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8 Opere pubbliche ed archeologia opere Gli acquedotti di Roma antica Un tuffo nel passato dei lavori pubblici di Nicola Grifone I ROMANI POSERO OGNI ATTENZIONE SU TRE COSE CHE DAI GRECI FURONO TRASCURATE, CIOÈ NELL APRIRE STRADE, NEL CONDURRE ACQUEDOTTI E NEL COSTRUIRE NEL SOT- TOSUOLO CLOACHE (…)GLI ACQUEDOTTI PORTANO TANTA ACQUA CHE SCORRE COME FIUMI DENTRO LA CITTÀ (…) E QUASI TUTTE LE CASE HANNO LE CISTERNE, I LORO TUBI E CANALI DACQUA ABBONDANTE”. STRABONE. La fondazione e lo sviluppo della città di Roma furo- no strettamente connessi alla capacità di assicurare un costante approvvigionamento idrico. Il metodo maggiormente adottato era la conduzione dell’acqua con il sistema di scorrimento a pelo libero su di un piano inclinato, con conseguente caduta di quota dal bacino di captazione fino al punto d’eroga- zione, mediante la costruzione di un canale artificiale in costante pendio, come sono gli Acquedotti Felice, Paolo e Vergine. La sistematica applicazione delle esperienze maturate nelle precedenti civiltà, con quella romana raggiunse la massima efficienza tecnica, che culminò nella realizza- zione di grandi opere pubbliche e nella codifica delle stesse nei trattati di Vitruvio, Plinio il Vecchio e Frontino. L’opera di quest’ultimo, curator aquarum del 97 d.C., è certamente la sintesi più completa, sia delle conoscen- ze tecniche raggiunte, che dello stato stesso degli acquedotti di Roma. Nel trattato, di ciascun condotto, sono fornite le infor- mazioni storiche, le principali caratteristiche tecniche, le norme e le quantità di distribuzione; oltrechè, tutta la “giurisprudenza” che regolava l’amministrazione delle acque. Nella progettazione e costruzione di un acquedotto risultava fondamentale, oltre che la qualità e l’abbon- danza delle acque, la possibilità d’imbrigliamento e la scelta del percorso; in particolare, che le fonti d’ali- mentazione fossero ad una quota compatibile con la pendenza del condotto ed il livello di erogazione fina- le. Inizialmente il rifornimento idrico avvenne mediante lo sfruttamento di sorgenti locali (di cui Roma era par- Fig. 1 Schema di funzionamento di un castellum Fig. 2 Cisterna della Valle delle Vignacce

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8Opere pubbliche ed archeologiaopere

Gli acquedotti di Roma antica

Un tuffo nel passato dei lavori pubblici

■■ di Nicola Grifone

IROMANI POSERO OGNI ATTENZIONE SU TRE COSE CHE DAI

GRECI FURONO TRASCURATE, CIOÈ NELL’APRIRE STRADE,NEL CONDURRE ACQUEDOTTI E NEL COSTRUIRE NEL SOT-

TOSUOLO CLOACHE (…)GLI ACQUEDOTTI PORTANO TANTA

ACQUA CHE SCORRE COME FIUMI DENTRO LA CITTÀ (…) E

QUASI TUTTE LE CASE HANNO LE CISTERNE, I LORO TUBI E

CANALI D’ACQUA ABBONDANTE”. STRABONE.La fondazione e lo sviluppo della città di Roma furo-no strettamente connessi alla capacità di assicurare uncostante approvvigionamento idrico.Il metodo maggiormente adottato era la conduzionedell’acqua con il sistema di scorrimento a pelo liberosu di un piano inclinato, con conseguente caduta diquota dal bacino di captazione fino al punto d’eroga-zione, mediante la costruzione di un canale artificialein costante pendio, come sono gli Acquedotti Felice,Paolo e Vergine.La sistematica applicazione delle esperienze maturatenelle precedenti civiltà, con quella romana raggiunse lamassima efficienza tecnica, che culminò nella realizza-zione di grandi opere pubbliche e nella codifica dellestesse nei trattati di Vitruvio, Plinio il Vecchio eFrontino.L’opera di quest’ultimo, curator aquarum del 97 d.C., ècertamente la sintesi più completa, sia delle conoscen-ze tecniche raggiunte, che dello stato stesso degliacquedotti di Roma.Nel trattato, di ciascun condotto, sono fornite le infor-mazioni storiche, le principali caratteristiche tecniche,le norme e le quantità di distribuzione; oltrechè, tuttala “giurisprudenza” che regolava l’amministrazionedelle acque.Nella progettazione e costruzione di un acquedottorisultava fondamentale, oltre che la qualità e l’abbon-

danza delle acque, la possibilità d’imbrigliamento e lascelta del percorso; in particolare, che le fonti d’ali-mentazione fossero ad una quota compatibile con lapendenza del condotto ed il livello di erogazione fina-le.Inizialmente il rifornimento idrico avvenne mediantelo sfruttamento di sorgenti locali (di cui Roma era par-

