DAI MACCHIAIOLI AGLI IMPRESSIONISTI Il mondo di Zandomeneghi · Screening delle opere e montaggio...

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DAI MACCHIAIOLI AGLI IMPRESSIONISTI Il mondo di Zandomeneghi A cura di Francesca Dini Scritti di Cosimo Ceccuti e Francesca Dini Schede critiche di Rossella Campana Pagliai Polistampa

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DAI MACCHIAIOLI AGLI IMPRESSIONISTI

Il mondodi Zandomeneghi

A cura diFrancesca Dini

Scritti diCosimo Ceccuti e Francesca Dini

Schede critiche diRossella Campana

Pagliai Polistampa

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DAI MACCHIAIOLI AGLI IMPRESSIONISTIIl mondo di Zandomeneghia cura di Francesca Dini

CastiglioncelloCentro per l’arte Diego Martelli - Castello Pasquini 17 luglio - 31 ottobre 2004

sotto l’alto Patronato del Presidente della Repubblica

CARLO AZEGLIO CIAMPI

Comune di Rosignano MarittimoAssessorato alla Cultura

Con il Patrociniodella Giunta Regionale Toscana

Con la collaborazione dellaGalleria d’arte modernadi Palazzo Pitti, Firenze

Comitato scientificoCosimo Ceccuti, Francesca Dini, Piero Dini, Carlo Sisi

Coordinamento scientificoFrancesca Dini

Direzione della mostraVincenzo Brogi,Valeria Tesi

Segreteria organizzativaSerena Ferrucci, Francesco Luschi

Ufficio StampaCristina Pariset

Progetto di allestimentoPiero Guicciardini, Marco Magni

AllestimentoArmunia - Festival Costa degli Etruschi

Screening delle opere e montaggioPaolo Bellucci

FotografieRemo Bardazzi, Firenze

AssicurazioniLe opere esposte sono assicurate con alcuni Sottoscrittori di

tramite il broker

Willis Italia spa

TrasportiDafne, srlArteria, srl

Servizio di vigilanzaTyche, Coop Agave, Coop Itinera, Fedelpol

La mostra è resa possibile dalla generosa disponibilità dei collezionisti privatidei quali rispettiamo il desiderio di anonimato. Si ringrazia la Pinacoteca diBrera, il sovrintendente Maria Teresa Fiorio e Luisa Arrigoni; il MuseoCivico di Palazzo Te di Mantova e Ugo Bazzotti.

Un particolare ringraziamento all’Istituto Matteucci e alla Società di BelleArti di Viareggio per l’aiuto prezioso offerto nel reperimento delle opere.

A Maria Grazia Testi Piceni e alla Fondazione Enrico Piceni di Milanodesideriamo esprimere la nostra gratitudine per le opere cortesemente messe adisposizione, ed unire al loro il nostro pensiero rispettoso nella memoria diEnrico Piceni, cui dobbiamo la riscoperta e la valorizzazione critica dell’arte diZandomeneghi.

Si ringraziano per la collaborazione i Signori:Claudio Amosso, Osvaldo Avataneo, Christine Baudon,Sandro e Rossella Bentivegna, Franco Biffi, Roberto Capitani,Paolo Cattaneo, Federico Cerruti, Amalia Maria Cicchetti Soldati,Luigi Colombo, Simonella Condemi, Andrea Dal Pino,Alba Del Soldato, Dario Durbè, Gianfranco Ivancich,Ugo e Mirko Mainetti, Giuseppe Luigi Marini, Riccardo Mazzola,Lalla Milani, Marisa Monti, Giovanna Montonati, Elena Mungai,Vittoria Pancioli Silvestri, Gino Restelli, Alberto Rodella,Vittorio Rogantini, Marisa Romualdi, Domenico Saladini,Gaia Silbernagl, Federica Vivaldi.

Un particolare ringraziamento ad Aide Maltagliati e a Bottega d’arte diMontecatini Terme.

Impaginazione,Elaborazione immagini e stampaPolistampa Firenze

Progetto grafico copertinaRovaiWeber design

La mostra è stata realizzata con il contributo di:

Si ringrazia per la collaborazione

Fondazione Cassa di Risparmidi Livorno

© 2004 Edizioni PolistampaSede legale: Via Santa Maria, 27/r - 50125 FirenzeTel. 055.233.7702Stabilimento: Via Livorno, 8/31 - 50142 FirenzeTel. 055.7326.272 - Fax 055.7377.428http://www.polistampa.com

ISBN 88-8304-774-5

Unicoop Tirreno

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Alessandro Nenci

Sindaco di Rosignano Marittimo

Se mai ce ne fosse stato bisogno, la mo-stra di quest’anno sul mondo di Zandome-neghi a Castiglioncello conferma la sceltapositiva e di grande spessore, che vede inquesto quarto appuntamento un segmentodi un percorso cominciato con Abbati, pro-seguito con Sernesi e Lega.

Un percorso fatto di appuntamenti chevolevano cogliere due obiettivi. Il primoquello di scoprire e riscoprire il valore d’i-spirazione e di legame del nostro territoriocon uno dei movimenti pittorici più im-portanti non solo d’Italia ma dell’Europa;un territorio che aveva saputo ospitare eispirare alcuni degli artisti più grandi delmovimento dei Macchiaioli, che qui aveva-no prodotto opere sublimi, che da qui ave-vano trovato volontà e interesse per spo-starsi successivamente a Parigi, come se Ca-stiglioncello avesse rappresentato il puntodi equivalenza italiano con una Parigi capi-tale europea della pittura impressionista.

L’altro obiettivo era quello di radicare nelterritorio, prima attraverso la costituzionedel Centro per l’Arte Diego Martelli, poi at-traverso queste proposte annuali, un’offer-ta di attrazione per un turismo qualificato,

per una presenza importante e di richiamoper il nostro territorio.

La mostra di Zandomeneghi sicuramen-te conferma il conseguimento del primoscopo, perché è l’ulteriore testimonianzadella presenza di un grande artista di origi-ne veneta, che nelle nostre terre trova acco-glienza e ispirazione, che da qua vola a Pa-rigi dove affina, migliora, amplia ciò che hacostruito nella propria capacità e grandezzaanche con la presenza ed il soggiorno a Ca-stiglioncello.

Circa il secondo, sicuramente sarà rag-giunto, se la storia delle esperienze passateha un significato ed un valore.

Zandomeneghi rappresenta quindi untassello importante del percorso di arte pro-posto, un’offerta prelibata per i cultori di unimportante periodo pittorico non solo ita-liano, l’interprete raffinato della figura fem-minile, dipinta con attenzione e amore neivari momenti di vita quotidiana.

Una mostra che costituisce non già unpunto di arrivo, ma un trampolino versonuove scelte importanti e significative, chequesta Amministrazione effettuerà anchenegli anni futuri.

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Valeria Tesi

Responsabile dei Servizie delle Attività Culturalidel Comune di RosignanoMarittimo

Il quarto appuntamento che il Comunedi Rosignano Marittimo, attraverso il Centroper l’arte Diego Martelli, rivolge alla pitturamacchiaiola, al suo legame con Castiglion-cello, ai suoi stretti rapporti con i contem-poranei fermenti figurativi nazionali e eu-ropei è dedicato a Federico Zandomeneghi.

La mostra, curata da Francesca Dini, unadelle maggiori studiose ed estimatrici del-l’artista, ripercorre in maniera inedita, at-traverso settanta opere del pittore e altrisceltissimi e significativi dipinti macchiaio-li e impressionisti, provenienti da impor-tanti raccolte pubbliche e private, il partico-lare itinerario artistico che condusse Fede-rico Zandomeneghi, figlio d’arte, dalla for-mazione in ambiente veneziano, alla con-divisione delle contemporanee ricerche to-scane, all’interesse per le tematiche natura-listiche, alla significativa partecipazione,unico tra gli Italiani, alle esposizioni parigi-ne degli Impressionisti.

Cosimo Ceccuti ci regala, come di con-sueto, un prezioso intervento storico chetratteggia l’impegno patriottico dell’artista.

Amico intimo di Diego Martelli, Zando-meneghi maturò nella villa che il criticopossedeva a Castiglioncello l’idea di recar-si a Parigi e fu ancora grazie al sostegnodell’amico, che riuscì a mitigare le asperitàdel suo carattere e ad aprirsi, con intelli-

genza e sensibilità artistica, alle tendenzepiù avanzate della pittura francese.

La mostra ci consente di documentarela vicenda umana ed artistica che portòZandomeneghi a coniugare i toni caldi del-la grande pittura veneta (che ebbe, comenoto, un ruolo rilevante anche nella for-mazione di altri importanti pittori mac-chiaioli, tra i quali Abbati, Cabianca, D’An-cona e Signorini), con il rigore formale del-la tradizione toscana, apprezzato attraver-so il sodalizio con gli amici macchiaioli edil grande Degas. La mostra cerca anche direndere conto del modo con cui Zando-meneghi, introverso e solitario, costante-mente tormentato dalla paura che il suolavoro non venisse apprezzato dai con-temporanei, riuscì a far suo il cromatismovibrante e spregiudicato dell’impressioni-smo francese e, successivamente, a esserecostantemente aggiornato su quanto di piùnuovo si muoveva nella capitale interna-zionale dell’arte.

Un pieno apprezzamento del lavoro del-l’artista avvenne solo nel 1952, con l’espo-sizione personale che gli fu dedicata dallaBiennale veneziana. Questa è la prima mo-stra che la Toscana dedica ad un artista au-tentico e originale, che anche a Firenze e aCastiglioncello trovò nutrimento insostitui-bile per la sua arte.

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Premessa

Federico Zandomeneghi è noto e amatointerprete della figura femminile colta congarbo nei diversi, quotidiani momenti dellavita privata, dalla passeggiata al bois, allatoilette, dalla conversazione con le amichealla lettura: una gamma di buoni sentimen-ti, di gesti, di sguardi che, per quanto coltinella donna della media borghesia francesedi fine Ottocento, rispondono tuttavia adun’idea universale di femminilità di cuiZandomeneghi vuol essere in qualche mo-do sacerdote e cantore. Questa pittura, sce-vra dell’aggressività talentuosa e dei com-piacimenti virtuosistici di un Boldini, sem-bra piuttosto coniugare la modernità dei ta-gli di Degas ai preziosismi cromatici di Re-noir, riuscendo tuttavia a prodursi assoluta-mente nuova e originale.

A monte di questo sta il lungo percorsodi un artista coerente, capace di sopportareil peso di scelte estetiche e di vita spessoardimentose. Come quella di lasciare la cittànatale,Venezia, rinunciando ai vantaggi chegli sarebbero derivati dalla notorietà dellasua famiglia di celebrati scultori (il nonnoLuigi era stato intimo di Antonio Canova eil padre Pietro aveva portato a termine ilMonumento a Tiziano nella Chiesa dei Frari).A causa dei suoi ideali anti-austriaci, il di-ciannovenne Zandomeneghi lascia Veneziaper Milano e poi per Firenze, dove giungenel 1862, dopo aver partecipato ad una del-le spedizioni di supporto ai Mille di Gari-baldi e dopo aver terminato gli studi all’Ac-cademia di Brera.

