DevelopMed n. 29

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Web Magazine sulle relazioni economiche euromediterranee

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Newsletter n° 29SOMMARIOScambi Italia­Med• Tunisia ­ La timida ripresa dell'economia

da Tunisi, Abdellatif Taboubi• Turchia ­ Torino come apripista del “sistema Italia”

da Istanbul, Giuseppe ManciniMed Flash• Med 4 Jobs• Italia­Egitto, partner strategici• Ice+Simest per rilanciare imprese all'estero• Incontri d’affari Euro­MediterraneiCrisi ed Economia Mediterranea• Essere competitivi anche in tempi di crisi

da Istanbul, Giuseppe Mancini• 2020. La sfida tunisina• Internazionalizzazione ­ tavolo comune Regioni­UnioncamereSviluppo Partenariato Mediterraneo• Funding Arab Reform?

Richard Youngs• UPM: cooperazione regionale e crescita economia Nord­SudApprofondimenti• La crisi iraniana nel contesto dei sommovimenti in MedioOriente

Ambasciatore Angelo Travaglini• La polveriera libica

Arturo Varvelli ­ ISPIPalestra Mediterranea• Il Mediterraneo senza Europa

Barbara SpinelliSegnalazioni

ParalleliIstituto Euromediterraneo delNord­Ovestwww.paralleli.orgResponsabile: Marcella RodinoRedazione Italia: Claudio TocchiRedazione Med: GiuseppeMancini, Abdellatif TaboubiHa collaborato: AmbasciatoreAngelo Travaglini________________________tel. 011 [email protected] iscriversi alla newslettercliccare qui.

Con il sostegno di:Rete Camerale Nord Ovestper il Mediterraneo

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SCAMBIITALIA­MEDTunisia ­ la timida ripresa dell'economia

da Tunisi – Abdellatif TaboubiL’economia tunisina ha registrato un tasso di crescita del3%. Così ha dichiarato il ministro dell’economia tunisino,Ridha Saïdi, in occasione dell’appuntamento periodico dellacommissione nazionale per il controllo dei prezzi. Il ministroha aggiunto che questo tasso potrà raggiungere il 3,5%verso la fine dell’anno, stando alle previsioni del governo.Tali cifre si spiegano con “il dinamismo dei consumi, lapromozione degli investimenti e il consolidamento delleesportazioni”.Questa relativa crescita economica ha influito sul tasso didisoccupazione che alla fine di giugno 2012 coinvolgeva il18,1% della popolazione attiva contro il 18,9% all’iniziodell’anno. L’Agenzia nazionale per l’impiego e il lavoroindipendente relaziona che il numero di posti di lavoro creatinel corso del primo semestre 2012 ha raggiunto le 26.713unità contro le 23.181 registrate nel primo semestre del2011. Il governo conta di accrescere la partedell'investimento pubblico nel PIL a 22,7% al fine di creare90.000 nuovi posti di lavoro e rilanciare i settori economicirimasti indietro nel 2011 (le industrie manifatturiere, peresempio).Segno della ripresa dell’economia tunisina, il Paese ritrovauna certa credibilità sulla scena internazionale e gliinvestimenti diretti esteri (IDE) in Tunisia ritrovano il lorolivello del 2010. Le statistiche pubblicate dicono che gli IDEhanno raggiunto i 565 milioni di euro al primo semestre del2012, una cifra in crescita del 45% rispetto allo stessoperiodo dell’anno precedente, ma leggermente inferiore, del3%, a quella registrata nei primi sei mesi del 2010.Secondo il rapporto del governo tunisino, gli IDE hannopermesso la creazione di 71 imprese e 6.700 posti di lavoronel solo primo semestre dell’anno, ossia il 25% del totale deinuovi posti di lavoro realizzati nel corso dello stesso arcotemporale. L’interesse degli investitori si è particolarmenterivolto all’energia e al settore manifatturiero, settori chehanno beneficiato rispettivamente di 323 e 118 milioni dieuro di investimenti.Per difendere meglio la moneta nazionale, la Banca centraledella Tunisia (BCT) ha aumentato il tasso di interesse diriferimento. E se gli individui e le imprese indebitate sivedranno pagare prossimamente dei tassi di interesseelevati, l’obiettivo è di attenuare la pressione inflazionisticache a luglio 2012 era dell’ordine di 5,6%, e soprattutto diridurre il consumo di prodotti importati e di adattare il tassoreferenziale (il 3,75%) a quello del mercato (il 4% circa)dall'inizio dell'anno.In effetti, una parte dell’inflazione in Tunisia è datadall’effetto della crescita delle importazioni. Questa crescitaavrà il merito di stabilizzare il tasso di interesse del mercatoche ha conosciuto in questi ultimi tempi importanti

Rafforzamento dellacapacità nazionale di

impiego e rilanciodell'investimento

straniero

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fluttuazioni.Ricordiamo anche che il principale messaggio che l’FMI haindirizzato alla Tunisia attraverso il suo ultimo rapporto diceche “il rilancio dell’economia Tunisia si farà alla solacondizione di attuare in maniera sostenuta riformestrutturali, profonde e multidisciplinari, che non coinvolganosolamente l’economia, ma in egual misura la sanità,l’educazione, la giustizia, il mercato finanziario”.Le entrate turistiche hanno raggiunto fino a fine maggio2012 il valore di 924 milioni di dinari (MD), secondo i datiprovvisori della Banca centrale di Tunisia, contro 678,3 MDdello stesso periodo del 2011, realizzando una crescita del36,2%.Le entrate turistiche registrate nel corso dei primi cinquemesi del 2012 rimangono comunque inferiori del 12,4%rispetto allo stesso periodo del 2010, quando avevanoraggiunto i 1.054,4 MD, secondo i dati dell’Ufficio nazionaledel turismo tunisino (ONTT).Dai dati dello stesso Ufficio, risulta che il numero di stranierinon residenti che hanno visitato la Tunisia durante il periodo1° gennaio­30 maggio 2012 è in crescita (48,4%) rispettoallo stesso periodo del 2011.Il mercato magrebino occupa il primo posto tra i mercatistranieri con un aumento del 79,9%.Secondo le statistiche dell’ONTT, i libici sono al primo postotra i turisti che hanno visitato la Tunisia nei primi cinquemesi del 2012, seguiti dagli algerini.Il mercato europeo è classificato secondo. Il numero dituristi europei è in calo rispetto ai primi cinque mesi del2010, registrando un ­28,5%.I mercati europei, considerati per la Tunisia cometradizionali, hanno preservato il loro posizionamento nellaclassificazione dei mercati. Si tratta del mercato francese cheha occupato il primo posto.Sempre in rapporto ai primi cinque mesi del 2011, il numerodi turisti tedeschi, inglesi e italiani è salito rispettivamentedel 100,7% (passando da 49.882 turisti a 100.093).Il turismo americano ha ripreso la sua attività sulladestinazione Tunisia progredendo del 68,1% per stabilirsi a12.366 turisti contro i 7.356 e questo a dispetto di unabbassamento del 20,5% in rapporto ai primi cinque mesidel 2010.Il numero di turisti americani che hanno visitato la Tunisia èsuperiore a quello dei canadesi (8.045 turisti americanicontro 4.435 canadesi).Al contrario, il mercato del Medio­Oriente è in calo nei primicinque mesi dell’anno, dell’81.8rispetto allo stesso periododel 2011. L’afflusso turistico è sceso da 78.378 a 14.285turisti.Secondo gli indicatori dell’ONTT, nello stesso arco temporaledel 2012, il numero di turisti giapponesi è cresciuto del

In rialzo le entrate delturismo

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184,4% rispetto al 2011, raggiungendo i 3.327 turisti controi 1.170 dell’anno precedente.Per meglio comprendere il settore turistico tunisino e la suastoria recente, riporto uno stralcio dell’articolo di DoniaDenguir, “Point de vue Tunisie: la promotion du tourisme oul’art de jeter l’argent par la fenêtre!”, pubblicato daTourismag, a luglio 2012. “Sfidato da lungo tempo dallaconcorrenza egiziana, marocchina e turca, questo settorenon è riuscito a reinventarsi per superare il modello natodopo gli anni ’60. In quel periodo, il più piccolo paese delMaghreb si è concentrato esclusivamente sullo sviluppo deisiti balneari. Tale strategia di crescita ha portato a un’offertaturistica superiore alla domanda, offerta poco diversificatache rende gli hotel troppo legati ai tour operatorinternazionali. Sotto il regno di Ben­Ali, una parte del settoreè caduto in mano al vecchio clan al potere. La logica cheprevaleva era: ‘lasciare fare, lasciar passare’”.La Commissione europea ha adottato un nuovo progetto delvalore di 12 milioni di euro per ridurre le ineguaglianzenell’accesso alla sanità nelle 13 regioni più sfavorite a Oveste a Sud della Tunisia, che rappresentano il 40% dellapopolazione.Di tale progetto beneficeranno direttamente 4 milioni dipersone: facilitazione nell'accesso alle cure di salute di base,crescita della qualità delle cure e delle condizioni diaccoglienza nei centri sanitari. Le azioni principali delprogetto coprono l’acquisto di attrezzature e unrafforzamento delle capacità del Ministero della Salute.L’aiuto alla sanità figura tra le priorità nella cooperazionedell’Ue con la Tunisia. Ciononostante, questo aiuto acquisisceuna dimensione particolare nel contesto della transizionedemocratica in corso nel Paese: appoggiare i servizi di baserappresenta un elemento chiave per sostenere lo svilupporegionale e le popolazioni più deboli, i cui bisogni sono acuiti.Concretamente, i servizi offerti, come gli esami e le visitespecialistiche, saranno allargati e sarà accresciuta la qualitàdelle prestazioni di cure nei centri di salute di base eintermedi.Un altro obiettivo consiste nel ripartire meglio i mezzi tra icentri di salute di base, in particolare le attrezzaturetecniche dei laboratori, dell’oculistica e dell’odontoiatria.Un’attenzione particolare sarà data anche ai servizi diemergenza nelle regioni più periferiche attraverso mezzi ditrasporto d’urgenza appropriati e, infine, alcune risorsesaranno assegnate per meglio pianificare e programmare iservizi medicali attraverso la revisione della carta sanitaria eformazioni adeguate del personale medico.

L’Unione europeasostiene l’accesso alla

sanità in Tunisia

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SCAMBIITALIA­MEDTurchia ­ Torino come apripista del “sistemaItalia”

da Istanbul – Giuseppe ManciniAnche Torino punta sulla Turchia. Le cifre di una crescitainarrestabile anche in una fase di crisi globale – si stima un+3­4% del Pil nel 2012 – e di una presenza in costanteaumento dell'imprenditorialità italiana, hanno spinto ilsindaco di Torino Piero Fassino – accompagnato da ungruppo di funzionari – a una missione dai moltiappuntamenti: prima a Izmir e di seguito a Istanbul, dall'11al 14 settembre.Nella città in riva all'Egeo, candidata a ospitare l'Expouniversale del 2020 e in piena trasformazione urbanistica edeconomica, Fassino ha incontrato il suo omologo AzizKocaoğlu. I due sindaci hanno firmato una lettera d'intentidella durata quadriennale che pone le basi per forme didialogo e di collaborazione in campo culturale, artistico,scientifico, economico e accademico, con particolareattenzione proprio per le trasformazioni urbane, di cui Torinosi propone come esempio virtuoso. Nelle intenzioni, l'intesadovrà favorire anche i reciproci investimenti e gli scambicommerciali tra le imprese dei due territori, di cui hannodiscusso anche rappresentanti delle camere di commercio.Fassino ha trovato la città “viva, dinamica e moderna”, ne haapprezzato i tesori archeologici e i progetti culturali – adesempio, in campo musicale – che fanno ipotizzare progetticongiunti. E ha lanciato l'idea di una collaborazioneistituzionalizzata d'eccellenza tra il Politecnico di Torino el'Istituto di alta tecnologia di Izmir (IYTE).Il programma di Istanbul è stato molto più denso e ricco,anche di appuntamenti internazionali. A Palazzo Venezia,l'antica ambasciata della Serenissima sul Bosforo, il sindacoFassino ha incontrato – nella mattinata del 13 – un centinaiodi rappresentanti dell'imprenditoria italiana attiva in Turchia,alla presenza dell'ambasciatore Scarante, compresi quelli deigrandi gruppi come Unicredit, Fiat, Pirelli, Eni, Astaldi,Ferrero, Finmeccanica, Alenia e Blue Engineering&Design. APalazzo Venezia la delegazione piemontese è tornata poi lasera per un evento enogastronomico di promozioneorganizzato dalla città di Torino (“Torino, una città dascoprire. Cultura, arte, economia, turismo ed innovazione”),a base di filmati, di ricette tradizionali e di vini di qualità. Ilclou è stato però altrove. Fassino, sempre in mattinata, hapartecipato come ospite d'onore alla sessione plenaria delWorld Intelligent Cities Summit (WICS 2012) e ha spiegatoche negli ultimi anni Torino ha radicalmente rimodellato ilterritorio urbano in maniera intelligente, grazie a unatrasformazione insieme economica e sociale che l'ha fattadiventare “un polo d’innovazione industriale, del design,dell’informatica e dell’alta formazione, della cultura e di unaqualità della vita di buon livello”. Ha poi illustrato la visione

