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1 Democrazia e Riforme economiche nell’Africa Subsahariana * Vincenzo Memoli, Università degli Studi di Milano Abstract Dall’inizio degli anni ’80 numerosi paesi dell’Africa Subsahariana hanno avviato, sotto l’influenza di istituzioni internazionali, programmi volti a liberalizzare le loro economie. Lo sviluppo economico, inizialmente rallentato dai costi elevati del processo di riforme, solo a partire dalla seconda metà degli anni ’90 ha fatto registrare un trend positivo. Ma, cosa pensano i cittadini delle riforme economiche? I pochi studi condotti sul tema, realizzati considerando il parere espresso dall’opinione pubblica, vedono nell’economia, nei valori e nei media le determinanti della propensione a sostenere il processo delle riforme. In questo lavoro si muove dall’idea che la democrazia è conditio sine qua non per lo sviluppo delle riforme. Applicando un modello di regressione ai dati Afrobarometer, World Bank e WDI emerge uno scenario a macchia di leopardo, in cui il fermento democratico e il benessere individuale rappresentano i cardini intorno ai quali ruota il sostegno dei cittadini alle riforme economiche dell’Africa Subsahariana. Introduzione Con la fine degli anni ’80 la democrazia, con andamenti ciclici, ha provato ad imporsi sui regimi autoritari e semi democratici di alcuni paesi dell’Africa Sub-Sahariana (ASS; Grassi 2008). Le trasformazioni strutturali, pur coinvolgendo inizialmente un numero limitato di paesi, hanno contribuito al processo riforma del sistema politico e confutato il pessimismo di quanti non hanno mai creduto nell’instaurarsi della democrazia nel continente africano (cfr. Huntington 1991) ritenendolo un territorio ‘in crisi permanente’ (Van de Walle 2001). La lieve contrazione della povertà e dell’analfabetismo ha alimentano una visione ottimistica circa gli sviluppi politici e sociali dei paesi dell’ASS, rafforzata anche dall’andamento dell’economia, che tra i leoni d’africa 1 ha fatto registrare livelli di crescita simili al Brasile, Russia, India e Cina (BRIC). Basti pensare che nella classifica delle economie mondiali a più rapida crescita sette paesi dell’ASS 2 si collocano nella ‘top ten’ con tassi di crescita annui pari o superiori all’ 6,8% 3 (cfr. Economist 2012). Le cause di tali trasformazioni sono indubbiamente molteplici, ma la democrazia appare la principale chiave di volta attraverso cui spiegare l’andamento dell’economia tra le regioni dell’ASS. Infatti, nei paesi in cui si registra un maggior livello di democratizzazione si rileva un crescente sviluppo economico (Burkhart e Lewis-Beck 1994; Campos e Nugent 1999). La relazione che connette i due indicatori, pur non essendo sempre lineare (cfr. Comeau 2003), nel lungo periodo appare stringente (cfr. Carbone et al 2012) avvalorando l’idea che la democrazia rappresenti un prerequisito per lo sviluppo dell’Africa (cfr. Wantchekon 2012). Non mancano elementi di criticità. Alcuni studi rivelano dubbi circa la direzione causale che connette la democrazia all’economia (Lipset 1959; Przeworski et al 1996, 2000), sottolineano la debolezza degli effetti della prima sulla seconda, in special modo nel lungo periodo (Barro 1996), e prevedono un’inversione, o meno, del processo di causazione laddove si distingua il * Paper presentato al XXVI Convegno della Società Italiana di Scienza Politica (SISP; Roma, 13-15 Settembre 2012). Versione preliminare: si prega di non citare senza il permesso dell’autore. 1 Il termine ‘leoni d’africa’, alla stregua di quello utilizzato per le economie asiatiche (Indonesia, Filippine, Tailandia e Vietnam - tigri asiatiche), fa riferimento ai paesi dove le imprese che hanno fatto registrare elevate performance socio-economiche; al 2008 i leoni africani erano: Algeria, Botswana, Egitto, Libia, Mauritius, Marocco, Sud Africa e Tunisia. Per ulteriori approfondimenti cfr. Aré et al (2010). 2 Subito dopo la Cina e l’India seguono Etiopia, Mozambico e Tanzania, e a partire dalla settima posizione Congo D.R., Ghana, Zambia e Nigeria. 3 Si tratta di una previsione stimata per il periodo 2011-2015.

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Democrazia e Riforme economiche nell’Africa Subsahariana*

Vincenzo Memoli, Università degli Studi di Milano

Abstract

Dall’inizio degli anni ’80 numerosi paesi dell’Africa Subsahariana hanno avviato, sotto l’influenza di istituzioni internazionali, programmi volti a liberalizzare le loro economie. Lo

sviluppo economico, inizialmente rallentato dai costi elevati del processo di riforme, solo a partire dalla seconda metà degli anni ’90 ha fatto registrare un trend positivo.

Ma, cosa pensano i cittadini delle riforme economiche? I pochi studi condotti sul tema,

realizzati considerando il parere espresso dall’opinione pubblica, vedono nell’economia, nei valori e nei media le determinanti della propensione a sostenere il processo delle riforme.

In questo lavoro si muove dall’idea che la democrazia è conditio sine qua non per lo

sviluppo delle riforme. Applicando un modello di regressione ai dati Afrobarometer, World

Bank e WDI emerge uno scenario a macchia di leopardo, in cui il fermento democratico e il

benessere individuale rappresentano i cardini intorno ai quali ruota il sostegno dei cittadini

alle riforme economiche dell’Africa Subsahariana. Introduzione

Con la fine degli anni ’80 la democrazia, con andamenti ciclici, ha provato ad imporsi sui regimi autoritari e semi democratici di alcuni paesi dell’Africa Sub-Sahariana (ASS; Grassi 2008). Le trasformazioni strutturali, pur coinvolgendo inizialmente un numero limitato di

paesi, hanno contribuito al processo riforma del sistema politico e confutato il pessimismo di quanti non hanno mai creduto nell’instaurarsi della democrazia nel continente africano (cfr.

Huntington 1991) ritenendolo un territorio ‘in crisi permanente’ (Van de Walle 2001). La lieve contrazione della povertà e dell’analfabetismo ha alimentano una visione ottimistica circa gli

sviluppi politici e sociali dei paesi dell’ASS, rafforzata anche dall’andamento dell’economia, che tra i leoni d’africa1 ha fatto registrare livelli di crescita simili al Brasile, Russia, India e Cina (BRIC). Basti pensare che nella classifica delle economie mondiali a più rapida crescita sette

paesi dell’ASS2 si collocano nella ‘top ten’ con tassi di crescita annui pari o superiori all’ 6,8%3 (cfr. Economist 2012).

