Democratica n. 142 del 8 marzo 2018 - Sempre noi · responsabilità, noto anche come “calcio...

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WWW.DEMOCRATICA.COM PAGINA 4 Sempre noi 8 marzo Mobilitazione in Italia e in tutto il mondo ma i numeri dicono che la parità è ancora lontana n. 142 giovedì 8 marzo 2018 “Siamo qui a pregare per Davide, in questa Basilica di Santa Croce, sacrario degli uomini più illustri” (l’Arcivescovo di Firenze Betori ai funerali di Davide Astori) PAGINA 2 Porte chiuse al M5s. Martina guida il Pd PARTITO DEMOCRATICO I l rito dell’umiliazione del leader sconfitto da parte di coloro che ne avevano condiviso fortuna e responsabilità, noto anche come “calcio dell’asino”, è una delle abitudini più penose e ricorrenti della storia italiana. La galleria dei precedenti più o meno cruenti è infinita, e ognuno saprà trovarne un esempio nella propria memoria. P ur se ancora in attesa di analisi puntuali sui flussi elettorali, dai primi dati ad oggi disponibili il calo dei voti ottenuti tra il Senato e la Camera dei Deputati, per il nostro partito, suggerisce una scarsa attrattività del PD nelle fasce più giovani degli aventi diritto al voto (Clicca qui per vedere l’analisi di Youtrend) SEGUE A PAGINA 5 SEGUE A PAGINA 5 Il calcio dell’asino e la responsabilità del Pd Il nostro racconto che non parla ai giovani L’EDITORIALE / 1 EDITORIALE / 2 Andrea Romano Elena Bonetti

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PAGINA 4

Sempre noi

8 marzo Mobilitazione in Italia e in tutto il mondo

ma i numeri dicono che la parità è ancora lontana

n. 142giovedì

8 marzo2018

“Siamo qui a pregare per Davide, in questa Basilica di Santa Croce, sacrario degli uomini più illustri” (l’Arcivescovo di Firenze Betori ai funerali di Davide Astori)

PAGINA 2

Porte chiuse al M5s. Martina guida il Pd

PARTITO DEMOCRATICO

Il rito dell’umiliazione del leader sconfitto da parte di coloro che ne avevano condiviso fortuna e responsabilità, noto anche come

“calcio dell’asino”, è una delle abitudini più penose e ricorrenti della storia italiana. La galleria dei precedenti più o meno cruenti è infinita, e ognuno saprà trovarne un esempio nella propria memoria.

Pur se ancora in attesa di analisi puntuali sui flussi elettorali, dai primi dati ad oggi disponibili il calo dei voti ottenuti tra il Senato e la

Camera dei Deputati, per il nostro partito, suggerisce una scarsa attrattività del PD nelle fasce più giovani degli aventi diritto al voto (Clicca qui per vedere l’analisi di Youtrend)

SEGUE A PAGINA 5 SEGUE A PAGINA 5

“ “Il calcio dell’asino e la responsabilità del Pd

Il nostro racconto che non parla ai giovani

L’EDITORIALE / 1 EDITORIALE / 2

Andrea Romano Elena Bonetti

2 giovedì 8 marzo 2018Partito Democratico

Anche Orlando chiude i giochi con il M5S Martina pilota il Partito democratico

Per fare un’alleanza tra il Partito democratico e il Movimento 5 Stelle bisognerebbe convincere più del 90% di deputati e senato-ri dem, è un’opzione totalmente irrealistica. A fugare definiti-

vamente ogni dubbio è stato il leader della minoranza Andrea Orlando, che snocciola i numeri: “Il 70% della maggioranza del Pd è contrario. A questi si aggiungono il 20% dei delegati che hanno sostenuto la mia mozio-ne all’ultimo congresso. Significa che il 90% del Pd dice no ad un’intesa con il M5s per un nuovo governo”. Resta il 10% che fa riferi-mento a Michele Emiliano, l’unico convinto che “ora il Pd deve dare un appoggio esterno ai Cinque Stelle”. Le parole del Guardasigil-li chiudono di fatto la discussione aperta da Matteo Renzi al momento dell’annuncio del-le sue dimissioni, quando aveva scandito: “Non saremo la stampella degli estremisti”.