Fig. 1 Schema di funzionamento di un castellum

Fig. 2 Cisterna della Valle delle Vignacce

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ticolarmente ricca), dai corsid’acqua e dalla raccolta in cister-ne sotterranee delle acquemeteoriche.Forse dagli etruschi i romaniappresero e migliorarono le tec-niche di scavo di pozzi e cunico-li (accuratamente intonacati conmalte idrauliche), che in seguitoconsentirono di captare diversevene acquifere che alimentavanoun unico condotto principalecome per l’Acqua Appia, Tepulaed Alexandrina.Le acque delle sorgenti eranocaptate tramite il convogliamen-to delle vene in bacini di raccol-ta, realizzati con opere murarie eimpermeabilizzati con fodere dicoccio pesto, come per l’acquaMarcia e Claudia. Altri sistemiconsentirono di equilibrare iflussi idrici in funzione delle por-tate, come accadeva per le sor-genti che alimentavano l’acquaClaudia e l’Acqua Marcia.Ancora più complesso ed artico-lato doveva essere il bacino dicaptazione dell’Acqua Traiana:dal bacino di raccolta le acqueerano fatte decantare in unapiscina limare e quindi immessenel condotto principale.Le piscine limarie potevano raggiungere alti livelli dicomplessità, tali da garantire contemporaneamente lapossibilità di effettuare opere di manutenzione senzainterrompere il flusso idrico; inoltre, erano essenzialiquando la captazione avveniva direttamente da unfiume.Davvero grandiosi dovevano essere i sistemi di capta-zione dall’Aniene per gli acquedotti dell’Anio Vetus eNovus, che impiegavano il sistema con battente a sfio-ro per catturare le acque di superficie del fiume. Dalbacino di raccolta le acque erano immesse nello specus(canale) per dirigersi verso il castello terminale.

Lo speco manteneva una lievependenza che condizionava il per-corso da seguire. L’acquedotto eraprogettato, obbligatoriamente,tenendo conto delle quote relativedi alimentazione ed erogazione;da qui la varietà di tipologie dicanali che potevano avanzare incunicoli sotterranei, forando dor-sali collinari, oppure procedere intrincee scavate a filo del piano dicampagna, tagliati a mezza costasu sponde scoscese ed accompa-gnati, generalmente, da opere dicontenimento. Le acque potevanosuperare vallate e promontori; inaltri casi, scorrevano su ponti eviadotti, caratterizzati da diversiordini di archi sovrapposti.Nella nostra mente sono ben pre-senti le grandi arcuazioni dei con-dotti dell’Aqua Appia e dell’AnioVetus, ma soltanto una piccolaparte dei condotti viaggiava fuoriterra; la tipologia maggiormenteimpiegata era, come diceFrontino, in rivo subterraneo.La direzione dello speco era mar-cata sul terreno da una serie dipali: l’allineamento era ottenutocon la dioptra, una sorta di anticoteodolite perfezionato da Erone

di Alessandria, mentre la livellazione del condottopoteva essere ottenuta con la livella ad acqua (libraaquaria) o mediante il chorobates, un efficace stru-mento di livellazione descritto da Vitruvio.La conduzione di uno speco sotterraneo iniziava conlo scavo di pozzi verticali, intervallati ogni 72 metricirca, che scendevano fino al livello stabilito; da questopunto partiva lo scavo, in direzioni opposte, verso ipozzi vicini.A conclusione dello scavo, i pozzi, foderati in tufo o inmuratura, erano muniti di pedarole per la discesa, inmodo da essere accessibili per le periodiche operazio-ni di spurgo e pulizia del condotto.

Fig. 3 Tipi di copertura dello speco

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Gli spechi avevano sezione di tipo ogivale o rettango-lare, con copertura a capanna o a volta; talvolta pote-vano essere tagliati direttamente nella roccia, quindi,erano impermeabilizzati con intonaco idraulico omuraturaLa copertura era assicurata da lastre di pietra poste inopera orizzontalmente o alla cappuccina, oppure davolticelle cementizie a tutto sesto o a capanna. In que-st’ultimo caso le opere non erano quasi mai omogenee

per tutto il percorso, in quanto condizionate non solodal tipo e dalla profondità della trincea, ma anche daimateriali disponibili e dagli interventi di riparazione.Il fondo dello speco era costituito da lastre di pietracementate con “calcestruzzo”, cui talvolta era sovrap-posta una pavimentazione, ma soprattutto era fodera-to da uno spesso strato di cocciopesto che dovevaimpedire possibili dispersioni d’acqua.Anche i condotti fuori terra presentavano le medesimecaratteristiche costruttive di quelli interrati; le copertu-re erano generalmente piane, in modo da consentire lasovrapposizione di condotti diversi su sostruzionicomuni, come per l’Aqua Marcia e la Tepula-Iulia e perl’Aqua Claudia e l’Anio Novus; le stesse erano dotatedi tombini per l’ispezione e la manutenzione.Particolare importanza rivestiva la scelta del percorsoche se da un lato doveva garantire la possibilità di man-tenere una pendenza costante, dall’altro doveva limita-re al massimo interventi costosi e complessi, per que-sto motivo venivano attentamente seguiti gli anda-menti geografici del territorio e studiati i bacini idro-grafici, che garantivano una guida sicura per la realiz-zazione del canale artificiale.Un esempio di come gli ingegneri romani sfruttaronoal massimo il supporto naturale è visibile nell’anda-mento degli acquedotti del gruppo Aniene (AnioVetus, Aqua Marcia, Aqua Claudia ed Anio Novus),dove i progettisti poterono avvalersi dei costanti riferi-menti geografici offerti dall’alta valle dell’Aniene fino aTivoli, dalla sponda del mons Aeflanus fino aGericomio e del crinale spartiacque che dai ColliAlbani giunge fino a Roma.Lungo questi tratti è possibile riconoscere una varietàeccezionale di soluzioni, che mettono in luce una peri-zia tecnica raffinata ed in grado di rispondere efficace-mente alle difficoltà tecniche di una simile impresa.Imponenti opere di contenimento, a monte ed a valledei condotti, magnifiche strutture ad arco sostengonoe caratterizzano il percorso degli spechi, superandoprofonde gole e risalendo le valli intorno alla campa-gna romana, raggiungendo spesso dimensioni ragguar-devoli come il Ponte delle Mole o il PonteSant’Antonio.La struttura originaria di questi manufatti era in operaquadrata di blocchi di tufo e peperino, in seguito gli

