CV E DEGLI ESPERTI CONT ABILI DELLE TRE...

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In questo numero Anno XLIV - N. 188 - MARZO / APRILE 2009 Poste Italiane spa - Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Vicenza PERIODICO DEI DOTTORI COMMERCIALISTI E DEGLI ESPERTI CONTABILI DELLE TRE VENEZIE CV CV CV CV CV www.commercialistaveneto.com di MASSIMO DA RE L' INSERTO: IMPOSTE SUI TRASFERIMENTI IMMOBILIARI E STRUMENTI URBANISTICI 2 PRIVACY E SPAZZATURA ELETTRONICA 3/4 L’INTERVISTA – ANTONIO CANCIAN 5/6 LA CONCILIAZIONE NEI CONFLITTI SOCIETARI 7/8 L'ART BANKING 9/10 RISCHIO D'IMPAIRMENT PER LE SOCIETÀ QUOTATE 11/14 IL TRANSFER PRICE IN ITALIA 15/16 AUTONOMA ORGANIZZAZIONE E IRAP: L'INTERPELLO 17/18 DECRETO INCENTIVI: LA NUOVA VESTE DEL BONUS AGGREGAZIONI 19 UN NUOVO ISTITUTO GIURIDICO: LA VIOLAZIONE TRIBUTARIA PUTATIVA 21/24 IL LEASING IMMOBILIARE E LA CAPITALIZZAZIONE DEI COSTI RIFERITA AI TERRENI Segreteria Associazione: Viale S. Agostino, 134 - 36100 Vicenza Tel. 0444 964333 Fax 567107 E-mail [email protected] - ATTIVITÀ FORMATIVA 09-10 - CALENDARIO DEL TRIVENETO - PROPOSTE FORMATIVE Stacca la brochure all'interno di questo numero. E' la tua guida. Non mancare a questi appuntamenti decisivi per la nostra formazione PRIMA GIORNATA DI STUDIO DEL TRIVENETO 16 Ottobre 2009 - ENTE FIERA DI VICENZA COMPETIZIONE, ETICA, COMUNICAZIONE Una professione sotto i riflettori, oggi più che mai A parlare con i colleghi in questo periodo si rischia la depres- sione. Lavoro “rognoso”, adempimenti odiosi, stress da “click day”, clienti che non pagano, aziende in crisi di fatturato ma soprattutto di liquidità. E qui inizia la “litania”…le banche hanno stretto sugli affidamenti…..chiedono il rientro…non aiutano, vogliono più garanzie ecc. ecc. Come al solito “in medio stat virtus”, e se è vero che le banche hanno una nuova politica nell’erogazione del credito, è altrettanto vero che molte imprese, di ogni dimensione, in questi anni hanno “beneficiato” dei mezzi forniti degli istituti di credito, senza pensare compiutamente a rafforzare con mezzi propri la struttura patrimoniale/finanziaria. Potremmo scrivere qualche libro, anzi ne sono già stati scritti molti, sulle cause di queste incongruenti forme di finanziamento, ma bisogna guardare avanti, risolvere ed evitare il ripetersi degli errori. Lo stato di disagio delle imprese trova ormai riscontro anche nelle parole del Governatore della Banca d’Italia Draghi, del Presidente della Consob Cardia e del Presidente Bce Trichet che assegnano agli istituti di credito un ruolo determinante nel rendere la crisi che stiamo affrontando più o meno duratura. Obiettivo principale per le imprese è “vivere”! E per far questo imprescindi- bile e necessaria è la c.d. “moratoria sui crediti” al fine di evitare il collasso, unita ad una riapertura delle linee di credito chiaramente basata su una responsabile e lungimirante valutazione del merito creditorio. Contempora- nei e non meno importanti saranno gli incentivi alla patrimonializzazione delle imprese e alla detassazione degli utili reinvestiti. Gli istituti di credito chiederanno, a ristorno del loro impegno, misure fiscali di favore al governo il quale dovrà in qualche modo fornire segnali forti non solo su questo versante, ma anche in quello rivolto a far ripartire il ciclo economico, con misure di sostegno alla ricerca e innovazione puntan- do anche sui nuovi settori economici in crescita. Legata a quanto sopra la necessità urgente di una revisione profonda delle normative internazionali in tema di trasparenza sul fronte dei criteri conta- bili e dei rapporti banca/impresa da noi ben conosciute come “Basilea2” e “Ias”. Normative che dovevano essere i pilastri per un nuovo impianto della finanza internazionale, ma che alla prova dei fatti non hanno offerto nessuna protezione alla crisi. Su tutto quanto sopra, ma in particolare sugli ultimi due punti, la nostra categoria gioca un ruolo propulsivo e tecnico di primo piano che non ci dovremmo lasciar sfuggire per rafforzare il nostro ruolo sociale, che come ormai continuo a ripetere, rappresenta il fondamento per la nostra attuale e futura credibilità. IMPRESE IN ASFISSIA? BANDO BORSA DI STUDIO 2009 PAGINA 20

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In questo numero

Anno XLIV - N. 188 - MARZO / APRILE 2009Poste Italiane spa - Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003

(conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Vicenza

PERIODICO DEI DOTTORI COMMERCIALISTIE DEGLI ESPERTI CONTABILI DELLE TRE VENEZIECVCVCVCVCV

www.commercialistaveneto.com

di MASSIMO DA RE

L' INSERTO: IMPOSTE SUITRASFERIMENTI IMMOBILIARI

E STRUMENTI URBANISTICI

2 PRIVACY E SPAZZATURA ELETTRONICA3/4 L’INTERVISTA – ANTONIO CANCIAN5/6 LA CONCILIAZIONE NEI CONFLITTI SOCIETARI7/8 L'ART BANKING9/10 RISCHIO D'IMPAIRMENT PER LE SOCIETÀ QUOTATE11/14 IL TRANSFER PRICE IN ITALIA15/16 AUTONOMA ORGANIZZAZIONE E IRAP: L'INTERPELLO17/18 DECRETO INCENTIVI: LA NUOVA VESTE DEL BONUS

AGGREGAZIONI19 UN NUOVO ISTITUTO GIURIDICO:

LA VIOLAZIONE TRIBUTARIA PUTATIVA21/24 IL LEASING IMMOBILIARE E LA CAPITALIZZAZIONE

DEI COSTI RIFERITA AI TERRENI

Segreteria Associazione: Viale S. Agostino, 134 - 36100 VicenzaTel. 0444 964333 Fax 567107 E-mail [email protected]

- ATTIVITÀ FORMATIVA 09-10- CALENDARIO DEL TRIVENETO- PROPOSTE FORMATIVE

Stacca la brochure all'interno di questo numero.E' la tua guida. Non mancare a questi appuntamenti

decisivi per la nostra formazione

PRIMA GIORNATA DI STUDIO DEL TRIVENETO16 Ottobre 2009 - ENTE FIERA DI VICENZA

COMPETIZIONE, ETICA, COMUNICAZIONEUna professione sotto i riflettori, oggi più che mai

A parlare con i colleghi in questo periodo si rischia la depres-sione. Lavoro “rognoso”, adempimenti odiosi, stress da “clickday”, clienti che non pagano, aziende in crisi di fatturato masoprattutto di liquidità. E qui inizia la “litania”…le banchehanno stretto sugli affidamenti…..chiedono il rientro…non

aiutano, vogliono più garanzie ecc. ecc.Come al solito “in medio stat virtus”, e se è vero che le banche hanno unanuova politica nell’erogazione del credito, è altrettanto vero che molteimprese, di ogni dimensione, in questi anni hanno “beneficiato” dei mezziforniti degli istituti di credito, senza pensare compiutamente a rafforzarecon mezzi propri la struttura patrimoniale/finanziaria.Potremmo scrivere qualche libro, anzi ne sono già stati scritti molti, sullecause di queste incongruenti forme di finanziamento, ma bisogna guardareavanti, risolvere ed evitare il ripetersi degli errori. Lo stato di disagio delleimprese trova ormai riscontro anche nelle parole del Governatore dellaBanca d’Italia Draghi, del Presidente della Consob Cardia e del PresidenteBce Trichet che assegnano agli istituti di credito un ruolo determinante nelrendere la crisi che stiamo affrontando più o meno duratura.Obiettivo principale per le imprese è “vivere”! E per far questo imprescindi-

bile e necessaria è la c.d. “moratoria sui crediti” al fine di evitare il collasso,unita ad una riapertura delle linee di credito chiaramente basata su unaresponsabile e lungimirante valutazione del merito creditorio. Contempora-nei e non meno importanti saranno gli incentivi alla patrimonializzazionedelle imprese e alla detassazione degli utili reinvestiti.Gli istituti di credito chiederanno, a ristorno del loro impegno, misure fiscalidi favore al governo il quale dovrà in qualche modo fornire segnali fortinon solo su questo versante, ma anche in quello rivolto a far ripartire ilciclo economico, con misure di sostegno alla ricerca e innovazione puntan-do anche sui nuovi settori economici in crescita.Legata a quanto sopra la necessità urgente di una revisione profonda dellenormative internazionali in tema di trasparenza sul fronte dei criteri conta-bili e dei rapporti banca/impresa da noi ben conosciute come “Basilea2” e“Ias”. Normative che dovevano essere i pilastri per un nuovo impiantodella finanza internazionale, ma che alla prova dei fatti non hanno offertonessuna protezione alla crisi.Su tutto quanto sopra, ma in particolare sugli ultimi due punti, la nostracategoria gioca un ruolo propulsivo e tecnico di primo piano che non cidovremmo lasciar sfuggire per rafforzare il nostro ruolo sociale, che comeormai continuo a ripetere, rappresenta il fondamento per la nostra attuale efutura credibilità.