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del futuro – apertura internazionale, cultura e sviluppourbano – di Torino Smart City: il programma lanciato nel2011 con l'obiettivo di “migliorare il complesso delleinfrastrutture e dei servizi urbani per raggiungere miglioricondizioni ambientali, massimizzare la connettività eaccrescere le opportunità per tutti i cittadini” (per quantoriguarda l'energia, ad esempio, si punta a ridurre leemissioni di Co2 del 40% entro il 2020).Nel pomeriggio, Fassino si è invece intrattenuto col sindacodella città metropolitana di Istanbul, l'architetto KadirTopbaş: “un incontro cordiale e soddisfacente, ricco disuggestioni interessanti che meritano di essere approfonditee sviluppate. Tra le nostre due città esistono interessi comunie anche la possibilità di favorire scambi e imprese. Hoinvitato il sindaco Topbaş a visitare la nostra città perconoscerne meglio le grandi potenzialità e per dareconcretezza agli obiettivi che oggi abbiamo affrontato”,questo il suo commento; mentre il comunicato stampa delComune menziona opportunità di collaborazione per lavalorizzazione dell’ampio patrimonio artistico e architettonicodelle due città e nel campo della musica, del cinema, dellalirica, dell'arte contemporanea: il tutto facilitato dalcollegamento diretto Torino­Istanbul di Thy (la compagnia dibandiera, nota internazionalmente come Turkish Airlines). Inpiù, il sindaco piemontese ha cercato il sostegno di Topbaşper la candidatura di Torino a Capitale europea dello sportdel 2015: onore che quest'anno spetta proprio a Istanbul.Il giorno successivo, prima del ritorno in Italia, una nuovaribalta internazionale: la presentazione alla sessione delConsiglio generale della Federazione mondiale delle cameredi commercio della candidatura di Torino a ospitarne –sempre nel 2015 – il Congresso mondiale. I concorrenti sonoagguerriti: Ginevra, Liverpool, Belfast; ma le credenzialisono ottime e lo spirito – al di là del possibile successo – èquello giusto: l'idea di crescere come “sistema Italia”all'estero, di cui Torino e le imprese piemontesi voglionoessere sempre più l'avanguardia e gli apripista, ancheconquistando prestigiose vetrine internazionali – unapproccio adottato con entusiasmo proprio dalla Turchia e daIstanbul (che ha beneficiato enormemente dall'entusiasmo edei progetti di quando è stata, nel 2010, Capitale europeadella cultura). Il dinamismo internazionale, insomma, comeantidoto alla crisi: anche sfruttando il partenariato italo­turco– ancora da consolidare e da incrementare – per crearejoint­ventures in grado di guadagnare posizioni sui mercatiemergenti dell'Europa orientale e balcanica, dell'Asia centralee del Medio Oriente, dove gli imprenditori anatolici stannocostruendo le loro invidiabili fortune.

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MED FLASHMed 4 JobsL'Unione per il Mediterraneo sta per lanciarsi in una sfidachiave per la regione: l'emergenza lavoro nei Paesi dellasponda Sud.'L'iniziativa si chiama 'Med 4 Jobs' e sarà sottopostaall'approvazione formale dei 43 Stati membri in occasionedella prossima riunione degli alti funzionari che si terrà aBarcellona, a dicembre'', ha annunciato il segretariogenerale dell'Unione per il Mediterraneo, FathallahSijilmassi, in occasione della sua visita a Bruxelles il 28settembre scorso.''Una delle sfide prioritarie per la regione ­ ha sottolineatoSijilmassi ­ è l'occupazione. E l'azione di Med 4 Jobs saràbasata su tre pilastri: l'occupabilità, l'intermediazione e lacreazione di imprese''.Il primo sarà centrato sulla formazione, il secondo sullamancanza di collegamento rilevata fra domanda e offerta eil terzo sulla possibilità per i giovani non solo di pensare diessere assunti, ma anche di diventare imprenditori di sestessi. Il progetto dedicato al lavoro targato Unione per ilMediterraneo ''non è in un settore previsto dal summit diParigi (del luglio 2008, ndr), ­ aggiunge Sijilmassi ­ marisponde all'attuale contesto della regione e si aggiunge aquelli già previsti, su fronti come ambiente, energia otrasporti'', che proseguono su binari paralleli. ''A Med 4 Jobsstiamo lavorando da un anno ­ ha detto Sijilmassi ­ ecollaboriamo con la European Trading Foundation, che hasede a Torino, una struttura che ha le conoscenze el'expertise adatti''. La stessa Fondazione ha organizzato inGiordania il recente forum sul tema occupazione nel mondoarabo.''I paesi target ­ precisa il segretario dell'Upm ­ sono tuttiquelli membri dell'Unione per il Mediterraneo per la spondaSud. Ma si tratta di un'iniziativa 'ombrello', che a sua voltapotrà generare progetti pilota''.

Italia­Egitto, partner strategiciOttocento le imprese italiane che operano nel Paese. Ledelegazioni italiana ed egiziana hanno firmato sette accordidi cooperazione.In Egitto c’è "una forte domanda di Italia, una generalizzatarichiesta di sostegno e presenza politica, economica eculturale del nostro Paese. Una domanda che farò di tuttoper soddisfare, operando anche per focalizzare unamaggiore attenzione dell’Europa alle aspettative egiziane".Lo ha detto il Ministro degli Esteri, Giulio Terzi. nel suointervento al Business Council italo­egiziano a Roma, allapresenza del Presidente egiziano Mohamed Morsi, in visita

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di Stato, e di una qualificata rappresentanza del mondoistituzionale ed economico dei due Paesi."Il rilancio della crescita e dell'occupazione sono ipresupposti essenziali del processo di stabilizzazionedell'Egitto e dell'intera regione mediterranea", ha spiegatoTerzi (che negli ultimi nove mesi si è recato tre volte alCairo), ricordando poi che "l'Egitto è per l'Italia un partnerassolutamente strategico sul piano bilaterale e regionale"."La Cooperazione italiana sta inoltre per avviare i negoziatiper l'apertura di linee di credito bilaterali, del valore di 45milioni di euro, per lo sviluppo delle PMI egiziane", haricordato Terzi. "Ottocento imprese italiane operano nelPaese. Il Sistema Italia dà lavoro e prosperità a migliaia diegiziani. Ma in questo periodo cruciale per il futuro dellademocrazia della sponda sud del Mediterraneo, taleprivilegiato rapporto economico diventa ancora piùimportante, assume un significato che trascende gli aspetticommerciali e acquista forti connotati politici", ha detto ilMinistro esprimendo l'auspicio che "la dirigenza egizianacontinui nel suo impegno per la protezione degliinvestimenti, la certezza del diritto e la tutela di un climagenerale di sicurezza essenziale per le decisioni delleimprese e l'afflusso di investitori stranieri".Le delegazioni italiana ed egiziana hanno firmato settedocumenti, tra cui una dichiarazione congiunta di ampiorespiro politico sulla cooperazione bilaterale dal PremierMonti ed il Presidente Morsi. I Ministri degli Esteri Giulio Terzie dello Sviluppo economico Corrado Passera hanno firmato,con i loro omologhi egiziani, un piano di azione sullacooperazione economica bilaterale per il periodo 2012­2015,che stabilisce gli ambiti e le modalità della partnership fra idue Paesi ­ affidando così a Farnesina e Ministero per loSviluppo economico la regia condivisa delle iniziative voltesia al rilancio e allo sviluppo ulteriore delle relazionieconomico­commerciali, che alla promozione degliinvestimenti. Terzi e l'omologo egiziano Kamel Amr hannopoi firmato quattro dichiarazioni congiunte che apronoimportanti prospettive di sviluppo in settori come il turismo,lo sviluppo di piccole e medie imprese in Egitto, l'utilizzo diuna parte dei fondi derivanti dalla conversione del debitoegiziano per la costruzione di panifici industriali in Egitto, lacooperazione per la formazione professionale e tecnica. Idue Ministeri degli Esteri hanno infine sottoscritto unaccordo che definisce in dettaglio le iniziative concrete dellaseconda fase di un rilevante progetto di assistenza italianaall'Egitto per lo sviluppo del settore ferroviario.(Fonte: ItalPlanet)

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Ice+Simest per rilanciare imprese all'esteroIn base all’accordo siglato a Roma, Simest entro il mese diottobre trasferirà il proprio ufficio di Milano presso la sedemilanese dell’ICE.Due istituzioni tradizionalmente al servizio dell'inter­nazionalizzazione del Sistema Italia lavoreranno insiemecostituendo un punto di riferimento sinergico per le impreseitaliane che vogliono affrontare i mercati internazionali. Èquanto stabilito nell’accordo siglato a Roma con il qualeSimest trasferirà il proprio ufficio di Milano presso la sedemilanese dell’ICE­Agenzia per la promozione all’estero el’internazionalizzazione delle imprese italiane.“È un deciso passo in avanti in direzione di quel SistemaItalia che consentirà alle imprese del Nord di trovare nellostesso luogo, la nostra sede di Milano, uno sportello per iservizi e i finanziamenti all’internazionalizzazione”, hacommentato il Presidente dell’Agenzia ICE, Riccardo Monti.“Questa intesa va considerata all'interno di un più ampioprogramma di razionalizzazione di tutte le strutture disupporto all'internazionalizzazione, programma che stavedendo la sistematica integrazione all'interno di una vera epropria ‘Casa Italia’ di tutti i pezzi del nostro SistemaIstituzionale”.Strategica la scelta della sede milanese dell’Agenzia ICE che,grazie alla presenza del personale Simest, potràrappresentare un supporto fondamentale per l’importanterealtà economica del Nord Italia e in particolare dellaLombardia, principale regione esportatrice del Paese: oltre60 mila il numero degli operatori con l’estero, 104 miliardi dieuro il valore delle merci esportate, con un incremento parial 10,8% registrato nel corso del 2011 rispetto all’annoprecedente.“La nostra presenza presso gli Uffici dell’Agenzia ICE diMilano ­ ha aggiunto Massimo D’Aiuto, AmministratoreDelegato di Simest ­ consentirà una maggiore sinergia atutto vantaggio delle imprese lombarde che sosteniamo eaffianchiamo con i nostri strumenti e servizi di assistenzaspecialistica. Siamo certi, infatti, che la collaborazione con lanuova Agenzia ICE sarà sempre più proficua e che potràdare maggiore impulso allo sviluppo dei progetti diinternazionalizzazione delle aziende del territorio”.A testimonianza della volontà di accelerare il rilancio deiservizi a sostegno delle imprese che si vogliono radicare suimercati esteri, la nuova sede di Simest presso l’Ufficio diMilano dell’Agenzia ICE sarà operativa entro il prossimomese di ottobre.

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Incontri d’affari Euro­MediterraneiMarsiglia, Palais des Congrès ­ 22­23 novembre

“Le energie rinnovabili applicabili nelle costruzioni e leeconomie d’acqua nelle abitazioni residenziali” sarà latematica al centro della XII edizione degli “Incontri d’AffariEuro­mediterranei”, organizzata dalla Camera di CommercioItaliana per la Francia di Marsiglia, che si terrà il 22 e 23novembre prossimo nella città francese, al Palais desCongrès presso il Parc Chanot.Focus dei seminari e conferenze saranno: l’edilizia/eco­costruzione, l’efficienza energetica e le attrezzature dimisura e gestione dei consumi. Inoltre, nella due giorni dimanifestazione, sono previsti più di 500 incontri B2Bdestinati ai 120 operatori attesi (imprese, laboratori diricerca, clusters) provenienti da Algeria, Belgio, Egitto,Francia, Germania, Grecia, Israele, Italia, Marocco, Spagna,Svezia, Tunisia e Turchia.L’evento si svolgerà in parallelo alla IV edizione di “ÉcobatMéditerranée”, salone professionale sull’eco­costruzione,l’innovazione e la performance energetica nel Mediterraneo,ed è patrocinato dal “Conseil Régional Provence Alpes Côted’Azur” e dal “Conseil Général des Bouches du Rhône”.More info here

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CRISI ED ECONOMIAMEDITERRANEAEssere competitivi anche in tempi di crisi

da Istanbul, Giuseppe ManciniContinua l’inchiesta di DevelopMed sull'internazionaliz­zazione in tempo di crisi. In questo numero ospitiamol’intervista alla Pirelli, in Turchia dal 1960, oggi con lafabbrica più grande del gruppo in un’area che considera“strategica”.Nel 2011, l'interscambio tra l'Italia e la Turchia ha segnatoun significativo balzo in avanti: 21,3 miliardi di dollari intotale e 28% in più rispetto al 2010 (export: 13,45 miliardi,+32,6%; import: 7,85 miliardi, +20,7%), con la confermadel quarto posto tra i partner commerciali di Ankara. Gliinvestimenti sono in costante aumento (110 milioni di dollarinel primo semestre del 2012, +189% rispetto all'analogoperiodo dell'anno precedente), le imprese attive in Turchiasono ormai quasi mille; l'ufficio commerciale della nostrarappresentanza diplomatica sta realizzando un'indispensabilemappatura della presenza italiana in Turchia, i cui contorni almomento non sono sufficientemente chiari: le cifreperiodicamente fornite dalle istituzioni italiane e turche,infatti, non sempre concordano.Per dar conto di questa variegata presenza, abbiamopensato di realizzare una serie di interviste con alcuneaziende del nord­ovest: sia alcune che da più decennioperano in Turchia, sia altre appena arrivate; sia grandicolossi industriali, sia piccole e medie imprese. L'obiettivo èdi mostrare come le imprese internazionalizzate – ma nonsenza difficoltà – resistono meglio alla crisi: come la Pirelli,impiantata a Izmit (sul mare di Marmara non lontano daIstanbul, l'antica Nicomedia) dal 1960, il cui ChiefCommercial Officer – Andrea Pirondini – ha gentilmenterisposto alle nostre domande.In un periodo difficile come questo, qual è la strategiadi un’azienda internazionale come Pirelli per resisterealla crisi?Sono due le strade che Pirelli ha percorso – già da tempo –per essere competitiva sui mercati mondiali, anche in unoscenario di difficoltà: da un lato, rafforzare la presenzaindustriale nelle economie a rapido sviluppo seguendo unalogica “local for local” che adegua la produzione alla tipologiadella domanda della regione, beneficiando inoltre di minoricosti logistici, assenza di dazi doganali e oscillazionivalutarie; dall’altro la focalizzazione del prodotto sulsegmento alto di gamma e a elevato contenuto tecnologico.Una strategia che ha già dato importanti risultati – nel 2011Pirelli ha registrato ricavi pari a 5.654,8 milioni di euro, increscita del 16,6% rispetto al 2010 – e che ha posto le basiper la conquista della leadership mondiale nel “segmentoPremium” (pneumatici ad alta performance per leautovetture di fascia alta) entro il 2015.