Le cause di tali trasformazioni sono indubbiamente molteplici, ma la democrazia appare la principale chiave di volta attraverso cui spiegare l’andamento dell’economia tra le

regioni dell’ASS. Infatti, nei paesi in cui si registra un maggior livello di democratizzazione si rileva un crescente sviluppo economico (Burkhart e Lewis-Beck 1994; Campos e Nugent 1999). La relazione che connette i due indicatori, pur non essendo sempre lineare (cfr. Comeau

2003), nel lungo periodo appare stringente (cfr. Carbone et al 2012) avvalorando l’idea che la democrazia rappresenti un prerequisito per lo sviluppo dell’Africa (cfr. Wantchekon 2012).

Non mancano elementi di criticità. Alcuni studi rivelano dubbi circa la direzione causale che connette la democrazia all’economia (Lipset 1959; Przeworski et al 1996, 2000), sottolineano

la debolezza degli effetti della prima sulla seconda, in special modo nel lungo periodo (Barro 1996), e prevedono un’inversione, o meno, del processo di causazione laddove si distingua il

* Paper presentato al XXVI Convegno della Società Italiana di Scienza Politica (SISP; Roma, 13-15 Settembre

2012). Versione preliminare: si prega di non citare senza il permesso dell’autore. 1 Il termine ‘leoni d’africa’, alla stregua di quello utilizzato per le economie asiatiche (Indonesia, Filippine,

Tailandia e Vietnam - tigri asiatiche), fa riferimento ai paesi dove le imprese che hanno fatto registrare elevate performance socio-economiche; al 2008 i leoni africani erano: Algeria, Botswana, Egitto, Libia, Mauritius,

Marocco, Sud Africa e Tunisia. Per ulteriori approfondimenti cfr. Aré et al (2010). 2 Subito dopo la Cina e l’India seguono Etiopia, Mozambico e Tanzania, e a partire dalla settima posizione

Congo D.R., Ghana, Zambia e Nigeria. 3 Si tratta di una previsione stimata per il periodo 2011-2015.

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periodo temporale di riferimento (breve o lungo; cfr. Narayan et al. 2011). Nonostante ciò,

l’effetto della democrazia sull’economia, sebbene debole in alcuni contesti (Foweraker e Krznaric 2000), appare persistere.

Anche se l’Africa sembra correre verso il benessere (Severino e Ray 2010), sospinta verosimilmente dalla democrazia, non mancano valutazioni opposte secondo cui i regimi

democratici africani sono i meno capaci a sviluppare la crescita economica di un paese (Van de Valle 1997). Una posizione quest’ultima probabilmente dettata più dall’andamento iniziale delle riforme economiche, dalle ricadute socio-politiche e dalle problematiche strutturali ad

esse connesse che dal pregiudizio. Infatti, vale la pena ricordare come l’attuazione del piano di riforme, quando la crisi economica tra i paesi dell’ASS sembrava ormai un processo

irreversibile, fu doloroso, in special modo per le classi meno agiate. Con il crescente coinvolgimento dell’IMF (International Monetary Fund) all’interno del processo economico

africano aumentò il risentimento dei cittadini (Lancaster 1990) così come le paure della classe politica, timorosa di perdere i propri benefici (Van de Walle 1999); inoltre, i limitati bilanci statali a disposizione delle élite politiche (cfr. Weyland 1998) condizionarono non poco le

scelte orientate al rilancio della crescita e dello sviluppo economico. Le democrazie sopravvivono e si consolidano grazie al sostegno dei cittadini al regime e

al grado di responsiveness (Powell 2005) che connette governanti e governati. Tra i paesi

dell’ASS le politiche sostenute da parte dell’élite hanno rappresentato più un mezzo finalizzato

al raggiungimento della vittoria elettorale che un obiettivo programmatico per incrementare lo sviluppo economico. Tale strategia, se nel breve-medio periodo è risultata efficace, col tempo

ha rallentato e ritardato, più che migliorato, la crescita economica dei paesi in via di sviluppo (Kohli 1986), generando un evidente malcontento nell’opinione pubblica.

I legami che intercorrono tra democrazia, economia e riforme economiche sono

indubbiamente articolati, sia che si guardi al fenomeno in un’ottica temporale che di causazione. Se i primi due termini sono stati ampiamente analizzati4, scarsa attenzione è stata

dedicata alla relazione che intercorre tra democrazia e riforme economiche. In questo lavoro, analizzando venti paesi dell’ASS5 e utilizzando alcune informazioni tratte da differenti datasets,

si è fatto luce sugli effetti che la democrazia e il relativo sostegno da parte dell’opinione pubblica, la corruzione così come il disagio economico producono sulla percezione che i cittadini hanno delle riforme economiche. I principali risultati, pur tratteggiando trend

diversificati, rivelano tra i cittadini un apprezzabile sostegno alle riforme economiche.

Le trasformazioni economiche dei leoni africani

All’inizio degli anni ’80, l’effetto congiunto di politiche economiche sbagliate, della recessione economica così come del declino del commercio intaccò le già labili economie dei

paesi dell’ASS. Il dibattito generato a partire dalle performance economiche deludenti, che

avevano segnato il decennio precedente, vide confrontarsi posizioni e soluzioni talvolta

contrastanti con quelli che erano gli obiettivi di fondo finalizzati allo sviluppo dell’ASS, spingendo alcuni studiosi a parlare di vere e proprie sindromi politiche economicamente

deleterie (cfr. Ndulu e O’Connel 2008). La strategia di sviluppo adottata per fronteggiare la crisi economica consisteva nell’applicazione di un programma di riforma sponsorizzato dalla

Bretton Woods (IMF e World Bank), finalizzata, attraverso aggiustamenti strutturali (World

Bank 1981), a controllare gli squilibri economici delle differenti aree geografiche: i governi avrebbero dovuto vivere con i propri mezzi senza far ricorso all’inflazione e all’espansione

monetaria. Tale scelta non fu esente da critiche (cfr. Stewart 1992, Taylor 1993) se non altro

4 Per un analisi della letteratura sul tema cfr. Carbone e colleghi (2012). 5 I paesi analizzati sono: Benin, Botswana, Burkina Faso, Capo Verde, Ghana, Kenya, Lesotho, Liberia,

Madagascar, Malawi, Mali, Mozambico, Namibia, Nigeria, Senegal, Sud Africa, Tanzania, Uganda, Zambia,

Zimbabwe.