IMPRESEIN ASFISSIA?

BANDO BORSA DI STUDIO 2009PAGINA 20

2 NUMERO 188 - MARZO / APRILE 2009 IL COMMERCIALISTA VENETO

NORME E TRIBUTI

ADRIANO CANCELLARI Ordine di VicenzaOrmai la vita utile di un personal computer è

sempre più breve: due, tre anni e non di più.Ma non tanto perché ad un certo punto lo

strumento elettronico smetta di funzionare, ma per-ché dopo un paio d’anni diventa già obsoleto ed inca-pace di contenere e far girare alla debita velocità tutti iprogrammi ed i dati di cui abbiamo bisogno per lanostra attività. Ormai, con quello che costano adesso icomputer, ci diciamo, tanto vale comprarne uno nuo-vo...Però, visto che è sempre uno strumento elettronicofunzionante, non ce la sentiamo di buttarlo in discari-ca, ma lo consegniamo al rivenditore dove abbiamocomprato l’ultimo ritrovato della tecnica, lo diamo ainostri figli o, per sentirci meglio con la nostra coscien-za, lo regaliamo a qualche associazione benefica. Avolte ci ricordiamo di cancellare i dati in esso contenutie a volte ce ne dimentichiamo.Se invece il p.c. è scoppiato, o non dà più segni di vita,non ci pensiamo su due volte e, così com’é, lo portia-mo dallo smaltitore più vicino (e non certo in discari-che abusive, giusto?)Fin qui nulla di male, anzi: ma siamo sicuri che possia-mo dormire sempre sonni tranquilli dopo esserci libe-rati di questo vecchio p.c.?Poniamoci altre domande: cosa facciamo dei nostrisupporti informatici, dei nostri cd, dei nostri dvd, unavolta che non ci servono più? Probabilmente li buttia-mo direttamente nel cestino delle immondizie. E seperdiamo una chiavetta usb, qual è la nostra preoccu-pazione principale? Comprarne o utilizzarne subitoun’altra: non è così?Anche in questo caso, possiamo restare totalmentesereni?Probabilmente non vi saranno sfuggite le recenti noti-zie di stampa sul rinvenimento, da parte dell’acqui-rente di un disco rigido usato e commercializzato at-traverso un sito Internet, di dati bancari relativi a oltreun milione di individui contenuti nel disco medesimo.Sempre più frequenti sono i casi in cui si segnala ilritrovamento di dati personali all’interno di apparec-chi elettronici (compresi i telefonini), non solo nei casiin cui essi siano ceduti ad un rivenditore per ladismissione o la rivendita, ma anche quando siano datiin consegna per riparazioni o sostituzione di compo-nenti.

Ogni titolare del trattamento, alla luce delle disposizioni previste dal Codice Privacy, do-vrebbe sapere che:

- deve adottare appropriate misure organizzative etecniche volte a garantire la sicurezza dei dati persona-li trattati e la loro protezione nei confronti di accessinon autorizzati (artt. 31 ss. del Codice);- i produttori, i distributori ed i centri di assistenza diapparecchiature elettriche ed elettroniche non risulta-no essere soggetti a specifici obblighi di distruzionedei dati personali eventualmente memorizzati nelleapparecchiature elettriche ed elettroniche ad essi con-segnate per lo smaltimento o la successiva vendita;- dall’inosservanza delle misure di sicurezza può deri-vare in capo al titolare del trattamento una responsabi-lità penale (art. 169 del Codice) e, in caso di dannicagionati a terzi, una responsabilità civile (artt. 15 delCodice Privacy e 2050 codice civile);- le misure da adottare in occasione della dismissionedi componenti elettrici ed elettronici suscettibili dimemorizzare dati personali devono consistere nell’ef-fettiva cancellazione o trasformazione in forma nonintelligibile dei dati personali negli stessi contenute,tali da impedire a soggetti non autorizzati che abbianoa vario titolo la disponibilità materiale dei supporti di

venirne a conoscenza non avendone diritto (si pensi,ad esempio, ai dati personali memorizzati sul discorigido dei personal computer o nelle cartelle di postaelettronica, oppure custoditi nelle agende elettroni-che);- tali misure risultano già inserite nelle misure minimedi sicurezza per i trattamenti di dati sensibili ogiudiziari, ai sensi dei punti n. 21 e n. 22 del disciplina-re tecnico, disciplinanti la custodia e l’uso dei suppor-ti rimovibili sui quali sono memorizzati i dati, chevincolano il riutilizzo dei supporti alla cancellazioneeffettiva dei dati o alla loro trasformazione in formanon intelligibile;Per evitare il ripetersi di comportamenti apparente-mente innocenti, ma potenzialmente pericolosi, ilGarante ha messo a punto una serie di indicazioni perevitare che, al momento di dismettere apparecchiatureelettriche ed elettroniche (anzitutto pc, ma anche tele-foni cellulari, cd rom o dvd), rimangano in memorianomi, indirizzi mail, rubriche telefoniche, foto, filma-ti, numeri di conti bancari, dati personali in generale,anche di tipo sensibile, come quelli sanitari, riferitinon solo all’utilizzatore, ma anche, come nel nostrocaso, a terzi.

Le misure suggerite dal Garante per una“rottamazione” sicura di pc e dispositivi elet-tronici (provvedimento “Rifiuti di

apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raae) emisure di sicurezza dei dati personali “ del 13 otto-bre 2008, pubblicata in G.U. n. 287 del 9 dicembre2008) hanno dunque l’obiettivo di richiamare tutti gliutilizzatori sulla necessità di assicurare una reale edeffettiva cancellazione dei dati o venga garantita la loronon intelligibilità. Le misure possono essere adottatesia nel momento preliminare della memorizzazionedei dati, sia in quello successivo della loro distruzione.Il Garante, quindi, ha richiamato “l’attenzione di per-sone giuridiche, pubbliche amministrazioni, altri entie persone fisiche che, avendone fatto uso nello svolgi-mento delle proprie attività, in particolare quelle indu-striali, commerciali, professionali o istituzionali, nondistruggono, ma dismettono supporti che contengonodati personali, sulla necessità di adottare idonei ac-corgimenti e misure, anche con l’ausilio di terzi tecni-camente qualificati, volti a prevenire accessi non con-sentiti ai dati personali memorizzati nelleapparecchiature elettriche ed elettroniche destinate aessere:a. reimpiegate o riciclate (Allegato A);b. smaltite, (Allegato B)”

Vediamo ora nel dettaglio cosa raccomanda ilGarante.Allegato A) - Reimpiego e riciclaggio di rifiuti

di apparecchiature elettriche ed elettronicheIn caso di reimpiego e riciclaggio (consegne a rivendi-tori, donazioni a parenti, amici od Onlus, ma, atten-zione, anche consegna a terzi per riparazioni) diapparecchiature elettriche ed elettroniche, bisogna ef-fettuare la preventiva ed effettiva cancellazione deidati in essi archiviati o garantire la loro non intelligibi-lità. Per fare ciò, bisogna adottare, in alternativa, maanche in combinazione tra loro, le seguenti misure:Misure tecniche preventive per la memorizzazionesicura dei dati* Cifratura di singoli file o gruppi di file, di voltain volta protetti con parole-chiave riservate, note alsolo utente proprietario dei dati, che può con queste

procedere alla successiva decifratura.* Memorizzazione dei dati sui dischi rigidi(hard-disk) dei personal computer o su altro genere disupporto magnetico od ottico (cd-rom, dvd-r) in for-ma automaticamente cifrata al momento della loro scrit-tura, tramite l’uso di parole-chiave riservate note alsolo utente.Misure tecniche per la cancellazione sicura dei dati,applicabili a dispositivi elettronici o informatici* Cancellazione sicura delle informazioni, ottenibilecon programmi informatici (quali wiping program o fileshredder) che provvedono, una volta che l’utente abbiaeliminato dei file da un’unità disco o da analoghi supporti dimemorizzazione con i normali strumenti previsti dai diversisistemi operativi, a scrivere ripetutamente nelle aree vuotedel disco (precedentemente occupate dalle informazioni eli-minate) sequenze casuali di cifre “binarie” (zero e uno) inmodo da ridurre al minimo le probabilità di recupero diinformazioni anche tramite strumenti elettronici di analisi erecupero di dati.* Formattazione degli hard disk, attenendosi alleistruzioni fornite dal produttore del dispositivo e te-nendo conto delle possibili conseguenze tecniche su diesso, fino alla possibile sua successiva inutilizzabilità;* Demagnetizzazione dei dispositivi di memo-ria basati su supporti magnetici o magneto-ottici (di-schi rigidi, floppy-disk, nastri magnetici su bobine aperteo in cassette), in grado di garantire la cancellazionerapida delle informazioni anche su dispositivi non piùfunzionanti.E’ doveroso fare un piccolo inciso nel caso in cui ill’apparecchiatura venga consegnata a soggetti terzi peruna riparazione od una manutenzione. Se il riparatore- manutentore venisse nominato dal titolare quale “re-sponsabile del trattamento”, nel caso in cui i dati con-tenuti nel pc fossero divulgati a soggetti non autoriz-zati, parte della responsabilità verrebbe attribuita alriparatore - manutentore, con una mitigazione di peneper il titolare. Non bisogna comunque dimenticare chequest’ultimo sarebbe sempre responsabile “in culpaeligendo” e “in culpa vigilando”, per aver nominatoun soggetto non idoneo.

