Dalla pedagogia Cristiana alla pedagogia umanistica in Europa

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MODULO DI STORIA DELL’EDUCAZIONE Dalla pedagogia Cristiana alla pedagogia umanistica in Europa di Spano Giorgio La nascita della pedagogia cristiana Il cristianesimo rappresenta una rivoluzione nella storia della pedagogia. Quest’innovazione si diffonde prima nelle piccole comunità credenti e, mentre la chiesa acquisisce progressivamente un potere politico, si riversa nelle società. Il nuovo fine educativo è la salvezza dell’anima per la quale non è necessaria una semplice ricerca della perfezione interiore ma è significativo imitare l’esempio di Cristo. La pedagogia cristiana pone dunque un fine che è difficile a tal punto che necessita dell’aiuto divino della Grazia, poiché irraggiungibile con le sole forze umane. È un percorso senza fine, dato che nessuno può sentirsi conforme al Modello ed essere giustificato, nonostante la sua debolezza, di fronte a Dio. Lo sviluppo della pedagogia cristiana crea un capovolgimento dell’intellettualismo etico della pedagogia greca, in quanto non è ritenuta più la conoscenza condizione del bene, ma il bene condizione della conoscenza. Educazione è educazione alla Carithas, cioè all’amore per il prossimo come testimonianza dell’amore per Dio. Quindi, completando questo quadro di temi educativi, la salvezza dell’anima non la si vuole solo per sé ma per tutti. È così che l’educazione cristiana si propone a tutti senza alcuna distinzione. I soggetti che più facilmente si riscontrano in questa dottrina sono: Dio, Cristo, Maria e la chiesa. Dio è padre di Cristo e degli uomini; Maria, oltre ad essere figura centrale della vita di Gesù, rappresenta l’unione trina tra Padre Figlio e Spirito Santo, che unisce in un legame di fede Cielo e Terra. La Chiesa si sentirà mater dei cristiani e affiderà un ruolo educativo fondamentale alla famiglia, in quanto riconoscerà in essa il legame vivente tra Dio e gli uomini. Il fulcro della pedagogia cristiana è l’amore. Non si tratta però di un sentimento ottimistico in quanto la natura umana è imperfetta ed incline al peccato. Amare acquisisce anche il significato di “guidare”: questo deve avvenire solo se il maestro di autodefinisce portatore del messaggio di Cristo, solo vero Maestro. Perciò la chiesa, in quanto “guida”, si autodefinisce Magistra e si ritiene unica autentica autorità pedagogica terrena. Espansione Fine educativo: la salvezza dell’anima Capovolgimento dell’intellettualismo etico della pedagogia greca ed educazione alla Carithas Dio, Maria e Mater Chiesa Amore nella pedagogia cristiana Chiesa è Magistra

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Modulo di storia della pedagogiaBy Spano

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MODULO DI STORIA DELL’EDUCAZIONE

Dalla pedagogia Cristiana alla pedagogia umanistica in Europa

di Spano Giorgio

La nascita della pedagogia cristiana

Il cristianesimo rappresenta una rivoluzione nella storia della pedagogia. Quest’innovazione si diffonde prima nelle piccole comunità credenti e, mentre la chiesa acquisisce progressivamente un potere politico, si riversa nelle società. Il nuovo fine educativo è la salvezza dell’anima per la quale non è necessaria una semplice ricerca della perfezione interiore ma è significativo imitare l’esempio di Cristo. La pedagogia cristiana pone dunque un fine che è difficile a tal punto che necessita dell’aiuto divino della Grazia, poiché irraggiungibile con le sole forze umane. È un percorso senza fine, dato che nessuno può sentirsi conforme al Modello ed essere giustificato, nonostante la sua debolezza, di fronte a Dio. Lo sviluppo della pedagogia cristiana crea un capovolgimento dell’intellettualismo etico della pedagogia greca, in quanto non è ritenuta più la conoscenza condizione del bene, ma il bene condizione della conoscenza. Educazione è educazione alla Carithas, cioè all’amore per il prossimo come testimonianza dell’amore per Dio. Quindi, completando questo quadro di temi educativi, la salvezza dell’anima non la si vuole solo per sé ma per tutti. È così che l’educazione cristiana si propone a tutti senza alcuna distinzione. I soggetti che più facilmente si riscontrano in questa dottrina sono: Dio, Cristo, Maria e la chiesa. Dio è padre di Cristo e degli uomini; Maria, oltre ad essere figura centrale della vita di Gesù, rappresenta l’unione trina tra Padre Figlio e Spirito Santo, che unisce in un legame di fede Cielo e Terra. La Chiesa si sentirà mater dei cristiani e affiderà un ruolo educativo fondamentale alla famiglia, in quanto riconoscerà in essa il legame vivente tra Dio e gli uomini. Il fulcro della pedagogia cristiana è l’amore. Non si tratta però di un sentimento ottimistico in quanto la natura umana è imperfetta ed incline al peccato. Amare acquisisce anche il significato di “guidare”: questo deve avvenire solo se il maestro di autodefinisce portatore del messaggio di Cristo, solo vero Maestro. Perciò la chiesa, in quanto “guida”, si autodefinisce Magistra e si ritiene unica autentica autorità pedagogica terrena.