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In quali paesi Pirelli ha deciso di investire?Il piano di sviluppo internazionale di Pirelli prevede lafocalizzazione nei paesi ad alto potenziale di crescita,soprattutto nel segmento Premium. È in questa direzioneche si inseriscono i progetti di espansione in Russia, inMessico e in Indonesia. In Russia Pirelli ha già investito 222milioni e altri 200 sono previsti entro il 2014 per ilmiglioramento dei siti produttivi e lo sviluppo del business.In Messico, paese sbocco per tutto il mercato dell’areaNafta, ha inaugurato una delle fabbriche del gruppotecnologicamente più avanzate, con un investimentocomplessivo di 400 milioni di dollari al 2017. In Indonesia,inoltre, saranno investiti 90 milioni di dollari per unafabbrica di pneumatici moto da 7 milioni di pezzi l’anno aregime.Parliamo della Turchia. Da quanto tempo sietepresenti nel paese?Pirelli è presente in Turchia dal 1960, a Izmit, con unostabilimento industriale che produce otto milioni di pezzil’anno. Oggi è la fabbrica più grande del gruppo, nonchéquella che dal 2011 realizza circa 50mila pneumatici per laFormula uno, oltre che una linea per pneumatici truck e unaauto. Il polo industriale, che comprende uno stabilimentosteel­cord (cordicelle d'acciaio per pneumatici), è attivo daoltre venticinque anni e si estende su una superficie di 340mila metri quadrati, impiegando 1.800 persone.Perché Pirelli ha deciso di investire in Turchia?Per Pirelli la Turchia rappresenta un’area strategica. Ilgruppo, nell’ultimo decennio, vi ha infatti investito circa 170milioni di euro: e la produzione della fabbrica di Izmitrifornisce i principali mercati europei e il Medio Oriente.Quali sono gli obiettivi di Pirelli in Turchia?L’obiettivo di Pirelli è di continuare ad avere una presenzaforte nel Paese e la scelta di produrre a Izmit i pneumaticiper la Formula 1 ne è la dimostrazione: un lavoro svolto insinergia con il centro preparazione gomme sportive Pirelli diBurton on Trent, nel Regno Unito.E i risultati?Nell’area Mea (Medio Oriente e Africa), cui appartiene lostabilimento turco, Pirelli punta a variare la capacitàproduttiva a favore del “segmento replacement” (lasostituzione degli pneumatici delle vetture già incircolazione), a migliorare il mix produttivo e a rafforzare lavendita retail. Al 2014 Pirelli prevedere ricavi nell’area pari acirca 600 milioni di euro dai 530 del 2011, con una crescita

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media annua pari al 4%.Quali sono i benefici e gli svantaggi dell'operare inTurchia?La posizione geografica vantaggiosa, uno snodo tra i paesidel Mediterraneo, la Russia e l’Asia centrale, è certamenteun elemento importante da considerare. A rendere attraenteil Paese sono anche le misure recenti avviate dal governoper attrarre gli investimenti stranieri come zone franche,assenza totale di tassazione sui redditi societari e personali,dazi azzerati, la creazione di distretti industriali destinati allaproduzione di prodotti ad alto contenuto tecnologico. Unrischio è sicuramente quello dell’oscillazione valutaria:nell’ultimo periodo l’inflazione è stata alimentata dallasvalutazione della lira turca che ha causato un’impennatadei prezzi dell’energia, pagata in dollari.Come valuta l'andamento dell'economia turca?La Turchia è un paese che sta vivendo un rapido processo dimodernizzazione, con una economia effervescente che nel2011 ha registrato una crescita dell’8,5% ­ una delle più alteal mondo – e nel 2012, secondo le previsioni del Fmi,dovrebbe continuare a crescere con un tasso intorno al 3%,nonostante il momento difficile.

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CRISI ED ECONOMIAMEDITERRANEA2020. La sfida tunisina

Claudio TocchiNegli ultimi mesi diverse missioni private e istituzionalihanno visitato il paese, rinnovando le relazioni esistenti estringendo nuovi accordi economici. Develop.Med haintervistato l'ing. Alfredo Cestari, Presidente della Camera diCommercio ItalAfrica Centrale, di ritorno da una missione dicinque giorni a Tunisi e Gabes all'inizio di settembre, e MarioMaggiani, direttore di Assocomaplast, anche luirecentemente impegnato in una missione commerciale contappa a Tunisi e a Sousse.Miliardi di euro di investimenti per un programma ambizioso:diventare, entro il 2020, l'hub di raccolta di export einvestimenti europei diretti a tutto il Maghreb e AfricaCentrale. Così il nuovo governo tunisino intende rilanciarel'economia del paese dopo la “rivoluzione dei gelsomini”. Frai partner economici principali della Tunisia troviamo l'Italia,secondo partner commerciale per interscambio dopo laFrancia (con 5,7 miliardi di euro nel 2010 e 5,6 nel 2011,l'anno della rivoluzione) e primo nel 2011 per investimentidiretti esteri (dati MAE).Non a caso negli ultimi mesi diverse missioni private eistituzionali hanno visitato il paese, rinnovando le relazioniesistenti e stringendo nuovi accordi economici. Develop.Medha intervistato l'ing. Alfredo Cestari, Presidente della Cameradi Commercio ItalAfrica Centrale, di ritorno da una missionedi cinque giorni a Tunisi e Gabes all'inizio di settembre, eMario Maggiani, direttore di Assocomaplast (Associazionenazionale costruttori di macchine e stampi per materieplastiche e gomma), anche lui recentemente impegnato inuna missione commerciale con tappa a Tunisi e a Sousse.

Spazio alla liberalizzazionePartiamo dalla recente missione di ItalAfrica inTunisia. Quali sono stati i passaggi che hanno portatoa questo incontro? Da chi è partita l'iniziativa?La Camera di Commercio ItalAfrica Centrale è stata invitatadalle Istituzioni tunisine persuase dalla necessità dipresentare il nuovo corso del governo della Nazione alsettore privato straniero, italiano in particolare. All’indomanidella rivoluzione hanno inteso, sin da subito, recuperare ilrapporto con il nostro paese. Ci hanno chiamati ed abbiamorisposto, con convinzione. Il Governatore di Gabes è statomolto esplicito nel chiedere la ripresa dei rapporti tra leimprese italiane e quelle tunisine. In generale, si sono dettipronti a costruire condizioni di investimento particolarmentefavorevoli.C’erano stati in precedenza contatti con il Governo diBen Alì? Se sì, ha incontrato delle differenzeimportanti nel modo di lavorare, nei partner di

ITW con Alfredo Cestari,Presidente della Cameradi Commercio ItalAfrica

Centrale

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riferimento, negli interlocutori istituzionali? Com’èl’ambiente di investimento a Tunisi e nel resto delPaese?Con il vecchio governo intercorrevano normali rapportiistituzionali che stentavano a maturare a causa di logiche edinamiche interne ben consolidate, definite e nonpredisposte al mutamento. Oggi registriamo una ventata dientusiasmo e fiducia, una volontà di eliminare leincrostazioni burocratiche e la corruzione che, storicamente,hanno mantenuto quel Paese nell’immobilità nonostante lacrescente pressione della popolazione per una gestionedemocratica e moderna delle istituzioni e per unapartecipazione attiva nei processi decisionali. Prima gli affarierano un fatto ‘privato’ di pochi, i rapporti con l’esterno e ledecisioni erano gestiti in un numero ristretto di stanze adiscapito della libera iniziativa e, in generale, della libertà.Adesso l’ambizione si chiama ‘liberalizzazione’. Chi ha avutoa che fare con la vecchia Tunisia non ha difficoltà ariconoscere, oggi, il nuovo corso. L’intenzione del governo èdi eliminare le condizioni, oggettive e soggettive, cheavevano trasformato quello tunisino in un ambientegeneralmente ostile all’iniziativa imprenditoriale occidentale.La Tunisia intende diventare, entro il 2020, l’hub dicollegamento tra Europa e Africa nord e centrale. Siparla di investimenti nell’energia e nelleinfrastrutture: di che portata? Ci sono già piani, cifre,bandi di gara? Quali potrebbero essere le opportunitàper le aziende del nostro Paese?Il Governo sta creando le condizioni perché le potenzialitàgeografiche in termini di piattaforma logistica al serviziodelle aree sub­sahariane siano espresse pienamente entro il2020. Per questo ha pianificato massicci interventi nelsettore delle infrastrutture e dei collegamenti: non esistonotratte aeree con l’Africa centrale né una sistematicità dicollegamenti con l’Europa; non sono state mai costruitesufficienti reti stradali, autostradali e ferroviarie; non c’è maistato un piano di utilizzo e valorizzazione dei portistrategicamente affacciati sul Mediterraneo. Per colmarequeste lacune il Governo ha previsto investimenti permiliardi di euro da utilizzare al fine di dotare il Paese anchedi una rete efficiente di impianti di produzione di energia dafonti rinnovabili. In tale strategia un ruolo fondamentale lorivestono gli organismi sovranazionali come l’Ue, la Bad(Banca Africana di Sviluppo), la Banca Mondiale e la Bei(Banca Europea degli Investimenti) a cui è demandato ilcompito di emanare bandi per lo sviluppo di aree emergenti.In relazione alla triennalità in corso, la Tunisia esprime unacapacità strutturata di tradurre concretamente questeopportunità. In tali dinamiche le aziende nostrane potrannorivestire una funzione­chiave. L’Italia ha il vantaggio dellacontiguità territoriale: a un’ora di aereo o dopo una brevetraversata in nave, uomini e merci sono a Tunisi.

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ItalAfrica ha firmato, con il suo partnerFinance&Planning, tre protocolli di accordo. Qualisono gli aspetti concreti? Quali gli step successivi? Cisono già accordi preliminari con alcune aziende? Puòdirci qualcosa sulle tempistiche?Così come da intese sottoscritte, Finance&Planningaccompagnerà le Istituzioni tunisine nella pianificazione deibandi e nella ricerca dei relativi finanziamenti assicurando larealizzazione di tutto l’iter: dalla programmazioneprogettuale ai rapporti con le banche fino allarendicontazione ultima di ogni singola iniziativa. Costruito ilcontesto di investimento, tante aziende italiane potrannopartecipare alle gare per la costruzione/ristrutturazione dellereti elettriche, di strade, ferrovie, infrastrutture in genere.F&P fungerà da link con esse.Alcuni mesi fa anche PROMOS di Milano aveva firmatoalcuni accordi con la Camera di Commercio di Tunisi.Sembra che in molti si stiano interessando allepossibilità di investimento nel paese maghrebino – sitratta di azioni coordinate? Stiamo riuscendo, inqualche modo, a “fare sistema”?Ad oggi non c’è un coordinamento di azioni. ItalAfricaconosce le attività di Promos, Promos conoscel’intraprendenza di ItalAfrica: l’auspicio è di riuscire adoffrire, già dal prossimo futuro, un panorama non dispersivodi iniziative dello stesso genere. Il problema è comunquecomplessivo e riguarda le azioni non unitarie di enti edistituzioni italiane con competenze simili. Evitandoframmentazioni si risparmierebbero risorse, energie, tempoe si trasmetterebbe un’immagine migliore del Paese. Con unproficuo coordinamento ed una sapiente regia sieviterebbero gli errori del passato.ItalAfrica ha in vista missioni o accordi con leassociazioni di altri Paesi nordafricani?Nel 2013 ItalAfrica ha realizzato missioni imprenditoriali eha firmato accordi e protocolli di intesa in Libia e Tunisia.Entro l’anno conferiremo ulteriori contenuti a tali iniziativeaprendo uffici operativi nelle capitali e nelle altre maggioricittà. Stiamo interloquendo con i Governi del Marocco edell’Algeria. Prossimamente saremo lì con i nostriimprenditori associati.