La nostra riflessione sull’artista potrebbepartire da qui e magari avvalersi di nuovielementi di valutazione, siano essi docu-menti inediti o quadri non più visti da tem-po.

Si dà il caso, tuttavia, che dall’epoca de-gli studi estesi che abbiamo avuto modo didedicare a questo artista, ben poco sia sta-to aggiunto e ai dati documentari e al cata-logo delle opere, avendo allora integratocon non pochi inediti la ben più vasta e me-ritoria opera di catalogazione di cui era sta-to autore Enrico Piceni, figura benemerita eindimenticabile di critico e conoscitore.

Devo alla cortesia di Giuliano Matteuccise in questa occasione mi è dato di presen-tare, frammezzo a tanti dipinti noti, un qua-dro del periodo italiano dell’artista“Popola-na veneziana con scialle rosso”, tassello ine-dito di un periodo ancora a tratti misteriosoe promettente future piacevoli scoperte.

Questo desiderio di puntualizzare il pe-riodo italiano dell’artista che fu parigino

Francesca Dini

Il mondo di Zandomeneghi

Luigi ZandomeneghiL’architettura e la pittura(particolare del monumento a Canova,Venezia, Chiesa dei Frari)

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d’adozione, non deve apparire come la pre-sa di posizione personale di una storica del-l’arte toscana “radicalizzata”nei Macchiaio-li; né tanto meno una presa di posizione– me ne guardo bene – nei confronti diquanti, conoscitori, studiosi, mercanti, si so-no resi meritevoli, nel corso di quasi un se-colo, della riscoperta di questo grande arti-sta morto in totale solitudine a Parigi altempo del primo conflitto mondiale e che inragione di ciò non ebbe nemmeno l’onoredi una degna sepoltura.

Vorrei semmai contribuire a trovare unpiù equo criterio per valutare l’operato diZandomeneghi, insistendo proprio sullaoriginalità e individualità del suo percorsopiuttosto che sulla somma valorizzazionedi un momento particolare della produzio-ne dell’artista. Il criterio della “riconoscibi-lità”è la principale regola del mercato del-l’arte e questa regola per Zandomeneghi hasignificato l’identificazione con la serialitàdelle mezze figure della sua tarda attività.Ben inteso, non mancano nella produzionenovecentesca di Federico opere di grandeinteresse e persino qualche quadro magi-strale come “Hommage à Toulouse Lautrec”o “Place Blanche le matin”.

Ma il criterio che definisce l’ultima atti-vità come un punto di arrivo del percorsodel pittore, come il conseguimento di unacifra finalmente individuata e individuale,sottovaluta – mi pare – la validità del ruolostorico che Zandomeneghi ebbe a coprire,vera e propria liaison tra i Macchiaioli e lapiù avanzata scuola Veneta, quella di Ciardie di Favretto, ponte (e come tale lo indivi-duò Diego Martelli) tra i Macchiaioli e gliImpressionisti francesi e, all’interno di que-sto secondo movimento, tra i “dessinateurs”di Degas e i cosiddetti “coloristes”(Pissarro,Gauguin, Monet…); sensibile a taluni esitinon programmatici del Neo-impressioni-smo, dette spazio nella sua opera alla sensi-blerie puntinista, mediatagli in parte ancheda Guillaumin e da Pissarro suoi abitualicompagni di lavoro, per poi assistere con ipropri insegnamenti l’astro nascente del piùgiovane Toulouse-Lautrec.

Ricontestualizzare la vicenda di Zando-meneghi diventa dunque una necessità edun piacere immenso per me e per quantisapranno percepire il motore interiore del

ragionare finissimo, lo spirito fortementeindividuale dell’artista che lotta per rinno-varsi con coerenza, assecondando l’istintoalla modernità e al tempo stesso preservan-do la propria forte identità culturale.

Venezia per i Macchiaioli, i Macchiaioli perVenezia. Le origini culturali di Zandomeneghi

Alle premesse culturali da cui Zandome-neghi muove, è stato dato fin’ora un peso re-lativo. L’arte scultorea praticata da Luigi Zan-domeneghi, seguace di Antonio Canova, èsempre apparsa come un precedente tropporemoto per aver potuto esercitare una qual-che influenza sulla formazione del pittore; ilquale, ancor giovanissimo, volse comunque lespalle a tali premesse, non solo scegliendo difar pittura e dunque ponendo fine alla tradi-zione familiare che aveva avuto nei fratelliPietro (padre di Federico) e Andrea degnaprosecuzione, ma anche assumendo senzaesitazione l’indirizzo anti-accademico che itempi nuovi venivano suggerendo.

Un solo cenno si rinviene negli scritti diFederico relativamente a tali precedenti fa-miliari ed è formulato in una lettera a Vitto-rio Pica del 1914 in questi termini: «…MioNonno e mio padre erano scultori di gran-de merito e godettero di una grande repu-tazione ai loro tempi. Furono naturalmenteaccademici come tutti gli artisti della loroepoca, come ce ne sono ancora e come cene sarà sino alla fine del mondo. […] Fuiiniziato all’arte nella vita di famiglia nellostudio di mio padre e poi all’Accademia diVenezia e poi guardando intorno di me…»1.In epoca successiva, neppure la vicinanzacon Degas che esercitò la scultura con esitinotevolissimi ebbe mai il potere di sveglia-re in Federico l’interesse per quella discipli-na, per quanto uno dei rari scritti pervenu-tici, avente a oggetto lo scultore VincenzoVela2 lo riveli capace di giudizio in materia.Detto questo, non possiamo oggi continua-re a sottovalutare quanto del resto afferma-to dal pittore circa le sue origini artistiche eil peso che per lui ebbe la tradizione di fa-miglia. Tradizione che si fondava natural-mente sul disegno; ed è infatti nella graficacopiosamente esercitata sia dal nonno siadal padre che Federico affonda le radici del

1 Cfr. GIULIANO MATTEUCCI,Cristiano Banti, Firenze 1982, p.99. La lettera è riprodotta nel-l’epistolario di Zandomeneghi,raccolto e ordinato in appendi-ce al volume FRANCESCA DINI,Federico Zandomeneghi, la vita ele opere, Il Torchio, Firenze 1989(p. 541).

2 L’articolo apparve sul gior-nale veneziano “Il Rinnova-mento”nel 1870 ed è riprodot-to integralmente nella citatamonografia (cfr. F. DINI, cit.,1989, pp. 549-550).

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3 LUIGI COLETTI, L’arte dalNeoclassicismo al Romanticismo,in La civiltà veneziana nell’etàromantica, Firenze 1961, pp.142-147.

4 Cfr. Il Professore Pietro Zan-domeneghi scultore. Memoria diFilippo Draghi, socio d’arte dellaReale Accademia di Venezia, Tip.Roberti, Bassano 1867, p. 5 epassim.

5 Ivi, p. 4.6 Il brano è tratto dall’artico-

lo manoscritto in lingua fran-cese – perché destinato a ungiornale parigino – che Federi-co sottoponeva al giudizio diDiego Martelli, allegandolo al-la lettera del 29 maggio 1877.Lettera e manoscritto, conser-vati tra le carte Martelli dellaMarucelliana, sono state resenote in PIERO DINI, Lettere ine-dite dei Macchiaioli, Firenze1975, pp. 312-313. Si veda an-che F. DINI, cit., 1989, p. 551.

suo apprendistato artistico. Il rinvenimentodi una rarissima raccolta di incisioni di Lui-gi Zandomeneghi, edita a Venezia nel 1817consente forse per la prima volta una rifles-sione concreta sulle implicazioni culturalidi cui quel tessuto familiare fu intriso: quel-lo che con più difficoltà si evince dalle pro-ve scultoree, sempre legate a ragioni dicommittenza e di ufficialità e che qualifica-no gli Zandomeneghi come scultori “cano-viani”, ci viene agevolmente offerto dalleincisioni di Luigi a illustrazione dei “Canti diOssian”, nelle quali subito si coglie lo spes-sore di un gusto internazionale che richia-ma prontamente John Flaxman e Luigi Sa-batelli.

I canali privilegiati lungo i quali si muo-veva la cultura in epoca pre-unitaria, ga-rantivano del resto lo scambio tra i mag-giori centri artistici della penisola e perso-naggi di spessore internazionale come An-tonio Canova – che fu intimo di casa Zan-domeneghi (si veda in appendice la testi-monianza di Anna Toniolo) – erano il pernodi questo sistema estremamente funziona-le di relazioni. Sul valore internazionale del-l’arte canoviana si è soffermato a suo tem-po Luigi Coletti3: sottolineando la posizio-ne del tutto indipendente che Canovaavrebbe avuto all’interno del neoclassici-smo, lo studioso coglieva nei “Pensieri sul-l’arte” dello scultore la codificazione dellanecessità per l’artista di sentirsi libero daregole e canoni e «dell’intensità dell’e-spressione sentimentale come raggiungi-mento d’arte» in opposizione alla «impas-sibilità dell’espressione proclamata come lasuprema aspirazione dell’arte dal Winckel-mann». Tali “intemperanze”canoviane tro-verebbero una ragione nell’amicizia e nellastima che notoriamente legarono Canovaal pittore purista Tommaso Minardi. PietroZandomeneghi, padre di Federico, si ap-plicò alla scultura nella convinzione che fos-se «ufficio della scultura la manifestazionedell’affetto, più che il soverchio accarezza-mento della forma»4, ma fu anche letteratocolto, appassionato di filosofia, di estetica, dipoesia e coltivò rapporti amichevoli con ilcollega fiorentino Giovanni Duprè che saràpersonaggio di riferimento per la famigliaall’epoca del primo soggiorno di Federico inToscana. Filippo Draghi ricorda come per

un lungo periodo, la mancanza di commis-sioni, inducesse Piretro a dedicarsi preva-lentemente all’attività grafica, lavorando «inquesto ramo dell’arte per molto tempo conlode e vantaggio, manifestando facilità dicomporre, sentimento e grazia ne’tipi». An-tefatto che induce a riflettere come la scel-ta di Federico di dedicarsi nel corso dei suoianni francesi all’attività di figurinista, po-tesse essere suggerita e confortata da pre-cedenti familiari di tutto rispetto.

Il disegno, inteso non come esercizio re-torico, ma come strumento per indagare «lereali e svariate bellezze nelle piccole e nel-le grandi cose in ogni suo aspetto»5 è dun-que per il giovane Federico eredità impre-scindibile e tale da condizionare anche inseguito le sue scelte artistiche. Si capisce adesempio perché egli abbia condiviso, all’in-terno del movimento impressionista, le po-sizioni di Degas (il cui rigore disegnativo èdi ascendenza italiana) rispetto per esempioa quelle di un Monet.

Vorremmo proseguire, con l’ausilio dipochi dati cronologici, lungo il percorso cheporta il giovane Zandomeneghi a congiun-gersi con le posizioni ideologiche e cultura-li dei suoi primi compagni di strada, i Mac-chiaioli. E vorremmo sottolineare le ragioniper cui tale congiungimento sia avvenuto ecome e dove.

Luigi Zandomeneghi fu professore discultura all’Accademia di Venezia dal 1819fino alla morte avvenuta nel 1850; quellostesso anno Pietro Selvatico, docente diEstetica, divenne Presidente dell’Istituto edette inizio alla moderata riforma del siste-ma d’insegnamento che tra le altre coseprevedeva lo studio del paesaggio dal vero elo studio dei panneggi su modelli vivi illu-minati da luce naturale. «Selvatico, di ritor-no dalla Francia dove prosperava in pienoromanticismo P. Delaroche, venne a presie-dere l’Accademia di Venezia; qui egli trovòdei sostenitori, rinnovò l’insegnamento dacima a fondo, ma non durò che poco tempoe quando, sei o sette anni più tardi, lasciòl’Accademia, niente restò dietro di lui chepotesse ricordare il suo passaggio»6, scriveFederico. In realtà la riforma di Selvatico,avversa sia alla tradizione neoclassica, che aquella romantica, poneva come primaria lanecessità di ritessere in modo nuovo il le-

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game tra arte e società, alla luce dei dram-matici fatti del ’48; la società contempora-nea doveva essere fonte d’ispirazione perl’artista, il cui credo doveva consistere negliideali di “verità, vita, espressione”. I con-vincimenti estetici di Selvatico portavano indirezione di un’arte che per esser degna do-veva avere la forza di far sentire e compren-dere “il bello morale”, il quale «ben piùs’impara entro la vita fervida dei fratelli, chenon sul cadavere, per quanto gigantesco,degli avi»7. Echi del riformismo di Selvaticogiunsero certamente a Firenze, ma lì come aVenezia furono in pochi a cogliere il signifi-cato dell’esortazione a entrare «nelle chiese,negli ospedali, nelle officine» per ammirar-vi «il vero nella nobile semplicità sua». Glisforzi delle nuove generazioni in Toscana,come a Venezia, erano infatti volti al rinno-vamento del quadro di storia, in direzione diuna maggiore veridicità del soggetto tratta-to. A quest’altezza si verifica un nodo intri-catissimo di dati biografici, di rapporti, disuggestioni, di influenze.

Mi sono sempre domandata quale signi-ficato avessero i festeggiamenti che al CaffèMichelangiolo salutarono la partenza di Si-gnorini e D’Ancona nel 1856 per Venezia.Che cosa ci si attendesse dal soggiorno ve-neziano di questi artisti. Infine perché pro-prio la città lagunare il cui secolare splen-dore avrebbe dovuto piuttosto inibire cheindurre moderni approdi artistici facesse

produrre al Signorini quelle suggestive ve-dute che storicamente segnano l’inizio del-la prima “macchia”.

Un ultimo, remoto antefatto vogliamoevocare, riportando il nostro excursus, al1809 e alla visita a Firenze dei venezianiFrancesco Hayez e Odorico Politi che nellostudio di Pietro Benvenuti si trovarono difronte all’abbozzo della “Morte di Priamo”tutto a chiaroscuro: fu uno choc per loro abi-tuati al “bel colore”e altri ne avrebbero su-biti una volta a Roma, dinnanzi alle operedei “maestri del disegno”, accreditati dallaprecettistica neoclassica8. Da sempre, infat-ti Firenze era la patria del “disegno”, comeVenezia lo era del “colore”.

Ebbene la vicenda dei Macchiaioli partedal “colore”; il colore che dietro l’esempio diDomenico Morelli si viene scoprendo ca-pace di conferire sostanza di verità. Dunqueapplicato ai soggetti storici e religiosi, con-ferisce loro verosimiglianza e pregnanza dicontenuti.

«Tutto il movimento» scriveva FedericoZandomeneghi, disegnando le origini dellapittura italiana moderna «si concentrò inte-ramente sul Morelli, il quale, dotato di unpotente temperamento di giovane pittore ecolpito dalle bellezze della scuola venezianadel XVI secolo in generale e da Delacroix,forse particolarmente, in quest’epoca si trovòad avere una superiorità artistica che tuttiquesti pittori, o per meglio dire, i giovani pit-tori gli riconobbero senza contestazione. […]Morelli rivelò coi suoi quadri il colore e la lu-ce che i cattivi insegnamenti accademici delsuo tempo avevano fatto dimenticare…»9.

Domenico Morelli napoletano fu dunqueil motore di quello spirito riformista da cuitrarrà origine la vicenda dei realisti toscani.Egli si muove tra le maglie del tessuto con-nettivo che in epoca pre-unitaria congiungeculturalmente e artisticamente Napoli a Fi-renze e poi a Milano e a Venezia, alimentan-do quel filone del quadro storico rinnovatodestinato a trionfare all’esposizione nazio-nale italiana del 1861. Il riferimento di Fede-rico al recupero morelliano della pittura ve-neziana del Cinquecento è fondamentale etutt’altro che scontato se si valuta ad esempiocome un Paolo Veronese fosse stato bistrat-tato dal Neoclassicismo per la presunta su-perficialità nella resa storica delle figurazioni.

Cristiano Banticopia daMarco Libera uno schiavodi Tintoretto(olio su tela, cm 34x46,proprietà Eredi Banti)

7 Cfr. Sulla convenzione di trat-tare in pittura soggetti tolti allavita contemporanea. Discorso diPietro Estense Selvatico segretarioe professore di Estetica nell’I.R.Accademia in Atti dell’Imp. Reg.Accademia di Belle Arti in Vene-zia per la distribuzione dei premifatta nel giorno 4 agosto 1850,Venezia 1850.

8 Cfr. GIUSEPPE MARIA PILO,Michelangelo Grigoletti e il suotempo in Michelangelo Grigoletti,Venezia 1971, p. 45.

9 Cfr. F. DINI, cit., 1989, pp.550-551. Si tratta del già citatoarticolo manoscritto (nota 6).

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10 Cfr. Journal de Eugène Dela-croix, Tomo 2° (1850- 1854),Plon, Parigi 1893, pp. 170-171.

11 Cfr.TELEMACO SIGNORINI, IlCaffè Michelangiolo, in Gazzetti-no delle Arti del Disegno, anno I,n° 22, 15 giugno 1867, p. 175.

Ora è estremamente significativo che Fede-rico abbini tale recupero all’esempio di De-lacroix tra i primi a riscoprire le potenzialitàespressive del cromatismo del Caliari e la vi-cinanza spirituale con tale artista. Delacroixscriveva intorno al 1854 nel “Journal”: «C’èun uomo che riesce a far chiaro senza vio-lenti contrasti, che dipinge il plein-air, che cifu sempre detto esser cosa impossibile: que-st’uomo è Paolo Caliari. A mio giudizio, egliè forse l’unico che abbia saputo cogliere tut-to il segreto della natura. Senza dover imita-re esattamente la sua maniera, si può passa-re per molte strade sulle quali egli ha collo-cato fiaccole indicatrici…»10.

Rischiarare alla luce di quelle fiaccole in-dicatrici i molti fermenti artistici che turba-vano in quel momento le menti e gli animidei giovani pittori fiorentini, apparve a talu-ni di loro una necessità non procrastinabile.All’alba di un giorno di giugno del 1856,dopo una serata turbolenta trascorsa alCaffè Michelangiolo, Signorini e D’Anconafurono svegliati dai compagni al grido di“viva i viaggiatori”e forzosamente accom-pagnati alla diligenza, una volta saliti sullaquale furono raggiunti da mazzi di fiori sca-gliati “graziosamente”sulle loro teste11.

Non molto sappiamo relativamente aimovimenti di D’Ancona, ma potrebbe rife-rirsi a quel soggiorno la poco nota copia supiccola tela centinata dalla Pala di San Zac-caria del Veronese che sorprende non certo

per la fedeltà al modello e la sicurezza dimano che vi è dimostrata, quanto per l’affi-nità di tavolozza, ragion per cui vorremmodire che proprio dal Veronese,Vito abbia de-rivato i verdi, i rossi e gli ocra della caldacromia che caratterizza le sue opere più ti-piche e conosciute.

Quanto al Signorini, dobbiamo credere,in base alle opere e alle informazioni che cisono pervenute relativamente a quei tre me-si di permanenza nella città lagunare, che

Cristiano Banticopia da I Santi Marco eMarcellino esortati al martirioda San Sebastianodi Paolo Veronese(olio su tela cm 41x63; prop. Eredi Banti)

Domenico Morelli,Mattinata fiorentina(1856; da cartolina, Archivio Piero Dini)

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12 Cfr. Delle vite de’ più eccel-lenti Pittori, Scultori et Architet-tori scritte da M. Giorgio VasariPittore et Architetto Aretino, par-te III, volume II, Firenze 1568,p. 815. Si vedano anche, sul-l’argomento le riflessioni diDario Durbè nel bel saggiopremesso alla mostra di LosAngeles del 1986 e tradotto peril catalogo I Macchiaioli e l’A-merica, Pirella, Genova 1992.

13 Si veda la “Cronologia au-tobiografica” di Signorini, inENRICO SOMARÉ, Signorini, L’E-same, Milano 1926, p. 268.

14 Ivi, p. 257.15 Questi aspetti sono stati

recentemente ripercorsi dallamostra alla Galleria degli Uffi-zi I giardini delle regine, il mito diFirenze nell’ambiente preraffaelli-ta e nella cultura americana fraOttocento e Novecento, a cura M.Ciacci, E. Colle, G. Gobbi Sica eR. Monti, Sillabe, Livorno 2004.

egli preferisse allo studio metodico degli an-tichi maestri, la ricerca di un percorso emo-zionale che doveva confortare la sua ideadella “macchia”, quale egli veniva dentro disé elaborando. Colto e sagace, il Signorinicercava forse conferme sulle potenzialità diquel colorire alla prima e dal vero che Gior-gio Vasari denominava “macchiare”, attri-buendo quella pratica a Tiziano. A proposi-to di un dipinto di Tiziano raffigurante Per-seo e Andromeda,Vasari scriveva come que-sta opera e altre della maturità del Vecelliofossero «condotte di colpi, tirate via di gros-so, e con macchie di maniera, che da pressonon si possono vedere, e di lontano appari-scono perfette»12. In realtà la pratica del mac-chiare in quanto stadio intermedio di esecu-zione pittorica era ben nota anche ai giova-nissimi pittori del Caffè Michelangiolo che sierano già cimentati nel genere aulico e con-tinuavano a farlo. Quello che Signorini ac-quisisce durante il soggiorno a Venezia del’56 è la duplice certezza che la macchia pos-sa essere lo strumento per ottenere una pre-sa efficace e rapida sulla realtà contempora-

nea e che quest’ultima debba essere il solo re-pertorio del pittore moderno. È fortementesentita da Telemaco la necessità di aprire unnuovo dialogo con la natura e la realtà dellavita contemporanea, seguendo quell’intimaistanza di verità e di sincerità che la filosofiapositivista veniva affermando come qualitàprecipua dell’artista moderno. Sappiamo delresto come Telemaco si fosse appassionatosin dal 1855 alla lettura di Proudhon13 e comeil contatto con quelli che egli definisce altro-ve «maestri macchiaioli dell’antichità»14, pro-ducesse una vera e propria “metamorfosi”delgiovane artista alla luce di quelle che egli qua-lifica come vere e proprie «rivelazioni artisti-che». Si capisce dunque come da tutto questoderivi un punto di vista diverso di osservare lapittura dei grandi maestri del passato; diver-so certamente da quello dell’amico di Signo-rini, l’inglese Federico Leighton (anch’egli aVenezia dove aveva portato a termine il gran-de quadro La processione della Madonna di Ci-mabue). Non la ricostruzione “in vitro”di unpassato idealizzato e ricostruito con fare imi-tativo, tendenza che sarà propria della scuo-la preraffaellita15; bensì il recupero analogicodi quello stesso passato col “sentimento uma-no” del presente, atteggiamento caratteriz-zante il rapporto fondamentale instaurato daiMacchiaioli con la pittura del Rinascimento.

