DALL’ASSOCIAZIONE CÀ DELLE ORE CON IL MONDO ... · “Questione di dialogo” CON IL MONDO...

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DAL SANSCRITO: IL “PRIMO gIORNO” (DALLA DIPENDENZA ALLA LIbERTÀ) SANKALPA DALL’ASSOCIAZIONE pagina 5 “Costruire ponti…” CÀ DELLE ORE pagina 18 “Questione di dialogo” CON IL MONDO pagina 24 “La via dell’Umiltà” TRIMESTRALE DELL’ASSOCIAZIONE SANKALPA ONLUS ANNO XV - N. 1

Transcript of DALL’ASSOCIAZIONE CÀ DELLE ORE CON IL MONDO ... · “Questione di dialogo” CON IL MONDO...

DA L S A NS CR ITO : I L “P R IM O g I O RN O” (DA LL A D I PE NDE NZ A AL L A L Ib ERTÀ )

SANKALPADALL’ASSOCIAZIONE

pagina 5

“Costruire ponti…”

CÀ DELLE ORE

pagina 18

“Questione di dialogo”

CON IL MONDO

pagina 24

“La via dell’Umiltà”

TRIMESTRALE DELL’ASSOCIAZIONE SANKALPA ONLUS ANNO XV - N. 1

L’Associazione Sankalpa nasce nel giu-gno 2000 presso l’Eremo di S. Pietro aMason Vicentino con due attività: pressola Comunità terapeutica “Cà delle Ore”di breganze e presso l’Eremo di S. Pietro.Poi, per rispondere pienamente ai prin-cipi fondamentali cui si ispira “l’uomo ènato per ricevere doni e diventare a suavolta dono e per riscoprire la sua essenzae impegnarsi nell’umanizzazione” le at-tività si sono sempre più ampliate. Adoggi siamo impegnati nella Comunità,all’Eremo, nella realizzazione completadel giornale Sankalpa, con aiuti verso bo-snia, brasile, Africa e India, nelle raccoltedi generi di prima necessità, nelle raccol-te fondi con mercatini, cassettine pressoesercizi del territorio, adozione di pro-getti a distanza e sensibilizzazione indi-viduale e quanto ancora troveremo sulnostro cammino.

Situato tra le verdi colline di Mason Vic.tra ulivi, viti e ciliegi, è un luogo di pace esilenzio, di serenità e raccoglimento, di ri-cerca spirituale e meditazione. I primi cennidella sua esistenza risalgono al 1293 e do-po varie alternanze di custodia, arriva aquesta ormai semi-distrutta chiesetta, nel1983, Padre Ireneo da gemona, frate fran-cescano, che con devozione ed impegno,con l’aiuto di tanti volonterosi, ha ridatovita all’antica costruzione. Nel tempo è di-ventato un centro di spiritualità e di acco-glienza dove si può fare esperienza dipreghiera e raccoglimento, di incontri in-dividuali e di gruppo, formazione umanae spirituale, condivisione...

è il “cuore” che pulsa e nutre tutte leattività fondate da P. Ireneo e che da quisono partite.

Ca’ delle Ore Cooperativa di Solidarietà Sociale gestiscel’omonima comunità terapeutica, creata nel 1984 per il re-cupero e la riabilitazione di persone affette da dipendenzada sostanze ed alcool. La comunità è situata sulle collinedell’alto vicentino, a breganze (VI), in una struttura ampiaed accogliente immersa nelle prealpi venete. Sono accoltisino ad un massimo di 25 utenti residenziali, mantenendonel profilo di “piccola comunità” un rapporto tra numerodi utenti e operatori basso, per favorire un approccio il piùpossibile individualizzato e personalizzato.

Il progetto terapeutico riabilitativo Sankalpa, mira alla ri-nascita del soggetto ad una nuova vita nella sua interezzadi uomo, proponendo un approccio di ampio respiro, chetrova le sue radici nella visione francescana della vita e nellapsicologia transpersonale e sistemico-costruttivista. Il pro-getto Sankalpa prevede un percorso individualizzato di psi-coterapia personale e di gruppo, integrato con una serie diattività psicocorporee, culturali e educative, anche esternealla comunità, nonché incontri con le famiglie, e fase per ilreinserimento lavorativo e follow up dopo la dimissione.

Eremo di S. PietroEremo di S. Pietro

Comunità Ca’ Delle OreComunità Ca’ Delle Ore

Associazione SankalpaAssociazione Sankalpa

3SANKALPA

Pasqua è passaggio dalla notte al giorno luminosodella Risurrezione, è la vittoria della Luce sulle te-nebre, dell’Amore che mai cede all’egoismo morti-

fero che tiene chiuso il cuore degli uomini.È un ponte sicuro dove si può già da ora – nel percor-

rerlo – intravvedere la bellezza del nostro destino di creaturefelici, buone, complete così come Dio ci ha fatto.

Certamente durante il passaggio siamo invitati a “lasciare

le opere delle tenebre” senza troppi rimpianti per goderenello stupore di riscoprirci nuovi e pieni di Vita, di BuonaVita.

Oggi più che mai auguriamoci di cuore “Buona Pasqua- Buona Vita” e SEMPRE AVANTI senza stancarsi nelcostruire con le buone pietre dell’amicizia, del dialogo edella solidarietà un mondo migliore….

Grazie e Auguri

editoriale

Con Amore ed Umiltà costruiamo un mondo nuovo

di Padre Ireneo

Acquerello di Antonia Bortoloso

dall’associazione4

PARTIREPartire è anzitutto uscire da sé.Rompere quella crosta di egoismo che tenta di imprigionarci nel nostro “io”.Partire è smetterla di girare in tondo intorno a noi, come se fossimo al centro del

mondo e della vita.Partire è non lasciarsi chiudere negli angusti problemi del piccolo mondo cui appar-

teniamo: qualunque sia l’importanza di questo nostro mondo, l’umanità è più grandeed è essa che dobbiamo servire.

Partire non è divorare chilometri, attraversare i mari, volare a velocità supersoniche.Partire è anzitutto aprirci agli altri, scoprirli, farci loro incontro. Aprirci alle idee, com-

preso quelle contrarie alle nostre, significa avere il fiato di un buon camminatore.È possibile viaggiare da soli. Ma un buon camminatore sa che il grande viaggio è

quello della vita ed esso esige dei compagni.Beato chi si sente eternamente in viaggio e in ogni prossimo vede un compagno de-

siderato. Un buon camminatore si preoccupa dei compagni scoraggiati e stanchi. Intuisce il

momento in cui incominciano a disperare. Li prende dove li trova. Li ascolta, con intel-ligenza e delicatezza, soprattutto con amore, ridà coraggio e gusto per il cammino.

Camminare è andare verso qualche cosa; è prevedere l’arrivo, lo sbarco.Ma c’è cammino e cammino: partire è mettersi in marcia e aiutare gli altri a cominciare

la stessa marcia per costruire un mondo più giusto e umano.(dom Helder Camara, Camminiamo la Speranza)

Questo diceva dom Helder Camara; sempre vero e fon-damentale uscire da se stessi per incontrare gli altri,per costruire insieme un mondo più giusto ed uma-

no!Oggi viviamo in un mondo dove i mezzi di comunicazione

la fanno da padrona, ma questo ci facilita l’incontro con glialtri? Che comunicazioni portiamo avanti?

Molto spesso sono comunicazioni telegrafiche, con parolesmozzicate che a volte si fatica a comprendere e si rischia cheanche il pensiero segua la stessa strada. Spesso sembra, infatti,che non si comunicano pensieri, idee, concetti… ma solamentebriciole, frammenti di pensieri, credendo comunque che questoè comunicare, mentre è solo un essere “collegato” con gli al-tri.

Per incontrare veramente l’altro bisogna iniziare da se stessi,scrutando attentamente e con umiltà quello spazio interioredentro di noi e conoscersi, nelle qualità, nei difetti, nelle spi-golature… accogliendoli in Verità, senza giustificazioni, esal-tazioni o nascondimenti ed infine uscire verso l’altro,consapevoli di ciò che noi siamo. Solo così possiamo incontrareveramente l’altro, altrimenti ci fondiamo e confondiamo conl’altro, o ci scontriamo rimanendo come se nulla fosse avvenuto,imperturbabili e indifferenti.

Non è detto che con tutti dobbiamo avere relazioni inter-personali profonde, ma sicuramente vere e rispettose dell’altrosì e soprattutto con Amore, perché una relazione senza Amore

ci lascia in balia degli istinti, come gli animali, che ci trascinanoin una giostra vorticosa di sensazioni e passioni che tutto sonotranne che Vita.

Incontrare l’altro, comunicare con lui, non è solo parlare,scambiarsi idee e pensieri, ma è anche fermarsi con lui, magarianche tacendo perché a volte il silenzio è più eloquente di qual-siasi discorso, ridere con lui, piangere con lui, ascoltare ciò chedice e ciò che non dice… Comunicare, insomma, è attenzioneper l’altro. Auspicabile che l’apertura sia reciproca, altrimentidiventa un monologo, una strada a senso unico.

A volte i dialoghi sono difficili perché l’altro non ha nessunaintenzione di dialogare con noi allora bisogna trovare altrimezzi per arrivare ad incontrarlo, se questo dialogo è proprionecessario sia per le persone coinvolte che eventualmente peri contesti dove sono inseriti.

Quanto indispensabile è oggi imparare a dialogare veramentecon reciprocità ed impegnarsi nel dialogo. Intorno a noi spessovediamo egocentrismi, individualismi, isolamenti, presunzioni,imposizioni, litigi per ogni stupidaggine, rancori ed animositàvarie… per non parlare di cose ben più gravi (attentati ed uc-cisioni) che avvengono nel mondo.

I tantissimi problemi che ci circondano non devono spingercia chiuderci in noi stessi, ma piuttosto ad aprirci sempre piùverso l’altro, perché è solo insieme che possiamo costruire unmondo migliore, più giusto ed umano con saggezza, semplicitàed umiltà!

di Armida galasso

5SANKALPA

dall’associazione

Per l’anno 2015 la Redazione della rivista Sankalpa ha scelto come tema generale: “COSTRUIREPONTI”

I ponti rappresentano i collegamenti, il dialogo, la possibilità di conoscere e di farsi conoscere,l’accogliere anche chi è diverso da te, il proporsi, il confrontarsi, la via per la Pace ……

La PROPOSTA per questo numero in uscita per PASQUA è: L’UMILTA’• Per andare incontro agli altri bisogna imparare ad uscire da noi stessi, dal nostro ego, dal

girare sempre attorno a noi, uscire a volte dalle nostre presunte “certezze”... • è un mettersi in discussione, l’incontro con l’altro è sempre arricchente, non lascia mai “in-

denni”, saperne trarre frutti positivi dipende da noi... chi è troppo ancorato su di sé spesso ne hapaura ...….

L’ECUMENISMO e il DIALOGO INTERRELIGIO-SO sono pilastri della chiesa cattolica post- conciliare.Parliamo ormai di cinquant’anni di lavoro, a volte poco

visibile ma sempre costante e soprattutto cercato con tenaciada tutti gli ultimi papi. Ed è soprattutto nelle periferie, geo-grafiche ed esistenziali, che la santa Ecclesia ha azzardato espe-rienze di apertura iniziando percorsi concreti, seppur piccoli,che da allora si sono sviluppati. Manon si parla di un ecumenismo chevive nelle disamine teologiche maè concreta volontà di cercare e ri-conoscere la preziosità dell’altro.Ed è da più di trent’anni che al-l’eremo di San Pietro, a MasonVic.no, vengono dati spazio e at-tenzione a questa ricerca concretae quotidiana, vista non di rado conscetticismo e perplessità che nonhanno motivo d’essere. Padre Ire-neo e collaboratori hanno saputoattraversare con determinazione elungimiranza difficoltà d’ogni genere, senza mai disperare emai interrompere il dialogo con tanti amici del mondo cristianoe di altre TRADIZIONI SPIRITUALI..

In questi ultimi anni, la dimensione di ricerca vissuta all’Ere-mo si è impreziosita dei corsi di meditazione pensati attingendoa piene mani dalla preziosa esperienza patristica cristiana, manon disdegnando il Nuovo e l’Antico che altre tradizioni spi-rituali, soprattutto orientali hanno saputo coltivare parallela-mente e forse meglio dell’Occidente. Qui all’Eremo ci si sentedi poter finalmente respirare con tutti e due i polmoni, l’Orientee l’Occidente. Un messaggio di speranza e di fraternità uni-versale, che è il grande sogno non solo di papa Francesco, maancor prima di Francesco l’assisiate.

Il magistero di papa Francesco sostiene e promuove camminivolti all’ACCOGLIENZA della bellezza del diverso, scopertaattraverso la conoscenza. In riferimento al dialogo dice infatti:

“Come insegna l’esperienza, perché tale dialogo ed incontro sia efficace,deve fondarsi su una presentazione piena e schietta delle nostre rispettiveconvinzioni. Certamente tale dialogo farà risaltare quanto siano diversele nostre credenze, tradizioni e pratiche. E tuttavia, se siamo onesti nelpresentare le nostre convinzioni, saremo in grado di vedere più chiaramentequanto abbiamo in comune. Nuove strade si apriranno per la mutuastima, cooperazione e anche amicizia”.

Mai come in questi tempi l’ascoltoha necessità di completarsi nel dialogo.Il DIALOGO appare un’esigenza, pri-ma ancora che un’ aspirazione, ma tro-vare il gene che unisce in modoparentale Isacco ed Ismaele significaandare all’ESSENZA, così come è es-senziale fare i conti con la violenza ciecae sorda dell’estremismo considerandoloestraneo ad ogni confronto etico reli-gioso, relegandolo al posto che gli spet-ta cioè fuori da ogni sacralità.L’eliminazione dell’antagonista in nomedi un dio, non è opzione contemplata,

mai e in nessun testo sacro. Appartiene ad altri ambiti. PapaFrancesco ha sottolineato in occasione del suo viaggio in Sri-Lanka e nell’udienza tenuta per i cinquant’anni di fondazionedel Pontificio Istituto di Studi Arabi e di Islamistica, [...l’impor-tanza dell’ASCOLTO curioso, fecondo e al contempo vigile, disposto acogliere con attenzione la proposta dell’altro, non come silente forma dicortesia legata alle buone maniere, ma come rispettoso scambio di reciprocheesperienze. Il Buono, il Bello, il Giusto non sono proprietà di uno maeredità che vanno costantemente riconfermate. Si riconoscano rispetto ePARITA’ di dignità tra chiunque tenti di intraprendere percorsi di sa-pienza, verità e santità].