Importanti segnali di ripresaPartiamo dalla missione in Tunisia: come si è svolta?La nostra delegazione, composta dei rappresentanti diquattro grandi realtà italiane del settore, si è mossa sulterritorio tunisino toccando Tunisi il 25 settembre e Sousse

ITW con MarioMaggiani, direttore di

Assocomaplast(Associazione nazionale

costruttori di macchine estampi per materieplastiche e gomma)

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(la città più importante del paese per la lavorazione e ilriciclaggio di materie plastiche, NdR) il 26 settembre. Ilformat prevedeva presentazioni tecnico­commerciali delleultime novità da parte dei produttori italiani in mattinata,seguite poi da incontri B2B, preparati insieme all'Ufficio IDEdi Tunisi, nel pomeriggio.Questa missione rappresenta una novità nei rapporticon il paese nordafricano?Affatto. Assocomaplast ha rapporti da quasi venti anni con lanostra controparte industriale, la Chambre SyndicaleNationale des Fabricants Transformateurs de Plastique, che èaffiliata all'UTICA, la Confindustria tunisina: venti anni dimissioni divulgative, seminari tecnici e proficui scambi diknow­how fra i due paesi. Più recentemente, poi, abbiamoiniziato a collaborare anche con la FIPA (Foreign InvestmentPromotion Agency, l'Agenzia per la Promozione degliinvestimenti esteri).La Tunisia rappresenta un mercato così importanteper il vostro settore?In termini assoluti no, non si tratta di volumi fondamentali. Imacchinari dei nostri produttori, costruiti seguendo lemigliori e più innovative tecnologie, sono molto cari per unmercato come quello tunisino. I macchinari usati, d'altraparte, hanno un discreto successo.Di che cifre stiamo parlando?Nel 2011, un anno difficile per via della rivoluzione e delprocesso di transizione, abbiamo esportato in Tunisiaprodotti per 11,7 milioni di euro. Quest'anno osserviamo giàimportanti segnali di ripresa, tanto che nei primi sei mesi del2012 abbiamo già raggiunto i 9 milioni di euro di export, unlivello paragonabile a quello precedente la rivoluzione (21milioni complessivi nel 2010).Nel complesso, non si tratta di numeri eccezionali: leesportazioni totali del settore, nel primo semestre del 2012,hanno superato il miliardo di euro (1,23); la Germania, ilprimo paese importatore dei nostri prodotti, acquista beniper oltre 180 milioni di euro.Però, anche se la Tunisia non rappresenta un mercatoprimario in termini assoluti (in Nord Africa è il secondo dopol'Egitto, 21 milioni di euro di export nel 2011, 8,9 nei primisei mesi del 2012), possiamo dire che, fatte le debiteproporzioni fra le dimensioni delle economie considerate, intermini relativi il mercato tunisino assorbe una quantitànotevole di prodotti italiani.Quanto è forte il “made in Italy” in questo paese?Abbastanza. Nostri diretti concorrenti sono i francesi, primidel settore, il cui volume d'affari nel 2011 era di 15 milioni

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di euro. Si tratta, quindi, di cifre assolutamenteparagonabili. Diciamo che, su una platea di 500 possibiliacquirenti, le nostre aziende ne servono un 15/20%: grossomodo di un centinaio di aziende.Inoltre è importante sottolineare che le aziende italiane,oltre a garantire un'alta qualità dei propri prodotti, sono ingrado, proprio per gli storici contatti fra i due paesi, diassicurare servizi post­vendita, fra cui un'assistenza tecnicadi primo livello nella maggior parte dei casi. La geografia inquesto caso ci aiuta: da Milano a Tunisi si impiega meno didue ore di aereo, e le zone industriali sono più o meno tuttesulla costa.Nei mesi scorsi il governo tunisino ha espresso ildesiderio di diventare un hub di investimenti edesportazioni dall'Europa verso tutto il Nord Africa el'Africa Centrale. Questo interessa in qualche modoanche il vostro settore?Solo relativamente. Come ricordavo precedentemente, leaziende del nostro settore vendono beni strumentali, lemacchine per produrre altri oggetti, per intendersi. I nostriproduttori si rivolgono prevalentemente a quei trasformatoriche operano nell'auto motiv o che producono per il mercatoeuropeo e hanno bisogno di garantire determinati standardqualitativi. Si tratta di macchinari che richiedono lavoratoricon un'altissima specializzazione tecnica che facciamo faticaa reperire anche in Italia, e che sarebbe difficile trovare inpaesi come la Tunisia. Diverso il caso di chi, utilizzando lenostre macchine, produce beni di consumo per i mercatilocali: in questo caso ci sono molti esempi diinternazionalizzazione e investimenti diretti in paesiinteressanti economicamente come la Tunisia.Gli investimenti non hanno risentito dei recentisconvolgimenti e del periodo di transizione?Non necessariamente. È vero che molti industriali,soprattutto tunisini, hanno sospeso gli investimenti piùgrossi, in attesa che la situazione politica si stabilizzidefinitivamente. Ma non si tratta di un vero e proprio stopdefinitivo, solo di un atteggiamento più prudente vista lasituazione generale.La Tunisia paga un prezzo alto per il rinnovo dellapropria classe dirigente?Solo in parte. Diciamo che, in molti casi, a cambiare sonostati i dirigenti più in alto nelle associazioni nazionali di uncerto livello. Ma i nostri interlocutori a livello locale sonorimasti spesso gli stessi di prima.

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CRISI ED ECONOMIAMEDITERRANEAInternazionalizzazione: un tavolo comuneRegioni­UnioncamereFerruccio Dardanello: “La Cabina di Regia può costituire unvalido momento di sinergia fra tutte le forze in campo:Ministero per lo Sviluppo economico, nuova Agenzia ICE,Ministero per gli Affari Esteri, mondo della rappresentanzad’impresa”.Mettere a fattor comune le esperienze già esistenti, renderleancora più sistematiche ed efficaci, anche per poterrappresentare alla Cabina di Regia nazionale una posizionecondivisa sulle priorità, le strategie e le risorse da mettere incampo. Questo l’obiettivo dell’incontro che si è tenuto il 26settembre tra rappresentanti del sistema camerale edesponenti delle Regioni, sotto la guida del Presidente diUnioncamere, Ferruccio Dardanello, e di Gian Mario Spacca,Presidente della Regione Marche e coordinatore perl’internazionalizzazione della Conferenza delle Regioni.“Parte, oggi ­ ha detto il Presidente Dardanello ­ un percorsoche porterà i nostri sistemi ad accrescere la collaborazionenello spirito della Convenzione siglata tra Conferenza delleRegioni e Unioncamere che ha tra le sue priorità il temadell’internazionalizzazione. La Cabina di Regia può costituireun valido momento di sinergia fra tutte le forze in campo:Ministero per lo Sviluppo economico, nuova Agenzia ICE,Ministero per gli Affari Esteri, mondo della rappresentanzad’impresa. Da parte del sistema camerale siamo attivi inmaniera massiccia su tre fronti: la realizzazione di oltre1.200 iniziative all’anno sui mercati internazionali; laprogrammazione di interventi condivisi con il sistemaassociativo locale, con le Regioni e con tutte le altre forzeimprenditoriali; la prossimità con il territorio, proprio perrispondere alla domanda delle PMI. A questo proposito è infase avanzata di realizzazione il progetto di costituzione ­presso ogni Camera di Commercio ­ di sportelli di assistenzae di informazione specializzata, rivolti non solo alle 211milaimprese che già operano sui mercati esteri, ma anche alle70mila aziende che non lo hanno mai fatto ma sarebberopronte a farlo, con lo scopo di consolidare la presenza delleprime sui mercati internazionali e di avviare l’attività fuoriconfine per le seconde”.“In questa fase di particolare difficoltà ­ ha aggiunto ilPresidente Spacca ­ è necessario rendere operativa econcreta al massimo la strategia di internazionalizzazione:una delle poche opportunità di crescita per le imprese. Lasinergia tra Regioni e Camere di Commercio era stata giàsancita dalla sottoscrizione di un accordo di collaborazioneche ha già prodotto i primi risultati: Piemonte, Liguria,Veneto e Umbria hanno creato società miste con le Cameredi Commercio; Lombardia, Emilia Romagna e Marche hannoavviato accordi di programma. L’obiettivo ora diviene ancorapiù ambizioso: portare un numero sempre maggiore di

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imprese, soprattutto micro e piccole, sui mercatiinternazionali".Gli investimenti realizzati da Regioni e Camere di Commercioper il sostegno all’internazionalizzazione oltrepassano i 200milioni di euro: si tratta del maggior intervento fatto inquesto settore a livello nazionale. Ora si vuole rafforzareulteriormente questo impegno, integrando ancor più leRegioni con le Camere di Commercio e rendendo più fortequesta strategia di internazionalizzazione: è stata costituitauna “unità operativa” in cui costruire progetti comuni,focalizzandoci su promo­commercializzazione, assistenzatecnica, investimenti diretti esteri, fondi strutturali europei,valorizzazione del territorio e comunicazione alle imprese.Rafforzando la collaborazione tra Regioni e Camere diCommercio non solo a livello nazionale ma anche sui singoliterritori e su logiche interregionali. Tutto questo avendosempre al centro l’impresa.(Fonte: ItalPlanet News)

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SVILUPPO EPARTENARIATOEUROMEDFunding Arab Reform?

by Richard YoungsSince the beginning of the Arab revolts, Europe’s use ofdevelopment funding specifically to advance democraticreform has been closely scrutinized.The EU and memberstate governments have committed increased amounts ofdemocracy support. This policy brief uncovers what hasbeen achieved through the EU’s democracy­related aid sincerevolution hit Tunisia and explains why European funds stillfall short of maximizing their potential boost to Arabdemocratization.Dall'inizio delle rivolte nei paesi arabi, l'uso da partedell'Unione europea dei finanziamenti allo sviluppo persostenere le riforme democratiche è stato attentamentevagliato dagli osservatori. Sia l'Unione che i singoli statimembri si sono impegnati ad aumentare le somme destinateal supporto dei processi di transizione democratica. QuestoPolicy brief affronta i temi dei risultati raggiunti dall'Unioneeuropea attraverso gli aiuti già stanziati e spiega perché talifondi siano ancora ben lontanti dall'ottenere i risultatimassimi nel sostenere i processi di democratizzazione neipaesi arabi.

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SVILUPPO EPARTENARIATOEUROMEDUPM: cooperazione regionale e crescitaeconomia Nord­SudIl 2013 sarà l'anno del decollo per i progetti regionali targatiUnione per il Mediterraneo. Lo ha detto il segretario generaledell'Upm, Fathallah Sijilmassi, a margine della riunione deglialti funzionari dei 43 Paesi a Bruxelles.''Per noi il 2013 ­ ha affermato Sijilmassi ­ è l'anno in cui idiversi progetti sui cui stiamo lavorando, da uno a due anni,cominceranno a vedere la luce, uno dopo l'altro. Siamomolto concentrati sul fatto di far uscire questi progetti''.Quelli che hanno già ottenuto il 'marchio' formale dell'Upm''attualmente sono undici ­ ha precisato il segretariogenerale ­ e per fine anno ce ne saranno quattro o cinque inpiù, ma in tutto lavoriamo con una sessantina di progetti inpista'', che poi saranno sottoposti alla selezione. A puntaresu iniziative a livello regionale non sono solo i Paesi del Suddel Mediterraneo, ma anche quelli del Nord.''Quello che sto constatando ­ ha spiegato Sijilmassi ­ è chevedo un crescente interesse da parte dei Paesi allapresentazione di progetti di cooperazione regionale, inclusiPaesi del Nord''. Perché secondo Sijilmassi il ''valoreaggiunto'' dell'Unione per il Mediterraneo è il fatto che sial'unica organizzazione che riunisce insieme Nord e Sud delbacino. ''Non vogliamo la duplicazione di iniziative bilaterali'',ha detto il segretario generale, secondo cui ''l'integrazionenella regione del Mediterraneo è debole e l'Upm èl'istituzione che incarna questa cooperazione, perché eèSude Nord insieme, questo è il valore aggiunto rispetto alle altreorganizzazioni''.Per Sijilmassi ''la cooperazione regionale è la vera risposta aiproblemi che affrontiamo nei Paesi del Sud, in termini dicrescita e sviluppo di occupazione. Perché uno o due punti dicrescita in più nei paesi del Sud e perché no, anche nei Paesidel Nord, arriveranno dall'integrazione regionale''. ''Perquesto ­ ha concluso il segretario generale ­ dobbiamo agireconsiderando queste potenzialità: è da questo punto di vistache vediamo la capacità di intervento dell'Upm''.

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APPROFONDIMENTILa crisi iraniana nel contesto deisommovimenti in Medio Oriente

Ambasciatore Angelo TravagliniIl confronto diplomatico sulla vexata quaestio delprogramma nucleare iraniano tra la Repubblica islamica e icinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delleNazioni Unite + la Germania continua, seppure con estremadifficoltà. Nuove prese di contatto sono annunciate a riprovadi una verità: nessuno dei partecipanti alla spinosa trattativadesidera rompere il rapporto nel timore che da ciò conseguaquel che tutti temono ovverossia una confrontation militaredalle gravissime incidenze.A differenza però dei precedenti round negoziali, in esito aiquali si era registrata una sostanziale unità di intenti tra legrandi Potenze, la trattativa attualmente in corso deve fare iconti non solo con la risoluta volontà iraniana di nonrinunciare a un suo diritto ritenuto conforme ai dispositivi delTrattato di non­Proliferazione nucleare, ma anche a piùvisibili divergenze tra i quattro Paesi dello schieramentooccidentale da una parte e la Russia e la Cina dall’altra,apertamente ostili quest’ultime al crescendo di sanzioniunilateralmente imposte dall’Occidente, volte a colpire igangli vitali dell’economia iraniana. L’effetto di tali sanzioni èdi rafforzare le pulsioni nazionalistiche, rendendo più miserala vita dei cittadini ordinari in un quadro economico internoindebolito da un calo complessivo dell’export di beni,energetici e non, una vistosa perdita del potere d’acquistodella valuta nazionale, una preoccupante diminuzione delleriserve valutarie, un forte aumento dell’inflazione e unestendersi della disoccupazione, soprattutto giovanile.La contrapposizione tra i due schieramenti appare dunquepiù netta e il dialogo, seppur improntato a tratti di apparenteeffusiva cordialità, tende a incresparsi all’indomani delbrutale cambio di regime prodottosi in Libia, ferita apertasinel dialogo e non più riassorbitasi, e a fronte di nuovesituazioni di crisi in Medio Oriente sempre meno gestibili edifficilmente inquadrabili in quella “Primavera araba” che neisuoi stadi iniziali aveva lasciato presagire prospettive dicrescita civile e democratica in una regione per conversopreda al momento attuale di fenomeni destabilizzanti dagliimprevedibili sviluppi. Il clima di diffidenza e lo spessore deicontrasti hanno creato le condizioni perché profonde rivalità,quali quelle esistenti fino a un non lontano passato tra laCina e la ex­Unione Sovietica e tra la Cina e l’India,venissero superate e messe in sordina dalla esigenza,considerata preponderante dagli attori interessati, di creareun fronte comune di contrasto all’Occidente cui oraaderiscono Russia, Cina, India, Brasile e Sud Africa (BRICS).Tali sbocchi sarebbero apparsi impensabili fino a un temporecente mentre attualmente, alla luce delle divergenzegradualmente aggravatesi, tendono a rafforzarsi e a divenireirreversibili.