Fig.4 Aqua Marcia, Ponte S.Pietro in una foto dell’Ashby

Fig.5 Le arcate dell’Acqua Claudia in una foto dell’Ashby

Fig.6 Anio Novus, Ponte Sant’Antonio

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interventi di restauro e consolidamento sovrapposerodiverse tipologie di opere murarie, in particolare: operareticolata in periodo augusteo, opera listata sotto iFlavi ed opera mista con cortine in laterizio sottoTraiano e Adriano. Queste imponenti strutture subiro-no, durante il medioevo e il rinascimento, una sistema-tica spoliazione dei materiali edili.Il tracciato percorso dagli acquedotti sfruttava al mas-simo il supporto naturale offerto dal crinale spartiac-que, che, mantenendo una quota superiore ai livelli cir-costanti, consentiva di raggiungere la città ad unaquota utile per la successiva distribuzione.La medesima metodologia era impiegata all’internodella città, seguendo le principali dorsali collinari perpoter distribuire l’acqua anche nelle zone più alte.Negli acquedotti che alimentavano la città di Romanon è certo l’impiego di condutture a sifone, benché sene sia ipotizzato l’uso nel tratto dell’Acqua Claudiadiretta verso il Palatino.Il problema dell’impiego della tecnica dei sifoni eralegato alla tenuta delle condotte forzate, non tanto perla resistenza dei materiali all’epoca disponibili, quantoper la pressione esercitata sulle giunture tra un ele-mento e l’altro nei punti di maggior carico.Il cammino dei condotti si concludeva al castellum ter-minale, dove aveva inizio la distribuzione urbana delleacque. Questo era un massiccio contenitore in mura-tura, la cui precipua funzione era quella di ripartire leacque nelle proporzioni dovute ad ognuna delle treutenze principali, nomine Caesaris, privatis ed usibuspublicis, mediante bocche calibrate dette calices.Ai castelli secondari era demandata la funzione di dis-tribuire capillarmente l’acqua in zone diverse della cittàad uso pubblico, attraverso fontane e bacini, ove attin-geva liberamente la popolazione, o ad uso privato.A Roma possiamo individuare undici condotti princi-pali: Aqua Appia, Anio Vetus, Aqua Marcia, AquaTepula, Aqua Iulia, Aqua Virgo, Aqua Alsietina, AquaClaudia, Anio Novus, Aqua Traiana ed AquaAlexandrina. Quasi tutti giungevano in città da est,assicurando gran parte della fornitura idrica giornalie-ra, solo l’Aqua Alsietina e Traiana, giungevano dal latodel Gianicolo, essendo alimentati, rispettivamente, dalLago di Martignano e da quello di Bracciano.La principale porta d’accesso all’area urbana era la

Fig.7 Aqua Appia, l’arco di Druso presso Porta S.Sebastiano

Fig.8 Anio Vetus, Ponte della Mola

Fig.9 Arcate dell’Anio Vetus dopo Porta Maggiorre

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Spes Vetus, presso Porta Maggiore, dove, ad eccezionedell’Aqua Virgo, confluivano tutti i condotti prove-nienti dall’alta valle dell’Aniene, dalle piscine limariepresso la Via Latina e dalla zona dei Castelli Romani.Da qui le diramazioni secondarie seguivano le dorsalidel Viminale e del Quirinale per rifornire le zone delCampidoglio e del Campo Marzio, mentre la dorsaledel Celio raggiunge l’Aventino ed il Palatino. Questo

complesso sistema idrico poteva assicurare nell’arcodella giornata fino ad un milione di litri d’acqua, impie-gata per alimentare la casa imperiale, le terme ed ibagni, naumachie, piscine, ninfei e fontane, che, pre-senti in gran numero nella città (Frontino ne elenca591), consentivano una distribuzione capillare all’inte-ra popolazione.

Aqua AppiaIl più antico acquedotto fu condotto a Roma nel 312a.C., dai censori C. Plauzio ed Appio Claudio. Le rela-tive sorgenti sono indicate da Frontino presso l’agrolucullano tra l’VIII ed il IX miglio della Via Prenestina.Lo speco, quasi tutto sotterraneo, tranne un breve trat-to all’altezza della Porta Capena, misurava 11.190 passi(m 16.538). L’Aqua Appia era sprovvista di piscinalimaria e la distribuzione dell’acqua avveniva attraversoventi castelli.L’acquedotto entrava in Roma dalla Porta Maggiore

Fig.10 Aqua Marcia, arcate lungo la via Appia

Fig.11 Il Castellum dell’Aqua Marcia

dopo aver ricevuto l’apporto di un condotto suppleti-vo, il ramum Augustae, per una portata complessiva,misurata da Frontino, in circa m3

75.000 al giorno. Da Porta Maggiore,l’antica zona della Spes Vetus, l’ac-quedotto seguiva il crinale del Celio,superava la valle di Porta Capena suarchi, passava sotto la collina di SanSaba e sotto il colle Aventino, in con-dotto sotterraneo, per terminarepresso la Porta Trigemina, nel ForoBoario. Qui iniziava l’erogazione del-l’acqua che, attraverso una ventina dicastelli terminali, interessava setteregioni augustee.

