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L’articolo 49 della Costituzione1,da cui è tratto il titolo e l’argomentodi questo scritto, non fu accompa-gnato ai tempi della Costituente daalcuna particolare enfasi che siapossibile ricordare. Eppure il suocontenuto (l’inserimento dei parti-ti nella Costituzione) aveva un sen-so così rilevante che quando quel-l’articolo fu scardinato dal referen-dum del 1993 – quello che iniziò lareintroduzione nel nostro sistemarappresentativo di un modellomaggioritario – si parlò a tutte let-tere di un «autenticomutamento diregime».

A pronunciare queste parolefu l’allora presidente del Consiglioe autorevole costituzionalista Giu-lianoAmato parlando nella sua ve-ste istituzionale alla Camera deideputati. «Il voto referendario» –egli disse – determinava una «faseprofondamente nuova», «renden-dola definitiva e irreversibile». Nelreferendum per l’abolizione della

soglia di sbarramento nei collegiuninominali del Senato (e, dun-que, per la introduzione in essi delmaggioritario puro) erano in gioco«le regole per la formazione dellarappresentanza parlamentare e,di riflesso, dello stesso governo. Ingioco erano il ruolo dei partiti e,con esso, le forme e i modi di orga-nizzazione della politica».

Per chiarire in cosa consi-stesse la «fase nuova» in questa de-cisiva materia «in gioco» Amatocontinuava affermando che il votoreferendario esprimeva «il ripudiodel partito parificato agli organipubblici e collocato tra di essi». Ilriferimento all’art. 49 non potevaessere più esplicito. A scanso diogni dubbio interpretativo il presi-dente del Consiglio aggiungevaquella sentenza finale che primaricordavo, affermando che quelvoto costituiva «un autentico cam-biamento di regime, che fa moriredopo settant’anni quel modello di

partito-Stato che fu introdotto inItalia dal fascismo e che la Repub-blica aveva finito per ereditare, li-mitandosi a trasformare un singo-lare in un plurale». La constatazio-ne di un avvenuto mutamento ra-dicale era esatta. Ma meno com-prensibile era la soddisfazione perun evento di cui chiaramente si av-vertiva, pur senza dichiararlo for-malmente, il significato di rotturacostituzionale.

Non avendo dubitato del si-gnificato acostituzionale del refe-rendum, e delle sue pericolose con-seguenze, avevo partecipato allaopposizione – certamente perden-te, dato l’atteggiamento dei partitidell’epoca – contro l’assenso alquesito proposto; e tuttavia mistupì una conferma così rapida ecosì solenne dei peggiori sospettisugli intenti avversi alla medesi-maprimaparte dellaCostituzione.E infatti se si incolpa la Repubbli-ca – la quale, com’è ovvio, si confi-

I PARTITI E LA DETERMINAZIONEDELLA POLITICA NAZIONALE*

Aldo Tortorella

L’attacco all’articolo 49 della Costituzione e al ruolo dei partiticome frutto della tendenza a dare la colpa della crisi del sistema politico

all’assetto costituzionale. All’origine della crisi non fu l’osservanzadei precetti istituzionali, ma la loro parziale applicazione

o la loro palese violazione. La destrutturazione dei partiti ne ha cambiatoil modo di essere e la natura, accrescendo il potere oligarchico.

osservatorio

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gura nelle sue fondamenta costitu-zionali – è di queste fondamentache si intende parlare, tanto piùnella prosa di un politico prove-niente dall’accademia giuridica.D’altronde era stato proprio unpresidente della Repubblica, allo-ra da poco dimissionario – il sen.Francesco Cossiga – a inaugurarel’attacco ufficiale alla Costituzionedefinendola, in un messaggio alleCamere, un compromesso da supe-rare, nonostante che per il suo uf-ficio istituzionale fosse suo dovevadifenderla e che in quanto liberodocente della materia fosse suocompito discuterla nelle sedi pro-prie, non prevaricando le posizionidi dottrina diverse dalla sua conl’uso dell’autorità politica.