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perché i costi della pianificazione avrebbero ulteriormente impoverimento quanti erano già in

una situazione di profondo disagio economico. Nonostante ciò, la prima ondata di riforme si ebbe all’inizio degli anni ’80,

condizionata più da una forte razionalità politica che dal bisogno di porre un rimedio alla crisi economica. Si tratta di una tendenza ben descritta da Bates (1981), secondo cui il bisogno di

stabilità politica spinse i governanti a far fronte alla domanda pressante dei gruppi d’interesse nazionale che dominavano la politica e garantivano il loro mantenimento al potere. Senza entrare nel merito degli studi che hanno fatto luce sulle dinamiche, sugli effetti e il peso

assunto dai gruppi di interesse nei vari processi di riforma, vale la pena ricordare come questi, nei fatti, non furono in grado di modificare le sorti dei paesi di appartenenza poiché deboli e

poco organizzati, in special modo se confrontati con quelli che hanno caratterizzato, nel medesimo periodo, l’Europa dell’Est o l’America Latina (Van de Valle 2001:25-26).

Il susseguirsi negli anni di scelte forzate e talvolta impopolari sviluppò una seconda ondata di riforme politiche, che a partire dalla seconda metà degli anni ’80 spostò l’asse del dibattito scientifico dai gruppi di interesse allo stato. Questo, in una sorta di rivoluzione

dall’alto, rappresentava il medium attraverso cui gli interessi istituzionali potevano coniugarsi con quelli avanzati dagli attori non istituzionali. Le capacità limitate dello stato e la relativa

debolezza (Migdal 1988) non sembrarono però smorzare le speranze di cambiamento. Tranne qualche eccezione, in Africa i sistemi autoritari apparivano impermeabili al

cambiamento, incapaci di giungere a riforme volte a generare crescita economica, ma anche assediati da varie questioni che mettevano a repentaglio l’esistenza stessa dello stato (Uzodike 1996). Tra la fine del 1980 e l'inizio del 1990, migliaia di persone manifestarono contro la

crescente povertà e la corruzione chiedendo le dimissioni dei governanti e una transizione verso la democrazia (Rudbeck e Sigurdsson 1999). Sebbene le popolazioni africane avessero

scarso accesso a meccanismi formali per rendere i loro leader e i governi accountable, la cui

assenza si rifletteva, ieri come oggi, nella diffusione della corruzione, il malcontento legato alle

performance dei governi e il crescente bisogno di partecipazione diedero luogo ad una

drammatica transizione politica. L’incremento della competizione politica e l’alternanza delle

diverse leadership (Block 2002) funsero da volano per il processo delle liberalizzazioni che investi i 2/3 dei paesi africani (Van de Walle 1994). Infatti, nella seconda metà degli anni ’90, molti paesi intrapresero la strada delle riforme volte a rafforzare la dimensione politica e

rilanciare quella economica, ma gli esiti, almeno per quanto attiene alle riforme economiche, furono contrastanti. Secondo World Bank (2000), il processo di riforme degli anni ’90 aveva

contribuito significativamente alla crescita economica. Una valutazione opposta emergeva da alcuni studi che segnalavano la drammaticità economica (scarse performance) scaturita dalle

riforme (Mkandawire a Soludo 1999) e che spinse una delle maggiori riviste economiche a definire l’Africa come ‘un continente senza speranze’ (Economist 2000). Le diverse valutazioni, anche se contraddittorie, tratteggiano e sintetizzano il fermento politico ed

economico dell’Africa che nel decennio successivo esploderà, grazie anche all’affermarsi della democrazia, dando un nuovo slancio all’economia (Carbone 2012).

Con il nuovo Millennio, infatti, le riforme interne, sia politiche che economiche, hanno favorito la crescita delle regioni dell’ASS andando ben oltre le previsioni avanzate dagli

economisti. Ampie riforme economiche e miglioramenti in termini di governance globale hanno

attirato investimenti esteri in settori produttivi contribuendo, così, a un aumento dei redditi e della spesa e allo sviluppo di infrastrutture fisiche e sociali. Basti pensare che nel 2009 gli

investimenti esteri diretti verso l'ASS6 sono stati superiori a 25 miliardi dollari, con un incremento del 31,8% rispetto al 2005, valore percentuale ben al di sopra del tasso di

investimento che, nel medesimo periodo, ha caratterizzato i paesi OECD (25,9%). Per quanto attiene alla crescita economica, anche se con un andamento sinusoidale ma ascendente, a

6 La fonte dati utilizzata è quella del WDI.

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partire dalla seconda metà dell’ultimo decennio si è attestata al di sopra del 5%, con una

variazione percentuale di gran lunga superiore a quella registrata nel decennio precedente. Tale crescita ha innescato una serie di cambiamenti il cui effetto ha condizionato positivamente

alcuni processi di lungo periodo, quali ad esempio la povertà così come alcuni aspetti afferenti ai servizi di base (McKensey Global Institute 2010).

Anche se l’Africa è spesso considerata dall’Occidente come uno dei continenti meno importanti (Walsh 2003:6) e l’opinione pubblica ha sempre contato poco nelle scelte e nei progetti che hanno caratterizzato i paesi dell’ASS (Van de Walle 2001:49) non si può non tener

conto di quest’ultima, che rappresenta il fondamento sostantivo della stessa democrazia (cfr. Sartori 1993). Sebbene l’opinione dei cittadini non sia, in senso stretto, un giudizio fondato su

conoscenze approfondite, nelle prossime pagine, utilizzando i dati dell’Afrobarometer, World Bank e World Development Integration si è provato a rispondere al seguente quesito di ricerca:

qual è la percezione che i cittadini hanno delle riforme economiche?

I cittadini e le riforme economiche

Nell’ultimo decennio l’andamento dell’economia ha impensierito numerosi governi dove il capitalismo regna sovrano e preoccupato le regioni dove i mercati economici sono in

espansione. Con la globalizzazione e la relativa facilitazione del passaggio dai mercati nazionali a quelli mondiali si sono modificati i nessi che connettono la rete economica ed è cresciuta l'interdipendenza economica tra i paesi. L’Africa non è risultata immune a tutto ciò e

grazie all’iniziale incoraggiamento delle istituzioni finanziarie internazionali ha rafforzato i programmi di liberalizzazioni dell’economia. Tuttavia, ben poco si sa circa gli atteggiamenti

dell’opinione pubblica nei confronti delle riforme economiche. Gli studi condotti a livello comparato sul tema delle riforme economiche tra i paesi

dell’ASS sono rari. Le ricerche che hanno analizzato il tema hanno rivelato che una maggiore propensione alle riforme si riscontra tra coloro che risultano dotati di un elevato capitale culturale e vivono in prevalenza in are geografiche dove vi è una maggiore privatizzazione dei

settori economici, quali ad esempio Zimbabwe e Sud Africa (Bratton e Matters 2001) 7. Non mancano però valutazioni discordanti, in special modo nel Sud dell’Africa, dove la maggiore

propensione verso una economia mista spinge l’opinione pubblica a ritenere lo stato il principale responsabile dei servizi di welfare.