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Il dossier iraniano costituisce uno dei punti sui quali ladifferenza di vedute appare più patente. Di questo l’ultimoesempio è dato dalle recenti posizioni russe secondo cui ilprogramma nucleare iraniano “non denota elementi chefacciano pensare a una sua dimensione militare”. Ilcrescendo di sanzioni unilateralmente imposte dal fronteoccidentale volte a isolare l’economia della Repubblicaislamica dal sistema degli scambi internazionali, ha altresìsortito come ulteriore effetto quello di accrescere le difficoltàe l’irritazione di quei Paesi, in primis asiatici, interessati amantenere consolidate relazioni di collaborazione proficuacon l’Iran, in ogni caso riluttanti ad accedere a una seriecontinua di sanzioni imposte al di fuori del quadro delleNazioni Unite.Il vertice dei Paesi Non­Allineati, svoltosi a Teheran alla finedi agosto, ha rappresentato la prova visibile di come il tantoconclamato isolamento dell’Iran non corrisponda in largamisura alla realtà. In effetti, un cospicuo numero di Capi diStato e di governo (ben trentasei) e delegazioni ad altolivello dei 120 Paesi membri di un’organizzazione inferiorecome consistenza numerica solamente all’AssembleaGenerale dell’ONU, ha ritenuto di prendere parte all’evento,unitamente a inviati speciali dei Capi di Stato russo e cinese.Tra le figure di maggiore spicco presenti figuravano ilSegretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki­moon, ilPrimo Ministro egiziano Mohammed Morsi (dopo un’assenzadi contatti ufficiali che durava da più di trent’anni) e il Capodel Governo indiano Manmohan Singh. Significativamentenumerosa è apparsa la presenza delle delegazioni africane,fiduciose di poter contare sulla nuova Presidenza iranianadel Movimento per conferire rinnovato impeto alla lorobattaglia per ottenere una riforma del Consiglio di Sicurezzache contempli l’assegnazione all’Africa di due seggipermanenti con diritto di veto. Approdo cui tende del restoda tempo la diplomazia iraniana per la quale una dellecondizioni essenziali per la pace e una più affidabile stabilitàdel quadro internazionale risiede in una “maggioredemocratizzazione” delle relazioni tra Stati e in una migliorerappresentatività della struttura societaria.Il comunicato finale adottato al termine dei lavori protrattisiper tre giorni, oltre a contenere il riconoscimento del dirittoper ogni Paese all’uso pacifico dell’energia atomica, hainoltre mostrato elementi di comprensione delle tesi iranianenella misura in cui in esso non solo si condanna il sistema disanzioni unilateralmente imposto, che di per sé costituisceun vulnus alla credibilità delle Nazioni Unite, ma altresì siesprime l’auspicio che si possa pervenire in futuro allacreazione di un Medio Oriente libero dalle armi atomiche(“nukefree”), ponendo termine all’anomalia di una potenzanucleare, Israele, unica nella regione, tuttora al di fuori delTrattato di non­Proliferazione nucleare e di ogni forma dicontrollo da parte degli enti internazionali, che a tutt’oggi

Vertice dei Non­Allineatia Teheran

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non ritiene né di confermare né di smentire il possesso dicirca duecento testate atomiche; arsenale che porrebbe TelAviv allo stesso livello di deterrenza degli analoghi stockindiani e pakistani. Su questo tema tutti i Paesi islamici dellaregione, siano essi a prevalenza sunnita o sciita,includendovi l’Arabia Saudita e l’Egitto, manifestano unevidente consenso, uscito riconfermato in esito allaconferenza dei Non Allineati di Teheran. Consenso che nonavrà alcun seguito effettivo dato che Israele ha già fattoconoscere che non intende partecipare alla Conferenza sultema, proposta dall’Egitto e sponsorizzatadall’Amministrazione Obama, prevista alla fine dell’anno adHelsinki.Il pericolo di un attacco israeliano all’Iran appare tutt’altroche scongiurato. La retorica sterile e messianica intrisa diminacce e di toni ultimativi emanante dai vertici politici delloStato ebraico non accenna a diminuire, fonte di timori eansie per tutti coloro consapevoli delle conseguenzeincalcolabili che simile atto di guerra comporterebbe in unaregione sconvolta dalla guerra civile siriana e dalla tensionealtissima riscontrabile nei Paesi limitrofi. In Siria si assisteormai a una lotta implacabile a carattere settario tra lacomunità alauita e la maggioranza sunnita, molto divisa alsuo interno e con preoccupanti infiltrazioni di elementi viciniad Al Qaeda. Scontro dietro il quale si celano altresìinconfessati formidabili interessi economici, cui guardanocon cupidigia le monarchie del Golfo e le multinazionali delpetrolio, in un contesto che poco sembra avere dei trattiinizialmente riconducibili ai moti propri della Primaveraaraba, divenendo invece una sorta di “guerra per procura”.Quel che occorre comunque evidenziare è che gli intentialtisonanti del governo israeliano non godono affattodell’unanime consenso dell’opinione pubblica interna,aspetto spesso non particolarmente rilevato dai grandimedia internazionali. Lo stesso principale partito politiconazionale, Kadima, di ispirazione centrista, ha ritenutoopportuno di abbandonare la coalizione di maggioranza pergravi divergenze con il Primo Ministro Netanyahu, vertentinon solo sulla eliminazione di privilegi a favore degliappartenenti alla casta religiosa, ma anche sulla attuabilitàdi un attacco alle centrali iraniane, ritenuto “una avventuramilitare” ed “estremamente dannoso” per gli interessi diIsraele. Significativamente dello stesso avviso risultanoessere il Capo dello Stato Shimon Peres, personalitàcarismatica della politica israeliana, l’ex­Primo Ministro EhudOlmert, del quale è previsto il ritorno nell’agone politico, ilvice­Primo Ministro Dan Meridor, mentre lo stesso Ministrodegli Esteri Ehud Barak non ha mancato di manifestarepreoccupazioni per le incidenze sul legame strategico conl’alleato americano.Inoltre, secondo un recente sondaggio più del 60% degliisraeliani giudica “pericoloso” un attacco all’Iran, soprattutto

Divisioni interne inIsraele

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se effettuato senza il sostegno militare degli Stati Uniti.Tutto questo mentre anche da parte dei vertici delle Forzearmate e dell’intelligence si continuano a manifestare fortiperplessità e vedute discordanti sulla fattibilità di iniziativecontro obiettivi ben fortificati e dispersi nel territorioiraniano, per le quali l’apparato militare israeliano sembrapoco preparato. La riluttanza dei vertici delle forze armatetrova la sua spiegazione nella necessità di una campagnaprolungata di bombardamenti aerei, che includerebbenecessariamente anche il Libano e la Striscia di Gaza, per laquale Israele non dispone dell’indispensabile hardware, inpossesso solamente dell’alleato USA. Colorita a tal propositoè apparsa una dichiarazione dell’ex­capo del Mossad,l’autorevole Meir Dagan, secondo cui un eventuale attaccoall’Iran sarebbe un’idea “stupida”, suscettibile di produrrerisultati opposti a quelli perseguiti. Le ragioni principali abase di tale poco diplomatica definizione le potremo capirenel seguito di questa esposizione.Un aspetto merita di essere sottolineato: in Israele ciò cheaccomuna coloro contrari o perplessi sulla fattibilità di unattacco all’Iran riguarda il timore che l’approccio, giudicato“intrusivo e dannoso”, di Netanyahu possa comportare delleconseguenze sul rapporto strategico dello Stato ebraico congli Stati Uniti. Timori ampiamente giustificati dalle criticheche non solo in Israele ma anche negli Stati Uniti a livelliautorevoli si lanciano al Primo Ministro per atteggiamenti,“militareschi”, ritenuti lesivi della solidità del legame tra idue alleati.I rapporti con l’Amministrazione Obama sono andatiprogressivamente deteriorandosi fino al punto che da partedel Pentagono si è fatto chiaramente comprendere che, oveIsraele decidesse di passare ai fatti, il Paese ebraicodovrebbe sostenere “da solo” lo sforzo e pagarne “da solo”le conseguenze. Mai da parte americana si era esternato untale grado di insofferenza verso l’alleato medio ­ orientale, alquale, smentendo le sue grida di allarme, si continua aricordare che il tempo del negoziato e delle pressionidiplomatiche non si è affatto esaurito e che esso devedunque proseguire. Identico messaggio scaturiscedall’Unione europea, chiaramente avversa all’opzionemilitare nelle presenti circostanze.Il disaccordo israelo ­ americano è ormai sotto gli occhi ditutti, compresi gli iraniani, anche se solo di disaccordo sitratta e non certo di una rottura dell’asse strategicoesistente tra i due Paesi. Esso testimonia della riluttanzadell’Amministrazione Obama a trovarsi esposta, alla vigilia diun appuntamento elettorale, a un altro teatro di guerra checoinvolgerebbe gli Stati Uniti, la cui capacità di influire suglieventi è in percepibile declino, in un’impresa dalleconseguenze imprevedibili, dato il gravissimo livello diinstabilità che scuote l’intera area medio ­ orientale. Regionedove il quadro generale si caratterizza per la sua fluidità con

Difficile relazione conUSA

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una nuova leadership in Egitto portatrice di visioni bendiverse rispetto ai tempi di Mubarak. Il Cairo intenderivedere la sua collocazione nello scacchiere e il fatto che iprimi due viaggi del Presidente Mursi siano stati a Riyadh ea Pechino è un indice della volontà egiziana di conferire allapropria diplomazia un approccio più equilibrato nell’area diappartenenza, enfatizzando un ruolo di mediazione, giàdispiegatosi a proposito della crisi siriana, e manifestandouna più visibile sollecitudine per i disconosciuti diritti delpopolo palestinese, tuttora in una condizione difforme daquanto era scaturito dagli Accordi di Camp David della finedegli anni ‘70. Il che inevitabilmente modifica la relazionecon gli Stati Uniti, in via di nuova configurazione, inducendoipso facto una posizione critica verso Israele.Ma forse vi è una ragione più profonda alla base delledivergenze ormai non più nascoste tra Washington e TelAviv. Forse essa non è soltanto legata a una questione ditempi per cui secondo gli americani si dovrebbero concederemaggiori margini alle pressioni in chiave diplomatica che tral’altro già si fanno pesantemente sentire in Iran. A nostroavviso l’atteggiamento USA andrebbe forse spiegato con unavisione diversa del problema che trarrebbe inoltre alimentodalle resistenze che all’opzione bellica si manifestano, comeabbiamo visto, da parte di importanti settori della societàisraeliana. A parere di alcuni analisti il contrasto verterebbesulla collocazione della soglia (“red lines”) oltre la quale nonsarebbe consentito al programma nucleare iraniano diandare.Più chiaramente, la divergenza atterrebbe alla accettabilità omeno di una “capacità” nucleare da parte dell’Iran(“breakout capacity”) che non contemplasse il “possesso”dell’arma atomica ovverossia l’uso di essa per fini militari.Per Washington una capacità nucleare, solo potenzialmenteestendibile a uno stadio successivo di utilizzazione militare,limitata quindi per atto di volontà iraniano all’uso civile,potrebbe risultare accettabile, nella misura in cui essa fosseseguita da una rinuncia, più o meno dichiarata, al possessodi un’arma che non solo gli Stati Uniti non potrebberoaccettare, ma che non sarebbe ben vista nemmeno daRussia e Cina, con le quali Teheran intrattiene da tempoproficue relazioni di collaborazione economica. A tal riguardola costruzione da parte del partner russo della centraleatomica di Bushher, di una potenza di 1000 mw, divenutadopo innumerevoli ritardi pienamente operativa, il cuifunzionamento viene attentamente monitorato da Mosca,verrebbe a costituire un modello di soluzione dell’annosaquestione che per di più non lederebbe gli interessiamericani nell’area. Al contrario, fanno rilevare con un certocinismo taluni, tale sbocco consentirebbe agli Stati Uniti diportare avanti senza eccessive remore quell’impressionanteprogramma di forniture militari a destinazione dei Paesialleati nel Golfo, la cui ragion d’essere risiede per l’appuntonel creare i richiesti schermi di protezione contro la

Emergenti divergenze difondo

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paventata minaccia iraniana. Strada sicuramente piùagevole da percorrere che quel pericoloso salto nel buiorappresentato da un attacco militare dagli imprevedibiliseguiti e dalle perniciose conseguenze sul piano geopolitico,della stabilità regionale, già abbastanza compromessa,nonché dell’economia americana e mondiale. Tale covantedivergente strategia potrebbe forse spiegare la riluttanzaUSA a fissare dei limiti (“red lines”), di sostanza e temporali,oltre i quali l’opzione militare diverrebbe improcrastinabile;come per converso insistentemente richiesto dalla parteisraeliana.L’approccio responsabilmente pragmaticodell’Amministrazione Obama, supportato dalle reiterateperplessità delle Agenzie dell’intelligence nazionale, tuttorascettiche sulla natura militare del programma diarricchimento iraniano, troverebbe del resto un suofondamento anche sulle prese di posizione formali delSupremo Leader Ali Khamenei secondo le quali il possessodell’arma atomica sarebbe un vero e proprio “peccatomortale, contrario ai valori dell’Islam”. Proclami che nonpossono essere presi alla leggera, conoscendo i valori cui siispira il credo sciita.Ma in proposito sarebbe parimenti utile andare indietro dicirca un paio di anni e ricordare un’importante visitaeffettuata all’inizio del 2010 in Giappone dallo Speaker delParlamento iraniano Ali Larijani, figura autorevole moltovicina a Khamenei, finalizzata ad avere una conoscenza piùapprofondita del programma nipponico di arricchimentodell’uranio. In esito a quella visita la delegazione iranianaacquisì la convinzione che anche il loro Paese potessepercorrere il sentiero seguito dai giapponesi. Molto dunquelascerebbe credere che l’Iran miri a ispirarsi al modellonipponico ovverossia acquisire una “capacità” nuclearespinta fino a una soglia a partire dalla quale, in base a unasuccessiva decisione a carattere politico, si entrerebbe nellostadio di “possesso” dell’arma atomica. Dimensioneraggiunta in effetti dal Giappone che ovviamente non haritenuto di varcare la suddetta soglia. Resta evidente che,ove l’Iran riuscisse a imitare l’esempio di Tokyo, la sua forzanegoziale e il suo peso specifico nella regione risulterebberonotevolmente accresciuti.Del resto anche l’Agenzia internazionale per l’energiaatomica ­ con la quale, dopo la dipartita del suo Direttore,l’egiziano El­Baradei e la nomina del successore, ilgiapponese Amano, l’Iran intrattiene una relazioneproblematica ­ nel suo ultimo rapporto sul dossier iraniano,costellato di dubbi e perplessità ma di scarse certezze, hadovuto riconoscere che la materia arricchita (“enrichedfuel”) ha subito un processo che sarebbe “non agevole”ricondurre a una dimensione militare.Perché allora quel che è stato consentito al Giappone nonpotrebbe esserlo per la Repubblica islamica? La risposta