Anio Vetus Il secondo acquedotto di Roma è anche il più anticodei condotti provenienti dall’alta valle dell’Aniene, essofu costruito, tra il 272 e il 269 a.C., ad opera di ManioCurio Dentato e Fulvio Flacco con i proventi del bot-tino della guerra contro Pirro.Il bacino di captazione si trovava in una località traVicovaro e Mandela, sulla sponda sinistra dell’Aniene,a monte di San Cosimato presso la confluenza del tor-rente Fiumicino.L’acquedotto seguiva il fiume fino a Tivoli, di qui,

scorreva lungo le falde del mons Aeflanus dove alleGrotte Sconce poteva, secondo necessità, ricevere

acqua dai condotti dell’Aqua Marcia,della Claudia e dell’Anio Novus.Imponenti arcuazioni furono impiega-te per superare valli e fossi, in proposi-to ricordiamo il ponte sul fosso delleMole di San Gregorio, il Ponte Taulellaed il Ponte Pischero.La piscina limaria si trovava tra la ViaLabicana e la via Latina, subito dopoaver superato Porta Maggiore. lospeco, costituito da blocchi di tuforivestiti in cocciopesto, era a sezionerettangolare, con copertura in piano,delle dimensioni 0,80 m per un’altezzadi 1,75 m.

L’acquedotto proseguiva all’interno della città costeg-giando l’Aggere Serviano; tratti ne sono venuti allaluce presso Piazza Manfredo Fanti, quindi raggiunge-va la Porta Esquilina, dove si trovava il castello termi-nale.Frontino indica che la lunghezza totale del condotto èdi 43.000 passi (m 63.554 circa) con una portata quo-tidiana di 182.517 m3. L’acqua era impiegata principal-mente per irrigazione degli orti ed ad usi secondari.

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Fig.12 Le imponenti arcate dell’acquedotto Claudio

Anio Vetus è il più antico dei condottiprovenientidall’alta valledell’Aniene

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Aqua Marcia Il secondo acquedotto per portata, circa 187.600 m3 algiorno, fu realizzato dal pretore Q. Marcius Rex nel144 a.C., impiegando circa due anni per completare i91 km dell’opera.Le celebratissime sorgenti sono indicate da Frontino almiglio XXXVI della Via Valeria. In seguito al condot-to furono allacciate la fons Augusta, che poteva essereimmessa anche nel vicino condotto dell’Aqua Claudia;il fons Albudinus, di supplemento principalmenteall’Aqua Claudia, ma in caso di necessità poteva essereincanalato per incrementare la Marcia. Il fonsAntonianus fu invece allacciato nel 212 d.C. daCaracalla, per assicurare l’alimentazione idrica delle sueterme.L’acquedotto fu realizzato sostanzialmente in specosotterraneo, emergendo con imponenti manufatti,quali il Ponte San Pietro, il Ponte Lupo, il ponte sulfosso Caipoli e quello della Bulica, in corrispondenzadegli attraversamenti di fossi e valli.Le piscine limarie si trovavano al VII miglio della ViaValeria, nei pressi del casale di Roma Vecchia. Da quiil condotto proseguiva in direzione della Spes Vetus

(Porta Maggiore) su arcuazioni in blocchi di tufo. Ilpiano di scorrimento dello speco era costituito dalastre di pietra, così come la copertura, sulla quale, inseguito, furono sovrapposti gli spechi dell’AquaTepula e dell’Aqua Iulia. Posto ad una quota maggioredei precedenti acquedotti, consentì di raggiungereanche le zone più alte della città, come il Campidoglio.Dalla Spes Vetus, il condotto seguiva il percorso delleMura Aureliane, che ne inglobarono gli archi, fino allaPorta Tiburtina e da qui, con un percorso corrispon-dente all’attuale Via Marsala, veniva a sboccare neipressi della stazione Termini, continuando poi finoall’ex Ministero delle Finanze, dove si trovava il castel-lo terminale.Molti tratti furono distrutti in occasione della costru-zione dell’acquedotto Felice nel 1585, ma restano visi-bili quelli presso il casale di Roma Vecchia, in via delMandrione e sotto la torre del Fiscale

Aqua TepulaIl quarto acquedotto in ordine di costruzione fu rea-lizzato dai censori C. Servilio Cepione e L. CassioLongino nel 125 a.C., che allacciarono un gruppo di

Fig.13 Le arcate dell’acquedotto Claudio nella campagna romana

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sorgenti indicate da Frontino lungo un diverticolo al Xmiglio della Via Latina, presso Marino. Il nome gliderivò dalla temperatura tiepida del-l’acqua che scaturiva dalle sorgentivulcaniche del complesso dei ColliAlbani. L’acquedotto, di quasi 18 kmdi lunghezza, seguiva in parte il per-corso della Marcia, sfruttando lemedesime arcuazioni. Importanti tra-sformazioni furono realizzate nel 33a.C., da Agrippa, in concomitanzacon la costruzione del condottodell’Aqua Iulia. I condotti furonoriuniti in un unico speco sotterraneofino alle piscine limarie di VillaBertone (Capanelle), miscelando lesorgenti di Squarciarelli con quelle dell’Aqua Tepula,allo scopo di migliorare la qualità dell’acqua di que-st’ultima.Dopo la piscina, i due acquedotti proseguivano sepa-ratamente, sovrapponendosi sullo speco dell’AcquaMarcia, fino ai castelli terminali posti anche questinelle vicinanze dell’area dell’attuale Ministero delTesoro. Frontino misurò la portata dei due acquedottiin 1.606 quinarie complessive (66.649 m3 al giorno) cuisi aggiungevano alcuni incrementi provenienti siadall’Aqua Marcia che dall’Anio Novus.