Telemaco SignoriniCalle a Venezia(1856, collezione privata)

Vito D’Anconacopia dallaPala di San Zaccariadi Paolo Veronese(olio su tela, cm 60x33, collezione privata)

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15

16 Cfr. DIEGO MARTELLI, Arteche sia, in “Gazzettino delle Ar-ti del disegno”, anno I, n° 17,Firenze 11 maggio 1867, p. 130.

17 Ivi, pp. 130-131.18 Cfr. ALEARDO ALEARDI, Sul-

lo ingegno di Paolo Caliari, in At-ti della Reale Accademia di BelleArti di Venezia,Venezia 1872.

19 Cfr. GUIDO PEROCCO, Gu-glielmo Ciardi e i macchiaioli to-scani in Guglielmo Ciardi, cata-logo della mostra a cura di L.Menegazzi, Treviso 1977, p. 41.

Probabilmente a quest’altezza del suopercorso, Signorini già valutava come lagrandezza dei grandi maestri della pitturaveneziana traesse forza dal fatto che quegliinsigni artefici «non dimenticarono mai unistante l’immensa scena del mondo nel qua-le vivevano e da questo essi attinsero la lorosublime energia», alimentando l’illusionenel riguardante di trovarsi «continuamentein mezzo ai convitati della cena di Paolo»16.

In che misura e soprattutto in che modoquella secolare tradizione artistica andasseincidendo sul percorso della moderna pit-tura europea veniva rilevato da Martelli inquesti termini:

«…al giorno d’oggi vediamo trionfare lapittura francese nel mondo comecchè quellai cui artisti hanno abbracciata più che altrovela massima di un accurata ricerca dei grandiprincipii fondamentali dell’arte stessa. Essiriassumendo la tradizione Veneziana e Fiam-minga si spingono per legge di progresso adaffrontare qualunque soggetto, portando nel-l’esecuzione dei loro lavori tutta quella copiamaggiore che possono d’ogni genere di sa-pere. Onde tanto nel darci lo spettacolo del-la Morte di Giulio Cesare (Gerome), quantonel ritorno di una frotta di curati barcollantidal vino (Courbet) traluce l’immenso studioe il grande amore del vero»17.

Signorini ricordava di aver conosciuto efrequentato in quel soggiorno venezianoproprio Pietro Selvatico, artefice della rifor-ma della locale Accademia; e ancora il poe-ta Aleardo Aleardi che, professore all’Acca-demia di Belle Arti di Firenze dal 1863, al-cuni anni più tardi sarà autore di uno scrit-to su Paolo Veronese definito – in evidentesintonia con il punto di vista dei suoi amicimacchiaioli – come «il primo che si sentis-se il coraggio di presentare le sue figure al-l’aria aperta, davanti la faccia del sole mo-dellando con la luce…»18.

Nacquero allora quelle tremule vedutearchitettoniche della città ai noi ben noteper essere il punto di partenza della vicen-da dei Macchiaioli. Il Ponte della Pazienzamostra la viva luce del giorno irrompere sul-la scena, come da uno squarcio apertosi inun finto cielo di tela e irrorare di se la scuraabside gotica della veneziana Chiesa deiCarmini che s’innalza tremante di plasticovigore contro il cielo.

Guido Perocco rilevava nei disegni vene-ziani di Signorini una interpretazione «in-tellettuale» del segno, raffinata «attraversoun ripensamento di natura letteraria»19 chegli appariva quanto di più diverso dalla vo-lontà di un Guglielmo Ciardi di dare attra-verso il segno grafico l’intuizione del colore.Quel che è certo e rilevato dall’illustre stu-dioso è il debito di Ciardi e di Zandomene-ghi nei confronti di Telemaco e del nascen-te movimento macchiaiolo. È questa una vi-cenda più volte ripercorsa, ma che forse me-rita di essere riconsiderata dal punto di vistadi un artista veneziano, naturalizzato “mac-chiaiolo”come Federico Zandomeneghi.

Proprio nel 1856 egli s’iscrive all’Acca-demia di Venezia presieduta ancora da Pie-tro Selvatico, per accedere, tre anni più tar-di, all’insegnamento di Michelangelo Gri-goletti, robusto ritrattista di impostazioneromantica, capace tuttavia di una buonapresa sulla realtà anche psicologica dei suoipersonaggi.

In che misura questi avvenimenti e i con-cetti nuovi sottesi all’operato di Signorinipossano aver esercitato una qualche in-

Telemaco SignoriniIl Ponte della Pazienza(1856, collezione privata)

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fluenza immediata sulla formazione del piùgiovane Federico è dunque misurabile neitermini del vivificante apporto ideologicoche il caposcuola macchiaiolo dette all’am-biente artistico veneziano. Firenze riscopreVenezia e i “maestri macchiaioli dell’anti-chità”e così facendo rafforza le proprie con-vinzioni estetiche, radicando il proprio cam-mino progressista nella grande tradizionedei coloristi veneziani del Quattrocento edel Cinquecento; d’altro canto Venezia sco-pre Firenze e il suo primato nel camminoche, convogliando le giovani leve delle di-verse scuole pittoriche dell’Italia pre-unita-ria e dunque anche veneziana, conduce al-l’affermazione del Realismo come espres-sione artistica della neonata nazione italiana.

«Ma di tutte le città d’Italia» scriveva Fe-derico nel 1877 «è a Firenze che va l’onoredi aver iniziato la più sana delle rivoluzioniartistiche. In mezzo a tutto il chiasso chefacevano i nomi degli innovatori Napoleta-ni e Milanesi, un certo numero di artisti gio-vani e sconosciuti, quasi tutti Fiorentini, pre-vedendo che l’arte di Morelli, di Pagliano edi Bertini e dei loro imitatori non avrebbe

portato che a una scuola di brillanti decora-tori, si proposero di seguire il cammino in-dicato dagli antichi maestri delle scuole ita-liane e di conseguire, tramite ciò, un altroscopo, quello del realismo. Essi furono perquell’epoca ciò che sono gli impressionistifrancesi d’oggi…»20.

Sbaglieremmo dunque se aprissimo lenostre considerazioni sull’attività italiana diZandomeneghi, che ebbe inizio documen-tatamene nel 1862 a Firenze, prescindendodai fatti sin qui narrati, fatti ai quali il gio-vane non prese attivamente parte per moti-vi di età, ma che pure costituiscono il suoimprescindibile background culturale.

La valutazione di tali premesse è quantomai importante per un artista come Zando-meneghi, portato non tanto ad un rapportoistintuale con la creazione artistica, quanto adanteporre ad essa i filtri della propria consa-pevolezza culturale, del proprio essere artistadi mente prima che di mano. Questa valuta-zione agevolerà credo la nostra riflessionesul rapporto di Federico con i Macchiaioli e ciconsentirà di dare il giusto peso alla sofferta“mutazione” dell’artista nei primi anni delsoggiorno parigino; essa permetterà di com-prendere più in profondità il senso di classi-ca compostezza che pervade le opere più ti-piche dell’artista, nelle quali la solidità dellacostruzione è resa ancor più seducente dalcaldo cromatismo veneziano, sempre poeti-camente risolutivo e avvincente.

Gli anni italiani di Zandomeneghi

Potremmo far iniziare l’avventura artisti-ca di Federico dal momento della sua roc-cambolesca evasione da Venezia, del ’62 eromanticamente immaginare la sua aitantefigura di spalle come il viandante del celebrequadro di Friederich, pervasa dal fremito diuna emozione mentre si allontana dallapunta della Salute a bordo di un bragozzochioggiotto che spiegate le vele lo conducealla volta di Comacchio e alla libertà. L’epi-sodio è narrato da Anna Toniolo21, nipote diFederico, la quale attinge evidentemente aduna tradizione familiare, essendo verosimil-mente il nonno Giuseppe Toniolo quel co-gnato che, membro del Comitato segreto,agevolò la fuga del pittore – emigrato e clan-

20 Cfr. F. DINI, cit., 1989, pp.551-552.

21 Cfr. ANNA TONIOLO, Un pit-tore veneziano dell’800. FedericoZandomeneghi, in “Gazzettinoillustrato”, anno XIV, n° 33,Ve-nezia 19 agosto 1934.

Telemaco SignoriniVia della strada ferrata aVenezia(1859 ca., collezione privata)

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22 Lo fa ritenere probabile unpasso delle lettera ai genitori.Cfr. F. DINI, cit., p. 448.

23 Cfr. GIUSEPPE ZOLLI, Lacompagnia Medici e la difesa delvascello: ricordo per il 20 settem-bre 1895, Montegiorgio 1895.