Anche Sergio Chiamparino - che in un pri-mo momento era stato tra coloro che invita-vano al dialogo - è parso perdere interesse sul tema. Sul punto, quindi, la Direzione di lunedì non dovrebbe vivere particolari ten-sioni, anche perché la mobilitazione sui ter-ritori, nei circoli e sui social è stata reale e massiccia. Non si tratta né di una questione di insulti, né tanto meno di poltrone, ma di una visione di Paese e di futuro totalmente inconciliabile.

Al centro della riunione dem ci saranno i prossimi passi per l’immediato futuro, oltre ad una approfondita discussione sui motivi che hanno portato alla batosta elettorale, come chiesto a gran voce dallo stesso Orlan-do. La Direzione prenderà quindi atto delle dimissioni di Renzi e avvierà le procedure del caso. La lettera “formale” è stata presen-tata e consegnata lunedì 5 marzo. “Conti-nuare a discutere di un fatto ormai avvenuto - mette nero su bianco Matteo Orfini - come non vi fosse stato non ha molto senso”. Paro-le che, anche in questo caso, chiudono un’al-tra polemica innescatasi nei giorni scorsi,

con la minoranza pronta a presentare un documento per chiedere che le dimissioni di Renzi fossero “vere ed effettive”.

Qual è ora la road map? Statuto alla mano - “non esistono margini interpretative e non ci saranno soluzioni creative”, ha rimarca-to Orfini - il percorso è segnato. Dal passo indietro del segretario, infatti, il presidente ha 30 giorni di tempo per convocare l’as-semblea nazionale. Il Parlamento dem ha quindi di fronte a sé due possibili alternati-ve, legate all’evoluzione del quadro politico e, soprattutto, se Cinque Stelle o Lega riusci-ranno a formare un governo e se si andrà velocemente a elezioni anticipate: o elegge-re un reggente o convocare il congresso, con la conseguente decadenza di tutti gli orga-ni del partito (ad esclusione del presidente e del tesoriere). Per il momento è il vicese-gretario Maurizio Martina che, sempre da statuto, rimanendo in carica, prende pieni poteri dalle dimissioni del segretario all’as-semblea, che sarà dunque il vero snodo per capire i nuovi scenari interni al Pd.

Stefano Cagelli CONDIVIDI SU

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“C’è una compattezza di fondo nell’essere coerenti con gli impegni assunti in campagna elettorale. Abbiamo perso le elezioni ed è giusto che andiamo all’opposizione. Il M5S non ha votato ius soli, reddito di inclusione, unioni civili. Hanno votato contro il terzo settore e sono contro i vaccini. Di Maio e la Lega dicono le stesse cose. Si parlino e si presentino alle consultazioni con una proposta. Insieme hanno i numeri per governare ”.

ETTORE ROSATO

“Il Pd deve stare all’opposizione, e non al governo. Il che non vuol dire votare sempre e comunque contro. Per il presente, a chiunque governi, io suggerisco di guardare a Milano,

dove c’è condivisione. Le differenze dentro il centrosinistra vanno valorizzate e da sette anni a Milano chi vuole bene alla sinistra ha trovato il collante e sa parlarsi chiaro”.

GIUSEPPE SALA

“Il Pd non è finito. Non c’è nulla di irrimediabile in politica, c’è sempre un futuro. Non tutto è irrimediabilmente compromesso. Al popolo di centrosinistra dico che ci sono, nel senso che seguo con tanta attenzione e partecipazione questo momento così difficile.I miei sentimenti sono chiari, è un momento difficile, difficile”.

ROMANO PRODI

“Il Pd non è finito, sono d’accordo con Prodi ma dobbiamo capire da dove si riparte. Abbiamo un problema strutturale, in queste elezioni è arrivato al culmine un processo: rappresentiamo un pezzo di ceto medio, soprattutto urbano integrato, ma non siamo in grado di rappresentare i settori popolari della società che guardano a Lega e M5S e così rischiamo di vedere questi settori contro ogni tipo di cambiamento; questo per il paese e il Pd non è un bene”.

