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DEL DETTAGLIO IN FOTOGRAFIA Giovanni Fanelli

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DEL DETTAGLIO IN FOTOGRAFIA

Giovanni Fanelli

CONTRIBUTI A UNA STORIA DELLA FOTOGRAFIA

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«La cosa più difficile da vedere è ciò che è davanti ai vostri occhi»Johann Wolfgang Goethe

stampato in proprio - edizione fuori commercioParis 2011

© Giovanni Fanelli

DEL DETTAGLIO IN FOTOGRAFIAGiovanni Fanelli

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Una stampa fotografica – di un paesaggio, di uno spazio urbano, di un’architettura, di un oggetto – consente grazie a ingrandimenti in fase di stampa o di lettura con utilizzazione di lente dotata di grande potere di ingrandimento; oppure, oggi, di lettura grazie a ingrandimenti di una scansione digitale, una possibilità di ‘scoprire’ e apprezzare dettagli minimi che sfuggono all’attenzione nella visione a occhio nudo della medesima stampa fotografica.I dettagli sono scelti – ancor più di quanto avvenga per i dettagli di opere pittoriche1 - da colui che guarda la stampa e ne riflettono il gusto. Ma in molte immagini fotografiche è evidente che il dettaglio - o i dettagli - sono stati comunque volontariamente inclusi dal fotografo nella veduta d’insieme; è il caso delle vedute di Firenze e di Capri in questo studio. Altre volte l’individuazione e la scelta dei dettagli risultano ancora più dipendenti dall’intenzione e dal gusto di chi esamina la stampa; è il caso della veduta di piazza San Pietro a Roma, nella quale il dettaglio non è scelto e ordinato nella composizioni d’insieme, è piuttosto immerso nel magma della folla urbana e va cercato nell’ingrandimento.Nelle vedute urbane o paesaggistiche dettagli significativi sono le presenze umane, che le qualificano come cosiddette ‘vedute animate’. Sono presenze più o meno volute, più o meno controllabili da parte del fotografo, soprattutto nel periodo delle riprese con tempi lunghi di esposizione, quando se le persone si muovevano durante la ripresa lasciavano tracce più o meno evidenti, dette ‘fantasmi’. Si è detto più o meno volute, perché in effetti talvolta il fotografo ritoccava il negativo eliminando, in tutto o in parte, alcuni o tutti i fantasmi.

Una significativa testimonianza dell’uso della lente d’ingrandimento per osservare le fotografie si trova in Henry Fox Talbot, The Pencil of Nature, London, Longman, Brown, Green & Longmans 1844-1846, commento alla tav. XIII, Queen’s College, Oxford. Entrance Gateway: “In examining photographic pictures of a certain degree of perfection, the use of a large lens is recommended, such as elderly persons frequently employ in reading. This magnifies the objects two or three times, and often discloses a multitude of minute details, which were previously unobserved and unsuspected. It frequently happens, moreover – and this is one of the charms of photography – that the operator himself discovers on examination, perhaps long afterwards, that he has depicted many things he had no notion of at the time.”Il grande architetto Eugène Emanuel Viollet-le-Duc, estimatore della fotografia, ha scritto nella voce restauro del Dictionnaire raisonnée de l’architecture française du XI au XVI siècke (1866): “bien souvent on découvre sur une épreuve ce que l’on n’avait pas aperçu sur le monument lui-même.”.E già molto prima, nel 1851, Francis Wey aveva scritto della fotografia di architettura:“Telle est même la puissance presque fantastique du procédé, qu’il permet à l’examinateur d’un dessin d’architecture de l’explorer comme la nature même, et d’y faire des découvertes inaperçues sur le terrain. Cette assertion sera éclaircie et appuyée par une récente anecdote. Il y a quinze mois, M. le baron Gros, alors ministre plénipotentiare en Grèce, fixa, par le moyen du daguerréotype, un point de vue pris à l’Acropole d’Athènes. Là se trouvaient disséminés des ruines, des pierres 1 Si veda in merito, ad esempio, D. Arasse, Le Détail. Pour une histoire rapprochée de la peinture, Paris 1992.