Non occorre però annullare le differenze, ricondurre ad unfilo comune è fondamentale, vestire le diversità con pacificodesiderio di FRATELLANZA lo è altrettanto. In un percorsodi crescita quotidiana, nel tentativo di gettare ponti solidi conchiunque cerca con cuore sincero….. (continua)

Parlando di ponti….a cura della Redazione

dall’associazione6

di giacomo Rosa

LA FINESTRA SUL PONTE

Eora tutti a dissertare di califfati ed emiri, di cor-renti sunnite e sciite, di curdi indifesi e per-seguitati e di imam da sostenere o da

cacciare; sì insomma, un po’ come quandoinizia la coppa America e ci si scopreesperti di spinnaker, bompressi e magarifinissimi conoscitori delle insidiosecorrenti atlantiche, anche se le estatile passiamo a bagnomaria nella pisci-na del Villaggio Marzotto perché ilmare, che sta a poche decine di metri,è troppo agitato.

Fino a qualche mese fa a sentireparlare di califfi si ritornava all’infan-zia, levitando in compagnia di lampademagiche e tappeti volanti. I meno so-gnatori ripescavano dai sussidiari nebulosiricordi del Profeta e dell’islam delle originie al sottoscritto tornava subito alla mente, co-me Proust con i biscotti della zia, il tamarrissimomotorino Califfo sfortunato antagonista di quel ca-polavoro di essenzialità meccanica chiamato Ciao Piaggio.

Che meraviglia! è bastata soltanto qualche settimana (eore di passivo bombardamento mediatico) per diventaretutti raffinatissimi ermeneuti.

Da quando i pazzi furiosi dei jihadisti hanno fatto irru-zione nelle nostre vite, di Islam se ne parla tutti, molto espesso a sproposito. Si discute con interesse di questi figlidegenerati dei nostri giorni, che attraverso plateali e atrociesecuzioni interpretano un gioco virtuale che amplifica edesalta la loro follia.

Quasi quotidianamente i ragazzi a scuola mi chiedono,con l’insistenza quasi petulante di un commissario d’esame,se le minacce dell’is e affini rispondono a vero pericolo ose sia piuttosto un tentativo (riuscito) di scatenare il panico,ovvero se si andrà in guerra con tanto di aerei, navi e ar-tiglieria. Io disarmato, è il caso di dirlo, ripeto loro che nonlo so, sono solo un insegnante di storia non uno studiosodi geopolitica e flussi migratori. Ripropongo le ovvie con-siderazioni sulla belluina ferocia dei terroristi, che li avvicinaalla brutalità animale più che alla sensibilità umana, ma èpur vero che questi abietti invasati sanno usare magistral-mente il web per inocularci il timore dell’attacco a sorpresae educarci all’idea di una vulnerabilità costante e pervasiva.Il vero rischio che corriamo è noto solo a chi si occupa diintelligence e di faccende militari ma direi, a spanne, chela possibilità che Roma divenga un accampamento beduinoè piuttosto bassa. In fondo credo che questi pazzi furiosifacciano leva sull’ottundimento sociale e sulla nostra scarsapropensione a combattere strenuamente per quello a cui

teniamo. Mi par di capire che deprechino la nostra seden-taria inettitudine e la nostra fiacchezza, soprattutto su temietici e religiosi, e perciò a loro risulta facile giocare a spa-ventarci vestendo il ruolo del cattivaccio che di punto inbianco arriva azzerando la mollezza dell’ignavo. Loro pos-siedono un obiettivo e forte, noi no, ci si difende semmaiper timore.

Dalle loro parti si convive oramai da troppo tempo conil sadismo e l’orrore; è qui da noi che suscita sgomento,perché promette di spostare la recita sotto casa nostra.E sì che la nostra insana presunzione ci ha resi colonialistinon meno depravati e la nostra imbecillità ci ha spintoin tempi più recenti a scompagianare con colpevole leg-gerezza panorami statuali ben più complessi di quel chesi credeva. Siamo quanto meno corresponsabili, ma nondiamo loro la possibilità di impressionarci, quanto a per-fidia e crudeltà non siamo da meno, non lasciamo che sibullino di cose che già conosciamo da secoli; ripaghiamolicon altra moneta. Cerchiamo di essere creativi e anticon-formisti, costruiamo ponti di altro materiale, ponti chereggano, ostiniamoci a percorrere altre vie, anche perché,come già detto, questo delirio pare assumere i connotatidi una lunga e sanguinosa riforma con protagonistal’Islam, se stesso e la sua multiforme complessità. Pre-pariamo un dialogo sano.

dall’associazione7SANKALPA

Muro-Guerra di Bosnia 1992-95

Quanto è accaduto a Parigi a inizio gennaio, fa paura.Dopo le molte parole, spesso retoriche e banalizzanti,rimangono molti equivoci e molta confusione sul

mondo islamico, sulla sua cultura. Noi vogliamo dare il nostropiccolo contributo per una migliore conoscenza reciproca,per uscire dal clima di islamofobia che si è creato. Per questoabbiamo incontrato Samad Darmouch , fondatore e presidentedell’associazione di mediazione interculturale “Averroè”; questosignore marocchino sta cercando con grande impegno civilenei confronti dell’Italia stessa, di favorire l’incontro tra le dueculture, quella islamica e quella occidentale. È stata un’occasioneper parlare in parte di religione e di cultura araba, ma soprattuttoper capire il punto di vista e le difficoltà degli immigrati.

Grazie per aver accettato il nostro invito. So che oggisei stato molto impegnato con la tua associazione.

Sì, è stata una giornata stancante ma anche pienadi soddisfazioni. Questa mattina ho incontratoi ragazzi di un istituto superiore di Valdagnoper una serie di incontri che fanno parte diun progetto di interculturalità. Al terminedegli incontri molti ragazzi sono inter-venuti, hanno voluto raccontare le loroesperienze, molti mi hanno detto cheera la prima volta che trovavano il co-raggio di farlo. Nel primo incontro ave-vo parlato loro del viaggiodell’immigrato, che è un viaggio diversoda come siamo soliti intenderlo, non è unviaggio per il piacere dell’occhio, con un’an-data e un ritorno. È un viaggio continuo,spesso senza ritorno, un viaggio interiore chel’immigrato fa alla scoperta della sua identità cul-turale e del modo in cui viverla nel paese ospite. Nel se-condo incontro, avevo parlato invece dell’immigrazionefemminile; se ne sa molto poco, perché di solito si parla del-l’immigrazione come di una questione maschile. Invece ledonne rappresentano il 51% del movimento migratorio. Sonostate le prime, ancora negli anni sessanta e settanta a emigrare.E la loro esperienza è sempre stata molto traumatica, cosìcome quella delle donne che si ricongiungono adesso alle fa-miglie già residenti in Italia e negli altri paesi europei. Pensate,ad esempio, a cosa significa vivere un’esperienza così importantee problematica come la gravidanza senza conoscere la linguadel medico e delle strutture che devono seguirti, in un contestoculturale ceh affronta la gravidanza diversamente che nel paesed’origine. In generale, proprio quello della lingua, è un ostacolograndissimo; io per primo l’ho vissuto. Il non conoscere lalingua rischia di ridurre molto la voglia di socializzazione cre-

ando un isolamento psicologico che impedisce una effettivaintegrazione. Le donne invece possono avere un ruolo socio-culturale importantissimo nell’integrazione dei figli, possonodiventare un punto di forza. Condividere questi pensieri coni ragazzi e vedere il loro interesse mi ha dato la conferma cheil lavoro nelle scuole è fondamentale se si vuole colmare ildeficit di integrazione che, purtroppo, c’è anche in Italia.

Quindi, il tuo impegno principale è nelle scuole.Averroè è un’associazione nata nell’aprile 2012 con l’obbiet-

tivo di creare un dialogo interculturale costruttivo per favorirel’integrazione degli immigrati. Perchè questo avvenga bisognaragionare sull’atteggiamento di entrambe le parti; quello del-l’immigrato e quello della politica per l’integrazione del paeseche lo accoglie, partendo dalla base. Quando ho presentato ilprogetto a Thiene, ho invitato a partecipare immigrati, le am-

ministrazioni locali, i dirigenti scolastici e gli insegnantiperché una politica seria in questo senso deve

partire dalla scuola che di per sé è attual-mente una realtà fortemente multicul-

turale e per questo deve diventare unpunto di forza per lo sviluppo delpaese stesso. Quindi, in primo luo-go, noi vogliamo che le famigliedegli immigrati si avvicinino dipiù alle scuole.

Come rispondono le fami-glie degli immigrati al vostroinvito?La collaborazione purtroppo è

scarsa, dobbiamo chiederci perché.Un problema è sicuramente la lingua,

ma non basta a spiegare la questione. Ilproblema è più profondo ed è collegato al

fatto che l’immigrato è il più delle volte un immi-grato tradizionale con un rapporto molto pragmatico conl’Italia: è lì per lavorare e guadagnare, si vede ed è visto solocome risorsa economica. Noi cerchiamo di farlo ragionare sulfatto che deve essere anche lui una voce culturale, che in casanon deve parlare ai figli solo del lavoro e del guadagno maanche dei propri valori e dell’importanza di collaborare conle istituzioni per il loro bene e per quello della società. Lo in-vitiamo a riflettere a fondo sull’importanza dell’integrazionedei figli, sulla necessità di dialogare con la scuola e di sfruttarlacome risorsa per il loro bene, perché la loro esperienza in Italiasia più luminosa di quella di un immigrato tradizionale.

D’altro lato, a questo deficit di integrazione contribui-scono entrambe le parti.

Certamente. L’Italia, nel nostro caso, deve attuare una politicaefficace nelle scuole, riflettere a fondo sulla multiculturalità

L’Islam non fa pauradi Federico Manzardo

dall’associazione8

come un dato di fatto che non è un punto di debolezza mauna ricchezza a sua disposizione per farla diventare un fattoredi crescita per il paese stesso. La nostra associazione lavora adoppio senso; vuole fare in modo che l’immigrato faccia unpasso verso l’Italiano e la sua cultura, così come l’Italiano devemuoversi verso l’immigrato; così facendo possono trovare unpunto d’incontro senza che questo significhi per ognuno ri-nunciare alla propria identità culturale. L’interculturalità è l’unicastrada, per il bene di entrambe le parti. Un immigrato che nonparta dal proprio piano culturale, dall’insieme di valori dirispetto e libertà che la costituiscono, è un immigrato fallito enon sarà in grado di trasmettere l’importanza dell’integrazioneai figli; quando avrà ben chiaro il proprio piano culturale potràessere in grado di abbracciare la cultura del paese ospite. Allostesso tempo, se le istituzioni italiane e la scuola in particolare,non saranno in grado di attuare una vera politica di integrazione,la conseguenza sarà un gap culturale da cui nascerà continua-mente paura. Questo è il rischio più grande che coinvolgetanto l’immigrato quanto l’Italiano; paura che genera odio erazzismo che poi si trasmettono da padre a figlio nel loro dia-logo quotidiano, per generazioni.

Fatte alcune distinzioni, quello che dici ricorda la realtàdi Parigi.

I protagonisti delle stragi di Parigi sono Francesi di terza equarta generazione, cresciuti in Francia e che hanno sviluppatoun odio feroce verso la Francia stessa. Perchè? Per capire ilproblema dobbiamo tornare alla politica di De Gaulle nellaFrancia degli anni ‘60 e ‘70, quando è stata fatta una scelta dighettizzazione degli immigrati, sono stati confinati in una zonaspecifica, la cosiddetta banlieue. Questo ha causato grandiproblemi di emarginazione, con una criminalità molto diffusache ha finito per utilizzare la religione come pretesto, comearma ideologica per giustificare l’odio e gli atti di violenza. In

Italia, per fortuna, non è mai stata fatta una politica di questotipo; qui gli immigrati risiedono nelle diverse zone della cittàa fianco degli Italiani stessi, senza la marginalizzazione urba-nistica che hanno vissuto molti immigrati in altri paesi.

Molti mass media, parlando dei fatti di Parigi e delmondo islamico in generale, non fanno molte distinzionitra i diversi aspetti della vostra cultura, generando unaconfusione molto pericolosa.

È un grave errore confondere Islam e fondamentalismoislamico, si finisce col dire che l’Islam è una religione fonda-mentalista. L’Islam è semplicemente la religione di chi credein Allah (Dio), nel Suo profeta (Maometto) e nell’ultimo giorno(quello del giudizio); una religione legata a una cultura conquindici secoli di storia, che ha contribuito allo sviluppo dimolte civiltà anche in Occidente. Il fondamentalismo islamicoè un fanatismo nato da una religione (un vizio presente anchenel mondo cattolico e in quello ebraico), una degenerazioneche ha finito con il negare la storia stessa dell’Islam. Quelloche non si dice quasi mai è che la lotta contro questo fonda-mentalismo è in corso nello stesso mondo islamico da mol-tissimi anni. È una lotta che vede attualmente coinvolta tuttala società civile di molti paesi arabi e che vede in prima lineamolti intellettuali che soffrono e lottano contro il fanatismoe i fondamentalismi perché questi rappresentano un pericolocontro la libertà, la diversità, la creatività, i cambiamenti sociali,il progresso.

Ti confermo che molti di noi questo lo ignorano, comemolti altri aspetti della vostra cultura.

Un’altra cosa su cui si fa confusione è la shari’ah. Non èvero che i paesi islamici vogliono identificare la legge dellostato con una applicazione letterale del testo sacro. Il Coranoè un testo con un forte valore sociale, un codice etico apertoa diverse interpretazioni, richiede un grande sforzo intellettuale:

9SANKALPA

Maometto stesso invitava all’uso dell’intelletto nell’interpre-tazione del testo sacro. La pretesa di applicarlo alla lettera perfarne un codice di diritto positivo è destinata a fallire.