ANDREA ORLANDO

Il percorso è segnato: ecco la road map del Pd (statuto alla mano). Ad aprile l’Assemblea

3 giovedì 8 marzo 2018

Le voci della baseDì la tua, racconta al giornale del Pd

le tue osservazioni, scrivi a [email protected]

Partito Democratico

Tre punti da cui ripartire

Abbiamo perso le elezioni, ci tocca fare l’op-posizione. Un concetto così banale che è invece diventato incredibilmente terreno di scontro politico interno. Assurdo ma è così.Se c’è una responsabilità che noi abbiamo nei confronti del Paese è quella di garantire la rigenerazione del Partito Democratico.Cerchiamo di riconquistare consenso fra il popolo per tornare ad essere un partito a vocazione maggioritaria e cioè rappresenta-tivo di tutte le fasce sociali. Per fare questo dobbiamo recuperare la sintonia perduta con il Paese.In questo senso elenco 3 cose.1) Dobbiamo elaborare la più ampia proposta di sobrietà del sistema politico. Noi meglio di chiunque altro sappiamo dove insistono le sacche di privilegio fra gli eletti, non solo i parlamentari ma anche i consiglieri regionali, e i nominati e dirigenti della pubblica ammini-strazione. Stipendi, pensioni o vitalizi, benefit diciamolo noi al Paese cosa c’è che non va e come vogliamo intervenire. Ma con una proposta organica, non a spot o a puntate, che deve riguardare tutto ciò che riguarda la macchina dello Stato nelle sue più diverse articolazioni.2) Ciò che ci divide profondamente dai 5Stelle è la loro idea di uguaglianza declinata con la formula “1 vale 1”. E’ questa una visione della società che ha fatto presa. Ha attecchito e convinto tantissime persone. Noi dovremmo invece riuscire a declinare la nostra idea di uguaglianza che sancisca invece il principio della meritocrazia. Perché le diseguaglianze si superano facendo in modo che ciascuno di noi si occupi delle cose che sa e faccia bene il proprio mestiere. Questo significa una rivoluzione culturale che metta al centro della nostra società la scuola. Lo diceva Prodi nel

1996. Illuminante in questo senso è stato Pie-ro Angela qualche settimana fa: “la velocità della luce non si decide per alzata di mano”.3) La selezione della classe politica. I 5Stelle hanno dimostrato che chiunque può candi-darsi a ricoprire ruoli di responsabilità. Noi dobbiamo rivedere i nostri criteri di selezione delle classi dirigenti. Certo, è inimmaginabile pensare che chiunque possa candidarsi al Parlamento ma non è nemmeno possibile che per poterlo fare devi appartenere a chis-sà quale filiera. I portatori di voti non sono quelli da 7-8 mila preferenze ma quelli che a prescindere dal se sono o meno candidati ti fanno vincere le elezioni perché le loro idee convincono di più e meglio rispetto a quelle degli altri.

Ragni AldoDirezione Regionale PD Puglia

Ascoltate la base o non avrete mai più il mio voto

Non mi sono pentita di avervi votato perché sono state fatte delle buone cose.Ho sentito attribuzioni di colpa: Renzi ci ha fatto perdere. Vi butto lì questa considerazio-ne: non potrebbe essere, invece, che quel 19% lo avete mantenuto proprio grazie a Renzi? L’avete considerata questa prospettiva? Un consiglio: tenetevelo stretto, un leader così è difficile da trovare.Dite che volete ascoltare la base. Bene, io faccio parte della base e sono a contatto con diverse persone che hanno votato PD. La riflessione è questa: se il PD si allea con i 5 stelle, se abdica alla propria dignità in base a non so quali calcoli, se non tiene conto del significato del mio voto che è anche quello di non dare l’Italia in mano al “Grande Fratello”, allora il mio voto non lo avrà mai più. Chi vole-va i 5 stelle purtroppo ha lasciato il partito. Chi