In questo lavoro, utilizzando l’Afrobarometro (2010) è stato possibile guardare a venti paesi dell’ASS8 e valutare l’atteggiamento dei cittadini nei confronti delle riforme economiche. L’opinione di questi ultimi è stata stimata attraverso l’utilizzo di una variabile a cinque

modalità di risposta. Le prime due modalità aggregano quanti sono molto e abbastanza d’accordo con l’idea che ‘i costi della riforma economica sono troppo alti’ e che ‘il governo

dovrebbe abbandonare le attuali policy economiche’ (Carter 2010: 11), mentre le ultime due modalità sintetizzano la valutazione di coloro che sono abbastanza e molto d’accordo con

l’idea che ‘per una buona economia futura, oggi è necessario accettare qualche difficoltà’ (ibidem). Una modalità centrale raccoglie il parere di quanti non convengono con nessuna delle due affermazioni.

Come è possibile vedere dalla tabella 1, in cui sono state aggregate la quarta e la quinta

modalità dell’indicatore precedentemente descritto, quasi il 54% degli intervistati è favorevole

a farsi carico delle riforme economiche. Gli uomini, più delle donne, presentano una maggiore propensione al processo di riforme economiche così come i più giovani (fino a 30 anni) e

quanti presentano un titolo di studio elevato (diploma o laurea; +8,8 rispetto alla media), che

7 Gli studiosi, analizzando tra il 1999 e il 2001 sette paesi dell’ASS, hanno fatto luce su alcune componenti delle

riforme economiche quali il processo di privatizzazione, al mercato dei prezzi, ai tagli alla Pubblica

Amministrazione oppure al pagamento delle tasse per la fruizione del sistema sanitario. 8 In tutti i paesi la rilevazione delle informazioni è stata realizzata nel 2008, tranne che per Zambia e Zimbabwe,

dove le interviste sono state effettuate nel 2009.

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si contraddistinguono probabilmente per un maggior livello di informazione e conoscenza del

sistema politico ed economico. Lo stesso si può dire di quanti vivono in aree urbane, mentre evidenti differenze emergono allorquando la comparazione è realizzata tra i pesi dell’ASS.

Passando dal Nord al Sud, le quote percentuali di quanti sono propensi a farsi carico dei costi delle riforme economiche, pur distribuendosi a macchie di leopardo, si attenuano.

Escludendo il Senegal, che tra i paesi analizzati si presenta come un outliers se non altro perché

i problemi interni hanno destabilizzato l’opinione pubblica, e il Mali, al Nord9 si rileva una consistente propensione ad accettare le riforme economiche, al di sopra della media, con

picchi, come nel caso della Liberia, che si attestano poco sopra il 70%. Tale tendenza si contrae quando si guarda al Sud10, dove in 2/3 dei paesi di quest’area poco più di 4 cittadini su

10 ritengono opportuno farsi carico delle riforme. Un eccezione è rappresentata dallo Zimbabwe, dove quasi il 75% dei cittadini appaiono favorevoli alle riforme economiche

comportano. Questo dato è indubbiamente interessante se non altro perché si tratta di un paese che, pur essendo caratterizzato, come altre regioni che compongono il campione d’indagine, da un basso livello di democrazia così come da carenze infrastrutturali e normative, è in pieno

fermento economico11 e i cittadini appaiono aprirsi con fiducia al processo di riforma dell’economia.

Lo scenario che emerge tra i paesi dell’ASS alla fine della scorsa decade appare indubbiamente ottimistico se analizzato attraverso gli eventi sociali e politici che hanno

segnato, e in alcuni casi continuano a condizionare, alcune regioni oggetto di studio. Una ulteriore conferma è data dalla comparazione di questi risultati con quelli emersi dallo studio di Bratton e Mattes (2001). Con cautela interpretativa12 è possibile sostenere che dal 1999 al

2009 in alcuni paesi dell’ASS è aumentata tra i cittadini la propensione a farsi carico delle riforme economiche, sia al Nord (Malawi +42,9%) che al Sud (Zimbabwe +39,8). Se si esclude

il Sud Africa, dove l’apprezzamento per le riforme economiche è cresciuto poco meno del 10%, in tutti i paesi analizzati è cresciuta la quota di quanti sostengono le riforme economiche.

Nelle prossime pagine, attraverso tecniche multivariate, saranno testate alcune ipotesi e discusse le principali risultanze empiriche.

TAB 1 QUI

Le ipotesi di ricerca

Le differenti trasformazioni socio-politiche che hanno segnato i paesi dell’ASS alimentano dubbi e perplessità circa la relazione tra politica e riforme economiche. Secondo

Bienen e Herbst (1996), le differenze strutturali che distinguono i paesi dell’ASS non consentono di sostenere che le riforme politiche possono accelerare le riforme economiche in

Africa. Si tratta, probabilmente, di una visione dettata più dagli eventi che caratterizzavano i paesi africani degli anni ’90 che dalle tendenze che contrassegnavano, nel medesimo periodo, altre aree geografiche, quali ad esempio l’Occidente o l’America Latina. Infatti, nei paesi

dell’ASS dove la democrazia ha avuto modo di radicarsi e in taluni casi consolidarsi nel tempo, l’economia è cresciuta (Carbone et al. 2012). E’ altresì vero, però, che laddove la

9 I paesi considerati che afferiscono al Nord dell’ASS sono: Benin, Burkina Faso, Capo Verde, Ghana, Lesotho,

Liberia, Malawi, Mali, Mozambico, Nigeria e Senegal. 10 I paesi che si collocano al Sud dell’ASS sono: Botswana, Madagascar, Namibia, Sud Africa, Tanzania, Zambia

e Zimbabwe. 11 Vale la pena ricordare che al 2011 lo Zimbabwe ha fatto registrare un crescita economica del 6% (Economist

2012). 12 Le informazioni rilevate dai due studiosi fanno riferimento a quattro componenti delle riforme economiche

(cfr. nota 8) e sono rappresentate da un indice additivo che va da 0 (assenza di sostegno alle riforme economiche)

a 4 (massimo sostegno alle riforme economiche). Per rendere confrontabili questi dati con quelli in nostro

possesso sono state calcolate, per ciascuno dei sette paesi, le quote percentuali di quanti al 2000 indicavano il

proprio sostegno ad almeno tre delle componenti delle riforme economiche.