Anche il termine jihad è usato a sproposito, tanto dai fon-damentalisti quanto dai mass media. Viene sempre tradottocome guerra santa, ma i significati di questa parola sono diversi.In lingua araba, il termine per indicare una guerra contro ilnemico è un altro, è “harb”. La jihad, come sforzo di diffusionedell’Islam all’origine della sua storia, non aveva mai avuto comeobiettivo l’annullamento dei cristiani e degli ebrei. Un’azionemilitare che vuole colpire le altre religioni e costringerle alleconversioni non è jihad. Il Corano stesso in-vita al rispetto delle altre fedi e Maomettonon ha mai chiesto ai cristiani e agli ebrei dicambiare la propria fede, perché anche lorocredevano in Dio; il vero nemico,semmai,erano gli atei, ma non per questo dovevanoessere uccisi. Il Profeta stesso ha firmato deitrattati di pace perché venissero rispettatiebrei e cristiani: la loro presenza è stata ac-colta durante tutta la storia del Califfato,inparticolare in Siria, Libano e Iraq. In questipaesi esponenti cristiani della borghesia edel mondo intellettuale, a partire dagli anniquaranta del secolo scorso, hanno portatoavanti progetti di moderazione e si sono im-pegnati contro lo stesso colonialismo occidentale. L’azionedell’Isis con l’uso scorretto della sua bandiera nera, stravolgetutto questo, il termine jihad non c’entra con la sua azione econ quella dei fondamentalisti.

Pensi che ci siano responsabilità dell’Occidente in que-sta esasperazione del conflitto?

Sicuramente alcune operazioni militari, così come il tratta-mento dei prigionieri ad Abu Ghraib hanno alimentato l’odiocontro l’Occidente. Ma noi musulmani dobbiamo saper se-

parare il sistema militare occidentale che difende i suoi interessinel mondo, dalla faccia positiva del suo ricco universo culturale,fatto di valori importanti, come i diritti umani. Così come glioccidentali devono dedicare tempo e impegno per impararea separare l’Isis - che è una macchina militare - dall’Islam, chenon è una cultura di conquista ma di dialogo, di incontro. Cri-ticare l’apparato militare non significa criticare la cultura di unsistema.

Che ruolo possono avere le rispettive religioni nellacreazione di questo ponte tra le culture?

La religione è un aspetto molto importante delle due culture,ma non è l’unico. Personalmente,penso che questo non sia il tempoin cui la gente debba essere dro-gata con la religione. Credo che inquesta fase storica, gli uomini re-ligiosi e i credenti debbano dedi-carsi soprattutto alla creazione diun clima di incontro, di conoscen-za reciproca, per scoprire quantoaccomuni i popoli. La nostra as-sociazione ha deciso di chiamarsiAverroè non a caso; ha scelto ilnome di questo filosofo della Spa-gna del XII secolo perché rappre-senta un simbolo dei momenti di

pace tra queste due grandi culture,è stato un uomo che si èbattuto molto perché si creasse un ponte tra la cultura occi-dentale e quella dell’Islam. Noi immigrati, portatori di questacultura arabo-islamica, crediamo molto in questo. C’è un ver-setto molto importante nel Corano: “Vi abbiamo creato daun maschio e da una femmina e abbiamo fatto di voi popolie tribù affinché vi conosceste a vicenda”. Allora, per noi, delprogetto stesso del Profeta Maometto deve assolutamente re-stare questa capacità di costruire ponti tra popoli e culture.

dall’associazione

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dall’associazione

èsempre un Noi a reggere un pon-te. L’io lo fa crollare. Un noi chetiene il collegamento, un noi che

tiene il dialogo che unisce ad esempiodue culture, che poi sono due mondi,due modi diversi di vedere la realtà. Senon c’è un noi a tenerlo, prima o poiil ponte crolla. E così è stato per i ponticostruiti dal colonialismo europeo,ponti gettati con la forza su altre civiltàche grazie alle grandi menti antropo-loghe a servizio dei colonialisti, so-prattutto quelle britanniche, hannodefinito “primitive” quelle culture afri-cane e americane così diverse da quelleeuropee e con quel definirle “primiti-ve”, rispetto alle nostre più evolute, siè giustificata ogni sorta di soprusi ecarneficine (vedi strage dei guerrieriPutumayo di M. Taussig).

Il ponte richiede un noi, altrimentiil ponte crolla. Ho visto il ponte diMostar prima della ricostruzione e do-

po la ricostruzione …e quando vadoa Mostar mi prende come un ventocaldo che mi attraversa il cuore, miprende come una nostalgia di cose stu-pende poi calpestate e deturpate…miprende la voglia di appendere a quelponte anche la mia preghiera e lasciareche il vento la porti lontano assiemea quelle tante preghiere appese al tem-po del suo nuovo battesimo. L’ho at-traversato dopo la ricostruzione,vedendo negli occhi di un ragazzo bo-sniaco come quel ponte si rispecchiavaancora distrutto e in macerie…perchénon bastano i mattoni a ri-arginarecerte ferite.

È un Noi a reggere il ponte nel tem-po, quel noi che ti fa attraversare ilponte tranquillo sapendo che non vitroverai agguati di chi, dalla parte op-posta, quel ponte magari non lo vuole.È quel noi che fa transitare sopra ilponte la dignità umana, retta dal ri-

spetto delle diversità che lo attraver-sano. Quante cose avrebbe un ponteda dire su chi lo attraversa. Nel libro“Il ponte sulla Drina” di Ivo Andricè proprio il ponte a parlare, a dire co-me fu costruito, chi ci passò sopra equel libro rimane un capolavoro perchiunque voglia comprendere che cosaha fatto reggere quel ponte e che cosalo fece crollare.

Ci vuole un pensiero condiviso perreggere un ponte, o un sentimento co-mune del cuore che unisce più personee fa si che nasca e prosperi un ponte,un collegamento benevolo e pacificotra le persone. La scienza medica di-rebbe che ci vuole un buon collega-mento neuronale tra i ponti dellenostre cellule nervose perché anchegli altri ponti relazionali reggano. Queiponti cerebrali che nel nostro cervelload un certo punto arrivano a dire di-struzione o costruzione, quei ponti tra

Ponte noi-iodi Fratel Andrea Rocchetto

11SANKALPA

dall’associazionei nostri neuroni del cervello, le sinapsi,che appunto non si sa bene come allafine producano certi comportamenti.E le neuroscienze sotto questo puntodi vista cosa ci possono dire? Poco oniente come dice il filosofo contem-poraneo Nagel, le neuroscienze sa-pranno esattamente quali cellulenervose sono coinvolte nella sfera ami-cizia ma non sapranno mai dire cosaprova una persona di fronte all’amici-zia, qual’è la sua esperienza dell’ami-cizia, come trovarsi di fronte al quadrodella Gioconda, le neuroscienze di-ranno esattamente la parte della cor-teccia cerebrale coinvolta nella“visione Gioconda” ma nullasapranno dire dell’esperienzadella persona di fronte alla Gio-conda. Ma questo è un discorsoa parte e chissà che anche tra lediscipline scientifiche si creinoponti in modo che nessuno siarroghi il diritto di uno smem-bramento dell’uomo che sepa-rato, questo è evidente a tutti,non potrebbe funzionare.

Ciò che interrompe la costru-zione del ponte, come direbbeil circolo ermeneutico di Gada-mer e Heiddeger, è l’interrompere ilpunto interrogativo sull’altro, spezzareil circolo virtuoso dell’interpretazionedell’altro, lo stupore verso il diverso.L’altro, come ha detto Giordano Bru-no, è una prossimità e la natura di que-sto approssimarsi è umbratile. Finchèquesta ombra di conoscenza dell’altrorimane viva, rimane vivo il dialogo eil punto interrogativo su chi ho davan-ti. Se questo si interrompe allora siapre quello spazio che Taussig ha chia-mato “spazio della morte” dove tuttoè possibile, qualsiasi violenza, qualsiasicarneficina, questo è quanto succedenella realtà (è quanto subì anche Gior-dano Bruno dall’Inquisizione cattoli-ca).

Questo Noi tra l’altro, unico che puòreggere un ponte, è il noi anche dellapreghiera cristiana, dove si invoca unpadre collettivo cioè un Padre Nostro

È quindi un noi a reggere il ponte conil Padre non un io. Nel momento incui dico Padre mio, rompo la stessagenesi Divina e quindi già sono fuoridalla Grazia, vale dire spezzo il pontecon il Divino… è solo il noi che reggequindi anche la dimensione dello Spi-rito. Dai racconti di Genesi sappiamoche Dio si era stufato dell’uomo anzipentito di averlo creato, e quindi inviaquel diluvio universale che poi è pre-sente nei racconti di creazione di tuttii popoli e civiltà (anche quelle famose“primitive”), poi però si pente e cam-bia idea e decide che questo non ac-

cadrà mai più è appare come simbolol’arcobaleno, un ponte di colori, spe-ciale, che ha due piedi sulla terra e lasommità nel cielo come simbolo di le-game che nessuno potrà più spezzare,appunto un ponte divino, e se è Diodall’altra parte del ponte siamo sicuriche a farlo crollare può essere solo laparte nostra. Comprendiamo che èquindi un ponte con il divino a reggereil mondo addirittura alcuni antropologiaffermano che la cultura stessa abbiaavuto inizio da questo ponte con il Mi-stero, con l’Ultra-terreno. Nelle civiltànative americane, in quella che vienchiamata “Ricerca di visione”, il gio-vane abbandonava la sua casa per re-carsi nel bosco dove digiunava e doveavrebbe avuto l’incontro con il suoSpirito Guida che gli avrebbe dettato“la sua vocazione” guerriero, guaritore,cacciatore… . Una volta incontrato lo

Spirito il giovane avrebbe impressoper sempre quell’incontro in un og-getto, che non avrebbe mai più abban-donato per tutta la vita, il suo amuleto.Lui rientrava nel proprio gruppo conil suo amuleto dove era impresso que-sto incontro avuto con lo Spirito e ilgruppo accettava quell’indicazione conquanto questi portava di nuovo, ap-preso in quell’incontro, Nuovo che di-ventava rinnovamento della stessacultura in quel popolo (vedi guerrieriMohave). Un agire nel proprio grupposociale nato dall’incontro con il Mi-stero, il NON –Conosciuto, l’Ultra-

terreno a giustificazionedel proprio agire. E que-sto agire nella sacralitàdell’incontro dovrebbeessere alla base anche delcristianesimo dove addi-rittura il ponte gettato daCristo nell’Eucarestia èun ponte sempre apertonel tempo e nella storiafino al suo compimentofinale.

Ogni anno getta il pon-te per l’anno successivoe gli ebrei dicono che tra

la festa di Rosh Hashanà (capo del-l’anno) e lo Yon Kippùr (dieci giornidopo) già Dio ha deciso tutto ciò checi accadrà in quell’anno per ognuno.Credo sia così. O pensiamo che sia lanostra presunzione a stabilire le regoledel tempo e dei nostri accadimenti?

Se il ponte crolla non è colpa di unoma di un noi. Perciò attenti a dare col-pe o attribuire meriti, se il ponte reggeè merito di un noi se crolla sempre diun noi. Tirarsi fuori e dire è stato luiè sempre sbagliato, sempre. E allorarinfranchiamo questo Noi come il pa-nettiere rinfresca la pasta madre, e al-lora verrà un buon pane, rigeneriamonella verità e amore le nostre relazionie allora il ponte familiare, comunitarioreggerà agli urti. E allora su quel pontestesso si poserà la Grazia e la vita inquell’attraversare il mondo sarà paci-ficata.

Libri suggeriti::“Il ponte sulla Drina” di Ivo Andric “Totalità e infinito” di Lévinas“Verità e Metodo” gadamer“La possibilità dell’altruismo” Thomas Nagel“Lo spazio della morte e la cultura del terrore” di M. Taussig, saggio tratto da Antropologia della Violenza ed. Meltemi

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dall’associazione

Ricevo per motivi professionali persone che vogliono se-pararsi dal coniuge e definire aspetti personali e patri-moniali che riguardano anche i figli. Si tratta di persone

spesso appesantite da una dolorosa esperienza vissuta tra lemura domestiche, deluse e frustrate per il fallimento del loroprogetto matrimoniale, nel quale avevano investito molte ener-gie e risorse, andato in frantumi sotto il peso d’incomprensioni,spesso derivate da incapacità di ascolto, di comprensione e dicondivisione.

Molti sono convinti, dopo avere effettuato una sorta di bi-lancio degli affetti, di avere profuso nel rapporto molto più diquanto non abbiano ricevuto: ciò induce in loro un sentimentodi rivalsa verso il coniuge e desiderano ristabilire l’equilibrioviolato per il tramite del legale cui si affidano.

Sotto sotto, anche se non lo confesserebbero neppure sottotortura, non gli basta trovare unasoluzione legale a problemi reali(qual è il mantenimento e la re-golamentazione del diritto di vi-sita ai figli): vogliono che l’altroconiuge esca sconfitto dalla guer-ra giudiziaria, meglio ancora seumiliato.

E a volte desiderano che l’altro,che ha procurato loro molto do-lore, esca non solo dalla loro vitama anche da quella dei figli.

Penso che questo atteggiamen-to pur comprensibile sia estre-mamente pericoloso, in primisper chi ne è portatore: il desideriodi rivincita e di esclusione alimen-ta il conflitto, con costi economicie psicologici ingenti per tutti e inparticolare per i figli, spesso tiratiper la giacchetta da genitori allaricerca di alleanze, che additano l’altro genitore come il nemicocomune da combattere e da punire.

Tuttavia la logica vincitore/vinto crea le premesse per nuovicapitoli di guerra: il vinto, animato da spirito di rivincita, cercheràdi rifarsi in un crescendo senza fine del conflitto.

Si rischia di finire triturati anche quando la battaglia legalesi concluda positivamente.

Meno attraente ed immediata ma molto più efficace è lalogica opposta di chi non persegue la vendetta ma cerca dicomprendere e di mantenere, se non addirittura di rafforzare,i ponti con l’altro, trovando soluzioni che possano mantenereal minimo il livello della conflittualità e, soprattutto, aiutino ifigli a crescere sereni, anche nella faticosa condizione della se-parazione, liberi di amare entrambi i genitori senza sentirsi perciò stesso in colpa.

Per il professionista che sappia vedere l’altro (cliente o con-troparte che sia) come un suo simile, non è mai facile traghettare

- novello San Cristoforo – le persone dalla sponda del rancoree del risentimento, verso quella della comprensione e dell’in-clusione.