Allegato B) - Smaltimento di rifiuti elettrici edelettroniciPer la distruzione degli hard disk e di supporti magne-tici non riscrivibili, come cd rom e dvd, è consigliabilel’utilizzo di sistemi di punzonatura o deformazionemeccanica o di demagnetizzazione ad alta intensità odi vera e propria distruzione fisica.Le disposizioni sullo smaltimento non presentanomolte difficoltà, perché chiunque di noi è in grado didistruggere fisicamente i cd ed i dvd: anche se nonabbiamo gli strumenti per effettuare la punzonatura,sicuramente abbiamo un po’ di forza per metterli fuoriuso piegandoli o tagliandoli. Probabilmente un po’ piùcomplicata si potrebbe presentare per noi la distru-zione degli hard disk.Invece le indicazioni di questo provvedimento nonsembrano molto semplici in caso di successivo reimpiegoda parte di terzi dei nostri computer. Per fortuna ilGarante comunque ricorda che tali misure e accorgi-menti possono essere attuati “anche con l’ausilio oconferendo incarico a terzi tecnicamente qualificati, qualicentri di assistenza, produttori e distributori diapparecchiature che attestino l’esecuzione delle opera-zioni effettuate o che si impegnino ad effettuarle.”Come abbiamo visto sopra, non è quindi una cosa cosìbanale disfarsi dei nostri pc e dei nostri supporti elet-tronici. Il problema non è più solamente ambientale:adesso abbiamo un altro motivo in più per preoccu-parci. Ne avevamo proprio bisogno...

Privacy e spazzatura elettronica

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L'INTERVISTA

ANTONIO CANCIAN

GERMANO ROSSIOrdine di Treviso

IL COMMERCIALISTA VENETO

Antonio Cancian, ingegnere,57 anni, è Presidente delGruppo Pool Invest, che sicompone attualmente di 18società presenti in Italia, EstEuropa, Emirati Arabi edIndia, operanti nellaprogettazione e realizzazionedi interventi urbanistici,infrastrutturali ed edilizi, conun volume d’affari complessi-vo di circa 30 milioni di euro,e commesse già in portafoglioper oltre 65 milioni di euro,tra cui quella acquisitarecentemente dalla padovana

Ing. Cancian, da piccolo studio di provincia a realtà consolidata alivello internazionale nel settore della progettazione civile edinfrastrutturale, il suo gruppo annovera oggi una schiera di oltre300 professionisti strutturati (soci e non soci), oltre a numerosi altriprofessionisti esterni che collaborano stabilmente con essi; può dirciqual è il segreto per la gestione di una simile aggregazione, e quali lemaggiori difficoltà?

Di certo non si è trattato di un percorso breve, né facile. Fin dall’inizio,tuttavia, la filosofia organizzativa e gestionale che abbiamo cercato diapplicare è stata quella della responsabilizzazione delle risorse umane eprofessionali, a qualsiasi livello, e della ripartizione territoriale dell’atti-vità. Abbiamo potuto verificare che in questo modo era possibile inogni momento coniugare le esigenze di snellezza operativa e gestionalecon quelle della professionalità e dell’efficienza, senza rinunciare alleopportunità che potevano essere fornite dalla retrostante presenza diun gruppo sinergico importante, con funzioni di coordinamento ed in-dirizzo strategico, oltre che di collettore di commesse. Con questa filo-sofia, abbiamo potuto creare una struttura in grado di assorbire con lagiusta tempistica e professionalità sia il grande progetto infrastrutturale,che richiede l’intervento coordinato di un gran numero di professioni-sti, che i lavori di dimensioni più piccole.Certamente non sono mancate le difficoltà, peraltro spesso derivantidalle differenze professionali e culturali esistenti nelle diverse realtàlocali che fanno parte del Gruppo.

La crescita del suo gruppo è stata condotta prevalentemente per li-nee esterne, attraverso successivi processi di aggregazione ed inte-grazione di strutture già esistenti, tanto che oggi Lei può essere con-siderato uno dei professionisti triveneti con maggiore esperienza nellaprogrammazione, organizzazione e gestione di fusioni ed accorpamentitra differenti strutture svolgenti attività professionali. Può dirci qua-li sono state le motivazioni che l’hanno indotta ad intraprenderequesto percorso, e quali le resistenze che ha via via incontrato?

La scelta della crescita per linee esterne è stata una scelta obbligata.Alla base di tutto posso dire ci sia sempre stata una chiara visione dellastruttura obiettivo, che avrebbe dovuto proporsi non solo entro i con-fini nazionali, ma anche e soprattutto all’estero. Per realizzare questastruttura in tempi accettabili l’unica possibilità era quella delleaggregazioni, che io ho sempre inteso come reali integrazioni societarie,e non come joint venture occasionali, di certo molto meno rischiose, masempre limitate da obiettivi di breve periodo. Ovviamente ancora più amonte c’è stata una valutazione imprenditoriale che oggi posso defini-re fortunata, che mi ha portato a puntare su mercati e Paesi difficili erischiosi, quali ad esempio quelli dell’Est Europeo, ben prima che sicreassero le condizioni per il loro ingresso nell’Unione Europea, e piùin generale per il loro progressivo coinvolgimento nella macroarea eco-nomico-produttiva Mitteleuropea-Balcanica, di cui ritengo faccia parteil nostro Nord-Est. Devo peraltro ricordare che questa crescita nonsarebbe stata possibile se alla base non ci fosse stata una struttura ingrado di dare adeguate garanzie alle realtà di volta in volta coinvolte nel

L’aggregazione tra professionisti: stradapercorribile anche per i Commercialisti

Chi è l'ing. Antonio Cancian

Idroesse per la costruzione di un’intera nuova città di circa 43 km2 disuperficie nei pressi di Abu Dhabi. Al loro interno operano attualmenteoltre 300 liberi professionisti, molti dei quali soci o associati, che dannovita complessivamente ad una delle più importanti realtà del Nordest nelsettore.

progetto. Linee esterne si, quindi, ma solo dopo un forte consolida-mento dello zoccolo duro di partenza.Per quanto riguarda le resistenze, credo che – oltre alle difficoltà di farcogliere il progetto a professionisti abituati ad altre realtà socio econo-miche e culturali, già menzionate – le maggiori perplessità siano spessovenute dal sistema finanziario locale, che si è dimostrato spesso nonpreparato ad accompagnare progetti tanto comuni nel mondo indu-striale quanto poco usuali in quello professionale. Ancor oggi siamocostretti a convivere con una finanza incapace di adempiere totalmenteal proprio ruolo nel campo del terziario avanzato, e di sostenere con lanecessaria forza e tempistica le aziende del nostro settore, il cui prodot-to è ritenuto virtuale e difficilmente valutabile.

La sua esperienza imprenditoriale e professionale ha senz’altro po-chi uguali – anche nell’ambito di altre professioni – nel Triveneto,ma non è affatto unica nel suo genere in Italia. E, ancor più, apparenon paragonabile a molte più importanti storie di aggregazione av-venute all’estero, specialmente nei Paesi Anglosassoni. Qual è – asuo giudizio - la ragione di ciò? Ritiene che sia un fatto culturale, opiù semplicemente un fatto dovuto alla relativa minore anzianitàdelle nostre professioni? Ritiene che, in generale, il futuro del mondoprofessionale possa essere caratterizzato da sempre maggiori dimen-sioni delle singole realtà?

Credo che la risposta sia da ricercare in tutti i fattori da Lei citati.Senz’altro c’è un elemento culturale, che discende direttamente dalleradici del nostro Paese. Ma altrettanto certamente hanno influito ele-menti di carattere storico, economico e sociale, oltre che indirizzi dicarattere politico e legislativo, che hanno sempre impedito (con l’unicaeccezione forse proprio delle società di engineering) la gestione diattività professionali in forma societaria e la partecipazione di soci di

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capitale a tali iniziative. Il tutto, a dire il vero, mai troppo osteggiato daiprofessionisti stessi, spesso pervasi da istinti protezionistici, e tranquilla-mente adagiati sul “piccolo e bello”, che non responsabilizza più di tanto elimita i rischi. Oggi, tuttavia, vedo attorno a me sempre più forti manifestazio-ni di interesse all’aggregazione, che sono probabilmente il frutto di unacrescente consapevolezza della necessità di dare al mercato risposte integra-te e complesse, in tutti gli ambiti professionali.

Come può conciliarsi l’esigenza del rapporto personale e fiduciario delprofessionista con quella dell’efficienza, della specializzazione, dellastandardizzazione e della redditività in un contesto concorrenziale? Ri-tiene in particolare che strutture professionali aggregate come quellada Lei presieduta debbano essere caratterizzate da una gestione mana-geriale, eventualmente anche esterna al mondo ove opera il Gruppo,ovvero che vi siano alcuni soci esclusivamente dedicati ad aspetti orga-nizzativi e gestionali?

Senza dubbio la gestione deve essere improntata a criteri aziendalistici,ancorché la sua strutturazione dipenda dalle dimensioni del Gruppo e dagliobiettivi che ci si pone. All’interno dell’azienda-studio è necessario sepa-rare l’attività professionale da quella di gestione degli aspetti organizzativie direzionali. L’ideale, a mio modo di vedere, è che vi siano professionisti-manager che conoscono la professione, ma non se ne occupano diretta-mente, dedicandosi invece esclusivamente alla gestione dell’organizzazio-ne e dello sviluppo della struttura, anche sotto il profilo commerciale.

