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NUCLEO TERRITORIALE N. 2 GIOVANNI D’AURIA ELISA M. MOSCONI AGNESE VISCONTI AGENDA 21 Provincia di Cremona Settore Ambiente LA STRADA ROMANA MEDIOLANUM-CREMONA IL TERRITORIO COME ECOMUSEO

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NUCLEO TERRITORIALE N. 2

GIOVANNI D’AURIAELISA M. MOSCONIAGNESE VISCONTI

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Provinciadi CremonaSettore Ambiente

LA STRADA ROMANA MEDIOLANUM-CREMONA

IL TERRITORIO COME ECOMUSEO

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Introduzione

1. Il grande rettifilo della Mediolanum-Cremona

2. La strada romana Mediolanum-Cremona: inquadramentoterritoriale

3. Evoluzione del territorio negli ultimi tre secoli attraverso lacartografia storica

4. Cremona e Milano nel paesaggio della Transpadana

5. La località San Giacomo: cascine, boschi, valle del Seriomorto, corsi d’acqua minori, siepi e filari

6. La passeggiata da San Bassano a San Latino

Bibliografia e fonti d’archivio

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IND

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Fotografie: Le fotografie e i disegni sono degli Autori a esclusione della fotografia di pag. 9 e di pag. 11, concessada “Immagini TerraItalyTM - © Compagnia Generale Ripreseaeree S.p.A. Parma - www.terraitaly.it, dellafigura di pag. 12 (tratta da: Ferrari V., 1999 - Emergenze toponomastiche lungo un tratto della via roma-na Mediolanum-Cremona, Pianura, 11:51), della carta di pag. 13 (tratta da Provincia di Cremona, PTCP:piano territoriale di coordinamento provinciale approvato con deliberazione consiliare n. 95 del 9.7.2003,mod.) e del disegno di pag. 22 (tratto da Mezzetti G., Iper libro del mondo, Firenze 1999, mod.)

Coordinamento: Valerio Ferrari - Provincia di Cremona, Settore Ambiente

Cura redazionale: Valerio Ferrari e Alessandra Zametta con la collaborazione di Fausto Leandri - Provincia di Cremona,Settore Ambiente

Fotocomposizione e fotolito: Prismastudio - Cremona

Coordinamento editoriale: Bruno Paloschi

Stampa: Fantigrafica s.r.l. - Cremona - Finito di stampare nel mese di aprile 2006

I documenti conservati nell’Archivio di Stato di Cremona pubblicati nel Capitolo 3 (Catasto, Comune di San Bassano, 1723, cart. 310:fogli 1,2,3,4; Catasto, Comune di San Bassano, aggiornamento al 1901, cart. 310: quadro d’unione, fogli 1,2; Catasto, Comune diCastelleone, 1723, cart. 290: foglio 62; Catasto, Comune di Castelleone, aggiornamento al 1901, cart. 292: quadro d’unione, foglio 42)sono riprodotti con autorizzazione n.1/2006.

Non è consentita la riproduzione anche parziale del testo senza citare la fonte

Pubblicazione fuori commercio

Stampato su carta ecologica riciclata bipatinata Symbol Freelife Fedrigoni

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INTRODUZIONE

“Il territorio come ecomuseo”: una proposta per percorrere e scoprire il pae-saggio, risultato delle relazioni tra gli uomini e l’ambiente, per leggere e com-prendere quell’insieme di segni, impronte ed interventi che sono sedimentazioninel presente di sistemi ereditati dal passato e tasselli di un mosaico in continuodivenire.

Il progetto è stato ideato al fine di presentare una serie di nuclei territoriali -distribuiti in prima battuta tra Cremasco e alto Cremonese - da frequentare,apprezzare e capire come un enorme museo vivente creato nel tempo dalla natu-ra e dall’uomo ed in continua evoluzione.

Un museo “diffuso”, non collocato all’interno di un edificio, la cui esplorazionerisulta però affascinante quanto quella delle raccolte tradizionali: dedicato al pae-saggio, mostra come l’ambiente naturale si è modificato per opera delle societàumane nel corso del tempo.

Nell’area interessata sono perciò messi in evidenza gli elementi ambientalitipici e le componenti antropiche, memoria del lavoro di centinaia di secoli (il«deposito di fatiche» di cui scriveva Carlo Cattaneo): insediamenti, campi, manu-fatti, edifici, vie terrestri e vie d’acqua, fabbriche, macchinari e apparecchiature diogni genere, toponimi, segni di ripartizioni e di processi di appropriazione del ter-ritorio, bonifiche, acquedotti e irrigazioni...

Le risorse biologiche, gli spazi, i beni e gli oggetti vengono segnalati al fine dipromuoverne la conservazione, il restauro, la conoscenza, la fruizione e lo svi-luppo secondo criteri di sostenibilità.

Il “territorio come ecomuseo” riguarda, per ora, la porzione settentrionale dellaprovincia di Cremona, situata tra i confini fisici dell’Adda a ovest, dell’Oglio a est,della provincia di Bergamo a nord, con una linea spezzata a sud, che segue alcu-ni confini comunali.

L’area dell’ecomuseo può essere percorsa, esplorata e goduta da ogni gene-re di fruitore, purché responsabile e consapevole: la sua struttura espositiva, percosì dire - con le diverse zone opportunamente individuate e distinte secondo l’in-teresse, il valore e la fragilità - è infatti facilmente accessibile al pubblico graziead un’apposita segnaletica sulle strade, ad una funzionale e mirata cartellonisti-ca, alle piazzole di “sosta istruttiva”, alle siepi e ai boschetti didattici, alle tabelletoponomastiche e idronomastiche commentate.

I nuclei territoriali individuati costituiscono quindi un campo d’indagine privi-legiato per il mondo della scuola nonché un’area per la sperimentazione di inter-venti ambientali e per studi di livello superiore volti alla conoscenza del patri-monio locale.

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IL GRANDE RETTIFILO DELLA MEDIOLANUM-CREMONA

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La strada romana Mediolanum-Cremona, comunicazionediretta tra i due centri, non è registrata né dagli ITINERARI né dal-la TABULA PEUTINGERIANA.

Eppure di essa restano ampie e incontrovertibili testimo-nianze nelle tracce conservate sul terreno e rilevabili con chia-rezza sulle carte alla scala 1:100.000 o sulle tavolette alla sca-la 1:25.000 dell’Istituto Geografico Militare (IGM). L’origine del-la straordinaria successione di rettifili allineati lungo un asseuniforme, relativi al suo tracciato, può essere ancor oggi indivi-duata nell’antico compitum di Milano e, attraverso le attuali vieBeccaria, Cavallotti, largo Augusto, e poi, ancora, attraverso levie Battisti, Fontana, Anfossi, Arconati, Sanfelice, se ne posso-no seguire le successive mosse, seppur con interruzioni e ripre-se, su di un’unica direttrice fondamentale nella campagna mila-nese fino a Tribiano per giungere, di seguito, in prossimità del-l’Adda. La traccia prosegue, quindi e sempre su di un medesi-mo asse, sul versante opposto del fiume, già in territorio cre-monese, lungo il quale si trovano oggi allineati la roggia Dar-danona, tronchi di carreggiabile (vicino a San Rocco, frazionedi Dovera), le rogge Nuova e Sidra, fossati e vie campestri, dal-l’altezza di Tormo fino a Moscazzano, secondo una successio-ne di elementi di impressionante precisione e coerenza.

In corrispondenza dell’attuale corso del Serio il rettifilo subi-sce una breve interruzione, presso Montodine, dovuta al cam-bio di sede del fiume avvenuto presumibilmente tra i secoli XIIe XIV. I segni topografici riappaiono poco più a sud con un alli-neamento quasi perfetto, costituito da segmenti di rogge (Pal-lavicina, Borromea) e strade, tra San Latino e San Giacomo efino a San Bassano, dove si rileva una seconda interruzione,causata questa volta dall’ostacolo costituito, già ai tempi dellasua costruzione, dal corso del Serio morto, allora fiume vivo atutti gli effetti. Le vestigia della strada riprendono poi sul ver-sante fluviale opposto con uguale orientamento, ma spostatedi circa un chilometro verso nord, rispetto al tronco preceden-te, per puntare infine decisamente su Cremona. Nell’odiernaarea urbana il tracciato viario coincideva presumibilmente conle vie Dattaro, Ghinaglia e corso Garibaldi.

La strada, che si pone come un itinerario totalmente distin-to da quello della precedente Mediolanum-Laus Pompeia-Cre-mona, rivela una grandiosa unitarietà di disegno e risponde alcriterio della massima brevità. È anche probabile che questedue direttrici stradali abbiano funzionato contemporaneamente,per un certo periodo: la prima con il compito, forse, di sostene-re un traffico principalmente locale; la seconda come tratto di col-legamento tra le regioni transalpine e il Mediterraneo.

Agli argomenti topografici, che hanno consentito a PierluigiTozzi di individuare la via e di ricostruirne il tracciato (1974), siè affiancata negli ultimi anni una raccolta di toponimi e di odo-nimi, compiuta da Valerio Ferrari attraverso indagini d’archivioe di campagna, che ha non solo confermato l’esistenza del-

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ITINERARI E TABULA PEUTINGERIANA

Vengono definite come Itineraria alcunestraordinarie “guide di viaggio” dell’anti-chità che costituiscono la fonte fonda-mentale di informazione sulla viabilitàimperiale romana e sulla topografia anti-ca, ancorché non appaiano documentoesaustivo, dal momento che la viabilitàantica era di fatto assai più varia e com-plessa di quanto essi non permettano dicogliere. Il più noto di tali documenti è l’I-tinerarium Antonini: un elenco completo ditutte le strade di grande comunicazionedell’Impero cui furono aggiunte in segui-to le principali rotte di navigazione; l’o-pera sembra aver avuto carattere priva-to e l’epoca di redazione è forse quella diCaracalla (inzio del III secolo d.C.). Impor-tante per il suo grande rilievo è anche l’I-tinerarium Burdigalense o Hierosolymi-tanum, redatto nel 333 d.C. Esso illustral’itinerario da Bordeaux alla Terra Santa eil ritorno da Eraclea a Milano. Così l’Iti-nerarium Alexandri, un breve sunto dellaspedizione contro i Persiani, principal-mente secondo Arriano, eseguito per l’im-peratore Costantino. A tali strumenti siaggiunge la notissima Tabula Peutinge-riana, rappresentazione pittorica in 12fogli della rete stradale dell’Impero; di essaci rimane una copia effettuata nel XIIIsecolo sulla base di un originale, forsedel IV secolo, acquistato nel 1508 dall’e-rudito austriaco Konrad Peutinger. Si trat-ta di una striscia di pergamena, lunga esottile, destinata a servire come guidastradale portatile. Vi sono riportate le stra-de considerate all’epoca principali non-ché le città, i monti e i fiumi ritenuti piùimportanti. L’itinerario descritto si svolgedalla Britannia, di cui però esclude la par-te settentrionale, alla foce del Gange. Èl’unico itinerario romano pittorico perve-nutoci, seppur in forma mediata, e rive-ste pertanto un interesse eccezionale.

Estratto della Tabula Peutingeriana

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l’imponente manufatto, ma ha anche suggerito il periodo probabiledella sua costruzione. Infatti alcuni indizi scaturiti dall’esamedella toponomastica storica, relativi a nomi di luogo di origine per-lopiù medievale, hanno posto in evidenza anche toponimi risul-tanti da sopravvivenze di epoca romana, seppur mediate dariscontri di origine medievale, inerenti ora alla sede stradale,ora all’epoca della sua realizzazione.

