D'amore e di ventura preview

86

description

Cesare Mocenigo è un capitano di ventura, nobile, scaltro e affascinante. Viola Ripamonti Sforza è la bellissima e coraggiosa nipote del suo peggior nemico. Eppure, benché il dolore lo abbia reso un uomo tormentato e pericoloso, quando la incontra Cesare comprende di avere ancora un'anima. E insieme a lei, sullo sfondo dell'aspra guerra tra Venezia e Milano, tra le battaglie, gli intrighi e lo splendore del Rinascimento, sarà protagonista di una struggente storia di passione e redenzione, in una lenta risalita verso la luce durante la quale tutto può accadere, se a comandare è il cuore.

Transcript of D'amore e di ventura preview

Page 1: D'amore e di ventura preview
Page 2: D'amore e di ventura preview

Elisabetta BriccaD’amore e di ventura

Page 3: D'amore e di ventura preview

Prima edizione digitale 2014-10-16Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto

di autore.E’ vietata ogni duplicazione, anche parziale,

non autorizzata.

@Copyright Elisabetta Bricca

Page 4: D'amore e di ventura preview

Ai miei amati lettori

Page 5: D'amore e di ventura preview

.1.

Valle Imagna, Lombardia

Novembre 1438

In una fredda alba della campagna lombarda, le truppe viscontee e quelle della

Serenissima Repubblica di Venezia si scontravano in una sanguinosa battaglia che

decretava la vittoria di Milano.

A soli sedici anni, Federico da Montefeltro era a capo dello squadrone delle truppe

viscontee che aveva riportato, in quel giorno, una vittoria schiacciante sui veneziani.

Il braccio sollevato e l'elsa della spada stretta con forza nel pugno, il giovane, dal

profilo già inconfondibile, possedeva tutta la spietata fierezza di un crudele angelo

vendicatore e la tempra del condottiero.

Calò di colpo l'arma e il vice comandante veneziano sussultò, mentre un gemito

straziato gli fuoriusciva dal petto. L'uomo ricadde di schianto su un masso che si tinse

del rosso del suo sangue, gli occhi fissi in quelli di Montefeltro.

«Mio figlio mi vendicherà» sussurrò morente. Federico strinse la mano intorno

all'impugnatura dell'arma e, facendo leva su tutto il corpo, mise a segno l'affondo

finale. La lama affilata penetrò fino all'elsa, spezzando le ossa del torace del

veneziano.

«Ho mandato i miei uomini a Venezia: nessuno vi sopravvivrà, Mocenigo, né vostra

moglie né i vostri figli!»

Page 6: D'amore e di ventura preview

Ormai in fin di vita, il vice comandante fu scosso da tremiti e, prima di rendere

l'anima a Dio, una lacrima scese a bagnargli il volto.

Nello stesso momento a Venezia

Gran ballo in maschera, Palazzo Ariani

«Prendetemi. Oh, sì, vi prego, Cesare!»

La dama ansimò sollevando i fianchi nascosti dal- l'ampia veste dorata. Ruotò la testa

di lato e la fiamma ramata di una torcia ne sottolineò il profilo maschera- to e le

labbra tumide socchiuse in una muta preghiera di piacere.

Una figura slanciata era in piedi dietro di lei. La luce soffusa metteva in risalto, a

tratti, la maschera d'argento, tempestata di diamanti, che gli copriva il volto e le

braccia fasciate di velluto.

«Siete una piccola ingorda, Costanza.» L'uomo si chinò su di lei e le sollevò le gonne,

scoprendo le natiche nude, sode e rotonde.

Lei gemette e aprì le cosce, mentre un mugolio sommesso le fuoriusciva dalla

gola.

I rumori della festa arrivavano fin nei giardini e il pensiero che, da un momento

all'altro, qualcuno degli invitati potesse sopraggiungere e scoprirli acuiva

l'eccitazione dei due amanti.

Page 7: D'amore e di ventura preview

«Ferma.» Il giovane mise una mano sul fondoschiena della donna e, premendo con

forza, la spinse verso il bordo della fontana, in modo da farle sollevare di più i

fianchi.

L'afferrò alla vita con entrambe le mani e con una lunga, potente spinta la penetrò.

La dama gorgogliò e gettò la testa all'indietro, mentre lui affondava più volte con

vigore, fino a raggiungere l'estasi selvaggia.

Senza pronunciare una parola, quasi la donna non fosse più lì, si staccò da lei e

cominciò a risistemarsi la calzabraca.

«Hai vinto la scommessa, Cesare.» Una voce emerse dall'oscurità e una moneta

tintinnò a terra, accanto ai piedi del giovane.

Costanza sollevò di scatto il volto dai lacci del corpetto e le sue labbra persero colore.

Guardò con la bocca spalancata prima Cesare e poi l'altro giovane, appena sbucato da

dietro un cespuglio. Il sangue le defluì dal viso. Si portò le mani alla gola come se

stesse per soffocare. Le sue dita rimasero a mezz'aria. Parve ripensarci.

Sollevò un braccio e fece per schiaffeggiare l'amante, ma una mano le artigliò il

polso.

«Su, su, signora. Appena un momento fa eravate tutta rossori, voglie e gemiti.»

«Mocenigo, siete un bastardo!»

«La mia diletta madre, a differenza della vostra, mai disertò il talamo maritale, dolce

Costanza.»

L'altro giovane avanzò con lenta indolenza e la luce della luna giocò sui suoi capelli

biondi.

Page 8: D'amore e di ventura preview

Cesare gli sorrise, di un sorriso scanzonato, mentre la dama correva lontano in

lacrime.

«Le hai spezzato il cuore, Cesare.»

«Ti ricordo che hai scommesso il tuo stiletto di rubini, Filippo.»

L'amico sospirò al pensiero di doversi separare da un oggetto così inutile ma

prezioso, che suo padre aveva acquistato in uno dei suoi numerosi viaggi di

rappresentanza per la Repubblica da esperti e raffinati orafi ottomani. Una

scommessa, tuttavia, era pur sempre una scommessa e lui doveva mantenere la sua

parola di gentiluomo.

Si slacciò la graziosa arma dalla cintola e la lanciò all'amico, che la prese al volo e se

la infilò nel farsetto.

«Rientriamo, ho voglia di bere.» Cesare gli diede un colpetto amichevole, poi gli

cinse le spalle con un braccio e, come due discoli reduci da una birichinata, ridendo e

scherzando tra loro lasciarono i giardini risalendo alla volta del palazzo.

Dentro, avvolti in preziose sete, velluti e veli, sfolgoranti di gioielli, i volti celati

dietro maschere stravaganti, gli invitati danzavano alla luce soffusa dei doppieri.

Si era in guerra contro i Visconti e il Doge, insignito della carica di vescovo di San

Marco, aveva mostrato, più di una volta, di non gradire l'ostentazione del lusso da

parte delle nobili famiglie veneziane. Gli Ariani, tuttavia, erano tra quelli che

ignoravano quel tipo di divieto e il ballo in maschera, organizzato quella sera,

rappresentava l'ennesima dimostrazione della ricchezza di cui godevano.

Page 9: D'amore e di ventura preview

Piramidi di frutta, cigni di marzapane glassati di canditi, cacciagione e cinghiali

interi deliziavano il palato degli ospiti, accompagnati da vino del Reno servito in

raffinati bicchieri di vetro soffiato di Murano.

L'ampio balcone che affacciava sul canale, oltre l'immenso portego, rosseggiava della

fiamma brunita delle torce, il cui riverbero si infrangeva contro le vetrate creando una

cortina di una luminosità opalescente.

«Mi aspettavo di vedere Beatrice, questa sera. Perché non l'hai portata?» Filippo

porse un bicchiere di vino a Cesare e insieme uscirono nell'aria fresca della sera.

«È ancora troppo giovane e tu sei un debosciato.» Il giovane erede dei Mocenigo rise

e mandò giù una corposa sorsata di vino.

«Dovremmo fare una scommessa su di lei. Se vinco, avrò il tuo permesso di

baciarla.»

«Dovrai rassegnarti a guardarla mentre va in chiesa» scherzò Cesare, ma Filippo ebbe

la sensazione che fosse terribilmente serio.

Il rumoreggiare della folla nel salone attrasse la sua attenzione e il suo sguardo fu

catturato da quello assassino, vendicativo, della fanciulla della scommessa. Fece un

cenno con la testa in direzione degli invitati che danzavano.

«Ti guarda come se volesse ucciderti.»

Cesare si voltò. Dopo aver soppesato con occhio attento ma distaccato l'espressione

amara della bocca della dama, le rivolse un inchino beffardo e bevve un altro sorso di

vino. «È soltanto una sgualdrina che mi provocava da tempo. Ha avuto quello che

meritava.» Distolse lo sguardo, annoiato.

Page 10: D'amore e di ventura preview

Cesare, a volte, sembrava troppo cinico persino agli occhi di Filippo. Era sempre

stato così. Si conoscevano da quando, bambini, fuggendo al controllo disperato delle

balie, si rincorrevano nei vicoli umidi e sporchi di Rio Canerizzo, facendo a pugni

con i figli dei pescatori. Erano diventati inseparabili come fratelli.

Cesare era cresciuto ostinato, bellissimo, viziato e adorato. Sin da piccolo ostentava

già quella sicurezza tipica di chi dalla vita ha avuto tutto: amore, ricchezza,

splendore.

Lui, Filippo, apparteneva a una delle famiglie più gloriose della Repubblica: era

sveglio, biondo come un angelo e allegro.

Loro due, insieme, rappresentavano degnamente la spensieratezza della gioventù

veneziana, ma Filippo mancava di quel carisma innato che era proprio di Cesare e che

oscurava chiunque gli stesse accanto.

Filippo poteva essere paragonato alla calda luce dell'ambra, Cesare allo

splendore sfolgorante di un diamante nero.