Visita iraniana inGiappone

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naturale risiede nel fatto che in Estremo Oriente non vi èIsraele, col suo temibile potere di deterrenza, né vi sonoquelle Potenze sunnite (Arabia Saudita e altri membri del“Gulf Cooperation Council”) mosse da una profonda eatavica diffidenza verso gli ayatollah sciiti.Per l’attuale dirigenza politica israeliana per converso questosbocco non potrebbe essere accettato dato che l’acquisizionedi una “capacità” nucleare da parte di un qualsiasi Statomedio – orientale, che sia l’Iran, l’Arabia Saudita o l’Egitto,costituirebbe “una minaccia” per l’entità ebraica, la cuiancora di salvezza risiede per l’appunto su una deterrenzabasata sul mantenimento di uno “squilibrio nucleare” nelloscacchiere di appartenenza. In effetti, la cosiddetta“Dottrina Begin”, elaborata dall’allora Primo Ministro nellontano 1981, secondo la quale a nessuno Stato dellaregione dev’essere riconosciuta l’acquisizione della capacitàatomica, non è mai stata abiurata dalle successiveleadership politiche ed essa torna a essere di attualità aproposito del dossier iraniano. E’ opportuno ricordare che fuproprio in ossequio a questa stessa Dottrina che Tel Avivdecise nel giugno 1981, senza alcun preavviso, di attaccaree distruggere il reattore nucleare iracheno di Osirak;operazione replicata nel settembre 2007 contro la centraledi Al­Kibar nel deserto siriano, che non produsse peraltrol’effetto desiderato di bloccare il programma nucleare diDamasco, proseguito senza un eccessivo allarme dellacomunità internazionale.Il punto essenziale da tenere presente nell’equazioneiraniana, del quale gli americani sembrano prendere atto,attiene alla costatazione che l’Iran sembra aver acquisitouna “capacità intellettuale” di non ritorno e qualsiasiiniziativa militare contro Teheran non avrebbe altro risultatose non di ritardare l’acquisizione della capacità, noncertamente di eliminarla. Al contrario l’opzione bellicasortirebbe come effetto il rafforzamento della volontàiraniana di perseguire il disegno di dotarsi dell’armanucleare; e questo a nostro avviso sarebbe più facilmenterealizzabile in una situazione successiva a un’aggressionemilitare contro la Repubblica islamica di quanto non lo siaattualmente, quando i sospetti e le diffidenze verso Teheransono tutt’altro che trascurabili. In poche parole, il quadroche potrebbe scaturire da un’ennesima guerra contro unPaese islamico potrebbe ­ nella misura in cui costituirebbeuna sorta di “vindication” per le tesi propugnate dagliayatollah ­ piuttosto favorire il proseguimento fino alla sogliamilitare del programma nucleare che rallentarlo o impedirnela realizzazione. Quel che è accaduto in Siria rappresenta unprecedente illuminante in materia.Ma probabilmente sono anche i mutamenti intervenuti nelloscenario arabo ­ musulmano che devono aver indotto unapausa di riflessione della superpotenza americana,confrontata con gli effetti, mal previsti e mal calcolati,

Preclusioni israeliane

Evoluzione dellaposizione americana

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derivanti dall’intervento in Libia e dai sommovimenti in Siria.L’inquietante andamento della situazione in una Libiadivenuta un’area pericolosamente destabilizzata edestabilizzante, la fragilità del nuovo quadro politicorilevabile in Egitto e in Tunisia, Paesi dove si assiste al nonrassicurante rafforzarsi dell’estremismo salafita di matricewahabita, nonché i moti di protesta delle masse sciite sianelle Province orientali della monarchia saudita sia nelminuscolo regno di Bahrein, non possono non allertare sullegravissime insidie per l’intera comunità internazionale chepotrebbero scaturire da un attacco all’Iran. Attacco cheavrebbe tra le sue risultanze di accrescere oltre una sogliainsostenibile il grado esplosivo di impopolarità di cuiattualmente patisce l’Occidente presso “l’Ummah” islamica.Tale impopolarità si è andata aggravando con il mutarsi dellaPrimavera araba in uno scontro tra le grandi Potenze adifesa dei propri interessi in Medio Oriente, che sembrairrobustire, piuttosto che allentare, i muri di incomprensionetra l’universo ispirantesi alla religione del Profeta e il mondooccidentale. Né si potrebbero sottovalutare le ripercussioniderivanti sulla stabilità di pressoché tutti i Paesi dell’area, inparticolare di quelli, come l’Egitto e la Giordania, vincolati aIsraele da un Trattato di pace, i cui governi sarebberoprobabilmente chiamati a confrontarsi con moti popolari didifficile contenimento.La pressione continua comunque a pesare enormementesull’economia iraniana. La sospensione dell’import di petrolioe gas iraniani, decisa dall’UE a partire dal 1° luglio u.s., leulteriori severe sanzioni USA sul piano finanziario nonchéulteriori misure punitive annunciate dall’Unione Europea,tutto posto in essere beninteso per scongiurare il paventatoattacco israeliano, non hanno peraltro prodotto il risultatosperato di ostacolare le relazioni economiche di Teheran conle “powerhouses” asiatiche (Cina, India, Giappone e Coreadel Sud). Da parte di questi Stati si continua a importareprodotti energetici iraniani e difficile appare prevedere unloro blocco nel prossimo futuro. Se, per esempio, si pensaalla pluridecennale solidità dei legami in questi campi tral’Iran e la Corea del Sud, riesce arduo immaginare come talecorrente possa rapidamente prosciugarsi.Teheran resta peraltro ben consapevole della vulnerabilitàdel proprio assetto economico, scarsamente diversificato.Per questa ragione iniziative sono assunte per ridurre ladipendenza dall’export di petrolio e gas naturale, preso dimira dalle sanzioni. In tale quadro un’attenzione particolareè riservata al comparto delle energie rinnovabili, tuttora alriparo dalle misure punitive. E’ interessante notare come inquesto settore sia in corso una proficua collaborazione conimprese europee, soprattutto tedesche, nel solco di unacollaborazione a livelli medio ­bassi che vede tuttoraoperanti unità produttive di alcuni Paesi del VecchioContinente.

Relazioni con i mercatiasiatici ed “Economia di

resistenza” iraniana

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La presenza aeronavale americana nel Golfo rimane a livellielevatissimi, anche se questo, oltre che essere un gesto diconsiderazione verso Israele, costituisce verosimilmente unagaranzia che un attacco USA è lungi dal prodursi. La “war ofwords” non accenna a smorzarsi né le rozze esternazioniprofferite dai vertici iraniani contribuiscono a diradare lenubi minacciose che oscurano le prospettive di una ripresadi un dialogo indubbiamente reso assai problematico dalladurezza delle sanzioni che l’Occidente non ha inteso finoraammorbidire nei round negoziali conclusisi con ben scarsirisultati. Situazione alquanto paradossale quella in cui sitrova lo schieramento occidentale, unanimementedeterminato a proseguire il rapporto negoziale con l’Iran, nelmentre tende ad aggravare l’incidenza delle sanzioni; colrisultato di acuire lo stallo e l’incomunicabilità tra le parti.La situazione interna iraniana mostra tratti di grigioautoritarismo in un processo involutivo costatabile sia sulpiano della libera circolazione delle idee sia sotto il profilodel riconoscimento dei diritti delle donne, condizionati dalbigottismo che permea la maggioranza dell’establishmentreligioso. Le voci polemiche contrastanti simili negativetendenze si fanno comunque sentire negli ambienti laici e inquelli, più ascoltati, emananti da una parte del clero sciita.Poche sono le speranze che tale clima dia segni dimiglioramento, anche se l’avvicinarsi della scadenzaelettorale prevista tra meno di un anno potrebberiaccendere il dibattito e rinvigorire il confronto delle idee,anche all’interno dello schieramento conservatore, oscillantetra il rigore del fondamentalismo religioso, peraltro noncondiviso nella stessa maniera in seno al clero sciita, e unacomponente nazional­populista, cui appartiene il PresidenteAhmadi­Nejad, indebolita ma tutt’altro che spenta. Loscontro in previsione della consultazione del prossimogiugno è del resto già iniziato e lascia prevedere un agonetremendamente contestato.Ma finché i rapporti con l’Occidente rimarranno ancorati auna dialettica di muro contro muro, appare arduo presagireeffettive aperture verso le forze dell’opposizione politicainterna; le cui difficoltà e la cui debolezza non vengonocertamente attenuate dall’atteggiamento di arroganza epoco rispettoso dell’entità iraniana che continua ancora acaratterizzare, dopo più di trent’anni, la relazioneoccidentale, degli Stati Uniti in particolare, con la Repubblicaislamica.In tema di rispetto e di disuguale trattamento riescealquanto sconcertante comprendere la linea di condottadell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA), cuicome noto non è consentito ispezionare le “facilities”nucleari israeliane. Essa per converso rimaneinflessibilmente concentrata su un programma nucleareiraniano in ordine al quale non è a tutt’oggi in grado diaffermare con certezza il carattere militare del programma.

Quadro interno iraniano

Incidenza delle sanzioni

Ineguale atteggiamentodell’Agenzia nucleare

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Quel che sorprende è il minore interesse per i pericoli insitiin Siria, Paese dove realmente esistono armi di distruzionedi massa (chimiche e nucleari). Ci troviamo di fronte alprimo esempio di uno Stato in possesso di letali strumenti,sconvolto da una guerra civile di cui non si intravvede lafine. Nella medesima realtà operano forze radicali vicine adAl­Qaeda, il cui eventuale successo militare terrorizza quegliambienti siriani non sunniti, integralmente parte delcontesto nazionale. Che si tratti di cristiani, druzi e alauiti,tutti sono mossi dal sacro terrore che armi di questo generepossano finire nelle mani di formazioni con le qualil’Occidente sembra avere ben poco in comune. L’esistenza inSiria di simili arsenali sembra comunque non suscitarepresso l’AIEA, fin da prima dell’esplosione della crisi,un’inquietudine pari a quella provata verso l’Iran, Paesefinora nemico dichiarato di quell’estremismo sunnita, cosìattivo in Siria, alimentato dal flusso di armi e jihadisti. Comespiegare questa difformità di comportamento dell’organismodi Vienna in materia se non con l’esistenza dicondizionamenti, sicuramente ora più manifesti emaggiormente avallati rispetto al passato?L’ultima risoluzione adottata dal “Board of Governors”dell’AIEA (la dodicesima in nove anni) ha confermato lecomprensibili inquietudini della comunità internazionale neiconfronti del programma nucleare iraniano. Inquietudinideterminate in buona misura dal clima di diffidenzainstauratosi tra la leadership iraniana e la nuova direzionedell’organo societario, conseguenza diretta del diaframmaesistente tra l’Occidente e la Repubblica islamica,aggravatosi con le posizioni intransigenti assunte dall’attualeGoverno israeliano. Ma se questo è vero è anche vero chenella medesima risoluzione si sottolinea in due paragrafi adhoc l’esigenza che si prosegua lungo il sentiero negoziale,giudicando improponibile l’opzione militare, evitando initinere che sul delicato dossier venga a pronunciarsi ilConsiglio di Sicurezza dell’ONU, con la prospettiva,opportunamente elusa, di un’ennesima spaccatura in seno algruppo dei membri permanenti. Ciò dà un’idea del contrastoche su questo cruciale dossier sussiste tra lo schieramentooccidentale e l’asse russo – cinese, determinato a bloccarenuove sanzioni emananti dalle Nazioni Unite.Come si può rilevare, l’obiettivo perseguito dal governoNetanyahu di dar vita a una coalizione internazionale coesae determinata contro il programma nucleare iraniano siallontana in misura crescente, rendendo l’opzione militareun approdo sempre meno realistico.Tornando all’Iran, la recente Presidenza triennale delMovimento dei non­Allineati, con le responsabilità che essainevitabilmente comporterà in termini di immagine e disostanza dell’entità iraniana, potrebbe contribuire a creare lecondizioni propizie per un allentamento della morsaautoritaria che incombe sulla società iraniana. Sotto questoprofilo i recenti, tutt’altro che distesi, contatti intervenuti tra

Nuove responsabilitàper l’Iran

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le autorità di Teheran e il Segretario Generale dell’ONU, inoccasione del vertice NAM di fine agosto, lasciano trapelareuna flebile speranza che una positiva inversione di tendenzanel clima interno, generata da un auspicato rafforzamentodello schieramento moderato, possa tradursi in realtà, in uncontesto dove le aspre divisioni politiche coesistono con legravi difficoltà economiche e un sofferente quadro sociale.Certo che se si considerano i problemi cui deve far frontel’Iran, oltre che sul piano interno, anche su quello regionaledove il suo alleato strategico, la Siria di Bashar al­Assad,rischia di venir meno al suo ruolo di “ponte” verso queglischieramenti della “resistenza” anti­israeliana esistenti inLibano (Hezbollah) e a Gaza (Hamas), con i quali Teheranmantiene una relazione organica, riesce difficilecomprendere come un negoziato proficuo con l’Occidentenon veda mai la luce. Perché in fondo quel che interessa inmisura prioritaria alla Repubblica islamica è la preservazionedella presente identità politica, culturale e religiosadell’entità iraniana, ai cui valori fondanti la grandemaggioranza del Paese non intende abdicare. E l’abile,sofisticata e tutt’altro che irresponsabile diplomazia iranianaè interamente al servizio di questa irrinunciabile finalità.L’esito delle imminenti elezioni presidenziali negli Stati Uniti,dove il Presidente Obama, nonostante i rapporti precari conNetanyahu, continua a godere del sostegno della lobbyebraica, rappresenterà un passaggio decisivo nell’evoluzionedella questione, abbordata finora con un approccio risultatoperdente; in larga misura privo di quello spirito basatosull’annunciata volontà di “engagement” che notevolisperanze aveva suscitato nel mondo all’indomani dellavittoria dell’attuale inquilino della Casa Bianca.Le gravi difficoltà cui è attualmente confrontata ladiplomazia americana nella sua politica di “outreach” verso ilmondo islamico appaiono le meno propizianti per il temutosbocco cruento della crisi iraniana. Esso infliggerebbeprobabilmente un colpo terribile alle residue speranze didialogo con un universo medio – orientale, attraversato dapulsioni incontrollate ma profonde, in ogni caso protesoverso un avvenire maggiormente in sintonia con la suaautentica identità.Da qui l’esigenza di un “rethinking”, del quale sipercepiscono fin da ora i prodromi, cui una probabilericonferma di Obama alla Presidenza degli Stati Unitipotrebbe verosimilmente dare sostanza in maniera piùcompiuta rispetto a quanto osservato fino a oggi.L’auspicato “reset” non potrà comunque prescindere da unamaggiore presa in conto degli interessi dei popoli e da unapiù appropriata conoscenza delle complesse realtà dove si èchiamati a intervenire. Il che purtroppo non è ancoraavvenuto nella tormentata evoluzione cui assistiamo inMedio Oriente.