La sua struttura, pur essendo nel suo complesso genericamente dedicataall’attività di progettazione, comprende in realtà professioni e profes-sionalità molto diversificate tra loro, che vi consentono di intervenirepraticamente in tutti i campi oggetto della vostra attività. Le è mai capi-tato di percepire questa specializzazione come un problema, ovvero diaffrontare situazioni in cui qualche professionista cercava di invaderespazi riservati ad altri?

Il problema esiste. La concorrenza interna (per non parlare delle gelosie) èuna componente assolutamente normale in una struttura professionaleviva e vivace. La soluzione che abbiamo elaborato per minimizzarne glieffetti, è quella di creare dei team di lavoro molto ampi, soprattutto per lagestione dei progetti complessi, con precise gerarchie per la loro gestione.Questa gerarchizzazione rende possibile anche il coinvolgimento ed il co-ordinamento di professionalità diverse, spesso anche esterne alla nostrastruttura, soprattutto nelle situazioni in cui i singoli progetti riguardino unagestione complessiva, estesa alla realizzazione pratica delle opere, con laconseguente necessità di costituire ATI o Consorzi o Società di Scoporelative al singolo progetto.

Qual è stato, nel corso della Sua esperienza professionale, il rapportocon il mondo dei Commercialisti? Quali sono le differenze maggiori cheha notato tra l’Italia ed il resto del mondo, nel campo della consulenzafiscale, aziendale e societaria, e quali ritiene siano i punti di forza e didebolezza della nostra categoria?

Nel corso delle mia esperienza ho avuto la necessità e la fortuna di incon-trare numerosi Commercialisti, il cui apporto è stato senz’altro molto impor-tante per la nostra crescita. Ho potuto in genere riscontrare nei singoliprofessionisti un elevato grado di preparazione, spesso sorprendentementeesteso a molteplici aspetti della vostra professione, attinenti problematichefiscali, societarie ed aziendalistiche. Una poliedricità, questa, difficilmenteriscontrabile fuori dai confini nazionali, dove è alquanto improbabile cheun grande esperto di fiscalità sia anche profondo conoscitore di teorieaziendalistiche o di problematiche societarie.Al tempo stesso, gran parte delle strutture professionali italiane con cui hocollaborato avevano una dimensione medio-piccola, incentrata sulle figuredi pochi soci, con un apparentemente poco elevato livello di differenziazionenelle competenze dei vari professionisti che le componevano.

Senz’altro la vostra preparazione rappresenta un punto di forza, ma al tem-po stesso non v’è chi non veda come sempre più, oggi, per rispondere alleesigenze di realtà imprenditoriali costrette a confrontarsi con un mercatoglobale, e con problemi molto complessi e differenziati, sia necessariocreare strutture dotate di professionalità specifiche e specializzate, chepossano operare come componenti organizzate di un interlocutore unico.Non aver ancora avviato un simile processo rappresenta probabilmente ilmaggior punto di debolezza dei commercialisti italiani.

Alla luce della Sua esperienza, quali sono i suggerimenti che Lei si sen-tirebbe di dare ai Commercialisti del Triveneto?

Non credo che i Commercialisti, ed in particolare quelli del Triveneto, chetanto hanno significato nella nascita e nello sviluppo del fenomeno Nord-Est, abbiano bisogno dei miei suggerimenti. Ritengo tuttavia di poter riba-dire che non deve esserci alcun timore nel percorrere il cammino delleaggregazioni, sia a livello locale che a livello transnazionale. Sulla scia delleesperienze delle società di engineering e delle più importanti law firm,credo che anche i commercialisti possano dar vita a strutture complesse,specializzate ed organizzate. Le opportunità di un simile percorso sonosenz’altro superiori alle minacce.

Ing. Cancian, in Europa ed in Italia si parla ormai da anni di riformadelle Professioni e di liberalizzazioni, quasi si trattasse di una panacea;sistematicamente, tuttavia, ci si ritrova poi ad imbattersi in problemi diqualità nelle costruzioni o nelle infrastrutture (e ne abbiamo avuto pur-troppo recenti tristi conferme), ovvero in casi di mala sanità, o in casi dicrack o peggio ancora di truffe finanziarie causate in molti casi proprioda carenza di Professionalità. Qual è la Sua valutazione a riguardo, equale ritiene dovrebbe essere lo sviluppo delle Libere Professioni inItalia ed all’Estero?

Io non sono per la protezione a tutti i costi dei professionisti tout court. Ilmercato globale non ce lo permette più, e tentare di tenere in piedi ancorabarricate di questo tipo credo sia ormai anacronistico. Sono convinto peròche vada protetta e salvaguardata la vera professionalità. A mio giudizio,le professioni andrebbero regolate con poche e chiare regole, valide ancheal di fuori dei confini nazionali, che dovrebbero consentire il loro eserciziosolo da chi ne ha i titoli e la competenza, documentata e certificata anchenel suo costante aggiornamento; regole che dovrebbero altresì prevedereun rigido sistema di responsabilità a carico degli stessi soggetti. Sonoaltresì dell’idea che l’organizzazione dell’attività professionale e la suapubblicizzazione non dovrebbero avere vincoli di sorta, e che il controllodel rispetto delle regole per l’esercizio delle Professioni dovrebbe esseredemandato ad apposite autorità di vigilanza, che dovrebbero operare incollaborazione con gli Ordini Professionali.

Un ultimo sguardo alla situazione economica generale. Il Suo punto diosservazione è senz’altro privilegiato, potendo spaziare su un’area geo-grafica molto vasta. Che cosa possiamo aspettarci per il prossimo futuroin Italia ed all’estero?

Qualcuno sta dicendo in questi giorni che forse si intravede uno spiragliodi luce in fondo al tunnel. Io sono abbastanza d’accordo, e dal mio punto divista, ovvero da quello degli attori progettuali che precedono l’esecuzionedei lavori, posso confermare l’esistenza di concreti segnali di ripresa. Cre-do a riguardo che sia molto importante, ai fini di accelerare questa ripresa,ritrovare e far ritrovare la fiducia all’investimento, e mi auguro che chi didovere sappia fare la sua parte, agendo sia sul fronte degli ammortizzatorisociali, che su quello dell’avvio di qualche lavoro pubblico già programma-to, e magari sospeso a causa di lungaggini burocratiche o di interpretazionicavillose della legislazione vigenti.Credo che questo creerebbe fiducia e speranza per le imprese e per lefamiglie. E di speranza, in particolare, c’è oggi quanto mai bisogno,perché in essa è la forza per non soccombere di fronte alle prove e perandare avanti. Senza speranza c’è solo consumo, consumismo e de-pressione.

L'INTERVISTA / Antonio CancianSEGUE DA PAGINA 3

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La conciliazionenei conflitti societari

DIRITTO DELLE SOCIETA'

NICOLA SOLDATI Professore aggregato di Diritto Commerciale Alma Mater Studiorum Università di Bologna

IL COMMERCIALISTA VENETO

SEGUE A PAGINA 6

NELL’AMBITO DELLE LITI DI NATURA societaria, la conci-liazione riveste un ruolo fondamentale come strumento alter-nativo di risoluzione delle controversie. Tale ruolo è statoulteriormente magnificato a seguito della emanazione del de-creto legislativo n. 5 del 17 gennaio 2003, recante “Definizio-

ne dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazionefinanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell’artico-lo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366", che ha introdotto nel nostro ordi-namento disposizioni ad hoc in tema di conciliazione stragiudizialesocietaria.Negli ultimi anni in Italia la conciliazione è stata al centro di numerosiinterventi legislativi volti principalmente ad introdurre un elemento deflattivodell’attuale e del futuro contenzioso. Tuttavia, al pari dell’arbitrato, la con-ciliazione non deve affatto essere intesa come un strumento per risolvere iproblemi di una giustizia ordinaria “in panne”, poiché la sua reale portatava ben oltre il semplice alleggerimento dei compiti della giustizia ordinaria.Solamente quando la conciliazione risulterà “praticata” con competenza eprofessionalità, ma soprattutto quando si sarà diffusa una vera e propriacultura della conciliazione, diventerà uno strumento di risoluzione dellecontroversie di primaria importanza ed efficacia.I motivi per i quali la conciliazione potrà avere nel nostro Paese quel suc-cesso che già ha avuto all’estero sono dati, in particolare modo, dal fattoche consente di addivenire ad esiti compositivi delle controversie menoconvenzionali e tendenzialmente più soddisfacenti e remunerativi per leparti. Infatti, ove la conciliazione abbia esito positivo, non dovrebberoesistere né vinti, né vincitori, ma solo due o più parti che hanno raggiuntola composizione della lite mediante un accordo totalmente soddisfacente.La norma chiave che ha aperto la strada alla diffusione della conciliazionenel nostro ordinamento è stata la legge n. 580 del 1993 che ha attribuitofondamentali competenze in materia conciliativa alle Camere di commercio,affermando all’art. 2, comma 4, che: “le Camere di commercio, singolarmen-te o in forma associata, possono tra l’altro: promuovere la costituzione dicommissioni arbitrali e conciliative per la risoluzione delle controversie traimprese e consumatori ed utenti”.Successivamente, sono seguiti molti interventi legislativi che hanno rimes-so la risoluzione delle controversie a sportelli o camere di conciliazionecreati presso le Camere di Commercio, prima tra tutte la L. n. 192 del 1998, laL. n. 281 del 1998 (oggi abrogata dal Codice del consumo) e la L. n. 135 del2001; più di recente, sono stati emanati il D. Lgs. n. 5 del 2003, la L. n. 129 del2004, l’art. 768 octies c.c., il D. Lgs. n. 206 del 2005 (Codice del consumo) ela L. n. 262 del 2005 che hanno demandato la risoluzione delle controversiea procedure di conciliazione da celebrarsi dinnanzi ad organismi pubblici eprivati riconosciuti dal Ministero della giustizia.