Anche in quel momento, il giovane Mocenigo sembrava porsi al di sopra di ciò che lo

circondava. Rideva, scherzava, corteggiava, ma i suoi occhi rimanevano freddi, il

sorriso di circostanza. Si sentiva superiore a ogni altro individuo presente nella sala e,

in effetti, lo era: per il modo che aveva di muoversi, aggraziato e virile al tempo

stesso; per l'eleganza felina che lo distingueva dagli altri gentiluomini e che, in lui,

era innata. Non doveva compiere alcuno sforzo per apparire raffinato o per attirare

l'attenzione. Era l'unico, tra gli uomini presenti, a portare una perla a forma di goccia

al lobo dell'orecchio destro e l'unico a indossare una maschera tempestata di piccoli

Page 11: D'amore e di ventura preview

diamanti veri. Questi vezzi femminili, che su altri sarebbero risultati eccessivi,

sottolineavano in lui, per contrasto, la natura virile e l'approccio alla vita quasi ferino.

Filippo, invece, portava una semplice mantellina nera ornata di piume di cigno in

tinta ed era abbigliato nello stesso colore. I suoi capelli biondi brillavano come oro.

Gli occhi del gentiluomo vagarono per il salone. Di colpo, catturarono la figura di

Arnolfo Ariani, suo padre, e i loro sguardi si incrociarono dietro le maschere.

«Aspettami qui.» Si congedò da Cesare e cercò di farsi largo tra la folla, ma la ressa

gli impediva di avvicinarsi al genitore.

Scorse sua madre seguire Arnolfo in una delle camere che si aprivano lungo lo stretto

corridoio alla fine del portego.

A stento Filippo riuscì ad aprirsi un varco tra un gruppetto di dame discinte e

ubriache che, tra risate argentine, protesero le braccia e tentarono di afferrar- lo, ma

infastidito lui se ne liberò e riuscì finalmente a raggiungere la porta della stanza.

Dall'interno, provenivano una voce maschile cupa e alterata e un lamento femminile

sommesso e sofferto.

Filippo mise la mano sul battiporta e fece per apri- re, ma qualcosa lo fermò.

Parole spezzate, frasi dette a metà: tradimento, mostro, guerra... Poi, il pianto

improvviso, secco, di sua madre.

Non poteva più indugiare. Entrò.

La prima cosa che vide fu la mano stretta, come un artiglio, intorno al fragile polso

della donna in ginocchio e il suo viso disperato quando si volse a guardarlo.

Filippo non si fermò a riflettere. Furioso, si scagliò contro il padre e lo spinse via.

Page 12: D'amore e di ventura preview

«Madre!» Si chinò e l'aiutò a rialzarsi. «State bene?»

Lei rimase muta, la bocca tirata in una piega amara. Alcune ciocche di capelli,

sfuggite all'acconciatura ormai disfatta, le ricadevano sul viso conferendole un'aria

trasandata. La maschera era volata via, rivelando due profonde rughe ai lati del naso.

«Non ti immischiare, Filippo!» Arnolfo Ariani era fuori di sé. Rosso in viso, con le

vene del collo gonfie e gli occhi che gli fuoriuscivano dalle orbite, gli si avventò

contro.

Fu uno scudo umano che gli si parò davanti, quello di sua moglie, che si frappose tra

lui e il figlio.

«Non azzardatevi a toccarlo.» Lo scricciolo indifeso, che era stata Laura Ariani pochi

attimi prima, ave va lasciato il posto alla grinta di una leonessa.

Arnolfo sollevò il braccio per colpirla, ma la presa d'acciaio di Filippo lo bloccò. Non

gli avrebbe per- messo di toccarla, non davanti ai suoi occhi.

La manica dell'ampio abito da antico romano di Ariani scese, rivelando un segno

sulla pelle dell'avambraccio, una spirale di un verde acceso che l'uomo, liberandosi

dalla stretta del figlio, si affrettò a ricoprire subito.

Gli occhi di Filippo divennero vitrei sotto il riflesso dei raggi della luna che, dal

lucernario sul soffitto, baluginavano all'interno della stanza.

Era un serpente quello che aveva visto tatuato sul polso di suo padre, sì, ne era certo.

Un serpente... simbolo del male, ma anche di rinascita. Lo sapeva, grazie agli

insegnamenti del suo precettore che era stato, oltre che un uomo di cultura classica,

anche un esperto alchimista.

Page 13: D'amore e di ventura preview

Perché Arnolfo se l'era tatuato? Cosa poteva significare?

Filippo si voltò verso Donna Laura, lo sguardo interrogativo, l'espressione

trasognata. Sua madre abbassò il viso e rimase in silenzio. Aveva paura. Era

terrorizzata dal marito.

Prima che il ragazzo potesse parlare e prima che tutte le domande che gli ronzavano

in testa trovassero risposta, suo padre lo anticipò bruscamente. «Non sono cose che ti

debbano interessare. Vattene e lasciaci soli.»

Il volto del giovane Ariani divenne di pietra. Non si mosse, i pugni stretti lungo i

fianchi. Non era la prima volta che sua madre subiva le scenate e le percosse di

Arnolfo, che era un uomo ambizioso, violento e dispotico.

Lui stesso era stato più volte rinchiuso nei sotterra- nei per aver disobbedito alla

legge paterna. Non riconosceva e non aveva mai accettato l'autorità di quel bruto e

non avrebbe permesso, ancora una volta, che la madre pagasse sulla propria pelle le

conseguenze dei suoi scoppi d'ira.

«Ti prego, angelo mio, vai.» Donna Laura si era aggrappata al suo braccio e lo

scrutava con occhi col- mi di angoscia.

Filippo le accarezzò la nuca con una mano. Un tocco leggero, delicato, denso di

amore.

«Ti prego, lasciaci» lo supplicò di nuovo Laura con voce flebile.

Lui inspirò e serrò la mascella. Come poteva farlo? Cercò il volto di suo padre

cristallizzato in un'espressione di freddo compiacimento.

Page 14: D'amore e di ventura preview

«Me ne vado» sentenziò con il piglio di una dichiarazione di guerra. «Ma badate bene

di non sfiorare mia madre nemmeno con un dito, o stavolta vi pentirete amaramente

delle vostre malefatte.» Avvicinò il viso a quello della donna e la baciò su una

guancia.

«Vi attendo nel salone.» Poi, dopo aver lanciato un'ultima, velenosa occhiata ad

Arnolfo, aprì la porta e se la sbatté con violenza alle spalle.

Si immerse di nuovo tra la calca variopinta del salone. La festa scemava e le prime

luci dell'alba irrompevano nel buio della notte.

Intravide la figura di Cesare, appoggiato di schiena a uno dei camini, un bicchiere in

una mano e un braccio a cingere la vita di una dama dalla maschera di pavone e dal

vestito indecentemente scollato, che gli si premeva contro senza vergogna. Appena lo

scorse, l'amico la spinse via da sé, con fastidio, e gli si fece incontro.

Filippo notò che riusciva a stento a reggersi in piedi.

«Sei completamente ubriaco. Dovresti tornare a casa.»

Le labbra di Cesare si incurvarono in un sorriso sornione. «Non ancora.» Socchiuse

gli occhi come un gatto e bevve un altro sorso. Fece per muoversi, ma inciampò.

Filippo fu pronto a sorreggerlo e lo rimise in posizione eretta. «Ti faccio

accompagnare» decise allora.

Cesare scosse la testa. «N... no... so cavarmela da s... solo» biascicò con voce

impastata, mentre tentava di annodarsi il giustacuore slacciato. La folla, intorno a lui,

aveva visi distorti, sfocati. Sentiva le gambe molli, tremanti. Se non fosse riuscito a

raggiungere Palazzo Mocenigo a causa di quella colossale sbornia, avrebbe dormito

Page 15: D'amore e di ventura preview

in un meandro buio di qualche calle. D'altronde, non era certo la prima volta che sua

madre mandava un servo a ripescarlo nei vicoli. «Ti aspetto più tardi.» Salutò

l'amico, cercando di darsi un contegno, ma era davvero difficile apparire serio,

quando tutto il mondo intorno girava vorticosamente.

Filippo lo accompagnò nel vestibolo e gli mise il mantello sulle spalle. «Fatti una

bella dormita.»

Cesare si avvolse intorno al corpo il leggero drappo di velluto, gli strizzò l'occhio e

uscì nella fresca brezza del primo mattino.

L'alba rischiarava ormai timidamente la laguna e accarezzava i canali con le sue dita

impalpabili, poggiandovi sopra il proprio manto opalescente che con- feriva all'acqua

i colori del miraggio.

Cesare si sfilò la maschera che gli copriva il volto e scosse leggermente il capo. La

fiamma tremolante del- le torce, ancora accese lungo le calli, fece rilucere di bagliori

bluastri il nero corvino dei suoi capelli.

Palazzo Mocenigo si ergeva a ridosso del Canal Grande e vi specchiava l'armoniosa

e appuntita facciata moresca.

Cesare affrettò il passo e il tappert, il corto mantello ornato di zibellino che portava

gettato con noncuranza sulle spalle, ondeggiò lungo il dorso dritto e ben modellato.

Di lì a breve, si sarebbe riscaldato al tepore dei bracieri posti nella sua camera da letto

fino a sprofondare in un sonno pesante, per svegliarsi solo al vespro, mo- mento in

cui sarebbe sceso per cenare nel salone.

Page 16: D'amore e di ventura preview

Affrettò il passo, pregustando la soffice carezza dei cuscini e il frusciare delle coperte

di seta, mentre sentiva sempre più pressante il dannato bisogno di ritrovarsi

nell'intimità dei propri appartamenti e di chiudere il mondo fuori.

La testa gli pulsava in maniera dolorosa e fitte acute gli dilaniavano le tempie; aveva

bevuto tanto, troppo vino e quel malessere diffuso, concluse tra sé, era il pegno da

pagare per la sbronza. Quello dagli Ariani era stato l'ennesimo ballo della stagione,

sfarzoso e scabroso quanto bastava per attirare la gioventù dorata di Venezia.

Cesare sorrise tra sé: essere un Mocenigo aveva molti vantaggi, essere Cesare

Mocenigo ne aveva innumerevoli. A diciotto anni, era considerato il più bel giovane

della città, tanto che perfino il maestro Pisanello lo aveva quasi implorato di posare,

nelle vesti di un dio greco, per una serie di affreschi nel Palazzo Ducale. E Cesare,

vanesio com'era, aveva accettato solo per il piacere di concedere un favore all'artista

più in voga del momento. Pochi attimi dopo, arrivò davanti al portone del palazzo e

lo trovò spalancato. Forse, qualche servitore era già uscito per recarsi al mercato del

Canal Grande e aveva dimenticato di richiuderlo alle proprie spalle, ma a quell'ora i

banchi erano ancora chiusi e, poi, lui conosceva bene l'accortezza della servitù del

padre.