Indicativi in tal senso si sono dimostrati antichi toponimi qua-li in Agusta o in Avosta, risalenti al XII secolo e documentati inlocalità prossime al tracciato viario che, rimandando ad una pre-sumibile ed originaria *(via) augusta, lascerebbero intenderepossibili riferimenti alla sua realizzazione in periodo augusteo,o perlomeno imperiale. A sostegno di tale possibilità si può osser-vare che l’andamento del tracciato, obliquo rispetto alla magliacenturiale attraversata (risalente a due diverse e successivecenturiazioni, l’ultima delle quali non posteriore al periodo augu-steo, appunto), farebbe propendere per una sua realizzazionesuccessiva, effettuata con l’unico scopo di congiungere trami-te una linea retta due centri urbani importanti.

La via era lastricata, quantomeno in alcuni suoi tratti, conblocchi irregolari di pietra, a formare il noto basolato: un certonumero di tali basole, infatti, è emerso qualche decina di annior sono dal fondo di una roggia (che forma parte dell’allinea-mento del percorso viario) in territorio di Castelleone, ed ora sitrova conservato nel locale MUSEO ARCHEOLOGICO. Con ogni pro-babilità la strada mantenne una certa importanza fino ad alme-no il XII secolo, come testimonia l’esistenza, lungo la strada inlocalità San Giacomo, al confine meridionale dell’attuale territoriodi Castelleone, di una chiesa e di due ospedali (o xenodochi)adiacenti al percorso viario e posti a servizio dei flussi di vian-danti e di pellegrini che per questa strada avevano preso atransitare, diretti ai luoghi santi della cristianità medievale piùrinomati: Roma, Gerusalemme e Santiago de Compostela.

Per quanto riguarda i nomi di luogo ancora viventi nel trattointercorrente tra l’Adda e il Serio morto, sono da menzionare,almeno, odonimi quali “Strata regina”, “la Regina” che si trova-no a Castelleone, Moscazzano, Prada od anche il microtoponimo“pilastrello” (solitamente segnalante l’esistenza di un miliarium),che si trova ripetuto a Castelleone e a Dovera, ma certamenteanche altrove. Infine il toponimo di Sesto Cremonese, pertinentead un centro abitato ora in posizione intermedia tra il tracciatodella Mediolanum-Cremona e quello della Mediolanum-LausPompeia-Cremona, dichiara con evidenza la sua origine stra-dale, derivando da un sintagma del tipo (ad) sextum (lapidemo miliarium). Se, dunque, gli studi topografici di Pierluigi Tozzisi sono rivelati indispensabili per il riconoscimento della direttriceviaria Mediolanum-Cremona, quelli toponomastici di ValerioFerrari hanno aggiunto particolari all’esistenza della strada con-sentendo di documentare, seppur per via indiretta, la lungavicenda storica ed evolutiva di un’infrastruttura di fondamentale

MUSEO ARCHEOLOGICO DI CASTELLEONE

Ubicato insieme con la Biblioteca e l’Ar-chivio storico nel palazzo Brunenghi diCastelleone, esso è stato aperto al pub-blico nel 1972 per iniziativa di un gruppodi studiosi locali. Gli oggetti esposti, secon-do un sobrio allestimento museale tesoad un inquadramento didattico chiaro edefficace, sono di provenienza perlopiùlocale e riguardano culture e civiltà prei-storiche, l’insediamento celtico, l’etàromana e il periodo barbarico e longo-bardo. L’epoca romana è testimoniata dareperti architettonici, da epigrafi e fram-menti della statuaria, nonché dai resti del-le pietre segnaletiche e miliari. Vi si trovaconservata anche una piccola parte del-le pietre costituenti il basolato della stra-da Mediolanum-Cremona, emerso in loco.

Miliario

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de terrestri di origine romana a tutto favore di una mobilità effet-tuata tramite le vie d’acqua, mentre una rete stradale minore, diorigine medievale, andava sviluppandosi al servizio di nuoviassetti territoriali che negli ultimi secoli dell’alto Medioevo ave-vano visto anche l’affermazione di nuclei abitati incastellati.

Solo dopo il Rinascimento la migliorata situazione di equili-brio politico instauratasi in diverse regioni portò ad un più atten-to riutilizzo dei tracciati romani, che fino al XIX secolo conti-nuarono sovente a costituire una buona parte dei sistemi di col-legamento in tutte le regioni un tempo comprese nei confini del-l’Impero romano.

La centuriazione

Si definisce così la modalità di divisione della città, dell’ac-campamento e del territorio secondo due linee intersecantesi adangolo retto e orientate secondo i quattro punti cardinali (decu-manus maximus, generalmente tracciato con andamento est-ovest e kardo maximus, generalmente tracciato con andamen-to nord-sud), proiezione sul suolo del templum celeste. Decu-mano e cardo massimi venivano tracciati dagli agrimensori (gro-matici) per mezzo della groma: strumento costituito da una cro-ce di ferro imperniata con un rostro su di un’asta (ferramentum)infissa nel terreno e portante alle estremità quattro fili a piom-bo (perpendicula).

Il terreno veniva così diviso in tanti quadrati (centuriae), ognu-no dei quali, lungo di norma 2.400 piedi (circa 710 metri), eraoriginato dall’intersecarsi di linee (decumani e kardines minores),poste a distanza fissa e in modo parallelo rispettivamente aldecumano e al cardo massimi. Ogni quadrato formava il fondoper cento famiglie, fra le quali venivano sorteggiati i lotti di ter-reno (sortes o acceptae) la cui superficie, in origine pari a dueiugeri (heredium), con il tempo subì varie modificazioni fino agiungere a misurare anche diversi iugeri, a seconda dei perio-di e dei luoghi. Per i gromatici il rapporto tra città e territorioimmaginato secondo uno schema teorico perfetto (ratio pul-cherrima) avrebbe dovuto fondarsi su un sistema di divisioniugualmente ripartite dal cardo e dal decumano massimi nascen-ti dal centro stesso della città, uscenti dalle quattro porte comevie e tendenti nelle diverse direzioni come limites dell’assettoagrario. La coincidenza del centro del territorio con il centrocoloniario fissava anche nella realtà topografica il significatoideale, materiale, funzionale della città in relazione all’agro.

Bisogna tuttavia riconoscere come alla situazione sopradescritta, di natura prettamente teorica, non fosse quasi maipossibile aderire perfettamente nella pratica, a causa delle dif-ferenti e sovente avverse condizioni naturali dei luoghi (loci natu-ra), cosicché si riteneva più che accettabile, come soluzionevicina a quella perfetta (proximum rationi), l’incrocio di cardo edecumano massimi in un luogo prossimo alla città.

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Attraversamento di zone paludose: paliparalleli, distanti circa 2 metri, poggianosu traverse e sono ancorati a terra permezzo di puntoni; su di essi vi è uno stra-to di paletti, lastre di calcare e ciottolicostipati.

Schema di centuriazione romana

Disegno di una groma in posizione apiombo con un cippo cilindrico

Possibile ricostruzione di una casa rura-le all’interno della centuriazione

Le vie più importanti erano pavimentatecon lastre di pietra vulcanica e fiancheg-giate da marciapiedi; l’assenza di una retefognaria determinava lo scolo sulla car-reggiata dell’acqua piovana. Per questomotivo al centro delle strade vi erano deirialzi di pietra per l’attraversamento pedo-nale.

La viabilità romana nell’età imperiale

importanza per l’organizzazione di un vasto tratto di territoriocremonese.

Il sistema viario in epoca romana

È noto come l’immenso sistema viabilistico romano si reg-gesse per la gran parte su una rete di viae publicae, cioè di stra-de di uso pubblico, costruite sul suolo pubblico e sottoposte allapubblica amministrazione.

Così è possibile immaginare quel formidabile reticolo stra-dale intersecare un paesaggio spesso di ambientazione agri-cola, scandito da canali e colture arboree nonché dagli inse-diamenti rustici e residenziali disseminati nelle proprietà terrie-re, cui conducevano vie di ampiezza ridotta (deverticula); unpaesaggio già ampiamente umanizzato, dunque, i cui caratte-ri si facevano tanto più peculiari e decisi quanto più ci si avvici-nava alle città dove gli scenari si potevano animare delle strut-ture sopraelevate degli acquedotti, di un’organizzazione terri-toriale più densa e complessa, delle strutture di edifici sacrispesso in correlazione con i sepolcri allineati lungo la strada.

Caratteristica della strada romana era il lastricato, costituitoda blocchi poligonali spianati superiormente e tagliati ad ango-li sui lati affinché potessero incastrarsi tra loro, e saldamentepiantati nel banco di fondazione.

Per la realizzazione della sede stradale di queste infrastrut-ture di primaria importanza si procedeva come segue: dopo laprima fase che definiva il tracciato, si passava a segnare i mar-gini della strada con due solchi paralleli, tra i quali si scavava unatrincea (fossa), che veniva quindi riempita con diversi strati (viastrata, da cui l’italiano strada) di materiale compattato (agger),contenuto tra due cordoli continui (umbones); sull’ultimo strato(nucleus) poggiava il vero e proprio lastricato (pavimentum osummum dorsum), che poteva essere costituito da ghiaia (gla-rea), da blocchi squadrati (saxum quadratum) o, più comune-mente, da lastre irregolari di pietra a formare il ben noto baso-lato. In casi particolari la preparazione della strada poteva varia-re, come in corrispondenza delle zone paludose, dove si ricor-reva all’impiego di palificazioni lignee nonché a complesse strut-ture a graticcio. La larghezza media di una pubblica via era dicirca 4 metri, in modo da consentire l’incrocio di almeno duecarri; ai lati della carreggiata correvano i marciapiedi, destinatial traffico pedonale, non di rado più intenso di quello veicolare.Ad ogni miglio (mille passi, cioè 1.478 metri circa) erano collo-cati cippi di pietra (miliaria) recanti l’indicazione della distanzaprogressiva dal punto di partenza della strada stessa.

La straordinaria conservazione del sistema stradale roma-no si deve, oltre che alla perfetta realizzazione tecnica e allaresistenza dei materiali utilizzati, all’ininterrotta attività di manu-tenzione affidata ai curatores viarum. Le invasioni barbaricheportarono all’abbandono, ma non alla scomparsa, di molte stra-

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Metodo di costruzione delle strade romane

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LA STRADA ROMANA MEDIOLANUM-CREMONA:

INQUADRAMENTO TERRITORIALE

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CARTA DEGLI ELEMENTI COSTITUTIVI IL NUCLEO TERRITORIALE LA PORZIONE CENTRALE DEL NUCLEO TERRITORIALE

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LA CENTURIAZIONE IN PROVINCIA DI CREMONA

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LA STRADA ROMANA MEDIOLANUM-CREMONA TRA L’ADDA ED IL SERIO MORTO

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EVOLUZIONE DEL TERRITORIO NEGLI ULTIMI TRE SECOLI ATTRAVERSO

LA CARTOGRAFIA STORICA

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Mappa del Catasto Teresiano(1723)

Carta Tecnica Regionale(1994)

ABITATO DI SAN GIACOMO

IN TERRITORIO DI CASTELLEONE

Nel settore castelleonese cartografato dal-la mappa catastale del 1901, oltre all’ora-torio di San Giacomo e al piccolo casci-nale annesso, si notano con evidenza leforme lunate degli antichi meandri delSerio, nonché il lungo e stretto mappale“ginocchiato” che individua la scarpata mor-fologica.