Espansione

Fine educativo: la salvezza dell’anima

Capovolgimento dell’intellettualismo etico della pedagogia greca ed educazione alla Carithas

Dio, Maria e Mater Chiesa

Amore nella pedagogia cristiana

Chiesa è Magistra

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Nei Vangeli la pedagogia cristiana trae vari spunti educativi dall’azione o dalle parole di Cristo. In questi sacri scritti, nonostante l’ambientazione fosse di un epoca in cui si dava scarsissima considerazione per le peculiarità e i bisogni dell’infanzia, si riscontra un Cristo che ama i fanciulli, li chiama a sé, li difende e ricorda che per entrare nel Regno dei Cieli occorre farsi simili a loro. Quindi il fanciullo è considerato immagine della purezza che ogni individuo deve raggiungere. In quest’epoca si ha quindi l’incrocio di due culture in cui si sviluppa il messaggio di Cristo. Da un lato la tradizione che segue il messaggio di amore di Gesù verso i fanciulli; dall’altro, quella ellenistica e veterotestamentaria (cioè che riguarda l’antico testamento), spesso favorevoli ai castighi corporali come mezzi efficienti per allontanare il bambino dal male morale cui è, per natura, incline. Pare quasi un paradosso culturale. È preso molto in considerazione il metodo di predicazione che riecheggia alle vie dell’Atene di sei secolo prima. Quella di Gesù era dunque un’educazione informale che non richiede un programma prestabilito ma viene offerta ricorrendo a immagini o parabole, che, per richiamare ulteriormente Atene nei suoi anni da polis, richiamano ai miti platonici, adattando dunque il linguaggio agli interlocutori e non forzare che avvenga il contrario come spesso avviene nelle scuole. A questo insegnamento ammiccheranno tutti quegli educatori cristiani che vorranno fare della loro opera pedagogica una testimonianza dell’adesione al messaggio evangelico. Diffusa nella cultura cristiana anche per la sua semplicità è la parabola del Seminatore. Si tratta di una riflessione sull’educazione e sul modo in cui i diversi allievi possono far proprio o rifiutare qualunque insegnamento. I seme gettato dal seminatore rappresenta l’insegnamento che viene proposto e i vari terreni su cui il seme cade rappresentano le diverse predisposizioni psicologiche dell’allievo. Ciò non toglie che l’educatore debba far si che il suo messaggio sia alla portata dell’allievo (quindi in un certo senso anche il seme deve adattarsi al terreno). L’adattamento educativo è alla base di ogni attività formativa efficace.

Le prime istituzioni educative cristiane Nel suo continuo evolversi il cristianesimo si incontra con la cultura ellenistica. Si ha così la convivenza di due religioni contrapposte: il paganesimo e il cristianesimo. Tra le due credenze non vi era conflitto. I cristiani frequentano le loro scuole in quanto, per vari motivi, non potevano istituire scuole di rito cristiano. Frequentavano quindi la scuola pagana sia per necessità sia perché ne riconoscono un valore universale. Nel corso degli anni la religione cristiana si diffonde tanto rapidamente da raggiungere zone in cui l’influente corrente di ellenizzazione non è ancora giunta. È proprio in quei luoghi che i fedeli cominciano ad erigere le loro prime istituzioni scolastiche necessarie per la prima alfabetizzazione e l’avviamento alla fede. Le prime scuole cristiane rispondono alle necessità religiose del catecumenato la cui definizione si potrebbe compendiare nel percorso finalizzato a preparare gli adolescenti e gli adulti all’ingresso nella comunità dei fedeli sanciti dal battesimo. Il battesimo era infatti professato ai giovani e agli adulti che desideravano convertirsi per entrare a far parte della comunità

Imitazione di Cristo e considerazione per l’infanzia

Il Fanciullo

L’educazione informle di Cristo

La paraboladel seminatore

Paganesimo e cristianesimo

Il cristianesimo si diffonde

Il catecumenato

Il battesimo

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dei fedeli. A questo punto si possono distinguere i due percorsi differenti che costituiscono il catecumenato: quello degli incipienti cioè coloro che si affacciano alla comunità cristiana; l’altro è quello dei competenti, i quali approfondiscono i dogmi più complessi. Saranno costoro che potranno raggiungere la figura di sacerdote, alla quale verrà affidato l’importante compito educativo. Lo spostamento del battesimo ai primi mesi di vita porterà alla graduale scomparsa del catecumenato. Questa fondazione religiosa cade quindi in disuso, rinviando poi all’educazione cristiana della famiglia la trasmissione della fede, mentre sorgeranno vere e proprie scuole di Teologia legate all’affermarsi della necessità di elaborare la dottrina cristiana, che molte volte entreranno in conflitto anche con l’autorità ecclesiastica.

BENEDETTO DA NORCIA: IL VALORE DELLA PREGHIERA E DEL LAVORO

Dopo i regni romano-barbarici si assiste alla scomparsa dei centri di cultura laici a all’aumento del controllo da parte della chiesa, la quale affida l’attività di insegnamento alle figure sacerdotali. La didattica è proposta ai novizi. Benedetto da Norcia fratello gemello di Santa Scolastica, nacque verso il 480 d.C. nella città umbra da famiglia patrizia. Eutropio Anicio, il padre, era Capitano Generale dei romani nella regione di Norcia, mentre la madre era Claudia Abondantia Reguardati, contessa di Norcia. A 12 anni (secondo alcuni) fu mandato con la sorella a Roma a compiere i suoi studi, ma, come racconta san Gregorio Magno nel II Libro deI Dialoghi, sconvolto dalla vita dissoluta della città ritrasse il piede che aveva appena posto sulla soglia del mondo per non precipitare anche lui totalmente nell'immane precipizio. Disprezzò quindi gli studi letterari, abbandonò la casa e i beni paterni e cercò l'abito della vita monastica perché desiderava di piacere soltanto a Dio. Dopo due tentativi di veneficio e un’ingiustizia morale nei suoi confronti, per salvaguardare i suoi monaci Benedetto decide di abbandonare Subiaco, valle dove risiedeva. Si diresse verso cassino, dove, sopra un’altura, fondò il monastero di Montecassino su resti di templi pagani e con oratori in onore di San Giovanni Battista e San Martino di Tours. Verso il 540 Benedetto fondò la regula Monasteriorum, che dispone di 73 capitoli e un prologo. La Regula viene considerata un testo pedagogico, in quanto condensa l’indicazione dei comportamenti indispensabili che devono essere indispensabili a chi la accetta. L'autorità massima del monastero è nelle mani dell'abate che può avere alle sue dirette dipendenze un priore ed un sotto-priore. Il monastero è innanzitutto una scuola di educazione religiosa, poiché l’abate non deve insegnare alcunché al di fuori dei precetti di Cristo, ma deve mantenere orientare, amare, e perciò guidare i propri monaci; dev’essere un attento osservatore dei fratelli. Il Superiore ha un preciso compito educativo che nel suo metodo prevede l’adattarsi all’indole varia e alla capacità di ciascuno, attenendosi alla direttiva dell’apostolo che

Due percorsi di formazione nel catecumenato: incipienti e competenti.

Decadenza del catecumentato

Affermazione di scuole di teologia

…quattro secoli dopo…

Vita di Benedetto

Abbandono alla vita monastica

Fondazione del monastero di Montecassino

La Regula Monasteriorum

L’abate

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dice: riprendi, scongiura, sgrida. Nella regula monasteriorum non viene solo analizzato il ruolo pedagogico dell’abate, ma vengono descritte le varie norme che disciplinano la vita dei monaci, fissando quei voti fondamentali che caratterizzeranno tutti gli ordini monastici (povertà, carità, obbedienza). In una vita monastica occupa grande spazio la cultura e il lavoro. Nonostante gli scriptoria non compaiono a Montecassino prima dell’VIII, le biblioteche interne sono attive assai prima: con Benedetto i monasteri si avviano a divenire un baluardo di cultura di fronte alla crisi delle istituzioni occidentali. La lettura occupa un posto importante nella formazione monastica. Così, durante la quaresima i monaci di Benedetto devono leggere fino il compimento della terza ora, e poi lavorare fino il compimento della decima ora. A occuparsi della distribuzione di libri è la biblioteca. “l’ozio è nemico dell’anima, perciò i monaci in determinate ore devono attendere al lavoro manuale e in altre, anch’esse determinate, alla lettura spirituale”. È evidente a questo punto il completamento dell’attività di preghiera secondo la massima: orat et labora. In quanto fatica e sacrificio, il lavoro diviene un modo per onorare Dio, perciò viene equiparato alla preghiera. A volte però è possibile che un monaco sia indotto all’ozio poiché il suo carico di lavoro è insopportabile per la sua gravosità. L’abate, quindi, come già detto in precedenza, ha il compito di curare una ripartizione adeguata dei carichi di ciascuno. Gli sviluppi del ruolo del lavoro nella storia pedagogica successiva porteranno a scoprire prima l’importanza delle attività manuali e pratiche nei curricoli formativi. Il lavoro diventerà, da parallelo e complementare allo studio, parte integrante dello studio stesso. Nella regula Magistri vengono fissate le norme relative alla formazione dei novizi e dei giovani accolti nelle scholae monastiche, dove l’abate o monaci scelti insegnano anzitutto la lettura e la scrittura, propedeutiche all’interpretazione dei testi sacri. Nell’educazione del fanciullo, Benedetto raccomanda di utilizzare la dolcezza e, quando è ritenuto opportuno, anche qualche ricompensa; comportamenti questi che menzionano un attenzione al fanciullo tipica dello spirito originario del cristianesimo. Secondo benedetto occorre usare, nei confronti dei giovani fino l’età di quindici anni, moderazione e prudenza. Egli si preoccupa di legare questo principio alla regula aurea che ne ribadisce la sacralità, e di ricorrere alla minaccia di provvedimenti per gli adempienti. Infatti nella regola sta scritto: <<non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te>>. Le pratiche educative abusavano spesso dei mezzi correzionali, vista la frequenza con cui gli abati richiedevano la moderazione. Da questo punto di vista l’educazione monastica non riesce a liberarsi del retaggio della tradizione antica e non riesce a penetrare i moventi psicologici dell’infanzia, dando così origine ad uno spiccato “audultismo” peculiarità che durerà nelle pratiche educative fino all’età moderna.

Vita monastica

La lettura

Il lavoro – orat et labora

Accurata distribuzione del lavoro

Il lavoro nel futuro…

Regula magistri

Educazion del fanciullo

Ritorno all’uso di metodi correzionali

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I CONTENUTI DELLA PRATICA SCOLASTICA NEL MEDIOEVO

La scuola del medioevo, presenta fin dai suoi albori, molti punti in comune con le istituzioni primarie dell’età ellenistica. Il maestro, nella tradizione ellenistica, aveva il compito di preparare l’alunno sotto l’aspetto tecnico: doveva perciò insegnargli a leggere, a imparare a memoria, a scrivere e a contare. I metodi didattici sottolineano il carattere eminentemente passivo delle modalità di apprendimento richieste: l’allievo doveva apprendere in più o meno tempo ciò che gli veniva insegnato; se questo non avveniva, si ricorreva alle punizioni corporali. In un brano dello storico dell’educazione Pierre Richè si trovano molte analogie tra le due tradizioni nonostante queste si trovino in contesti molto differenti fra loro. Di seguito riportati vi sono i punti principali del testo.

- La scuola e il suo mobilio: l’aula non ha un nome. A sostituire a grandi linee il termine Auditorium, scomparso agli inizi del VI secolo, vi era l’espressione scholae. Questo vocabolo aveva però vari significati all’epoca. La scuola è situata all’interno di complessi monastici o episcopali. Il problema di scuole esterne, per i fanciulli secolari (non appartenenti a congregazioni monastiche) non si è ancora posto. L’aula era molto piccola in scala con le costruzioni che la circondavano. Nelle abazie, dove i monaci erano più numerosi, c’era forse una classe per ogni decade.

- La lettura: la prima tappa della lettura è sempre l’alfabeto. Il fanciullo ricopiava le lettere sulla sua tavoletta. Se il ragazzo era privo di tavoletta, incideva le lettere sul suo cinturone in cuoio. Dopo aver imparato le lettere il fanciullo passava alle sillabe e poi ai nomi.

- La scrittura: nelle scuole romane il fanciullo aveva a disposizione una tavoletta, sulla quale sono incise le lettere ch’egli deve disegnare. Questo strumento viene chiamato productalis. Prima il ragazzo imparava a scrivere in seguito faceva un tirocinio negli scriptoria, dove il maestro gli insegnava le scritture in uso. Tutto ciò avviene in modo analogo nella scuola dell’alto medioevo.