Gli organismi di conciliazioneLe ragioni che dovrebbero portare le parti a decidere di risolvere le contro-versie in materia societaria per mezzo di una conciliazione sono molteplici,ma, in particolare, la scelta trova la sua origine nella necessità, soprattuttonelle materie oggetto del decreto n. 5 del 2003, di un sistema compositivorapido ed efficace e che, al contempo, permetta la continuazione del rap-porto tra le parti anche dopo la risoluzione del conflitto.E’ importante ricordare, però, che tali enti non svolgono direttamente funzio-ni di conciliatori. Questi, molto più semplicemente, provvedono, oltre chealla gestione logistica e segretariale del procedimento, sulla falsariga dellavoro svolto dalle cancellerie dei nostri tribunali, anche alla ricezione delladomanda, all’assunzione di decisioni su aspetti organizzativi, amministrativie sostanziali della procedura. Conseguentemente, il primo dei vantaggi cheviene offerto è quello della trasparenza, soprattutto per quanto concerne lanomina dei conciliatori, ma, più in generale, sull’intero procedimento.Nella prima fase di diffusione, le Camere di commercio hanno avuto senza

dubbio un ruolo di primaria importanza, proprio in considerazione del fattoche risultavano già da tempo strutturate ed organizzate per la nomina deiconciliatori e per la gestione dei procedimenti. Tale ruolo è risultato ulte-riormente sottolineato dall’art. 38, comma 2, del decreto n. 5 del 2003 ilquale ha previsto che le Camere di Commercio che hanno costituito organi-smi di conciliazione hanno diritto di ottenere l’iscrizione degli stessi nelregistro tenuto dal Ministero della giustizia.Tuttavia, non va dimenticata l’importanza strategica degli ordini professio-nali i quali possono creare al loro interno sportelli di conciliazione, ottenen-do il riconoscimento degli stessi come enti pubblici da parte del Ministerodella giustizia, al pari delle Camere di commercio.Al riguardo, l’art. 38 del decreto, rubricato “Organismi di conciliazione”,disciplina, in primo luogo, proprio gli organismi deputati a gestire le do-mande di conciliazione e le relative procedure, prevedendo che questi,organizzati in forma di enti pubblici o privati, possano richiedere l’iscrizio-ne nel registro tenuto presso il Ministero di giustizia, qualora diano garan-zie di serietà ed efficienza, secondo le modalità stabilite dal D.M. n. 222 del2004 e dal decreto dirigenziale del Ministero della giustizia 24 luglio 2006.

Lo svolgimento di una conciliazioneIl vero punto nodale della conciliazione stragiudiziale prevista dal decretolegislativo è costituito dall’art. 40 del decreto n. 5 del 2003 che disciplina inmodo approfondito il procedimento, fornendo un panorama completo diquelli che sono i cardini fondamentali da rispettarsi in ogni conciliazione,anche per il tramite dei regolamenti di cui gli enti andranno a dotarsi.In primo luogo, nella predisposizione dei regolamenti dovranno esseresempre e comunque salvaguardati la completa riservatezza della procedurae l’imparzialità nella nomina dei conciliatori. Tali principi sono assoluta-mente imprescindibili, vuoi per la credibilità dello strumento, vuoi per lacredibilità dell’ente che andrà a gestire la procedura conciliativa. A livellocomparatistico, ogni regolamento, sia nazionale che internazionale, preve-de tali principi e sanziona in modo ferreo il loro mancato rispetto.La credibilità dello strumento conciliazione nella sua globalità, e, quindi,non solo nell’ambito delle materie oggetto della riforma in esame, potrebbeessere gravemente minata allorché, fino dai primi momenti del suo utilizzo,il rispetto di tali principi venisse pretermesso o calpestato da enti oconciliatori scarsamente professionali e deontologicamente scorretti.

Il conciliatoreLa figura del conciliatore è assolutamente fondamentale per la buona riu-scita della procedura ed il suo ruolo è assai più delicato e complesso rispet-to a quello di un giudice, ovvero a quello di un arbitro. In ogni caso, dovràessere garantita la totale imparzialità, neutralità ed indipendenza delconciliatore rispetto alle parti in lite.In base agli attuali regolamenti di conciliazione, tali requisiti deontologicidovrebbero essere assicurati o da un controllo dell’ente sul comportamen-to del soggetto designato, ovvero tramite la sottoscrizione da parte delconciliatore di una apposita dichiarazione denominata “dichiarazione diindipendenza”.Per quanto attiene, invece, alla nomina dei conciliatori, l’art. 40, comma 1,del decreto prevede che siano i regolamenti a disciplinarne le modalità. Alleluce delle esperienze note, la nomina avviene ad opera di Commissionicreate ad hoc in base ai regolamenti delle strutture presso le quali si attivail procedimento di conciliazione.Altro interessante aspetto è dato dalla disposizione contenuta nell’ultimaparte del terzo comma dell’art. 40, in base al quale le dichiarazione rese dalleparti nel corso del procedimento arbitrale non possono essere utilizzate insede di prova testimoniale. Tale previsione assommandosi a quella che talidichiarazioni non possono essere utilizzate nemmeno nell’ambito del pro-cedimento al di fuori della fase istruttoria consente una buona “blindatura”della conciliazione.

Le fonti della conciliazione societariaAl fine di potere risolvere una controversia nell’ambito delle materie previ-

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La concicliazione nei conflitti societariSEGUE DA PAGINA 5

ste dal decreto legislativo all’art. 1, sono previste due diverse possibilità.La prima è costituita dall’introduzione all’interno dei contratti e degli statu-ti di una clausola che preveda appunto il ricorso alla conciliazione in casodi lite.Ciò costituisce, senza dubbio, una interessante novità, soprattutto in am-bito societario, infatti, fino ad oggi, gli statuti assai raramente hanno fattoriferimento alla conciliazione come strumento per la risoluzione delle con-troversie, privilegiando il ricorso alle procedure arbitrali. Tuttavia, occorresottolineare come la conciliazione e l’arbitrato non siano assolutamente traloro incompatibili, anzi il secondo non è altro che la logica conseguenza delmancato raggiungimento di un accordo in sede conciliativa.Nella prassi, in ogni caso, sarebbe opportuno prevedere all’interno deipatti sociali due clausole, una conciliativa ed una arbitrale, tra di loro sepa-rate. Infatti, la predisposizione di un’unica clausola, seppur ammissibile inastratto dal punto di vista giuridico, potrebbe risultare troppo complessaed articolata, rischiando di esporre le società a problemi operativi di nonpoco momento, in caso di applicazione in vivo di tale clausola, e ciò anchealla luce della riforma in parola.A titolo di esempio, non sarebbe assolutamente consentito ai conciliatoridi svolgere anche funzioni arbitrali, in caso di fallimento del tentativo diconciliazione, senza violare i più elementari canoni deontologici e regola-mentari.La seconda modalità concessa alle parti per accedere alla conciliazione èdata dall’incontro delle volontà comune di utilizzare tale strumento per lacomposizione del conflitto. Gli attuali regolamenti, per facilitare ed ampliareil ricorso alla conciliazione, danno alla parte interessata la possibilità dipresentare la propria domanda di conciliazione ad un ente amministratore ilquale procede ad invitare la parte convenuta a partecipare alla procedura.

Gli effetti processualiIn base a quanto previsto dall’art. 40, comma 6, del decreto, qualora taleclausola di conciliazione sia inserita all’interno del contratto o statuto diuna società, in mancanza dell’esperimento del tentativo di conciliazione, laparte convenuta potrà sollevare la relativa eccezione nel proprio primoscritto difensivo. In tale ipotesi, il giudice sarà tenuto a sospendere il pro-cedimento pendente innanzi a lui, fissando un termine, da trenta a sessantagiorni, per il deposito dell’istanza di conciliazione avanti ad un organismodi conciliazione.In caso di mancato deposito dell’istanza, la parta interessata avrà la possi-bilità di riassumere il procedimento innanzi all’autorità giudiziaria ordinaria.Per contro, qualora il tentativo di conciliazione non riesca, il verbale diconciliazione dovrà essere allegato all’istanza di riassunzione. Come nor-ma di chiusura si prevede, comunque, che, in ogni caso, la causa di so-spensione del procedimento ordinario si intende cessata ai sensi dell’art.297, comma 1, c.p.c., decorsi sei mesi dal provvedimento di sospensione.Da ultimo, per quanto attiene agli effetti processuali, in base alla previsionecontenuta all’art. 40, comma 4, l’istanza di conciliazione proposta innanziagli organismi competenti porta ai medesimi effetti della domanda giudizialee della domanda arbitrale ai fini dell’interruzione della prescrizione. Tutta-via, qualora la conciliazione abbia esito negativo, la domanda in sede arbi-trale o in sede ordinaria dovrà essere proposta entro il medesimo termine didecadenza decorrente dal deposito del verbale di mancata conciliazione.Per quanto attiene, invece, alla durata del procedimento, nel silenzio deldecreto, alla luce dei regolamenti e della legislazione vigente, si può facil-mente ipotizzare che questa sia tra trenta ed i sessanta giorni, infatti, attual-mente una conciliazione deve essere conclusa nell’arco di una riunione, almassimo due, ovvero in quel diverso termine eventualmente previsto dalregolamento dell’ente prescelto.