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democrazia è ancora in nuce, le aspettative economiche che si generano nel breve periodo

nell’opinione pubblica e l’eventuale insoddisfazione che un cattivo andamento della stessa produrrebbe, potrebbero riflettersi negativamente sulle istituzioni, mettendo a rischio sia il

consolidamento democratico (Diamond 1999) che il sostegno da parte degli stessi cittadini (Memoli 2011). Se si considera che a) al 2008 (2009 per Zambia e Zimbabwe), tra i paesi

considerati in questo lavoro solo poche democrazie avevano sperimentato dieci o più anni di democrazia13; b) la democrazia, essendo condizionata da fattori di natura politica, economica e sociale, richiede tempo per maturare; c) nonostante le performance economiche avessero

raggiunto livelli apprezzabili, i cittadini continuavano a nutrire non poche perplessità circa le riforme economiche (Bratton e Mattes 2004) allora verosimilmente la relazione che connette la

democrazia e la durata della stessa con le riforme economiche potrebbe assumere segno negativo. Considerando la possibilità di una relazione non lineare tra questi indicatori e che la

governance democratica potrebbe richiedere il consolidamento della democrazia e solo

successivamente sarebbe possibile proporre riforme economiche (cfr. Bunce 2001) si può

ipotizzare che: H1: al crescere del livello della democrazia i cittadini rivelano una minore propensione a sostenere le riforme economiche (relazione lineare-non lineare);

H2: al crescere della durata della democrazia l’opinione pubblica è restia a a sostenere le riforme economiche (relazione lineare-non lineare);

H3: al crescere del livello e della durata democrazia i cittadini sono maggiormente inclini a sostenere le riforme economiche; H4: nelle regioni dell’ASS dove il sostegno democratico è consistente l’opinione pubblica è favorevole a

sostenere le riforme economiche.

La corruzione contribuisce alla delegittimazione della politica e dei sistemi istituzionali

in cui essa si radica e pertanto rappresenta un punto centrale di preoccupazione di tutti i sistemi politici perché, come sottolinea Alatas (1990:3), ‘Riguarda tutte le classi della società;

tutte le organizzazioni statali, monarchie e repubbliche, tutte le situazioni, sia di guerra che di pace; tutte le età, di entrambi i sessi, e tutti i tempi, antichi, medievali e moderni’. Dal 1990, il numero di studi che hanno fatto luce sulla corruzione è cresciuto in modo significativo

sottolineando la crescente preoccupazione per l'aumento di gravi casi di corruzione in tutto il mondo. Tra i paesi dell’ASS, la corruzione ‘è stata accettata, praticata e generalizzata nella

vita di tutti i giorni’ (Carbone 2005:67), confermando che si è in presenza, parafrasando Olivier de Sardan (1999) di ‘un’economia morale della corruzione’, in cui questa trova terreno fertile

nelle norme sociali e nei comportamenti dei cittadini. E’ noto come i suoi effetti sono debilitanti e diffusi (Doig e Riley 1998), con ricadute di tutto rilievo per la democrazia (Montinola e Jackman, 2002; Sung, 2004; Bohara, Mitchell e Mittendorff, 2004) e il sistema

politico in generale, mentre nei contesti dove il livello di corruzione è basso, aumenta la

fiducia nelle istituzioni pubbliche (Mishler e Rose 2001; Chang e Chu 2006), incrementa il

sostegno alla legittimità dei sistemi politici (Seligson 2002), si riduce l’economia sommersa e migliora l’applicazione della rule of law e la qualità delle istituzioni (Wagner et al. 2009). Anche

se non sempre i cittadini hanno una corretta percezione di quello che è il livello di corruzione nel proprio paese (Pellegata e Memoli 2012) è possibile sostenere che nelle aree geografiche

13 I paesi in cui il regime democratico (Polity2 soglia >6) presenta una durata inferiore a dieci anni sono: Burkina

Faso, Ghana, Kenya, Lesotho, Liberia, Malawi, Mozambico, Nigeria, Senegal, Tanzania, Uganda, Zambia,

Zimbabwe.

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dove le istituzioni politiche sono percepite come corrotte si è in presenza di bassi livelli di

responsiveness e di accountability e quindi i cittadini risulteranno sfiduciati nei confronti delle

istituzioni pubbliche e in disaccordo con le scelte operate dall’élite:

H5: al crescere della corruzione i cittadini appaiono riluttanti a sostenere le riforme economiche.

Una delle questioni importanti che fanno riferimento alle riforme economiche è il nesso che connette quest’ultime con la povertà. Le riforme economiche, quando efficaci, dovrebbero

rappresentare una condizione necessaria per il ridursi della povertà (Kanbur 2001), anche nelle economie in via di sviluppo. E’ pur vero, però, che le riforme economiche sono pensate anche

per attirare investimenti privati che, nel medio-lungo termine, talvolta potrebbero produrre un effetto negativo sulla stessa povertà. Si pensi ad esempio alla privatizzazione del settore pubblico, la cui eventuale riforma potrebbe causare un suo ridimensionamento. Da questa

prospettiva, in talune situazioni le riforme economiche possono essere percepite, da quanti già vivono in situazioni precarie, come un ulteriore aggravio economico. Muovendo dall’idea che

il disagio economico può allontanare ulteriormente i cittadini dall’arena politica e da quelli che sono i macro obiettivi collettivi e statali è possibile ipotizzare che:

H6: al crescere del disagio economico i cittadini appaiono restii a sostenere le riforme economiche.