24 Si veda l’epistolario diZandomeneghi, in F. DINI, cit.,1989, p. 545.

25 Cfr. PIERO DINI, GiuseppeAbbati, Allemandi,Torino 1987,pp. 21-22.

26 Cfr. DIEGO MARTELLI, Giu-seppe Abbati, in Scritti d’arte diDiego Martelli, a cura di A. Bo-schetto, Sansoni, Firenze 1952,p. 217.

destino – da Venezia. Gli anni che vanno dal’56 al ’62 sono quelli della formazione arti-stica di Federico, prima all’Accademia di Ve-nezia, poi dal ’59 a quella milanese di Brera,formazione che, come per molti giovani del-la sua generazione si accompagna ad un cre-scente coinvolgimento negli ideali e nellevicende risorgimentali e dunque all’impe-gno patriottico e militare. Lasciata Veneziaper motivi politici sin dal ’59, Federico fuquasi certamente al raduno di Modena22 do-ve si trovarono documentatamene Signori-ni, Gustavo Uzielli, Odoardo Borrani, Adria-no Cecioni e anche Diego Martelli la cuipresenza era ricordata molti anni più tardidal garibaldino veneziano Giuseppe Zolli,amico di Zandomeneghi e suo compagnod’armi23. «Venne il ’59… e dal ’59 fu una ri-voluzione di redenzione patria e di arte…»scrive Fattori nei suoi appunti autobiografi-ci, sintetizzando con efficacia quel clima mi-sto di aspirazioni civili e patriottiche e di rin-novamento artistico e culturale che animògli avventori del fiorentino Caffè Michelan-giolo. Ora i personaggi citati, artisti, lettera-ti e comprimari del movimento macchiaiolosi ritrovarono al raduno di Modena e gli in-dizi pervenutici sono sufficienti a far ipotiz-zare che lì Zandomeneghi possa aver avutoi primi contatti con i futuri compagni di stra-da. Ma al di là dei rapporti personali cheforse si verificarono, forse no, l’esperienzamilitare e patriottica produsse una più ma-tura consapevolezza in tutti questi giovani ecome un collante agì unificando prima o do-po le loro vite in una comunione di ideali ar-tistici e di aspirazioni civili che è elementoimprescindibile della vicenda macchiaiola.

Senza scendere nei particolari della par-tecipazione di Zandomeneghi alle vicenderisorgimentali che sono oggetto in questocatalogo del saggio di Cosimo Ceccuti, dob-biamo però ribadire che la condivisione ditali esperienze e dei valori ideali che le han-no promosse sono la solida base (quasi unpatto di sangue) su cui Federico costruisce isuoi rapporti umani e artistici durante lapermanenza a Firenze, città che lo accogliea partire dal ’62. La memoria del Caffè Mi-chelangiolo riaffiora in una tarda lettera aVittorio Pica:

«Ero giovanissimo e mi ricordo di averveduto una sera a Firenze al caffè Miche-

langelo, Morelli che, per me, aveva moltotalento, e di avergli sentito dire che PaoloVeronese doveva indicare agli italiani gio-vani la pittura dell’avvenire; e sta bene; maegli cosa fece? Alla fine della sua carrieraconfuse le camelote di Tiepolo coll’arte sa-na del Veronese»24.

In realtà quando Federico fa ingresso alMichelangiolo ha ventuno anni ed è il piùgiovane tra i progressisti. Per questo motivo,forse, Beppe Abbati più vecchio di sei anni,lo affianca sin dai primi momenti, e i due la-vorano insieme al Bargello e in Santa MariaNovella già dalla primavera del 1863. Comeè stato evidenziato da Piero Dini25, le fami-glie Abbati e Zandomeneghi erano in ottimirapporti dall’epoca degli studi di Beppe al-l’Accademia di Venezia ove egli aveva avu-to come compagno il fratello maggiore diFederico, Gioacchino. Abbati risiedeva a Fi-renze dal dicembre 1860 e si era fatto ap-prezzare non solo all’interno del gruppo deiMacchiaioli, ma anche nei circuiti più uffi-ciali della società artistica italiana, avendoconseguito un riconoscimento pubblico al-l’esposizione nazionale del ’61 per i suoiquadri d’interno. Abbiamo da tempo matu-rato il convincimento che gli esordi artisticidi Federico siano stati favoriti proprio dallavicinanza di Abbati; il quale, disorientatodal premio ricevuto (e ricusato), aveva me-ditato di abbandonare quanto di conven-zionale persisteva nel suo modo di dipinge-re, ragion per cui, scrive Martelli: «invece diprofittare della posizione conquistata di in-ternista celebrato egli pensò meglio di co-minciare a studiare all’aperto, inquantochél’abitudine di copiare ambienti chiusi muratili negava quella elasticità di forme e di mo-di che viene dallo studio di cose animate evive…»26. Di questa intima volontà di rin-novarsi propria dell’Abbati si avvantaggiòcertamente il più giovane Zandomeneghiche lavora – non sappiamo bene con qualiesiti – nei luoghi cari all’ispirazione abba-tiana, Santa Maria Novella, Palazzo Preto-rio, San Miniato al Monte e dunque presu-mibilmente in compagnia del napoletano.Ma Abbati ha iniziato a frequentare Casti-glioncello e i dintorni di Firenze che vedo-no operosi anche Silvestro Lega, OdoardoBorrani e Signorini, ragion per cui la suaproduzione si viene arricchendo delle nuo-

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ve esperienze en plein-air: ne nascono ca-polavori come “L’ombrellino”datato 1862 e“Stradina al sole”, nonché “Bimbi a Casti-glioncello”e le argentee marine di quel lito-rale. Ed è in questo stesso “doppio registro”che Zandomeneghi esordisce nel 1865, daun lato con il noto “Palazzo Pretorio” oggialla Galleria d’arte moderna di Venezia edall’altro con “La lettrice”, nella quale si ri-conosce Teresa Martelli assorta nella letturaed avvolta nei caldi riverberi del sole di Ca-stiglioncello. Quello che non è dato evince-re dai titoli delle opere esposte alle variepromotrici italiane anteriormente al ’65 (per

lo più acquerelli, nei quali evidentementeFederico esercita gli insegnamenti abbatia-ni, applicandosi allo studio della luce negliinterni monumentali fiorentini) lo si deveper forza di cose supporre in presenza didue opere così compiutamente riuscite, purnella diversa intensità poetica. Sono per co-sì dire dipinti “inattesi”; sensazione che seda un lato trova giustificazione nella perdi-ta di molte opere del periodo italiano diZandomeneghi, opere di cui è rimasta labi-le traccia nei cataloghi delle promotrici enei giornali dell’epoca27; d’altro canto è frut-to dello stupore con cui ci è dato di rilevareil perfetto inserimento del veneziano nelmondo dei Macchiaioli. È pur vero che lovediamo ora prender parte alle riunioni delCaffè Michelangiolo, ora firmare lo Statutodella Nuova Società Promotrice (ottobre1863), ora sottoscrivere la lettera al giorna-le genovese “Corriere mercantile” in difesadegli artisti macchiaioli (giugno 1864) e del-la loro poetica, e in considerazione di ciòmai potremmo per così dire dubitare dellabuona fede con cui Federico accoglie leistanze dei progressisti toscani. Ma la ma-turità di poetica che l’artista rivela di averraggiunto nelle due opere menzionate nonè per questo meno sorprendente.“PalazzoPretorio” potrebbe stare agevolmente ac-canto a “Loggiato con armigero” (1864) diAbbati per quella respirabilità che facevaesclamare al critico Camillo Boito «v’è luce,

Giuseppe AbbatiLoggiato con armigero(1864, collezione privata)

Federico ZandomeneghiPalazzo Pretorio(1865,Venezia, Galleria d’arte moderna)

27 Di tali informazioni è statoda noi fatto un vaglio di cui sidà conto nel nostro volume del1989.

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v’è aria» e gli faceva prevedere un roseo fu-turo per il nostro pittore; per quanto la si-tuazione emotiva sia sostanzialmente di-versa nelle due opere, dove alla malinconiaabbatiana e al silenzio che accende lo spun-to poetico ed evocativo, Zandomeneghi so-stituisce il dato narrativo, accendendo il dia-logo tra le due figure «leggiadramente toc-cate» – rilevava un critico dell’epoca – «piùda pittore figurinista che da prospettico»28.

La splendida tavola di “La lettrice” è lapiù raffinata e intensa interpretazione cheZandomeneghi ci abbia lasciato della sere-na e solare atmosfera di Castiglioncello. Nelraffigurare Teresa Fabbrini, compagna diDiego Martelli, il pittore abbandona ognivelleità ritrattistica, attratto e affascinato dalcandido riverbero di luce che la sagomadella giovane donna emana, immersa neltepore della calda giornata di primavera.L’assorto profilo di Teresa, ravvisabile nelraffronto con una fotografia Alinari di quel-lo stesso anno, riconduce al clima di affettiche caratterizzò le riunioni di amici alla Vil-la Martelli nel corso degli anni Sessanta eanche oltre, quando Teresa e Diego furonoi generosi ospiti di pittori, letterati e uomi-ni di cultura, attratti dalla bellezza primiti-va dello scenario naturale di Castiglioncel-lo e dalla colta e piacevole compagnia chelo animava. L’effetto di luminosità calda ediffusa è ottenuto per mezzo degli ocra edei bianchi, colori che, modulati da un gio-co di mezze tinte, modellano le pieghe cor-pose della veste di Teresa. Al di là del muro,oltre il cancelletto, uno spicchio di verzura,forse l’orto di casa Martelli e, al di là di unalto parapetto, uno scorcio di mare azzurroche lascia intuire l’insolita bellezza di quelprimitivo paesaggio particolarmente amatoda Borrani, da Sernesi. Se fosse dato di af-facciarsi alla quinta di muro, scorgeremmooltre il leccio svettante, la bella insenatura diCastiglioncello dipinta da Raffaello Serne-si nella sua straordinaria “Marina” e la lu-minosità tersa, sorgiva di quelle smaltatetarsie di colore, nonché il loro armoniosoincastonarsi inseguendo in profondità ildolce degradare della costa. Se solo cono-scessimo altre opere di Zandomeneghi re-lative a questo primo soggiorno nella pro-prietà Martelli che ebbe luogo nel maggio1865, potremmo meglio valutare il grado di

attrazione che quella natura forte e assola-ta esercitò sul Nostro. Ma “La lettrice” ri-mane l’unica testimonianza a noi pervenu-ta fin’oggi del coinvolgimento del venezia-no nelle ricerche poetiche della “scuola diCastiglioncello”. Del resto nelle tarde lette-re a Diego Martelli, scritte da Parigi negli ul-timi due decenni del secolo, il ricordo diCastiglioncello è sempre associato al benpiù lungo soggiorno del 1873-1874, ragionper cui dobbiamo credere che l’incalzaredegli avvenimenti risorgimentali impedis-sero con lo scoppio della Terza Guerra d’In-dipendenza e il conseguente rientro delNostro nella città natale finalmente libera-ta, il reiterarsi delle visite alla proprietà Mar-telli. Eppure “La lettrice”, quadro così ma-gicamente situato nella luce di Castiglion-cello, così perfettamente collocato nellageografia dei luoghi e degli affetti che li ani-mavano nei momenti “aurei”della storia deiMacchiaioli, ci suggerisce ulteriori elemen-ti di riflessione che allontanano la nostramente da questi luoghi e ci rammentanoche altrove ma con finalità poetiche consi-mili, Silvestro Lega aveva dipinto due anniprima l’amata Virginia in una ampia vestechiara, con analogo effetto di pieghe tra-sparenti e in ombra che entrambi i pittoriforse derivarono per suggestione dallo stu-dio dei bianchi di cui era particolarmenteinfervorato Abbati. Nel dipinto di Zando-meneghi come nella “Educazione al lavoro”di Lega, la figura grandeggia con la regalesemplicità di una “Annunciata”di Piero del-la Francesca, semplicità accentuata dal sen-so di politezza, espresso con la massima es-senzialità del mezzo pittorico, facendo ri-corso alla qualità neoquattrocentesca deldisegno. Dunque Federico frequentò Pia-gentina (forse più di Castiglioncello) e intal senso va interpretato il passo della tardalettera a Vittorio Pica in cui dichiara: «Vissia Milano e poi a Firenze dove passai i piùbegli anni della mia giovinezza e fu in que-sta città che cominciai a dipingere vicino aCabianca, Signorini, Abbati, Sernesi…quanti morti!»29. Che il rapporto con Legafosse ad un certo momento divenuto im-portante lo rivelano fra le righe, le missiveindirizzate a Signorini da Venezia tra il 1869e il 1870 e ancor più lo rivela il dipinto “Gliinnamorati”, datato 1866 e nato a evidenza

28 Cfr. Gazzetta di Venezia, 12settembre 1865.

29 La lettera, datata 11 marzo1908 è stata resa nota da Lam-berto Vitali (Lettere dei Mac-chiaioli, Milano 1953, pp. 325-326). Si veda inoltre F. DINI, cit.,1989, p. 527.

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nel clima di Piagentina. Lega si applicò altema della giovane coppia di innamoratinel noto quadro “I fidanzati” (1869 circa)scegliendo il momento del tramonto, edunque avvolgendo di caldi toni rosati l’in-timo conversare dei due promessi.“La soa-ve maniera descrittiva”,“la politezza stlisti-ca”, per dirla col Cecchi, “la nitida defini-zione dei nostri primitivi”30 recuperata daldipinto leghiano nel suo valore etico oltreche estetico, si sciolgono nel prezioso qua-dro di Zandomeneghi in una maniera piùdisinvolta che forse allude alla disinibita,intima complicità dei protagonisti, ma checertamente esprime il bisogno dell’artistadi esplorare soluzioni compositive se nonnuove (si pensi agli arditi scorci del Verone-se) comunque più desuete: la coppia, vistadi spalle, si abbraccia affacciata, o megliodire adagiata sul parapetto dell’altana, e co-sì facendo confonde l’allegro conversare neisuoni e nei rumori della città che vive gli ul-timi momenti della tiepida giornata inver-nale. Il tramonto – con questo titolo cre-diamo che il dipinto sia stato esposto a Ve-nezia nella primavera del ’66 – diviene per-tanto, con licenza dei protagonisti, l’ele-mento conduttore della raffigurazione.

L’impeto lirico che muove l’operato diZandomeneghi in seno alle scuole di Casti-glioncello e Piagentina viene brutalmenteinterrotto dall’incalzare degli avvenimentibellici, poiché chiamato dalla Terza Guerrad’Indipendenza alla liberazione di Venezia,Federico parte volontario con Abbati alla fi-ne di maggio.

Il rientro a Venezia, reso possibile dallaPace di Praga del 23 agosto, è politicamentevittorioso quanto artisticamente rischioso:la città è rimasta immobile e sostanzialmen-te estranea alla “rivoluzione”dei Macchiaio-li, tanto che spetterà proprio a Zandome-neghi vivificarla dei nuovi fermenti. «Sospi-ro sempre il momento di ritornare a Firenzee questo basti per assicurarti quanto mi dol-ga l’esserne lontano», scrive Federico a Si-gnorini nel gennaio 186831. La morte del pa-dre e soprattutto la scomparsa della sorellaAnna, sposa di quel Giuseppe Toniolo chequalche anno prima aveva salvato Federicodalle carceri austriache e che si trovava im-provvisamente vedovo con due bambini dacrescere, di fatto, impedivano al pittore di

30 EMILIO CECCHI, Silvestro Le-ga, in “Il secolo XX”, anno 25,n° 5, Milano maggio 1926, p.348.

31 La lettera è stata resa notada Piero Dini (cit., 1975, p. 283).Si veda inoltre l’epistolariodell’artista (F. DINI, cit., 1989, p.451).

Giuseppe AbbatiStradina al sole(1862, collezione privata)

Silvestro LegaEducazione al lavoro(1863, collezione privata)

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32 Cfr. P. MAURI, Esposizionedella Società Promotrice di Vene-zia, in “Gazzettino delle arti deldisegno”, anno I, n° 21, 8 giu-gno 1867, pp. 164-166.

ricongiungersi con i compagni di Firenze,ma non di sperare e di operare per la rina-scita artistica della città natale. Il mecenati-smo dei Conti Papadopoli sembrava attivar-si in quella direzione: essi non solo avevanocreato, già nel 1865, la “Società Promotrice”per promuovere pubbliche esposizioni innetto antagonismo con la struttura accade-mica dichiaratamente filo-asburgica, ma do-po la liberazione della città, si facevano cari-co di una prestigiosa commissione al pitto-re Michele Cammarano, chiamandolo perquesto a Venezia e dunque di fatto procu-rando alla città lagunare una presenza illu-minante in direzione di quel “realismo”cherisuonava sulla bocca di molti come sinoni-mo di “modernità” senza necessariamenteessere inteso nel suo vero significato.

È il caso di quel Mauri, non meglio iden-tificato autore della recensione comparsa sulGazzettino delle arti del disegno nel giugno1867 e relativa all’esposizione della promo-trice veneziana32: egli, a fronte di dichiara-zioni di principio quali «non c’è pittura sen-za realtà» e «la natura bisogna copiarla comesta», di fatto andava in brodo di giuggiole(«che verità! Che espressione in quelle te-ste!») per un quadro del generista di ma-niera Antonio Rotta raffigurante “un vecchioarrotino che alla sua bottega portatile vuolfare il galante ad una paffuta ragazza cheesamina se è bene aguzzata la forbice”. Didiverso impegno apparvero ai giovani pitto-ri veneziani le opere di Michele Cammaranoesposte a Venezia, ragion per cui l’allogazio-ne al pittore napoletano del grande dipinto“Incoraggiamento al vizio”da parte dei Pa-padopoli acquista ai nostri occhi un partico-

lare significato che certo Zandomeneghi nonmancò di individuare,“allevato”com’era alculto della sincerità e alle prove di realismointegrale di cui era stato campione sin dal1864 il Signorini con “L’alzaia”. I tempi era-no maturi per una riflessione sui risvolti so-ciali dell’Italia post-unitaria, sulla mancataattuazione delle riforme necessarie a mi-gliorare le condizioni di vita della popola-zione e sul desiderio di denunciare il males-sere e la delusione che conseguivano a que-sto stato di cose. Cammarano che dopo averseguito Garibaldi nel 1860, si era arruolatonella Guardia Nazionale per combattere lapiaga del brigantaggio, aveva maturato unavisione cruda e drammatica della realtà delsud d’Italia, individuando tra le cause, il po-tere secolare della Chiesa, colpevole oltre-tutto di frapporsi al completamento dell’u-nità nazionale.

Telemaco SignoriniL’alzaia(1864, collezione privata)

Federico ZandomeneghiMattino a Venezia(Gli spazzaturai)(1869, ubicazione sconosciuta)

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Catalogo delle opere

L’ordine delle schede in catalogo segue l’andamento delle opere in mostra

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GLI ANNI ITALIANI

Esule dalla città natale, Venezia, dominio asburgico,Federico Zandomeneghi si stabilisce a Firenze nel corsodel 1862, all’età di ventuno anni.

Prende subito parte alla vita artistica del Caffè Miche-langiolo schierandosi con la gioventù progressista e le-gandosi in particolar modo a Beppe Abbati e a DiegoMartelli.

L’intesa con i Macchiaioli è prima di tutto umana e pa-triottica, favorita dai comuni ideali politici e libertari.

Non meno importante è la condivisione di quella lineadi ricerca che porta i toscani a interessarsi, su istigazione diDomenico Morelli e dietro l’esempio di Eugène Delacroix,alla grande pittura veneta del Cinquecento e a Paolo Vero-nese in particolare, cercando, nel raffronto analogico con i“maestri macchiaioli dell’antichità”, conforto alle proprieprimarie esigenze in materia di colore e di luce.

Rampollo di quella tradizione secolare, il venezianoZandomeneghi si lascia guidare nei suoi esordi toscani dalpiù anziano Abbati e i due lavorano insieme al Bargello ein Santa Maria Novella, ritraendo gli edifici monumenta-li fiorentini con nuovi, naturalistici effetti di luce e di at-mosfera. Ben presto Federico è irretito dall’afflato lirico cheanima le scuole di Castiglioncello e di Piagentina, complicii rapporti di stima con Raffaello Sernesi, con TelemacoSignorini e con Silvestro Lega.

Ma la partecipazione alle vicende del “decennio au-reo”della macchia (“La lettrice”,“I fidanzati”) viene bru-talmente interrotta dall’incalzare degli avvenimenti belli-ci, poiché Zandomeneghi è chiamato dalla Terza Guerrad’Indipendenza alla liberazione di Venezia.

Il rientro nella città natale nell’autunno 1866 è politi-camente vittorioso quanto artisticamente rischioso: Ve-nezia è rimasta immobile e sostanzialmente estranea al-la “rivoluzione”dei Macchiaioli, tanto che spetterà proprioa Zandomeneghi vivificarla dei nuovi fermenti.

Le enormi lacune e le dispersioni sono a oggi l’ostaco-lo maggiore per una più corretta valutazione critica del de-

cennio di attività italiana di Federico: a fronte di un cen-simento di meno di cinquanta opere, condotto attraversoi cataloghi delle promotrici e i giornali del tempo, la metàdi esse rimangono sconosciute, mentre molti dei quadrinoti attraverso pubblicazioni della prima metà del Nove-cento, sono tornati a essere irreperibili perché di ignotaubicazione. Per questa ragione abbiamo creduto utile ri-contestualizzare il decennio di attività italiana di Zando-meneghi intercalando ad essa celeberrimi dipinti di Gio-vanni Fattori, di Giuseppe Abbati, di Raffaello Sernesi,diSilvestro Lega, indispensabili per valutare il perfetto inse-rimento di Federico all’interno delle scuole di Castiglion-cello e Piagentina; inoltre viene proposta per la primavolta l’opportunità del confronto tra una delle opere piùimpegnative di Zandomeneghi, Impressioni di Roma e ilgrande quadro di Michele Cammarano Incoraggiamentoal vizio, esemplare espressione di quel “realismo integra-le”che orienta la produzione di Zandomeneghi in queglistessi anni (come nel disperso Gli spazzaturai). Seguono leopere veneziane, l’inedita Popolana con scialle rosso, Paul deKock e ancora Preparativi per la processione, In chiesa nellequali riaffiorano i temi claustrali un tempo cari a BeppeAbbati, reinventati tuttavia con fare più narrativo e la cro-mia brillante nei rossi, nei viola e nei blu, che diverrà tipi-ca degli anni francesi. Attraverso l’accostamento tra il no-to Bastimento allo scalo e un significativo dipinto di Gu-glielmo Ciardi della stessa epoca, si offre lo spunto per unariflessione sul ruolo di tramite che Zandomeneghi rivestìtra la compagine macchiaiola e la scuola veneta di Ciardi,di Nono, di Favretto.

Zandomeneghi trascorre i primi sei mesi del 1874 aCastiglioncello, nella villa Martelli, dove matura il pro-getto di recarsi a Parigi, il centro del mondo artistico nelquale imperava il Naturalismo di Jules Breton, di Jules Ba-stien-Lepage, di Carolus-Duran e dove fa notizia la par-tecipazione del già allora celeberrimo De Nittis alla mostradi un drappello di artisti d’avanguardia, presso il foto-grafo Nadar.

(F.D.)

Sezione I

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54F E D E R I C O Z A N D O M E N E G H I I L M O N D O D I Z A N D O M E N E G H I

Zandomeneghi dipinse con tutta probabilità questo pic-colo capolavoro nella primavera del 1865, a Castiglioncel-lo, mentre era ospite nella tenuta dell’amico Diego Martelli,critico d’arte e sostenitore dei Macchiaioli. Identificabilecon La lettura, che fu esposto l’anno seguente alla Promo-trice di Venezia, il quadro ritrae verosimilmente, sulla basedi un confronto fotografico suggerito da Piero Dini, la com-pagna di Martelli,Teresa Fabbrini. La donna, tuttavia, com-pare in veste di occasionale protagonista, di pretesto perun’incantata contemplazione pittorica. Siamo, infatti, perl’artista veneto, al culmine della sua partecipazione al sen-timento della “macchia”, intesa come ricerca di un rinno-vamento formale profondo rispetto a contenuti già cari al-la tradizione romantica. Tale ricerca era iniziata circa treanni prima, a Firenze, grazie ai rapporti presto intercorsi frail veneziano e alcuni protagonisti del vivace clima artisticolocale. Fra questi proprio Martelli, e altri interpreti della“rivoluzione macchiaiola”come Giuseppe Abbati e Odoar-do Borrani.

La figura femminile contemporanea, dunque, affet-tuosamente inquadrata e collocata in atteggiamento ca-suale sullo sfondo di un paesaggio familiare, già nucleodell’universo circolare e in sé risolto che la Restaurazioneaveva promosso, diveniva ora, in primo luogo, lo spuntoper una riflessione sui valori sostanziali della composi-zione. Ecco infatti che la donna, intenta alla lettura, si ac-campa assorta e monumentale al centro della tela, e noncerca alcun dialogo con lo spettatore, al quale, anzi, vol-ge quasi la schiena. Piramide luminosa, tuttavia, nella suaampia veste chiara, essa è il quadro, in quanto ne deter-mina tanto l’architettura fatta di semplici rapporti volu-metrici, che la dominante cromatica dei giallo-ocra at-traverso i quali l’artista ci trasmette l’incanto dell’assola-ta primavera maremmana, mentre il cielo si fa ancor piùterso e arioso per il contrasto con la macchia solare del-

l’ombrellino e con la lama turchina del mare all’orizzon-te. Pochi ma essenziali come il motivo del quadro, questirapporti di colore sono sollecitati dall’incidenza della lu-ce che tutto scandisce e discerne, e che, al di là del possi-bile rimando – date per giunta le origini comuni – ad ungrande interprete della luce del primo Rinascimento co-me Domenico Veneziano, ha, nella sua inoppugnabilefunzione critica, una potenzialità espressiva analoga aquella apprezzabile nei quadri di Abbati e Borrani. I qua-li, da parte loro, svolgevano appunto il principio umani-stico della razionalità in serrata indagine positiva. Eppu-re Zandomeneghi, proprio come un altro illustre ospite, inquegli anni, di Castiglioncello, Raffaello Sernesi, fin d’o-ra rivela una nota lirica personale, che suona cristallinanell’ampio respiro atmosferico dell’insieme, o si smorzanella percezione intensa dei caldi riflessi di sole; e infine,come in Silvestro Lega, trova eco nella presenza discretama centrale della figura femminile.

BIBLIOGRAFIA

E. Piceni, Zandomeneghi, Milano 1967, n. 3; Dal Caffè Michelan-gelo al Caffè della Nouvelle Athène. I Macchiaioli tra Firenze e Parigi,catalogo della mostra (Montecatini Terme) a cura di P. Dini,Torino1986, n. 46, tav. XI; P. Dini, Giuseppe Abbati, Torino 1987, n. 131, p.294; F. Dini, Federico Zandomeneghi, 1989, n. 5, p. 392, tav. III; IMacchiaioli e la Scuola di Castiglioncello, catalogo della mostra (Ca-stiglioncello) a cura di P: Dini, Torino 1990, n. 40, p. 181; I Mac-chiaioli e l’America, catalogo della mostra (Genova) a cura di D.Durbè, P. Dini, F. Dini, Genova 1992, n. 25, tav. XIX; Dai Mac-chiaioli agli Impressionisti, catalogo della mostra (Livorno) a cura diF. Dini e E. Spalletti, Firenze 1996, n. 1.23; S. Bietoletti, I Mac-chiaioli, Firenze 2001, p. 233; I Macchiaioli. Opere e protagonisti di unarivoluzione artistica (1861-1869), catalogo della mostra (Castiglion-cello) a cura di F. Dini, Firenze 2002, n. 29; I Macchiaioli prima del-l’Impressionismo, catalogo della mostra (Padova) a cura di F. Maz-zocca e C. Sisi,Venezia 2003, n. 81.

1.

La lettrice (1865)

Olio su tela, cm 38x30Collezione privata

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Sernesi dipinse questa tela probabilmentenel 1864, durante un soggiorno presso l’amicoDiego Martelli, nella sua tenuta di Castiglion-cello, e dunque in piena effusione del movi-mento macchiaiolo. Il mondo che gli si manife-sta nella gloria suprema dell’ora meridiana diuna giornata straordinariamente limpida, in

quello spaccato mirabile che era allora l’incontaminata Ma-remma toscana, è di una purezza cristallina, quasi fossestato posto sotto una lente e analizzato con metodica at-tenzione in ogni suo dettaglio. Conseguenza o meno diuna ritrovata fede nell’Assoluto (C. Del Bravo, La luce diSernesi, in “Artista”1997, pp. 146-159), lo sguardo dell’arti-sta ha una spazialità lucida e serena, che esalta la metodo-logia positivista degli anni trascorsi svuotandola di ogni in-tento che non sia quello di manifestare una superiore ar-monia. Unica protagonista di questa predella “laica”, che haper contenuto la divinità della Natura, infatti, è la luce, cheinvade la costa assolata dal primo piano alberato all’infini-

to dell’orizzonte, e che accende il contrasto fra i verdi variatidella costa e la profondità turchina del mare, rendendo su-perflua ogni presenza umana, ridotta non a caso ai minimitermini del personaggino contro la palizzata, sulla destra.Né altro sembra importante, se non la percezione della cal-da, distillata atmosfera che si sprigiona dalla contempla-zione della Bellezza.

BIBLIOGRAFIA

I Macchiaioli, catalogo della mostra (Firenze) a cura di D. Durbèe S. Pinto, Firenze 1976, n. 85, p. 143; G. Daddi, Raffaello Sernesi,Oggiono-Lecco 1977, tav. XXVI, pp. 132-133; I Macchiaioli e laScuola di Castiglioncello, catalogo della mostra (Castiglioncello) acura di P. Dini e F. Dini, Firenze 1990, n. 27, pp. 174-175; Dai Mac-chiaioli agli Impressionisti, catalogo della mostra (Livorno) a curadi F. Dini, E. Spalletti, Firenze 1996, S. Bietoletti, I Macchiaioli, Fi-renze 2001, pp. 200-201; I Macchiaioli. Opere e protagonisti di una ri-voluzione artistica (1861/1869), catalogo della mostra (Castiglion-cello) a cura di F. Dini, Firenze 2002, n. 24.

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2.

Raffaello Sernesi, Marina a Castiglioncello, (1864)

Olio su tela, cm 27,6x82Collezione privata

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Lega dipinse questo quadro intorno al1869, estrapolando le due figure rispetto aduna composizione più complessa e distesa,I promessi sposi, della quale I fidanzati rias-sume l’emotività incombente dal cielo nu-voloso ed effusa nella tonalità vespertinadei colori anche grazie al formato ridotto everticale, che concentra l’attenzione dellospettatore. Siamo a ridosso di un momentodi svolta del percorso artistico dell’artista

che nel ’70 perderà l’amata compagna,Virginia Batelli, e su-birà nella sua pittura le conseguenze di questo grave lutto.Ma fin d’ora qualcosa agita visibilmente la quiete aurearaggiunta nel periodo di Piagentina, quando la presenzaumana era fonte di varietà concorde, in atmosfere trepidedi sentimenti quieti, segnati appena dal volgere ciclico maregolare delle stagioni. La scelta stessa di rinunciare all’o-rizzontalità da fregio o da predella, che diverrà poi fre-quente, significa bisogno istintivo di prendere le distanzeda una narratività distesa che non si avverte più come pra-ticabile, in un mondo che, indipendentemente dalle moti-vazioni personali, assisteva al crollo progressivo delle cer-tezze positive degli anni trascorsi, quando anche Lega ave-va preso parte al movimento pittorico della ‘macchia’ cre-dendo fermamente nella necessità di sfuggire alle conven-zioni dell’Accademia.

Allora, egli aveva condiviso con gli amici del Caffè Mi-chelangelo la ricerca di un discorso formale aperto, che perlui aveva una sua affabilità discorsiva non esente da tene-

rezze. Da ciò non si poteva certo prescindere, ormai, ma ilracconto lento e pausato si contrae visibilmente, nel tenta-tivo di trovare un nuovo piano d’intesa, più mediato e allu-sivo, che non cerca il dialogo con lo spettatore se non tra-mite atmosfere evocate per via di forma e colore, in grado diisolare i personaggi nel chiuso del loro mondo: entrambi dischiena, lui in scuro, lei in bianco e verde chiaro – unica no-ta alta contro i bassi di un prato di stoppie arsicce che si al-za repentino fin quasi all’orizzonte coperto di nubi – i duesono avvolti dalla luminosità cupa che precede il buio del-la notte, e le loro figure ravvicinate in quell’universo pocoospitale trasmettono un sentimento di solitudine desolata,d’incombente tristezza. Quella stessa, forse, provata da Le-ga al pensiero del male che minava in quel mentre la suaamata, e che di lì a poco l’avrebbe portata lontano da lui; mache era anche il male esistenziale di una generazione diartisti che aveva abbandonato la via battuta per spingersi al-la ricerca di nuove possibilità espressive, e si scontrava alloracon la fatica di garantire umanità e coerenza a una meto-dologia dai presupposti teorici fortemente in crisi.