Incidenza delleimminenti elezioni negli

Stati Uniti

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APPROFONDIMENTILa polveriera libica

di Arturo Varvelli ­ IspiÈ molto difficile dire se l’assalto all’ambasciata statunitensedel 12 settembre rappresenti il primo passo sull’orlodell’abisso del paese. L’uccisione a Bengasi di 4 funzionaristatunitensi, compreso l’ambasciatore Chris Stevens, ècertamente un evento inaspettato nella drammaticità, nelleproporzioni che la minaccia terroristica comporta, e nelleconseguenze politiche.Nel marzo 2011, un anno e mezzo fa, una piazzatraboccante e festante di giovani bengasini accoglieva latroupe della Cnn e la osannava con cori a suo favore.Bengasi e i rivoltosi entravano nel corso della storia dopo 42anni di oblio. Erano al centro della Primavera araba edesultavano per l’attenzione che su di loro poneva il networkamericano.L’allora inviato statunitense Chris Stevens si era prodigatoper stabilire contatti e legami con i ribelli e poi avevaincoraggiato il proprio paese a supportarli. La sua azionediplomatica in Libia gli era valsa la nomina di ambasciatore aTripoli all’inizio dell’anno: il 22 maggio era stato accreditato.Pensare alla sua uccisione per mano di libici sembra oggiincomprensibile per una mente razionale. Eppure ciò si puòspiegare solamente con un fatto: la Libia è un paese diviso esenza alcuno stato di diritto, un paese in cui gruppi difacinorosi, in circostanze ancora da chiarire, possonocomportare una seria minaccia.La sicurezza è in mano a bande che vengono “tollerate”dall’autorità centrale, talvolta blandite, talvolta onorate neltentativo (fallito) di integrarle all’interno di un esercitonazionale. Alcune di queste bande hanno chiari orientamentiestremisti. E nell’instabilità l’estremismo prolifera.Improbabile che questa azione costituisca una direttavendetta dell’uccisione di Abu Yahya al­Libi.Sul fronte dell’islam radicale c’è chi ricorda la lungatradizione della “jihad” in Cirenaica. È importante però noninvertire il nesso di causa­effetto: l’islamismo radicale inLibia è stato alimentato soprattutto dall’oppressione delregime. Per buona parte dei libici, l’unico modo di dissentireda Gheddafi era quello di aderire o appoggiare Al Qaeda. Ilibici sono stati per anni il secondo maggior gruppo, dopo isauditi, a combattere sui fronti iracheno e afghano. Sono inparticolare città come Derna, in Cirenaica, ad averalimentato il fronte qaedista. Per esempio, proprio il numerodue dell’organizzazione, Abu Yahya al­Libi, era appunto libicoed è stato ucciso da un attacco di droni americani a iniziogiugno 2012. Nato nel 1963, Abu Yahya al­Libi, eraconsiderato dagli Stati Uniti l’uomo più importante dopoAyman al­Zawahiri, che dalla morte di Osama bin Ladenguida l’organizzazione terroristica. Al­Libi non è stato maidescritto come un grande combattente, ma piuttosto comeun ottimo organizzatore e propagandista. Si dice che egliabbia cominciato la sua carriera terroristica negli anni

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Novanta, dopo essersi trasferito in Afghanistan. Nel 2002 èstato arrestato dalle forze americane a Bagram, ma doposoli 3 anni riuscì a fuggire facendo perdere le sue tracce.Alcuni “allievi” di Abu Yahya al­Libi sono attivi in Libia ancheoggi. Sufian bin Qumu, per esempio, che ha lavorato anchea contatto con Osama bin Laden, prima di essere catturatodagli americani e detenuto a Guantanamo per sei anni,guida una milizia nella zona di Derna che sfoggia la bandieranera di Al Qaeda ed è accusata di violenze. Qumu haapertamente dichiarato che non intende deporre le armifinché in Libia non sarà instaurato un governo di tipoislamico­talebano. Sempre a Derna e in Cirenaica sonoattive formazioni salafite, come il gruppo Ansar al­Sharia,che si rifiutano di riconoscere la legittimità dell’autoritàcentrale. Bisognerà indagare le responsabilità dell’attaccoall’interno di questi gruppi. Le avvisaglie di un atto similec’erano tutte, anche se non di tale tragicità e rilevanza. Leelezioni di luglio, che hanno avuto un buon esito, hannofatto probabilmente abbassare la guardia. I problemi,tuttavia, come avevamo evidenziato, rimanevano integri. Ilmese di agosto lo aveva chiaramente dimostrato: attacchi digruppi salafiti agli “eretici” sufi, con la distruzione di diversisantuari; altri attentati a istituzioni libiche addebitati, forsetroppo frettolosamente, a ex­gheddafiani.Questi, foraggiati probabilmente dall’estero tramite membridella famiglia del Rais, rappresentano una minaccia allastabilità del paese e un ostacolo verso una pienapacificazione. Le loro rappresaglie hanno già avutoconseguenze politiche. Proprio a causa della recrudescenzadelle violenze nel paese, il ministro dell'Interno libico, FawziAbdelali, aveva presentato a fine agosto le sue dimissioni,per protestare contro le critiche all'inefficacia delle misure disicurezza, ma poi si era detto impossibilitato a risolvere laquestione.Seppur teoricamente improbabile, fonti di intelligenceaccreditano uno scenario alquanto preoccupante chevedrebbe una convergenza tattica dei salafiti con gruppi diex­gheddafiani nel nome della lotta all’attuale transizionepolitica. Le risorse e le amicizie internazionali della famigliaGheddafi non vanno sottovalutate, in particolare i legamiche ancora può vantare Saadi Gheddafi, il figlio ex­calciatoredi Muammar, ora in Niger.Insomma, se il paese rimanesse così instabile, anchel’influenza islamica radicale, guidata dagli elementi piùpericolosi, si potrebbe rafforzare ancora. Gli attentati dimaggio e giugno 2012 ai danni della Croce Rossa e deiconsolati britannico e statunitense a Bengasi costituivano unchiaro avvertimento, sottovalutato. L’uso di azioniterroristiche da parte dei gruppi radicali sta decisamenteaumentando sia per quantità che per qualità. In un mixsempre più pericoloso di terrorismo, immigrazione illegale etraffico di droga e armi (20.000 missili portatili antiaereisarebbero ancora nelle mani delle milizie), derivante dalfallimento del controllo delle frontiere, potrebbero trovareterreno fertile le organizzazioni criminali e terroristiche.

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Difficile pensare che l’azione di assalto al consolato Usa nonsia stata premeditata e che la motivazione non siapretestuosa.Una vasta coalizione internazionale ha abbattuto il regime diGheddafi e poi ha fatto finta che i libici potessero farcela dasoli. Gli Stati Uniti si sono mantenuti defilati. Sembrava unastrategia vincente, ma ora per Obama il “leading frombehind” potrebbe diventare molto difficile da difendere dagliattacchi dei repubblicani. Senza rievocare la crisi degliostaggi all’ambasciata americana di Teheran che mise inginocchio l’amministrazione Carter, questa vicenda saràcertamente rilevante per la campagna elettorale. Obama haprontamente reagito con la decisione di rimpatriare ilpersonale americano e l’invio di un primo contingente di 50marines specializzati nell’antiterrorismo ai quali, secondouna fonte del Pentagono, potrebbero seguire fino a 200militari in tutto.Se vi erano dubbi sulla capacità della Libia di risolvere da séi propri problemi e incamminarsi da sola sulla strada dellademocrazia e della riappacificazione, ora questi eventi lialimentano. Lo stesso giorno, in questa cupa atmosfera, ilparlamento libico ha nominato Mustafa A.G. Abushagur, exvice­primo ministro del governo provvisorio, nuovo primoministro. Il parlamento lo ha preferito di misura a MahmudJibril, alla guida dell’alleanza di partiti che ha ottenutomaggior consenso alle elezioni di luglio. Abushagur, storicooppositore di Gheddafi, a lungo in esilio negli Usa, haraccolto consensi trasversali. Toccherà a lui prendere inmano il paese, ma senza un forte aiuto della comunitàinternazionale si prospettano tempi difficili.(www.ispionline.it)

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PALESTRAMEDITERRANEAIl Mediterraneo senza Europa

di Barbara Spinelli, da Repubblica, 19 settembre 2012Scrive il narratore greco Petros Markaris che l’Europa viveuna strana insidiosa stagione: del suo sconquasso nonparlano che gli economisti, i banchieri centrali.Con il risultato che la moneta unica diventa la sostanzastessa dell’Unione, non uno strumento ma la sua ragiond’essere, l’unica sua finalità: «L’unità dell’Ue è statasostituita dall’unità dell’eurozona. Per questo il dibattitorimane così superficiale, come la maggior parte dei dirigentieuropei, e unidimensionale, come il tradizionale discorsodegli economisti». Priva di visione del mondo, l’Europa hainteressi senza passioni, e non può che dividersi tra creditorinobili e debitori plebei. «Stiamo correndo verso una sorta diguerra civile europea».Come un improvviso sparo nel silenzio è giunto il nuovosisma nei paesi musulmani, sotto forma di una vastaoffensiva dell’integralismo musulmano contro l’Occidente e isuoi esecrabili video: la violenza s’addensa nelMediterraneo, e l’Europa – in proprie casalinghe faccendeaffaccendata – d’un tratto s’accorge che fuori casa cadonobombe. S’era addormentata compiaciuta sulle primaverearabe, ed ecco irrompe l’inverno. Aveva immaginato che leliberazioni fossero sinonimo di libertà, e constata che lerivoluzioni son sempre precedute da scintillefondamentaliste (lo spiega bene Marco d’Eramo, sulManifesto di ieri), prima di produrre istituzioni e costituzionistabili. Come Calibano nella Tempesta di Shakespeare, imanifestanti ci gridano: “Mi avete insegnato a parlare comevoi: e quel che ho guadagnato è questo: ora so maledire. Viroda la peste rossa per avermi insegnato la vostra lingua!”.L’Europa potrebbe dire e fare qualcosa, se non continuassead affidare i compiti all’America: non solo in Afghanistan,dove molti europei partecipano a una guerra persa, non soloin Iran, ma nel nostro Mediterraneo. È da noi che corrono ifuggitivi dell’Africa del Nord, quando non muoiono in marecon una frequenza tale, che c’è da sospettare una nostravolontaria incuria. L’Europa potrebbe agire se avesse unasua politica estera, capace di quel che l’America lontana nonsa fare: dominare gli eventi, fissare nuove priorità, indicareuna prospettiva che sia di cooperazione organizzata e nonsolo di parole o di atti bellici.Ormai evocare la Federazione europea non è più un tabù:ma se ne parla per la moneta, o per dire nebulosamente checosì saremo padroni del nostro destino.Ma per quale politica, che vada oltre l’ordine interno, si vuolfare l’Europa? Con quale idea del mondo, del rapportooccidente­ Islam, dell’Iran, di Israele e Palestina, delconflitto fra religioni e dentro le religioni?Più che una brutta scossa per l’Unione, l’inverno arabo rivelaquel che siamo: senza idee né risorse, senza un comune