Aqua IuliaL’acquedotto prese il nome dalla Gens Iulia, in onoredi Augusto, fu realizzato nel 33 a.C. da Agrippa. Le

sorgenti avevano origine presso il ponte diSquarciarelli a Grottaferrata, da qui, con un percorso

di quasi 23 km, in parte unito allaTepula; le acque raggiungevano lacittà, condividendo sostanzialmente ilpercorso dell’Aqua Marcia. La portatagiornaliera poteva raggiungere i50.000 m3 al giorno. Attraverso unarete di 17 castelli secondari, l’acque-dotto riforniva il Celio, l’Esquilino, ilViminale, il Quirinale, i Fori, ilCampidoglio, il Palatino ed piccoloAventino. Importanti opere di manu-tenzione furono realizzate tra l’11 a.C.d il 4 a.C. da Augusto e successiva-mente da Caracalla.

Aqua VirgoUnico ancora in funzione, fu realizzato da Agrippa edinaugurato il 9 giugno del 19 a.C. L’Acqua Vergine ali-mentava, almeno fino ai recenti restauri, la mostradella Fontana di Trevi, la Fontana dei Fiumi in PiazzaNavona e la Barcaccia di Piazza di Spagna.L’espansione urbana voluta da Augusto nel CampoMarzio e le nuove terme di Agrippa, presso ilPantheon, resero necessaria l’adduzione di un nuovoacquedotto alla rete già esistente.L’origine del nome si deve, certamente, alla purezzadelle sue acque, ma anche ad una leggenda che narra diuna fanciulla, la quale avrebbe rivelato ai soldati illuogo delle sorgenti di cui andavano in cerca.Esso seguiva un percorso totalmente diverso daglialtri. Le sorgenti, prossime a quelle dell’Acqua Giulia,sono indicate da Frontino in agro Lucullano, all’VIIImiglio della Via Collatina, presso il moderno casale diSalone. La rete di vene acquifere, intercettate median-te canali sotterranei, erano raccolte in un bacino artifi-ciale chiuso da imponenti murature.Ulteriori contributi di acqua si univano lungo il per-corso verso la città, venendo captati dai bacini imbri-feri attraversati.Lo speco, quasi costantemente sotterraneo, era largomediamente m 1,60 e tagliato nel tufo compatto. Neipunti di cambiamento di direzione, una doppia bruscasvolta rallentava la velocità del flusso, facendo precipi-

L’acquedottoAqua Iulia preseil nome dallaGens Iulia, inonore diAugusto, furealizzato nel 33a.C. da Agrippa

Fig.14 L’Anio Novus in una romantica visione di Piranesi

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tare le particelle in sospensione in punti dove era age-vole la raccolta. Il tracciato seguiva l’antica ViaCollatina, s’interrava poi sotto le dorsali percorse dallaVia Nomentana e dalla Via Salaria e giungeva in cittàalle pendici del Pincio. Il condottocontinuava su arcate, alcune dellequali sono ancora visibili in via delNazareno ed in via del Bufalo, attra-versava la Via Lata (via del Corso)sopra l’arco di Claudio, proseguivalungo via del Seminario fino aiSaepta Iulia. La lunghezza totale del-l’acquedotto risultava di 14.105 passi(20 km circa) con una portata com-plessiva di 2.504 quinarie (103.916m3 al giorno), che era distribuitaattraverso 18 castella aquae.

Aqua AlsietinaCostruito da Augusto nel 12 a.C., l’acquedotto era ali-mentato dalle acque del lacus Alsietinus (lago diMartignano) mediante un cunicolo, lungo circa m 200,tagliato nella roccia tufacea. Il condotto entrava in

Roma presso la Porta Aurelia sul Gianicolo dopo unpercorso di circa 33 km, quasi completamente in specosotterraneo. Non si conosce con precisione il percor-so del condotto sotterraneo; parte dello speco, inopera reticolata di età augustea, fu rinvenuto nel 1926in viale XXX Aprile di fronte a Villa Spada. La porta-ta dell’acquedotto era 16.268 m3. Per la pessima quali-tà, l’acqua era utilizzata, quasi esclusivamente, per l’ali-mentazione della naumachia in Trastevere, per uso irri-guo e come forza motrice dei mulini posti sotto ilGianicolo.

Aqua ClaudiaNel 38 d.C. Caligola avviò la conduzione di due nuoviacquedotti: L’Aqua Claudia terminato dal suo succes-sore Claudio nel 52 d.C., da cui deriva il nome e l’AnioNovus.Plinio narra la sua grandiosa realizzazione, che, perl’eccezionale altezza delle arcate, consentiva di alimen-tare ogni parte della città. Rimasto interrotto per noveanni, fu ripristinato nel 71 d.C. da Vespasiano; in segui-to, nell’81 d.C., fu notevolmente consolidato per operadi Tito, come ricordano le iscrizioni poste sul doppioarco monumentale di Porta Maggiore.L’acqua veniva captata al XXXVIII miliario della ViaSublacense, allacciando due principali sorgenti, il fons

Curtius ed il fons Caeruleus, a nonmolta distanza dalle sorgenti dell’Aqua Marcia.Dalle sorgenti il condotto affiancavaquello dell’Aqua Marcia lungo la spon-da destra dell’Aniene, fino a Vicovaroda dove, attraversato il fiume su unponte ad unica luce, seguiva la spondasinistra fino a Tivoli. In questa sezionelo speco, costantemente sotterraneo,negli attraversamenti delle valli deifossi tributari dell’Aniene emergevacon imponenti manufatti fra cui sisegnalano le arcuazioni ed il ponte a

due luci sul fosso Vallana, il doppio ordine di archi sulfosso del Noce e le arcuazioni nell’ampia valle di FonteLuca.Dopo aver costeggiato, assieme agli altri condotti, lefalde del colle Ripoli, dove a tratti affiorava su sostru-

Nel 38 d.C.Caligola avviò laconduzione didue nuoviacquedotti:l’Aqua Claudia el’Anio Novus

Fig.15 Gli acquedotti dell’Anio Novus e dell’AcquaClaudia presso Porta Furba

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zioni, si dirigeva in cunicolo sotterraneo in direzione diGallicano, perforando le dorsali collinari e superando,su altissimi ponti ad arco, le profonde valli dell’AcquaRaminga, delle Mole di San Gregorio, dei fossi Caipolie Collafri.Al fosso dell’Acqua Nera il ponte dell’Aqua Claudia,per motivi di consolidamento statico, fu ancorato sal-damente al vicino manufatto dell’Anio Novus for-mando così un’unica indissolubile struttura nota comePonte Diruto.In alcuni degli imponenti resti monumentali pervenutifino a noi si può apprezzare la costruzione originariain opera quadrata di tufo o travertino con rinfianchi inopera reticolata; in seguito diverse opere di restauro econsolidamento fasciarono, con diverse tecniche edili-zie, le strutture di età Claudia.Dalle piscine limarie, i condotti dell’Aqua Claudia edell’Anio Novus, già sovrapposti, emergevano dalsuolo dapprima su una sostruzione continua (sub-structio rivorum) e, poi, sulla lunga teoria d’arcuazioni(opere arcuato), la cui massima altezza è raggiuntapresso l’Osteria del Tavolato, per una lunghezza dicirca 10 km, costituendo nel tempo una delle caratteri-

stiche più tipiche della campagna romana.A Tor Fiscale incrociava due volte la linea dell’AquaMarcia delineando uno spazio trapezoidale che fu tra-sformato in campo trincerato dai Goti (CampoBarbarico) nel 537 d.C.; all’interno della torre, impo-stata nel XIII secolo sull’incrocio dei due acquedotti,resta visibile una bellissima sezione degli archi interse-cantisi e degli spechi sovrapposti.Dopo Porta Furba, il condotto del Felice, passandosulle sostruzioni della Claudia, che, in ragione del suolivello più basso, fora all’altezza dei piloni, ha permes-so, invece, la loro conservazione fino quasi PortaMaggiore (Spes Vetus).Un lungo tratto di arcuazioni fu inglobato nelle muradi Aureliano ed il monumentale passaggio sulle viePrenestina e Labicana fu trasformato in porta dellacinta fortificata ricordata come Porta Praenestina oPorta Maior. Sull’attico della porta, oltre ai due spechisovrapposti, perfettamente conservati, si leggono leiscrizioni relative agli interventi di Claudio, diVespasiano e di Tito.Frontino indica il castello terminale presso gli hortisPallantianis, rilevato dal Piranesi nella vigna Belardi

Fig.16 Il Campo Barbarico, con l’intersezione degli acquedotti dell’Aqua Claudia e dell’Aqua Marcia

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prima che un violento incendio del 1880 ne distrug-gesse le ultime tracce, qui le acque si mischiavano conquelle dell’Anio Novus ed iniziava la distribuzioneurbana che, attraverso 92 castelli minori, copriva tuttal’area cittadina.La lunghezza complessiva dell’acquedotto, misurata daFrontino, era di 68.681 m, 15.060 m dei quali fuori diterra.Superata la Porta Maggiore, dall’acquedotto si staccavauna diramazione, voluta da Nerone, che, sempre suarcate, si dirigeva verso il Celio, per alimentare laDomus Aurea ed, in particolare, il ninfeo ed il lago chead essa appartenevano. Gli archi, alti tra i 19 e i 22metri, sono visibili in parte in vicinanza di S. Giovanni,a piazza della Navicella e sopra l’arco di Dolabella eSilano.La derivazione, in seguito, fu utilizzata dai Flavi, invirtù del suo alto livello, per convogliare l’acqua finoalla domus imperiale sul Palatino. Seguiva la dorsale delCelio, ripercorrendo la strada dei più antichi condottidell’Aqua Appia e del rivus Herculaneus. Per la distri-buzione in questa zona Nerone si servì dei castelli, giàesistenti, dell’Aqua Marcia e dell’Aqua Julia tagliando,però, i rami dei due più antichi condotti; questi furonoripristinati da Traiano al fine di conservare una dupli-ce fonte d’alimentazione nell’eventualità di un’interru-zione di flusso di uno degli acquedotti.Le snelle arcuazioni, in buona cortina laterizia, mostra-no interventi di consolidamento di età flavia e di etàseveriana; questi ultimi, concentrati soprattutto pressoPorta Maggiore e lungo la via di Santo Stefano