- Studio del salterio: dal momento in cui l’alunno conosce le lettere, gli viene consegnato il primo libro, il salterio, ossia il libro che raccoglie i salmi da cantare o da recitare nel corso della settimana. Questo metodo, generato dalla tradizione monastica si è poi diffuso nelle scuole e nell’insegnamento privato. Il maestro fa copiare alcuni versetti sulle tavolette e il ragazzo deve impararli a memoria, così come ai nostri giorni, il giovane mussulmano impara a leggere e a scrivere usando le sure del corano. Questa tecnica aveva un fine triplice: l’alunno imparava a leggere, a scrivere e studiava su un testo sacro.

- Canto e calcolo: l’insegnamento elementare comprende anche il canto e il calcolo. Il maestro di musica deve accontentarsi di insegnare le

La scuola medioevale richiama le istituzioni primarie dell’età ellenistica

Scuola medioevale e analogie con quella ellenistica:

scuola e il suo mobilitio

La lettura (e il materiale)

La scrittura

(tirocinio negli scriptoria)

Studio del Salterio

(metodo con il Salterio)

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note e di impostare la voce, senza entrare nello specifico della teoria musicale. La vita praejecti precisa che il maestro indica più volte le melodie che i fanciulli ripeteranno in seguito. Il calcolo si limitava agli aspetti più pratici e semplici. Prima ci si esercitava con gettoni, come San Sansone, esercitarsi con dei gettoni per poi apprendere il calcolo digitale. Questo metodo è esposto nel de temporum ratione; inoltre in quest’opera da le regole con le quali il monaco può calcolare rapidamente i cicli lunari e solari, utilizzando l’articolazione delle dita. I problemi aritmetici venivano sottoposti ai fanciulli più istruiti, poiché questo genere di attività si va inserendo più nel genere letterario dell’enigmistica che nello studio del calcolo.

La narrazione di Richè dimostra che l’educazione scolastica altomedievale non differisce molto da quella antica, per lo meno sul piano della metodologia didattica, mentre se ne allontana un po per quanto riguarda la scelta di alcuni contenuti, per esempio la lettura del libro sacro, il Salterio. In effetti, in questo periodo si affaccia una novità nel campo della scuola: vale a dire il suo essere dominata dagli aspetti legati alla fede cristiana. Questa dipendenza dalle istituzioni religiose e dal clero è determinata dal fatto che questo gruppo sociale è l’unico a poter fornire degli insegnanti. Questa dipendenza, quindi, si deduce anche nella scelta dei materiali didattici. Se i maestri della tradizione ellenica e romani si rifacevano per i loro insegnamenti ai grandi poeti, gli altomedioevali ricorrono alle Sacre Scritture, in modo che l’educando si esercita nella lettura e si formi allo stesso tempo nella fede. La componente religiosa nella pratica educativo continuerà a persistere con grande importanza fino le soglie del Novecento. In tutto quest’arco di tempo però si è verificata una forte contraddizione fra l’idea e la pratica dell’educazione. Il cristianesimo infatti predica la mitezza del maestro, sebbene la pratica scolastica di quest’ultimo resti per secoli dopo il medioevo contrassegnata dall’uso della “violenza educativa”. Una testimonianza molto toccante a riguardo è quella fornita dal Giovanni Conversini da Ravenna, il quale racconta con accenni drammatici la propria esperienza scolare, la quale avrà come risultato finale la fuga.

L’ETÀ CAROLINGIA E LA RIFORMA DELLA CULTURA E DELL’EDUCAZIONE

Al tempo di Carlo Magno l’europa si trova in una situazione di caos; un impero senza radici storiche; solo un unificazione della cristianità. È in questo contesto che l’imperatore Carlo cerca di mettere ordine, un ordine che richiede impegno anche nel campo culturale, nonostante fosse in grado di scrivere a malapena il suo nome, che il monarca assume con precise finalità politiche: formazione di un clero colto, in grado di fornire buoni funzionari per l’amministrazione, e di una classe dirigente laica politicamente istruita.

Gli albori della riforma carolingia sono segnati dalla creazione di una scuola annessa ai palazzi reali per i figli delle nobiltà laica. La direzione

(Musica)

(calcolo)

(De temporum oratione)

Peculiarità religiosa della scuola

Contraddizione tra l’idea e la pratica dell’educazione cristiana

Carla Magno organizza l’impero

La scuola palatina

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della scuola palatina (= scuola annessa al palazzo reale per volonta di Carlo Magno) viene affidata nel 782 ad un dotto monaco inglese, capo della scuola di york: Alcuino (730 ca.-804). Dalla sua posizione di prestigio Alcuino esercita una grande influenza sulla cultura del tempo, chiamando a sé come collaboratori personaggi di grande fama come Eginardo, futuro biografo di Carlo magno, Paolo Diacono e Rabano Mauro Magnenzio (fu proprio Alcuino a dargli il soprannome Mauro, in memoria di un discepolo di Benedetto da Norcia). Egli dirige la scuola, ne redige molti manuali, insegna personalmente al sovrano, alla sua famiglia e a tutti gli aspiranti agli incarichi burocratici e militari di maggior rilievo. Il suo controllo sulla politica scolastica dura fino il 790, anno in cui si ritirò nel monastero di Tours , il quale diverrà a sua volta un grande centro culturale.

Negli otto anni della sua permanenza a corte, Alcuino suggerisce a Carlo un sistemazione organizzativa della politica scolastica e i relativi programmi di insegnamento. Alcuino aveva intenzione dar forma ad una nuova Atene: <<Se molti si immedesimassero nelle vostre intenzioni, sorgerebbe in Francia una nuova Atene, che dico, un’Atene più bella dell’antica perché, nobilitata dall’insegnamento di Cristo, la nostra supererebbe tutta la sapienza dell’Accademia. Per istruirsi, l’antica non aveva che le discipline di Platone; eppure, formata dalle sette arti liberali, non ha cessato di risplendere: la nostra sarebbe in più dotata della pienezza settiforme dello Spirito e supererebbe tutta la dignità della sapienza mondana.>>

[Alcuino, da Epistolae, nr. 170]

Alcuino propone uno stereotipo di maestro a modello di Egberto di York, che fu suo insegnante. L’epoca dello studioso è caratterizzata da un impoverimento dei libri di testo, delle scuole e dei centri di studio: situazione alla quale, dotti come Alicuino, cercano di reagire. Il modello di maestro proposto è quello dell’uomo dalla formazione enciclopedica, capace di educare i suoi discenti non solo nelle sette arti liberali ma anche nel campo scientifico del tempo. La qualità dell’insegnante viene misurata in base al suo grado di cultura. Non vi è ancora quella consapevolezza del rapporto fondamentale fra qualità di insegnamento e capacità di mediazione didattica. Il suo piano di studi prevede l’articolazione in tre livelli. I – si fornisce un’istruzione basilare che consiste nella scrittura, nella lettutura, nozioni elementari di latino volgare, comprensione sommaria della bibbia dei testi liturgici.

II – formazione nelle sette arti liberali (grammatica, retorica, dialettica | aritmetica, geometria, astronomia e musica).

II – studio approfondito delle sacre scritture.

Nell’admonitio generalis del 789 si sottolinea la necessità di fondare una scuola in ogni monastero o sede vescovile, in cui vengono impartiti gli insegnamenti della grammatica, del canto e dell’aritmetica, raccomandando

(la scuola palatina)

Alcuino di York

Progetto di Alcuino

Modello di maestro secondo Alcuino

Admonio generalis – scuola in monasteri e sedi vescovili. La cultura si diffonde come la parola di Cristo.

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al clero di mogliorare la propria preparazione, cosicchè a sua volta, insegni al maggior numero possibile di giovani. I futuri educatori dovranno evitare che i giovani si corrompano imparando a leggere e a scrivere. Se devono trattare di argomenti religiosi, lo facciano da uomini maturi.

Con la riforma carolingia nel campo scolastico, si ha la fondazione, oltre di centri monastici, di scuole episcopali, cioè annesse alle sedi vescovili, e di scuole presbiteriali, legate alle sedi parrochiali, queste ultime destinate alla formazione dei laici.

Nonostante al sistema scolastico carolingio poteva avere accesso un ristretto numero di nobili, quantità che andrà col tempo ad accrescersi, resta tuttavia sostanzialmente riservato al clero. La preparazione richiesta ai sacerdoti non è particolarmente elevata: consiste nella conoscenza del latino, lingua ufficiale nella chiesa d’occidente, e nella conoscenza delle sacre scritture e della liturgia. La conoscenza della grammatica non è richiesta, è necessario che il sacerdote sappia recitare a memoria le preghiere e che sappia celebrare la messa senza errori. L’apprendimento a memoria è ritenuto fondamentale data la difficoltà della lettura dei testi manoscritti senza segni di interpunzione. Il vescovo, con periodici esami, verifica se la preparazione sia accurata.

I sacerdoti hanno un compito educativo che svolgono durante le celebrazioni eucaristiche o durante le predicazioni. Si tratta di una formazione consistente nell’evangelizazzione e nell’orientamento del comportamento del popolo, con le opportune prescrizioni e proibizioni, all’obbedienza dei comandamenti divini.

La riforma carolingia ha come effetto un indubbio potenziamento dell’istruzione e del sistema scolastico, ma che per contropartita non va a soddisfare il bisogno di educazione ed istruzione dei laici, i quali dipenderanno per tale fattore dalla chiesa per diversi secoli

LE SCUOLE E LA FORMAZIONE LAICA

LO SVILUPPO DELL’ISTRUZIONE SUPERIORE E LA NASCITA DELLE UNIVERSITÀ

Dopo la riforma carolingia e lo stabilizzarsi successivo della situazione politica, le scuole monastiche ed episcopali crescono e si specializzano, divenendo centri di cultura di fama internazionale. La trasformazione di maggior rilievo verificatasi nell’ambito scolastico del basso medioevo è senz’altro la nascita delle prime università, che si verifica tra la fine del XII secolo (Parigi, Bologna, Salerno) e l’inizio del XIII (Padova, Napoli, Oxford, Tolosa e Vercelli). Le università generalmente sono nate da scuole episcopali che si sono emancipate sia dal controllo del vescovo, sia da quello delle autorità politiche locali.

Le università devono il loro nome alle universitates, delle istituzioni originate da corporazioni di studenti e docenti che si associano per difendere i proprio interessi all’interno di un centro didattico e di ricerca che veniva

Scuole episcopali e presbiteriali

Formazione dei sacerdoti

No grammatica

L’apprendimento a memoria

Compito educativo dei sacerdoti

Specializzazione delle scuole monastiche ed episcopali. Nascono le università

Gli studia

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definito Studium. Negli studia si distinguono quattro facoltà: arti liberali, diritto, medicina e teologia. Per l’insegnamento vengono approntati locali, materiali e biblioteche. Il numero di coloro che prendon parte a questa organizzazione è in crescita, perciò si costruiscono colleggi per gli allievi e per i docenti, e si impiantano attività di produzione libraria su vasta scala per far fronte alla richiesta di manuali. Si istituisce un’organizzazione didattica che prevede la scelta degli insegnanti da parte dei rettori della comunità e il loro pagamento da parte della comunità stessa. Esiste anche una carriera interna: per diventare magister theologiae occorre essere stato magister artium, in quanto quest’ultimo insegna materie di carattere propedeutico al sapere considerato più importante, la teologia. Essendo il latino lingua dotta comune, i magistri posono passare liberamente da un’università all’altra su tutto il territorio europeo, spesso seguiti dai clerici vagantes, studenti che si spostano per frequentare le lezioni degli insegnanti più illustri. Questo rappresenta un grande fattore per l’”euperizzazione” della cultura. Un europa unita non solo dalla fade ma anche da un baluardo di sapere. Uno degli obbiettivi di Carlo Magno, quindi, giunge qui a termine. L’attività si componeva di una lectio, in cui il maestro leggeva e commentava un testo, e di una disputatio, cui parteipavano direttamente gli studenti, consistende nell’esame di un problema e di tutti gli argomenti pro e contro la sua soluzione, secondo il metodo attuato da Abelardo (1079-1142), maestro della scuola parigina, nel suo Sic et Non. Queste discussioni si dividono in questiones disputatae, che partono da problemi prefissati dal maestro,che, dopo l’opportuna discussione ne detta la soluzione, e qustiones quodlibeta, le quali sono tenute in occasioni solenni come il Natale e la Pasqua e riguardano argomenti liberamente proposti. La diffusione di questo metodo influenza la produzione letteraria, in cui si diffondo summae e Sententia, divise per argomenti da utilizzare in seno alle discussione. Si origina per di più un nuovo modo di porsi di fronte alla cultura. Vengono riscoperti il dibattito, l’argomentazione e la critica razionale. Il numero di laici nelle università aumenta progressivamente, così da far perdere all’istruzione universitaria la sua finalità religiosa che aveva caratterizzato tutto il periodo precedente così da accostare curricoli sempre più specialistici. Accanto alle facoltà universitarie si diffondo livelli di istruzione inferiore, da parte di borsisti o studenti anziani che forniscono ad allievi locali o a studenti appena iscritti una formazione prevalentemente linguistico-grammaticale, spesso con formazione propedeuti agli studi universitari.

LA FORMAZIONE BORGHESE E QUELLA POPOLOARE: LE SCUOLE DI ARTI E MESTIERI

Nel basso medioevo si assiste all’instaurarsi di attività di istruzione laica svincolate sia dai centri di formazione ecclesiastica, sia dall’educazione aristocratica. Nell’alto medioevo il percorso formativo dei laboratores (contadini) avviene semplicemente facendo partecipare i giovani alle attività degli adulti, ma l’organizzarsi di un tessuto economico e mercantile nella città, dopo l’anno mille, pone nuove esigenze che richiedono anche una

L’euperizzazione

Attività didattica

Questiones disputae …

e questiones quodlibeta

la loro influenza nella letteratura

l’università perde la sua finalità religiosa

livelli inferiori di istruzione

educazione dei contadini prima dell’anno mille

dopo l’anno mille

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modifica nei modelli educativi. I bambini fin da piccoli, nelle famiglie cittadine, vengono educati ad un lavoro che non è necessariamente quello del padre. All’età di sette anni il figlio maschio viene affidato ad un artigiano esperto, attraverso un contratto che implica una prolungata convivenza, che farà loro da maestro, non solo nel campo pratico ma anche in quello morale. Un ulteriore svolta si avrà quando le corporazioni organizzeranno l’apprendistato con precise regole, volte a tutelare i “segreti del mestiere e a rendere gli insegnamenti più sistematici: l’istruzione professionale comincierà a diventare oggetto di discussione a livello collettivo, così favorendo il sorgere di vere e proprie scuole di arti e mestieri. Un contratto di affidamento ritrovato dimostra che esso richiede precisi obblighi sia per l’allievo, sia per il maestro, i quali passeranno un lungo periodo di convivenza insieme (nello scritto per 6 anni),durante il quale l’apprendista entrerà nella casa e nella famiglia dell’artigiano. Per di più il maestro deve versare un compenso di denaro in cambio di prestazioni lavorative, cioò dimostra come esso sia interessato alla qualità dell’apprendistato dell’allievo, nonché alla sua fedeltà. La figura dell’educatore artigiano è completamente nuova rispetto a quelle precedenti: non si tratta più di un ruolo “paterno” o “professionale”, in quanto chi educa stipula piuttosto un patto sociale con chi è educato, intrecciando con lui un un vero e proprio “progetto di vita” secondo precise regole. Inoltre l’attività sempre più in crescita del commercio richiede una base di alfabetizzazione e qualche conoscenza aritmetica, perciò le autorità comunali, per far fronte alle richieste dei mercanti istituiscono delle scuole comunali, in cui si forma l’educando in una preparazione orientata aibisogni pratici, estranea al modello formativo ecclesiastico. Il maestro comunale, con tanto di contratto, si impegna a svolgere il proprio lavoro con assiduità e impegno, non solo curando di esporre, ma anche verificando che quanto esposto sia stato effettivamente appreso, e controllando che gli allievi si aiutino l’uno con l’altro, secondo quella che appare una precoce attestazione del metodo del “muto insegnamento”, elaborato ed applicato per la prima volta tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo, in alcune scuole primarie per poveri, dal pedagogista-pedagogo e filantropo inglese Joseph Lancaster e dal reverendo Andrew Bell, quest’ultimo impegnato come missionario in India. L’educazione sociale e morale non è più appannaggio della chiesa e della famiglia, ma viene affidata anche all’istituzione scolastica: è questo un altro importante compito del maestro. L’educazione religiosa, nel suo doppio aspetto di cultura e partecipazione alle cerimonie, entra a far parte del compito dell’educatore, ch deve perciò occuparsi della “scuola domenicale”. L’autorità comunale dimostra l’importanza sociale dell’istruzione, perciò a questa devono prendere tutti parte. Il maestro quindi deve adattare la sua esposizione secondo la capacità e la comprensione degli ascoltatori.

… La formazione aristocratica: IL CAVALIERE

La formazione aristocratica non avviene in vere e proprie scuole, eccetto la sopravvivenza di alcune scuole palatine, ma in relazione a un modello e a un

con l’istituirsi di regole precise

Fonte storica: ritrovamento di un contratto di affidamento

Conoscenza dell’aritmetica, per i commercianti. Le scuole comunali

L’impegno del maestro comunale

Il “muto insegnamento”

L’educazione religiosa nelle scuole

La nobiltà dell’epoca, basata sul sistema feudale, avevano una concezione opposte rispetto a quella dei monaci rnei confronti della cultura, messa decisamente in secondo piano rispetto alle virtù cavalleresche

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curricolo incentrato sull’ideale cavalleresco che si sviluppa intorno al X secolo. I punti su cui fa perno la formazione del cavalliere sono i valori del coraggio, dell’onore, dell’abilità cavalleresca, dell’eleganza e della bellezza fisica. Nel manuel pour le mon fils scritto dalla nobildonna francese Duhoda fra l’840 e l’843, si riscontra la figura del cavalliere già a partire dal IX. Nell’XI secolo tale ideale viene esteso, anche a opera della chiesa, in difesa della chiesa stessa, dei poveri, dei deboli, delle donne, addolcendo l’espressione della sessualità con l’ideale dell’”amor cortese”. Agli albori della sua comparsa nel contesto alto medievale, il cavalliere non era nemmeno alfabetizzato. Solo a partire dal basso medioevo viene istruito e avvicinato alle arti cortesi della poesia, della musica e del canto. Il suo apprendistato avviene a partire dai sette anni (età in cui il medioevo considera un individuo adulto), quando lascia la casa paterna per diventare paggio presso un aristocratico legato al padre, al cui servizio sarà nominato scudiero (intorno ai quindici anni) e cavaliere (a ventun’anni). Sarà da questo nobiluomo che gli verranno insegnate le condotte e le virtù che convengono al suo rango, assieme all’apprezzamento delle arti cortesi.

L’EDUCAZIONE DELL’UMANESIMO E DEL RINASCIMENTO ITALIANO ED EUROPEO

IL CONTESTO Con il termine rinascimento si indica il complesso movimento artistico culturale e di costume che segna il passaggio dal medioevo all’età moderna, mentre l’umanesimo ne rappresenterebbe l’aspetto filologico-letterario, con il suo rifiorire degli studi della lingua e della cultura classiche. Si ha una forte attrazione verso la classicità e la centralità dell’uomo che la caratterizza: le hamanae litterae e gli studia humanitatis vengono intesi come ciò che consente all’essere umano di elevarsi alla propria perfezione e completezza. Tutto ciò da origine a un nuovo modello antropologico e sociale, volto alla riscoperta del valore dell’individuo e all’esaltazione della sua capacità di forgiare il proprio destino e di mutare il mondo, come esprimono l’immagine dell’homo faber, secondo cui l'unico artefice del proprio destino è l'uomo stesso e alle molteplici celebrazioni de dignitate hominis. Nasce dunque la necessità di un processo formativo che prenda in considerazione l’educando nella sua unicità, con la sua specifica motivazione e modalità di apprendimento e particolari interessi: ne consegue l’introdzione di criteri quali la gradualità, l’aderenza alla psicologia dellalunno, lo stimolo positivo, il riconoscimento della peculiarità del bamino rispetto all’adulto. Questo lungo processo non sempre lineare, apre le porte alla pedagogia moderna. Rifacendosi ai testi classici, gli studiosi del Quattrocento propongono un idea di educazione che miri a formare l’uomo nella sua completezza grazie allo sviluppo armonio di tutte le sue potenzialità. Ci si comincia a chiedere se il modello educativo umanistico dell’oratore possa essere ancora adeguato di fronte alle esigenze della vita sociale della classe dirigente. Di pari passo con le trasformazioni socio-politiche si modificano anche le strutture scolastiche, i metodi di insegnamento, i rapporti tra le varie discipline e i libri di testo. La scuola diventa consapevole della difficoltà,

L’ideale si estende anche nella chiesa

Apprendistato del cavaliere

Rapporto umanesimo – cristianesimo

Conseguenze nella cultura

Conseguenza nel processo formativo

Quattrocento

La scuola

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dell’importanza e allo stesso tempo della delicatezza del suo compito e comincia a intendere la disciplina non più come basta sulle punizioni morali o corporali, ma sulla reciproca comprensione maestro-allievo. Le scuole si aprono ai ceti meno agiati e nelle varie regioni vengono aperto numerose scuole libero.

LA RILETTURA RINASCIMENTALE DEI MODELLI UMANISTICI

L’umanesimo descrive l’educazione del principe in modo non molto dissimile dal “vir bonus dicendi peritus” ciceroniano, aggiungendovi l’ideale della sapientia christiana. In quest’epoca sembra quasi di fare un tuffo nell’Atene classica in cui non vi era filosofo che non trattava con determinazione e importanza la formazione civile, intesa come il prender parte alla vita pubblica, in allegato alla cultura. Ne emerge un doppio modello di educazione politica: quella del principe e quella del cittadino, uniti dall’idea che la cultura renda “buoni”, e quindi renda la sua partecipazione alla vita politica, quale che ne sia il ruolo, ottimale. Il Cinquecento arreca una prospettiva parzialmente diversa, sia per quanto concerne la modalità della partecipazione politica, sia per l’individuazione dei fini dell’educazione dei caratteri concretamente necessari a un particolare ruolo (il principe di Macchiavelli, scritto nel 1513, nel quale espone le caratteristiche dei principati e dei metodi per mantenerli e conquistarli). Emergono due filoni culturali: da una parte una prosecuzione delle linee pedagogiche dell’umanesimo, dall’altra una netta frattura con esse in nome della “realtà effettuale”. Un caso particolare è quello dell’utopismo de la città del sole di Tommaso Campanella.

EDUCAZIONE DEL CORTIGIANO : Castiglione E Della Casa

Tra il 1513 e il 1518 Baldesar Castiglione compone il libro del cortegiano, in cui non sono citati tutti i comportamenti del cortigiano come fosse un manuale, ma piuttosto è la descrizione del perfetto uomo di corte e della sua compagna, cioè di quell’aristocrazia che ha assimilato almeno gli aspetti più esteriori dell’umanesimo. Nel delineare la formazione del gentiluomo che viva in corte di principi e che sappia loro servire in ogni cosa ragionevole, Castiglione individua necessari sia gli studia humanitatis, sia la formazione fisica, ma, aggiunge, accoppiati con caratti già preesistenti, come la nobiltà di nascita e la bellezza. Allo stesso modo egli pone l’educazione della dama di cort e del principe. Sempre nella stessa direzione formativa che recepisce gli elementi fondamentali dell’umanismo, ma ne riduce notevolmente quel che è l’aspetto spirituale, si colloca il Galateo, composto tra il 1551 e il 1555 da monsignor Giovanni Della Casa, con l’intento di fornire una precettistica incentrata sull’ideale dell’armonia come criterio di autoformazione e di rapporto con gli altri. Il galateo si presenta in forma di dialogo, in cui un anziano illetterato,

Richiamo all’Atene classica

Doppio modello di educazione

Cinquecento - rilettura dei modelli umanistici

Baldesar Castiglione- il libro del cortigiano

Formazione del cortigiano

Giovanni Della Casa – il Galateo

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ma ricco di esperienza, istruisce un giovinetto alle “regole di buona creanza”, basate sulla saggezza e il buon senso affinchè egli diventi costumato, piacevole e di bella maniera. Questo libro non resterà solo tra le mani degli aristocratici ma si diffonderà come elemento importante per la borghesia che vedeva nel comportamento esteriore uno dei modi per emulare la condizione aristocratica.

EDUCAZIONE DEL PRINCIPE: Macchiavelli

Formatosi alla scuola degli umanisti, ma ben addentro ai torbidi della politica grazie all’incarico di segretario della repubblica fiorentina, nei suoi discorsi sulla prima deca di tito livio e soprattutto nel principe, Nicolò Macchiavelli (1469-1527) vuole descrivere la <<realtà effettuale>> senza farsi condizionare da miti o utopismi. L’opera in cui questa posizione metodologica prende svolta verso un discorso pedagogico è il principe. Come primo trattao di scienza politica, il principe è un discorso sulla conquista, sul governo, e il mantenimento del potere dello stato. Macchiavelli ne “il principe” delinea una serie di caratteristiche che il regnante deve assumere, partendo dal presupposto che tra gli uomini prevale la malvagità e quindi chi li governa deve essere volpe e leone per arginarla, a seconda di come le circostanze lo richiedono, e mantenere il potere. Inoltre, un principe prudente non deve necessariamente mantenere la parola data qualora una tale fedeltà gli si torca contro, oppure vengano a mancare i motivi per i quali è bene che egli la osservi. Il Signore deve essere un gande esempio di homo faber. Per plasmare un principe vi è tutto un percoso formativo pratico, volto alla contemplazione dell’uso della violenza, della crudeltà, del tradimento e della menzogna, pur di raggiungere il fine preposto; il principe dovrà a sua volta essere educatore del suo popolo, orientando tutte le sue azioni all’esclusivo scopo dell’ordine e dell’obbedienza. Questo modello educativo ha comunque alle spalle una concezione di virtù come fine cui la formazione del principe deve giungere. Il termine virtù in Machiavelli cambia significato: la virtù è l'insieme di competenze che servono al principe per relazionarsi con la fortuna, cioè gli eventi esterni. Essa (la virtù) è del tutto laica e si incentra sui valori del coraggio, dell’astuzia, della forza, della volontà che sa sottomettere gli eventi della sorte ai propri disegni. Si tratta quindi della prosecuzione dell’ideale dell’homo faber. Si tratta però di un modello così accentuato da far si che il principe diventi una delle opere più esecrate dalle autorità politiche e religiose, a causa del suo presunto immoralismo, che in realtà aderisce alla <<verità effettuale>> della politica del suo tempo.

Diffusione del libro anche nei ceti borghesi

Macchiavelli descrive la realtà effettuale

Il Principe

Caratteristiche del principe

Formazione del principe

Prosecuzione dell’homo faber

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L’EDUCAZIONE DEL PRINCIPE Erasmo da Rotterdam, l’Institutio

Contemporaneo di Macchiavelli, di grande contributo alla storia dell’uomo, è Erasmo da Rotterdam (1466-1536). Nonostante vissero nelle stesso periodo storico costoro possedevano delle proprie concezioni sull’educazione del principe contrapposte tra loro. Da una parte abbiamo Macchiavelli che scrive le sue amare constatazioni sull’uomo e sulla politica, dall’altra Erasmo che si mantiene ancora nella traccia di una fiduci assoluta nell’educazione. Come consigliere del futuro Carlo V, Erasmo si preoccupa di sottolineare che un principe saggio deve essere formato alla filosofia , la quale libera la mente dalle false opinioni della gente e dalle predilezione delle masse. A questo deve provvedere un buon maestro capace di unsare un criterio didattico di equilibrio e di <<giusto mezzo>> (si vede qui lo spirito imanistico di Erasmo, nel suo richiamo ad una concezione di equilibrio che risale al pensiero di Aristotele). Da inoltre importanza al fatto che il principe deve sapere prima di ogni altra cosa la vita di Cristo. Il filosofo olandese cerca di accentuare la pietas tra i valori di un principe cristiano, vuole che nella sua educazione si ammicchi ancora ai valori della vita evangelica. Ecco perché il principe deve conoscere la vita di Cristo: per non entrare a far parte di quel contesto medievale in cui vi era, pienamente in contrasto con i valori del cristianesimo, la legittimazione canonica della guerra, per esempio da parte di Sant’Agostino e San Bernardo. Infatti quest’ultimo non deve intraprendere mai una guerra, se non quando, dopo aver tentato di tutto, non ci siano modi per evtarla. Il principe deve sviluppare nella sua condotta un equilibrio che faccia costante appello alla razionalità e alla ragionevolezza. Questo implica che le decisioni de principe, diversamente dal modello medagogico di macchiavelli, non siano unicamente improntati a criteri di utilità politica: Erasmo auspica che la sua educazione si basi su precisi valori.

Spano Giorgio

Macchiavelli e Erasmo da Rotterdam: due pensieri contrapposti

Il principe secondo Erasmo

[le sue esperienze cosmopolite furono espressione concreta , in un epoca di accesi nazionalismi e guerre religiose, dell’aspirazione alla creazione di una cultura universale tramite la sintesi delle lettere classiche e di un rinnovato cristianesimo]