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governo per affrontare le crisi mondiali, e questo spiega ilnostro silenzio, o l’inane balbettio dei rappresentantieuropei. Difficile dire a cosa serva Catherine Ashton, che sifregia del pomposo titolo di Alto rappresentante per gli affariesteri e la politica di sicurezza dell’Unione. Nessuno sa cosapensino 27 ministri degli Esteri, ibridi figuranti di un’Unionefatta di Stati non più sovrani e non ancora federali.Quanto ai popoli, non controllano in pratica più nulla: nél’economia, né il Mediterraneo, né le guerre mai discussedall’Unione.Per la storia che ha alle spalle (una storia di democrazie eStati restaurati grazie all’unione delle proprie forze, doposecoli di guerre religiose e ideologiche), l’Europa ha glistrumenti intellettuali e politici per divenire un alleato delleprimavere arabe in bilico, e di paesi che faticano a coniugarel’autorità indiscussa dello Stato e la democrazia. E resta unpunto di riferimento laico per i tanti – in Libia, Egitto, Tunisia– che vedono la democrazia o catturata dai Fratellimusulmani, o minacciata dai fondamentalisti salafiti.La via di Jean Monnet, nel dopoguerra, fu la combinazionefra gli interessi e le passioni, dunque la messa in comunedelle risorse (carbone e acciaio) che dividevano Germania eFrancia. La Comunità del carbone e dell’acciaio (Ceca), fu nel1951 l’embrione dell’Unione: gli Stati non si limitavano più acooperare, ma riconoscevano in istituzioni sovranazionaliun’autorità superiore alla propria. In seguito le istituzioni sisarebbero democratizzate, con l’elezione diretta di unParlamento europeo sempre più influente. Così potrebbeavvenire tra Europa e Sud Mediterraneo, grazie a unaComunità non basata sul carbone e l’acciaio, ma sull’energia(o in futuro sull’acqua).Un piano simile è stato proposto, nell’ottobre 2011, da dueeconomisti di ispirazione federalista, Alfonso Iozzo e AntonioMosconi. L’idea è che Washington non sia più in grado digarantire stabilità e democrazia, nel Mediterraneo e MedioOriente. Di qui l’urgenza di una Comunità euromediterraneadell’energia: energia spesso potenziale, difficilmentevalorizzabile senza aiuti finanziari e tecnologici europei: «Ilprincipio di una Comunità tra eguali è essenziale e ricorda larivoluzione realizzata dall’Eni di Enrico Mattei, che ruppe ilmonopolio delle “sette sorelle” petrolifere concedendo per laprima volta alla Persia la gestione in parità delle risorsepetrolifere del paese». La nuova Comunità deve«riconoscere ai paesi associati la proprietà delle risorseenergetiche e degli impianti, dando all’Europa diritti diutilizzazione su una quota dell’energia prodotta, per unperiodo determinato con aumento progressivo della quotautilizzata localmente, in cambio delle tecnologie e degliinvestimenti effettuati». Si dirà che è solo una comunità diinteressi. Lo si disse anche per la Ceca. In realtà l’ambizionepolitica è forte: sostituire il modello egemonico con unmodello paritario e chiedere agli associati precisi impegni

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democratici, controllati da una comune Assembleaparlamentare.Sostituire o affiancare il potere Usa nel Mediterraneo vuoldire prendere atto che quel modello non funziona: hacreduto di esportare democrazia con le guerre, creando Statifallimentari e rafforzando Stati autoritari. Le democrazie(Israele compresa) hanno sostentato per anni ifondamentalisti (i talebani contro l’Urss, Hamas contro l’Olp)e volutamente ignorano una delle principali fonti delle crisiodierne: l’Arabia Saudita, finanziatrice dei partiti salafiti cheminano le barcollanti, appena nate democrazie arabe.Obama è alle prese con importanti insuccessi. Nonostante ildiscorso di apertura all’Islam tenuto nel 2009 al Cairo, ildiritto della forza prevale spesso sulla forza del diritto, comeper Bush. Abbiamo già citato l’Arabia Saudita, non menopericolosa dell’Iran e tuttavia esente da obblighi speciali.Permane l’influenza della destra israeliana su Washington,con effetti nefasti sul Medio Oriente. Guantanamo non èstata chiusa come promesso (risale all’8 settembre la mortedi un prigioniero, Adnan Latif, torturato per 10 anni senzaprocesso, nonostante l’ingiunzione dei tribunali a rilasciarlo).L’Iraq è liberato, e nessuno protesta contro i pogrompolizieschi della popolazione gay, testimoniati in questi giornida un documentario della Bbc. Le guerre scemano, ma sottoObama l’uso di droni senza piloti è sistematico, in Pakistan,Somalia, Yemen: le uccisioni mirate in zone non belliche«distruggono 50 anni di legge internazionale», sostienel’investigatore Onu Christof Heyns. La questione ci concerne.Obama risponderà all’attentato di Bengasi con droni cheforse partiranno da Sigonella, e sul loro uso il governoitaliano non potrà tacere.(19 settembre 2012)

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SEGNALAZIONILa rivincita delle donne tunisineLa Commissione di coordinamento e di redazione dellaCostituzione tunisina ha modificato l’art. 28, eliminando ilprincipio di complementarietà della donna rispetto all’uomoe sostituendolo con quello dell’eguaglianza tra i sessi.La Commissione diritti e libertà dell’Assemblea costituentetunisina ha deciso di emendare il testo dell’art. 28 del 1°agosto 2012 che poneva la donna in una posizione di“complementarietà” rispetto all’uomo all’interno dellafamiglia, e di sua “associata” all’interno della società. Laformulazione alternativa afferma invece che “lo statogarantisce l’eguaglianza tra i sessi e la protezione dei dirittidella donna, così come il sostegno alle sue conquiste inquanto partner effettiva dell’uomo nell’edificazione dellaPatria. I loro ruoli sono complementari nel seno dellafamiglia” .La riformulazione dell’art. 28 è certamente il frutto dellamobilitazione nella società civile. Molte le manifestazioni intutto il paese in occasione della giornata della donna, il 13agosto, data simbolo della Festa delle Donne in Tunisia. Lamanifestazione aveva raccolto in piazza 10.000 persone chevolevano impedire che uno dei Paesi musulmanicostituzionalmente più avanzato in materia di diritti delledonne, avanzasse a grandi passi verso la regressione.La richiesta di riconoscimento del principio di uguaglianzadella donna tunisina rispetto all’uomo, non si è però fermataalla sola manifestazione, in questo mese e mezzo molteassociazioni femministe, come l’ATFD ( Associationtunisienne des Femmes Dèmocrates) e organizzazioniinternazionali come Amnesty International hanno continuatoad occuparsi della questione femminile in Tunisia, e i risultatisembrano essere arrivati.Elma Menif, presidente dell’Associazione per i diritti delladonna di Tunisi, ritiene che sia stato fatto un passo avanti eche "questa decisione dimostra l’importanza dell'azione disorveglianza onde evitare scivolamenti".

TexMed 2012Tunisi, Parc des espositions du Kram ­ 3­5 ottobre

Promos coordina la partecipazione delle imprese italiane alSalone Euro­Mediterraneo dell'Abbigliamento che si svolgeràa Tunisi dal 3 al 5 ottobre.Texmed è organizzato da Cepex (Centro Tunisino diPromozione delle Esportazioni), Fenatex (FederazioneNazionale Tunisina del Tessile) e Cettex (Centro TecnicoTessile).

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La proposta di Promos prevede uno stand allestito di 9mq. aperto su un lato.InformazioniPromos ­ CCIAA MilanoAmira DawoudTel. 039 [email protected]

Crocevia di SguardiTorino, 4 ottobre ­ 8 novembre

In un mondo di sempre crescente complessità culturale,dove le immagini giocano un ruolo centrale come produttricidi conoscenza, l’incontro con l’altro è un incontro conimmaginari visuali e modi di vedere la realtà molto diversirispetto a quelli abituali.La rassegna Crocevia promossa da FIERI, che quest’annoarriva alla sua ottava edizione, si focalizza sulla dimensionelocale dei processi migratori; le migrazioni sono fenomeniregolati da forze sociali ed economiche globali, l’integrazionedipende dalle regole che permettono l’inclusione ol’esclusione dei migranti in specifici territori. Le relazioni traimmigrati e autoctoni saranno esplorate a partire dagli spazidel lavoro e della socialità, all’interno dei quartieri delle cittàeuropee. Srà presentato in anteprima il documentario diRossella Schillaci realizzato per FIERI nel quartiere torinesedi Barriera di Milano. Un focus particolare sarà inoltrededicato ai richiedenti asilo e alle strutture e che produconoesclusione, come i centri di detenzione e di espulsione deglistranieri irregolari, con tre giornate dedicate al registasvizzero Fernand Melgar e la proiezione del suo ultimolavoro, Vol Spècial.Vai al programma

Internazionalizzazione e responsabilità socialed'impresaTorino, Centro Congressi Torino Incontra, via Nino Costa 8 ­ ore 9,30

Internazionalizzazione e responsabilita' socialed'impresaUn binomio possibile o necessario?Torino, 4 ottobre 2012, ore 09:30 – 13:00Centro Congressi Torino IncontraVia Nino Costa 8Sala SELLA

La Camera di commercio di Torino, in collaborazione conActionAid, Valore Sociale, Unioncamere Piemonte e il CentroEstero per l’Internazionalizzazione, organizza un incontro sui

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temi dell’internazionalizzazione e della responsabilità socialed’impresa (CSR).Il ruolo che le imprese svolgono nei processi di sviluppo deiPaesi emergenti è da sempre di primaria importanza,collocandole al contempo al centro dell’attenzione dellapubblica opinione, specie in contesti sociali che, come ilnostro, pongono un forte accento sul peso dellacomunicazione.Un investimento nella costruzione di una solida reputazionein materia di responsabilità sociale può pertanto costituireper le aziende una chiave di successo e di affermazione sumercati in cui la competitività si gioca sempre più sulterreno della qualità del prodotto e della filiera produttiva esulla capacità di comunicare l’attenzione riservata a questitemi.Obiettivo dell’incontro è, quindi, illustrare lo scenario, glistrumenti e le modalità di integrazione dei diritti umani nellapratica delle imprese, con particolare riferimento almonitoraggio del rispetto dei diritti umani lungo tutta lacatena della fornitura. Saranno poi presentati lo strumentodi valutazione del rischio di violazione dei diritti umani ideatoda Valore Sociale e lo standard omonimo.Seguirà una sessione dedicata alle testimonianzeaziendali, durante la quale alcuni imprenditoripresenteranno i loro casi di gestione del rischio di violazionedei diritti umani, evidenziando sia i risultati positivi ottenuti(anche in termini economici), sia le difficoltà incontrate.La partecipazione all’iniziativa è gratuita previa iscrizione on­line entro il giorno 3 ottobre p.v.Per qualsiasi ulteriore informazione si prega di contattare laSegreteria Organizzativa:Camera di commercio di TorinoSettore Esterotel. 011 571 6363fax 011 571 6369email [email protected]

Rassegna Economica Turismo e PremiazioneNapoli, Sala delle Assemblee del Banco di Napoli, via Toledo 177 ­ ore

16,00"Il Turismo, fattore economico di sviluppo locale.Governance, tematismi e aspetti infrastrutturali" sono i temiin discussione al convegno organizzato da Banco di Napoli eSRM in occasione del nuovo numero della rivista 'RassegnaEconomica'.Il convegno si terrà il 9 ottobre 2012 a Napoli alle ore 16,00

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presso la Sala delle Assemblee del Banco di Napoli (ViaToledo 177) ­ e si concluderà alle 19,00 con la cerimonia dipremiazione del PREMIO Rassegna Economica 2012,quest’anno indirizzato a giovani riflessioni sui temidell’interscambio e l’integrazione economica tra il Nord ed ilSud Italia e sulle relazioni economiche tra l’Italia ed ilMediterraneo.More info

Rendez­vous économiques de la MéditerranéeMarseille

VIIIème édition des Rendez­vous Économiques de laMéditerranée, qui se déroulera le samedi 20 octobre, dans lecadre de la semaine économique de la Méditerranée, sur lethème « Nouveaux pouvoirs, nouveaux programmeséconomiques en Méditerranée».Les Rendez­vous de la Méditerranée sont organisés parl’Institut de la Méditerranée et le Cercle des économistes encoopération avec la Mission Interministérielle Union pour laMéditerranée, dans le cadre de la Semaine Economique de laMéditerranée de Marseille.1. Objectifs de la Conférence :­ Présenter les orientations de développement économiquedes nouveaux pouvoirs en Méditerranée.­ Évaluer la nature des changements institutionnels etdiscuter leur compatibilité avec les orientations retenues­ Examiner comment ces orientations répondent auxprincipaux défis que sont :

d’un point de vue économique l’équilibre générationnel etterritorial (emploi des jeunes, développement rural etsécurité alimentaire, gestion du fait urbain), ledéveloppement des PME et des TPE, l’innovation ;d’un point de vue sociétal : la participation despopulations aux décisions, les politiques de genre et la luttecontre la corruption.

­ Faire des recommandations sur les actions à entreprendreau niveau régional, en particulier de la part de l’UE et desgrandes organisations internationales.­ Eclairer quelle peut être la participation de la coopérationdécentralisée.2. Audience

La Conférence concerne les parties prenantes privées etpubliques des deux rives intéressées par l’après printemps

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arabe.Elle réunira quelque 350 participants autour d’une trentained’intervenants, en particulier, les responsables politiques etadministratifs concernés, les chercheurs académiques duCercle des Economistes, de l’Institut de la Méditerranée etdu Femise, les entreprises, banques et organismespatronaux des deux rives de la Méditerranée, les experts dela Commission Européenne et des grandes organisationsmultilatérales en particulier la BEI, « la BanqueMondiale, le Centre de Marseille pour l’Intégration enMéditerranée (CMI) » et l’OCEMO. Seront également invitésles nouveaux dirigeants qui ont été élus au Sud ainsi quequelques représentants les plus en pointe des mouvementsde la jeunesse.Des grands journalistes commentateurs de la pressenationale animeront les débats, les représentants desmédias euro méditerranéens étant conviés.Comme chaque année un déjeuner est offert au publicassistant inscrits sur le site internet des RV Med.Pour toute information supplémentaire, vous pouvezcontacter :Mme Shahla A. Lassus, s.lassus@ins­med.orgOu Mme Geneviève Desormière, [email protected] Mme Laetitia Clavel, laetitia.clavel@gl­events.com

Con il sostegno di :www.paralleli.org

Rete Camerale Nord Ovest per ilMediterraneo

Le attività dell'Istituto Parallelisono sostenute da: