Dalla Strada Ai Mass Media

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Indicazioni sull'uso educativo dei media nel lavoro sociale

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Dalla strada ai mass media: vivere tra i linguaggidi Pier Cesare Rivoltella

[in L. D'Alonzo, G. Mari (a c ura di), Identità e diversità in educazione. Studi in onore di GiuseppeVico, Vita e Pensiero, Milano, pp. 271-284].

“Dalla strada ai mass media: vivere tra i linguaggi” è il titolo di un intervento che Giuseppe Vico mipropose di fare il 10 marzo del 2004, a Vigevano, nell'ambito del tradizionale ciclo di conferenzeche è solito organizzare a livello cittadino. Trovo ancora oggi la proposta molto interessante, peruna serie di motivi. Innanzitutto essa si àncora in maniera consistente a una delle tracce più presentiall'interno della sua riflessione pedagogica, quella che si organizza attorno alla strada comeconcetto-valigia che contiene l'attenzione per le emergenze umane, l'individuazione del disagionelle sue diverse forme come frontiera educativa, l'idea che la pedagogia possa declinarsi utilmentenei territori dell'ascolto della sofferenza, quelli popolati - per intenderci – dai “poveri cristi” (Vico,2007). In secondo luogo, direi quasi profeticamente, coglie nel fatto di “vivere tra i linguaggi” unodei descrittori fenomenologici più rilevanti del nostro tempo. Dico profeticamente perché nel 2004non si era ancora assistito all'ascesa del Social Network1 (in particolare al fenomeno Facebook2 chene rappresenta l'aspetto più sintomatico), la blogosfera – almeno nel nostro Paese – non era cosìsviluppata, gli schermi certo già caratterizzavano l'arredo urbano delle nostre città ma non con lapervasività attuale, la tecnologia già dimostrava di essere “indossabile” (Silverstone, 2009) ma noncerto con la stessa portabilità spinta dei microcomputer e degli smartphone3 attuali. Da questadoppia indicazione – la strada, i linguaggi – deriva il terzo motivo di interesse: esiste un filo rossoche collega la strada ai media (senza “mass”, perché i media di massa hanno ormai lasciato il postoai personal media e a un panorama mutato della comunicazione, Ferri 2005) e questo filo rosso èquello dell'educazione. La tradizione della Media Education si è sempre occupata esplicitamentedella scuola o delle “aule didattiche decentrate” (Frabboni, 1999): in buona sostanza l'extrascuoladelle ludoteche, delle biblioteche di quartiere, delle sezioni didattiche dei musei. Oggi, invece,paiono maturi i tempi per (ri)proporre una riflessione attenta sulle opportunità che i media offronoall'educazione anche in quegli spazi socioeducativi che più sono indirizzati all'elaborazione deldisagio e che trovano appunto nella strada il proprio aggregatore semantico. Diverse esperienzesignificative indicano in questa direzione. Cercheremo di partire da esse per costruire una propostapedagogica al riguardo. Con questo mi rendo conto di come la riflessione che ne deriva vada benoltre i termini in cui avevo trattato del tema durante la mia conferenza e, quindi, di non poter piùutilizzare come traccia le slides di powerpoint predisposte per quell'occasione (come invece avevopensato astutamente di fare in un primo momento). Ma forse è meglio così.

1. I linguaggi e la strada

Quali sono i percorsi attraverso i quali, oggi, i linguaggi incontrano la strada? Ovvero: in che misurai media possono funzionare da spie (o da spazi) di manifestazione del disagio?