Il verbale di conciliazioneAi sensi dell’art. 40, comma 8, del decreto, la conciliazione, in caso di esitopositivo, si conclude con un verbale sottoscritto dalle parti e dalconciliatore. Tale verbale è suscettibile di ottenere efficacia di titolo esecu-tivo per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma specifica e perl’iscrizione di ipoteca giudiziale, mediante omologazione con decreto daparte del Presidente del Tribunale del circondario ove ha sede l’ente che haamministrato la conciliazione.Nell’ipotesi in cui il tentativo di conciliazione abbia esito negativo (art. 40,comma 2) poiché le parti non raggiungono un accordo, il procedimento sipuò concludere, su istanza congiunta delle stesse, con la richiesta di unaproposta da parte del conciliatore rispetto alla quale ciascuna delle partideve indicare la propria definitiva posizione, ovvero le condizioni alle qualisarebbe disposta a conciliare.Il conciliatore dà atto in apposito verbale di fallita conciliazione di taliposizioni ed è tenuto a rilasciarne copia alla parte che ne faccia richiesta.

Altresì, in apposito verbale il conciliatore darà atto della mancata adesionedi una parte all’esperimento del tentativo di conciliazione.Tale verbale di mancata conciliazione è particolarmente importante poichéil giudicante potrà valutare nel giudizio promosso innanzi a lui ai fini delladecisione sulle spese processuali, anche a titolo di responsabilità aggrava-ta, ai sensi dell’art. 96 c.p.c. Ciò sta a significare che il giudice potrebbeescludere in tutto o in parte la ripetizione delle spese sostenute dalla partevincitrice e/o condannarla al rimborso delle spese sostenute dalla partesoccombente, qualora ritenga che abbia rifiutato in modo ingiustificato laconciliazione.Il ricorso alla conciliazione consente alle parti di ottenere anche vantaggidal punto di vista fiscale, infatti l’art. 39 prevede che tutti gli atti, i docu-menti ed i provvedimenti del procedimento sono esenti dall’imposta dibollo e da ogni spesa tassa o diritto di qualsiasi specie e natura.Inoltre, il verbale di conciliazione va esente dall’imposta di registro entro illimite di valore di venticinquemila euro, da calcolarsi sulla base del verbaledi conciliazione e non della domanda o delle domande formulate dalle parti.

Le tariffe del servizio di conciliazioneLe tariffe del servizio di conciliazione in ambito societario sono state og-getto di un apposito decreto ministeriale (D.M. n. 223 del 2004), che èvenuto a disciplinare le indennità poste a carico degli utenti per la fruizionedel servizio fornito dagli organismi di conciliazione, costituiti da enti pub-blici e da enti privati iscritti al registro, tenuto dal Ministero della giustizia,sulla base della previsione contenuta all’art. 39 del D. Lgs. n. 5 del 2003.Il decreto in esame costituisce la prova che il legislatore ha voluto prestareparticolare attenzione ai costi della procedura conciliativa e, in particolare,della giustizia conciliativa gestita dagli organismi formati da enti pubblici,quali, ad esempio, Camere di commercio ed ordini professionali, di cui hafornito una rigida disciplina.Il decreto in parola è stato emanato in attuazione del rinvio di cui all’art. 39,il quale, al terzo comma, lo prevedeva espressamente al fine di stabilirel’ammontare minimo e massimo delle indennità spettanti agli organismi diconciliazione costituiti da enti pubblici ed il relativo criterio di calcolo,nonché i criteri per l’approvazione delle tabelle delle indennità propostedagli organismi di conciliazione costituiti da enti privati, nell’ambito delleprocedure di conciliazione di cui alle materie indicate all’art. 1 del D. Lgs. n.5 del 2003.Dal punto di vista sistematico, il primo aspetto del regolamento che apparesubito evidente è costituito dal fatto che il decreto n. 223 del 2004 crea, aifini della determinazione delle indennità dovute dalle parti per la fruizionedel servizio, una netta distinzione tra organismi costituiti da enti pubblicied organismi costituiti da enti privati. Il regolamento ministeriale ha adoggetto la determinazione delle tariffe minime e massime per ogni singoloscaglione di valore della controversia, ma tali tariffe sono obbligatorie so-lamente per tutti gli organismi costituiti da enti pubblici di diritto interno, aiquali sarà conseguentemente preclusa la possibilità di utilizzare tariffe dif-ferenti da quelle disposte dalla Tabella A allegata al decreto.Per contro, per quanto attiene agli organismi costituti da enti privati, ilregolamento, alla luce della previsione contenuta all’art. 3, comma 13, deldecreto, lascia a questi la possibilità di determinare liberamente le tariffe delservizio di conciliazione.Le spese di avvio del procedimento sono poste a carico di tutte le parti edevono essere versate, al momento del deposito della domanda, ad operadella parte istante e, al momento del deposito della risposta, ad opera dellaparte aderente. Per contro, nell’ipotesi in cui la domanda di conciliazionevenga presentata congiuntamente dalle parti (art. 3, comma 3), le spese diavvio del procedimento non sono dovute.Per quanto attiene alle spese di conciliazione degli organismi creati da entipubblici, ciascuna parte è tenuta a versare l’importo indicato nella TabellaA del decreto ministeriale, in relazione allo scaglione di valore in cui si ponela controversia, l’importo indicato in tabella può essere aumentato in misu-ra non superiore al 5% in relazione alla importanza, complessità o difficoltàdell’affare.Le spese di conciliazione devono essere corrisposte da ciascuna delle partiprima dell’inizio dell’incontro di conciliazione nella misura non inferiore al50% di quanto dovuto; in mancanza, l’organismo comunica la sospensio-ne della procedura che può essere ripresa, solamente a seguito del paga-mento di quanto dovuto, mediante riassunzione, sulla base di quanto cia-scun regolamento di conciliazione prevede (art. 3, comma 10).Le spese di conciliazione ricomprendono nel loro ammontare anche l’ono-rario del conciliatore per l’intero procedimento, onorario che rimaneimmutato nel suo importo indipendentemente dal numero degli incontrisvolti o da svolgersi (art. 3, comma 11).Da ultimo, il decreto ministeriale prevede che ciascuna delle parti che haaderito al procedimento è obbligata in solido al pagamento delle spese diconciliazione (art. 3, comma 12).

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L'art bankingFINANZA

GIULIA TESCARO Praticante Ordine di Vicenza

IL COMMERCIALISTA VENETO

Servizio di nicchia per clientela di elevato standingPremessaNegli ultimi anni gli intermediari bancari hanno rea-gito alle trasformazioni del loro contesto competitivoorientando maggiormente la loro offerta per seg-menti di clientela (private, corporate e retail).In particolare molto interesse è stato riscontratoper la clientela di elevato standing, ovvero perquei soggetti che affidano alla banca un patrimo-nio intorno al milione di euro. La crescente atten-zione verso la relazione con questi clienti ha por-tato molte banche ad ampliare la gamma d’offertadei servizi di private/wealth private banking(oltre alle gestione finanziaria, la consulenza inmateria tributaria, in ambito immobiliare, riguar-do a veicoli societari, servizi fiduciari e trust einfine all’investimento in opere d’arte)1.In particolare, seguendo l’esempio di Citibank2,UBS, Deutsche Bank, Intesa San Paolo, Unicredit,Banca Aletti, BPM private, Credit Suisse, MPS eUbi attualmente offrono a diverso livello il servi-zio di art banking3.L’analisi di queste realtà ha avuto l’obiettivo diverificare la veridicità dell’approccio teorico, chedovrebbe vedere la banca come l’intermediario,che in ottica di open architecture, assiste il clien-te nella gestione dell’opera d’arte come un’al-ternative investment, ovvero un vero e propriofinancial investment.L’evidenza empirica ha invece rivelato una situa-zione attuale dove il servizio, anche se ricondottoalla banca, si delinea come accentrato sulla sti-ma/valutazione dell’opera e sull’assistenza alpassaggio generazionale nei confronti di clienti-collezionisti (soggetti che manifestano una pas-sione per l’arte e non solamente un interesse ainvestire denaro)4, più che sull’offerta di una ge-stione dell’investimento in arte in ottica finanzia-ria (servizi quali i finanziamenti garantiti da opered’arte, la costituzione di pegno su opere d’arte,l’offerta di sottoscrizione a fondi di investimentoin arte sono ancora in fase di elaborazione, an-che da parte delle banche private italiane piùsofisticate)5. Tuttavia il crescente sviluppo di ri-cerche empiriche sul mercato americano induce aprevedere una crescente diffusione anche nelnostro Paese di approcci quantitativi che consi-derino l’art as financial investment.

Perché l’arte dovrebbe arrivare ad essereconsiderata un financial investment?L’approccio delle banche all’arte attualmente siconfigura più come un servizio voltoall’individuazione del soggetto appartenente almercato dell’arte più adeguato a soddisfare leesigenze del singolo cliente private, che non inun’assistenza all’acquisto/vendita di un’operad’arte in ottica di investimento finanziario. Tut-tavia negli ultimi anni si sta assistendo a un con-

solidamento dell’idea dell’arte come alternativeinvestment. A supporto teorico di questo pos-siamo considerare tre aspetti:- l’arte viene sempre di più ricompresa tra gli in-vestimenti alternativi;- interesse crescente dei clienti per il pegno suopere d’arte, per i finanziamenti garantiti da ope-

Figura 1. HNWIs’ Allocation of Financial Assets 2005-2009

Figura 2. HNWIs’ Investment of passion (USD) 2007

SEGUE A PAGINA 8

Fonte: Capgemini/Merrill Lynch “Financial Advisor Survey”, April 2008, in World Wealth Report 2008. Disponi-bile dal sito ufficiale di Merrill Lynch.

re d’arte e per i vantaggi/svantaggi dell’investi-mento indiretto in arte (art funds);- sviluppo di indici sul mercato dell’arte e tentatividi confronto tra l’arte e le asset class tradizionali.

L’arte viene sempre di più ricompresatra gli investimenti alternativiGli investimenti alternativi si caratterizzano per ilvantaggio di offrire una bassa correlazione con

1 Sul tema Oriani M., Zanaboni B., Conoscere il private banking, Bancaria Editrice, Roma, 2008, p. 225 e segg. La completezza della gamma diviene un vantaggio competitivo,dato che permette di far evolvere la relazione dal singolo cliente all’intero nucleo familiare e di passare dal semplice obiettivo di allocazione del patrimonio finanziario a quellodi ottimizzazione del patrimonio complessivo (immobili, arte, impresa...).2 L’art banking è un servizio relativamente recente, che ha iniziato ad essere offerto nel1979 in America, da Citibank, per poi, nel 1996-1997, rappresentare un servizioaggiuntivo per la clientela di elevato standing anche in Italia.3 Vedi L’art banking in Italia: le prime valutazioni (Bozza), Ricerca AIPB novembre 2008.4 Si parla a riguardo di clienti che ricercano un “dividendo estetico” nell’opera d’arte. A riguardo Musile Tanzi P., Art banking: opportunità e rischi nel wealth management,Bancaria n. 2, 2007. Vedi anche Frey B.S., Eichenberger R., On the Rate of Return in the Art Market: Survey and Evaluation, in European Economic Review , n. 39, 1995.5 Conferenza “Art for private banking business forum” , AIPB, 12 novembre 2008.Questo parere è stato confermato anche dall’enfasi che la responsabile della commissione art banking di AIPB ha attribuito ai fattori emotivi e alla passione per l’arte, comemotivazioni per accedere al mercato dell’arte e al fatto che nessuna delle banche associate di AIPB propone l’arte come un’asset finanziaria.

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le attività finanziarie tradizionali6. Tale genericadefinizione permetterebbe secondo alcuni di con-siderare un vero e proprio alternative investmentanche l’arte, mentre per altri l’arte rappresentauna categoria troppo peculiare per essere classi-ficata tra tali investimenti. Queste due posizionisono sicuramente influenzate dal contesto eco-nomico di riferimento: la prima infatti appartieneall’approccio americano, il quale si è consolidatoanche grazie allo sviluppo di numerosi studiquantitativi sul tema e alla sperimentazione di artfunds, mentre la seconda a quello italiano, che hasofferto dello scarso interesse nell’elaborazionedi studi sul mercato dell’arte. Data questa consi-derazione, a mio avviso, è auspicabile un’evolu-zione dell’approccio italiano verso la visione ame-ricana, che come si nota dai due grafici sottostanti,considera l’investimento in arte pienamentericompreso tra gli investimenti alternativi.

Interesse crescente dei clienti per il pegno suopere d’arte, per i finanziamenti garantitida opere d’arte e per i vantaggi/svantaggidell’investimento indiretto in arte (art funds)A livello generale la clientela di elevato standingha manifestato un crescente interesse sia per in-vestimento diretto in arte sia per quello indiretto(ovvero tramite fondi di investimento che si de-dicano all’acquisto, gestione, vendita di opered’arte)7. In entrambi i casi i clienti devono consi-derare i vantaggi e gli svantaggi delle suddettetipologie di approccio al mercato dell’arte.

Sviluppo di indici sul mercato dell’arte e tentatividi confronto tra l’arte e le asset class tradizionaliNell’ultimo decennio sono state pubblicate mol-te ricerche empiriche, che seppur limitate al mer-cato americano dell’arte, si caratterizzano per uncrescente grado di sofisticazione e individuanodelle metodologie per calcolare degli indici di prez-zo per il mercato dell’arte. In particolare possia-mo ricordare il metodo delle vendite ripetute,quello edonico e quello aritmetico8. Ciascunametodologia presenta dei vantaggi e dei limiti; ètuttavia interessante notare come nel lungo pe-riodo tutte le metodologie si rivelino correlate9.A riguardo occorre precisare che tali ricerche, equindi i conseguenti risultati, presentano dei li-miti che sono riconducibili alle peculiarità dell’artmarket e più in generale dei beni d’arte10. Nono-stante questi limiti, le varie metodologie si rivela-

Tabella 1. Vantaggi e svantaggi della partecipazione al mercato dell’arte 

Investimento diretto in arte  Investimento indiretto in arte (art funds) VANTAGGI  SVANTAGGI  VANTAGGI  SVANTAGGI 

Fruibilità, status symbol. 

Disinvestimento non immediato e non 

garantito. 

Riduzione incidenza  costi di transazione e di gestione dell’opera 

d’arte.  

Possibilità  di acquisire opere elitarie e di 

prevedere  il prestito/acquisto da parte dei sottoscrittori con diritto di prelazione. 

 

Difficoltà ad inquadrare l’investimento in arte in un modello di valutazione. 

 Complessità nell’adattare la 

normativa regolamentare prevista in materia di valutazione del fondo 

e di modalità di gestione del fondo. 

Redditività, diversificazione. 

Unico rendimento: capital gain. 

Possibilità  di beneficiare della consulenza/scelte di esperti del settore. 

 Diversificare tra i vari segmenti e ridurre il rischio complessivo. 

 

La difficoltà ad assicurarsi la fiducia degli investitori. 

 Fiscalità.  Difficoltà nell’individuare il prezzo giusto di 

mercato. 

Tabella 2. Risultati della ricerca di Mei e Moses del 2002 sull’art market 

 

Mei J. e Moses M. (2002) Indice delle vendite 

ripetute su campione dati tra 1950‐1999 

R= 8,2% D.S= 21,3% Correlaz ioni 

Art Index‐S&P500 Index: 0,04     Art Index‐Corporate bonds: ‐0,10 Art Index‐Treasury bills: ‐0,03      S&P500 Index‐Gov. Bond: 0,33 Art Index‐Gov. Bond: ‐0,15 

S&P= 8,9% D.S.= 16,1% Dow Industrial= 9,1% 

Gov. Bond= 1,9% D.S= 9,5% Corporate Bond= 2,2% 

no molto utili per fornire un’approssimazioneverso indici di prezzo specifici per il mercato del-l’arte, i quali sono stati utilizzati, oltre che rappre-sentare un primo passo fondamentale e prelimi-nare per l’analisi delle proprietà di rischio-rendi-mento dell’investimento, anche per evidenziareil vantaggio della diversificazione attraverso l’in-serimento dell’opera d’arte in un approccio diportafoglio. Può quindi essere utile osservare latabella sotto riportata; essa rappresenta una del-le principali ricerche in tema di investimento inopere d’arte e conduce sia alla dimostrazione dellabassa correlazione dell’arte con le asset class tra-dizionali, sia alla costatazione del fatto che l’arteoffre rendimenti maggiori rispetto ai bonds. Taleconclusione, poi confermata dalle ricerche suc-cessive, si rivela molto interessate, dato la conti-nua ricerca da parte degli investitori di strumen-ti/attività che siano poco o, se possibile, negati-vamente correlate con le asset class tradizionali.

Conclusioni: art as a financial investment?In base alle interviste ad art banker e a quantoemerso dagli ultimi forum dell’Associazione Ita-liana Private Banker (A.I.P.B) emerge quindi unapproccio delle banche italiane al bene d’artecome unico, da valutare sulla base di aspetti emo-tivi e qualitativi; quindi anche quando l’art advisoryè riconducibile a un soggetto bancario (artbanking) esso funge sostanzialmente da semplicemediatore tra il cliente private e i “canali d’acqui-

sto”. Per questo motivo il servizio di art advisoryofferto da un soggetto bancario si configura so-stanzialmente come un centro di costo, tuttavia in-dispensabile per la fidelizzazione del cliente e per ladifferenziazione della banca, per questo gli interme-diari che lo offrono si manifestano soddisfatti11.Nonostante questa situazione attuale, dato il cre-scente sviluppo di ricerche sull’art market (so-prattutto sul mercato americano, che arrivano allaformazione di indici per il mercato dell’arte, alconfronto tra il mercato dell’arte e i mercati finan-ziari, ad evidenziare l’importanza dell’arte per labassa/negativa correlazione con le asset classtradizionali e all’analisi dei vantaggi/rischi del-l’investimento diretto e indiretto in arte), è possi-bile intravedere un’evoluzione dell’approcciodelle banche all’arte.Uno sguardo prospettico renderebbe auspicabiliricerche, disponibili pubblicamente e con conti-nuità, che considerino il mercato internazionaledell’arte (congiuntamente con il mercato dome-stico), in modo da poter rendere più conoscibili ifondi di investimento in arte e servizi quali il pe-gno su opere d’arte e i finanziamenti garantiti daopere d’arte. In questo modo sarebbe più comu-ne considerare l’arte come asset class e gli inter-mediari bancari riuscirebbero a soddisfare me-glio le esigenze del cliente private. Il quale, so-prattutto in periodi di crisi finanziaria, tende aconsiderare l’opera d’arte un “bene rifugio” e adapprezzarne i vantaggi fiscali.