Lo stralcio della Carta Tecnica Regionale,realizzata tramite interpretazione dell’ae-rofotogrammetria del 1994 mostra l’asset-to attuale del piccolo centro abitato di SanGiacomo: una grande cascina dotata digrosse stalle, piccoli corpi rustici sparsi, l’o-ratorio di San Giacomo e la sola traccia, inquesto tratto di campagna, dell’antica stra-da Mediolanum-Cremona.

Il corso del Serio morto, ricco di meandried insenature, nel Settecento ricalcavaper un buon tratto il confine amministra-tivo del territorio di San Bassano, riccodi zone boscate, di coltivi ed aratori.

TRATTO DEL SERIO MORTO

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(1723)

LOCALITÀ SAN GIACOMOMappa del Catasto Teresiano

Mappa del Catasto al 1901

ABITATO DI SAN GIACOMO

IN TERRITORIO DI SAN BASSANO

Le due mappe di seguito riprodotte sonoquelle redatte tra il 1722 ed il 1723 in occa-sione della predisposizione del nuovo Esti-mo Generale dello Stato di Milano. Il pic-colo centro abitato di San Giacomo si svi-luppa a cavallo dei territori di Castelleonee di San Bassano e si attesta lungo il trac-ciato della strada Mediolanum-Cremona:sono riconoscibili a sud il primo impiantodella cascina San Giacomo, costituito dadue stecche parallele, e a nord tre corpirustici allineati.

ABITATO DI SAN GIACOMO

IN TERRITORIO DI CASTELLEONE

Questa carta, a differenza delle cartogra-fie attuali, riporta l’orientamento riferito sola-mente al nord magnetico. Si dovrà atten-dere infatti almeno la metà dell’Ottocentoper ritrovare nelle carte catastali l’orienta-mento riferito al nord geografico.

ABITATO DI SAN GIACOMO

IN TERRITORIO DI SAN BASSANO

Qui la rappresentazione cartografica divie-ne più schematica. Non sono più indicaticon diverso tratto grafico i diversi usi delsuolo. Vengono però aggiornate le plani-metrie degli edificati che ci permettono diosservare i mutamenti avvenuti. È cosìpossibile osservare come l’impianto dicascina San Giacomo cominci, alle sogliedel secolo scorso, a configurarsi come unacorte.

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CREMONA E MILANO NEL PAESAGGIO DELLA TRANSPADANA

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Mappa del Catasto al 1901

Carta Tecnica Regionale(1994)

Oggi il confine comunale di San Bassanocoincide ancora, per lunghi tratti, con il vec-chio corso del Serio anche se non più pre-sente. La sua funzione è stata sostituitadal nuovo colatore in gran parte rettificato.I meandri residuali sono però ancora leg-gibili sulla cartografia e in qualche casoanche sul territorio.

Alle soglie del 1900 il corso del fiume rap-presenta ancora, ricalcando se pur conleggere modifiche di origine naturale iltracciato osservato nella carta preceden-te, la linea del confine comunale di SanBassano.

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si con spazi non centuriati, e restituendo una compagine dal-l’aspetto difforme e irregolare. A spiegare il fenomeno concor-rono la dislocazione disarmonica dei nuclei abitati ab antiquo,tra i quali si segnalava il centro insubrico di Milano, sviluppato-si a partire dal V secolo a.C. con il crescere della produttivitàagricola, e il conseguente tipo di intervento che, a differenza diquello applicato ex novo in Emilia, si venne strutturando neltempo e nello spazio in maniera assai meno radicale.

Alcuni aspetti della diversità dei tipi di intervento sul territo-rio effettuati dai Romani a nord del Po (Transpadana) possonoessere colti, quantomeno in parte, prendendo in considerazio-ne le vicende relative alla colonia di Cremona, alla città di Mila-no e alle strade che le collegarono.

La colonia latina di Cremona fu dedotta, insieme con quelladi Piacenza, nel 218 a.C. a conclusione di un periodo di lottacontro i Galli, quando i Romani pensarono di essere giunti aduna svolta decisiva dei rapporti con essi. Il piano di colonizza-zione mirava a portare sulla linea del Po 12.000 famiglie (6.000a Cremona e altrettante a Piacenza) e rappresentava un gran-de balzo in avanti nell’insediamento nella pianura padana. Cre-mona in particolare, come primo superamento del fiume, segna-va una data fondamentale nella storia della romanizzazione del-la regione transpadana, che i Romani trovarono coperta pergran parte da foreste o invasa da acquitrini, scarsamente e irre-golarmente popolata da villaggi contornati da circoscritte radu-re coltivate o mantenute a prato dalle popolazioni locali.

La deduzione coloniale necessitava di un centro (la città)quale punto di riferimento geografico e amministrativo. Sullascelta influirono le seguenti caratteristiche: il Po per la sua essen-ziale funzione strategica; la presenza in riva sinistra del fiumedi una sporgenza in grado di garantire la protezione dall’irre-golare corrente e dalle divagazioni del fiume; la sicurezza mili-tare e l’opportunità politica (la prossimità a Piacenza, ma anchea Brescia, capitale dei Cenomani, alleati), nonché la vitalità eco-nomica, assicurata dall’esistenza nei dintorni di un’ampia areaassoggettabile a colture.

Per quanto riguarda la forma urbis, è evidente l’influsso del-la pianta dell’accampamento, adottata in quanto conforme allamorfologia del luogo prescelto. Il fattore morfologico ebbe unruolo fondamentale anche nell’orientamento della città, stabili-to con un’inclinazione di circa 20° rispetto al N-S e all’E-O astro-nomici.

Per la centuriazione dell’agro il decumanus maximus fu trac-ciato sulla linea tra Cremona e Bedriacum (Calvatone), par-zialmente utilizzata in seguito per la realizzazione della viaPostumia, mentre il kardo maximus fu stabilito sulla linea lun-go la quale fu poi tracciata la via Brixiana. L’orientamento, a dif-ferenza di quello cittadino, era di 14° da ONO a ESE per i decu-mani e da NE a SO per i cardini e aveva il suo principale moti-vo nella pendenza della pianura. Tale orientamento, in quanto

saggio attuale come la somma dei pae-saggi ereditati che si possono ricostruiremediante un’indagine regressiva. L’epi-grafia studia le iscrizioni, incise, graffite,dipinte o impresse su materiali diversi(marmo, pietra, bronzo, terracotta), macomunque durevoli. Lo studio delle anti-che iscrizioni deve tener conto dei datiesteriori offerti dal monumento epigrafi-co, per procedere quindi al giudizio deldocumento nel suo contenuto e al suoinquadramento nel contesto storico chelo produsse. Le iscrizioni illuminano lastoria politica, la religione, il diritto e leistituzioni. A tali discipline si aggiungonol’analisi topografica, avente lo scopo diindagare sulla configurazione di un luo-go e sulla distribuzione delle varie parti,elementi naturali, oggetti o manufatti chelo compongono, nonché la toponomasti-ca che studia i nomi di luogo sotto l’a-spetto dell’origine, della formazione e delsignificato.

ANALISI PALINOLOGICHE

La palinologia si occupa soprattutto del-lo studio dei granuli di polline, ma anchedi altri elementi vegetali legati alla disse-minazione, quali spore e cisti algali. Inparticolare l’analisi palinologica di pollinifossili, conservati in sedimenti di varianatura ed età (sedimenti torbosi, lacustri,marini, ecc.) si propone di comprenderela vegetazione e il clima del passato, oltreche, nel caso dello studio di pollini pre-senti in siti archeologici, di seguire l'evol-versi delle interazioni fra le attività del-l’uomo e il paesaggio (disboscamenti, pra-tiche colturali, introduzione di specie eso-tiche, ecc.).

COLONIA LATINA

Consisteva nell’insediamento di Romani,o romanizzati, o anche Italici su terrenoconfiscato a nemici vinti. Gli assegnataridella terra costituivano un nuovo Stato,alleato di Roma. Le popolazioni localiespropriate venivano in genere lasciateabitare ai margini del territorio della colo-nia e, a lungo andare, finivano col con-fondersi praticamente con i cittadini del-la stessa. La fondazione di una coloniaera un’operazione militare e veniva effet-tuata a presidio di territori ritenuti impor-tanti dal punto di vista strategico. Essaaveva larga autonomia, non pagava tri-buti, ma doveva seguire la politica este-ra di Roma. La fondazione di una coloniaprocedeva, in età repubblicana, con laLex rogata. Dal secolo III a.C. in poi dedu-cevano colonie i tresviri coloniae dedu-cendae che accoglievano gli aspirantivolontari o ricorrevano all’arruolamentoforzato, se il numero degli iscritti risulta-va insufficiente. In relazione al caratteremilitare della colonia, in un primo temposi esigeva l’appartenenza alle classi, main seguito si dedussero quasi esclusiva-mente proletari e liberti.

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La storia degli interventi sul PAESAGGIO, che in età romana simaterializzano in modo eloquente nell’inscindibile connessio-ne tra città, campagna e rete viaria, quali parti di un unico orga-nismo, resta ancora oggi in gran parte sconosciuta.

Ci sono noti solo alcuni fatti e momenti, isolati talvolta gli unidagli altri, attraverso FONTI ARCHEOLOGICHE ED EPIGRAFICHE perlopiùdiscontinue, testimonianze storico-letterarie spesso lacunose,nonché ANALISI PALINOLOGICHE. A queste si aggiunge l’osserva-zione delle fotografie aeree e delle carte a grande scala attra-verso cui si coglie un paesaggio, quello attuale, che è il risulta-to ultimo di successive trasformazioni compiute da agenti diver-si, per i motivi più disparati e in periodi differenti.

Se è impossibile che un terreno conservi tutte le tracce del-le modificazioni cui fu sottoposto nel tempo, è d’altra parte assaiimprobabile che mutamenti successivi, anche profondi e conti-nuativi ad opera della natura o delle società umane, abbianosoppresso per intero gli elementi caratterizzanti di precedentiassetti territoriali. Anzi, avviene spesso che antiche situazionisopravvivano con più immediata evidenza che non recenti muta-menti: la conservazione o l’estensione di tali aspetti è determi-nata non tanto dal tempo, quanto piuttosto dalla maggior o minorfunzionalità dell’assetto di un territorio, che può far durare a lun-go antichi sistemi organizzativi o eliminare in fretta sistemi ancherecenti, ma ben presto caduti in disuso. È opportuno pertanto,al fine di far emergere i segni della civiltà romana rimasti impres-si nel terreno, avviare la ricerca all’interno delle stratificazionidel paesaggio odierno, che in alcuni casi può identificarsi conquelli precedenti, in altri rivelare una continuità più o meno mani-festa o infine richiedere, per gli avvenuti mutamenti, laboriosee complesse ricostruzioni. Il procedimento successivo consi-sterà nell’integrare tali segni con le indicazioni provenienti daaltre fonti, al fine di consentire la ricostruzione, ove possibile,del quadro relativo alla vita culturale, economica, sociale o reli-giosa dell’antica Roma e del territorio ad essa sottoposto.

Una prima difficoltà può venire dal fatto che città, campagnae rete viaria spesso non sono note né conoscibili in ugual misu-ra. Una complicazione ulteriore è la tendenza ad esaminareseparatamente le tre diverse parti costituenti l’organismo, di-sarticolando tra loro questi elementi essenziali, quasi fosserosenza connessione, il che impedisce di cogliere il senso dellavita economica e sociale propria dell’epoca considerata.

Non sempre, del resto, l’immagine della connessione tra cit-tà, agro e viabilità appare con la stessa forza e immediatezza.Così nel territorio della COLONIA LATINA di Cremona - a differen-za dell’Emilia dove l’omonima via Aemilia, che rappresenta qua-si la materializzazione sul terreno della conquista romana, èdecumanus maximus sia della città che dell’agro a Forlì, Pia-cenza, Imola e Parma e dove pertanto la compagine dei tre ele-menti è praticamente perfetta - le centuriazioni tendono ad occu-pare una parte relativamente ristretta del territorio, alternando-

PAESAGGIO

Con questo termine possiamo intenderel’ambiente naturale come si è modificatoper opera delle società umane nel corsodel tempo. Le relazioni tra gli uomini e iloro ambienti sono oggetto di indagini che,soprattutto a partire dal paesaggio agra-rio, si propongono l’obiettivo di leggere lesedimentazioni nel presente dei sistemiorganizzativi ereditati dal passato. In que-sta accezione il paesaggio si delinea siacome quadro che come prodotto dellastoria, ovvero si pone come risultato del-le interazioni di provocazione e di rispo-sta tra gli ambienti e le società o, forsepiù precisamente, come spazio lavoratoall’interno del quale gli elementi naturaliacquistano particolare significato attra-verso la loro contestualizzazione nellediverse situazioni storiche. Il paesaggiosi configura così come un insieme di inter-venti, segni e impronte, da esaminareattraverso lo studio dei patrimoni cultu-rali, delle capacità tecniche, delle strut-ture sociali, degli eventi economici edemografici e delle istituzioni politiche:una eredità di oggetti e di forme che nonsi cancellano facilmente, ma che sisovrappongono intrecciandosi e compli-candosi a formare un disegno in continuodivenire, meglio un nodo (o mosaico) sem-pre più stretto e intricato di insediamen-ti, campi, manufatti, edifici, vie terrestri evie d’acqua, fabbriche, macchinari e appa-recchiature di ogni genere, toponimi, segnidi ripartizioni e di processi di appropria-zione del territorio, bonifiche, acquedottie irrigazioni... Una complessità infinita difili avviluppati, che formano la testimo-nianza e la memoria del lavoro di centinaiadi secoli (il «deposito di fatiche» di cuiscriveva Carlo Cattaneo) e che possonoessere compresi e valutati, attraverso unesame attento e paziente, per la lorocapacità di rispondere, di volta in volta,alle varie e mutevoli esigenze delle socie-tà umane nelle diverse epoche, e per lanatura e la misura dei loro rapporti congli elementi, via via modificati, del quadroambientale.

FONTI ARCHEOLOGICHE ED EPIGRAFICHE

Costituiscono il materiale per la ricostru-zione delle civiltà antiche. L’archeologiaopera attraverso lo scavo e lo studio deimonumenti antichi; essa ha ampliato negliultimi decenni il suo campo di ricerca allostudio di tutto il materiale rinvenuto e nonpiù solo a quello dei pezzi di notevolevalore e pregio. Particolare attenzioneessa dedica oggi all’evoluzione del pae-saggio nel tempo al fine di gettar luce sucome fosse occupato il suolo nei tempiantichi, facendo così assumere al pae-saggio il significato non più solo di espres-sione degli attuali rapporti tra società eambiente, ma anche dei rapporti tra il pre-sente e l’eredità del passato. Questo con-cetto è essenziale per poter definire il pae-

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rispondente a scelte consapevoli della morfologia del territo-rio, fu rispettato ancora nel 190 a.C., in occasione della dedu-zione integrativa di coloni effettuata a conclusione della secon-da guerra punica e dei conflitti con i Galli, e di nuovo nel 41-40a.C., quando, dopo la battaglia di Filippi (42 a.C.) i Cremone-si, avversi o quantomeno indifferenti al partito di Ottaviano,videro le proprie terre confiscate e distribuite ai veterani del-l’esercito filocesariano.

Nel complesso l’area centuriata si estendeva nel 218 a.C.su circa 400 kmq, per un totale di poco più di 800 centurie; essafu probabilmente leggermente ampliata nel 190 a.C. a motivodella venuta dei nuovi coloni, che dovettero perlopiù limitarsi ariempire i vuoti provocati dalla guerra. Pare che l’estensionedella colonia non si spingesse, nei primi tempi quantomeno,molto oltre il terreno centuriato. Il paesaggio prese così unaconfigurazione complessa, determinata da un lato dall’esistenzadi un AGER DIVISUS ET ADSIGNATUS e, dall’altro, da quella di unAGER ARCIFINUS, di fatto difficilmente riconducibile a uno sche-ma fisso. Le popolazioni galliche vivevano in una condizioneinferiore a quella dei coloni, verisimilmente ai margini dell’areacenturiata. Questa distinzione geografica, etnica e politica, piut-tosto rigida all’inizio, andò col tempo scomparendo, secondol’indicazione di Tacito.

Con le centuriazioni i Romani mutarono aree generalmenteincolte in terreno coltivato e produttivo (viti, messi e alberi dafrutto) e fissarono un paesaggio agrario, cui quello odierno èlargamente debitore. Ma il mutamento non fu totale. Ovunqueall’intorno rimasero vaste zone boschive e acquitrinose.

Profondamente diverso dal caso di Cremona appare quellodi Milano che, in quanto città a semplice intervento romano e nona deduzione coloniale, si contrassegnò per una minor siste-maticità e programmaticità d’intervento sia urbano sia territo-riale. Fin dal V secolo a.C. Milano era stata, al pari di altri inse-diamenti, quali Como, Bergamo e Brescia, sede di un abitato checontrollava i punti nodali dei traffici tra il mondo transalpino e,attraverso le vie d’acqua, l’area padana.

Con l’incremento della produzione agraria e degli scambicommerciali, essa si era guadagnata una posizione sempre piùrilevante all’interno del territorio insubrico, tanto da diventare,a partire dal II secolo a.C., un centro di riconosciuta importan-za economica e commerciale, una METROPOLIS, come ebbe adire Strabone.

Intorno all’89 a.C., quando le genti transpadane ricevetteroil diritto latino in base a una serie di provvedimenti legislativi(Lex Iulia, Lex Calpurnia e Lex Plautia Papiria) che, pur noncomportando la deduzione di colonie, chiamarono tuttavia lepopolazioni locali a designare un proprio capoluogo, gli Insubrielessero Milano al rango di città con il nome di Mediolanium oMediolanum.

Nella nuova situazione politica l’abitato fu trasformato in cit-

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tà vera e propria tramite la creazione di un impianto a strutturaortogonale.

L’età cesariana rappresentò un momento di grande rilevan-za nella storia di Milano, che dai punti di vista strategico e eco-nomico (manifattura e commercio di pellami, calzature, legno,stoffe, lino) divenne, attraverso la rete fluviale che portava al Poe quindi all’Adriatico, uno dei più importanti nodi di raccordo fraRoma, il Mediterraneo e l’Oriente da un lato, e il mondo trans-alpino dall’altro, i cui orizzonti erano stati definitivamente apertidalla conquista delle Gallie. L’ormai raggiunta assimilazione del-l’antica capitale insubrica alla cultura romana è inoltre testimo-niata dalla presenza di noti rappresentanti del neoterismo, movi-mento di avanguardia poetica e prova dello slancio culturale diMilano, che venne quindi ordinata sede di studi superiori.

Ancora più considerevole di quella di Milano appare l’asce-sa economica della colonia di Cremona, caratterizzata essen-zialmente da agricoltura e allevamento, che superavano larga-mente il fabbisogno locale; importanza assai minore avevano l’ar-tigianato e la piccola industria (vasellame, vetri, ceramiche elaterizi). Lo sviluppo e la prosperità di Cremona trovarono il lorofondamento nella pace, che investì la vita economica, sociale,politica e culturale della città. Tacito parla di larga disponibilitàfinanziaria, della presenza di magnifici templi e splendide ope-re d’arte e della grandiosità degli edifici privati. Nel 148 a.C. lacostruzione della grande via Postumia dischiuse possibilità nuo-ve ai commerci e agli scambi, rafforzando il ruolo della città,unica colonia latina a nord del Po con Aquileia, come centrochiave nel processo di romanizzazione della regione circostante.

Divenuta MUNICIPIUM nell’89 a.C., essa cominciò a guardarea occidente più che in passato, incontrandosi così con Milano,che stava assumendo a sua volta la configurazione di una cit-tà vera e propria, e stabilendo con quest’ultima un fitto rappor-to di scambi economici e culturali che si materializzò nella costru-zione dei due assi stradali di collegamento, noti con i nomi di viaMediolanum-Laus Pompeia-Cremona e di via diretta Mediola-num-Cremona. La prima, non menzionata dagli Itinerari e peròsegnata nella Tabula Peutingeriana, correva sulla destra del-l’Adda e coincideva, fino a Laus Pompeia, con la grande arte-ria Mediolanum-Laus Pompeia-Placentia, quindi appena a meri-dione della città si dirigeva nettamente verso est-sud-est perSan Martino in Strada, Castiglione d’Adda, Pizzighettone (Acer-rae), donde puntava su Cremona: un percorso complessivo dicirca 50 miglia (pressappoco 76 chilometri) che, ricalcando veri-similmente fino a Pizzighettone un’antica pista gallica (di cui èricordo in Polibio), collegava, attraverso Cremona, Milano conMantova, Ostiglia, Este, Altino, Aquileia e l’Oriente.

Per quanto riguarda la Mediolanum-Cremona, che univadirettamente i due centri correndo sulla sinistra dell’Adda, essapotrebbe verisimilmente avere uno dei fondamenti della suacostruzione nella nuova concezione del ruolo delle Alpi come

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MUNICIPIUM

Con la Lex Iulia del 90 a.C. tutte le cittàd’Italia, segnatamente le coloniae latinaee gli oppida foederata, vennero elevati algrado di municipia con pieno diritto di cit-tadinanza, onde da allora si chiamò muni-cipium ogni città provinciale romana.Quantunque gli abitanti dei municipi fos-sero tutti abitanti di quella immensa cit-tà-stato che Roma era diventata, tuttaviaogni municipio ebbe una larga autono-mia, residuo della sua originaria situa-zione di Stato sovrano. Non solo la giuri-sdizione civile, ma anche la penale appar-teneva ai municipi e autonomi essi era-no anche, pur sotto un certo controllo delSenato, nell’amministrazione finanziaria.

AGER DIVISUS ET ADSIGNATUS

E AGER ARCIFINUS

Sono le due grandi categorie, o generaagrorum, in cui i gromatici distinsero i ter-reni. L’ager divisus et adsignatus com-prendeva l’ager limitatus, che identifica-va colonie romane con distribuzione diterritorio tramite lotti di terreno misurati inbase ai multipli del piede romano (circa0,295 metri), e l’ager per scamna et stri-gas divisus, che corrispondeva a una divi-sione del territorio per rettangoli dispostinel senso della lunghezza (strigas) o indirezione opposta ai precedenti (scam-na): quest’ultimo era assai meno diffuso.L’ager arcifinus, qui nulla mensura conti-netur era escluso dalla divisione e resta-va generalmente adibito al pascolo pro-miscuo del bestiame di tutti i componen-ti la comunità e ad altri usi collettivi, qua-li la raccolta di legna, di radici, di frutti,ecc. Esso si estendeva per una partevasta e importante delle terre.

METROPOLIS

Propriamente città madre di colonie daessa dipendenti. Con questo termine Stra-bone indica anche i centri etnici celtici,come Mediolanum (Milano) «che era anti-camente un villaggio ... ed ora è inveceuna città importante, al di là del Po, quasiai piedi delle Alpi» (Geographica, V, 1,6).

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CA

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LA LOCALITÀ SAN GIACOMO:CASCINE, BOSCHI,

VALLE DEL SERIO MORTO,CORSI D’ACQUA MINORI,

SIEPI E FILARI

baluardo settentrionale d’Italia elaborata da Augusto e nella con-seguente definitiva integrazione dell’intera Cisalpina all’Italia,oppure nell’importanza assunta dalle vie terrestri e fluviali del-l’Italia superiore dopo la morte di Teodosio (395 d.C.), senzadimenticare che Milano tra il 286 e il 402 d.C. divenne capitaledell’Impero. Questa via, che appare come una grandiosa crea-zione artificiale, fece con ogni probabilità assumere alla prima,per il tratto fra Laus Pompeia e Cremona, funzioni di trafficolocale.

La convergenza delle due strade su Cremona acquista pie-no significato se si tiene presente che la città non costituiva tan-to il punto finale del percorso, quanto piuttosto uno scalo, conampie possibilità di continuazione. La prima via di traffici cre-monese, per importanza, fu dunque il corso del Po, soprattuttodall’età imperiale in poi, quando sul fiume, affermatosi come viaprevalente negli scambi commerciali con le popolazioni tran-salpine, fu istituito un regolare servizio di navigazione a partiredai porti dell’Adriatico.

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lungo il cui percorso uno dei terreni ad essa adiacenti porta ilnome di “campo della Stella” e “Stella” è ancora oggi il nomedella cascina che sorgeva isolata sulla costa della valle delSerio, già sede medievale di una chiesa detta di S. Maria deManzano. Tutto ciò richiama, in modo più che palese, una seriedi riferimenti al notissimo luogo di culto rappresentato dal san-tuario di San Giacomo di Compostella, in Galizia, il cui nome,secondo la tradizione, deriverebbe da campus stellae, doveuna stella, appunto, avrebbe indicato la tomba del santo apo-stolo.

«Se qualcuno di voi è malato, chiami i responsabili dellacomunità. Essi preghino per lui» (Nuovo Testamento, Giacomo,5-14); così si legge nella chiesetta di San Giacomo.

L’edificio attuale è costituito da una struttura a capanna daldisegno pulito e razionale. La facciata tripartita presenta nellaporzione centrale un bel portale a tutto sesto sovrastato da unapiccola apertura quadrangolare, l’insieme del fronte è invece defi-nito da due massicce paraste e da una copertura a doppia fal-da sottolineata da una semplice modanatura. Appoggiata alsuo fianco orientale si sviluppa una piccola costruzione cheservì, in altri tempi, all’alloggio del “romito” che si occupavadella custodia e del mantenimento dell’edificio sacro e, forse,vi si può intravedere un richiamo a quello xenodochio, dei duequi presenti nel XII secolo, che a quel tempo veniva dichiara-to come sito in eodem curtile cum ipsa ecclesia.

All’interno della chiesa, proprio sull’altare, è presente unaffresco cinquecentesco, impaginato in una finta cornice archi-tettonica “a serliana”, in cui sono rappresentati San Pietro asinistra, Cristo crocifisso al centro e San Giacomo a destra,come chiari riferimenti a Roma, Gerusalemme e Compostella.

La devozione all’apostolo Giacomo il Maggiore ebbe inizioverso la seconda metà del secolo IX in Spagna, la terra che ilsanto aveva evangelizzato, quando un eremita, guidato da unastella, trovò in un campo la sua tomba. Qui sorse il primo san-tuario a lui dedicato, che sarebbe divenuto nel tempo una del-le mete più ambite dai fedeli di tutti i tempi. I pellegrini che visi recavano, tornando, portavano come ricordo una conchigliaraccolta sulle rive dell’oceano di Santiago. L’iconografia clas-sica vuole che San Giacomo, vestito da pellegrino, porti oltrea bastone, bisaccia e cappello, una mantellina sulle spalle conuna conchiglia (della specie Pecten jacobaeus) a dimostra-zione del suo peregrinare attraverso il mare.

Alla luce di quanto riportato nel già nominato documentodel 1158 (Le carte cremonesi dei secoli VIII-XII, a cura di E.Falconi, vol. II, Cremona 1984, p. 299-301), si può forse ipo-tizzare che anche una parte del complesso di cascine che oggiformano la località di San Giacomo, suddivisa tra i comuni diCastelleone e di San Bassano, si sia sviluppata sull’impiantodi uno dei due hospitalia sopra citati.

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La località San Giacomo

Si tratta di un piccolo insediamento rurale, diviso tra i comu-ni di Castelleone e di San Bassano, situato a cavallo dell’anti-co tracciato della “strada” o “via Regina” (via Rayne, strata Regi-na) e costituito da una grande CASCINA a corte chiusa e da unpiccolo oratorio dedicato a San Giacomo protettore dei pelle-grini e di origini medievali, epoca in cui si fregiava della com-presenza di ben due hospitalia o XENODOCHIA (ospizi gratuiti perforestieri e pellegrini) posti in stretta connessione con il pas-saggio dell’importante arteria viaria.

Questi luoghi di assistenza, non di rado sostituitisi, in nomedella carità evangelica, a strutture originariamente a caratteremilitare sparse su tutta la rete viaria romana con il nome di sta-tiones (mutationes o mansiones), si rivolgevano specificata-mente al servizio dei poveri e dei pellegrini. Sorgevano lungole principali strade medievali e la loro individuazione, attraver-so testimonianze documentali o archeologiche, può in molticasi costituire ancor oggi un interessante elemento per deter-minare l’uso peregrinatorio di una strada. Un iter peregrinoruminfatti aveva bisogno, per essere tale, oltre che di una metaben definita e chiara, anche di un’importante organizzazioneospitaliera di sostegno fondata sulla caritas e sul servitium cri-stiani. Queste strutture in genere venivano rette da grandi ordi-ni ospitalieri o religioso-cavallereschi ed erano situate nei pun-ti strategici dei percorsi del tempo.

La più importante e nota arteria di collegamento tra l’Italiae il mondo d’oltralpe era la via Francigena. Le sue origini risal-gono all’epoca longobarda e alla necessità di cercare un pas-saggio nella dorsale appenninica lontano dalle coste (control-late allora dai Bizantini).

L’esistenza fin dal 1158 in località Ripa scorticata di unaecclesia ... sub onore et vocabulo Sancti Iacobi e di due distin-ti ospedali, quello di San Giacomo, ad essa annesso, e quel-lo detto de Yerusalem, sorgente sul lato opposto della via Regi-na, denuncia quanto importante fosse ancora nel Medioevo iltracciato dell’antica strada Mediolanum-Cremona, ormai diven-tato un itinerario della peregrinatio religiosa tendente anch’es-so verso le principali mete di pellegrinaggio.

Lungo le vie romee, cosiddette perché volte perlopiù versoRoma, i pellegrini in viaggio per i luoghi santi della cristianitàtrovavano immagini sacre che servivano non solo a rimarcareil carattere sacrale della strada ma anche a richiamare la devo-zione a San Pietro, alla Terra Santa o a San Giacomo di Com-postella.

Molte altre sono, poi, le dedicazioni santorali riscontrabililungo questi percorsi, alcune delle quali particolarmente ricor-renti, quali quelle relative a San Bartolomeo, al Santo Sepol-cro, a San Martino o a San Giacomo, appunto. Nel territorio diCastelleone, in particolare, rimane ancor oggi la cosiddettastrada de San Giacom, diretta alla volta dell’oratorio omonimo,

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L’oratorio di San Giacomo

L’affresco cinquecentesco all’interno del-la chiesa

Le tappe dei principali itinerari dei pelle-grini in Europa

CASCINA

Tipo di insediamento agricolo, caratteri-stico dell’Italia settentrionale, costituito daun complesso di fabbricati prospettantisu uno spazio centrale detto aia. A secon-da della regione geografica, del tipo diproprietà e di organizzazione agricola sipossono rilevare diverse tipologie archi-tettoniche, direttamente legate alle dimen-sioni aziendali nonché al tipo di gestioneche può spaziare da quella prettamentefamiliare a quella della grande aziendacapitalistica. La cascina cremasca, gene-ralmente di piccole o medie dimensioni, èspesso costituita da corpi di fabbrica giu-stapposti o, tutt’al più, contrapposti traloro, il più importante dei quali, a svilup-po longitudinale con orientamento est-ovest, offre un ampio fronte porticato rivol-to a mezzogiorno e segue la direzione deiventi dominanti. Questo ospita la casa delproprietario-conduttore o del fittavolo sudue o tre piani affiancata alla stalla confienile sovrapposto. La cascina cremo-nese, normalmente di più grandi dimen-sioni, nella sua tipologia sette-ottocente-sca si chiude quasi sempre attorno allospazio della grande aia tramite la sequen-za ininterrotta degli edifici rurali che siaffiancano alla casa padronale: portici,barchesse, stalle, magazzini, fienili non-ché le abitazioni dei salariati che posso-no raggiungere anche numeri importan-ti. Nell’area geografica qui analizzata, gra-vitante attorno a Castelleone, si possonoriscontrare entrambe le tipologie sunno-minate, essendo questa la zona di rac-cordo tra Cremasco e Cremonese.

La cascina San Giacomo

XENODOCHIA

Con i termini di xenodochium, hospitale,domus, usati anche in alternanza tra loro,nel Medioevo si definivano gli ospizi gra-tuiti per forestieri e pellegrini. Questi luo-ghi di ricovero e di assistenza, non sem-pre e necessariamente annessi a chieseo monasteri, si trovavano lungo le princi-pali strade medievali, spesso in corri-spondenza di punti di passaggio chiave -quali ponti, guadi, passi montani, ecc. -e la loro esistenza può sovente fungere daspia per individuare l’uso peregrinatoriodi una strada.

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la ricostruzione dei tipi vegetazionali della pianura padana. Ladestinazione dell’area, principalmente educativa, offre così allapopolazione scolastica un luogo di conoscenza e di studio all’a-perto dedicato alle tematiche naturalistiche più svariate. Il com-plesso è visitato ogni anno da molte scolaresche per diversemigliaia di presenze.

La cascina Ballante

Della cascina Ballante, situata in comune di San Bassanolungo la strada di San Giacomo, già parte del tracciato del-l’antica via Mediolanum-Cremona, si hanno testimonianze piut-tosto recenti, nonostante la posizione che occupa possa lasciarintendere qui la presenza di precedenti insediamenti di cui, tut-tavia, allo stato delle conoscenze non si ha alcuna notizia.

Oggi la corte quadrilatera si presenta oltremodo alterata nelsuo aspetto complessivo a causa del frazionamento in più pro-prietà che ha comportato un trattamento disomogeneo di volu-mi e facciate.

I boschi di San Giacomo

Al piede della scarpata morfologica che definisce la valledel Serio morto, in località San Giacomo di Castelleone, si offrealla vista uno dei migliori e più completi esempi di alneto rin-tracciabili nell’intero territorio provinciale cremonese.

Poiché questo genere di BOSCHI, formati essenzialmente dal-l’ontano nero (Alnus glutinosa), è divenuto particolarmente raronella pianura padana, soprattutto nelle aree esterne alle gole-ne degli attuali fiumi, il consorzio arboreo-arbustivo qui inse-diatosi da svariati decenni, distante oggi oltre 3 km dal fiumeattivo più vicino, l’Adda, riveste caratteri di eccezionale singo-larità. A ciò si unisce la possibilità di osservare in successionetutta la serie di tipologie vegetazionali strettamente collegate traloro in chiave evolutiva: la vegetazione erbacea palustre a can-nuccia di palude (canneto o fragmiteto) degli ambienti più inon-dati, l’arbusteto a salice grigio, cresciuto in posizione interme-dia, che precede la formazione dell’alneto, nonché il boscomisto mesofilo a farnia e olmo (il querco-olmeto, spesso sosti-tuito dal robinieto) affermatosi lungo i declivi delle scarpatemorfologiche. Nella successione evolutiva seguita nel tempo dal-la vegetazione forestale quest’ultimo tipo di bosco rappresen-ta il naturale epilogo di situazioni meno stabili, come può esse-re l’alneto, appunto, al quale si sostituisce con il procederedell’interrimento o del prosciugamento delle aree umide e conl’affrancamento della vegetazione legnosa da un suolo riccod’acqua.

Gli alneti sono comunità vegetali a struttura arborea gene-ralmente monospecifica caratterizzata dalla presenza dell’on-

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BOSCHI

I termini bosco e foresta, anche se spes-so utilizzati in modo indifferenziato nel lin-guaggio comune, secondo certo generedi interpretazione, di matrice botanico-vegetazionale, possono indicare due real-tà diverse. Infatti alcuni Autori indicanocon foresta solamente una formazionearborea compatta e pluristratificata, por-tando quale esempio tipico le foresteequatoriali costituite da vari strati di albe-ri ad altezze diverse; altri definiscono fore-sta gli aggruppamenti di alberi costituitida specie diverse e boschi quelli formatida una sola specie (es. bosco di faggi,bosco di abeti). Altri ritengono che il boscosia una foresta di piccole dimensioni; altriancora intendono per foresta la vegeta-zione arborea d’alto fusto naturale e perbosco quella dove sia intervenuta l’ope-ra costante dell’uomo nella manutenzio-ne della vegetazione preesistente oppu-re nell’impianto artificiale di vegetazioneforestale dove prima essa era inesisten-te (vedansi i rimboschimenti). Così,seguendo quanto affermato dal botanicoRuggero Tomaselli, possiamo definirebosco una formazione arborea semina-turale di alto fusto chiusa, nella quale,cioè, pur essendo evidente l’opera del-l’uomo, quest’ultima non è tale da alte-rarne completamente struttura e compo-sizione, riservando il termine foresta aduna formazione arborea naturale di altofusto chiusa, cioè con alberi vicini gli uniagli altri e non isolati o distribuiti in grup-pi distanti. È da sottolineare come la mag-gior parte delle formazioni arboree euro-pee e la pressoché totalità di quelle ita-liane rientrino nella categoria dei boschi.

La cascina Ballante

Nelle carte relative al Catasto Teresiano, datate 1723, è pos-sibile ancora riconoscere l’impianto originario dell’insediamentoche si presentava costituito da due corpi di fabbrica longitudi-nali e paralleli, orientati secondo la direzione dell’antico tracciatoche la strada Mediolanum-Cremona disegnava nella campagna.

Alle soglie del secolo scorso, in particolare, la cascina prin-cipale subì interventi che ne alterarono il disegno planimetricochiudendo in parte la corte e lasciando un’apertura solo sulfronte rivolto ad oriente. Oggi è possibile osservare una gran-de struttura a corte chiusa caratterizzata da una bella casapadronale, ornata in facciata da elementi stilistici di un certopregio, e da una grande stalla con copertura a padiglione incoppi e muri perimetrali a gelosia.

La cascina Stella

La cascina Stella, ubicata in comune di Castelleone, inambiente prettamente rurale al di là della valle del Serio mor-to, sorge al margine della strada di San Giacomo: una bella eantica strada, snodata lungo l’orlo di terrazzo della valle flu-viale abbandonata cui si affaccia con carattere panoramico,che si diparte dalla comunale per San Latino.

La struttura rurale, pur profondamente modificata lungo isecoli, ha origini assai antiche e sin dal Medioevo fu sede di uninsediamento di cui si ricorda la chiesa di Santa Maria de Man-zano, più tardi detta “della Stella”, cui faceva capo, in origine,la curtis Manzani, appunto.

A seguito della donazione della chiesa di Santa Maria del-la Stella ai frati Minimi di San Francesco di Paola, avvenutanel 1604 da parte della Comunità di Castelleone, qui ebbesede, sin verso la fine del XVIII secolo, un piccolo conventodotato di molte proprietà terriere distribuite in questo tratto ter-ritoriale.

Passata attraverso diverse proprietà successive, che nemodificarono in vario modo l’assetto e la destinazione, nel 1995fu acquistata dalla Provincia di Cremona che ne fece un cen-tro di sviluppo didattico e naturalistico, anche tramite l’annes-sione di oltre venticinque ettari di terreno coperto in gran par-te dal bosco.

Negli ultimi anni il complesso è stato oggetto di alcuni impor-tanti interventi tesi alla completa ristrutturazione degli edificiora destinati a costituire una parte della Stazione sperimenta-le di ecologia applicata e Centro studi naturalistici della Pro-vincia di Cremona dove è, tra l’altro, in corso di allestimentoun Museo del paesaggio padano unico nel suo genere.

Annesso alla cascina si sviluppa, poi, un Bosco didatticoossia un’ampia superficie in gran parte boscata dove si rac-colgono le specie arboree ed arbustive più caratteristiche del-la pianura, inserite in un ambiente suggestivo che si propone

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La cascina Stella

Allestimenti del Museo del paesaggiopadano

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tano nero, insediati su suoli costantemente umidi e ricchi disostanza organica, ma non più soggetti alle interferenze diret-te dei fiumi, trovandosi anzi generalmente piuttosto lontani dalcorso fluviale principale.

I boschi di ontano nero si insediano in modeste depressio-ni del terreno, spesso caratterizzate da presenza di TORBA, chesegnano i residui di antichi meandri fluviali oppure occupanoil piede della scarpate morfologiche che distinguono le valli flu-viali dal livello fondamentale della pianura. In qualche raro casol’esistenza di alneti va fatta dipendere dal progressivo interri-mento di fontanili.

Il principio comune che mantiene queste fitocenosi è sem-pre la falda freatica superficiale e affiorante che mantiene i ter-reni fortemente intrisi d’acqua rendendoli poco appetibili perl’agricoltura.

L’alneto offre una copertura arborea piuttosto fitta ed unastatura dei singoli alberi variabile in funzione dell’età e del tipodi governo cui è sottoposto. La densità delle fronde mantieneil suolo costantemente ombreggiato, così che il popolamentoarbustivo di corredo si concentra ai suoi margini, mentre quel-lo erbaceo si compone di SPECIE SCIAFILE che, in diversi casi, sidispongono a chiazze lasciando liberi ampi tratti di terreno.

Lo strato arboreo è generalmente monospecifico, ma in fun-zione dei caratteri stazionali e delle vicende storiche talvoltaall’ontano nero si possono associare anche altri alberi: nelnostro caso pioppi - pioppo bianco (Populus alba) e pioppoamericano (Populus canadensis) - e robinia (Robinia pseu-doacacia), ma anche olmo (Ulmus minor) e frassino maggiore(Fraxinus excelsior).

Tra le specie alto-arbustive la più caratteristica accompa-gnatrice è il salice grigio (Salix cinerea), oltre a pallone di neve(Viburnum opulus), sambuco nero (Sambucus nigra) e san-guinello (Cornus sanguinea). La vegetazione rampicante, spes-so assai ricca ai margini, è rappresentata da luppolo (Humu-lus lupulus), edera (Hedera helix) e vilucchione (Calystegiasepium). Nello strato erbaceo è particolarmente diffuso il rovobluastro (Rubus caesius), che forma un piano vegetale auto-nomo alto circa 0,5-1 m. Particolarmente diffusi sono, poi, gliequiseti (Equisetum telmateja e Equisetum arvense), le carici(nel nostro caso soprattutto Carex acutiformis), l’ortica comu-ne (Urtica dioica), l’angelica (Angelica sylvestris) e l’erba maga(Circaea lutetiana).

L’insieme delle specie vegetali citate, che concorrono alla for-mazione di un habitat del tutto peculiare, rende questo tipicoesempio di bosco umido padano una preziosa tessera del-l’ambiente planiziale locale.

La successione, precedentemente descritta, è ben eviden-ziata nella figura che segue. Le colonne rappresentano le tipo-logie di vegetazione presenti (canneto, arbusteto, bosco umi-do, bosco mesofilo). Nelle righe sono rappresentate le specie

TORBA

È una sostanza organica prodotta soprat-tutto dalla vegetazione degli ambienti palu-stri che tende ad accumularsi sul sub-strato senza venir degradata, al contra-rio di ciò che accade normalmente su suo-li drenati per opera di organismi decom-positori. Il materiale torboso contiene cir-ca il 50-60% di carbonio (C). I due fatto-ri principali che innescano i processi diaccumulo della torba sono le condizioni difreschezza climatica, che garantiscono lamiglior conservazione della sostanzavegetale morta e rallentano l’azione deimicrorganismi decompositori, e l’abbon-danza di acqua, che deve permeare ilsuolo e la materia organica depositatabloccando ulteriormente l’attività aerobi-ca dei decompositori.

SPECIE SCIAFILE

Sono organismi che si sviluppano e vivo-no normalmente in ambienti ombreggia-ti, poveri di luce, e al riparo dai raggi sola-ri diretti, come diverse specie erbaceetipiche dei boschi quali l’erba maga (Cir-caea lutetiana), il sigillo di re salomone(Polygonatum multiflorum) e l’aglio orsi-no (Allium ursinum), ma anche speciearbustive od arboree, come il nocciolo oil faggio.

Alneto in aspetto invernale, primaverileed estivo

vegetali caratteristiche di ciascuna tipologia: la presenza con-temporanea di alcune specie in più comunità vegetali ben evi-denzia il passaggio graduale da un ambiente all’altro, connessoalla graduale riduzione dell’umidità del suolo (da sinistra adestra).

Le vicende storiche dei boschi nella pianura padana

Il paesaggio padano attuale è il risultato di un’intensa, con-tinua e capillare azione dell’uomo, che è intervenuto sin dallapreistoria sulla vegetazione originaria, apportandovi modifichesempre più radicali, sfidando anche le condizioni naturali del cli-ma e del suolo, fino ad ottenere l’attuale situazione di ambien-te antropizzato. Tuttavia ancor oggi la concomitanza di speci-fici fattori ecologici legati al tipo di suolo e di clima, caratteriz-zato da inverni mediamente rigidi e da estati calde e umide,

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e, di nuovo, i boschi conquistarono zone sempre più rilevan-ti di territorio conferendogli un aspetto molto simile a quellopreistorico.

Con la monarchia carolingia e l’affermarsi del feudalesimo,iniziò una politica di protezione delle aree boschive che vennerosempre più monopolizzate dai nobili come riserve di caccia,anche se continuavano ad esistere residui boschi pubblici,accessibili anche ai contadini e destinati soprattutto alla pro-duzione delle ghiande per l’allevamento dei suini.

Solo a partire dal XII e XIII secolo con l’aumento demogra-fico, la rinascita delle città e la ripresa dell’agricoltura, comin-ciò l’opera sistematica di dissodamento e distruzione delle fore-ste, con una rapidità sino ad allora sconosciuta. Le forestemesofile a farnia e carpino che, oltre a fornire abbondantelegname pregiato, prediligono per loro natura terreni profondie freschi, e cioè gli stessi che meglio rispondono alle praticheagricole, furono presto ridotte a ben poca cosa.