Rotondo, erano celebrati da identiche iscrizioni mura-te sulle strutture in corrispondenza degli incroci citta-dini.La linea delle arcuazioni si segue facilmente da PortaMaggiore fino a San Giovanni, passando per viaStatilia e Villa Wolkonsky, raggiungeva poi le mura ser-viane, all’arco di Silano e Dolabella e l’orto del con-vento dei Santi Giovanni e Paolo, dove era ubicata lapiscina terminale. Dalla piscina, oltre ai condotti chealimentavano i sottostanti ninfei, doveva partire ancheil ramo flavio diretto al Palatino.Il livello del doppio ordine di arcuazioni, attraverso lavalle di San Gregorio, non appare compatibile, però,con la quota della destinazione finale; si è pensato, per-tanto, ad un ulteriore ordine di arcate ora scomparsooppure a condotte forzate allacciate con il sistema delsifone.Altri rami, ricordati da Frontino a serviziodell’Aventino e di Trastevere, dovevano diramare dalcondotto principale da un castello di derivazione d’etàseveriana,rilevato presso la Navicella o, più probabil-mente, dalla stessa piscina terminale.Sul lato orientale di questo, Domiziano, prolungò gliarchi fino ai palazzi imperiali del Palatino, superandocon un’opera ardita la valle tra questo ed il Celio. Tuttoquesto tratto fu restaurato da Settimio Severo. La por-tata dell’Aqua Claudia era di 184.280 m3.Delle 4.607 quinarie (191.190 m3 al giorno), misurateda Frontino all’incile, per erogazioni autorizzate o percaptazioni abusive lungo il percorso, solo 3.312 giun-gevano alle piscine limarie al VII miglio della viaLatina, mentre al castello terminale i registri ufficialiannotavano 2.855 quinarie

Anio NovusL’ Aniene Nuovo, costruito insieme all’Acqua Claudia,seguiva in gran parte il percorso di questa. La sua lun-ghezza totale era di m 86.876, la portata di 189.520 m3,la più grande di tutte.Come il più antico Anio Vetus, il nuovo acquedotto diCaligola e Claudio traeva alimento diretto dalle acquedel fiume presso il XLII miglio della via Sublacensis.Prima di essere immessa nello speco l’acqua deposita-va le sue impurità in una piscina limaria presso un baci-no sulla sponda sinistra dell’Aniene. La torbidezza del-

Fig.17 Le arcate dell’Aqua Alexandrina

19 opereDicembre 2008

l’acqua era stemperata con la captazione di una puris-sima fonte, il rivus Herculaneus che, sulla spondaopposta del fiume, gravitava nel bacino dell’AquaMarcia circa al XXXVIII miglio della strada.Traiano, per migliorare la qualità del-l’acqua, fece costruire una nuova presad’acqua sulla sponda del secondo deitre Simbruina stagna ripristinati daNerone ad uso della sua villa sublacen-se. I laghi furono trasformati inimmense piscine limarie mediante unadiga e da un sistema di chiuseLarga alla sommità m 13,50 la diga, inopera mista traianea, sopportava ancheun ponte a blocchi di travertino cheuniva due gruppi di edifici, un ninfeo ebagni termali, sulle sponde opposte delfiume. Questo ponte, noto da docu-menti medioevali come pons marmoreus, è raffiguratoassieme al ninfeo su un affresco della sacrestia dellavicina chiesa del Sacro Speco.Nel suo corso superiore, il condotto seguiva la spondasinistra dell’Aniene; oltre la sorgente del rivusHerculaneus, dopo la gola di San Cosimato, procedevaaffiancato all’Aqua Claudia, emergendo su lunghearcuazioni all’attraversamento dei fossi tributaridell’Aniene.Nella valle dell’Empiglione lo speco principale si divi-deva in due condotti separati: il primo si dirigeva versoTivoli, sostenuto da una lunga teoria di archi, che cul-minavano al Ponte degli Arci, dove l’acquedotto, coro-nato da una torre medioevale, incrociava i più bassicondotti dell’Anio Vetus e dell’Aqua Marcia. Il secon-do ramo, invece, attraversato l’Empiglione su di ungrandioso manufatto, perforava l’opposto monteArcese con un lunga galleria, scavata nell’88 d.C.I due rami si ricongiungevano in una piscina pressoGericomio. Un interessante impianto idraulico era alleGrotte Sconce, lungo la via di Pomata; qui, da unacisterna a tre camere, l’acqua dell’Anio Novus, attra-verso un sistema di canalette e pozzi verticali, potevaessere convogliata nei sottostanti spechi dell’AquaClaudia, della Marcia e dell’Anio Vetus.Dopo Gericomio, l’acquedotto, come già l’AquaClaudia, procedeva in un cunicolo sotterraneo, emer-

gendo con altissimi manufatti per scavalcare profondegole. Si segnalano in particolare il Ponte Sant’Antoniosul fosso dell’Acqua Raminga, lungo circa m 120, leForme Rotte sul fosso delle Mole di San Gregorio, alte

circa m 40 ed il Ponte dell’Inferno,del quale resta il pilone con l’attaccodell’arco e lo speco sospeso nelvuoto.Al Ponte Sant’Antonio, come neglialtri resti, la struttura originaria ablocchi di tufo ed opera reticolataappare completamente rifasciata datarde cortine laterizie. Superata lagola di Santa Maria di Cavamonte,sostruzioni a speroni dell’AnioNovus accompagnavano, in località“il Fienile”, il tracciato della viaPrenestina; al fosso dell’Acqua Nera

si accostava alla linea dell’Aqua Claudia, alla quale erasaldamente ancorato da tarde opere di consolidamen-to.La piscina limaria di Villa Bertone constava di un baci-no (m 21,60x8,90) in opera reticolata di età claudia conrestauri in laterizio, articolato in due vani di diversedimensioni; fu rinvenuta ricolma di minute ghiaie cal-caree perfettamente sferiche depositate nel corso deltempo dalla decantazione delle acque. Dalla piscinalimaria, fino a Roma, l’Anio Novus utilizzava le mede-sime sostruzioni dell’Aqua Claudia e lo stesso castelloterminale.La lunghezza del condotto era di 58.700 passi (m86.758 circa) dei quali 49.300 ex rivo subterraneo e2.300 ex substructionibus aut opere arcuato superioriparte pluribus locis; le cifre del tratto terminale, ovvia-mente, coincidono con quelle dell’Aqua Claudia. Laportata di 4.738 quinarie (196.627 m3 al giorno) risul-tava a Frontino maggiore di quella segnata sui registriufficiali.