è rimasto ha in mente una sinistra antifasci-sta. Se vi alleate ai 5 stelle perdete anche chi vi ha votato.E dunque, fate opposizione, ma opposizione intelligente, mettete chi governerà di fronte alle proprie bugie e, vedrete che, al prossimo giro, le cose cambieranno.Una vostra elettrice

Renata

Non siamo la stampelladi nessuno

Allora, dico chiaro e forte da iscritto dalla sua fondazione al PD,da ex segretario cittadino e militante, che sono contrario per quel che possa valere, ad ogni forma di stampella alla formazione di governi strani.Abbiamo già dato con Monti, che ci ha massa-crato nei consensi alle elezioni del 2013 non vinte da Bersani.Basta, all’opposizione e attenti a chi dirà che si deve fare l’inciucio, perché dovranno dirlo pubblicamente e non sottovoce. E spero che il Presidente Mattarella non insista e trovi altre formule per fare il governo.

Camillo Repetti

Non lasciamoci ingannareIo ho 60 anni... di governi ne ho visti diversi...ma mi ricordo bene come i 5 stelle trattarono prima Bersani poi Renzi, ed ora che si con-siderano trasformisti: un pò di destra, un pò di centro ed un pò di sinistra per galleggiare. Vogliono la stampella del PD dopo averlo massacrato con le bufale su internet? Mi au-guro che il PD non si lasci ingannare, io non lo apprezzerei. Se ci sono dirigenti che vogliono l’accordo con i 5 stelle vadano con LeU che si propone di vendersi ai 5 stelle.

Biagini Mauro

4 giovedì 8 marzo 2018

Mobilitazioni e scioperi per una parità sempre lontana

L’8 marzo, la Giornata internazio-nale della donna, è nata quasi un secolo fa con l’intento di ricordare e rinnovare l’impegno per le con-quiste sociali, economiche e politi-che e per le rivendicazioni lavora-

tive e parità salariale dell’“altra parte del cielo”, ma soprattutto a partire dal nuovo millennio, il significato delle celebrazioni si è allargato fino ad abbracciare l’altro tema esploso in questi anni con particolare clamore, quello della vio-lenza e delle molestie.

Soprattutto questo del 2018 verrà probabil-mente ricordato come l’8 marzo di #metoo, il movimento nato negli Usa su impulso delle at-trici Asia Argento e Rose McGowan, che dopo la denuncia delle molestie del produttore Harvey Weinstein hanno dato il via a un moto di prote-sta e rivendicazione diventato mondiale, e che ha messo al centro un tema fino a quel momen-to sottaciuto, quello della violenza sui luoghi di lavoro. Per l’8 marzo #metoo è diventato #we-toogether, con la convocazione di uno “sciope-ro globale delle donne” che ha interessato varie città in tutto il mondo.

Allargando lo sguardo più in generale alla piaga del femminicidio, a cinque anni dall’intro-duzione in Italia del reato specifico i dati Istat e del ministero dell’Interno consegnano un qua-dro sconfortante, con una donna uccisa in Italia ogni due giorni e quasi sette milioni vittime di qualche forma di abuso nel corso della vita, dal-

lo stalking, allo stupro, all’insulto verbale.Numeri che più delle parole richiamano alla

necessità, non retorica, di tenere alta l’attenzio-ne sul fenomeno sempre, e non solo in occasio-ne di celebrazioni e tragedie.

E sul fronte economico, lavorativo e di rap-presentanza di genere, le cose vanno meglio? Se guardiamo ai dati del “gender gap” in Italia - la differenza salariale tra donne e uomini - la situazione è in chiaroscuro: l’ultima rilevazione effettuata da OD&M Consulting parla di un gap che è aumentato per dirigenti e impiegati (con un differenziale tra uomini e donne rispettiva-mente dell’11,8% e del 13,6%), e che pur essen-do diminuito per quadri e operai resta pur sem-pre all’8,3% per i primi e all’8,1% per i secondi. Un dato che per l’Eurostat raggiunge una media del 16,3% di differenza salariale in tutti i Paesi della Ue.

Concludendo con uno sguardo alla rappre-sentanza, il dato più fresco - e significativo - è quello consegnato dal voto del 4 marzo in Italia: nonostante la norma sull’equilibrio di genere introdotta dal Rosatellum, che prevedeva al-meno il 40% di candidature femminili, il com-binato disposto tra collegi uninominali “sicuri” dati per lo più agli uomini e pluricandidature, ha consegnato un Parlamento in cui la rappre-sentanza femminile è di appena un terzo tra Ca-mera e Senato. Insomma ancora una volta alle buone intenzioni non hanno fatto seguito i fatti. La dimostrazione che quello della parità di ge-nere, per qualcuno la prima misura della civiltà di una società, è un tema sul quale non sono concessi cali di attenzione.

8 marzo

La giornata internazionale della donna si celebra ogni 8 marzo, dal 1909 negli Stati Uniti, dove fu istituita su proposta del Partito socialista americano, in alcuni paesi europei dal 1921 e in Italia dal 1922.La versione secondo la quale l’8 marzo si ricordi la morte di centinaia di operaie nel rogo di una fabbrica di camicie (inesistente) avvenuto nel 1908 a New York, è una fake news d’annata. In realtà la proposta di un’unica data per le celebrazioni fu approvata nel 1921 in occasione della Seconda conferenza delle donne comuniste a Mosca, in ricordo della manifestazione del 1917 delle donne di San Pietroburgo contro lo zarismo.La scelta della mimosa risale invece al 1946 in Italia, quando l’U.D.I. (l’’Unione Donne Italiane) scelse il fiore come simbolo perfetto delle celebrazioni di Roma perché primaverile e alla portata di tutti.

Negli anni Mattel è cambiata in maniera radicale. Le prime Barbie presentavano una silhouette poco simile a quella delle donne vere, oggi invece esiste persino il modello “curvy”. E da qualche anno ormai l’azienda americana propone una collezione di Barbie che celebrano grandi donne. In occasione della Giornata internazionale della donna, quest’anno Mattel ha lanciato Sheroes, le eroine che possono essere di ispirazione per tutte le bambine del mondo e - perché no? - anche dei bambini. Diciassette bambole ispirate a personalità femminili della scienza, dello sport, dell’arte, sia del passato che del presente. Tra loro Sara Gama, calciatrice capitana della Juve e della Nazionale; la chef Hélène Darroze; la pittrice messicana e grande attivista Frida Khalo; Amelia Earhart, prima pilota donna ad attraversare l’Atlantico in solitaria; la scienziata e matematica Katherine Johnson che ha contribuito in modo sostanziale ai programmi spaziali della Nasa.

Perché l’8 marzo

La Barbie celebra le donne migliori

Carla Attianese CONDIVIDI SU

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5 giovedì 8 marzo 2018

Il calcio dell’asino e la responsabilità del Pd

Non deve dunque stupire che anche Matteo Renzi stia su-bendo in queste ore lo stesso trattamento, con l’inevitabile supporto di quella parte del giornalismo italiano che si è

temprata nel nobile esercizio dell’uso della forza contro i deboli e della debolezza con-tro i forti. La sfilza di “l’avevo detto”, “l’ho sempre pensato”, “ma come avete fatto a non capirlo” etc. è sostanziosa, imbaraz-zante ma soprattutto inutile. Perché non sarà certo il tiro al piccione contro Renzi, nel momento della sua massima fragilità, a liberarci dal faticoso esercizio dell’ela-borazione propriamente politica di quan-to è accaduto nella giornata di domenica e negli ultimi cinque anni. Eppure è proprio quello che ci aspetta, una volta che si saran-no depositate le polveri di queste settima-ne, per due motivi più importanti di altri. Il primo riguarda la responsabilità di ciascu-no di noi nella condivisione di una lunga sta-gione di governo che in questi anni ha rap-presentato la più profonda ragion d’essere del PD. Se è vero che “condividere” non si-gnifica “militare nella stessa corrente”, è al-trettanto vero che le scelte e gli orientamenti di fondo che hanno segnato la politica del PD in questi anni hanno rappresentato un pa-trimonio comune a tutto il partito. Un patri-monio che può e deve essere condiviso, so-prattutto nel momento della sconfitta, anche

da coloro che ieri scelsero con coerenza di restare dentro i confini del PD da minoranza e che oggi - proprio per quella scelta - posso-no legittimamente rilanciare la propria sfi-da per la leadership. Da questa condivisio-ne è inevitabile partire per comprendere ed elaborare le ragioni della sconfitta, che per l’ampiezza e la profondità dei sommovimen-ti culturali e sociali che ha rivelato interroga il Partito Democratico nella sua interezza. A meno che non si pensi davvero che la scon-fitta di domenica si possa spiegare e risolve-re con “il problema del carattere di Matteo Renzi”, come alcuni ancora suggeriscono in queste ore. Ma usare questo metodo signifi-cherebbe cancellare con superficialità anche i risultati di un’azione di governo che, pro-prio nella sua collegialità, ha dato al paese quello che il Partito Democratico ha sempre auspicato per l’Italia: più diritti civili e meno tasse, più crescita economica e meno crisi aziendali, più welfare realmente efficace e meno rendite di posizione. Che l’aver lavo-rato per l’Italia e per i nostri valori non sia stato sufficiente a contrastare l’ondata che ci ha travolto è indiscutibile. Ma quell’ondata, da comprendere fino in fondo con il rispetto che dobbiamo all’opinione della maggioran-za degli italiani, ha coinvolto nella sconfitta tutto il Partito Democratico: dai militanti ai ministri e parlamentari (quelli che hanno vinto così come quelli che hanno perso) fino ai dirigenti apicali. Cerchiamo almeno noi di non prendere in giro le ragioni fondamen-tali del nostro impegno politico, e proviamo dunque ad esercitare quel rigore intellet-tuale che ci chiede il lavoro che abbiamo

compiuto così come quello che abbiamo da compiere. Ben altra cosa è immaginare che quello stesso giornalismo di cui si scri-veva sopra dedichi in futuro almeno metà dell’attenzione che ha riservato al “caratte-re di Renzi” alla ricostruzione di quest’ulti-ma stagione di governo o agli effetti di lun-go periodo che avrà sull’Italia la mancata approvazione della riforma istituzionale. Il secondo motivo che ci obbliga ad un’elabo-razione rigorosa e libera da personalismi ri-guarda il futuro, e dunque quello che atten-de il Partito Democratico nei prossimi anni. In sintesi: un lungo periodo di opposizione politica e parlamentare alla nuova maggio-ranza espressa dagli elettori. Sgombrato il campo - e finalmente - da ogni fantasia su una nostra collaborazione governativa con la destra o con i Cinque Stelle, si tratterà di concentrarsi sulla doppia responsabilità che compete a qualsiasi opposizione in un con-testo democratico: prepararsi alla prossima stagione di governo e dedicarsi all’elabora-zione di una visione dell’Italia che vorremo. E’ qui, ancora una volta, che insiste il tema del patrimonio politico e culturale che si è rac-colto in questi anni attorno alla leadership di Renzi. Un patrimonio che sarà strumento fondamentale nella contesa per la guida del PD, com’è naturale in un partito aperto da anni al libero confronto tra visioni e leader-ship, e sul quale ci confronteremo nei modi propriamente trasparenti di un partito che rimane l’architrave della democrazia italia-na. Ne avremo certamente tutto il tempo e le energie, soprattutto se partiremo con il piede (e con il metodo) giusto.

Commenti

Andrea RomanoSegue dalla prima

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Un dato che sembra però evi-denziarsi è che la crisi nel nostro elettorato coinvolge in modo netto la fascia di età tra i 25-35 anni, dove otteniamo sembra il peggior risultato.

Questo dato non è da trascurare: la gene-razione più distante nel voto è quella che si colloca nel tempo in cui “il desiderio” giova-nile vuole trasformarsi in un progetto di vita adulta. Se a questo progetto la politica non sa dare possibilità, forma e spazio, si rompe il legame tra la politica e l’elettorato e scatu-risce un voto che trasforma il disagio in una richiesta di cambiamento. Un cambiamento “a prescindere”, spesso senza aderire di fatto nemmeno ad un progetto alternativo. In se-condo luogo il voto giovanile a partiti più ra-dicali indica che quegli estremismi possono essere interpretati come accoglienti. Credo ci si debba interrogare su come, al contrario, il racconto dell’Italia che ce la fa, che premia eccellenza e merito, non accompagnato da uno sguardo che riconosca ciascuno come prezioso “per tutti”, rischi di escludere pro-prio quel mondo giovanile che vive l’espe-rienza del fallimento, dell’emarginazione, dell’insuccesso scolastico o lavorativo.

Pur non avendo l’ambizione di riflessioni

compiute e proposte strutturate, possiamo già tracciare alcune prime possibili direzio-ni su cui riflettere.

Un elemento condiviso dell’analisi sul voto giovanile si riferisce alla fatica delle nuove generazioni ad aderire a meccani-smi di appartenenza al progetto degli attuali partiti politici (ne rendeva conto Rosina ieri su Repubblica): una netta distanza presa dai giovani rispetto a dinamiche di fedeltà eser-citata da un voto, talvolta invece definito “fluido” come il nostro tempo. Per colmare questa distanza, la politica deve ridefinire il significato di “appartenenza”. I giovani oggi hanno dimostrato di non sapersi ritro-vare in ideologie, che invece hanno guidato il processo storico e politico delle precedenti generazioni. Si tratta di saper intravedere e riconoscere che nelle nuove generazioni è viva una continua tensione tra idee e idea-li, tra storie personali e processi collettivi, tra desideri e progetti, tra l’essere incarna-to nell’oggi e il divenire che apre al dopo, al “non ancora”. Questa tensione tra idee e ideali si traduce anche in una forma nuova di interpretare l’agire o il sentimento politi-co. La chiave di volta ricomprende l’appar-tenenza e la partecipazione: i giovani oggi ci sono se chiamati a contribuire, rispetto ad una comunità, ad un tempo storico, ad un dato di realtà con cui confrontarsi. Questo esige in primo luogo, lo abbiamo già detto, il riconoscere piena e compiuta cittadinan-

za a questa nuova generazione nel proces-so politico tutto intero. Ne deriva il coraggio necessario di cedere il passo, di permettere che le cose nuove siano fatte e raccontate da volti nuovi, in una leale e generosa alleanza tra generazioni. Tuttavia non si tratta solo di protagonismo personale. Una comunità deve sapersi costruire come accogliente dei percorsi di ciascuno. Siamo quindi chiama-ti a ricostruire il luogo dell’incontro, della prossimità e dell’accoglienza. Alla politica che occupa spazio dobbiamo contrapporre la politica che libera protagonismo e cittadi-nanza; alla politica che convince, la politi-ca che coinvolge; alla politica dell’astrazio-ne, la politica della concretezza e della cura delle piccole cose, che sono quelle che nella prossimità permettono l’incontro e le rela-zioni accudite e custodite. Alla politica che racconta, la politica che ascolta; alla politica che elenca, la politica che narra; alla poli-tica delle individualità e dei fatti, la politica dei processi. Alla politica dell’immediato la politica del tempo lento, che è quello della generazione.

Sono primi spunti per vivere nell’incontro con i giovani il tempo del nostro coraggio. Anche ora. Perché se il nostro Partito oggi non può sottrarsi al momento del travaglio si deve aver chiaro che l’obiettivo finale è e deve rimanere il nuovo che nasce e di cui sa-remo chiamati a prenderci cura. E liberare.

Il nostro racconto che non parla ai giovaniElena BonettiSegue dalla prima

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6 giovedì 8 marzo 2018

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In redazioneCarla Attianese, Patrizio Bagazzini,Stefano Cagelli, Maddalena Carlino, Roberto Corvesi, Francesco Gerace,Silvia Gernini, Stefano Minnucci,Agnese Rapicetta, Beatrice Rutiloni

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