Di colpo, si era alzato un vento sferzante che spirava nella calle con un fischio

sinistro. Cesare indugiò, scosso dal terribile presagio che cominciava a farsi strada

nella sua testa. L'antro, appena illuminato, gli apparve come una bocca infernale

pronta a divorarlo.

Page 17: D'amore e di ventura preview

Un latrato ruppe il silenzio: un lamento inquietante, sofferto, straziato. Cesare

sobbalzò e portò d'istinto la mano al pugnale. Poi, con timore, oltrepassò il porto- ne

aperto. Un fascio di luce penetrava dall'apertura nella volta del soffitto e rischiarava

la corte interna del palazzo. Tutto taceva.

«Giove! Marte!» Cesare chiamò i suoi cani, senza accorgersi che stava urlando, ma

l'unica risposta che ottenne fu quella del sibilo di Eolo che faceva sbattere gli scuri

delle finestre. «Giove, Marte! Dove siete, belli? Venite qua!» gridò ancora, il cuore in

gola.

Fu in quel momento che li vide.

I due mastini si trovavano nel vano semibuio del sottoscala, immersi in una pozza di

sangue. Cesare corse e si inginocchiò al loro fianco. Chiuse gli occhi, senza riuscire

a trovare il coraggio di guardare lo scempio che ne era stato fatto, poi li riaprì.

Giove presentava uno squarcio aperto sul fianco sinistro, ma respirava ancora; il

ventre di Marte era sta- to squartato fino alla gola e gli intestini erano sparsi sul

pavimento.

Cesare inspirò forte e strinse i pugni. «Mio Dio, chi vi ha fatto questo... perché?

Perché?» urlò, disperato. Allungò una mano e li accarezzò un'ultima volta. Poi

estrasse il pugnale e, con la morte nel cuore, recise la gola a Giove, ponendo così fine

alla sua sofferenza.

Si rialzò, le gambe che gli tremavano, e lanciando intorno a sé occhiate guardinghe

imboccò la rampa di scale che conduceva al piano nobile.

Page 18: D'amore e di ventura preview

L'aurora ammantava le grandi vetrate del portego, avvolgendo gli affreschi sul

soffitto di un chiarore lattiginoso. Cesare si avvicinò alla rastrelliera d'armi e prese

uno spadino. Quel silenzio assoluto gli feriva le orecchie, peggio di una confusione di

suoni.

Se i nemici si fossero nascosti da qualche parte, li avrebbe stanati e ammazzati senza

alcuna pietà, così come loro avevano fatto con i suoi cani. Scandagliò con occhio

vigile ogni anfratto e nicchia, senza riuscire a scorgere anima viva. Dov'era la

servitù? E dov'erano le donne di sua madre? Il silenzio continuava ad annidarsi

ovunque. Una sensazione opprimente gli pesava sul cuore, facendogli presagire una

terribile veri- tà. In preda a quel tipo di furore dettato dalla disperazione, raggiunse la

camera d'oro e si fermò. Un respiro, poi un altro più profondo, infine poggiò

entrambe le mani sul doppio battente e lo spalancò con violenza.

Sangue. Un fiume di sangue. Sangue ovunque. Sul pavimento, sulle mura affrescate,

sui mobili.

Sangue scuro, sangue amato: il sangue della sua fa- miglia.

Panico. Dolore. Follia.

Cesare si sentì soffocare. Si sentì morire. La sua mente captò a tratti la scena del

massacro: la madre con le gonne sollevate e il viso sfigurato e Beatrice, l'adorata

sorella minore, inchiodata al tavolo da uno spadone.

I corpi delle donne del seguito e dei servi, trucidati e squartati senza alcuna pietà,

avevano assunto posizioni scomposte e innaturali e formavano uno scenario

grottesco, partorito dal peggior incubo.

Page 19: D'amore e di ventura preview

Cesare vacillò e si portò una mano al petto, mentre una fitta acutissima lo dilaniava

dall'interno.

Una forte nausea gli attanagliò lo stomaco e un conato di vomito gli riempì la bocca.

Il giovane si accasciò a terra e rigettò, le viscere che si contraevano come a

squarciarsi.

Le ore cadevano lente nella penombra: uno strazio implacabile che dilatava il tempo e

gli perforava la mente.

Rimase immobile, estraniato, in silenzio, prigioniero del suo stesso orrore. Tornò ad

alzarsi, avvertendo dentro di sé quella freddezza che solo una pena inclemente sa

donare, e con gesti attenti e premurosi si occupò delle sue donne. Le depose

composte sul pavimento, le coprì con il proprio mantello e si inginocchiò accanto a

loro. Una lacrima gli solcò il viso e con rabbia l'asciugò con il dorso della mano.

Deglutì cercando di ingoiare il nodo che gli serrava la gola, ma le lacrime

continuavano a scendere, suo malgrado. Una vita di ricordi felici gli attraversò la

mente, una vita che per lui non aveva più alcun senso.

La luce tremolante delle torce, ancora accese, rendeva la camera tetra, simile a una

bocca demoniaca. E tutto quel sangue... No, non poteva essere reale. Di lì a poco si

sarebbe svegliato e sua madre lo avrebbe accolto con un dolce sorriso,

accarezzandogli i capelli con gesto lieve, sfiorandogli la fronte con le labbra, come

quando era bambino.

Page 20: D'amore e di ventura preview

Ma uno sguardo al corpo straziato di Beatrice lo trascinò di nuovo tra i demoni

crudeli della follia. Un grido scoppiò nella sua testa, un furore cupo, che non aveva

nulla – nulla! – di umano.

Piegò la testa di lato e le scostò una ciocca di capelli dal viso. Beatrice, la sua dolce

Beatrice... Si chinò su di lei e le prese una mano, piccola e candida, tra le proprie,

portandosela alle labbra. Com'erano state abili quelle dita nel ricamo, quante ballate

avevano suonato con il liuto per lui e con quale amore solevano rammendargli le

camicie di bisso... Oh, Beatrice... In quel momento, nel suo campo visivo apparve una

macchia rosso vivo. Cesare lasciò andare dolcemente la mano della sorella e si alzò.

Raccolse il pezzo di stoffa dal pavimento e un brivido lo scosse davanti all'aquila

coronata dei Monte- feltro che, poggiata sull'elmo piumato, lo fissava grifagna.

Strinse forte nel pugno il tessuto e vagò ferocemente con gli occhi alla ricerca

dell'ipotetico colpevole. Dove sei, bastardo? Dove sei, assassino di donne e

bambine?

Un grido roco, animalesco, gli fuoriuscì dalla gola, mentre con violenza

scaraventava lontano da sé il mantello con lo stemma della famiglia urbinate.

Inspirò per inalare aria, percependo l'odore acre, ferroso, del sangue, sollevò il viso e

vide la propria immagine riflessa nel grande specchio chiazzato da mille rivoli rossi.

Chi sei tu per esserti salvato? Dov'eri, quando imploravano il tuo aiuto?

Se fossi stato qui, non sarebbe successo.

Quell'ultimo pensiero lo trapassò come il colpo di una spada.

Page 21: D'amore e di ventura preview

Afferrò un vaso, lo scagliò contro lo specchio e il prezioso cristallo esplose in

schegge lucenti; poi si avvicinò e ammirò di nuovo la propria immagine scomposta,

quasi grottesca, nei frammenti rimasti.

Un sorriso amaro gli alterò i lineamenti. Cosa ne farai della tua faccia d'angelo?

Dov'eri, Cesare? Dov'eri, maledetto?

La mano scese a stringere l'elsa del pugnale alla cintura e il braccio fece ciò che la

sua mente aveva già deciso.

Portò l'arma al viso, la puntò all'altezza dello zigomo e conficcò la lama nella carne,

poi con un unico taglio deciso si squarciò il volto sino al mento. Il coltello aprì un

orribile sfregio, ma Cesare non fiatò, non si lamentò, non gemette. Raccolse il

mantello con l'in- segna dei Montefeltro, ne strappò un pezzo e lo intinse nel proprio

sangue e poi in quello delle due donne, legandoselo stretto al polso.

Vendetta era giurata.

Rimase seduto a lungo alla tavola dei banchetti, a scrutare i corpi della madre e della

sorella, allargando la visione sullo scempio delle decine d'altri cadaveri sparsi. Non

si mosse, quando il sole rosseggiò sulla laguna né quando dei passi risuonarono per le

scale e una figura si stagliò contro lo stipite della porta. Cesare sollevò appena gli

occhi neri e vide Filippo Ariani.

Vacillando come un ubriaco davanti a quella carneficina, l'amico fece un passo

indietro, poi crollò a terra, sconvolto. «Mio Dio, Cesare...» farfugliò, scosso dai

singhiozzi, rialzandosi a fatica e avvicinandosi a lui con passo malfermo.

Page 22: D'amore e di ventura preview

Lo abbracciò, in lacrime. L'odore dolciastro, terribile, di carne viva e di sangue gli

dava il voltastomaco.

Cesare non reagì, limitandosi a fissare un punto lontano. Filippo si scostò da lui,

impressionato. Lo guardò negli occhi e non lo riconobbe: quello non era Cesare, il

suo compagno d'infanzia; quel volto stravolto e orribilmente sfregiato non poteva

appartenere al suo migliore amico. E quello sguardo! Non aveva più la scintilla vitale

che lo aveva fatto brillare. Era cupo, duro, spietato e faceva paura.

«Filippo...» Cesare scorse il viso dell'amico, come se fosse stato quello di un

estraneo.

«Devi fuggire, Cesare, prima che tutta Venezia lo sappia, prima che il Consiglio dei

Dieci apra un'in- chiesta e mandi le sue truppe. Devi fuggire, nasconderti.»