Il modello esplicativo

Per poter verificare le ipotesi precedentemente descritte e stimare l’impatto delle

informazioni raccolte sulla variabile dipendente14, che è di tipo dicotomico, si è ritenuto

opportuno far ricorso ad un random-effects logit model, in cui gli errori standard sono stati

calcolati attraverso procedura di massima verosimiglianza15. Le variabili esplicative inserite nel

modello sono: - disagio socio-economico: è rappresentato da un indice che esprime il grado d’indisponibilità

dei seguenti beni: cibo, acqua pulita, medicine o trattamenti sanitari, energia per cucinare16; -corruzione: è rappresentata da un indice che esprime il livello di corruzione percepito dai cittadini tra quanti lavorano nell’ufficio del Presidente, nel parlamento, nella polizia,

nell’ufficio delle tasse, nel sistema giudiziario (giudici e magistrati)17; -sostegno alle autorità politiche: è rappresentato da un indice che esprime le performance di

alcune autorità politiche - presidente, membri del parlamento, consiglieri del governo locale18;

14 La variabile presenta modalità 1 quando i rispondenti dichiarano cittadini sono molto o abbastanza d’accordo

con la seguente affermazione ‘per una buona economia futura, è necessario che al momento si faccia fronte a

qualche difficoltà’. In tutti gli altri casi la variabile presenta valore 0. 15 La scelta di coniugare informazioni raccolte sia a livello macro che a livello micro non è causale se non altro

perché in questo modo si è cercato di evitare generalizzazioni che possono cadere in quei tipi di errore che la

letteratura metodologica etichetta come fallacia individuale o ecologica. 16 La domanda generale, ripetuta per ciascuno dei beni elencati, è la seguente: ‘Nell’ultimo anno, quante volte tu o

un tuo familiare siete rimasti senza …?’. Le modalità di risposta sono (1) ‘una o due volte’, (2) ‘alcune volte’, (3)

‘molte volte’ (4) ‘sempre’. L’aggregazione delle variabili è stata realizzata attraverso l’analisi fattoriale. I punteggi

fattoriali ottenuti vanno da -1,19 (assenza di disagio socio economico) a 2,56 (massimo livello di disagio

economico). L’attendibilità dell’indice, misurata attraverso l’Alpha di Cronbach, è pari a 0,783. 17 La domanda generale, ripetuta per ciascuna istituzione politica sopra riportata, è la seguente: ‘Quante volte hai

sentito parlare di casi di corruzione nel …?’. Le modalità di risposta sono (1) una o due volte, (2) ‘alcune volte’,

(3) ‘molte volte’ (4) ‘sempre’. L’aggregazione delle variabili è stata realizzata attraverso l’analisi fattoriale. I

punteggi fattoriali ottenuti vanno da -1,91 (assenza di corruzione) a 2,19 (massimo livello di corruzione).

L’attendibilità dell’indice, misurata attraverso l’Alpha di Cronbach, è pari a 0,886. 18 La domanda generale, ripetuta per ciascuna autorità politica sopra riportata, è la seguente :‘Lei approva o

disapprova il modo in cui … ha lavorato negli ultimi dodici mesi?’. Le modalità di risposta sono: (1) ‘disapprovo

molto’, (2) ‘disapprovo’, (3) ‘approvo’, (4) ‘approvo molto’. L’aggregazione delle variabili è stata realizzata

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8

-soddisfazione democratica: è rappresentata da una variabile dicotomica che esprime la

soddisfazione dei cittadini per il funzionamento della democrazia19; -fiducia nelle istituzioni politiche: è rappresentata da un indice che esprime la confidence in

alcune istituzioni – presidenza della repubblica, parlamento, membri eletti nel governo locale, corte di giustizia20;

-livello di democrazia: è rappresentato dall’indice Polity221; -durata della democrazia: è rappresentata dal conteggio del numero di anni per i quali un paese è stato democratico. La variabile assume valore 0 quando il livello di democrazia presenta un

livello di democrazia (Polity2) inferiore a 622 e incrementa di un’unità per ciascun anno che si registra un livello di democrazia >6.

-livello di democrazia e durata della democrazia: è rappresentata da un indice moltiplicativo che aggrega le informazioni, precedentemente descritte, relative alla democrazia e alla sua

durata. Passando alla stima degli effetti che le variabili indipendenti producono

sull’atteggiamento dei cittadini nei confronti delle riforme economiche (modello 1), i risultati

confermano le ipotesi iniziali. Quando il livello di benessere dei cittadini è ai minimi termini, se non altro perché l’assenza di beni primari condiziona la stessa sussistenza, la probabilità che

questi siano propensi a farsi carico delle riforme economiche è più bassa del 9,8% di quella che caratterizza quanti vivono in condizioni socio-economiche non disagiate. Una tendenza questa

non certamente nuova, che sottolinea come il senso di disuguaglianza e di deprivazione spinge i cittadini a diffidare dalla politica e dalle scelte del governo. Pertanto, se è vero che in alcuni contesti la povertà ha rappresentato una delle condizioni affinché si affermasse la democrazia

in Africa (Mamdani 1987), la stessa povertà, allorquando continua a condizionare nel lungo periodo la vita dei cittadini, erode il consenso delle istituzioni e della classe politica (cfr.

Bratton e Mattes 2001), le cui scelte, in termini di policies, risultano, almeno per un segmento

della popolazione, ancora lontane da quella che può essere definita una buona governance.

TAB. 2 Una tendenza similare si rileva anche quando si considera la corruzione. E’ noto come

questa possa danneggiare il sistema politico poiché i funzionari, gli eletti o gli stessi burocrati, abusando del potere e dell'autorità che caratterizza tali ruoli e violando le norme che regolano la carica pubblica (Warren 2004; Pellegata 2012), possono svolgere attività finalizzate al

guadagno privato a spese della collettività. Laddove il livello di percezione della corruzione è elevato, si attenua la probabilità che i cittadini sostengano le riforme economiche. Di contro,

un diverso atteggiamento emerge quando, parafrasando Easton (1965), si considera il sostegno specifico, ossia il livello di soddisfazione circa il regime e le autorità politiche. Infatti quando i

cittadini risultano soddisfatti per l’operato della classe politica, delle performance istituzionali o

per il funzionamento della democrazia la probabilità che essi siano maggiormente inclini a

attraverso l’analisi fattoriali. I punteggi fattoriali ottenuti vanno da -2,08 (giudizio negativo) a 1,51 (giudizio

positivo). L’attendibilità dell’indice, misurata attraverso l’Alpha di Cronbach, è pari a 0,715. 19 La domanda rivolta agli intervistati è: ‘In generale quanto è soddisfazione per il funzionamento della

democrazia nel suo paese?’. Le modalità di risposta sono: (0) il mio paese non è democratico, (1) ‘per nulla’, (2)

poco’, (3) abbastanza’, (4) ‘molto’. La variabile è stata ricodificata nel seguente modo: alle prime tre modalità è

stato attribuito valore 0 (bassa soddisfazione), mentre alle modalità 3 e 4 è stato attribuito valore 1 (alta

soddisfazione). 20 La domanda generale, rivolta per ciascuna figura e istituzioni politiche sopra riportate, è la seguente ‘Quanta

fiducia ha nel …?’. L’aggregazione delle variabili è stata realizzata attraverso l’analisi fattoriali. I punteggi

fattoriali ottenuti vanno da -1,64 (massima sfiducia) a 1,40 (massima fiducia). L’attendibilità dell’indice è

apprezzabile – l’Alpha di Cronbach è pari a 0,715. 21 L’indice, tratto da Polity IV, va da -10, che rappresenta il massimo livello di autocrazia, a 10, che rappresenta il

massimo livello di democrazia. Questa variabile è stata inserita nel modello anche nella sua forma quadratica. 22 Questa variabile è stata inserita nel modello anche nella sua forma quadratica.