Alle soglie del XVI secolo si può dire saldamente imposta-to il paesaggio agrario che, con poche modifiche strutturali,venne mantenendosi sino ai primi decenni del secolo scorso:a prati, campi e vigne si alternavano pochi boschi, perlopiùconfinati nelle valli fluviali, insieme ad arbusteti, pascoli, incol-ti e paludi. Inoltre i boschi rimasti cominciarono a perdere laloro caratteristica composizione per l’insediarsi, accanto all’o-riginaria vegetazione, di specie alloctone, importate in seguitoalle grandi scoperte geografiche.

La valle del Serio morto e i corsi d’acqua minori

La presenza di una valle fluviale relitta posta ad est di quel-la in cui scorre l’attuale fiume Serio era già stata riconosciutanella sua unitarietà intorno alla metà dell’Ottocento, senza tut-tavia che se ne approfondissero ulteriormente le conoscenze.Bisognerà giungere agli anni ’60 del secolo scorso per avereuna visione più definita, anche dal punto di vista morfogeneti-co, di questa struttura che troverà la giusta collocazione nellaCarta Geologica d’Italia (foglio 60 - Piacenza, 1967), redatta epubblicata in quel torno di tempo. Così furono individuati daLudovico Dario Passeri almeno due antichi alvei fluviali delSerio: il “Serio di Grumello”, che appare alquanto antico, e il“Serio di Castelleone”, che attraversa appunto il nostro nucleoterritoriale. Quest’ultimo tracciato, attivo fino a non molti seco-li fa, lambiva gli abitati di Castelleone e San Bassano sfocian-do nell’Adda in prossimità di Pizzighettone.

La valle relitta del Serio di Castelleone è in realtà conosciutalocalmente come “valle del Serio morto”, perché tuttora per-corsa dall’omonimo corso d’acqua, anche se per lunghi tratti ret-tificato.

Le cause delle successive deviazioni sono probabilmenteMorfologia generale dell’area

potrebbe determinare l’affermazione di consorzi vegetali pros-simi, nella composizione e nell’aspetto, all’antica foresta pla-niziale.

Prove archeologiche e palinologiche, testi storici antichi testi-moniano la passata presenza, nella pianura padana, di unaforesta di latifoglie decidue, a tratti interrotta da paludi o acqui-trini, aree cespugliate, radure erbose. Gli alberi che domina-vano la foresta erano la farnia e il carpino bianco cui si asso-ciavano facilmente diverse altre specie, tra cui certamente ilfrassino maggiore, l’acero e l’olmo, ma anche il faggio e il cer-ro in particolari condizioni stazionali.

Lungo il corso dei fiumi la maggior superficialità della faldaidrica e la ricorrenza delle piene fluviali, che rendevano diffi-coltoso l’insediamento della foresta mesofila, favorivano inve-ce l’affermazione di specie igrofile quali il salice bianco e l’on-tano nero, i pioppi, il frassino e l’olmo, oltre a diversi arbusti. Inprossimità delle rive dominavano formazioni arbustive a salici,mentre nelle zone palustri si sviluppavano anche comunitàerbacee a cannuccia di palude, carici e tife.

Già i primitivi colonizzatori della foresta padana di epocapreistorica seguiti, poi, da Etruschi, Celti e Liguri intervenneroin modo sempre più incisivo sulla struttura vegetazionale ori-ginaria di quest’ampia regione: le coltivazioni cerealicole o pra-tive, dapprima circoscritte ai dintorni dei villaggi di capanne epalafitte, presero, nel tempo, ad estendersi su aree sempre piùampie tanto che lo storico greco Polibio, vissuto nel II secoloa.C., descrive la pianura padana come una scacchiera di ter-re coltivate intervallate da dense selve (silvae glandariae, cioèboschi di querce) indispensabili per la caccia e l’allevamentodei maiali allo stato brado.

La testimonianza che ci perviene dall’analisi dei diagrammipollinici relativi alla pianura padana colloca l’inizio del disbo-scamento del territorio, effettuato in modo intensivo e su vastascala per fini agricoli e insediativi od anche per esigenze mili-tari e di carattere infrastrutturale, all’epoca romana (I sec a.C).Le opere di dissodamento e di bonifica lasciarono tuttavia anco-ra ampio spazio a zone incolte, pascoli, arbusteti, selve, con-centrati soprattutto nei distretti fluviali, nonché ad antichi boschisacri, sedi di templi e sepolcri: tutti ambienti che rappresenta-vano un importante bene pubblico per l’allevamento del bestia-me, per l’approvvigionamento di legna e di ogni altro frutto sel-vatico.

Con la caduta dell’Impero romano e le prime invasioni bar-bariche, la popolazione, diminuita fortemente di numero e nonpiù organizzata, abbandonò in gran parte le coltivazioni perdedicarsi alla pastorizia e alla caccia: l’economia, un tempoprevalentemente cerealicola, divenne per tutto l’alto Medioevodi tipo agro-silvo-pastorale.

Dove c’erano campi coltivati, quindi, si andarono inse-diando forme di vegetazione erbacea, arbustiva ed arborea

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ri pari a una decina di metri. Scarpatemorfologiche di minor entità si trovanoanche a delimitare i diversi terrazzi flu-viali intermedi tra il livello fondamentaledella pianura e la valle del Serio morto.In pianura le scarpate morfologiche flu-viali, proprio per la notevole pendenzache le esclude dalla coltivazione mecca-nica, sono spesso occupate da areeboscate, sempre più infrequenti nellerestanti porzioni di pianura.

La roggia Borromea

sa denominata “palata della Borromea”, appunto. Le prime noti-zie su questa roggia risalgono al secolo XVI quando essa trae-va origine da risorgive, tra le quali una in località le Quade diCrema (1530). Nel 1565 il conte Cesare Borromeo fu autoriz-zato dalla città di Crema ad estrarre acqua dal fiume Serio uti-lizzando i cavi delle preesistenti rogge di Ripalta Vecchia e del-la Fiera. Pochi anni più tardi, dopo che una piena del fiume di-strusse le opere di adduzione, fu concessa, nel 1587, dal Sena-to veneto la licenza ad aprire una derivazione diretta sul fiu-me. Parte delle portate disponibili dal Serio per la nuova rog-gia, ormai denominata Borromea, erano apportate al fiume (insponda destra) dalla roggia Molinara che a sua volta racco-glieva acque di risorgiva e colature a nord della città di Crema.All’inizio dell’Ottocento la roggia Borromea passò agli Anguis-sola i quali, sul finire del secolo, cedettero le loro ragioni, suacque ed edifici alla Società Anonima di Irrigazione Borromea.Nel 1907 l’impianto per la derivazione a gravità della Borro-mea dal Serio venne dotato di una moderna traversa chiama-ta “palata nuova”, poco a monte di Crema, dove ancora si apro-no le bocche di derivazione. Il nuovo manufatto incorpora unabottesifone a mezzo della quale le acque della roggia Molina-ra sottopassano, quando utili, il letto del Serio sfociando diret-tamente nella roggia Borromea; altrimenti vengono deviate nelfiume appena a valle del nuovo manufatto.

Nel 1930 la Società Anonima di Irrigazione Borromea chie-se, ottenne e realizzò un impianto di sollevamento meccanicopoco a valle di Crema, nei pressi di cascina Dossi, per inte-grare la dotazione della roggia con un’ulteriore derivazione dalfiume Serio di 15 moduli, portando così la dotazione comples-siva ad un massimo di 64 moduli (pari a 6.400 l/sec) per l’irri-gazione di 2.700 ha di terreno.

Nel 1982 l’originaria Società Anonima di Irrigazione Borro-mea, a seguito di varie modifiche a statuto e ragione sociale,si trasformò nell’attuale società di gestione denominata Con-sorzio delle utenze irrigue s.r.l., che attraverso la roggia Bor-romea serve un comprensorio valutato in circa 2.035 ha neiterritori di Crema, Ripalta Vecchia, Ripalta Arpina, Castelleonee San Bassano.

La roggia Borromea, in seguito a difficoltà intervenute conl’uscita di servizio dell’impianto di sollevamento di cascina Dos-si, preleva oggi dal canale Vacchelli 791 l/sec, comprensivi delcontributo di 400 l/sec che viene riversato nella vicina roggiaArchetta.

Il sistema di siepi e filari

La siepe campestre è identificabile in una stretta banda divegetazione formata da una componente legnosa (in preva-lenza arbusti, ma anche alberi) e da un sottostante strato erba-ceo, talvolta accompagnati da uno strato di muschi al suolo e

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da imputarsi a lievi movimenti di sollevamento di PIEGHE ANTI-CLINALI profonde poste ad est del fiume con la conseguentevariazione delle pendenze superficiali, limitate ma sufficienti aprovocare sovralluvionamenti in tratti del fiume, e successivadeviazione verso ovest del corso d’acqua stesso alla ricercadi un nuovo passaggio. Si può anche supporre che tale feno-meno sia stato agevolato dall’azione di cattura, avvenuta pererosione regressiva operata da un corso d’acqua che percor-reva l’attuale tracciato del fiume Serio, erodendo progressiva-mente la soglia spartiacque che lo separava dall’antico Seriodi Castelleone e creando, così, una sorta di “invito” per le acquefluviali in cerca di un nuovo tragitto.

Ancora nel 960 d.C., sulla scorta di una pergamena relati-va ad una permuta di terreni relativi alla curtis di Sesto Cre-monese, si ha la prova che la foce del fiume Serio si ubicavaancora nel territorio di quella stessa curtis, poco lontano dadove, in seguito, sarebbero sorti il castello e l’abitato di Pizzi-ghettone.

Tale fatto attesta la piena attività del fiume, a quell’epoca, nel-la sede dell’odierna valle del Serio morto.

Intorno alla metà del XIV secolo il percorso fluviale del Seriodi Castelleone viene considerato “morto” e senza dubbio distin-to dal corso attivo del Serio che, nel frattempo, si era afferma-to nella valle fluviale che ancora lo vede protagonista (ramo diMontodine). Al Serio morto rimarranno le acque di colo rac-colte dalla valle fluviale abbandonata nonché numerose origi-ni sorgive ubicate nei territori degli attuali comuni di Castel Gab-biano, Casale Cremasco e Camisano.

Le SCARPATE MORFOLOGICHE, talora anche piuttosto evidenticon dislivelli tra i 3 e i 10 metri, così come alcuni dossi fluvialie ridotte porzioni dell’attuale livello fondamentale della pianu-ra isolate nella valle fluviale relitta, sono tra le strutture chemeglio evidenziano l’antico percorso del Serio.

A cavallo degli anni Trenta del secolo scorso, poi, prese il viala realizzazione del canale colatore che, andando ad interse-care l’antico e complicatissimo corso naturale del Serio morto,finì per divenire l’asse drenante dell’intera valle relitta inne-scando la definitiva bonifica di quelle terre semipaludose. Ini-ziando il suo corso presso Madignano il primo tratto termina-va a Castelleone, dove un canale passante per un buon trattoin galleria scaricava in Adda, presso Gombito, come ancor oggisuccede, la sua portata. Un ventennio più tardi lo scavo delcanale colatore proseguì nel tratto successivo, tra Castelleo-ne e Pizzighettone, fino a sfociare nell’Adda.