1 Social Network è termine che indica la rete dei conoscenti di una persona. Per estensione, designa oggi quegliapplicativi informatici (come appunto Facebook, Netlog, MySpace, ecc.) grazie ai quali è possibile, in Internet, allestireuna rete sociale e mantenerla per scopi di divertimento, ma anche di comunicazione o di impegno sociale e politico(come l'uso di Twitter nel caso della “rivoluzione verde” in Iran dimostra).2 Sicuramente il più famoso e diffuso ambiente di social networking. Inventato nel 2004 dallo statunitense MarcZuckerberg, conta oggi oltre 450 milioni di utenti nel mondo (13,5 circa in Italia).3 Uno smartphone (letteralmente, telefono intelligente) è un dispositivo che coniuga in sé le funzioni di comunicazionedi solito svolte da un telefono cellulare con quelle organizzative tradizionalmente disimpegnate da un palmare: agenda,gestione degli appuntamenti, contatti, note, appunti. A questo si aggiunga che grazie ai protocolli di internet velocemobile (come l'UMTS o l'HSPDA) oggi disponibili, lo smartphone diviene anche un comodo punto di accesso aInternet, sia per la gestione della posta elettronica che per la navigazione del Web.

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La risposta a questa domanda passa, innanzitutto, dalla comprensione di come è cambiato negliultimi anni il paesaggio della comunicazione mediata. Lo possiamo comprendere entro un triplicepercorso che è all'insegna della pervasività, della mobilità e della demediazione. La pervasività dice della migrazione dei media dentro le vite individuali e sociali dei soggetti (Bell,2001). I media sono parte integrante della società. La nostra possibilità di essere informati passa inlarga parte da essi (dai giornali, dai notiziari televisivi, dal televideo, dal Web), ma anche la nostracapacità di accedere ai servizi: in Internet verifichiamo orari ferroviari e aerei, prenotiamo eacquistiamo biglietti, compriamo e vendiamo libri, abbiamo accesso a banche dati, possiamoreperire documenti e format che ci servono per innumerevoli pratiche, dall'autocertificazione, aipagamenti on line, alla fiscalità. I media non sono più solo una “dimensione parallela” rispetto allarealtà: essi costituiscono una componente essenziale e perfettamente integrata di questa stessarealtà. Non solo. Nella misura in cui dalla loro disponibilità dipendono sia le informazioni in nostropossesso che i servizi di cui potersi avvalere, i media divengono uno spazio di esercizio dei diritti equindi una fondamentale dimensione della nostra cittadinanza. Qui si incontra una primadeclinazione del rapporto con la strada. Quando Castells (2002) individua quattro strati sociali inrelazione a Internet - che chiama tecno-elite, hacker, comunitari virtuali e imprenditori4 – stadimenticando una categoria fondamentale che è quella di coloro che non hanno accesso a Internet, oche vi hanno accesso a una velocità insufficiente per consentir loro di usufruirne appieno. Si trattadei tecno-poveri, di coloro che non dispongono di un accesso domestico e che spesso trovanodifficoltà anche a raggiungerne uno a pubblico a pagamento. Certo vi si possono includere ampistrati di popolazione del Terzo Mondo, ma senza dimenticare che la povertà digitale è trasversale,ridefinisce la geografia del disagio: problemi di accesso negato ci sono anche nelle nostre città, daricondurre alla mancanza totale di connessione (soprattutto tra i migranti), o all'assenza di bandalarga (solo circa il 45% degli utenti italiani dispone ancora oggi di connessione veloce), o allamancanza di un livello di lafabetizzazione sufficiente (si pensi soprattutto alla terza età).La mobilità indica invece un trend di sviluppo di tutto il settore delle tecnologie dell'informazione edella comunicazione. La telefonia cellulare e le reti wireless stanno producendo una lenta mainesorabile emancipazione dell'accesso dalla disponibilità di una postazione fissa. Se fino a pocotempo fa occorreva un televisore per guardare la televisione, o un computer collegato alla rete pernavigare in Internet, oggi tutto questo diviene possibile dal proprio telefono mobile o da altrodispositivo portatile (palmare, net-book5). Ma la mobilità, più in generale, affranca l'utente ditecnologia dalla condivisione del luogo (Meyrowitz, 1993) introducendo uno spartiacque epocaletra le società precedenti l'avvento dei media elettronici e quelle che, come la nostra, seguono questoavvento. L'impatto sui processi educativi è rilevante. Prima della comparsa dei media elettronici sipoteva avere accesso a una comunicazione solo condividendo spazio e tempo con chi parlava.Questo comportava da parte della società adulta un sostanziale controllo riguardo a cosa fosse o non

4 Le tecno-elite sono costituite da accademici e ricercatori: per loro Internet è lo spazio della condivisione che meglioincarna l'ideale della scienza come libera circolazione dei risultati della ricerca. Gli hacker (Himanen, 2001) sono itecnici, gli informatici, gli sviluppatori che sono sostenitori della programmazione creativa: per loro Internet è lo spaziodella collaborazione gratuita che si esprime in Linux e nel movimento dell'open source (ovvero il software a codiceaperto, estraneo alle logiche di protezione a fini commerciali rappresentate al meglio dal mondo Microsoft). Icomunitari virtuali (Rheingold, 1994) sono coloro che trovano in Internet il luogo in cui esercitare la loro cittadinanzadigitale (Granieri, 2006), ovvero la possibilità di “scegliere” sulla base delle affinità e dei gusti le persone dafrequentare al di là delle appartenenze nazionali e affrancandosi dagli obblighi della vita di tutti i giorni. Infine, ci sonogli imprenditori, ovvero tutti coloro che vedono in Internet una opportunità economica. La storia recente è piena dibiografie di giovani studenti che grazie alla tecnologia hanno fondato imperi: da Bill Gates che “scrive” il DOS nelgarage di casa, all'italiano Lorenzo Thione che a 22 anni accetta una borsa di studio della University of Texas, entra neilaboratori Xerox dove studia i linguaggi di processamento naturale, nel 2005 apre un'azienda che inizia a sviluppare unmotore di ricerca semantico, nel 2007 stringe accordi con Wikipedia per gestirne le ricerche interne con quel motore efinalmente nel febbraio del 2008 cede la sua azienda a Microsoft che la acquista per 100 milioni di dollari. Oggi Thioneè Principal Program Manager di Microsoft: il suo motore di ricerca, Bing, è il prodotto con cui il colosso di Seattleprova a contrastare il primato di Google.5 Un Net-book è un Note-book (cioè un computer portatile) pensato appositamente per l'attività di connessione alla rete(net). Di dimensioni più piccole e più leggero di un portatile normale (oltre che meno costoso), il Net-book dispone ditecnologia wireless molto sofisticata: questo gli rende molto facile l'individuazione di reti e la connessione ad esse.

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fosse opportuno condividere con le generazioni più giovani. Su questo controllo si è sempre basatal'educazione: lo consentiva la possibilità che essa aveva di decidere se e quando fosse giunto ilmomento di far conoscere certe informazioni ai soggetti in età evolutiva6. Come ben si capisce nelcontesto attuale tutto questo non è più possibile. Individuiamo così una seconda articolazione deimedia con la strada. Nella società dell'informazione la strada è lo spazio libero da controllo nelquale chiunque (soprattutto ai giovani) può comunicare con chi vuole, accedere alle informazioniche crede senza la presenza di un adulto che possa porre dei limiti a questa attività. Il risultato è che,proprio come Platone temeva nei confronti della scrittura, i contenuti “possono rotolare nelle manidi tutti, di chi sa farne buon uso e anche di chi non lo sa” (Rivoltella, 1998). I temi dellapornografia, della facile costruzione di false ideologie, dell'istigazione alla violenza, trovano qui ilproprio margine di crescita esponendo facilmente, soprattutto i più giovani, ad adultizzazioneprecoce, manipolazione, espropriazione dell'immaginario.Siamo così all'ultimo elemento, la demediazione. Con questo termine si intende il processoattraverso il quale la filiera della comunicazione si semplifica non rendendo più necessaria lamediazione degli apparati (giornali, televisioni) per pubblicare dei contenuti (Myssika, 2007).Anche in questo caso è l'evoluzione tecnologica a modificare in maniera significativa le cose.Soprattutto la dotazione di foto e videocamere su tutti i cellulari di nuova generazione e ladiffusione di applicativi 2.0 nel Web7, consente di fare in modo facile e senza costi quello che primadella comparsa di questi strumenti avrebbe richiesto un'attrezzatura professionale: è sufficiente unclic sul cellulare per iniziare a filmare, un altro clic per terminare la ripresa; il video così realizzatopuò essere pubblicato direttamente in rete (ad esempio in You-tube) da cellulare, oppure scaricatosul computer e da lì pubblicato in rete. Vale la stessa cosa per un testo (lo si può pubblicare in unblog), o per una fotografia (la posso inserire nel mio album in Facebook, o in un altro strumento perla condivisione di immagini, come ad esempio Flickr). Anche in questo caso si producono fenomeninuovi, che prima non si conoscevano. Sempre più spesso persone qualunque si trovano adocumentare accaduti che altrimenti l'informazione non potrebbe documentare: abbiamo conosciutograzie a video amatoriali di questo genere lo tsunami in Indonesia del 2004 come le immaginirecenti dell'attentatore del volo Delta per Detroit immobilizzato dai passeggeri. Giornalismo distrada, televisione di strada, verrebbe da dire. Ma grazie alle stesse caratteristiche di facilità d'usoabbiamo imparato a conoscere, proprio su You-tube, le gesta dei cosiddetti cyberbulli: filmati con leangherie subite da giovani portatori di handicap da parte dei compagni, con le prestazioni sessuali digiovanissime che si vendono occasionalmente ai compagni di classe, con le riprese di atti divandalismo esibite come trofeo alla pubblica approvazione dei coetanei. Si tratta di un vero eproprio nuovo territorio di manifestazione e generazione del disagio di cui l'educazione non può piùtardare ad occuparsi.

2. Educare ai linguaggi: i metodi e le pratiche

La sintetica fenomenologia che abbiamo delineato nel paragrafo precedente ci consegna, dunque,tre possibili articolazioni della strada con i linguaggi mediali. Esse si organizzano attorno adaltrettanti temi che rimangono in oscillazione tra opportunità e privazione: il tema dell'accesso, il

6 Qualcuno dei meno giovani ricorderà i propri genitori intimargli: “Vai in camera tua” adducendo come motivazioneche “non sono cose che i bambini possono sentire”. Analogamente ci si ricorderà di come in occasione delle riunioni traadulti, anche in una casa privata, i più piccoli si ritirassero quasi istintivamente in disparte proprio perché percepivanoche lì si sarebbero potuti fare “discorsi da adulti”. La presenza di porte, muri, confini materiali, rendeva questaseparazione possibile. Su questa separazione si reggeva la capacità di una società di comunicare certi discorsi (in primisquelli relativi alla sessualità) solo quando ritenesse fosse giunto il momento opportuno: tutti i riti di passaggio legati almatrimonio (o comunque alla raggiunta maturità sessuale) sono costruiti proprio sulla rimozione di questa separazione. 7 Quando si parla di Web 2.0 si fa riferimento alla nuova generazione di applicativi diffusi in Rete che hanno lacaratteristica di non richiedere a chi li usa di scaricare nessun software sul proprio computer e, allo stesso tempo, diconsentire a chi visita i contenuti in essi pubblicati, non solo di accedervi (come accadeva nel Web 1.0), ma anche dimodificarli allegandovi commenti o tag (simboli che esprimono il proprio gradimento, la valutazione della risorsa,nonché parole-chiave utili alla sua ricerca).

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tema del controllo, il tema del rispetto della persona. Che fare? Quali linee di intervento si apronodavanti all'educazione? Soprattutto cosa possono fare sui e con i media quegli ambiti di interventoeducativo che come accennavamo in apertura si collocano più in stretta relazione con la strada e conciò che essa rappresenta: lo spazio informale della socializzazione senza mediazioni?Facendo uno sforzo di semplificazione mi pare si possano individuare tre principali scenari diazione.

2.1. I media come specchioUn primo scenario si organizza attorno alla metafora dello specchio. I media – il cinema, come latelevisione (soprattutto generi come l'informazione e la fiction) – sono un dispositivo attraverso ilquale è possibile riflettere sul visibile (Sorlin, 1979) e sul non visibile (Ferro, 1980) di una società.Il visibile esprime le rappresentazioni sociali diffuse, quello che una società crede, i suoi valori, ilmodo in cui essa si immagina il mondo: del visibile sono sintomatiche le stereotipie, le faciligeneralizzazioni, gli schemi concettuali attraverso i quali si istituiscono categorie, si dividel'esistente riconducendolo ad esse.In contesto socio-educativo, capire questo significa utilizzare i media come “schermo diformazione” (D'Incerti, Santoro, Varchetta, 2007). È questo l'uso che si può fare della cine- o video-lettura (ma anche dell'analisi del Web) sia in funzione dell'elaborazione del disagio chedell'animazione del territorio. Nel primo caso si pensi a tutti quei casi (come i minori o le donnesoggette a violenza) in cui «il soggetto “si difende” dai suoi vissuti di sofferenza mettendo in attomeccanismi di fuga dalla realtà e di estraniazione da se stesso e dal mondo» (Rivoltella, Marazzi,2001; 87). In questi casi, lavorare su un film che affronti il tema della violenza può aiutare i soggettia focalizzare il problema e a verbalizzare i loro vissuti; allo stesso modo può consentire il confrontodei punti di vista favorendo l'individuazione di vie d'uscita praticabili. Nel caso dell'animazione delterritorio, programmare un ciclo di film sulla condizione giovanile potrà, invece, ad esempio,fornire l'occasione agli operatori per censire i bisogni reali dei giovani nella realtà locale,sensibilizzare gli adulti e le realtà associative presenti a individuare il proprio possibile ruolo,individuare ipotesi di progettazione finalizzate alla elaborazione di quesi bisogni.Molti progetti e molte realtà operanti nel nostro Paese sono riconducibili a questa prima cornice incui gli schermi dei media divengono strumento di formazione. Penso in particolare al progettoPammy (Prevention of Aids through Mass media among Mediterranean Youth), sviluppato tra il2000 e il 2002 dal Gruppo Abele (2002) di Torino in collaborazione con agenzie di cinque paesidell'area del Mediterraneo (Francia, Grecia, Marocco, Portogallo, Spagna) e volto a studiare lecampagne di comunicazione per la prevezione dell'AIDS: in questo caso il fuoco del progetto èproprio la visibilità dell'AIDS nelle campagne, la rappresentazione della malattia, il livello diattenzione ad essa prestato. Un'altra realtà significativa che opera sul rapporto tra visibile ed educazione è il Centro diDocumentazione e Ricerca Audiovisiva del SERT di zona di Alba, in Provincia di Cuneo. Inparticolare penso al portale che il Centro cura, Steadycam8, un interessantissimo servizio on line cheoffre informazioni rispetto all'attività di monitoraggio dei programmi televisivi9 che il Centrosvolge, consente la visione in streaming di materiale audio-video, rende disponibili materiali edocumentazione di interesse per l'intervento educativo sui temi del disagio giovanile attraverso l'usodei media.

2.2. I media come strumentiUna seconda direzione di lavoro è quella che consiste nell'utilizzare i media come strumentiattraverso i quali sostenere e/o potenziare l'intervento educativo. Si tratta di una prospettiva classicadella Media Education che prende corpo normalmente in quel che si definisce “educare con i

8 Cfr. in Internet, URL: http://www.progettosteadycam.it/pagine/ita/dettaglio_guidatv.lasso?id=4671 .9 Ogni giorno il Centro monitora il palinsesto televisivo delle sette reti nazionali (le tre Rai, le tre Mediaset e La7)registrando tutti i programmi e i servizi di telegiornale che si riferiscano alle tematiche del mondo giovanile e delledipendenze. Questo materiale è disponibile agli educatori presso la sede del Centro.

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media”. I media-strumenti, in questa prospettiva, possono essere concettualizzati in almeno tredirezioni. Essi funzionano sicuramente come protesi (de Kerkhove, 1996) ovvero como unprolungamento dei nostri organi di senso che ne consente l'integrazione o la (ri)abilitazione, comecapita nell'uso delle tecnologie informatiche per la riduzione delle disabilità fisiche (si pensi atastiere facilitate e ad altri dispositivi di interfaccia). Ma funzionano anche come veicolo (Virilio,2000), cioé come canale attraverso il quale attivare e mantenere la comunicazione: da questo puntodi vista sempre più spesso gli educatori trovano nella comune frequentazione con i giovani deglistessi spazi di social networking un'opportunità interessante di condividerne linguaggi e problemicreando complicità e vicinanza proprio sulla base di questa frequentazione. Infine, i media sonoanche un ambiente (Bolter, 2002) cioè un osservatorio all'interno del quale le tendenze, i gusti, ibisogni delle diverse sottoculture (quella giovanile, ad esempio) si esprimono e possono essereelaborati.Anche in questo caso, solo a titolo di esempio, si possono citare alcuni progetti e realtà significativi.È il caso del Festival del cinema nuovo10 di Gorgonzola, in provincia di Milano, un concorsointernazionale aperto a cortometraggi realizzati da disabili. Qui il cinema è insieme protesi eveicolo, mezzo di espressione e riabilitazione e strumento di comunicazione sui propri desideri.Come si legge nelle finalità del progetto. Il Festival si propone di: «1. Promuovere attivitàcinematografiche con disabili inseriti in Comunità diurne e/o residenziali, rendendoli attoriprotagonisti ed evidenziando “quanto sono vivi e quanto sanno fare” e non solo l’aspettoproblematico. 2. Attraverso il mezzo cinematografico dare una possibilità ai “disabili” di dimostraredi essere realmente “diversamente abili”. 3. Favorire e sviluppare la cultura sociale della disabilità,attraverso nuove proposte di integrazione».Nella logica dello strumento si inserisce anche il progetto “Quinto livello”, sviluppato dal Comunedi Voghera, in provincia di Pavia, in collaborazione con il Centro provinciale interventi e servizieducativi Adolescere. Documentato da un volume (Fea et alii, 2002), il progetto è consistito nelprodurre strumenti multimediali da mettere a disposizione degli educatori come opportunità diautoformazione e materiali per l'intervento. Così devono essere intesi i due CD-Rom allegati alvolume, il primo costituito da un reality movie dedicato al problema della videodipendenza, ilsecondo da materiali e proposte di intervento per la prevenzione delle dipendenze attraversol'educazione all'immagine. Decisamente iscrivibile nella prospettiva di una idea ambientale dei media è il progetto Peer &Video Education coordinato dall'Associazione “Contorno Viola” insieme alla rete dei servizi socio-educativi del Comune e della Provincia di Verbania. Il progetto, che si innesta su una lungatradizione di lavoro in tema di peer education, ha trovato in un convegno nazionale che si è svolto aVerbania nell'autunno del 2008 il proprio snodo e si sviluppa in molteplici direzioni (laboratori dicittadinanza, ricostruzione della memoria della Guerra e della Resistenza, prevenzione dell'AIDS)tutte raccordate attraverso il tema comune dei media e del lavoro di rete.

2.3. I media come linguaggiL'ultimo scenario di azione è quello che ci porta a considerare i media come linguaggi. Esso riposasulla consapevolezza che «conoscere i linguaggi dei media, imparare a usarli sono abilità che in unasocietà come la nostra debbono appartenere ai saperi di base che, come il leggere e lo scrivere, tuttidovrebbero possedere» (Rivoltella, Marazzi, 2001; 89). Con espressione che mutuiamo dal recentedibattito sul tema, potremmo dire che i media, in quanto linguaggi, sono oggi parte dellecompetenze di cittadinanza dei soggetti: lo sottolinea la Raccomandazione della CommissioneEuropea del 16 dicembre 2006 (dedicata alla definizione del framework europeo delle competenzedi cttadinanza), lo ribadisce la recente Raccomandazione (20 agosto 2009) della stessaCommissione sulla Media Literacy. Il problema delle competenze mediali (Media Literacy) è complesso. Svilupparle significa almenotre cose. Anzitutto vuol dire garantire la diffusione di competenze-base che consentano alle personel'accesso ai media: si tratta di competenze d'uso che le giovani generazioni posseggono quasi