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sculptées, des fragments de toute espèce. De retour à Paris, à la suite d’une mission délicate et honorablement remplie, M. le baron Gros revit les souvenirs de voyage, et considéra, à l’aide d’une loupe, les débris amoncelés au premier plan de sa vue de l’Acropole. Tout à coup, à l’aide du verre grossissant, il découvrit sur une pierre une figure antique et fort curieuse, qui lui avait jusqu’alors échappé. C’était un lion qui dévore un serpent, esquissé en creux et d’un âge si reculé, que ce monument unique fut attribué à un art voisin de l’époque égyptienne. Le microscope a permis de relever ce document précieux, révélé par le daguerréotype, à sept cents lieues d’Athènes, et de lui restituer des proportions aisément accessibles à l’étude. Ainsi ce prodigieux mécanisme rend ce que l’on voit et ce que l’oeil ne peut distinguer; si bien que, comme dans la natutre, le spectateur en se rapprochant plus ou moins, à l’aide de lentilles graduées, perçoit des détails infinis, quand l’ensemble des objets ne suffit plus à sa curiosité”2.Ed Ernest Lacan, nel 1853, commentando l’album fotografico L’Art religieux (1853-54) edito da Blanquart-Évrard, diviso in due serie: Architecture, Sculpture, e Peinture, scrive: “Il y a, aux corniches les plus élevées des cathédrales, dans les galeries où l’hirondelle et le corbeau font leur nid, des figures de saints ou de vierges que nul oeil humain n’a jamais pu contempler de près, et que l’objectif découvre et reproduit dans toute leur suavité de forme et d’attitude.”3. E Roger Frith, nel 1859, aveva affermato:“Every stone, every little perfection, or dilapidation, the most minute detail, which, in an ordinary drawing, would merit no special attention, becomes, in a photograph, worthy of careful study. Very commonly, indeed, we have observed that these faithful pictures have conveyed to ourselves more copious and correct ideas of detail than the inspection of the subjects themselves had supplied; for there appears to be a greater aptitude in the mind for careful and minute study from paper, and at intervals of leisure, than when the mind is occupied with the general impressions suggested by a view of the objects themselves, accompanied, as these inspections usually are, by some degree of unsettlement, or of excitement, if the object be one of great or unwonted interest.”4.Nel corso degli sviluppi della storia della fotografia, alcuni fotografi hanno interpretato creati-vamente le possibilità della fotografia in materia dei rapporti fra veduta d’insieme e dettaglio ottenendo serie di immagini significative diverse attraverso l’ingrandimento di parti di una stessa immagine. È quanto ha fatto per esempio Charles Sheeler per vedute di New York, nel 1920.

2 F. Wey, De l’influence de l’héliographie sur les Beaux-arts. Courtes réflexions sur l’exposition de 1850, 1a parte, “La Lumiè-re”, I, n. 1, 9 febbraio 1851, p. 3.3 E. Lacan, “Publications photographiques de M. Blanquart-Évrard, 2a parte, “La Lumière”, III, n. 15, 9 aprile 1853, p. 57.4 R. Frith, The Art of Photography, in “Art Journal”, 5, 1859, p. 71.

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Giorgio Sommer, “N.° 1816. Loggia dei Lanzi. Firenze”, “G.Sommer-Napoli”, 1871 circa; stampa su carta all’albumina, 20x25,5. Non è casuale il fatto che, al di là del caso di Napoli, più in generale le vedute urbane di Sommer formalmente più ricche e compiute riguardino, a parte alcuni panorami, spazi urbani che si prestano ad essere interpretati come scena teatrale: la Porta Felice, a Palermo; la Loggia della Signoria, a Firenze; piazza Navona, a Roma; Palazzo d’Angri e la via Toledo o il largo Vittoria, a Napoli; il Giardino Garibaldi, a Palermo; piazza Dante, a Catania; o ancora la fontana di Taormina.La fiorentina Loggia della Signoria, ‘o dei Lanzi’, in piazza della Signoria, è, grazie alla sua dimensione straordinaria, una specie di piazza coperta soprelevata e affacciata sulla piazza vera e propria. Una piazza coperta diventata nel corso dei secoli teatro di molti gruppi scultorei, ubicati al suo interno o affacciati, lungo i suoi margini, sulla piazza vera e propria, come la Giuditta di Donatello, il Perseo di Cellini o il Ratto delle Sabine di Giambologna.Una ‘piazza’ coperta non molto vivibile in inverno, come testimonia già il Vasari, ma assai frequentata in estate perché, essendo esposta a nord, offre una notevole frescura. E per la stessa ragione erano molto frequentate la sua fronte e la fascia prospiciente della piazza interessata dall’ombra portata dell’alto monumento. Le panche di via alla base dei due lati esterni (nord e est), il piano largo del parapetto (invero un recinto basso quanto un sedile, che accentua l’effetto di partecipazione allo spazio della piazza dall’interno della loggia) e le panche scalate su tre livelli lungo i lati murati (sud e ovest), offrivano possibilità di sedersi o di sdraiarsi a popolani e borghesi, a cittadini e turisti. Le panche di via della fronte della loggia erano utilizzate anche da venditori ambulanti cui era consentito di schierare in fila lungo lo stesso lato i loro banchetti, carretti o vassoi. Talvolta i venditori utilizzavano anche sedie impagliate. Offrivano cibo e soprattutto bibite ghiacciate. Il cibo – in particolare dolciumi – era ordinato in cesti o in vassoi trasportabili a tracolla; le bibite erano tenute fresche in speciali contenitori cilindrici dotati di una intercapedine da riempire con ghiaccio chiusa fra il contenitore interno e quello esterno di lamiera zincata e coperti da un coperchio a cono, tipici di Firenze, disposti su banchetti (dapprima di legno e con piedi fissi, più tardi anche metallici e dotati di piccole ruote) sulla fronte dei quali erano dipinte scritte che vantavano le bibite (per esempio: ‘Mescita di limonate, orzate, ribes, lampone, tamarindo, marena e fernet vero’).Sulle panche di via furono collocati nel 1849 i lampioni di ghisa a stelo con lanterna, sostituiti nel 1865 con quelli a candelabro a quattro luci.Sommer ha realizzato negli anni molte vedute, nei diversi formati, varianti di questo soggetto, proprio perché era interessato all’insieme di rapporti fra lo spazio urbano e architettonico e la vita urbana particolarmente ricco nel caso della Loggia fiorentina.L’elemento monumentale occupa potentemente il quadro e introduce allo svolgimento di una serie di episodi di vita dentro e fuori della loggia, soprattutto lungo la panca di via della fronte.Nell’immagine gli oggetti del piccolo commercio: i cesti di vimini, i contenitori per il ghiaccio, le bottiglie dei rosoli e i bicchieri di vetro, i panni, i pan di ramarino, le frutta, assumono una singolare dignità, in forme che evocano nature morte alla Caravaggio. Durante la ripresa alcune persone si sono mosse, alcuni venditori lungo la panca di via hanno lasciato deboli tracce, uno dei due uomini seduti alla base del Menelao e Patroclo ha accavallato le gambe e l’immagine ha registrato la sua posizione prima e dopo il movimento, un altro seduto alla base del Perseo si è allontanato durante la ripresa lasciando una traccia trasparente della sua presenza; alcuni oggetti - contenitori di ghiaccio - sono stati spostati durante la ripresa, lasciando tracce diverse, e fra di essi compare anche un rettangolo fortemente radiante: un pezzo di ghiaccio ?