BIBLIOGRAFIA

P. Dini, Silvestro Lega. Gli anni di Piagentina, Torino 1984, n. 64;G. Matteucci, Lega. L’opera completa, Firenze 1987, II, n. 120; Silve-stro Lega. Dipinti, catalogo della mostra (Milano-Firenze) a cura diL. Landini, G. Matteucci, R. Monti, Firenze 1988, n. 41; Gli anni diPiagentina. Natura e forma nell’arte dei Macchiaioli, catalogo dellamostra (Firenze), Firenze 1991, scheda a cura di L. Lombardi, pp.30-31.

3.

Silvestro Lega, I fidanzati, (1869)

Olio su tavola, cm 40x25,5Firmato in basso a destra: “S. Lega”Collezione privata

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Una gentile aura romantica spira in questo quadro, raf-figurante una coppia affacciata da un’altana, da identificarsipresumibilmente con Il tramonto, esposto nello stesso an-no dell’esecuzione, il 1866, alla Promotrice di Venezia, edunque verosimile pendant de La lettrice (cfr. cat. n. 1), conla quale fece parte della collezione dei nipoti dell’artista, iToniolo. Di quel capolavoro, infatti, Gli innamorati costitui-sce una sorta di variante tematica: se la donna intenta allalettura che si ripara all’ombra di un parasole sullo sfondodella marina di Castiglioncello è quella amata dall’amicoDiego Martelli, Teresa Fabbrini, qui l’affettività nel legamefra i due personaggi (forse ancora Teresa, ma in compagniadi Diego?) è esplicita – sebbene al calore del riverbero pri-maverile siano subentrati una luminosità più ambigua, dacrepuscolo invernale, e all’abito chiaro e leggero quelli pe-santi, consoni al clima mutato. Proprio come ne La lettrice,d’altra parte, i due negano ogni contatto fuori del loromondo, e voltano addirittura la schiena a chi guarda il qua-dro. L’apparente casualità della posa e il suo rifiuto di undialogo con lo spettatore contribuiscono tuttavia a con-centrare l’attenzione sul problema del colore, e quindi sul-l’atmosfera. Le figure infatti emergono dalla penombra e sistagliano contro il rifulgere di un cielo dorato, tinto dai ri-

verberi del sole calante; ciò che conta è in primo luogol’effetto di controluce, come spesso avviene in opere coevedi Giuseppe Abbati, ad esempio, al quale infatti Zando-meneghi era molto vicino in questi anni toscani. Ma laqualità del tono cromatico, vibrante di grigi-argento e in-trisa dei porpora accesi dalla luminosità occidua, sa di ri-flessioni puntuali su Tiziano e Tintoretto. Riflessioni tantopiù significative in quanto svolte ancora in un ambito dicultura “macchiaiola”, espressione, quindi, di un’attentaanalisi della composizione nei suoi valori fondamentali eprimari. Se infatti per i toscani la razionalità del momentopositivista trovava riscontro nel Quattrocento idealizzatodella loro tradizione, fin da ora il veneziano si mostrava in-cline a stemperare il rigore costruttivo di quell’insegna-mento nell’emotività più libera del colore caro alla “sua”tra-dizione.

BIBLIOGRAFIA

E. Piceni, Zandomeneghi, Milano 1967, n. 2; Zandomeneghi. Unveneziano a Parigi, catalogo della mostra (Venezia) Milano 1988, n.2, p. 90; F. Dini, Federico Zandomeneghi, 1989, n. 9, p. 394, tav. IV; S.Bietoletti, I Macchiaioli, Firenze 2001, p. 233.

4.

Gli innamorati, 1866

Olio su tavola, cm 38x30Firmato in basso a destra: “F. Z.”e datato 1866Istituto Matteucci,Viareggio

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Come plausibilmente dimostrato (F. Dini, 1989, p. 399),Zandomeneghi dipinse questo ritratto dell’amico DiegoMartelli fra il dicembre del 1869 e il gennaio del 1870, du-rante un breve soggiorno fiorentino, attestato fra l’altro an-che dall’iscrizione apposta in calce al quadro stesso. Il cri-tico dei Macchiaioli è rappresentato in un’attitudine chedoveva essergli consueta: seduto al proprio tavolo da la-voro, mentre scrive, magari uno dei suoi proverbiali com-menti sull’arte contemporanea. La contemporaneità, delresto, è carattere saliente di questo quadro singolare, rea-lizzato dal pittore veneto con piglio disinvolto e anti-conformista, ma caratterizzato, all’impatto, da un saporeantico. Colto nell’intimità del suo studio come da un usciosemi aperto, nella sua veste da camera grigio chiaro orna-ta di alamari rossi, una berretta in capo per via del freddoinvernale che la stufa a legna accesa sullo sfondo lascia in-tuire, circondato da scartoffie e libri ordinatamente dispo-sti, Martelli non rivolge lo sguardo verso lo spettatore, maneppure verso un punto ideale fuori dal quadro, comenella tradizione più aulica del genere. È isolato, invece,concentrato sulla sua occupazione, quasi non si fosse ac-corto di essere oggetto dell’interesse pittorico dell’amico.Esempi di analoga spontaneità nella costruzione del ri-tratto, volutamente non ideale e dove il protagonista ècalato nel suo mondo quotidiano, non sono rari in ambi-to impressionista (basti pensare al Ritratto di Emile Zolapresentato da Manet al Salon parigino del 1868) e traggo-no immediata ispirazione dal realismo teorizzato da Cour-bet, non ignoto neppure all’italiano. Solo pochi anni pri-ma, d’altra parte, circa nel 1865, anche Giovanni Boldiniaveva ritratto l’amico Martelli con la brillante estempora-neità della sua pittura: accovacciato per terra, nell’angolodi uno studio d’artista, lo sguardo francamente rivolto al-lo spettatore.Tipico di Zandomeneghi è invece il procedi-mento secondo il quale il soggetto si nega a ogni dialogo,consentendo all’artista di concentrarsi sul significato for-

male del quadro. Ciò che risalta, dunque, ancor più del-l’attualità della scena, è la scelta di un tradizionalissimoimpianto prospettico e disegnativo, in grado di arginareampie zone cromatiche nella luminosità diffusa, di cui siignora la fonte. L’effetto è armonico, d’intonazione neo-quattrocentesca, con un’attenzione al particolare quasifiamminga nella definizione del lucido calamaio nero, adesempio, o nel disporsi irregolarmente ordinato dei foglibianchi riflessi sul piano scuro del tavolo. Infatti, pur nonignorando, anche per il tema, illustri esempi fiorentini, (ilSan Gerolamo di Botticelli), Zandomeneghi sembra avermeditato piuttosto sui capolavori della sua tradizione d’o-rigine, da Bellini a Antonello, nei quali il dettaglio, benchéaccuratamente individuato, partecipa del tutto circostan-te per via di sottili trapassi atmosferici. Ecco dunque cheallo scatto razionale del segno, portato di una tradizioneche per i Macchiaioli si era tradotta in certezza di analisi,egli contrappone una propria lentezza contemplativa, frut-to di analoghe, ma personalissime riflessioni. La straordi-naria qualità del dipinto è prova dell’equilibrio raggiuntoormai dall’artista, in grado di mediare e rielaborare coe-rentemente la metodica “rivoluzionaria”insita nella “mac-chia”. E in effetti, qualche decennio più tardi, nel pieno diuna discussione sul significato dello “stile”in pittura che ri-portava in auge i recenti trascorsi della cultura figurativatoscana, proprio questo quadro affascinò senz’altro un ar-tista come il livornese Oscar Ghiglia, che lo citò puntual-mente nel suo Ritratto di Ugo Ojetti (1909-1910), ossia delsuo referente critico per eccellenza, ciò che Martelli era sta-to per Zandomeneghi.

BIBLIOGRAFIA

E. Piceni, Zandomeneghi, Milano 1967, n. 11; Zandomeneghi.Un veneziano a Parigi, catalogo della mostra (Venezia) Milano1988, n. 10, p. 97; F. Dini, Federico Zandomeneghi, 1989, n. 23, p. 399,tav.VIII

5.

Diego Martelli allo scrittoio, 1870

Olio su tela, cm 61x40,5 Siglato e datato in basso a destra: “Z.F. Firenze ’70”Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti, Firenze

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Il quadro presenta l’immagine di una donna seduta suun muricciolo, di profilo, contro lo sfondo di un paesaggioalberato. Come spesso in Zandomeneghi la figura umana,pur essendo centrale, è defilata e non cerca un dialogo conlo spettatore. Ciò che colpisce, piuttosto, a conferma del-l’interesse non sporadico dell’artista per la grande tradi-zione cinquecentesca della pittura veneta, è l’intensità delcolore, smorzato ma al tempo stesso acceso dall’ora ve-spertina. Il cielo infatti ha una tinta lattiginosa che tuttavianelle fronde scure dei cipressi, come nella chioma femmi-nile, s’intride della luce del sole calante. Un’atmosfera ti-zianesca, quando scalda il rosso della mantellina scivolatadalle spalle in grembo alla fanciulla, pervade la composi-zione, partecipando la donna e il paesaggio circostante,dal prato fiorito all’ampia veduta di colline verdeggianti, diun vivido sentimento della natura. «La tela», inoltre, comescrisse Camillo Boito commentando l’opera quando venneesposta alla Accademia di Venezia nel 1871, al di là delsoggetto giudicato grossolano per non essere la ritrattata diuna bellezza ideale, «era dipinta sprezzantemente e insie-

me stentatamente, e come a bioccoli o a fiocchi», in modoquasi «spiacente»: una scelta che a sua volta potrebbe es-sere intesa quale recupero consapevole, alla luce della ‘mac-chia’, di effetti pittorici alla Tintoretto. Proprio da questo in-sieme non armonico, del resto, secondo lo scrittore, porta-voce di una concezione “scapigliata” che ammetteva unacerta dose di brutalità in funzione espressiva, scaturiva laqualità della scelta pittorica di Zandomeneghi. «In queldipinto sgarbato e goffamente eseguito», precisava infattiBoito, era dato percepire sensazioni impalpabili quali le«vaghe impressioni del crepuscolo della sera». Esso posse-deva dunque, insito nel colore e nella forma ancor più chenel soggetto, o meglio al di là di questo, «il grande meritodell’arte, l’espressione del vero».

BIBLIOGRAFIA

E. Piceni, Zandomeneghi, Milano 1967, n. 20; F. Dini, FedericoZandomeneghi, 1989, n. 25, p. 400, tav. IX; I Macchiaioli. Opere eprotagonisti di una rivoluzione artistica (1861-1869), catalogo dellamostra (Castiglioncello) a cura di F. Dini, Firenze 2002, n. 74.

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Signora nel parco, (1871)

Olio su tela, cm 70x47Firmato in basso a sinistra: “F. Zandomeneghi”Collezione privata

Page 35: DAI MACCHIAIOLI AGLI IMPRESSIONISTI Il mondo di Zandomeneghi · Screening delle opere e montaggio Paolo Bellucci Fotografie Remo Bardazzi, Firenze Assicurazioni Le opere esposte sono

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