10 In Internet, URL: http://www.festivalcinemanuovo.eu/ .

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istintivamente, quelle più adulte sicuramente meno. Ma evidentemente saper usare non basta.Occorre che quest'uso sia consapevole, accompagnato dalla capacità di elaborare criticamente ilsignificato dei messaggi: solo in questo modo è possibile costruire la cittadinanza come categoriaculturale che consenta ai soggetti di essere veramente liberi di fronte alle scelte che possono trovarsia fare e soprattutto di raccogliere il senso dei costrutti culturali e delle esperienze in una societàcome quella attuale in cui invece il senso tende a frammentarsi in molteplici narrazioni senza alcunapparente criterio per introdurre tra di esse un ordine di valore (Vico, 1990). Infine, l'uso dei media(soprattutto dei media digitali, come abbiamo visto) non implica solo comportamenti ricettivi(assistere a un programma, navigare nel Web) ma anche produttivi: scaricare contenuti dalla Rete,produrre immagini e testi, pubblicarli nel Web. A questo livello il senso critico non basta: occorreche esso sia supportato (e completato) dalla responsabilità, intesa a tutto tondo come una delleprincipali finalità dell'agire pedagogico (Vico, 1995).Anche nel caso di quest'ultimo aspetto, “abilitante”, dell'intervento educativo riguardo ai media,sarebbe possibile portare diversi esempi di progetti ed esperienze. Mi limito a indicarne uno,recente, che ritengo per molti versi emblematico: si tratta dell'attività di formazione degli animatorioratoriani gestita dalla cooperativa sociale Pepita. La bottega del'educare11. Negli ultimi due anni,questa attività (che riguarda adolescenti di età compresa tra i 14 e i 17 anni) è stata declinata nelsenso dell'educazione ai linguaggi grazie alla collaborazione con gli esperti del CREMIT12. Lascelta si è concretizzata nell'adozione di una cornice progettuale dentro la quale la formazione possaavvenire, decisamente ispirata ai linguaggi mediali (lo scorso anno si riferiva al gioco e alvideogoco, per l'anno in corso fa riferimento alla capacità di raccontare e costruire insiemeall'interno di ambienti tridimensionali on line), e in tecniche di formazione multimediali. Nellospecifico la scelta è caduta sulle tecniche di video-attivo, che mettendo al centro del lavoroeducativo l'uso della video-camera, consentono di organizzare attorno a quest'uso percorsi in cui illavorare insieme, la capacità di confrontarsi, la possibilità di liberare la propria creatività sonosenz'altro gli elementi principali.

3. Conclusione: un modello possibile?

Il percorso che abbiamo descritto consente ora, in conclusione, di provare a costruire una sintesi, aindividuare l'opportunità per la costruzione di un modello pedagogico di intervento quando ilrapporto tra i media e l'educazione riguarda la strada intesa nel senso in cui, nel solco dellariflessione di Giuseppe Vico, l'abbiamo pensata in questo contributo.I descrittori di questo modello sono sostanzialmente cinque: gli ambiti, il tipo di sguardo, laconcettualizzazione dei media, il tipo di intervento, strumenti e tecniche attraverso cui taleintervento si può attivare.Gli ambiti sono quelli su cui abbiamo costruito la parte centrale del contributo: la rappresentazionedel disagio (che gioca sulla capacità dei media di restituire forme ed esperienze della vita sociale),la sua elaborazione (perché i media non sono solo superfici riflettenti, ma anche dispositiviattraverso i quali si può elaborare e costruire la realtà), il lavoro sui linguaggi (la dimensioneprobabilmente più immediata nella percezione e nel vissuto dei soggetti).Ciascuno di questi ambiti porta in gioco un tipo di sguardo. Lo sguardo, nella cultura occidentale,articola sempre un certo modo di conoscere le cose, e quindi parlare di sguardo in relazione agliambiti che abbiamo individuato significa fare riferimento a dei precisi punti di vista grazie ai qualila realtà viene messa-in-forma. Si tratta di uno sguardo sociale, attento alle forme in cui il disagio simanifesta; di uno sguardo clinico, impegnato ad annullare l'impatto disabilitante del disagio; di unosguardo semiotico, centrato sui linguaggi, sulle regole del loro impiego, aperto alla trasmissione dicompetenze che proprio con la grammatica e la sintassi delle immagini hanno a che fare.