La roggia Borromea

Oltre al colatore Serio morto scorre per alcuni tratti nel nucleoterritoriale qui descritto anche la roggia Borromea, derivata dalSerio vivo presso San Bernardino di Crema, tramite la traver-

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Il colatore del Serio morto

PIEGHE ANTICLINALI

Il sottosuolo della pianura padana pre-senta un andamento tutt’altro che regolaree orizzontale poiché i sedimenti conti-nentali e i sottostanti sedimenti marini chene formano la base rocciosa sono conti-nuamente sollecitati dai movimenti di col-lisione tra continente europeo e conti-nente africano. Questi movimenti hannoprodotto e producono importanti defor-mazioni nel substrato originando pieghee faglie. In pianura queste deformazioniprofonde in costante movimento giungo-no a modificare anche le pendenze del-la superficie topografica influenzando,così, l’evoluzione del reticolo idrograficosuperficiale. Le pieghe sono prodotte dauna deformazione continua del substra-to. Esse prendono il nome di anticlinaliquando si mostrano convesse verso l’al-to; di sinclinali quando, invece, sono con-cave verso l’alto.

SCARPATE MORFOLOGICHE FLUVIALI

Si definisce così una morfostruttura, a for-te acclività, costituente il raccordo tra duepiani topografici posti a quote altimetri-che differenti, coincidente con l’orlo di ter-razzo morfologico e perlopiù scolpita neidepositi alluvionali dall’erosione laterale diun fiume. Nel caso nostro la scarpata mor-fologica principale appare scolpita neidepositi pleistocenici del livello fonda-mentale della pianura e, con il suo anda-mento particolarmente festonato, defini-sce un tratto del margine occidentale del-la valle del Serio morto. Il dislivello tra idue piani topografici può raggiungere valo-

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cio di strade, città e porti non perse impor-tanza nemmeno quando, intorno all’an-no Mille, la produzione della seta, spo-statasi nel frattempo in Persia, fu intro-dotta dai musulmani in Sicilia, Calabria eSpagna (secoli XI e XII). Il vero declinoiniziò, intorno alla metà del XIX secolo,con l’apertura di più rapide vie marittime(canale di Suez) e con la concomitanteinstabilità politica dell’Asia centrale.

Le tappe del lungo percorso potevanovariare da poche a molte decine di chilo-metri. Ma pensare alla Via della Setacome ad un’unica strada percorsa in con-tinuazione dalle carovane è errato. Essa,pur formata da piste precise, e in qual-che tratto da vere e proprie strade, erapiù che altro la grande direttrice di un flus-so di commerci e di trasmissioni cultura-li tenuto vivo dalle stesse città d’oasi dis-seminate sul lungo percorso.

Esempio di taglio a sgamollo

CEPPAIA

Tipo di ceduazione eseguito tagliando iltronco di un albero in prossimità del ter-reno.

sentiva l’accrescimento del fusto - nonché la riduzione delledimensioni dei nodi di inserzione dei rami - per un suo impie-go come legname da opera, evitando nel contempo l’eccessi-vo ombreggiamento delle colture vicine. Gli alberi assumono cosìuna forma assai caratteristica, anche se innaturale. Le piantesgamollate, che fornivano con le loro frasche anche un sup-plemento all’alimentazione del bestiame, sono ormai assai rarelungo i campi o in prossimità delle case rurali.

Più comune e ancora praticato abbastanza diffusamente intutta la campagna basso-lombarda è il governo di siepi e fila-ri arborei a CEPPAIA.

Le attuali siepi che improntano la campagna sono in gran par-te di origine antropica. Non mancano peraltro esempi di siepiresiduali, ultimo ricordo di estese aree un tempo boscate. Que-ste sono collocate soprattutto lungo le scarpate morfologichee le rive dei corsi d’acqua principali dove possono assumere percomposizione e forma l’aspetto di fasce boscate. Nel nucleoterritoriale sono particolarmente evidenti le fasce boscate, ampiee ben strutturate, che si sviluppano lungo le scarpate morfolo-giche della valle del Serio morto. In tale contesto si riscontra uncorteggio floristico assai ricco e diversificato, proprio delle ceno-si boschive. Qui ritroviamo con maggior frequenza specie qua-li Ranunculus ficaria, Anemone nemorosa, Anemone ranun-culoides, Vinca minor, Lamium orvala, Circaea lutetiana, Brachy-podium sylvaticum o, più raramente Leucojum vernum, Galan-thus nivalis, Polygonatum multiflorum, Festuca heterophylla eCarex sylvatica.

L’importanza attribuita alla siepe nei secoli passati è statala ragione principale del suo mantenimento e della sua diffusione.Tali valori perduti negli ultimi decenni del XX secolo sembranoora riprendere vigore sulla base di valutazioni scientifiche, tesead evidenziare l’importanza di tale habitat nel contesto agri-colo, e di motivazioni sociali volte alla ricerca di spazi extraur-bani piacevoli e fruibili.

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percorsi più diretti e normalmente seguiti della Via della Seta

percorsi alternativi impostisi in determinate fasi storiche

Esempio di siepe lungo una strada cam-pestre

GELSICOLTURA

L’arte di coltivare il gelso alla scopo di uti-lizzare la sua foglia come base alimen-tare per la larva del bombice del gelso(Bombyx mori) o filugello, produttore del-la seta.

CAPITOZZA

Particolare tipo di governo applicato adalcune specie arboree (salice, platano,ontano nero, pioppo, ecc.) che consenteun’alta produzione di rami e di fogliame adun’altezza ridotta dal suolo. La cedua-zione a capitozza prevede infatti il tagliodel tronco principale ad un’altezza di 1-2,5 metri dal suolo.

LA VIA DELLA SETA

Si intende con tale definizione una plu-ralità di percorsi che si snodavano per cir-ca ottomila km tra la Cina e il Mediterra-neo o il mar Nero e dei quali i mercantinon coprivano ciascuno l’intera distanza,ma solo i segmenti di loro pertinenza. L’i-tinerario iniziava a Loyang (Sinae Metro-polis) o a Chang’an Xian (Sera Metropo-lis), passava quindi per Seleucia sull’Eu-frate, centro della zona di produzione del-la seta, per proseguire poi fino ad Antio-chia, a Petra, a Trebisonda o a Smirne. Levie non erano rigidamente fissate, mapotevano subire spostamenti per adat-tarsi a situazioni naturali o politiche diver-se. Alle vie di terra si aggiungevano, poi,quelle di mare che univano le coste del-l’India e dell’Indonesia con i porti del marRosso e del Mediterraneo. Questo intrec-

da un’abbondante componente rampicante. Tutti questi stra-ti fungono da fonte di nutrimento e riparo per una diversifica-ta comunità di animali (vertebrati e invertebrati) e microrgani-smi. L’insieme delle siepi di un determinato contesto territo-riale costituisce un sistema di corridoi ecologici terrestri, inse-rito in un ambiente perlopiù rurale, spesso affiancato ad unsistema di corridoi ecologici acquatici costituito dal reticoloidrico minore.

Il più diffuso filare arboreo (o più raramente arboreo-arbu-stivo) ne rappresenta l’estrema semplificazione floristica, strut-turale e funzionale. I filari però assumono altre valenze di tipopaesaggistico e, talvolta, divengono elementi di notevole impor-tanza storico-culturale come nel caso dei filari di gelso, tradi-zionalmente governati a capitozza. Questi filari, un tempo assaidiffusi lungo il perimetro dei coltivi, sono una testimonianza del-la fiorente economia legata all’allevamento dei bachi da setache ebbe il suo apice verso la metà dell’Ottocento. In tale perio-do in Lombardia si producevano circa 18 milioni di kg di boz-zoli, pari ad un terzo di tutta la produzione nazionale.

Il gelso bianco (Morus alba), una pianta legnosa originariadell’Estremo Oriente e introdotta in area mediterranea proba-bilmente attorno al XII secolo, è la specie più utilizzata in GEL-SICOLTURA e da questa specifica destinazione deriva il caratte-ristico sistema di governo a CAPITOZZA.

L’inizio delle tecniche di utilizzo della seta si fa unanime-mente risalire alla Cina del terzo millennio a.C. In Europa essaveniva importata attraverso LA VIA, o meglio le vie, DELLA SETA.

Di un’apprezzabile produzione europea di seta si cominciaa parlare solo nel XIII secolo, con la messa a punto, nei centridi Messina, Firenze e Lucca, di macchine idrauliche a fusi mul-tipli per la filatura e la torcitura.

Nei secoli XV e XVI la gelsicoltura, l’allevamento dei bachie la produzione della seta si diffusero con successo in arealombarda, emiliana e veneta, dando vita a un’industria fioren-te che nel XVII secolo fu in grado non solo di rendere tali regio-ni autonome dall’importazione dall’Oriente, ma addirittura ditrasformarle in esportatrici di seta sia grezza che lavorata.

I secoli successivi videro affievolirsi (ad eccezione del Coma-sco) l’industria della seta, che si spense definitivamente neglianni Trenta del secolo scorso, con l’avvio della produzione delraion. Da allora le piantagioni di gelso sono quasi del tuttoscomparse, con rare eccezioni che, per la loro imponenza,divengono talora dei veri monumenti della campagna lombar-da, di cui anche il Cremonese conserva qualche bell’esempio.

Un’altra modalità particolare di ceduazione degli alberi siriscontra in ormai rarissimi esemplari di farnia (Quercus robur)e di olmo (Ulmus minor) che mostrano chiare tracce di gover-no a sgamollo. È questo un particolare tipo di ceduazione incui il taglio risparmia il cimale della pianta limitandosi ad aspor-tare i rami laterali per tutta la lunghezza del tronco. Ciò con-

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LA PASSEGGIATA DA SAN BASSANO A SAN LATINO

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1. La località “Forca” al bivio tra la “viaRegina” e un suo braccio lateralediretto verso Cornaleto e, quindi, alfiume Adda, potrebbe indicare la pas-sata esistenza di un diverticulum spic-cantesi dal percorso principale

2. La strada consorziale di San Giaco-mo coincide per lungo tratto con l’an-tica “via Regina”, la strada di origineromana che collegava Mediolanum aCremona

3. I filari capitozzati di gelso, che semprepiù raramente contornano i coltivi,restano quale testimonianza di un’at-tività del recente passato: la bachicol-tura

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4. Governo a sgamollo di esemplari diquercia. Tale particolare tipo di cedua-zione prevede il taglio dei rami late-rali per tutta la lunghezza del troncorisparmiando il cimale della pianta

5. La strada consorziale di San Giaco-mo, in prossimità della cascina omo-nima, taglia in modo evidente la scar-pata morfologica della valle fluvialerelitta del Serio morto

6. Il grande barchessale con muri a gelo-sia e tetto in coppi di cascina San Gia-como rappresenta in questo tratto dicampagna una esemplare testimo-nianza di edilizia rurale

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7. La palude nei pressi di San Giaco-mo, alla base della scarpata morfo-logica della valle relitta del Serio mor-to, è caratterizzata da ontano nero,salice grigio e cannuccia di palude

8. In località Ripa scorticata sorge il pic-colo oratorio dedicato a San Giacomosanto protettore dei pellegrini

9. Attività agricole e insediamenti si inte-grano mirabilmente nell’ambiente cir-costante

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10. Il percorso ciclabile delle “Città mura-te” affianca il colatore del Serio mor-to, manufatto costruito negli anni ’50

11. Cascina Girlo e cascina Regonetta:due suggestive strutture a corte chiu-sa nella valle del Serio morto

12. Le aree boscate sono particolarmentesviluppate lungo le scarpate morfo-logiche in fasce ampie alcune deci-ne di metri

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13. Antico cippo segnaletico in granitonei pressi di località San Latino

14. Località San Latino

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