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Giorgio Sommer,‘N.°1197 Hôtel Pagano (Capri)’, 1865 circa, stampa su carta all’albumina,19,5x25,5.Vedutista eletto dei paesaggi delle campagne dei territori di Napoli ancora incontaminati nella loro radiosità mediterranea, Sommer trova accenti particolarmente poetici in alcune riprese di Capri. In una diffusa luce piena meridiana la composizione della veduta dell’Hotel Pagano propone due tempi grosso modo equivalenti alla metà del quadro: nella parte inferiore la campagna densa e rigogliosa percorsa dalle linee forti delle strade chiuse tra alti muri soleggiati tagliati quasi a spartiacque fra due aree di densa vegetazione; in quella superiore il paesaggio di architetture mediterranee articolate e scandite dalla luce piena meridiana (nello sfondo, a sinistra, la chiesa di Santo Stefano). Le presenze umane, dettagli a prima vista non immediatamente percepibili guardando all’insieme, sono tuttavia essenziali: l’uomo seduto sul muro in campo medio, quelli sulle terrazze e alle finestre (uno con un binocolo), tutti (all’evidenza turisti, talvolta contornati da bambini del luogo) col loro atteggiamento confermano la gran calura panica, l’incanto dell’ambiente e dell’ora. Assi verticali e orizzontali e scorci in diagonale si confrontano in un complesso rapporto di echi.

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Giorgio Sommer, ‘N.° 1079. Benedizione di Pasqua (Roma)’, 1860 circa, stampa su carta all’albumina, cm. 19,8x25,3. La piazza San Pietro colma di folla per ricevere la benedizione papale in occasione della messa domenicale o della festività pasquale offriva particolari possibilità di ottenere anche con tempi lunghi di posa una veduta urbana animata. Per le sue implicazioni religiose nonché mondane ma anche per tali particolari condizioni offerte alla ripresa fotografica tale soggetto è stato ripreso da molti dei fotografi operanti a Roma o in Italia nell’Ottocento, da James Anderson a Gioacchino Altobelli, a Pompeo Molins, ai fratelli D’Alessandri, a Antonio Perini, a Sommer e Behles.Nella versione qui riprodotta Sommer studia una composizione in cui nella lunga prospettiva ripresa da un punto di vista elevato (dall’alto di una casa della Spina dei Borghi affacciata su piazza Rusticucci) ma non abbastanza da consentire una maggior apertura degli intervalli nella massa della folla, riesce tuttavia a distinguere e rapportare in maniera significante le file di carrozze in primo piano (le dame e i signori seduti a bordo, alcuni in piedi sul predellino, i cocchieri in tuba e in livrea), le truppe pontificie schierate in ordine serrato, la folla dei fedeli in piedi o inginocchiati, le autorità e i fedeli accalcati sulla gradinata del tempio. Qua e là qualche persona si è issata sulla base delle membrature architettoniche e spicca dunque più distintamente. Un uomo con cappello a tuba si è issato sullo stilobate di una colonna del porticato nell’ala di destra, e sta appogiato al fusto.Sommer e Behles hanno ripreso più volte lo stesso soggetto anche nei formati stereoscopico, cabinet e carta da visita, ma non in quello grande (28x38).

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