Certo l’ideale sarebbe stimolare queste persone a coltivareuna visione “laterale” della propria situazione e condizioneumana, immaginando, ad esempio, di contemplarla - in modoil più possibile neutro - dalla prospettiva di pensiero di unamosca posata sul muro della stanza che ci osserva.

Ciò aiuta a liberarsi di certi condizionamenti emotivi, da pre-giudizi e false rappresentazioni basate su luoghi comuni cheimpediscono od ostacolano la comprensione della realtà.

Quando poi le persone siano troppo coinvolte emotivamentee troppo chiuse in sé per essere sufficientemente obiettive elucide, i professionisti più coraggiosi potranno arrischiarsi diproporre una lettura alternativa di certi comportamenti dell’altra

parte, per cercare di offrire deipunti di vista diversi e favorirela comprensione degli avveni-menti.

Solo, però, se sapranno ac-cettare e mettere in conto il ri-schio di essere giudicati comeuna sorta di quinta colonna delnemico (ma lei è il legale mioo quello di mia moglie/mari-to?).

Poi la persona ragionevolecomprende

Che sotto o dietro i compor-tamenti aggressivi agiti dall’altraparte vi è quasi sempre unapaura o una sofferenza ugualealla propria.

Che la via della comprensio-ne e dell’inclusione è l’unica perimpostare la propria vita futura

su solidi valori di base.A quel punto si inizia ad agire (in base ad un proprio progetto)

e non solo a re-agire a stimoli altrui; si comincia a concentrarsisul presente e così si rifugge dalle trappole dei ri-sentimentilegati al passato per formare un proprio progetto di vita al-ternativo, che valorizzi quanto si è appreso dall’esperienza “ne-gativa” testè vissuta (che, ricevendo questo senso profondodi consapevolezza, diventa altamente “positiva”), un progettonon più fondato sulla sola considerazione dei propri bisogniindividuali ma che comprende anche altro e soprattutto l’al-tro.

Ciò significa rendersi consapevoli del ruolo insostituibiledell’altro genitore nella vita dei figli tutelandoli davvero inquanto li si lascia liberi senza servirsene per i propri disegni.

Non è facile? L’Amore può tutto.

Daniele

Mantenere i ponti nella separazione

13SANKALPA

M ille e Il ponte è un atto volontario, cercato, volutopoiché è costruito artificial-mente: è supportato dalla vo-

lontà di superare un ostacolo.Il ponte è simbolo di comunicazione

tra le persone, inoltre indica il movimen-to che rende possibile degli scambi, degliincontri.

Il ponte sulla Drina venne costruitoper ordine del pascià Mehmed Pasa eavrebbe dovuto collegare le terre piùlontane dell’impero ottomano con la ca-pitale Istanbul. I lavori iniziarono nelXVI secolo e questo racconta il roman-zo di Ivo Andric, che poi fa proseguirela storia fino alla prima guerra mondia-le.

Ma ritorniamo alla costruzione: nonfu semplice, richiese fatiche, dolori esangue e divenne l’emblema della cittàdi Visegrad, piccolo paese della Bosniaai confini con la Serbia.

Il quel luogo sperduto vivevano varieetnie: turchi, ebrei e cristiani. Soprattuttoquesti ultimi mal sopportavano i grandisacrifici che rappresentavano l’oppres-sione e ogni notte sabotavano i lavori dando adito poi a

feroci rappresaglie. Ma quelle pietre sapientemente collocatedivennero un simbolo, un testimo-ne muto di tanti accadimenti.

Luogo di ritrovo era la “porta”,parte centrale della costruzione. Lìsi fermavano abitualmente i varipersonaggi, come ci racconta An-dric. Il suo non è solo un drammacorale, ci sono anche quelli indivi-duali come nel caso della bella Fa-tima costretta dal padre a sposareun uomo che non amava e per que-sto si gettò nel fiume, annegando.

Sul ponte passarono per 300 anniintere generazioni insieme al fluiredella vita e la vicenda si concludecon l’assassinio di Francesco Fer-dinando. Proprio gli austriaci, al-l’inizio della prima guerramondiale, faranno saltare il ponte,simbolo di una possibile conviven-za di persone appartenenti a fedidiverse.

Romanzo storico di grande re-spiro, è un affresco che si avvale diuna sapiente scrittura che rende

molto interessante la lettura.

dall’associazione

di Paola Cremonese

Il ponte sulla Drina

bIOgRAFIA DI IVO ANDRIC

ènato In Bosnia nel 1892 ed è rimasto orfanodi padre a due anni. Tutti i suoi fratelli mo-rirono in giovane età di tubercolosi e la

madre fu costretta ad affidare il figlio alla sorel-la del marito.

Per questo visse prima a Visegrad e poi a Se-raievo. Iniziò presto a scrivere poesie e dal 1912con una borsa di studio frequentò l’università diZagabria e poi fu a Vienna dove seguì corsi distoria, filosofia e letteratura. Per problemi di sa-lute si trasferì a Cracovia e dal giugno 1914 al

marzo 1915 fu in prigione per motivi politici.Dopo il crollo dell’impero austroungarico si

trasferì a Belgrado e nel 1920 iniziò la carrierediplomatica presso il Vaticano.

Fu anche a Marsiglia, Ginevra e infine amba-sciatore a Berlino.

Nel 1941 si dimise e si ritirò dalla carriera di-plomatica rifiutando la pensione. Scrisse rac-conti, romanzi e nel 1961 ricevette il Nobel perla letteratura.

Morì a Belgrado nel 1975.

Il ponte sulla Drina - Ed. Mondadori pag.403 euro 10.00

help mission14

Da molti anni partecipiamo ai viag-gi umanitari in Bosnia organizzatidall’ ARPa (Associazione Regina

della Pace), di Pescate (Lc). Si tratta diun’associazione nata dall’appello lanciatodai microfoni di Radio Maria il 25 no-vembre 1991, 5 mesi dopo l’inizio dellaguerra nella ex Jugoslavia. A lanciare que-sto appello fu Alberto Bonifacio, attualepresidente dell’associazione stessa; la suaproposta era quella di organizzare unconvoglio per portare aiuti ai moti pro-fughi già presenti in Croazia. Da quelgiorno è stato poi un continuo susseguirsidi viaggi a cui hanno aderito sempre piùvolontari pronti ad affrontare disagi, pe-ricoli e costi. Le destinazioni dei viaggi,dalla Croazia si sono estese fino alla Bo-snia, verso Sarajevo e anche oltre Mostar,fino a raggiungere villaggi sperduti com-pletamente abbandonati a loro stessi.L’associazione, come indica il nome stes-

so, ha una forte ispirazione nella figurae nella spiritualità di Maria anche in virtùdella sua presenza a Medjugorje, cittàche è punto di riferimento imprescindi-bile di tutta l’opera di carità dell’ARPa.

Noi, insieme ai tanti volontari incontratiin questi viaggi, abbiamo avuto modo ditoccare con mano l’importanza e la sin-cerità di questa operazione di carità eumanità, facendo una forte esperienzadi vita e di fede, provando anche intenseesperienze di conversione.

Vengono portati beni di prima neces-sità, soprattutto alimenti, detersivi, pan-noloni, consegnandoli direttamente a chine ha realmente bisogno. E sono tanti:senza distinzione di etnia o di religione;infatti i destinatari sono musulmani, ser-bi-ortodossi, croati cattolici, ebrei,atei...cercando il più possibile di incon-trarli direttamente, di prenderci cura diloro creando vere relazioni di dialogo edi pace. Non si tratta di portare infattisolo cose materiali, ma anche speranzae messaggi di pace, raccogliendo propriol’invito della Madonna a essere portatoridi pace.

bOSNIA-HERZEgOVINA

In Brasile continua semprecon grande coinvolgimentola collaborazione sia a Bar-

reiros per il sostegno delle tanteattività al Centro “Francisco eClara” ed alcune necessità del-l’asilo, che a Palmares per ilcompletamento del piazzale edella strada di accesso al Santua-rio del Sagrado Coraçao de Je-sus.

In questi ultimi tem-pi l’asilo della par-rocchia diBarreiros sta vi-vendo dellegrandi difficoltàin quanto il Co-mune, che siera impegnatoper un appoggiocontinuo, ha inter-rotto i sostegni percui nella gestione si èstati costretti a diminuire le

ore di frequenza deibambini ed anche lefasce di età.

Nel Centro Fran-cisco e Clara bambi-

ni, giovani e adulti sialternano nelle varie

ore della giornata in varieattività, dal rinforzo scola-

stico ad attività manuali e ludiche,

da varie forme di aggre-gazione a formazioneper giovani e famiglie,oltre che per varie colla-borazioni con la scuolalì vicino.

A Palmares, il piazzaleantistante il Santuario,quasi interamente com-pletato, ha accolto, a finenovembre scorso, i tan-tissimi fedeli che hannopartecipato all’annuale“Romaria”, festivitàmolto sentita e parteci-pata che coinvolge tutti

i cittadini delle varie parrocchie della dio-cesi che si muovono in massa con ognimezzo. Il Santuario con la sua alta crocee la nuova statua del Sacro Cuore di Gesùche impreziosisce il luogo sta diventandoun vero e proprio Centro di Spiritualitàe di riferimento per i tanti cercatori dipace e di giustizia durante tutto l’arcodell’anno.

bRASILE

help mission15SANKALPA

L’attività nel lebbrosario di Cumura,dove vive e, soprattutto, lavora ilnostro amico Fra Memo, prose-

gue molto bene nell’opera di assistenzatanto a malati di lebbra, TBC e AIDS,quanto alle mamme che numerose par-toriscono nel reparto di maternità evi-tando - grazie ai farmaci anti-retrovirali- la trasmissione dell’HIV ai neonati. Unaltro grande impegno di questa missionefrancescana è rivolto poi alla scolarizza-zione.

Recentemente, in occasionedella presenza annuale aCumura dell’équipe chi-rurgica portoghese, c’èstata la visita del presi-dente della repubblicadi Guinea Bissau JoséMario Vaz con suamoglie, il vescovo au-siliare Lampra Cà, l’am-basciatore del Portogallo.

Dopo aver visitato illebbrosario e pranzato nelsalone insieme con i malati, di-pendenti e varie persone - in tutto circa160- sono seguiti i vari ringraziamenti.Quando è arrivato il suo turno ha elo-

giato il buonfunz iona-mento dellas t r u t t u r aospedaliera

di Cumura epoi, dopo es-

sersi informatodella spesa, ha pro-

messo che a partire dal1° gennaio 2015 per tutto il tempo

del suo mandato consegnerà la ciframensile di 2.280,00€ per garantire l’ali-

mentazione ai malati curati nella nostrastruttura.

Questa è stata una cosa di grandeportata perchè per la prima volta ungoverno della Guinea Bissau si è as-sunto l’impegno di contribuire men-silmente per aiutare la gestioneeconomica di una struttura gestita dallachiesa cattolica.

Con questa buona notizia, i frati e lesuore di Cumura ci augurano un buoncammino di Quaresima e una Buona Pa-squa.

Cumura

In Tanzania sosteniamo l’opera di BabaCamillo, il missionario trentino chenella parrocchia di Kipengere ha por-

tato acqua potabile, corrente elettrica,scuole; che con la collaborazione di suoree medici assiste malati di AIDS, parto-rienti e molti bambini orfani nel centronutrizionale. Dopo l’ischemia che l’hacolpito e numerose altre traversie, è riu-scito nell’agosto dello scorso anno a rea-lizzare il progetto per l’imbottigliamentoe la distribuzione di acqua minerale. Unuomo infaticabile, un amico a cui, con ilvostro aiuto, continuiamo a essere vici-ni.

Tanzania

AFRICA

16

help mission

In una lettera Selvyn Roy, fondatore e guida di Prema Vasam,ci racconta con orgoglio dei successi che continuano a ot-tenere gli ospiti di questa struttura a Chennay City. Un pre-

mio per il suo lavoro e la sua fede.

Cari amici,Tanto affetto e grazie da Prema Vasam!Vorremmo aggiornarvi più spesso ma, per qualche ragione, non possiamo

farlo in modo appropriato. Tentiamo di farlo più regolarmente scrivendodei nostri bambini, dal momento che siete tanto interessati al loro benessere;e per questo grazie.

Oggi è uno dei giorni più felici nella storia di Prema Vasam. Una dellenostre ospiti, Uma Maheshwari di 39 anni è stata premiata come “MiglioreImpiegata” per le persone diversamente abili nella celebrazione del “Giornomondiale del Disabile”. Uma è con noi da 8 anni e serve felicemente inostri bambini senza alcuna aspettativa. Si muove, con l’ausilio di unapposito supporto, andando in cucina a tagliare vegetali, venendo al di-partimento di fisioterapia per aiutare a dar da mangiare ai bambinidisabili; va nella stanza apposita per assistere ancora i disabili e fa tuttoquello che può per il loro benessere. È successo il 4 di novembre che laSignora Jasmine, del Distretto per il Welfare dei Differentemente Abili,sia venuta in visita ufficiale e abbia notato il contributo di Uma per Prema

Vasam. Lei ha raccomandato Uma per questoprestigioso premio e noi tutti siamo tanto fieri,ricordando le nobili parole di Madre Teresa diCalcutta:”Non tutti di noi possono fare grandicose ma noi possiamo fare piccole cose con grandeamore”. È veramente una buona lezione.

Qualche giorno fa abbiamo festeggiato il compleanno del nostro fisio-terapista, Mr. Kaviraja. Egli viene ogni giorno da Avadi e cura i nostribambini con professionalità. È particolarmente bravo nel farli camminaree fa del suo meglio per ottenere da loro un formidabile miglioramento. Inostri bambini sono molto fortunati ad avere un buon fisioterapista, eglimerita i nostri sinceri ringraziamenti ed apprezzamenti.

E di nuovo siamo benedetti con un altro bambino disabile, Ragul, dicirca 3 anni. Era stato abbandonato davanti alla stazione dei Bus aThiruvanmiyur e raccolto dalla Child Line per la riabilitazione. Dalmomento che abbiamo il raro privilegio di “ Fit Institution”, è stato portatoda noi. È un bambino costretto a letto, colpito da paralisi cerebrale enecessita del massimo affetto e di tanta attenzione.