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farsi carico delle riforme è di almeno il 12,9% maggiore di quanti esprimono un giudizio

opposto. Da questa prospettiva, quando vi è rispondenza tra la domanda dei cittadini e gli outcome del sistema (responsiveness23) anche nei contesti dove la democrazia è ancora in nuce, i

cittadini si rivelano più propensi ad aprirsi con fiducia alle istituzioni e alle autorità politiche impegnandosi, anche economicamente, per un futuro migliore. Ciò risente, probabilmente,

anche dalla qualità della democrazia (Pitcher 2012) che in alcune regioni appare sensibilmente migliorata.

Guardando ai differenti indicatori che caratterizzano il regime politico (livello della

democrazia, durata e loro interazione) emerge che al crescere del livello di democrazia si registrano inizialmente effetti positivi ma decrescenti sulla variabile dipendente, che si

attenuano e divengono negativi quando il livello di democrazia aumenta. Per quanto attiene, invece, alla durata del regime, anche questo indicatore fa registrare una relazione negativa con

la variabile dipendente. Tali risultati rivelano le difficoltà che la democrazia incontra nell’affermarsi e consolidarsi in paesi dove probabilmente le aspettative rispetto al regime, da un lato, e l’assenza di una cultura democratica, dall’altro, rallentano, se non ostacolano, il suo

radicamento. Di contro, nei contesti dove i livelli di democrazia sono elevati e il regime democratico è divenuto, in termini di durata, un tratto peculiare del paese, i cittadini sono più

propensi a sostenere in prima persona le riforme (+4,1%) rispetto a quanti vivono in contesti dove la democrazia è ancora in nuce. In altri termini, solo quando il livello di democrazia e la

relativa durata raggiungono livelli consistenti, i cittadini iniziano a guardare con maggior fiducia ai propri rappresentanti e sostenere il processo di riforma economica.

Controllando i risultati empirici riportati nel modello 1 attraverso l’utilizzo di alcuni indicatori socio demografici ed economici, le relazioni tra variabili indipendenti e dipendente si riconfermano (cfr. modello 2). Di particolare rilevanza sono gli effetti marginali del livello

della democrazia, della sua durata e del loro effetto congiunto sulla variabile dipendente. Il livello di democrazia pur producendo un effetto positivo sulla propensione dei cittadini a farsi

carico delle riforme, si attenua in termini di intensità man mano che si passa da un livello di democrazia al successivo (graf. 1), dando luogo ad un andamento ad U capovolta. Escludendo

la fase in cui i paesi diventano full democracy24, l’effetto assume nuovamente rilevanza statistica

ma con un effetto negativo (crescente) sulla variabile dipendente. In altre parole, durante la transizione verso la democrazia, i cittadini non sembrano preoccuparsi dei costi legati alle

riforme economiche, mentre un atteggiamento opposto emerge quando il regime tende al consolidamento. Una diversa tenenza caratterizza la durata della democrazia (graf. 2): l’effetto

di quest’ultima sulla variabile dipendente è, a partire dal secondo anno25, sempre negativo e crescente, fino al trentaduesimo anno, oltre il quale si annulla. Questo risultato, anche se meno

intenso rispetto al precedente, rivela che con il perdurare della democrazia, specie nei contesti dove i livelli della stessa sono bassi, difficilmente si modifica la percezione che i cittadini hanno delle riforme economiche, ritenute probabilmente più un costo che un mezzo di

sviluppo economico collettivo. Di contro, l’effetto congiunto del livello della democrazia e della durata del regime sulla variabile dipendente presenta un andamento opposto ai trend

precedentemente descritti (grafico 3). Bassi livelli di democrazia presentano un effetto negativo sulla variabile dipendente, con un’intensità decrescente, almeno per i primi quattro anni di

durata del regime26. Solo a partire dall’ottavo anno la relazione diviene positiva. In altre parole, solo nei paesi dove la democrazia ha l’opportunità di crescere e tendere, nel tempo, al consolidamento, la probabilità che i cittadini sostengano le riforme economiche risulta più alta

23 Per ulteriori approfondimenti consultare Diamond e Morlino (2005) e Memoli (2013). 24 Questo stato è rappresentato sull’asse delle ascisse dal valore 16. 25

Ogni valore dell’asse delle ascisse indica un biennio 26 Ogni valore dell’asse delle ascisse indica un biennio.

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(+6,8%) di quella che caratterizza quanti vivono in regioni dove la democrazia è ai minimi

termini. GRAFF. 1, 2 e 3

Gli uomini e quanti possiedono un titolo di studio elevato sono maggiormente inclini, probabilmente perché più informati o dotati di una maggiore conoscenza delle scelte del

governo, a farsi carico dei costi delle riforme economiche (tab. 1). Al crescere dell’età si riscontra un effetto negativo sulla variabile dipendente, tendenza che caratterizza anche quei contesti dove il benessere economico generale (Pil) è consistente. Di contro una relazione

opposta contraddistingue la crescita economica: solo nelle regioni in cui, nell’ultimo triennio, l’economia ha fatto registrare una performance negativa, i cittadini appaiono dotati di una

maggiore consapevolezza circa l’importanza delle riforme economiche accettandone i costi cui le stesse daranno luogo.

Conclusioni

Le trasformazioni politiche e sociali che hanno investito i paesi dell’ASS, almeno in

alcuni contesti, hanno modificato il rapporto tra opinione pubblica e sistema politico. I cittadini dei paesi dell’ASS, in poco più di cinque casi su dieci, appaiono favorevoli a sostenere le riforme economiche avanzate dai governi. I principali risultati di questo lavoro rivelano che

quando la democrazia è florida e consolidata e il nesso che lega governanti e governati è solido, l’opinione pubblica appare incline a farsi carico dei costi economici che le riforme

stesse impongono. Si tratta di un fenomeno non certamente nuovo, come hanno dimostrato numerosi studi comparati tra le democrazie occidentali, ma che tra i paesi dell’ASS assume

un’indubbia rilevanza poiché ancora oggi in alcune regioni il confronto tra cittadino e stato risulta segnato da situazioni conflittuali e la democrazia continua a convivere con uno stato relativamente debole: la sua incapacità di stabilire un effettivo monopolio della forza, nei

territori storicamente controllati dalla criminalità e da gruppi organizzati, e di far fronte ai localismi mina continuamente la statualità.

In passato, nelle regioni dove le scarse performance economiche avevano condizionato

non poco la credibilità degli eletti e allontanato i cittadini dall’arena politica, l’opinione

pubblica apparivano restia a sostenere la strada delle riforme economiche. I mutamenti socio politici dell’ultimo decennio hanno alimentato tra i cittadini una maggiore consapevolezza rispetto al futuro economico e una maggiore propensione a confidare nella classe politica. Ciò

è particolarmente evidente nelle zone dove l’economia non ha fatto registrare livelli apprezzabili, in cui i cittadini appaiono condividere le scelte dell’élite politica sostenendo i

costi che eventuali riforme economiche comporterebbero. Il puzzle che emerge da questo lavoro rivela la complessità e le dinamiche alla base

delle riforme economiche. La democrazia si presenta con l’elemento cardine per inseminare tra i cittadini il valore che le riforme economiche assumono per la collettività, ma da sola non basta per innescare il cambiamento. Solo col radicarsi e il perdurare della stessa, ossia con

l’inseminarsi di una cultura democratica, che le riforme economiche si presentano agli occhi dell’opinione pubblica con una nuova veste: dolorose, ma determinanti per il benessere futuro.

Una percezione, questa, alimentata anche dal rapporto che connette governanti e governati,

che si struttura sulla capacità, dei primi, di rispondere alle richieste degli elettori e sulla

valutazione, dei secondi, delle funzioni del governo (autorità politiche) e delle performance

istituzionali. Tali fattori, condizionando la legittimità della democrazia, non solo hanno

rafforzato lo stato di salute e la qualità della stessa democrazia, ma anche alimentano il confronto tra cittadini e classe politica, le cui scelte incideranno non poco sugli sviluppi politici, economici e sociali della collettività.

Quale sarà il futuro della democrazia e quanto questo inciderà, nel lungo periodo, sul processo di riforme economiche è difficile stabilirlo, ma una vena di ottimismo è alimentata

dal Mo Ibrahim Index, da cui si evince che dal 2005 al 2009 i livelli di good governance sono

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11

aumentati in più della metà dei paesi analizzati27, e dalle risultanze empiriche di questo lavoro,

dalle quali emerge che la democrazia e il sostegno politico rappresentano il trampolino di lancio per le riforme economiche. Nonostante la globalizzazione e le difficoltà legate ai

processi di riforma economica, i leoni africani continuano a correre come gazzelle lungo il continuum che connette l’autoritarismo alla democrazia.

27 L’eccezione è rappresentata dal Kenya, Madagascar, Mozambico e Senegal, che presentano un trend negativo, e dal Sud Africa e dallo Zimbabwe, dove il livello di good governance è stabile nel tempo.

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12

Tab. 1 Le riforme economiche in ASS

2008-9 1999-2001 Delta 2008-9 / 1999-2001

% N

%

%

Sostegno alle riforme 53,8 27.713

Genere

26.336

maschi 54,8

femmine 52,7 Età

26.073

fino a 30 anni 55,3

da 31 a 60 anni 52,5

da 61 anni e oltre 53,7 Titolo di studio

26.299

nessuno 52,6

elementare 52,8

media 56,6

superiore 53,0

università-post laurea 62,6 Area geografica

26.336

urbana 54,7 rurale 53,1

Paese

26.336

Benin 61,2

Botswana 62,6

27

35,6

Burkina Faso 65,0

Capo Verde 63,7

Ghana 61,3

Kenya 52,3

Lesotho 54,6

16

38,6

Liberia 70,6

Madagascar 52,6

Malawi 56,9

14

42,9

Mali 49,1

Mozambico 69,2

Namibia 45,7

17

28,7

Nigeria 59,0

Senegal 21,5

Sud Africa 41,7

32

9,7

Tanzania 40,9

Uganda 45,5

Zambia 43,9

27

16,9

Zimbawe 74,8 35 39,8

Fonte: Afrobarometer (2010); Bratton e Mattes (2001).

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Tab. 2 L'atteggiamento nei confronti delle riforme economiche

Modello 1

Modello 2

Odds

Ratio

Errore

Standard

Odds

Ratio

Errore

Standard

disagio socio-economico

-0,906*** 0,017

-0,914*** 0,018

corruzione

-0,927*** 0,018

-0,922*** 0,018

soddisfazione democratica

1,184*** 0,042

1,187*** 0,042

sostegno alle autorità politiche

1,129*** 0,026

1,129*** 0,026

fiducia nelle istituzioni politiche

1,140*** 0,026

1,143*** 0,026

livello di democrazia

1,467** 0,208

1,532*** 0,180

livello di democrazia2

-0,939** 0,022

-0,923*** 0,018

durata della democrazia

-0,766** 0,075

-0,695*** 0,059

durata della democrazia2

-0,999 0,001

-0,998* 0,001

livello di democrazia *durata della

democrazia

1,041* 0,017

1,068*** 0,017

genere (0=maschio, 1=femmina)

-0,907** 0,029

età (18-110)

-1,000* 0,000

istruzione (0=elementare-media

inferiore; 1=media superiore-laurea)

1,422*** 0,146

pil

-1,000** 0,000

crescita pil (variazione triennale)

-0,971** 0,009

area geografica (0=rurale, 1=urbana)

-0,959 0,033

lnsig2u

-1,741 0,332

-2,180 0,339

sigma_u

0,419 0,070

0,336 0,057

rho

0,050 0,016

0,033 0,011

Wald chi2(sig.) (0,000)

(0,000)

Likelihood-ratio test of rho (sig.) 0,000

0,000

Numero di paesi 20

20

Numero di individui 17.074

17.074

Nota: ***p<0,001; **p<0,01; *p<0,05.

Fonte: Afrobarometer (2010), WDI, PolityIV (2011).

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14

Grafico 1 L’effetto marginale del livello di democrazia

Grafico 2 L’effetto marginale della durata della democrazia

-10

12

34

livello

di de

mocra

zia

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20

livello di democrazia

Predictive margins with 95% confidence interval

-.3

-.2

-.1

0

livello

di de

mocra

zia

1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21 23

livello di democrazia

Predictive margins with 95% confidence interval

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15

Grafico 3 L’effetto marginale del livello e della durata della democrazia

-10

12

34

livello

di de

mocra

zia

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22

durata della democrazia

Predictive margins with 95% confidence interval

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