti di mediatrice) del tipo elementare aaax, adottato nellelaudi (ad esempio nella lauda iacoponica Donna de Paradi-so). Secondo alcuni la → lauda in forma di → ballata nonderiverebbe dalla canzone a ballo profana ma, per l’appun-to, dalla strofa zagialesca (schema xx aaax bbbx, ecc.). Te-stimonianza comunque dell’influsso di tradizioni metrichenon latine sulla metrica romanza [cfr. Roncaglia A., Nellapreistoria della lauda: ballata e strofa zagialesca, in aa.vv., IlMovimento dei Disciplinati nel Settimo Centenario dal suoinizio (Perugia - 1260), Deputazione di Storia Patria perl’Umbria, Perugia 1962, pp. 460-75]. Temi in origine pret-tamente religiosi, poi, col Poliziano (E’ m’interviene, e par-mi molto grave) anche comico-burleschi. Evidente il legamecon la → barzelletta e con la → canzone a ballo.

zingaresca

Nella poesia italiana è il nome che un componimento pren-de dal contenuto drammatico (personaggio centrale dellascena: una zingara), piuttosto che dal metro, ch’è vicino al-la → frottola e al → capitolo quadernario o a loro varianti.Più precisamente le zingaresche sono costituite di strofet-te concatenate di tre settenari, il secondo e il terzo a rima

Z

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baciata, più un versetto finale, quaternario o quinario, ri-mante col primo verso della strofe successiva. «La misuradel versetto finale varia a seconda che questo inizi con vo-cale (quinario) o con consonante (quaternario); in tal mo-do questo verso costituisce sempre il secondo emistichiodi un endecasillabo a maiore, di cui il settenario che pre-cede forma il primo emistichio» [Magnani F., La zingare-sca. Storia e testi di una forma, Istituto di filologia moder-na, Università di Parma 1988]. Dunque a7b7b7c5 c7d7d7e5

e7f7f7g5, ecc. ma rappresentabile anche così a7b7(b7)Cc7d7(d7)E, ecc., poiché fra terzo e quarto verso ci può es-sere → episinalefe (7+5, se il quinario inizia per vocale) ocomunque congiunzione di due emistichi il primo dei qua-li con → rimalmezzo. In uso alla fine del XV secolo e poinel XVI quando inclinò con tutti gli altri individui di stro-fe e versetti brevi all’→ ode-canzonetta per musica, isti-tuita definitivamente nel XVII secolo. La ripescò il Car-ducci (Beatrice, in Juvenilia) propendendo per la secondasoluzione (due settenari più un endecasillabo con rimal-mezzo); la recupera per gusto di prestito arcaicizzante P.P. Pasolini ma fuori del canzoniere [cfr. Brugnolo F., Lametrica delle poesie friulane di Pasolini, in G. Santato (a cu-ra di), Pier Paolo Pasolini. L’opera e il suo tempo, Cleup,Padova 1983, pp. 21-60].