Debole a me parve la replicaparlamentare a quella iniziativapresidenziale anche dalla partedove io sedevo,ma si era già nel cli-ma della crisi e poi del disfacimen-to dei partiti una volta uniti nellalotta contro il fascismo e nella Re-sistenza, fondatori della Repubbli-ca e autori del suo patto fondativo.Si ufficializzava così, con quelmes-saggio presidenziale, la tendenzasfortunatamente sostenuta dalladestra, dal centro e da parte dellasinistra a dare la responsabilità –anzi la colpa – della avanzante cri-si del sistema politico e della dege-nerazione stessa dei partiti non giàalla conduzione politica, ma all’as-setto e alle norme costituzionaliche avrebbero esse determinato loscadimento della vita politica eistituzionale. Oggi si è forse in mi-gliore condizione, dopo un quindi-cennio, di valutare se quel convin-

cimento fosse seriamente fondatooppure no e a quali conseguenzeabbia portato il «cambio di regi-me». E si può vedere meglio se, perquanto qui interessa, fosse accet-tabile l’affermazione secondo cui laRepubblica avesse in sostanza ere-ditato e riproposto il modello delpartito-Stato, di origine fascista –un modello, bisogna aggiungere,applicato in una diversa forma disocietà, anche nei paesi di tipo so-vietico –, cosicché il liberarsene po-tesse essere considerato una posi-tiva conquista.

I partiti nel dopoguerra

L’approvazione definitiva dell’ar-ticolo 49 – già presente nel proget-to preparato dalla commissione dei75 – avvenne il 22maggio del 1947.E cadde, dunque, per una coinci-denza casuale, in un momento disvolta: dieci giorni prima De Ga-speri, dopo qualche esitazione eanche su stringente pressione deirappresentanti degli Stati Unitivi,aveva scelto di rompere la coalizio-ne di governo composta ancora daipartiti della coalizione antifascista– quelli che si chiameranno poi del-l’arco costituzionale – escludendola sinistra e cioè il partito comuni-sta e quello socialista. È l’effettodell’inizio della guerra fredda for-malmente teorizzata all’inizio diquell’anno dal discorso di Chur-chill a Fulton mentre in Europa ein Italia erano ancora tutte apertele ferite della guerra, le distruzio-ni, la miseria, la disoccupazione, ilcarovita. È dunque logico che

l’attenzione non fosse rivolta par-ticolarmente ai singoli articoli del-la Costituzione, se si eccettua l’art.7 (l’inserimento in Costituzionedei patti lateranensi), che si veni-vano via via approvando. La noti-zia politica del momento, e degnadi memoria storica, era, semmai,che nessuno chiedeva di trasferirela rottura del governo nel lavorocostituente.

D’altronde, c’erano motivisostanziali per la convergenza del-le forze costituenti, e per il tacitoconsenso pubblico, intorno a quel-l’articolo 49. Nel totale dissestoeconomico, nel crollo delle struttu-re statali e nel discredito delle clas-si dirigenti che avevano promossoe accettato il fascismo, le avventu-re coloniali e la guerra, i partiti cheavevano resistito rappresentava-no l’unica forza concretamente ca-pace di fornire un personale politi-co credibile. Era questa l’opinioneanche delle potenze vincitrici e diquelle di esse che, per effetto degliaccordi di Yalta, assumevano inItalia una forma non dichiarata diprotettorato, che si trasformerà,poi, in alleanza militare e politicapermanente (senza che l’idea delprotettorato tramontasse, trasfor-mandosi in imposizione di una so-vranità limitata).

L’opera di supplenza che ipartiti vennero svolgendo in quellaprima fase del dopo guerra non ri-guardò solo le funzioni pubbliche,ma la ristrutturazione stessa o lacostruzione dalle fondamenta dellestrutture della società civile. I sin-dacati, le cooperative, le mutue, leassociazioni culturali e ricreative

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ricevono il loro impulso dai partiti.Per primi si mossero in questa di-rezione i comunisti e i socialisti –allora uniti dal patto di unitàd’azione – sulla base dell’argomen-tazione secondo cui se le organizza-zioni popolari e operaie erano statedistrutte dal fascismonon era acca-duto lo stesso per quelle delle clas-si possidenti sicché occorreva porremano a una riarticolazione dell’as-sociazionismo sociale dal verticealla base e viceversa.Manon diver-samente accadrà per la Democra-zia cristiana, chepure si poteva gio-vare della particolare vicinanzacon le organizzazioni cattoliche, ri-maste sostanzialmente attive, maaspirava tuttavia a una propria au-tonomia politica.

Non è però solo o prevalente-mente questo speciale ruolo rico-stituivo dello Stato e della riartico-lazione della società civile che con-siglia i costituenti a inserire i par-titi nel nuovo patto fondativoquanto, piuttosto, la memoria delfascismo e della soppressione del-le libertà politiche. All’opposto del-la tesi che sostiene la continuitàcon la concezione fascistica delruolo e della concezione istituzio-nale del partito politico, l’art. 49 èin primo luogo una garanzia delpluralismo politico e cioè una fon-damentale garanzia di libertà. Ilpassaggio dal singolare al plurale– anche se solo di questo si fossetrattato – non può in alcun modoapparire o essere considerato undettaglio grammaticale dato cheanche in questo solo passaggio vi èuna rottura drastica. La caratteri-stica specifica del partito-Stato è

nella sua unicità, anche quando unsistema politico si presenta con va-rie etichette politiche comeaccade-va in talune di quelle esperienzeche furono presenti nei paesi del-l’Est europeo e vennero chiamate«democrazie popolari». La varietàdelle denominazioni non esclude-va che un partito, quello dominan-te, costituisse una struttura politi-ca parallela alle istituzioni pubbli-che intervenendo in esse e sopra diesse al fine di imporre finalità, giu-dizi di valore e propositi operativi,in assenza di opposizione.

Proprio perché l’affermazionedel pluralismo politico costituisceuna fondamentale garanzia di li-bertà essa viene inserita nella par-te prima sui diritti e doveri dei cit-tadini, vale a dire tra i principi fon-damentali del Patto costituzionaleredatti – come si sa – dai protago-nisti principali di quella stagione edi tanta parte della vita nazionale.Alla discussione e alla stesura del-l’art. 49 in sottocommissioneaveva-no partecipato in particolare LelioBasso – cui si deve la proposta del-la formulazione più vicina al testofinale – Marchesi e Togliatti per ilPci, Dossetti, La Pira e Moro per laDc, con qualche riserva di Mortatisostenitore del controllo pubblicosui partiti. Basso, in realtà, volevaper i partiti anche specifiche funzio-ni istituzionali, che furono lasciatecadere, mentre Togliatti propose ildivieto della ricostituzione del par-tito fascista, norma che fu approva-ta ma che andrà poi tra le «disposi-zioni transitorie e finali».

Nel testo finale della Cartacostituzionale, quell’articolo vie-

ne posto immediatamente dopol’affermazione del diritto di voto«personale e eguale, libero e se-greto». Il diritto di tutti i cittadi-ni ad «associarsi liberamente inpartiti per concorrere con metododemocratico a determinare la po-litica nazionale» non indica alcu-na confusione tra Stato e partitima, esattamente all’opposto, poneuna delle condizioni irrinunciabi-li per l’attuazione concreta dellapartecipazione politica e della li-bertà stessa del voto. Infatti sipuò avere, e si aveva, un esercizioformale del voto anche nei regimia dominio prevalente di un solopartito e dove pure esistevano at-tività associative di varia natura:ma non si poteva dire che all’eser-cizio formale del voto corrispon-desse una libertà effettiva.

Proprio perciò, e memori del-la esperienza fascista, i costituen-ti affermano il pluralismo dei par-titi come garanzia fondamentaleper i cittadini e introducono il rico-noscimento della funzione dei par-titi per quella che essa è e dovreb-be essere: e cioè strumenti creatidai cittadini per partecipare a «de-terminare la politica nazionale»,espressione, questa, assai vasta –sicché ha comportato un ampio la-voro interpretativo per distinguer-lo dall’«indirizzo politico» –ma allostesso tempo chiara per ciò cheesclude. La determinazione dellapolitica con metodo democratico siriferisce alle opinioni, ai progetti,ai programmi da costruire nellospazio pubblico, non a indebite in-gerenze e meno che mai a sostitu-zioni o a prevaricazioni dei ruoli

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istituzionali. I partiti sono chiama-ti a farsi – come è stato ampiamen-te argomentato – organizzatoridella vita democratica e tramitetra la società civile e lo Stato.

Conventio ad excludendum

I fenomeni degenerativi nella vitadei partiti e nei loro rapporti con loStato non potevano dunque essereaddossati alla Repubblica e cioèalle sue fondamenta istituzionali ealle norme specifiche che più diret-tamente riguardavano i partiti.Una tale imputazione di responsa-bilità ha costituito non già il risul-tato di una analisi spassionatama,piuttosto, un alibi. E ciò è stato unmale non tanto per l’implicita au-toassoluzione di chi ne aveva biso-gno, quanto perché non si è anda-ti alla ricerca delle vere origini diquelle degenerazioni e, più oltre,della crisi di un intero sistema po-litico. In tal modo ne sono scaturi-ti rimedi o abborracciati e confusio del tutto sbagliati, per cui quellache è stata pomposamente chia-mata Seconda Repubblica sta ago-nizzando senza essere mai nata ese ne annuncia, da parte di alcuni,una terza di cui c’è, credo, viva-mente da preoccuparsi.

All’origine della crisi non ful’osservanza dei precetti istituzio-nali, ma semmai la loro assai par-ziale applicazione, quando non lapalese violazione proprio sul pun-to essenziale della determinazionedella politica nazionale. La condi-zione che la Costituzione poneva aquesto proposito è la perfetta pa-

rità istituzionale dei partiti. Egua-li tra di loro cittadini e cittadine,forniti e fornite di «pari dignità so-ciale senza condizioni», eguale «ilvoto personale libero e segreto» diciascuna e ciascuno, e dunqueeguali i partiti nella determinazio-ne della politica nazionale alla uni-ca condizione del rispetto del me-todo democratico e cioè della Costi-tuzione che ne fissa le norme.

Questa parità fu attuata perla libertà associativa e per la par-tecipazione alle competizioni elet-torali, anche se ci fu un lungo pe-riodo in cui fu forte la tendenza aporre in dubbio la esistenza stessadi un partito come il Pci. Il capo deiservizi segreti, ammiraglio Marti-ni, scrisse – andato a riposo – cheil Pci per lui era sempre stato «ilnemico»: ed eravamo negli anniOttanta. Ma per quanto attienealla determinazione della politicanazionale la parità fu posta in es-sere solo per uno dei suoi aspetti ecioè per le situazioni di crisi demo-cratica, per creare o ricreare le con-dizioni essenziali per lo svolgimen-to della dialettica democratica (ba-sti ricordare la lotta contro il ter-rorismo, tra i molti e gravi episodiche minacciarono la nostra demo-crazia). In tali frangenti, la paritàdelle forze politiche costituenti simanifestava sotto la forma di unaunità di intenti e di comportamen-ti pur senza confusione di ruoli tramaggioranza e opposizione.Madeltutto opposto al dettato costituzio-nale fu il ruolo statuito per la prin-cipale opposizione di quel tempo ecioè il Pci. Il ruolo di una opposi-zione nella determinazione della

politica nazionale è, certamente,nello svolgere pienamente e cor-rettamente il proprio ruolo di op-posizione. Ma questo ruolo com-prende in sé la prospettiva dellapossibile alternanza di governo.Senza questa prospettiva il ruolodella opposizione più che dimidia-to è stravolto. E fu proprio questoche accadde con il crearsi di unaconvenzione per escludere in lineadi principio il partito comunistadalla partecipazione al governo,una convenzione del tutto acosti-tuzionale, perché essa non fu mo-tivata, come sarebbe stato ed è co-stituzionalmente corretto, dallamancanza di affinità politica e pro-grammatiche con altri partiti,mancanza che ovviamente rendeimpossibile la coalizione. Quellaconvenzione fu imposta da vincoliprestabiliti daimaggiori alleati.Ciòfu evidente quando le affinità pro-grammatiche tra il Pci e gli altripartiti si manifestarono, si arrivò aun programma comune e a unamaggioranza comune,ma fu impos-sibile un governo comune perchécontinuò apesare l’interdetto ester-no contro il Pci2, nonostante cheesso avesse provveduto a rimuove-re gli ostacoli di politica interna-zionale che venivano invocati comedeterminanti per la conventio adexcludendum.

Le ricostruzioni storiche chetendono a occultare o a sminuirequest’ultimo dato di fatto ignoranola realtà, che venne a quel tempoimmediatamente riconosciuta daUgo La Malfa quando l’allora se-gretario del Pci andò aMosca a pro-clamare il «valore universale della

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democrazia» in aperta rottura diprincipio con i sovietici oltre che –comeeraavvenuto –di ogni rappor-to materiale. Ma l’ostilità fu massi-ma nonostante il fatto che la costi-tuzione della maggioranza parla-mentare di solidarietà nazionalefosse accompagnataunicamentedaun governo di concentrazione de-mocristiana. Per opera delle Briga-te Rosse, che breve tempo dopo ildelitto furono sgominate con il soc-corso degli infiltrati che c’erano an-che prima, Moro venne rapito e as-sassinato (e poiché cade in questitempi il trentennale di quella tra-gedia, va rinnovato il ricordo el’omaggio per l’uomo e lo statista).

Già sino a quel tornante tra-gico era stato estremamente diffici-le cercare di impedire dall’opposi-zione – da una opposizione cui era,appunto,preclusa laprospettivadelgoverno – che le scelte e le decisionidella politica nazionale avessero uncorso troppo unidirezionale. Se inalcuni casi ci si riuscì non fu perquella che venne poi chiamata unapolitica consociativa,ma per la logi-ca del processo democratico e cioèper il peso delle lotte operaie e po-polari, per la sollecitazionedelle au-tonomie locali, per imutamenti nel-l’opinione pubblica, non sempre enon solo sollecitati dalla sinistrapo-litica e sociale (si pensi almovimen-to femminista ed ecologista o, più inparticolare, ai movimenti sul divor-zio e sull’aborto), e dovuto anchealle conseguenzedel processodi svi-luppo. È per questa via che si arrivòa convergenze parlamentari e ariforme anche rilevanti (basti pen-sarealloStatutodei lavoratoriealle

acquisizionidelloStato sociale), allemisure di attuazione costituzionale(come, ad esempio, la istituzionedelle Regioni a statuto ordinario),all’affermazione di diritti civili pri-ma disattesi e per cui fu utile (comenel caso del divorzio) la norma delvoto segreto in Parlamento.

Quando, però, i margini offer-ti dalla espansione economica sivennero restringendo e sopraggiun-sero, dopo il primo shock petrolife-ro e la fine della convertibilità deldollaro, momenti di rallentamentoe di recessione, quando – cioè – fuevidente che o si imboccava la stra-da di più incisive forme di redistri-buzione del reddito e di riorienta-mento dei consumi oppure si torna-va indietro verso una più accentua-ta pressione sul lavoro dipendente,allora si vide che la preclusione a si-nistra – ormai ingiustificabile an-che sul terreno della politica estera– si radicava su ben più nette fon-damenta classiste. Si noterà che ilnuovo interdetto contro il Pci dopol’assassiniodiAldoMoro (quello cheviene ricordato come il preamboloForlani) cade nel momento in cui –siamo agli inizi degli anni Ottanta– negli StatiUniti conReagan si ve-niva attuando la svolta neoliberisti-ca e neoconservatrice.

Le conseguenze odierne

Ciò non significa che vada assoltada critiche la maggiore forza di op-posizione di allora. Il tentativo diunire una concreta capacità di go-verno alla volontà di mantenereaperta una speranza di modifica-

zione sociale avrebbe avuto biso-gno di un diverso impianto teoricoe politico,aggiornato ai problemi diuna società in rapida modificazio-ne. La piattaforma tradizionaledella lotta contro l’arretratezza erasuperata. Essa sboccava nell’azio-ne detta della «modernizzazione»,ma questa – per non generare lapura e semplice acquiescenza allacondizione di fatto – avrebbe avutobisogno, non solo per l’Italia, dellacapacità di passare dall’analisi edalla rivendicazione puramentequantitativa, ai temi della qualitàdello sviluppo, e della qualità dellavita: impresa ardua ancora adesso.

Comunque, il blocco, in Italia,di ognipossibilealternativa inquel-l’iniziodegli anniOttantae la ricon-fermaalla guidadel paese delleme-desime forze di sempre con la con-seguente sensazione di piena impu-nità che ne derivava, aggravaronouna crisi che era già assai avanza-ta e resero inascoltato ilmonito sul-la questione morale sostenuto dal-la ideadel ritornoallaCostituzione.In quelmonito – dovuto, come si sa,a Enrico Berlinguer – veniva de-nunciata la consuetudine invalsanella composizione dei governi,esposta alle imposizioni e ai voti digruppi e corrente, la violazione del-la imparzialità della pubblica am-ministrazione, ilmetodo spartitoriodi ogni funzione pubblica.

Ma era, in realtà, la impossi-bilità del cambiamento a determi-nare una stabilità malata: una for-mula di governo sempre eguale concontinui mutamenti di compaginiministeriali a causa dei conflitti in-terni ai partiti governativi. Questa

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staticità determina la sovrapposi-zione dei partiti alle strutture del-lo Stato e genera, dunque, sia i par-titi-Stato (se si vuole usare questaformula) sia gli episodi sempre piùgravi di malcostume, di malversa-zione e di corruttela che rimaneva-no impuniti per l’abuso del diniegodi autorizzazione a procedere daparte della maggioranza parla-mentare. La crisi di autorevolezzadei partiti permise –ma solo un de-cennio dopo il monito cui ho accen-nato – il giustificato intervento del-la magistratura. Intervento che –come è nella sua natura – posel’accento sulle conseguenze ultimee non sulle cause che erano primadi tutto schiettamente politiche.

Tuttavia, la politicità dellecause prossime si sposava con queipiù generali elementi di crisi de-mocratica nell’età della globalizza-zione che non sono unicamente ita-liani. E si univa con anomalie isti-tuzionali più nostre che potevanoessere correggibili senza intaccarel’impianto costituzionale – sostan-zialmente proporzionalistico –anomalie come, ad esempio, il bi-cameralismo ripetitivo, il numerodei parlamentari troppo elevatosoprattutto dopo l’istituzione delleRegioni, la moltiplicazione di nuo-vi centri di decisione e di spesa sen-za sopprimere quelli vecchi.

A sbarrare la ricerca di solu-zioni ispirate alla Costituzione, sta-va una sconfitta profonda a partiredalle idee: si veniva delineando unoscaccodella cultura fondata sulla so-lidarietà sociale e sulla capacità dicoalizione del lavoro, sulla prioritàdelpubblicosulprivato, sulla funzio-

ne dirigente della politica. Era laconseguenza della vittoria planeta-ria del modello capitalistico (con osenza democrazia) nella sua versio-ne liberistica fondata sulla egemo-niadell’economico e sulla sua suppo-sta capacità di autoregolazione, edunquesulla ideadellapoliticacomefunzione di un meccanismo dellaeconomiaassimilato aundato di na-tura. L’enfasi, in questa concezione,cade tutta sulla società civile con-trapposta alla cittadella della politi-ca: il che era (è) tanto più facile dasostenere quanto più i gruppi diri-genti vengono perdendomotivazionie capacità trasformandosi in cetoseparato. Inevitabilmente, così,l’attacco alla partitocrazia generaval’attacco ai partiti in quanto tali, e,di conseguenza, tutta la attenzionefu assorbita dal sistema elettorale.Era pienamente possibile corregge-re il proporzionale senza snaturarloavvicinandolo al sistema tedesco: ediuntentativo inquestadirezione fuprotagonista Gianni Ferrara – comeposso testimoniare – come esponen-te del Pci e, per conto della Dc, il se-natore Ruffilli, fino al momento delsuo assassinio per opera di un grup-po simile alle Brigate rosse.

Sarebbe stato possibile risa-nare i partiti rifacendoli, prima edopo la tempesta di Mani pulite? Èunadomanda senza risposta perchéil bipolarismocon ilmaggioritariodicollegio (che diventerà poi il propor-zionale con premio di maggioranza)era determinato per sua natura adestrutturare i partiti come forzenazionali coese. Con le conseguenzeche oggi si vedono. Si volevano ri-durre i partiti ed essi aumentarono,

come era prevedibile e previsto. Sivolevaridurre il trasformismocon leintesepreventiveedessosi rinvigorìsino agli episodi recenti che portaro-no alla caduta del secondo governoProdi. Ora si inclina verso il model-lo bipartitico statunitense senza legaranzie che esso contiene e cioèl’autonomia del parlamento nei con-fronti dell’esecutivo. A Costituzionevigente, confermatadal referendumpopolare, si annunciano intese co-stituenti tra le due formazioni mag-giori, che derivano la loro attualeconsistenza dai risultati elettoraliraggiunti con una legge elettoraleche ha il suo precedente soltanto inquella di Acerbo, quella che portò ifascisti al potere nel 1924 (e che ilprevisto referendum intende raffor-zare nelle sue conseguenze).

Pure se può apparire che dopoun quindicennio si sia tornati alpunto di partenza, in realtà nienteè più come prima e le tendenze chesi vengono profilando si allontana-no sempre di più dalla Costituzionefondata (basti pensare all’art. 3 e,appunto, a quello qui discusso) suun modello partecipativo e inclusi-vo,mentre ilbipartitismocuisimiraè elitario ed escludente, come chia-riscono le percentuali di voto negliStati Uniti e il costo per l’elezione diogni singolo parlamentare.

La destrutturazione dei par-titi non li ha fatti scompariremaneha cambiato in radice il modo di es-sere e la natura accrescendo il po-tere oligarchico e riducendo drasti-camente quantità e influenza degliiscritti. I rappresentanti non sonopiù eletti, ma nominati. La preva-ricazione sugli organi pubblici è ri-

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masta pesante. Nelle statistichesulla corruzione pubblica l’Italia ri-mane agli ultimi posti. Se i partitierano in condizione di costruire –chi più, chi meno – una propria au-tonomia di decisione e di scelte or-ganizzando campi di forza relativa-mente omogenei, appare oggi, so-prattutto per le formazionimaggio-ri, quasi assoluta la dipendenza daimezzi di comunicazione di massa.Sono questi che organizzano lo spa-zio pubblico di cui i protagonisti po-litici appaiono funzione.

Per definire la realtà in attogli studiosi della materia hannovia via parlato di partiti personali,notabilari, organizzati secondo ilmodulo del cartello, volto cioè adimpedire i nuovi ingressi e a frena-re la concorrenza. La domanda el’offerta sul mercato politico tendea ridurre progressivamente gliorizzonti di valore sino alla ideadello scambio del dare e dell’avere,nel senso più rozzo dei termini, trarappresentato e rappresentante.

È vero che la crisi in atto neisistemi rappresentativi ha radiciprofonde innanzitutto nel fatto bennoto che gli spazi di decisione e diautonomia degli Stati-nazione sisono ridotti, che a livello europeo èorganizzata una democrazia soloconsultiva e a livello globale nessu-na democrazia.

Pur tenendo conto di questo,però, la prova che è stata fornitadai sostenitori teorici e politici del-la obsolescenza del modello costi-tuzionale ha un bilancio così nega-tivo che quei medesimi teorici epratici – sempre gli stessi – i qua-li hanno sin qui diretto imutamen-

ti istituzionali ora li consideranocon esplicito (si pensi alla polemi-ca contro le «coalizioni coatte» con-seguenza del maggioritario) di-sprezzo e ne propongono di nuovinella direzione detta della sempli-ficazione politica e cioè, appunto,del bipartitismo. Ma nelle formu-lazioni vi è ipocrisia o autoingan-no. Anche dove vi sono due soli par-titi essi rappresentano pur sempredelle coalizioni come è evidente ne-gli Stati Uniti. Cosicché l’andare«da soli» degli uni e degli altri, hasignificato per gli uni (il centro-de-stra) la espulsione o la perdita del-la parte più moderata e per gli al-tri (il centro-sinistra) la espulsioneo la perdita della parte più a sini-stra con l’effetto politico e istituzio-nale evidente di un complessivospostamento verso destra.

Non so quale destino potràavere la convergenza dei due mag-giori partiti italiani sul modello bi-partitico. Paradossalmente, i pro-ponenti sono favoriti proprio dalfallimento dei loro espedienti delquindicennio, fallimenti che hannogenerato confusione, stanchezza,crollo di autorevolezza della politi-ca, oltre che discredito crescente.

C’è tuttavia una debolezza inquesto rinnovato tentativo di disfa-cimento dei valori costituzionali apartire, nuovamente, dalle leggielettorali. Questo tentativo ha biso-gno, peraffermarsi, del successodelmodello liberistico. Ma questo vie-ne invece mostrando, a partire da-gli Stati Uniti, non solo la incapa-cità di dominare le contraddizioniche esso stesso crea (nel rapportouomo-natura e ricchezza-povertà),

ma la sua crisi. Crisi ciclica, certo,ma grave: deteriora la vita di mol-tissimi e colpisce l’idea di un appro-do oramai sicuro e intangibile (lafine della storia, come si disse).

Sarebbe del tutto non solo vel-leitaria, ma assurda, la volontà ditornarea formedi partito tramonta-te per loro interne contraddizioni co-stitutive o per la incapacità di auto-correzione di fronte al modificarsidella realtà. Ma sarebbe un gravedanno se il necessario rinnovamen-to delle forme continuasse ad anda-re in senso opposto al modello par-tecipativo inscritto in Costituzione.E non già per una qualche sorta dicocciuto ossequio cultuale alle origi-ni della Repubblica, ma perchél’andare in senso opposto restringela democrazia, discredita la politicae nuoce al paese. Ognuno ha da farela sua parte. E la cultura giuridicaha un suo ruolo essenziale per evi-tare pericolosi ritorni all’indietro.

Note:

* Testo riveduto della Relazione al con-vegno su «La Costituzione ha 60 anni: laqualità della vita sessant’anni dopo»,Ascoli Piceno, 14-15 marzo 2008, organiz-zato dalla rivista Costituzionalismo(www.costituzionalismo.it) diretta da Gian-ni Ferrara, e dall’Università di Camerino.

1 L’art. 49 così recita: «Tutti i cittadinihanno diritto di associarsi liberamente inPartiti e concorrere con metodo democraticoadeterminare la politicanazionale». Perunabibliografia compiuta e aggiornata sul temadella determinazione della politica vedi Ro-berto Cerchi, Il governo di coalizione in am-biente maggioritario, Napoli, Jovene, 2006.

2 Si ricordi il diktat contro lapartecipazio-ne al governo del Pci emesso nel 1976 da Sta-ti Uniti, Gran Bretagna, Germania federalee Francia dopo un apposito incontro tenutosia Portorico durante la periodica riunione delG7, cui partecipava anche l’Italia con il pre-sidente delConsiglio dell’epoca. Che eraAldoMoro, tenuto fuori dalla porta.

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