Aqua TraianaCon Traiano si avviò una complessa opera di ristruttu-razione degli acquedotti; con l’occasione, fu deciso didotare Trastevere di un’autonoma fonte d’alimentazio-ne idrica. L’acquedotto fu costruito nel 109 d.C.;l’Imperatore, come ci ricorda il cippo terminale, «con-

Con Traiano si avviò unacomplessa opera diristrutturazionedegli acquedotti

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dusse a sue spese in città l’Acqua Traiana avendo com-prato una fascia di terreno larga 30 piedi». Le sorgentierano vicino al lago di Bracciano, comprese tra il fossodella Fiora, Oriolo e Vicarello ed in seguito furonoriutilizzate per alimentare l’acquedotto di Paolo V.Tra Vicarello e Trevignano era localizzato il caput aquae,dove con il solito sistema di canalizzazioni, erano imbri-gliate le vene acquifere. Lo speco, in parte interrato edin parte su basse arcuazioni, percorreva il bordo crateri-co del lago di Bracciano, proseguendo lungo i crinali indirezione prima della Via Clodoia e poi della Via Cassia,ricevendo ulteriori apporti da sorgenti diverse.In questo primo tratto sono notevoli i manufatti adarchi che consentono di scavalcare il fosso Galeria.Giunto nei pressi della zona della Giustiniana prosegui-va seguendo la Via Triumphalis, quindi il vicolo delPidocchio (così era denominata l’attuale via della PinetaSacchetti), fino a guadagnare lo stretto crinale della viaAurelia. In via del Casale di San Pio V, presso VillaPamphili, sono tuttora visibili larghe porzioni dell’anticoacquedotto, inglobate nelle strutture di quello di Paolo V.Diversi sono stati i rinvenimenti in questa zona, in par-ticolare, un lungo tratto di esso, in opera mista, fu sco-perto nel 1912, sotto l’attuale Accademia Americana,in Via Angelo Masina, qui lo speco a volta misurava m0,97 per un’altezza di m 1,38.Nei Pressi di Porta San Pancrazio fu scoperto nel 1850un castello terminale, completo di fistulae aquariae, chedimostra come la distribuzione dell’acqua avvenisse giàprima del suo arrivo in città. Visto il notevole dislivelloesistente tra la quota del Gianicolo e Trastevere, si èipotizzato che l’acqua in parte potesse essere utilizzataper azionare i mulini presenti in questa zona.La lunghezza totale dell’acquedotto era di circa km 57,per una portata di circa 118.192 m3 al giorno.

Aqua AlexandrianaL’ultimo acquedotto fu realizzato nel 226 d.C per vole-re dell’imperatore Alessandro Severo, allo scopo di ali-mentare le terme neroniane appena ripristinate. Lesorgenti si trovavano nei pressi del Colle di Sassobello,in un territorio posto a circa tre chilometri a nord delpaese di Colonna. Come per i precedenti le vene acqui-fere erano intercettate da cunicoli sotterranei e con-dotte in un bacino principale, in seguito riutilizzato

nella costruzione dell’acquedotto Felice e convogliatenella piscina limaria.L’antico condotto iniziava il suo cammino verso Romaprima su una robusta sostruzione continua, in operacementizia, poi su tipiche arcuazioni in laterizio. Essoseguiva la Via Prenestina con snelle arcuazioni in lateri-zio superando le valli dei fossi tributari dell’Aniene. Inparticolare si possono ammirare quelle presso le zone diPantano, di Torre Angela, di Vallelunga, di Case Calde ele altissime arcuazioni attraverso la valle del fosso diCentocelle, che mantenevano in quota lo speco antico.In altri tratti si interrava con una sezione di m0,72x1,80 terminata a volta e foderata da una spessacamicia di opera cementizia.Giunto nei pressi della città, l’acquedotto seguiva laVia Labicana fino alla Spes Vetus (Porta Maggiore),dove si presume decantasse le sue acque nella piscinadelle vicine Terme Elencane, quindi, proseguiva versoil Campo Marzio, dove raggiungeva le TermeNeroniane-Alessandrine.In conclusione, l’antica Roma, come osservato damolti, doveva, letteralmente, “camminare sulle acque”,un vero “trionfo dell’acqua”, come più volte sottoli-neato, prodotto dal gran numero di acquedotti e dauna portata che sfiorava il milione di metri cubi al gior-no, per una disponibilità pro capite di quasi mille litri,un rapporto forse ancora oggi mai eguagliato. ■■

Nicola Grifone

1 Tes t i d i approfondimento:- Claudio Di Fenizio “L’Acqua Appia. La misura delle acquemore romano e la tecnica delle condotte nel I sec. Dell’era volga-re”, in “Il Giornale del Genio Civile”, Roma 1947.- Giuseppe Panimolle “Gli Acquedotti di Roma Antica”,Roma 1968.- Filippo Coarelli, “Guida Archeologica di Roma”, Roma1974.AA.VV., “Il Trionfo dell’Acqua”, atti del convegno “GliAntichi Acquedotti di Roma: problemi di conoscenza, conserva-zione e tutela”” Roma 1987.- Antonio Mucci, “Il sistema degli antichi acquedotti romani”,Roma 1995.- Romolo A. Staccioli, “Acquedotti, fontane e terme di Romaantica”, Roma 2002.