I nostri bambini che frequentano la scuola sono pronti per gli esami dimetà anno e hanno bisogno della vostra benedizione e dei vostri auguri.

Con molto affetto,Selvyn.

Prema VasamINDIA

Dal Tibet, dall’associazione SOS Tibet, India,Nepal, ci ricordano:

Speriamo che al di là di tutte le parole emerga spontaneala forza dei fatti, quando in paesi devastati come il Tibet, opoveri come l’India, alcune famiglie possono contare su di noi,quando in situazioni di miseria e disperazione un padre ouna madre riesce ad avere un piccolo lavoro che gli assicurail minimo indispensabile per dar da mangiare ai propri figli,quando ricevono un sostegno e riescono a farli studiare, quandoincontrano una mano amica, quando nei loro occhi riemergeimprovvisa la gioia di vivere, allora anche noi ritroviamosenso e significato in questo lungo e faticoso ma meravigliosocammino. Grazie per aiutarci ad aiutare.

Eugenia e Gendun

Food For Life Negli ultimi aggiornamenti dall’associazione Food For Life Vrin-

davana, ci raccontano la distribuzione dei consueti doni di ca-podanno ai tanti bambini da loro seguiti. Con questi doni, oltre

che far vivere un momento di allegria, è anche l’occasione per rinnovareil materiale scolastico ed un po’ di abbigliamento.

Carissimi amici, molti di voi si saranno chiesti come è andata la distribuzionedei pacchi dono… È stata fatta un po’ in ritardo perché le scuole erano chiuse peril troppo freddo ma ci siamo riusciti anche quest’anno grazie al prezioso aiuto daparte di molti di voi, e abbiamo distribuito 5800 pacchi!

Per la prima volta, ho partecipato personalmente alla distribuzione in alcune scuolerurali. Chiamarle scuole è un eufemismo… in alcun casi non c’erano ne’ banchi, ne’muri… ma ho visto veramente tanta gioia e tanti sorrisi da parte dei bambininell’aprire il loro sacchetto.

Vi mando foto ricordo.

Vi mando anche il link del nostro calendario 2015:http://fflvrindavan.org/downloads/Graphics/Calendar%202015/Calen-

dar%202015%20LQ.pdf

Quest’anno è veramente speciale, ispirato ai successi delle ragazze della nostrascuola, queste sei ragazze rappresentano le 1200 studentesse della scuola e il loro po-tenziale.

Un grosso grazie.Nikunja (Nicoletta) e Gopala (Giuliana)

PS: Potete verificare gli aggiornamenti sul sito www.fflvrindavan.org

SOS TIbET INDIA NEPAL

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da ca’ delle ore

IL CAMMINO NEL DIALOgO

Pensieri...a cura della Comunità Ca’ Delle Ore

IIl dialogo è il metodo migliore per co-struire un ponte con noi stessi e congli altri. L’ambizione e la volontà di

potere impedisco agli uomini di essereliberi.

M. Damiano ho una difficoltà mi po-tresti aiutare?

D. Certo Matteo, nella mia vita ho ca-pito che i miei problemi li ho sempre po-tuti risolvere grazieall’ aiuto degli altri.

M. Potresti dareun significato diversoalla parola difficoltà?

D. Se vogliamo da-re un significato po-sitivo potremmotrasformarla in fina-lità.

M. Quindi tu pensiche il metodo mi-gliore per superare ipropri obbiettivi sia attraverso la condi-visione?

D. Si proprio cosi,io penso che graziea persone che hanno passioni e intenzioniin comune o più semplicemente graziea persone che sanno ascoltare ed acco-gliere si possano condividere ed accre-scere le proprie esperienze di vita.

M. Anch’ io ho sempre pensato cheper essere veramente felici bisogna en-trare in un sogno condiviso con altri.

D. Ma non è facile trovare persone chela pensino allo stesso modo.

M. Io penso che per poterlo fare servela virtù fondamentale che unisce le per-sone: l’umiltà!

D. Scusami ma ho un limite, non socosa significhi la parola umiltà.

M. Ti sei appena risposto.D. Cosa vuoi dire?M. È la virtù per la quale l’ uomo ri-

conosce i propri limiti, liberandosi dallasupremazia e dalla superbia.

D. Non capisco potresti spiegarmelo

con parole più semplici?M. Se io adesso ti dicessi che non ho

tempo o voglia che cosa sentiresti?D. Sentirei distacco.M. Che cosa penseresti?D. Potrei avere molte idee e frainten-

dere il tuo comportamento, potrei pen-sare che tu non accetti il fatto che io nonsia a conoscenza del significato e quindi,

che io sia diversoda te.

M. Quindi po-tresti pensare cheio ti disprezzi?

D. Potrei pensa-re che tu ti sentisuperiore.

M. Anche inamore a volte suc-cede questo.

D. Dici che an-che in amore c’è

una gerarchia?M. Purtroppo penso sia così. Ti ricordi

il detto vince chi fugge?M. Tu pensi che noi siamo simili agli

animali?D. Penso che a volte gli animali siano

migliori di noi.M. E come è possibile? Come fanno?D. Tu sai che se un cucciolo si mette

sulla schiena e presenta la pancia ad uncane grande è come se presentasse uninvito all’ attacco rivolto al cane grande,ma ha proprio l’effetto contrario: fermal’ attacco del cane grande. È una speciedi uso degli opposti. (Verso un’ecologiadella mente. Gregory Bateson)

M. Anche le persone riescono a farequesto.

D. Si ma sono poche, mentre ci sonodegli animali che ci riescono sempre.

M. E gli uomini come fanno?D. Innanzitutto penso, che come per

gli animali contino di più i modi che icontenuti.

M. Lo penso anch’io, ma se è una per-sona ad attaccare il miglior modo per ri-spondere è l’ indifferenza?

D. Io penso che sia l’ironia.M. Quindi possiamo dedurre che ad

un comportamento superbo o aggressivosi possa rispondere con umiltà, mitezzao ancora meglio con ironia.

M. Secondo te cosa ci rende diversidagli animali?

D. La possibilità di evitare sempre iconflitti.

M. E come si fa?D. Usando continuamente la coscienza,

e non gli istinti, trasformando i valori ele virtù nel nostro istinto di autoconser-vazione.

M. Sono d’ accordo con te, Aristotelediceva che l’ uomo è un animale sociale,quindi penso che il nostro valore aggiun-to è la relazione, l’incontro con l’ altro ecome accogliamo questo incontro.

D. Perché ciò diventi naturale serve ladisciplina, dobbiamo avere delle regolea cui costantemente ci affidiamo per do-minare gli istinti, gli impulsi e i desideri.

M. Tutto ciò avviene se trasformiamoi principi in norma di vita. Se superiamol’ egoismo individuale anche il bene uma-no e la sua perfezione potrà venire per-seguita.

D. Si, ma per fare questo serve sforzo,sacrificio e costanza facendo in modoche diventi del tutto naturale.

M. Grazie Damiano per questo mo-mento di condivisione, perché ho capitoche è la relazione e il dialogo tra diversitàche da un senso alla vita.

D. Grazie a te. Penso che gli umili sonoquelli che qualunque sia il loro saperesanno di non sapere , e proprio per que-sto sanno accogliere riconoscenti ognidono di verità che la vita ha da offrirgli.

Solo grazie all’ aiuto degli altri sipuò diventare uomini completi.

Matteo C. Damiano R.

da ca’ delle ore18

La curiosità è più forte di noi, non si riesce a col-marla se non è soddisfatta la voglia di scoprire.Fossimo noi sulla cima di un gran canyon e sotto

le centinaia di metri, un fiume che scorre per chilo-metri, con le sue cascate e le sue rapide, guardassimodavanti a noi, una cosa all’apparenza impossibile è ela-borata inconsapevolmente nella nostra testa, l’imma-ginabile attraversata dall’altra parte. Attraversare ilfiume non sempre è possibile se non abbiamo e nonconosciamo i mezzi, rischiose e impraticabili sono ladiscesa quanto la scalata.

Si cerca una qualsiasi soluzione che crei un pontetra noi e l’altra sponda, qualsiasi essa sia.

Attraversare il vuoto è fare i conti con la paura. Il coraggio è il rischio, accettare di guardare dove si

vuole andare ma di non conoscere ciò che si dovrà af-frontare. La continua evoluzione dell’animo dell’uomoè il vero ponte. Ponte non vuol dire altro che vivere,costruire ponti è creare vita, è creare amore, è pensareal prossimo tuo come tuo fratello.

L’amore come l’odio sono sentimenti che vivono inparallelo dall’inizio del tempo, il prevalere dell’uno odell’altro può rendere il mondo, una famiglia e una fa-miglia, un’oasi di serenità, oppure un deserto di guerree di muri.

Lo capì Caino quando si sporcò le mani con il sanguedi Abele, lo sanno bene i Caino di oggi che massacranogli Abele indifesi, perfino quelli che hanno il loro stessosangue. Sappiamo che quando il rapporto fraterno sirovina apre la strada a esperienze dolorose di conflitto,di tradimento e di odio. La fratellanza è una cosa gran-de se pensiamo che entrambi i fratelli hanno abitatoil grembo della stessa madre!

Portare speranza, pazienza e affetto per esempio allapropria famiglia, magari con un fratellino o una sorel-lina più debole magari portatrici di handicap vuol direavere un comportamento mite e paziente, virtù per laquale l’uomo riconosce i propri limiti venendo menoalla superbia alla supremazia e all’orgoglio; ecco il faroche fa risplendere il valore della fraternità.

Il legame di fraternità che si forma in famiglia tra ifigli e tra genitori e figli, se avviene in un clima di edu-cazione all’apertura agli altri è una grande scuola dilibertà e di pace; s’impara, infatti, la convivenza umana,come si deve convivere in società forse non sempre nesiamo consapevoli, ma è proprio la famiglia che intro-duce la fraternità nel mondo.

La storia ha mostrato a sufficienza del resto che anchela libertà e l’uguaglianza senza la fraternità possonoriempirci d’individualismo e conformismo. Oggi piùche mai è necessario riportare la fraternità al centrodella nostra società tecnocratica e burocratica e qui ilbalsamo è dato dalla fraternità cristiana, quella che sa

voler bene allo sconosciuto come a suo fratello soprat-tutto se lo sconosciuto è povero e invisibile.

I più piccoli, i più deboli, i più poveri devono inte-nerirci, hanno diritto a prenderci l’anima e il cuore!

Sì, essi sono i nostri fratelli e come tali dobbiamoamarli e trattarli. Sono convinto che la situazione fuoridi noi, nel mondo, sia un riflesso della situazione in-teriore dell’essere umano in tutti noi. Ecco allora la ri-sposta al perché della guerra, si dovrebbe defocalizzareper un istante dal problema dei conflitti bellici per fo-calizzarsi sulla causa che ne è all’origine.

Dal fatto che l’uomo, nel corso della vita è più spessoesposto alle dinamiche del conflitto che a quelle dellapace. Il principio mors tua, vita mea regna ovunque,nello sport, nella politica, nelle relazioni sociali, nelbusiness, nel lavoro, al semaforo, in famiglia, nelle as-semblee condominiali, allo stadio, e la cura e diffusionedell’etica sono spesso relegate a mondi, dove regnanola morale e il dogmatismo. Nel mondo laico oggi lareligione da sola non è più adeguata quale base perl’etica.

Dovremmo trovare un approccio etico alla mancanzadi valori che possa essere accettabile sia da chi ha fedesia da chi non ne ha.

Valori interiori da trasmettere attraverso l’istruzione,in tutti i campi della nostra vita c’è bisogno di tornarea un sistema di valori condiviso, insegnato e poi incar-nato nella società civile, mentre aspettiamo tutti chela politica si adegui e la religione si rinnovi, penso allaresponsabilità che devo prendermi come individuocon tutti gli abiti che indosso, figlio, fratello, cittadinoe soprattutto uomo, perché credo fortemente che ilvero ponte ,sia nell’essere il cambiamento che vogliovedere nel mondo.

Respirare la Sua aria,Parlare per lasciar scorrere i suoni,

Essere per raccoglierne i frutti!Oh meraviglie di cose, ognuna con la sua luce,

con la propria spiritualità!Io canto l’alba con note fino al tramonto

e mi ascolto nella luce della luna.Tremo alla saggezza della Terra!

Io son qui, son vivo e posso contribuirecon un mio verso, perché …Lui ci ha allargato la vita,

mettendoci dentro la libertà!Ci ha allargato il cuore,

mettendoci dentro tutto il suo amore!Ci ha allargato la testa,

mettendoci dentro l’infinito!

Mattia S.T

SIMbOLO DI UNIONE

da ca’ delle ore19SANKALPA

Quante volte hai trovato nodi inun cavo, negli auricolari,nelferro da stiro, nelle prolun-

ghe... E che fastidio ti davano, ti danno,ti daranno. Quante volte sentivi, e sen-tirai ancora un nodo alla gola, quandopensi alle persone a te care,quanto timancano,quando ci parli, ci litighi,quando soffri perche le fai soffrire.Quante volte hai detto, dici, dirai “que-sta me la lego al dito!” ad un tuo caro,un tuo amico, collega, compagno divita, di percorso. La tua vita come lamia è piena di nodi!!! Ci sono nodi dif-ferenti, alcuni facili da sciogliere, altriinvece che richiedono più tempo,piùenergie. Nella mia vita di nodi da sbro-gliare ne ho trovati parecchi,altri inveceme li sono creati e ben annodati! Acausa di questi ultimi infatti, da un paiodi mesi mi trovo qui a Ca delle Orecome tossicodipendente. Ho 34 annia luglio;34 anni!!!di cui la metà bruciatiper colpa dell’alcool e delle droghe;so-stanze che all’inizio ti sembrano aiutarea superare la timidezza,a renderti più

fico e ad avere più ragazze o più ami-ci,a essere più felice, a risolvere i pro-blemi o a dimenticarli, ma poi coltempo e l’abuso i problemi restano,gliamici e le ragazze ti abbandonano,latimidezza si trasforma in rabbia, fru-strazione,delusione, la felicità in de-pressione. Questi sono nodi,alcuni deinodi che mi sono creato, passando gliultimi 16 anni a drogarmi, distrugger-mi ,sballarmi ogni giorno!!! (ogni santogiorno!!!).

Ora che sono qui in comunità sentoper la prima volta di essere nel postogiusto e nelle mani giuste, ora vedoche per me c’è ancora speranza,giornodopo giorno cresce della forza fisica,psichica e spirituale, cresce in me lavera voglia di vivere! È unarinascita(SANKALPA), è un cammi-no,un cammino dove col tempo im-paro e comprendo e dove mi aiutanoa dipanare la matassa della mia vita.Prima di entrare qui ci sono dei col-loqui conoscitivi durante i quali pre-senti tutti i nodi della tua vita e se il

programma t’ispira fiducia, ti viene of-ferta la possibilità di provare a scio-glierli, dandoti del tempo e fidandotitu dell’equipe e del gruppo. Il mio au-gurio è che queste mie parole possanofunzionare da ponte per un’altra per-sona bisognosa come me,io il pontel’avevo distrutto poi destino ha volutoche al ser. d. prendessi in mano il gior-nalino SANKALPA ed eccomi qui!Ora posso dire che lo sto ricostruendoun ponte e ben robusto, relazionan-domi con me stesso e con gli altri. Vi-sto che questa è la prima uscita 2015della rivista, colgo l’occasione di au-gurare a tutti i lettori un Buon 2015;che sia un anno di rinascita,rinnova-mento,di cambiamento vero della pro-pria VITA, una VITA finalmenteIntegra, Sincera, Semplice; una VITAtutta da Vivere Lucidamente, così dapoter assaporare per la prima volta lavera gioia di vivere, giorno dopo gior-no in pace con te stesso e così con glialtri. BUON ANNO!

Christian P.

I NODI

da ca’ delle ore20

S in dalle sue prime costruzioni il “Ponte” è stato sim-bolo di collegamento, di unione tra due luoghi separatida un fiume o da un avvallamento. Creare un ponte

significa perciò permettere una via di comunicazione làdove non si può arrivare in altro modo se non tramite esso.Questo vale sia per la geografia di un territorio, sia per irapporti umani. Creare un ponte con il prossimo significaproprio permettersi di entrare in comunicazione con l’altro,senza giudizio alcuno, ignorando le difficoltà o le diversitàche si possono presentare tra noi stessi e l’altra persona …non c’è fiume troppo esteso o avvallamento talmente pro-fondo che non possa essere superato, e i mezzi che abbiamoper costruire tali ponti sono i più semplici, un abbraccio,una carezza, o solamente il tendere la mano in forma diaiuto …

La condizione perché possa venirsi a creare un ponte du-raturo, sia esso tra due luoghi, piuttosto che tra individui,piuttosto che tra il nostro spirito e il trascendente, è l’ umiltà.Bisogna essere umili se vogliamo che i nostri ponti sianoduraturi, solidi, la storia ci insegna che qualsiasi ponte co-struito con scopi puramente egocentrici, per arricchirsi aidanni di chi, o cosa si incontra dall’ altra parte, sono statiabbattuti, bruciati, o fatti esplodere. Questo accade tantoper i ponti in calcestruzzo, ferro o legno, tanto per quelliche creiamo noi con il prossimo o con l’aldilà, se siamospinti dal nostro ego e non dall’altruismo, dalla voglia dicreare il “Nuovo”, con un atteggiamento di umiltà e acco-glienza, anche questi ponti salteranno in aria, ma il danno

non sarà strutturale come nel primo caso, ma pagheremonoi in prima persona, pagherà la nostra coscienza.

Noi siamo già dei ponti in questa vita, in questo mondoesiste “Il cielo, la terra e ciò che sta nel mezzo” (dal ro-manzo di Marlo Morgan), cioè noi, noi siamo la parte cen-trale, per cui siamo noi il “Ponte” che fa da tramite tra ciòche è in terra, per cui quello che conosciamo, e ciò che èin cielo, per cui quello che non conosciamo ancora, attra-verso di noi passa il mandato che abbiamo ricevuto dalcielo, e lo elaboriamo qui in terra, per poi rimandarlo, ungiorno, di nuovo in cielo … e, questo mandato o se vo-gliamo lo scopo della nostra vita terrena, di qualsiasi cosasi possa trattare, e, seppur diverso per ognuno di noi, hauna regola o un comandamento comune: agire SEMPREcon Umiltà.

Nella rappresentazione de “I dieci Comandamenti”, Be-nigni ha fatto una considerazione che mi ha toccato e chevolevo annotare in questo articolo; ha unito la prima partedel Primo Comandamento, con l’ultima parte del Decimo,in pratica ha preso le parole “Io Sono” dal primo e “Il Pros-simo Tuo” dall’ ultimo, ne risulta che Dio manda un veroe proprio messaggio con l’apertura e la chiusura della Tavoladei Comandamenti, cioè ha detto: “IO SONO / IL PROS-SIMO TUO”. Allora tutto assume un vero e proprio si-gnificato, amare il prossimo tuo come te stesso, servirlocon umiltà, cercarlo creando Ponti, significherebbe servire,cercare e seguire proprio Lui.

Simone M.

Ponti e umiltà

da ca’ delle ore21SANKALPA

Nel mese di Settembre è stata invitata in comunità lagiornalista vicentina Paola Cremonese. Di recenteha scritto un libro-intervista che racconta con sensibilità

non comune un dialogo costruito assieme a Laura Fiorentin,una ragazza di un paesino nel vicentino, che tocca in profonditàtemi della vita e della fede. L’incontro che ha avuto con noiutenti verteva appunto su questo suo ultimo lavoro a due teste,dal titolo: Pensieri nascosti.

L’energica personalità della scrittrice è senz’altro ciò che piùemerge. L’empatia e la franchezza di una donna matura, in-telligente e al contempo disincantata si accompagna e si con-fonde con la dolcezza e la straordinaria determinazione di unaragazza bloccata su di una sedia a rotelle per una grave malattia,dando origine ad un flusso di pensiero che prende forma didialogo-incontro tra personalità estremamente diverse mastraordinariamente complementari.

Dopo aver registrato l’incontro abbiamo selezionato ed ela-borato quelle parti che ci sono sembrate più significative.

Cosa l’ha portata a intervistare Laura?Paola. In ottobre dello scorso anno, Padre Ireneo mi ha

chiamata e mi ha detto:” Paola non fare la tua pagina sul giornaleSankalpa perché presentiamo il libro di Laura.” Aveva scrittoil libro dal titolo “l’Arcobaleno” mi sembra e io in un motod’incoscienza ho detto: “beh sai cosa si potrebbe fare allora?Io potrei farle un’intervista”. Lì per lì percepii un attimo diesitazione, di silenzio, e subito dopo mi disse: “Sarebbe ma-gnifico”. A quel punto gli risposi :”vabbé allora! visto che tula conosci organizza”. Ragazzi, dopo che gli ho detto organizzaper venti giorni le ho pensate tutte! Io per 20 anni ho intervistato

mezza Italia: padre Turoldo, Moravia, Uto Ughi, ecc... Conloro parlavo di quello che avevano scritto: della musica se eranomusicisti come Uto Ughi .Trattare il tema della fede con Lauraè stato per me impegnativo e mi sono detta:” Di cosa parlocon questa? Non legge, non guarda la televisione, non mangia,”. Per di più questo metodo, la scrittura facilitata…. E allora te-lefonavo a Ireneo e dicevo: “Ho tanti pensieri, tante incertezze”.Finché lui m’ha detto: “beh guarda se non te la senti, se haitutti questi timori, fai a meno non è obbligatorio”. Però direa me “non è obbligatorio”, è come dire se non ti senti, se nonsei all’altezza. Allora ho pensato “Io la faccio, però non voglioche la facilitatrice sia la mamma”. Avevo l’impressione che cipotesse essere una telepatia e che non sarebbero stati i pensieridella figlia ma magari sarebbero stati quelli della madre.

Quindi lei non credeva molto a questa scrittura facili-tata?

Paola. Non l’avevo mai vista e ne sono rimasta stupita. Èstata una ragazza esperta che ha sostituito la madre e ho capitoche era Laura che rispondeva veramente. Il lavoro è nato percheio le ho mandato una mail e lei mi ha risposto: “sono moltopensante di cose future con te”. Più invito di cosi non ci potevaessere, ho capito che era proprio lei che mi chiamava. E cosiho fatto questo lavoro, nonostante sia difficile comunicare.Lei non legge ,ma fotografa quello che vede e poi elabora.Dopo la seconda volta che andavo da lei, ho telefonato a questadegna persona, Padre Ireneo, e gli ho detto: “Ireneo ho bisognodi aiuto! Lui dopo una pausa e una profonda risata mi ha ri-sposto: “Non ci penso nemmeno”. Al che, io gli ho detto: “Bell’amico”. Non capivo perché non mi volesse aiutare. Lui

Una speciale intervista a “Ca’ delle ore”

da ca’ delle ore22

mi dice:”È un rapporto tra te e Laura, fine. Io non voglio en-trarci, ciao”. Così è conclusa la telefonata. Dato che io sonouna ruminante, mastico e rimastico prima di digerire almeno4 volte, alla fine ho pensato: “ Dato per certo che mi vuolbene e che ha fiducia, perché l’ha fatto? È una prova di fiduciagrandissima che lui dica non voglio metterci naso, è una cosatra te e lei”. E lì effettivamente non mi ha guidato lui, ma qual-cun altro perché poi la sera stessa io sono scesa in una stanzadove ho tutti i libri di religione (nel mio ordine mentale quellidi religione li ho tutti in un posto) mi sono seduta per terra eho iniziato a selezionare: “Questo è utile, questo anche, e hocapito quale doveva essere il metodo di conversazione, cioèandare per argomento. Da lì non ho più avuto problemi oquasi. In aprile, non dormivo più, mi svegliavo di notte condomande in testa su dove potevo trovare la determinata ri-sposta. E allora, a quel punto ho detto basta finiamola qua!Anche Laura era molto stanca. Per lei queste domande chemano a mano crescevano come difficoltà,sono state uno sti-molo enorme.

Laura parla di un avvicinarsi a Dionella sofferenza, trova casuale l’incon-tro con Laura rispetto alla sua storiapersonale?

Paola. Guardate potrei essere vostranonna come età! Sono da una parte nerae dall’altra bianca, non sono mai grigianon so perché, quindi non posso dire diessere fatalista perché per tutta la vita holavorato per fare quello che mi interes-sava fare e quindi in questo non c’è nien-te di fatalista. Il fatalista sta lì e dice ècapitato, io invece no. Però ci sono unaserie di eventi che saranno un caso, ionon lo so, tipo l’intervista che, nono-stante sia stata rimandata e rimandata,l’ho fatta il giorno prima del mio com-pleanno, quindi l’ho considerata un re-galo. Non solo, era il primo inverno incui ero vedova ed è una cosa davverobruttissima ve lo posso assicurare, nontanto per la vedovanza, perché unodice dopo 50 anni tiro il fiato! Non ècosì, ve lo posso assicurare, è la soli-tudine che è brutta. Questo intervistaha riempito di interesse tutto il mioprimo inverno in cui sono stata sola.Sarà stato un caso? Può darsi. Io ho semprecercato di determinare la mia vita, poi ho visto che mi sonoaccadute certe cose e sono arrivate al momento giusto! Quindinon saprei rispondere se è stato un caso, ma comunque uncaso fortunato.

Cosa pensava della religione prima, e come la pensaadesso? È cambiato qualcosa nel suo modo di vedere lareligione?

Paola. Padre Ireneo per avvalorare la cosa, invece di dire chesono laica dice lei è atea, agnostica, e non so che cosa, insommaci manca poco che sia satana! Invece non sono satana nonsono atea, anzi penso esistano davvero pochi atei, io credo!

Però adesso per piacere non chiedetemi in cosa credo percheavrei davvero serie difficoltà a rispondere. Invidio moltissimola fede di Laura. Per lei è di grandissimo aiuto e stare mesivicino a una persona che ha questa fede assoluta ti sbilanciaun po’. Laura era moltissimo arrabbiata con Gesù e con Dioper la sua malattia. Poi, il suo pensiero è cambiato. Il suo pen-siero nascosto è questo suo sentire: sente una luce e parla conGesù. Evidentemente qualcosa è successo per avere giratotutta la sofferenza in amore per Gesù ed è riuscita a cambiareil suo stato in qualcosa di incredibile. L’incontro con lei nonmi ha cambiato religiosamente perché sono un po’” bastarda”e vado avanti per la mia strada con dubbi e ponendo spessodomande a Padre Ireneo. Lui semplifica tutto, per lui è unacosa facile perché ha la forza della fede. Non do nessun meritoal P. Ireneo se adesso ha un po’ di fede , piuttosto il merito loattribuisco a Laura.

Qualche giorno fa dialogavo con il Padre. Lui parlava dellabellezza di non vivere in un mondo agnostico, perché diabolicoe come sia importante nella vita essere eretici. Quando mi ha

detto che secondo lui sono un’eretica, sono andataalla ricerca del significato pro-fondo di questa parola sul vo-cabolario. In quel momentoero al telefono e un attimo do-po simultaneamente stavoguardando sul tablet. Ho tro-vato alcuni pensieri di DonCiotti e ho compreso che l’ere-sia non è un rifiuto, ma una ri-cerca e ho pensato:” Orco, cisono !Ci sono proprio tutta daicapelli ai piedi!”.

Interviene Padre Ireneo.Laura è una persona che ammi-ro, anche lei continua a cercaree sul libro scrive: “ Pensante dimolte cose su Gesù,sulla vita”

Paola. Io Laura la invidio, luil’ammira. La ricerca di Laura nonscalfisce la sua fede, mentre lamia a volte è maggiore altre mi-nore, senza raggiungere mai lapienezza.

Sottolinea Padre Ireneo. Perlei la fede è la ragione di vita, è ilsuo punto di riferimento.

Alla fine abbiamo condiviso conlei e il Padre un pensiero sul con-

cetto di libertà. Per lei è una scelta tra il bene e il male e ag-giunge:” Siamo fatti sia dell’uno che dell’altro e la libertà discelta è la nostra forza e fregatura”.

Il padre ha accennato alla parabola del figliol prodigo e haspiegato in sintesi che la rivelazione potente è il perdono, lamisericordia verso quella persona che ha scelto il male. È statofatto un accenno ad un discorso di Papa Bergoglio, in cui diceche anche se non c’è fede l’importante è che ci sia coscienza.Questa ti rende consapevole del bene e del male.

Matteo C. e Mattia C.

23SANKALPA

con il mondo

Umiltà verità curiositàdi Frate Angelo Visentin ofm

C i sono parole che sparisconodalla circolazione o che perdonoil loro significato. Tra queste

possiamo mettere anche UMILTA’.Qualcuno insegnava che umiltà volevadire essere falsi, farsi vedere ignoranti,privi di buone qualità; più si disprez-zava se stessi più si credeva di essereumili. A dire il vero questo tipo diumiltà non mi è mai andato giù. Noncondivido che essere umili voglia direessere falsi. C’era chi faceva le proveper apparire umile. Piegava la testa eil collo, abbassava gli occhi, faceva lafaccia da stupido e dentro di se pen-sava, magari guardandosi allo specchio:come sono umile. Non si rendeva con-to che così facendo ingannava se stes-so, le persone e non era possibile unavera conversazione … E se qualchealtro “meno umile” ma più vero-sin-cero intendeva semplicemente imba-stire una conversazione, ingannato,doveva assistere ad una sorpresa:l’umiltà di quel falso-umile esplodevafuribonda come un vulcano …

Ecco perché per costruire ponti, il ter-reno ove poggiare il pilastro che sostieneil ponte deve essere vero e non ipocrita.Si rischia di costruire ponti pericolosi,ingannevoli, disastrosi. Invece di creare

dialogo e conversazione, accadono ten-sioni . . .

Umiltà è verità. Se io credo di essereuna creatura di Dio, dico di essere unacreatura di Dio. Se sono capace di dipin-gere, dico che sono capace di dipingere.Se so usare bene il computer, dico cheso usare il computer. Se ho dubbi che mitormentano, dico che mi nutro di dubbie cerco amici … Se sono in fase di “amo-re”, dico che sto vivendo un momentostraordinario … Se sono nella sofferenza,dico che sto soffrendo e cerco consola-zione. Se le belle qualità di altre personefanno nascere in me invidia, dico che hoinvidia ma però apprezzo. Se non sonoabile a fare qualcosa, dico che non sonoabile anche se il desiderio ci sarebbe …Non mi vergogno di essere quello chesono, anche perché le apparenze ingan-nano. E la verità non è ciò che apparema ciò che la persona è dentro: ciò cheappare è un “segno” di un mondo per-sonale interiore, inesplorato e meravi-glioso … guai vedere solo il segno e nonciò che esso indica!

Può essere che umiltà significhi anchecuriosità. Io ho le mie convinzioni e imiei dubbi e sono curioso di confron-tarmi con le convinzioni e i dubbi dell’Altra Persona. Creo così un ponte, una

comunicazione che mi permette di ve-dere panorami nuovi. Cosa accade se io,abituato a vedere il panorama dalla miaparte, costruisco un ponte e guardo ilpanorama dall’altra parte? Non dirò: quel-lo ha torto o quello ha ragione. Ma la miavisione si arricchisce della visione dell’al-tro. Non si parla più di torto o ragionema di un forte invito reciproco a conti-nuare il dialogo. Mi sono accorto che“avere ragione” non sempre significaavere la verità, ma semplicemente avereusato parole che tecnicamente fanno vin-cere … Ma il nostro incontro tra personenon è tecnica, ha di mira la scoperta dellaricchezza di due mondi che appartengo-no a due persone che umilmente dialo-gano.

Si può rimanere ingannati? Può acca-dere. Il Vangelo esorta ad essere semplicicome colombe e astuti come i serpenti… Certamente non dobbiamo essere nécolombe né serpenti. Non si può esserecosì “umili” da fingere di non vedere lasolidità del terreno dove appoggiare learcate del ponte. Un rischio ci può esseresempre.

C’è un Santo che la pietà popolaredichiara protettore di chi costruisceponti: san Giovanni Nepomuceno… possiamo invocarlo!

D i recente ho riletto con passione “Il Mercante diVenezia”, opera teatrale di W. Shakespeare: sinarra di Bassanio che per poter conquistare la

bella Porzia chiede un aiuto in denaro all’amico Antonio,ricco mercante cristiano di Venezia il quale, a sua volta,chiede un prestito a Shylock, usuraio ebreo, con la pro-messa di restituirgli tutto nonappena le sue navi faranno ri-torno in quella città. Shylockgli concede il prestito ma auna condizione: in caso di ina-dempimento Antonio dovràdargli una libbra (circa mezzochilo) della sua carne, l’equi-valente del suo cuore.

Come spesso accade nelleopere di Shakespeare, prota-gonista è la vendetta. CosìShylock, riferendosi ad Anto-nio, nel suo famoso monolo-go: “Mi ha disprezzato ederiso un milione di volte; hariso delle mie perdite, ha di-sprezzato i miei guadagni ederiso la mia nazione, resofreddi i miei amici, infuocatoi miei nemici. E qual e il mo-tivo? Sono un ebreo. Ma unebreo non ha occhi? Un ebreonon ha mani, organi, misure,sensi, affetti, passioni, nonmangia lo stesso cibo, nonviene ferito con le stesse armi,non e soggetto agli stessi di-sastri, non guarisce allo stessomodo, non sente caldo o fred-do nelle stesse estati e inverniallo stesso modo di un cristia-no? […] E se ci fate un torto,non ci vendicheremo? Se noi siamo come voi in tuttovi assomiglieremo anche in questo. Se un ebreo fa untorto ad un cristiano, qual e la sua umiltà? Vendetta. Lacattiveria che tu mi insegni io la mettero in pratica; esara duro ma eseguiro meglio le vostre istruzioni” [III,1].

Come Shakespeare ben illustra, spesso negli uomini il

bene e il male non si distinguono nettamente; e anchechi sceglie il bene può trovarsi coinvolto, intrappolato,in giochi di male da cui è impresa ardua svincolarsi. Cosìanche quel sentire di Shylock che ci appare tanto mal-vagio in realtà forse non è proprio estraneo a molti dinoi: quando nel confronto con l’altro cerchiamo sempre

di avere la meglio anteponen-do noi stessi, il nostro orgo-glio, all’altro, quando abbiamola presunzione di avere la Ve-rità in mano sempre e comun-que. Biechi giochi di vendettasono oggi sotto gli occhi ditutti: a malvagità si rispondecon altrettanta malvagità inuna catena di male che nonporta a nulla se non a un cre-scendo di sofferenze e di do-lore. Ma anche nella vita ditutti i giorni quanti piccoli ograndi “fastidi” ci creano glialtri, quante porte chiuse, ri-cevute o riservate a chi nonci garba, o a chi semplicemen-te scombussola i nostri piani.Facile costruire ponti con chici piace, con chi la pensa co-me noi, con chi ci ammira eci sostiene.

La società attuale sembra ri-cordarcelo continuamente: citroviamo sempre più fianco afianco con persone che nonabbiamo scelto, provenienti damondi che non ci appartengo-no. Ed è inutile negarcelo, infondo siamo un po’ tutti raz-zisti, soffriamo tutti di una cer-ta innata e istintiva se non

proprio repulsione, quantomeno condizione di disagio difronte a chi non è esattamente come noi, “il razzismo èuna specie di colesterolo dell’anima: si può solo cercaredi tenerlo sotto controllo” [M. Presta, “L’allegria degli an-goli”]. Spesso non ci rendiamo conto, invece, che sonoproprio quelle diversità a costituire per noi una preziosacartina di tornasole evidenziando anche le nostre ombre.

con il mondo24

“Non è tutto oro quel che luccica”di Susanna Facci

25SANKALPA

Certoci vuoleUMILTÀ perriconoscerlo, perchiederci perché questa oquell’altra persona ci crea quel pro-blema, cosa dipende da noi. Spesso, infatti, ilpunto è proprio la nostra identità che nel profondo nonè ancora ben definita e che proprio tali diversità rimet-tono in discussione aprendo così nuove paure. In unadelle sue ormai note conversazioni in aereo a Papa Fran-cesco è stato chiesto se “avesse voluto dialogare anchecon i più estremisti fra i radicali islamici”, al che lui consemplicità ha risposto: “È difficile, si può dire quasi im-possibile, ma la porta è sempre aperta […] un cristianodovrebbe sempre lasciare la porta aperta”. Peccato, però,che spesso preferiamo anteporre le nostre conoscenzedistorte, le nostre “sicurezze”, le nostre presuntuose cri-tiche, i nostri “legalismi” all’Amore per l’altro: e cosìanteponendo il nostro ego non possiamo vedere l’altroe tantomeno accoglierlo! Siamo tutti imperfetti, siamonoi cristiani, buddisti, musulmani, “diversamente cre-denti” o non credenti, nessuno è meglio di un altro, tuttiabbiamo bisogno degli altri, ed è proprio la coscienzadi appartenere a un’umanità comunque claudicante chedovrebbe aiutarci ad abbassare la cresta, a RISPETTAR-CI, a unirci e sostenerci vicendevolmente.

Le persone non sono mai come sembrano a prima vista,nel bene e nel male, il loro CUORE si nasconde al di là diciò che appare; come ci ricorda l’opera di Shakespeare ap-pena citata, “non è tutto oro quel che luccica!” [II, 7]. Quisarà la bella Porzia a capovolgere le sorti del povero An-tonio, alla fine la misericordia prevarrà sulle logiche dellalegge terrena, e sarà proprio Shylock a risplendere in tutta

l asua uma-

nità. Nella vita sta a noi decide-

re se occuparci solo dei nostri interessi, se giocare al “tifrego io prima che sia tu a fregare me”, se marcare ilnostro territorio come fanno le bestie, oppure se lasciareaperta la porta, seppure uno spiraglio, sospendendo giu-dizi quasi sempre infondati; e questo lo si può fare solomettendoci da parte, con UMILTÀ, per dare spazio al-l’altro, predisponendoci all’ascolto, in Silenzio. “La Veritàè eterna. La nostra conoscenza di essa è mutevole. È undisastro quando confondiamo le due”. [Madeleine L’En-gle, citata da Padre Richard Rohr]. “La Verità sta semprecon gli umili” (Ermanno Olmi).

La religione non riguarda il mantenere l’ordine e il con-trollo sociale…che giustifichi lo status quo di certe alteposizioni in cui certe persone si trovano socialmente, eco-nomicamente, e religiosamente … La parola greca, tradottain modo inefficace con “pentimento”, nella Bibbia significain realtà “cambiare la propria mente” (metanoia), e inquesto dovrebbe consistere la Quaresima. Non si trattadi rinunciare a qualche dolcetto! Potete rinunciare a tuttii dolcetti che volete e ancora rimanere intrappolati nellavecchia mente. Potete non rinunciare ai dolcetti ma per-mettere a voi stessi una totale “rivoluzione della mente”,un rinnovamento “nello spirito della vostra mente” (Efesini4:23). In questo consiste la Quaresima.

[Padre R. Rohr, Center for Action and Contemplation,https://cac.org ]

con il mondo

con il mondo26

Una casa “fatta” a... ponte

Iponti uniscono due sponde e, come dice il monaco ca-maldolese indiano John Martin Kuvarapu, a nessunoviene in mente di costruirci una casa sopra...con l’ec-

cezione di ponte vecchio a Firenze...ma quella è un’altrastoria.

Sui ponti si transita e si va oltre come fanno i pellegriniche, passo dopo passo, vanno oltre sui sentieri e con l’animae, se il cammino ha veramente agito nel loro profondo,continuano ad andare sempre oltre nella vita senza fermarsi,sapendo che tuttele “case costruitesui ponti” su tuttociò che ci permettedi transitare, nonpuò essere qualco-sa di definitivo checi blocca, perchèperderebbe la suafunzione di pas-saggio.

La sera, però, ipellegrini sostanoper riposare e rifo-cillarsi e, per in-contrare e creareponti con altriviaggiatori del cor-po e dello spirito,hanno bisogno diun Luogo, solido,definitivo, acco-gliente che sia “Ca-sa” per una notte, un guscio bello come quello di una nocedove assaporare la Bellezza che contiene e che ognunopuò creare lì dentro.

Questa è la nostra idea di “ostello per pellegrini”, è questoche vogliamo ricreare ad Assisi perchè sappiamo che fun-ziona e che fa del bene.

Per 5 anni la “nocciolina” che era “La Perfetta Letizia”ha assolto questo compito, ha accolto i pellegrini, ha datoloro un letto e li ha invitati a sedersi attorno ad una tavolaimbandita con cibi il cui ingrediente principale era l’Amorecon cui erano stati preparati da volontari, da pellegrini-hospitaleri. Lì si sono incotrate persone di tutto il mondo,credenti e non, di culture e religioni diverse, di età e am-bienti diversi che in comune avevano la ricerca di un qual-cosa che li aveva portati a mettersi uno zaino in spalla ead arrivare così, passo dopo passo, nella città di Francescoil pellegrino della Terra e del Cielo che di essere “pontefice”aveva fatto la sua missione di vita.

Così si riparte! Io, Angela, assieme alla “Associazioneamici del Cammino di qui passò Francesco” da anni stiamodietro a una casa che è perfetta per questo scopo, ci ab-biamo provato in tutti i modi a “farla nostra”: prenderlain affitto; scambiarla attraverso la generosità di una personache ci donava una proprietà che valeva di più della casache vogliamo; proponendo forme di contratto d’ affittotrasformabili in acquisto nel giro di qualche anno ma...non era questa la strada, ed ora il “nostro ponte” è un

C ROW D F U N -DING, UNA“ R A C C O L T AFONDI LAN-CIATA IN IN-TERNET” peracquistare questoimmobile, soldinoimpilato su soldino,attraverso la gene-rosità di sognatoricome noi che nonsi arrendono né aitempi bui che attra-versa la Terra tutta,né alle difficoltàche fino ad ora ab-biamo incontratoper questo piccolo-grande progetto.

Abbiamo biso-gno di raccogliere800.000 euro, è una

cifra grossa che può far paura ma, provate a suddividerlacosì:

80.000 persone donino 10 euro l’una8000 persona donino 100 euro l’una800 persone donino 1000 euro l’unae vi accorgete che sono piccoli numeri rispetto al numero

di persone a cui un progetto di questo genere può inte-ressare!

Il sistema di crowdfunding prevede doni a chi dona, noidoniamo giorni all’ostello, chi più dona più può soggior-narvi da “proprietario per qualche notte”, bello no?!

Dopo l’inverno viene SEMPRE la primavera, ci credia-mo, abbiamo nel cuore la “Speranza Certa” di Francesco,così irrazionale e, perciò, così potente.

Sappiamo che pure la fisica quantistica ci dice che è ilprogetto, è il futuro che crea il presente e, turandoci gliocchi e le orecchie di fronte alle immagini e alle parole chei media ci riversano addosso, ricacciando tutte le possibili

di Angela Seracchioli

con il mondo27SANKALPA

Ai piedi di Assisi, proprio sotto la basilica di San Francesco, sul tracciato del Cammino, dei Cammini Fran-cescani, all’interno del “Parco del Monte Subasio” in una valletta boscosa e tranquilla dove, poco oltre econfinante con la proprietà, il FAI ha creato il “bosco di San Francesco”, si trova la casa (ora proprietà privata)che abbiamo scelto per ricreare l’ostello e che è perfetta per questo scopo.

Antico mulino dei tempi di San Francesco, perfettamente ristrutturato e ampliato, tutto in pietra, 450metri quadri di coperto, può accogliere 25/30 persone. Il terreno, di 2 ettari e mezzo offre angoli di tranquillitàe pace e si apre in un grande prato nascosto dagli alberi che è l’ideale per piantarci le tende per scouts enon e che può divenire spazio per eventi.

Una struttura esistente, parte della proprietà ma a se stante, verrà adibita a zona di preghiera e meditazione(55 mq).

La proprietà comprende anche 7 filari di vite, molti alberi da frutto e non, 20 ulivi e un altro grande pratoche può essere adibito ad orto. Il terreno, a forma trapezoidale, nella sua parte più stretta che termina doveinizia la proprietà del FAI, si insinua fra la strada e il fiume Tescio e può essere adibita a passeggiata attrezzataper tutti. Inoltre, la proprietà è adiacente ad un ponte romano che collega la casa al sentiero che sale nelbosco del Sacro Convento conducendo direttamente alla basilica di San Francesco.

è nostra intenzione che il futuro ostello segua i criteri più avanzati di eco sostenibilità. E vogliamo far sìche sia anche spazio di sperimentazione e realizzazione di progetti che diano spazio e visibilità a chi operanel campo dell’eco sostenibilità.

paure che esse vogliono inculcarci nel sangue avvelenandocil’anima, ANDIAMO AVANTI CREANDO PER UNNUOVO FUTURO.

VOLETE AIUTARCI?VUOI ANCHE TU CHE STAI LEGGENDO AG-

GIUNGERE UNA PIETRA A QUESTA CASA “FAT-TA A PONTE”?

Il crowdfunding inizierà in un giorno significativo ILLUNEDI’ DELL’AN-GELO il 6 Aprile 2015e continuerà fino al 6agosto, 4 mesi per realiz-zare un SOGNO PERTUTTI!

Per avere tutte le infor-mazioni necessarie perpartecipare, basterà soloaprire il sito www.crowd-fundingostelloassisi.com

L’ostello ha già un no-me, si chiamerà LARUAH

Il gesuita meditatoreMariano Ballester cosìdefinisce il termine ebrai-co Ruah: “il vento, qualeè mostrato nella tradizio-ne biblica, è una realtàmisteriosa. Ma la naturaelusiva del vocabolo corrisponde proprio alla realtà stessadi questo elemento così sfuggente e misterioso. Infatti ilvento invisibile, timido e fugace, è anche il vento stermi-

natore e terribile, un essere velato dal mistero e dall’im-prevedibilità. Fin dai tempi più remoti l’uomo ha amman-tato il vento di questo alone di mistero fino a rappresentarloin forma umana e a tributargli onori divini. Non c’è dubbioche nella storia della salvezza il vento appare spesso in unastretta relazione con Dio. All’inizio della creazione c’è unaRuah che aleggia sulle acque come un gigantesco albatrodivino (Gen 1,2) e viene specificamente qualificato come

Ruah di Dio,cioè come ali-to o vento di-vino...”

Una casasolida e dipietra cheha...”la legge-rezza e la po-tenza delVento” unafunzione diponte, comedice don An-drea Gallo: “Io vedo che,quando allar-go le braccia,i muri cado-no. Acco-glienza vuole

dire costruire dei ponti e non dei muri.” e una porta aperta:“Perché se il Messia dovesse passare questa notte, vedràla nostra porta aperta ed entrerà a cenare con noi”.

Per info:[email protected]

www.crowdfundingostelloassisi.cominfo@crowdfundingostelloassisi.com

pagina facebook Crowdfunding Ostello Assisi

con il mondo28

Essere umili, una parola. Siamo così anco-rati nelle nostre posizioni, così convintidi avere la verità in tasca e che solo quello

che pensiamo e facciamo noi sia il meglio, chefare un passo indietro, per andare incontro al-l’altro, diventa sempre più difficile.

Stiamo vivendo l’era dello scontro, dove sem-bra vincere chi grida più forte. Ce lo mostrala televisione, con quegli interminabili talkshow dove tutti si parlano addosso, quandonon arrivano a gridare, spiattellando i malidegli altri e le proprie virtù, senza mai arrivarea nulla.

Può capitare anche nel lavoro, quando le per-sone si riuniscono, discutono per ore deglistessi progetti, senza mai riuscire a mettersid’accordo. Quanto tempo perso e quanta ener-gia sprecata, solo perché non si è disposti amettere in campo un po’ di comprensione eamore per gli altri. Ma non sia mai: gli altri so-no rivali, quando non addirittura nemici. Eccole critiche, le contraddizioni, i “no” detti soloper partito preso. Eppure la soluzione è lì, in-torno a quel tavolo, se solo si avesse il coraggioe la voglia di trasformare lo scontro in incon-tro, di cambiare per una volta, atteggiamentoe cominciare a vedere e riconoscere ciò che dibuono c’è dell’altro, ammettendo i propri li-miti.

Ma quanto poco siamo abituati a questo. Èancora la legge del “mors tua vita mea” ad ave-re il sopravvento, finché prevale la visione in-dividualista dell’esistenza. Finché non cirendiamo conto di essere parte di un tutto, chepossiamo influenzare e determinare non solocon le nostre azioni, ma anche con i nostripensieri.

Mai provato a sorridere alla vita? Ad affron-tare la giornata con gioia, a ricordare che quelleche incontriamo, ogni giorno, sono anime incammino, ognuna con una propria storia, di

di Marialuisa Duso

Una nuovacompagna di viaggio:l’umiltà

con il mondo29SANKALPA

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N° 1008 DEL 19/09/2001

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IL GIORNALE VIVE SOLO CONIL TUO AIUTO

SANKALPAdolore e fatica? Mai provato ad esseresemplicemente gentili, senza aspet-tarsi nulla in cambio? Bene, bastaquesto perché la vita assuma un altrosapore. E come tutto sembra più flui-do, armonioso.

L’esatto contrario di quando si af-frontano le giornate con le lame af-filate, pronti a scattare, aggredire,rivendicare. La chiave è tutta lì: essereun po’ meno chiusi, coltivare qualcheseme d’amore nel proprio cuore e af-finare l’arte della comprensione.Ostacoli che sembravano insormon-tabili potrebbero sgretolarsi, all’im-provviso, e potrebbe pure affacciarsiun sentimento di gioia per essere riu-sciti a risolvere le cose tanto facil-

mente. Attenzione poi ad un’altra co-sa che suggeriscono i saggi: l’intelli-genza cosmica ha dato a ciascuno dinoi il diritto di fare riforme, di cam-biare l’ordine stabilito. Ma a condi-zione che sia in grado di apportaresolo miglioramenti. Prima di volercambiare gli altri dunque, dovremmoavere la certezza che l’effetto dellanostra azione sarà positivo. Ma, forse,prima ancora, dovremmo cominciarecol cambiare noi stessi, cercare di mi-gliorare i nostri limiti e le nostre fra-gilità. Se questo è l’atteggiamento…sarà sempre abbastanza presto perdecidere di voler riformare il mondo.E l’umiltà sarà la nostra compagnadi viaggio.

Le informazioni riguardole celebrazioni all’Eremo di S. Pietro

si possono trovare sul sito

www.sankalpa.it

con il mondo30

Ci risiamo, come ieri, avanti Cri-sto, dopo Cristo, quella Croceoffesa, umiliata, annientata.

Ognuno a rivendicare ragione, diritto,giustizia, ciascuno a fare nel sangue lapropria assoluzione da vincitore.

Terre inzuppate di sofferenza imba-vagliata, atrocità nascoste, massacri si-lenziati, dentro stati dellamente ottusi e conclusi, di-mensioni del cuore che nonposseggono più alcuna com-passione, pietà, l’ultima vo-lontà di un perdono.

Terre di potenti che nonconcedono più metri, ne tol-gono; terre di ricchi e di po-veri ridotte a camposanti, inpreda all’ira della vendetta, aurlare colpe, condanne, ac-cuse incrociate, la sentenzasta nei tanti e troppi volti re-clinati.

Eserciti bene intruppati ecolonne di affaccendati conla polvere da sparo, tecnichedi guerra e pratiche del ter-rore, popoli fintamente ma-scherati di giustizia,angolazioni di disumanità ab-bandonata a se stessa, nel-l’esclusione sociale,caratterizzata dai più alti livellidi controllo sulle persone, su-bordinate ai colpi di pietra, dimachete, di pistola, di obice.

L’idea che osservare e costringerequalcuno in condizioni sub-umane siasinonimo di osservare ciò che accadein termini più generali, è davvero unabestemmia pronunciata ad alta voce,una derisione all’onestà intellettuale,con lo scopo di rendere la tortura el’omicidio una condizione alternativapiù accettabile.

Si muore scomposti dal rumore deglispari, degli scarponi chiodati, dai cin-goli dei carri armati, fanno breccia nelcuore indurito di chi non ha più figli,sorelle, fratelli, una famiglia, la propria

casa. Nel morso antico dell’odio, dellavendetta, della supplica e della con-cessione tradita, si muore dentro lapropria storia millenaria, si muore peruna bandiera, per un pezzo di terracon tanti padroni e pochi giusti. Simuore per opulenza da difendere, perpovertà da rivendicare, si muore per

un principio, per una fede contrappo-sta, si muore per delirio di onnipoten-za, anche là dove il potere ha solo vocedi commiserazione.

Si muore senza onore delle armi, simuore tra gli scaracchi, mai con sen-timento di riconciliazione.

Al dolore per una scomparsa, c’èpreghiera di circostanza, azione di pro-paganda, che sfocia nella ferocia delpiù forte, persino il più debole non fapassi indietro.

Spara il cannone, spara il lanciarazzi,sparano come forma di tutela della

propria incolumità, della propria leg-gittimità a esistere in un territorio chenon ha più speranza, perché oppressadalla più ostile disperazione.

Ci risiamo, proprio come ieri, donne,uomini, bambini, trucidati in una si-nagoga, in autobus, altri suicidati suuna trave, altri ancora in galera, dentro

le proprie case polve-rizzate.

Tu ne ammazziuno, io ne ammazzocento, tu lanci razzi,io bombardo, donne,vecchi, bambini, car-ne da macello con ladivisa della vittimasvenduta e fin’ancheoltraggiata.

Un passato che nonpassa, che non inse-gna un bel niente, chenon allena gambe so-lide per ritornare almondo di un possibi-le futuro.

È un’umanità inasfissia, stretta tra ere-dità indicibili e rivalsefraudolente, plotoniin fila per tre in attesadel colpo alla nuca,persone prese in mez-zo, non più ricono-sciuti i ruoli, il valoredella vita umana, da

ogni barricata il nemico a vista è daatterrare, non più storie di uomini, manumeri, cose, oggettistica d’accatto,rimasugli da estinguere in fretta.

Non c’è spazio per il rispetto, sonominacce che s’avverano, a differenzadi qualche parolaio da gran cassa me-diatica, in questo film che s’annunciapoderoso, non c’è Davide contro Go-lia, bensì innocenti senza più docu-menti di identità, ma forse Dio, il tuo,il mio, non starà più appoggiato a faredi conto con arguzia da mercato, forseDio s’è davvero stancato.

TERRA DI ODIO E DI VENDETTAdi Vincenzo Andraous

Acquerello di Antonia bortoloso

L’umile è colui che va oltre se stesso, umile non è l’incerto, umile è coluiche svita le sue certezze, ne fa un mucchietto e lo mette da parte perlasciare spazio a ciò che arriva da un altro essere umano o da una situazione.

Non è umile colui che si piega agli eventi, umiltà non è sfortuna, non è infelicità.Umiltà è semplicità dell’anima, è apertura verso ciò che non conosciamo, è vitache non si sente arrivata e completa, ma chiede ricchezza ancora, ha fame di séancora.

Noi viviamo in un momento in cui l’umiltà è vista come debole indole, ma èin vero un pilastro dove si può innestare un ponte, è fonte di rinnovamento cheapre strade inesplorate o già viste ma da rivedere. Apre alla conoscenza, è unlibro che offre racconti ogni giorno sempre nuovi o tramandati ma non ancoraletti.

Io credo che l’umiltà sia la chiave verso ciò che è diverso da noi, verso ciò cheè fuori dalle nostre abitudini, può renderci liberi dalle catene che, per paura oper egoismo, attorcigliamo attorno alle nostre certezze, che diventano un muroinsuperabile per chi ci sta attorno.

Umiltàdi Laura Fiorentin

con il mondo31SANKALPA

con il mondo32 SANKALPA

LLaa LLuuccee sspplleennddeennttee ddeell CCrriissttoo RRiissoorrttoo iilllluummiinnii ii nnoossttrrii ppaassssii,, llee nnoossttrree ooppeerree,, iill nnoossttrroo ccaammmmiinnoo;;

rriisscchhiiaarrii llee mmeennttii,, aaddddoollcciissccaa ii nnoossttrrii ccuuoorrii ee cchhee ppoossssaa rriiaacccceennddeerree llaa SSppeerraannzzaa

ddii uunn mmoonnddoo mmiigglliioorreeaanncchhee nneeii ccuuoorrii ppiiùù pprroovvaattii..

VViivviiaammoo ooggnnii ggiioorrnnoo iinn uunn rriinnnnoovvaammeennttoo ccoonnttiinnuuoo!!

Redazione Sankalpa

BUONA PASQUA e Buona Rinascita a tutti!

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