11 Cfr. in Internet, URL: http://www.pepita.it .12 Il Centro di Ricerca sull'Educazione ai Media, all'Informazione e alla Tecnologia dell'Università Cattolica. InInternet, URL: http://www.cremit.it.

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Questi sguardi comportano ciascuno una precisa idea dei media, della loro natura, della lorofunzione sociale. Lo sguardo sociale implica un'idea dei media come specchio: uno specchioparticolare, attraverso il quale il disagio viene restituito ma a volte anche costruito. Lo sguardoclinico articola un'idea dei media come farmaco, nel senso greco del rimedio, di ciò attraverso cui èpossibile la cura intesa come opportunità riabilitativa per l'individuo. Infine, lo sguardo semioticogioca con l'idea dei media come alfabeti: occorre imparare a leggerli e a scriverli per essere sicuri difarne un uso corretto, soprattutto in relazione con l'esercizio della cittadinanza.Gli sguardi con le loro metafore esplicative ci servono a definire i tre tipi di intervento che la MediaEducation può dispiegare nel sociale. La prevenzione è il primo tipo di intervento. Essa comporta l'uso delle rappresentazioni medialicome spazio ed opportunità per leggere in anticipo le linee di tendenza, avvertire i fenomeni nelloro darsi, intuire strategie efficaci per evitare certi effetti. I suoi strumenti possono essere quelli delmonitoraggio e della documentazione (come nel caso di PAMMY e del Centro Documentazione &Ricerca di Alba).Accanto alla prevenzione, la terapia. In questo caso il disagio nelle sue forme non viene letto maelaborato: lo spazio è quello dell'intervento e della cura che assume le forme dell'accompagnamentoe dell'attivazione del soggetto. Gli strumenti cambiano. Può trattarsi delle tecnologie (come nel casodelle diverse forme di protesizzazione e di ausilio), degli strumenti di comunicazione (quelli delSocial Network su tutti), oppure di media-ambiente come nel caso del cinema quando esso divienelaboratorio di espressività (come nel Festival di Gorgonzola).Infine, l'empowerment. È il tipo di intervento più specificamente mediale. In questo caso i medianon sono solo lo strumento di elaborazione del disagio, ma lo spazio stesso entro cui il disagio simanifesta. L'obiettivo è di far maturare le competenze, di costruire la capacità del soggetto di usarei media in termini positivi, funzionali alla cittadinanza, lontani dalle forme della tasgressione (comenel cyber-bullismo accade). Gli strumenti sono il laboratorio e la riflessione come palestre in cuiallenare il senso critico e costruire la responsabilità.

Ambito Sguardo Metafora Intervento Strumento

Rappresentazione Sociale Specchio Prevenzione Monitoraggio, documentazione

Elaborazione Clinico Farmaco Terapia Tecnologie, Social Network, media-ambiente

Linguaggio Semiotico Alfabeto Empowerment Laboratorio, riflessione

Tabella 1 – Un modello per la Media Education “di strada”

La strada, dunque, come sfida e spazio di esercizio per l'educazione. Uno spazio da presidiareattraverso la consapevolezza metodologica. Tale consapevolezza trova oggi nei media uno snododecisivo, non aggirabile. Ne siamo convinti. Ma certo il metodo palpita e vive (e certo solo puòessere efficace) a condizione che l'intenzionalità e l'amore educativo lo attraversino e lo sostengano:«L'educatore traguarda attento e mette in scena simbolicamente commedie e drammi: personalizzagrumi di pensieri, emozioni, passioni e sentimenti per conferire senso a storie di vita in attesa chequalcuno o qualcosa “avvenga” a costruire percorsi di speranza partecipata» (Vico, 2005, p.10).

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