Cesare scattò in piedi. Appariva controllato, ma Filippo lo conosceva troppo bene per

non sapere che sotto l'apparente padronanza si celava una violenza distruttiva. Era

solo una questione di tempo: Cesare era un sanguigno, un istintivo, un passionale e

alla fine sarebbe esploso in maniera dirompente e devastatrice, lasciandosi dietro una

scia di sangue e di cadaveri.

Filippo lo osservò mentre si chinava sulla madre e le posava le labbra sulla fronte,

poi lo vide prendere un pezzo di stoffa dal tavolo e portarselo al volto. «C'è sopra

ancora l'odore del sangue della mia famiglia.»

Glielo lanciò e il giovane trasalì alla vista dello scudo dei Montefeltro.

Page 23: D'amore e di ventura preview

La voce irriconoscibile, cavernosa e stentorea, Cesare giurò sull'altare del suo strazio

e della sua rappresaglia: «Oggi mi sei testimone, Filippo. Non avrò pace finché non

avrò ottenuto la mia vendetta».

Ariani serrò forte tra le mani il mantello. «Montefeltro manderà di nuovo i suoi

uomini per ucciderti.»

Il giovane Mocenigo staccò dal muro una delle spade del padre e se la infilò nella

cinta. «Aiutami a dare sepoltura ai miei cari, poi andrò in Valle Imagna a cercare mio

padre.»

«Verrò con te.» Filippo gli posò una mano sul braccio.

«E sia.»

Cesare Mocenigo era morto. Era morto allora, in quel maledetto giorno.

Page 24: D'amore e di ventura preview

.2.

Valle Imagna, accampamento dei soldati della Serenissima Repubblica di Venezia

Novembre 1438

La coltre di nebbia si alzava dai campi e accompagnava il calare della sera. Stretti gli

uni agli altri, i soldati cercavano calore davanti ai fuochi accesi nel campo, mentre il

liquore bruciava loro la gola e scioglieva la lingua.

Abbandonate le corazze e le armi, quella era l'ora dei racconti delle gesta in battaglia,

del coraggio dei cavalieri, dell'amore delle dame. Era un parlare a tratti dolce e

nostalgico, a volte concitato e stimolante, che illuminava i volti di sorrisi, un

momento di leggerezza in una vita consacrata alla guerra.

Nessuno fiatava, mentre si narravano le imprese delle truppe della Serenissima

contro gli odiati Visconti. Gli uomini erano così rapiti da quelle gesta da dimenticare

il presente e il futuro, la fame e il freddo, il dolore delle ferite e la battaglia che li

attendeva, l'indomani, per la difesa della città di Bergamo contro le truppe di Milano.

Cesare e Filippo arrivarono al campo proprio in quel momento e i volti dei soldati

si girarono a scrutarli con sospetto.

I due giovani smontarono da cavallo e un soldato alto e ben messo si fece loro

incontro.

«Chi siete?» domandò minaccioso, sfoderando subito il pugnale.

Page 25: D'amore e di ventura preview

Filippo scattò in avanti, ma Cesare lo trattenne per un braccio, gli occhi taglienti

come due lame di ossidiana. Appoggiò la mano sul pugnale del soldato e lo spinse

verso il basso.

Tra Cesare e il suo antagonista corse un lampo di sfida, poi, davanti all'espressione

determinata del giovane dai capelli scuri, il gigante abbassò, seppur di malavoglia,

l'arma.

Lo sguardo glaciale di quei pozzi neri lo trafisse e un brivido di inquietudine gli

attraversò il corpo. Il volto duro e sfregiato non cedeva in alcun modo alla resa e, in

quel momento, il soldato capì di trovarsi da- vanti una personalità granitica, che

non conosceva sfaccettature, ma andava dritta alla meta. Dietro quei lineamenti

angelici si celava una cupa determinazione.

«Sono Cesare Mocenigo e questo è il nobile Filippo Ariani. Voglio vedere mio padre,

il Vice Comandante Mocenigo. Conducetemi da lui.» Il giovane parlò, spezzando la

tensione.

Al sentir pronunciare quel nome, gli altri soldati presenti si levarono in piedi, in

segno di rispetto.

Mocenigo era morto la mattina precedente all'alba, trapassato dalla spada di

Montefeltro. Era stato coraggioso e si era battuto con onore fino all'ultimo. Quel

giovane era il figlio venuto forse a vendicarlo.

«Venite» li invitò il soldato, ormai piegato all'auto- rità del giovane, «vi conduco dal

nostro comandante.»

Page 26: D'amore e di ventura preview

La tenda di Bartolomeo Colleoni si ergeva al centro dell'accampamento. Non portava

alcuna insegna che potesse far pensare all'alloggio di un condottiero, tran- ne un

piccolo gonfalone che svettava sulla sommità.

Il soldato si fermò davanti all'entrata e fece cenno ai due giovani di attendere fuori,

mentre lui li annunciava. Poco dopo uscì e li invitò a entrare.

All'interno, il fumo dei bracieri accesi faceva lacrimare gli occhi. Il comandante era

solo, chino su un tavolo da cui pendevano i lembi di quella che sembrava essere

un'enorme carta geografica.

Si voltò verso di loro e Cesare intuì perché quell'uomo fosse diventato una leggenda

tra i condottieri di ventura. Il viso dai tratti decisi e duri trasudava fierezza e gli occhi

scuri avevano una forza magnetica, carismatica, sì da incutere soggezione.

«Brutto taglio, ragazzo. Hai bisogno di essere cucito.» Colleoni si volse verso Cesare.

«È solo un graffio, mio signore» minimizzò lui. Non gli interessava avere la

compassione di nessuno e non voleva perdere tempo in chiacchiere.

«Chi te l'ha fatto doveva avercela parecchio con te.» Il comandante si avvicinò,

cadenzando i passi come se stesse marciando, e allungò una mano a sfiorargli la ferita

ancora fresca.

Cesare si scostò infastidito e lo sfidò con uno sguardo ammonitore, senza rispondere.

Colleoni sorrise: quel giovane aveva del tempera- mento. Il modo altero in cui teneva

alta la testa, il piglio sfrontato dello sguardo, la mascella serrata che denotava il

controllo delle emozioni, la passione che muoveva ogni suo gesto, tutto in lui lasciava

trasparire una rabbia di vita capace di travolgere come un'ondata violenta. Il

Page 27: D'amore e di ventura preview

condottiero decise di non rimandare oltre la ferale notizia che aveva da dargli e di

metterlo subito davanti alla cruda realtà. «Tuo padre è stato ucciso ieri mattina

all'alba.»

Le pupille di Cesare si dilatarono, mentre un sudore tiepido gli ricopriva le palme

delle mani. Fu in quel momento che il cuore gli si spezzò definitivamente, lasciando

in lui null'altro che odio e spietatezza. Suo padre morto... Suo padre morto... Colui

che era stato l'eroe della sua infanzia e della sua prima giovinezza non esisteva più.

Non lo avrebbe più visto gioire né arrabbiarsi o declamare, con voce bassa e

melodiosa, la Chanson de Geste che tanto amava; non avrebbe più goduto di quei

sorrisi che gli riscaldavano il cuore. Credere alla sua morte avrebbe significato per lui

non solo affrontare un nuovo, insopportabile dolore, ma anche scoprire che la

grandezza di un uomo in vita non serve a rendere immortali, se non nel ricordo.

Non se ne sarebbe mai fatto una ragione, eppure doveva. La tenda cominciò a girargli

intorno; Cesare serrò le palpebre per contrastare il senso di vuoto e di vertigine che

sembrava volerlo schiacciare. Un'immagine breve saettò come una scheggia tra i suoi

ricordi: quella di un guerriero imponente e spavaldo, nel vigore degli anni, che gli

cavalcava a fianco, la risata tonante e contagiosa. Suo padre, il suo amato padre.

Serrò i pugni attorno alla stoffa del mantello, mentre l'odio gli montava dentro così

potente da conferirgli una nuova, impietosa, forza: solo la vendetta, la più distruttiva

vendetta possibile, avrebbe placato la sua anima; eppure, nonostante sentisse il cuore

a pezzi, non mostrò il proprio dolore.

Page 28: D'amore e di ventura preview

Era un patrizio veneziano e sin dall'infanzia gli era stato insegnato a non mostrare in

pubblico i propri senti- menti, per strazianti che fossero. Avvertì il peso dello sguardo

di Filippo sulla nuca, ma non si voltò.

«Sono qui per arruolarmi» disse infine, deciso.

Il condottiero lo scrutò con interesse. «Sai tenere una spada in mano?» E, giocando

sulla sorpresa, gli lanciò l'arma.

Cesare l'afferrò al volo e strinse la mano intorno all'elsa, mentre un lampo di alterigia

gli accendeva lo sguardo. «Non sono qui per sottopormi a stupidi giochi.» Piantò la

spada a terra. «Io voglio combattere.»

In quel momento, la voce di Filippo, pacificatoria, ruppe la tensione. «Comandante,

siamo stanchi e Cesare ha bisogno di cure.»

Il Colleoni annuì. «Sì, hai ragione, abbiamo perso anche troppo tempo.» Uscì dalla

tenda e vi tornò con un soldato. «Accompagna questi due giovani da Bol- drino e

chiama il chirurgo.»

Subito dopo furono congedati con un cenno della mano, ma, prima che Cesare se ne

andasse, il condottiero lo afferrò per un braccio e lo costrinse a voltarsi.

«Domani combatteremo, risparmia la tua rabbia per i nemici di Venezia.»

Gli occhi che si fissarono nei suoi gli confermarono che il giovane non lo avrebbe

deluso.

Il soldato aveva i capelli ramati e una luce spavalda negli occhi. «Mi chiamo Duccio

da Torrebianca» si presentò, «e conoscevo vostro padre. Era un uomo valoroso.»

Page 29: D'amore e di ventura preview

Cesare annuì, ma non strinse la mano che gli era stata tesa in segno di amicizia.

Filippo lo fece al suo posto, cercando di sopperire al comportamento distaccato, quasi

altero, dell'amico. Cesare era ancora sconvolto e furioso, constatò di- spiaciuto, e

non sarebbe più tornato il ragazzo spensierato dei tempi passati. Nel breve lasso di un

giorno, la tragedia lo aveva trasformato in un'anima inquieta, a tratti folle, che

soppesava fatti ed eventi sulla base della propria visione ormai distorta del mondo.

Lo guardò di sottecchi, soffermandosi sullo sfregio che gli deturpava il viso. Con quel

giuramento di sangue verso se stesso, Cesare aveva sacrificato la propria bellezza,

consacrandosi sull'altare della vendetta. E ciò che ora Filippo vedeva era un

giovane consumato da una febbre interiore, che si atteggiava come se una barriera

sottile lo dividesse dal resto del mondo. Sentì un velo di tristezza pesargli sul cuore.

Seguirono i fuochi accesi nel campo, fino a raggiungere una tenda. Duccio entrò per

primo e Cesare e Filippo gli furono dietro.

All'interno, Boldrino, l'armigero, era intento a lucidare con un panno le manopole di

un'armatura alla fievole fiamma di una candela di sego.

«Alla vigilia di una delle battaglie più difficili, il comandante arruola ancora

giovincelli che non sono in grado di reggere una picca in mano?» chiese più a se

stesso che agli uomini appena entrati.

«Abbiamo bisogno di soldati, fratello.» Scoccando uno sguardo annoiato

all'armigero, Duccio si avvicinò al mucchio di protezioni accatastate contro il muro e

prese una panciera e un paio di guanti.

Page 30: D'amore e di ventura preview

«Tu dici, fratello? Trecento lance sono già un esercito degno di un re» insistette

Boldrino, gettando occhiate diffidenti alle due nuove reclute.

«La Serenissima è generosa con i suoi soldati» ironizzò Duccio, mettendo la panciera

in mano a Filippo e ignorando il tono di Boldrino. Suo fratello era sempre nervoso il

giorno prima di un combattimento.

«Questo è mio» decise Cesare, che era rimasto fino a quel momento in silenzio.

Teneva fra le mani uno spadone a doppio taglio, un'arma terribile alla sola vista, e la

scrutava con una sorta di rapimento amoroso.

«Sono io che consegno l'equipaggiamento qui.» La voce di Boldrino aveva perduto la

vena ironica ed era diventata severa.

Cesare si voltò a guardarlo. Gli arrivava appena alla spalla e, nonostante fosse di

costituzione robusta, aveva un viso dai tratti delicati che ricordava quello dei putti di

Raffaello.

«Tu dai l'equipaggiamento agli altri. Io me lo scelgo» lo informò, mentre tornava a

voltargli impudente- mente le spalle.

Duccio e Filippo si scambiarono un'occhiata d'intesa, temendo il peggio.

«Poserai la spada e prenderai quella che io ti darò.» Boldrino commise l'errore di

cercare di fermarlo.

Cesare ruotò lentamente il capo verso di lui. «Sparisci» fu la secca risposta.

Il volto di Boldrino divenne di pietra, poi subito si imporporò per la collera. «Pezzo

di sterco, pensi di poter comandare soltanto perché sei un Mocenigo?» urlò.

Page 31: D'amore e di ventura preview

«Come osi?» si intromise allora Filippo, prendendo le difese dell'amico e

avvicinandosi minaccioso al corpulento armigero.

«La cosa non ti riguarda» lo fermò Cesare con un'occhiata glaciale.

«Non mi intimorisci, moccioso» lo sfidò spavaldo Boldrino, puntandosi sulle gambe

divaricate.

Duccio osservava la scena in disparte, incuriosito dalla piega che la situazione stava

prendendo. Accanto a lui, Filippo appariva invece molto teso.

Cesare fece un passo verso l'avversario.

«Sciacquati la bocca, prima di pronunciare il mio nome.»

L'altro sputò a terra.

«Questo è ciò che penso di voialtri gentiluomini arroganti.»

Il pugno lo centrò in pieno viso, rompendogli il naso con uno schiocco secco. Il

sangue gli schizzò sulle guance e colò giù per il mento, rendendogli la faccia una

maschera raccapricciante.

L'armigero si avventò allora su Cesare, mentre questi lo afferrava per i capelli,

cercando di scrollarselo di dosso.

In un attimo erano rotolati a terra, avvinghiati in un corpo a corpo senza esclusione di

colpi.

Il baccano attirò presto nella tenda un folto pubblico: i soldati fischiavano e

incitavano ora l'uno ora l'altro, esaltati dallo scontro.

«Basta!» Una voce tuonò sopra la baraonda di grida. Colleoni era piombato sulla

scena, scuro in volto.

Page 32: D'amore e di ventura preview

Si avventò sui due litiganti e li separò a forza, poiché scalciavano e cercavano di

afferrarsi per i capelli. La sua condanna non tardò ad arrivare. «Siete impazziti?

Boldrino! Rimarrai senza razione per un giorno e sta- notte sarai al palo!»

L'armigero fissò il condottiero dritto negli occhi, ma rimase in dignitoso silenzio.

Aveva i capelli suda- ti, sangue dappertutto e un occhio pesto.

«Sono stato io a cominciare, lui non c'entra niente. Ha fatto solo il suo dovere.»

Colleoni, Boldrino e gli altri soldati si voltarono verso Cesare con un senso di stupore

misto ad ammirazione: non capitava spesso che un patrizio prendesse le difese di un

semplice soldato.

Anche Mocenigo era conciato male: aveva graffi sul volto e sulle mani e un livido

cominciava ad apparirgli all'angolo della bocca, oltre alla terribile ferita fresca che

gli sfigurava metà viso.

«Hai fegato e umiltà, ragazzo» asserì Colleoni, rivolgendogli uno sguardo

ammirato. «Diventerai un grande soldato. Ora vai a farti medicare quel taglio, ma

non pensare di sfuggire al palo, stanotte, solo perché sei un gentiluomo.»

Cesare annuì, calmo, e non disse nulla.

«Grazie» bofonchiò invece Boldrino, brusco ma riconoscente.

«La nobiltà non è uno stato di nascita, ma d'animo» affermò velenoso Filippo,

«tienilo a mente, bifolco.»

«Ben detto» lo spalleggiò Duccio, scoppiando in una sonora risata davanti

all'espressione impacciata del fratello.

Page 33: D'amore e di ventura preview

.3.

Bergamo, Lombardia

Il giorno dopo

La guerra tra Milano e Venezia continuava a infuriare. Le truppe di Filippo Maria

Visconti, Signore di Milano, e le guarnigioni della Serenissima Repubblica di

Venezia, al comando del condottiero di ventura Bartolomeo Colleoni, combattevano

per il possesso della città.

Uno scoppio improvviso, acuto e violento, tuonò nell'aria propagandosi con la

potenza di un rombo assordante.

La bimba si protesse il capo con le braccia e cadde bocconi nella polvere, mentre la

palla sparata da una bombarda fischiava sopra la sua testa. Sollevò un poco gli occhi,

cercando di scorgere, nel tumulto che la circondava, il suo leprotto dal collare dorato.

L'animaletto era scappato da palazzo e lei gli era corsa dietro, nella vana speranza di

riacciuffarlo.

Una mano le si aggrappò alla gonna e la voce di- sperata di Fiordiligi, la sua nutrice,

la raggiunse alle spalle. «Mia signora, alzatevi, per carità! Dobbiamo trovare un

riparo.»

La donna l'aiutò a rimettersi in piedi e ambedue cercarono di orientarsi tra la folla

impazzita che correva in ogni direzione, come un nido di formiche aggredito da un

Page 34: D'amore e di ventura preview

formichiere. L'apocalisse si era abbattuta sulla città di Bergamo: le case crollavano

sotto i colpi delle balestre e dei mortai, i magazzini bruciavano, l'aria era satura di

fuliggine e lapilli incandescenti piovevano dal cielo, come una pioggia di fuoco,

abbattendosi ovunque e appiccando incendi serpeggianti.

Le mura e le porte principali della città cedevano sotto l'attacco degli arieti e delle

torri mobili dei sol- dati veneziani che, a breve, si sarebbero riversati al- l'interno del

borgo, distruggendo e depredando ciò che rimaneva di una città già in ginocchio.

Un altro colpo di mortaio costrinse Fiordiligi e la piccola, il cui nome rispondeva a

quello di Viola, a gettarsi ancora una volta carponi. La bimba sbatté di malagrazia il

viso per terra e un rivolo di sangue le bagnò le labbra. Poggiò entrambe le mani al

suolo e, facendo appello alle forze rimaste, si rialzò, scostando dagli occhi i capelli

arruffati. Cercò con lo sguardo Fiordiligi e un grido strozzato le proruppe dalla gola,

quando la scorse poco distante, riversa supina, con il cranio sfondato. Si inginocchiò

accanto a lei e si posò la sua testa in grembo, senza curarsi del sangue che le

inzuppava il candido abito virginale, tingendolo di un rosso cupo.

Abbassò il volto finché non toccò con la propria fronte quella dell'amata nutrice.

Lacrime di dolore scesero per le gote paffute, mischiandosi al sangue della donna.

Viola gridò e gridò, fino a sentire la gola bruciare, fino a non farcela più.

Una donna del popolo si fermò accanto a lei. Era coperta di polvere e il suo volto era

stravolto dall'orrore. «Che cosa fai qui, bambina? Presto, corri a nasconderti. Corri e

non fermarti!» La prese per un braccio e la trascinò con sé.

Page 35: D'amore e di ventura preview

Viola la seguì senza protestare, intontita dal dolore. Corsero fino ad arrivare alla

chiesa della Beata Vergine. Entrarono e la donna le fece cenno di nascondersi dietro

l'altare, mentre lei trovava riparo all'interno di un confessionale abbandonato. In

sottofondo, le grida, gli spari, i rumori della battaglia si propagavano e sembravano

ampliarsi di volume, cozzando tra le mura della chiesa.

Tremando come una foglia portata dal vento, Viola si accucciò dietro l'altare di

marmo bianco e rivolse gli occhi al dolce volto della Madonna che sembrava

scrutarla dall'enorme affresco sulla parete di fronte. Pregò in silenzio, mentre il volto

insanguinato di Fiordiligi le balenava davanti agli occhi e le strappava brividi di

paura e disperazione.

Rimase lì per un tempo che le sembrò infinito, in uno stato di veglia e torpore, le

gambe tanto indolenzite per l'immobilità forzata da sembrare due pezzi di legno. Non

osava muoversi né respirare. Fuori, l'inferno accompagnava il volgersi del giorno,

mentre il crepuscolo ammantava con il suo drappo rosso la città.

Un fragore assordante seguito da voci e risate volgari rimbalzò nella navata. Il

portone era crollato sotto la violenza dei colpi dei mercenari.

Sono arrivati, sono qui.

Un terrore agghiacciante le calò sul cuore. Viola strisciò carponi sotto l'altare,

battendo i denti per la paura, sussultando allo stridio degli speroni sul pavimento, al

fracasso delle panche ribaltate, dei candelabri gettati a terra, al suono blasfemo delle

bestemmie.

Santa Vergine Madre, aiutatemi, fate sì che non mi trovino.

Page 36: D'amore e di ventura preview

I soldati distruggevano e bruciavano senza pietà, incitandosi a vicenda e ridendo

sguaiatamente delle loro gesta. Viola serrò gli occhi e si coprì le orecchie con le

mani, senza smettere di pregare. Non si accorse del braccio che sbucò da dietro

l'altare e che la carpì brutalmente per i capelli, tirandola in piedi come se fosse stata

una bambola di pezza.

Tenne le palpebre serrate, mentre tremiti violenti le scuotevano il corpo.

«Guarda guarda che cosa ho trovato qui. Vieni a vedere che bel bocconcino,

Benozzo.»

Viola fu investita dalla zaffata dell'alito dell'uomo. Le venne da vomitare, ma si

controllò.

Il soldato la strattonò violentemente per la veste e lei spalancò gli occhi. Scorse un

secondo uomo d'armi con un'orbita vuota e un ghigno mostruoso avanzare verso di

lei. Aveva la cotta imbrattata di sangue e un lungo scalpo di capelli appeso alla

cintura. Viola aprì la bocca per gridare, ma rimase muta. Impietrita dal- l'orrore lo

guardò avvicinarsi, mentre l'altro si assicurava di tenerla ben salda per le braccia.

L'orbo le accarezzò i capelli con fare lascivo e lei tentò di assestargli un calcio allo

stinco, ma quello che la teneva le passò un braccio intorno al collo e la bambina si

sentì soffocare. Il mercenario le assestò un ceffone e le stracciò la veste.

Viola scalciò e urlò a squarciagola, dibattendosi come una forsennata, mentre i due

uomini la sollevavano e la sbattevano a forza sulla dura pietra dell'alta- re.

Un grido sofferto, come quello di un cucciolo ferito, le esplose nel petto. Le gambe le

tremavano tanto da sbattere convulsamente sul marmo. Viola ansimò, scossa da

Page 37: D'amore e di ventura preview

singulti, e si inarcò scalciando, in un ultimo, disperato tentativo di ribellione, ma

mani implacabili come morse le serravano i polsi e la tenevano ferma contro l'altare.

Poi, di colpo, un'esclamazione soffocata le vibrò nelle orecchie.

Qualcosa di caldo le schizzò sul viso e le mani dei soldati si ritrassero dal suo corpo,

lasciandola libera. Sbatté le ciglia, accorgendosi di averle appiccicose per il sangue e,

sforzandosi di dominare il tremito convulso che le scuoteva ancora le membra, si

sollevò a sedere. L'orbo si dibatteva a terra e bestemmiava per il dolore, tenendosi

con una mano il braccio sinistro alla cui fine spuntava un orribile moncherino. L'altro

arretrava con occhi spauriti, come se avesse visto il demonio.

Una voce tuonò. Una voce cupa, ferma, abituata al comando.

«Vi avevo ordinato di cercare il vostro luogotenente. Cani!»

Viola volse il viso verso quella voce. L' uomo era di profilo e indossava una celata

veneziana. Se ne stava spavaldo nella luce amaranto del tramonto, che si pro- iettava

nella navata dal portone distrutto, la spada lorda di sangue, la cotta di maglia lucente.

I due mercenari balbettarono qualcosa, tuttavia a un ordine secco del nuovo arrivato

si affrettarono a sparire.

Il guerriero ruotò la testa verso di lei e i loro sguardi si incrociarono.

Viola scorse il luccichio dei suoi occhi, due schegge di ossidiana incredibilmente vive

nell'ovale perfetto del volto e l'orribile cicatrice che gli deturpava il lato destro.

Sono in paradiso, pensò, e lui è un angelo. Un angelo dal volto sfregiato e dagli occhi

di fuoco nero.

Page 38: D'amore e di ventura preview

Il guerriero inspirò a fondo per controllare la collera e ritrovare la padronanza di se

stesso.

Scrutò con freddezza la bambina che aveva appena sottratto alla violenza. Sporca,

arruffata come un passerotto, la veste macchiata di sangue, lo fissava di rimando con

un'espressione reverenziale, ma i suoi occhi, limpidi come topazi puri, non

mostravano timore. Il candore che il capitano vi lesse lo colpì come uno schiaffo in

pieno volto. Era così che Beatrice aveva guardato i suoi aguzzini, prima che facessero

scempio del suo corpo? Rivide se stesso, la follia, gli orrori della guerra. L'innocenza

non avrebbe mai cambiato il mondo.

Girò sui tacchi e fece per andarsene.

«Signore?» La vocina lo colse alle spalle.

Lui non si voltò e proseguì giù per le scale verso la navata.

«Signore, vi prego.» Una manina si aggrappò alla sua cotta.

Cesare abbassò il capo in quella direzione. Era infastidito. «Levati di dosso.»

La bimba chinò la testa e rimase un attimo in silenzio, poi risollevò la fronte e lo fissò

dritto in faccia. Il viso paffuto era sporco di fuliggine e la piccola bocca tremò,

quando gli si rivolse ancora. «Portatemi con voi.»

Cesare non la degnò di uno sguardo e proseguì lungo la navata. La piccola era forse

sorda?

Viola lo seguì come un cucciolo randagio che crede di aver trovato un padrone,

lanciando rapide occhiate in giro. La donna che l'aveva soccorsa giaceva nel

confessionale aperto. Era seduta scomposta, con le gonne sollevate e il ventre

Page 39: D'amore e di ventura preview

aperto, ma ancora viva e agonizzante. I mercenari continuavano a gridare e a

distruggere ebbri di conquista e di vittoria, senza fermarsi davanti a nulla, nemmeno

alle preghiere del vecchio cappellano che li supplicava in ginocchio e che

schernivano con sputi e offese volgari. Non fecero caso alla bambina che camminava

carponi, cercando di non farsi notare, alle calcagna dell'angelo nero che l'aveva

salvata.

Uscirono dalla chiesa. Fuori la battaglia imperversava. Gli spari, le frecce, le palle dei

falconetti e delle bombarde veneziane piovevano da ogni dove e in tutte le direzioni.

Un sibilo serpeggiò nel cielo, uno scoppio acuto, terrificante. L'aria vibrò, Viola volò

a terra e l'angelo cadde accanto a lei, ma si rimise subito in pie- di.

Un soldato privo di elmo e dai lunghi capelli biondi corse verso di lui.

«Cesare, la prima cinta è caduta e alcuni soldati, guidati da Boldrino, sono riusciti a

penetrare nel Palazzo del Podestà. La città è nostra.»

«Dobbiamo riuscire ad aprire un varco nella seconda cinta, Filippo, in modo che

possa entrare la cavalle- ria. Muoviamoci!»

Un gemito distrasse il soldato biondo e lo fece voltare. Una bimba si trovava a poca

distanza da loro. Teneva le mani puntate a terra e il volto, appena sollevato, era

contratto in un'espressione sofferente. Cercava invano di muovere le gambe.

Senza riflettere, mosso da pietà e dalla muta richiesta d'aiuto della piccola, Filippo

fece per avvicinarsi, ma Cesare lo fermò.

«Lasciala dov'è.»

Page 40: D'amore e di ventura preview

«È un ordine? Ha bisogno di aiuto e tu non mi impedirai di darglielo.» Filippo si

liberò con forza dalla sua stretta e si chinò su Viola.

«Vieni.»

La bimba tese le braccia e lui la sollevò di peso. Sentì che era scossa da singulti. Le

accarezzò i capelli, sussurrandole parole di conforto. Povera piccola indifesa.

«Non voglio questa pustola piagnucolante tra i piedi.» Cesare si era incupito in volto.

«Non sei tenuto a occupartene. Penso io a lei.» Un dardo infuocato gli sfrecciò

accanto.

«Andiamo!» Il capitano si mosse.

A poca distanza, un soldato gli sbarrò la strada. Sollevò la spada per colpirlo, ma

Cesare fu più veloce e con un fendente violento gli staccò la testa di netto.

Corse, schivando colpi, inciampando nei corpi carbonizzati. Aveva gli occhi arrossati

dalla polvere, il fiato corto. Filippo gli era alle spalle, il brando in una mano, un

braccio a coprire la bambina con un lembo del proprio mantello.

La piccola cominciava a riprendere spirito. Le gote paffute e i capelli rossi la

rendevano simile a un elfo dei boschi. La tunica che indossava era lacera sul davanti

e aveva i piedi nudi. Filippo la strinse a sé, cercando di riscaldarla.

«Non avere paura» le sussurrò, nella speranza di infonderle coraggio.

La bambina annuì silenziosa.

Un altro sparo, quello acuto di una bombarda, scoppiò sopra le loro teste. I tre si

gettarono a terra coprendosi il capo con le braccia.

Page 41: D'amore e di ventura preview

Cesare sollevò il volto, tossendo per la polvere. Si passò una mano sugli occhi.

Avevano raggiunto il lavatoio comunale, fuori dalla prima cinta di mura.

«Cesare...» La voce di Filippo, di colpo bassa di tono, lo fece voltare di scatto.

L'amico perdeva sangue da una gamba e cercava di trascinarsi verso di lui. La piccola

era ancora stretta tra le sue braccia e appariva inanimata, il viso completamente

coperto dal groviglio rosso dei capelli.

Cesare scattò in piedi e gli fu accanto. «Forza!» Lo afferrò sottobraccio, cercando di

rimetterlo in piedi, ma il gemito di dolore dell'amico lo convinse ad adagiarlo di

nuovo a terra.

«Non preoccuparti per me, me la caverò. Prendi la bambina e giura che la porterai in

salvo.» Con grande sforzo, Filippo riuscì a mettersi seduto e a posare la piccola a

terra, poi si portò le mani alla coscia, cercando di tamponare la fuoriuscita di sangue.

Cesare bestemmiò tra i denti, una volta, due. Era furioso. Poi, brusco, si chinò sulla

bambina e la prese in braccio.

«Tornerò a prenderti» promise all'amico.

«Vai!»

Cesare cominciò di nuovo a correre. Erano ancora in territorio nemico ed erano in

pericolo. La bimba si teneva aggrappata al suo collo, gli occhi chiusi, ma al- meno

aveva smesso di tremare. Era così magra, così fragile e così incredibilmente

coraggiosa!

Un nuovo boato gli riecheggiò nelle orecchie, mentre una palla infuocata si andava a

schiantare a pochi passi da loro. Cesare posò velocemente a terra il suo tenero

Page 42: D'amore e di ventura preview

fardello e tirandolo per un braccio entrò nelle stalle. I cavalli lanciavano nitriti

disperati e scalciava- no, folli di terrore, nel tentativo di liberarsi dalle pastoie.

Il legno cedette sotto l'aggressione delle fiamme e, di colpo, le bestie sfondarono i

recinti e si lanciarono al galoppo verso l'uscita. Cesare tirò a sé Viola, appiattendosi

contro una delle pareti ancora intatte, poi scattò in avanti e si parò di fronte a uno dei

cavalli. La bestia si impennò sulle zampe posteriori, ma lui riuscì ad afferrarla per la

criniera e a tenerla ferma. Balzò in groppa e issò la bambina davanti a sé. «Tieniti

forte!» le ordinò, mentre lanciava il cavallo oltre le fiamme.

Raggiunsero il cortile che costeggiava i bastioni e, finalmente, una delle porte nord di

Bergamo, zona in possesso dei veneziani.

Alla vista dei soldati, Viola si irrigidì, ma fu subito tranquillizzata dalle parole di

Cesare. «Sono veneziani. Sei in salvo, ormai.»

Uno dei soldati si avvicinò e scattò nel saluto mili- tare. «Mio signore.»

Cesare smontò da cavallo. «Te l'affido» disse, riferendosi con un cenno della mano

alla bambina. «Devi portarla al sicuro a costo della tua vita.» Poi sollevò gli occhi su

di lei e, per la prima volta, vide che stava piangendo. Non un pianto isterico o

scomposto, ma silenzioso, convulso, un pianto che veniva da dentro, dal cuore.

Si sfilò dal dito il pesante chevalier con sopra lo scudo dei Mocenigo e glielo mise in

mano, chiudendovi sopra le dita. «Prendi questo. Nessuno oserà fermarvi.»

Viola lo guardò, poi strinse l'anello nel pugno e la- sciò che il soldato l'aiutasse a

montare a cavallo.

Page 43: D'amore e di ventura preview

«Vi ritroverò, un giorno. Lo giuro.» La sua voce di bimba era ferma, risoluta e nei

suoi occhi non c'era più traccia di pianto.

Si fissarono per un lungo istante, poi Cesare diede una potente pacca sul fianco del

cavallo, che balzò in avanti e partì al galoppo.

Viola si voltò indietro verso di lui, i capelli rossi svolazzanti, il volto disperato; non

voleva lasciarlo andare. Non voleva perderlo.

L'angelo la osservava allontanarsi, gli occhi fissi, il volto duro, magnifico e fiero. La

seguì con lo sguardo fino a che non scomparve alla sua vista e, solo allora, si voltò,

pronto a fare di nuovo il proprio dovere di soldato. Avvertì una crepa profonda aprirsi

nell'animo: forse, sotto la corazza, batteva ancora un cuore.

L'oscurità scendeva su Bergamo.

I fuochi guizzavano all'interno delle mura e i canti ubriachi dei soldati si alzavano

sguaiati nel silenzio inquietante della notte, risuonando come un insulto davanti ai

corpi martoriati dei cittadini accatastati e lasciati a marcire nella piazza principale.

Cesare vagava per i vicoli chiassosi della città, un fiasco di liquore in mano, che di

tanto in tanto portava alle labbra, per placare l'arsura della gola e i demoni annidati

nel cuore. Era ubriaco e quello stato di alterazione della mente veniva acuito dalle

scene apocalittiche che lo circondavano: ovunque volgesse il capo i suoi occhi

scorgevano sangue, crudeltà, saccheggio e violenza. La benda che portava sulla

fronte, a trattene- re i lunghi capelli, era zuppa di sudore, la spada che gli pendeva al

fianco incrostata di sangue, il volto ferito e nero di fuliggine. Avanzava.

Page 44: D'amore e di ventura preview

Di tanto in tanto, inciampava in un cadavere, lo scavalcava e andava avanti, senza

sapere dove. Dall'interno buio di una casa le grida selvagge di una donna a cui

facevano eco perverse risate maschili gli penetrarono nel cervello. Il secco

laceramento della stoffa, un pianto convulso e ancora ghigni. Un'altra vittima della

guerra e del dominio dei mercenari che, dopo aver combattuto e sfidato la morte,

mostravano una fame vorace di vita. Volevano cibarsi, suggere il soffio vita- le degli

altri, come in un oscuro rituale pagano.

Bevve un altro sorso e poi un altro ancora. Aveva bisogno di stordirsi.

Alcuni soldati sbucarono da un vicolo. Portavano un cane squartato, infilzato sulle

picche. Uno di loro strattonava una corda, che si chiudeva all'estremità intorno al

collo di una donna a seno nudo, con la gonna lacera e i lunghi capelli arruffati che le

coprivano il volto. All'ennesimo strattone, la donna inciampò e cadde a terra. Il

mercenario la costrinse a rialzarsi, mentre un'espressione inquietante gli distorceva il

volto davanti al sorriso ebete della vittima.

Duccio seguiva il corteo, cantando a squarciagola madrigali volgari, alzando la picca,

una caraffa nella mano, un'espressione spiritata nello sguardo.

Cesare si sentiva nauseato e, allo stesso tempo, atti- rato in modo inspiegabile dalla

scena che vedeva. Non riusciva a provare pietà e l'eccitazione mista allo stordimento

lo faceva delirare di onnipotenza.

La donna lo scorse, si scostò i capelli dal viso e si portò le mani ai seni, alzandoli e

offrendoglieli senza pudore. Cesare avvertì il sangue pulsargli frenetico nelle vene.

Page 45: D'amore e di ventura preview

Il corteo riprese la sua chiassosa marcia ed entrò nel portone di un palazzo

abbandonato con le mura annerite dal fumo.

La giovane donna fu portata in una stanza e buttata su un letto sfatto. Lei si passò la

lingua sulle labbra e aprì le gambe in un invito che non lasciava nulla al-

l'immaginazione.

«Il nostro giovane capitano, per primo» l'invitò uno dei mercenari, un uomo con una

pancia prominente e un grosso naso bitorzoluto.

Cesare bevve un'altra sorsata di liquore e si passò il dorso della mano sulla bocca.

Esitò per un attimo, mentre una fugace inquietudine gli adombrava il volto pallido.

Poi sollevò gli occhi risoluti sulla donna, guardandola, mentre si contorceva sul letto

e gli sussurrava parole volgari.

Si slacciò la patta della calzabraca e si gettò su di lei. Deciso, la penetrò con violenza,

più volte, accompagnato dalle incitazioni dei soldati, mentre le immagini del

massacro gli scorrevano veloci davanti agli occhi. Celebrava la vita nel corpo di una

femmina, poiché aveva sconfitto la morte in battaglia. Eppure, non provava nulla,

nulla! Nemmeno il piacere perverso del dominio. Aumentò rabbiosamente le

spinte, grugnì ed esplose dentro di lei, mentre la stanza ruotava tutta intorno e il

delirio dell'orgasmo lo portava lontano dallo squallore di quel letto e, per la durata di

un soffio, dal disgusto che provava per se stesso.

Si rialzò, barcollando, e lasciò che il soldato di turno si gettasse sulla donna, per farne

ciò che voleva.

Page 46: D'amore e di ventura preview

Cesare corse fuori da quella stanza, dove il puzzo di bruciato si mischiava a quello

del vino e del sesso, ma la fresca carezza della sera non portò via con sé l'ama- ro del

fiele che gli riempiva la bocca.

Bartolomeo Colleoni entrò trionfante in Bergamo, bardato nella sua lucente armatura

da parata e accompagnato da un gruppo di guerrieri scelti, mentre le sue trecento

lance erano accampate fuori dalle mura, in attesa di nuovi ordini. Il Podestà consegnò

al condottiero le chiavi della città, dichiarando così la totale sottomissione alla

Repubblica Veneziana.

Al campo, Cesare e Filippo, la gamba fasciata ma rimessa in sesto, passavano in

rassegna le perdite tra i soldati, seguiti da Boldrino, il cui compito era quello di

annotare lo stato di usura e il numero delle armi rimaste.

«Capitano!» Un giovane soldato scattò in piedi, ri- volgendogli il saluto militare.

Cesare si fermò a scrutarlo.

Era poco più di un ragazzo e portava una benda sporca sull'occhio sinistro. I

lineamenti delicati e infantili creavano un contrasto impressionante con l'immobile

fissità del suo sguardo. Era uno sguardo, quel- lo, che rifletteva tutta l'atrocità della

guerra.

«Che ti è successo all'occhio?» L'accento di Cesare era duro, ma non sbrigativo. Gli

interessava davvero sapere di quel ragazzo.

«L'ho perso, mio signore. Una freccia.» Il soldato sostenne lo sguardo del conte con

fierezza.

Page 47: D'amore e di ventura preview

«Quella benda è logora e ha bisogno di essere cambiata. Vai a farti medicare come si

deve e di' al chirurgo che è il tuo capitano, Cesare Mocenigo, che glielo ordina.»

Filippo rivolse a Cesare un'occhiata ammirata e in- credula. L'amico aveva il piglio

deciso e il carisma del capo: era nato per la guerra e per comandare.

Passarono in rassegna altre file.

Le truppe erano stanche e affamate, ma con il morale alto per la vittoria e i soldi

guadagnati.

Solo al crepuscolo, Cesare e Filippo tornarono alla loro tenda. Un soldato portò loro

carne essiccata e legumi per cena e i due capitani mangiarono in silenzio. Poco dopo,

Duccio entrò, seguito dal Colleoni.

«Mi è stato riferito che volevi parlarmi, Mocenigo.» Il condottiero non pose indugi.

«Sì, ho bisogno di tornare a Venezia per qualche giorno. Ci sono delle questioni in

sospeso che devo risolvere.»

«Tre giorni e ti voglio di nuovo qui» tagliò corto Bartolomeo.

Cesare annuì, determinato a sfrondare, in quel poco tempo concessogli, i rami secchi

del proprio passato.

Sopra la laguna lucente, Venezia si stagliava come una colonna maestosa che

emergeva dallo specchio delle acque. Era magnifica, potente e corrotta, e appariva,

tra le isole, come una regina tra uno stuolo di principesse. Venezia era la cortigiana

d'Europa, splendida e sfolgorante d'oro come una dama ingioiellata.

Page 48: D'amore e di ventura preview

Da dietro la maschera che gli celava il volto e sotto l'ampio cappuccio del mantello,

Cesare ammirava il riflesso dorato del canale, mentre la gondola scivolava lenta verso

il porticciolo d'attracco di Palazzo Mocenigo. Era partito da Bergamo da solo e,

nonostante Filippo avesse tanto insistito per accompagnarlo, aveva sentito il bisogno

di quel viaggio in completa solitudine per riflettere su cosa ne sarebbe stato della sua

vita. In verità, la speranza che nutriva in cuor suo era quella di colmare un vuoto che

non riusciva a riempire in nessun altro modo.

Le nuvole si allineavano ormai all'orizzonte e il primo, tiepido sole squarciava il

grigiore di quella fredda mattina autunnale.

Cesare prese dalla tasca pochi fiorini e li pose in mano al gondoliere, poi con un agile

balzo fu sul primo gradino che conduceva sulla terraferma. Seguendo un richiamo

invisibile, sollevò il viso verso i mosaici policromi del palazzo e si beò per un attimo

della loro bellezza. Gli ori, i bronzi, i verdi smeraldo lo abbagliarono con i loro

frammenti luminosi, intrecciati in forme geometriche dall'armonia perfetta; poi, ciò

che scorse in quella facciata di puro equilibrio lo lasciò completamente senza fiato.

Delle pesanti catene serravano le maniglie di Palazzo Mocenigo.

Si ritrovò davanti al portone, senza accorgersi di aver corso lungo i gradini del

piccolo molo.

Lo stemma del Doge impresso in ceralacca, come un lapillo di fuoco sul foglio, gli

balzò agli occhi. C'era una scritta che, dapprima, lui si rifiutò vigliaccamente di

leggere, finché lo sguardo tornò di nuovo sul foglio e le lettere cominciarono a

trovare un senso nel- la sua mente.

Page 49: D'amore e di ventura preview

Trattenne il fiato e, per un breve ma intensissimo istante, il cuore smise di battergli

nel petto: era troppo assurdo, troppo inverosimile, per essere vero.

Cesare inspirò forte e di nuovo scorse, con occhi febbrili, i caratteri vergati, quasi a

volersi convincere che non stava sognando: Questo palazzo è sotto confisca per

ordine del Consiglio dei Dieci.

Non poteva essere, si rifiutava di credere a ciò che leggeva.

Si aggrappò ai battenti del portone, come se in quel momento la sua stessa vita fosse

sul punto di essere strappata via.

Confiscato. Confiscato...

La rabbia lo travolse e l'odio: verso se stesso per essere fuggito, verso Venezia e, più

di ogni altra cosa, verso suo zio, il Doge. Sarebbe corso a Palazzo Ducale e avrebbe

saputo, avrebbe preteso di sapere. Era un nobile veneziano e ne aveva tutto il diritto,

per Dio!

Di colpo, due braccia possenti lo afferrarono per le spalle e lo voltarono, per poi

inchiodarlo con violenza contro il portone del palazzo.

Cesare sbatté la testa contro le borchie di ferro e, pur se intontito, ebbe l'istinto di

portare la mano allo spadino alla cintola. Non ebbe il tempo di prendere l'arma, che

un potente manrovescio lo colpì al viso, facendogli uscire sangue dalla bocca. Subito

dopo, un altro colpo si abbatté sulla sua testa, stordendolo quasi completamente.

«Ti ho preso, bastardo.»

Page 50: D'amore e di ventura preview

Cesare socchiuse gli occhi. Nonostante la vista annebbiata, si accorse che la guardia

alzava di nuovo il braccio per sferrargli un altro pugno, che lo raggiunse allo

stomaco. Boccheggiò e si piegò in due, mentre l'uomo lo colpiva alla schiena.

Barcollando, il giovane si chinò sulle gambe e si lanciò a testa bassa contro la

guardia, colpendola al torace. Il gigante bestemmiò, perse l'equilibrio e rovinò a terra.

Il respiro di Cesare si fece più regolare. Si passò il dorso della mano sulla bocca, per

ripulirla dal sangue, e si piegò a riprendere lo spadino da terra. Poi, si inginocchiò

accanto all'uomo e gli puntò l'arma alla gola. «Perché?» chiese furioso, premendo la

lama contro la carne.

La guardia aprì la bocca per parlare, ma un rumore di passi cadenzati sopraggiunse

alle loro spalle e altre guardie armate di alabarde e picche piombarono su di loro.

Cesare si rialzò velocemente e affrontò il drappello, ma nonostante mostrasse un

coraggio da leone la lotta si rivelò impari e fu presto immobilizzato.

Le guardie gli legarono i polsi e, senza alcuna spiegazione, lo trascinarono in

direzione del Canal Grande e, da lì, al Palazzo Ducale.

Francesco Foscari, il potente Doge di Venezia, sedeva nel suo studio ed era di

pessimo umore.

La sanguinosa guerra contro Milano stava impoverendo paurosamente le casse della

Repubblica e, presto, lui avrebbe di nuovo dovuto scrivere al Papa per chiedere

ulteriori finanziamenti alla Chiesa di Roma.

Page 51: D'amore e di ventura preview

Dei colpi concitati alla porta lo distrassero dai suoi pensieri, obbligandolo ad

abbandonare la corrispondenza e a sollevare il viso.

Una guardia entrò. «Eccellenza, perdonate l'intrusione. Abbiamo appena preso un

uomo davanti a Palazzo Mocenigo. Tentava di entrare.»

Il Doge si alzò in piedi. «Portatelo qui.»

Il prigioniero fu spinto, senza troppe cerimonie, dentro la stanza. Aveva le mani

legate e delle brutte escoriazioni sul volto.

È stato picchiato, constatò tristemente Francesco, ma l'espressione sul suo volto

rimase impassibile. Fece cenno alle guardie di lasciarli.

«Perché sei tornato?» La domanda apparve retorica: sapeva benissimo perché lui era

lì e la risposta di Cesare glielo confermò.

«Per riprendere ciò che è mio.» Il giovane fece un passo in avanti, verso di lui.

Appariva teso, pronto a scattare, ad aggredire. Francesco fu investito da una scossa

d'odio che lo fece retrocedere.

«Sei tornato a Venezia, nonostante le accuse...»

«Accuse? Quali accuse?»

Il Doge alzò un sopracciglio. «C'è un'indagine ancora in corso sul massacro della tua

famiglia, di tua madre, la mia povera sorella, e tu sei il primo indiziato... Stento a

credere che tu non ne sappia nulla.»

Cesare lo guardò dritto negli occhi. Era furente. «E voi prestate fede a queste voci?

Chi sono questi cani che osano infangare il mio nome? Sapete quanto adoravo mia

madre e mia sorella e quale rispetto nutrivo nei confronti di mio padre! In tutta

Page 52: D'amore e di ventura preview

Venezia non c'era famiglia più felice della nostra. Come potete credere a queste

accuse infamanti? Voi, che mi tenevate sulle ginocchia quando ero un bambino e che

frequentavate la nostra casa!»

Davanti a quello sguardo accusatore, Francesco abbassò gli occhi. No, lui non

credeva una sola parola di quelle accuse, ma non c'erano prove per testimoniare

l'innocenza del nipote e a Venezia molti lo volevano morto. I Mocenigo erano stati

sostenitori del Papato e della politica di moderazione, mentre alcuni dei patrizi

veneziani più influenti, tra cui gli Ariani e i Loredan, erano acerrimi sostenitori della

guerra contro Milano.

Cesare si slegò un pezzo di stoffa dal polso e lo mostrò in silenzio allo zio.

Il Doge lo prese e lo lisciò: l'aquila coronata dei

Montefeltro.

Sorrise. Una piega amara, appena accennata, della bocca. «Dove lo hai trovato?»

«Nel salone, sul luogo del massacro.»

«Ascoltami, Cesare. Dopo la tragedia, le guardie hanno trovato, a palazzo, lettere

importanti a testimonianza del tuo tradimento verso Venezia e verso la tua famiglia.

Prove ben più pesanti di questo misero straccio.»

«Menzogne!» Cesare batté con rabbia i pugni sulla scrivania. «Sapete bene che sono

solo menzogne in- ventate per diffamarmi!»

Il Doge gli si fece più vicino e lo prese per un gomito. «Nessuno saprà che ci siamo

visti» gli sussurrò all'orecchio. «La mia guardia ti scorterà fino a che non avrai

lasciato la città. Sei esiliato da Venezia e, se tieni alla vita, non tornare mai più.» Si

Page 53: D'amore e di ventura preview

allontanò, prese un tagliacarte da sopra il tavolo e gli recise le corde che gli legavano

i polsi, poi aprì un piccolo cassetto e tirò fuori una borsa in pelle. «Qui ci sono

tremila fiorini. È tutto quello che posso fare.»

Cesare gli rivolse uno sguardo sprezzante. «Tenetevi pure i vostri soldi. Mi avete

tradito anche voi, ma ricordate: un giorno tornerò e allora avrò la testa di chi ha ordito

contro di me. Lo giuro. »