6 Per approfondimenti si veda GALDO A., Investimenti alternativi, Economy, n. 42, 15 ottobre 2008.7 Gli art funds sono strumenti di matrice soprattutto estera e allo stato attuale si può affermare che non hanno avuto molto successo. Tuttavia occorre menzionare cherecentemente è stato approvato il regolamento del fondo “Pinacotheca”, il primo art fund di diritto italiano. Tale fondo nel corso del 2008 ha concluso positivamente la fasedi raccolta, nei prossimi anni si potrà esprimere un parere in merito al suo successo o meno.8 Per approfondire le metodologie si veda Marinelli N., Operare nel settore fine art: gli strumenti a disposizione dell’investitore, Atti del Convegno Nazionale di Economia degliintermediari finanziari, 4 novembre 2005, Parma.9 Chanel O., Gerard-Varet L. A., Ginsburgh V., The Relevance of Hedonic Price Indices, Journal of Cultural Economics, 20(1) 1996, pp. 1-24.10 La poca trasparenza, regolamentazione, e liquidità del mercato in esame, composto da molteplici soggetti e relazioni, e la tendenziale impossibilità di esprimere dellegeneralizzazioni sul mercato dell’arte, conseguente all’unicità dell’opera d’arte, conducono a ritenere che il mercato dell’arte sia peculiare e non facilmente oggetto diapplicazione di metodologie quantitative simili a quelle dei mercato finanziari. Infatti l’eterogeneità dei beni d’arte condurrebbe a poter confrontare solo i prezzi delle stesseopere in istanti temporali differenti, tuttavia in questo caso a fronte di una maggior robustezza della metodologia si incontrerebbe il problema della bassa disponibilità diosservazioni. Un confronto più rappresentativo dell’intero mercato risulta discutibile, dato che richiederebbe una scelta accurata dei criteri di aggregazione delle opere. Inoltrein generale la creazione di indici difficilmente sarà perfettamente coerente con la totalità del mercato, in quanto i dati pubblicamente disponibili si riferiscono alle soleaggiudicazioni all’asta, escludendo le trattative private. Infine un confronto poi tra l’arte e le asset class tradizionali riscontra dei limiti: la maggior trasparenza e liquidità delmercato finanziario; il fatto che il rendimento complessivo di un’opera d’arte sia rappresentato dalla sola variazione di prezzo tra il momento di acquisto e quello di vendita;e la maggior rilevanza di costi di transazione e di mantenimento del bene d’arte rispetto alle commissioni applicate dagli intermediari nei mercati finanziari.11 V Art Banking Workshop, Arte contemporanea: il mercato, gli attori, i prezzi, event benefit del corso Private Banking corso base, Sda Bocconi, 2 luglio 2008.

L'art bankingSEGUE DA PAGINA 7

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Rischio d'impairmentper le società quotate italiane

PRINCIPI CONTABILI

GIUSEPPE RODIGHIERO Praticante Ordine di Vicenza

IL COMMERCIALISTA VENETO

PremessaL’attuale congiuntura economica internazionalenegativa ha fatto emergere una rilevanteproblematica conseguente all’applicazione degliIAS 36 (impairment of assets) e 38 (intangibleassets): la possibile perdita di valore del goodwillacquisito a titolo oneroso, nonché degli intangi-bili specifici a vita indefinita. Più specificatamente,è lecito ritenere che nelle attuali condizioni dicontesto (imprese con capitalizzazione di borsainferiore al patrimonio netto contabile, variazionisignificative con effetto negativo nell’ambientedi mercato, economico e tecnologico, peggiora-menti delle attese dei flussi di cassa derivantidall’utilizzo degli assets intangibili, etc.) esista ilrischio che un’impresa sia costretta a svalutaregli intangibili iscritti in stato patrimoniale, conconseguente impatto sui risultati di bilancio.L’analisi che verrà di seguito esposta si proponedi comprendere in che misura e per quali settori iltimore della volatilità dei valori e dei risultati con-tabili può avere maggiore ragion d’essere allaluce della recente esperienza italiana. Ne emergeche settori tipicamente brand based (quello tes-sile, per esempio), come pure quei compartiknowledge driven (come quello elettronico, op-pure l’automotive) presentano un grado di espo-sizione al rischio impairment elevato. D’altrocanto, vi è il comparto chimico che, nonostantela dotazione di risorse intangibili (come brevettipiuttosto che progetti di ricerca e sviluppo) siaun asset strategico, il suo livello di esposizioneal rischio impairment è basso.

1. Introduzione all’indagineNella presente analisi si é selezionato un campio-ne di 70 società italiane quotate del settore servi-zi e del settore industria (escludendo quindi ilsettore bancario e assicurativo), raggruppate incomparti (o industries), usando come criterio dicampionamento la disponibilità, nel dataprovider Bloomberg, dei dati necessari alla sud-detta analisi riguardanti ciascuna società. L’arcotemporale oggetto di analisi va dal 3-01-2005 (l’en-trata in vigore degli IAS 36 e 38) al 17-04-2008.La metodologia seguita è la seguente:

1° STEP si scompone il patrimonio di intangibilidelle imprese studiate in intangibili formati inter-namente ed intangibili acquisiti (contabilizzati).La presenza dei primi è evidenziata attraversol’osservazione del multiplo P/BV, mentre la pre-senza degli intangibili contabilizzati dal comple-mento a 1 del rapporto tra il valore di libro degliassets tangibili (TBV) ed il book value.

2° STEP Una volta appurata, in ciascuna impre-sa dei comparti analizzati, la dimensione degli in-tangibili prodotti internamente e di quelli acqui-

siti, risulta possibile discriminare tali comparti inrelazione al loro grado di esposizione al “rischiodi impairment”, cioé il rischio che un impresasia costretta a svalutare gli intangibili iscritti instato patrimoniale, con un conseguente aggraviodei risultati di bilancio.

In particolare, se un comparto é caratterizzato dauna non significativa dotazione di intangibili, laprobabilità di un eventuale impairment loss de-gli stessi è necessariamente bassa (basso rischiodi impairment). Mentre se la dotazione di intan-gibili contabilizzati é elevata, essa risulta tale dapoter causare un significativo “rischio diimpairment” di intangibili acquisiti. Se a ciò siaggiunge il fatto che in un comparto anche ladotazione di intangibili generati internamente éelevata, si è in presenza di un elevato “rischio diimpairment” di intangibili acquisiti, come anchedi un elevato rischio di poter deteriorare gli in-tangibili generati internamente:1 quindi ilcomparto é esposto ad un livello di “rischioimpairment” massimo.

2. Le attuali condizioni di contestoNel corso del 2008 si è assistito ad una serie dicircostanze significative ai fini di una possibilesvalutazione di beni immateriali nelle società quo-tate italiane:A. il rapporto “Market to Book” (si veda fi-gura 1) del 2008 si attesta all’1,83, ad indicareche, mediamente il campione rappresentativo disocietà quotate, per ogni 1,8 euro circa di valoredi mercato del titolo, un euro è indicato nellostato patrimoniale, mentre i restanti 0,8 euro indi-cano il valore attribuito da parte del mercato alle

Figura 1 –M/B ratio medio annuo delle 70 società quotate oggetto di studio.Fonte: propria elaborazione.

1,83

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1 Infatti, se vi è la presenza di condizioni per una potenziale perdita di valore degli intangibili contabilizzati (impairment indicators), le stesse condizioni possono in ugual modoinfluenzare negativamente anche il valore degli intangibili non contabilizzati.

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risorse intangibili “unbookable”. Questo risulta-to segnala che tali risorse assumono dimensionisignificative nelle società quotate, ma è pur veroche tale valore è minore rispetto a quelli fattiregistrare dall’ M/B ratio dal 2005 al 2007 (bensuperiori a 2). Tale diminuzione nel 2008 é dovutaal decremento medio dei prezzi dei titoli delle so-cietà, in ragione della flessione nei consumi in-terni ed internazionali, nonché dell’incrementosignificativo del prezzo delle materie prime, le qualihanno comportato una riduzione delle attese, daparte del mercato, di extraredditi che le aziendepotrebbero produrre in futuro;B. negli ultimi due anni i tassi di interessesui BTP decennali sono aumentati di 64 basepoint.2 Ciò ha condizionato la determinazionedei tassi di attualizzazione, che sono aumentatiin ragione dell’aumento del risk free rate (qualo-ra il suo valore fosse stato fatto coincidere conquello dei BTP decennali), comportando un au-mento del value in use, riducendo quindi il valo-re recuperabile;C. alcune società quotate presentano tutto-ra valori di capitalizzazione inferiori al bookvalue;3

D. durante il 2008 si sono verificate variazio-ni significative, con effetto negativo, nell’ambien-te di mercato, soprattutto a causa del generaledecremento degli ordinativi;E. quindi vi sono stati anche peggioramentinei risultati attesi dalle aziende;Tali circostanze costituiscono i c.d. “trigerringevents”4, veri e propri indicatori di una possibilealterazione dei valori recuperabili delleimmobilizzazioni immateriali, e quindi di un pro-babile impairment loss delle stesse.

3. Settori esposti al rischio di impairment

In ragione della sopra citata presenza diimpairment indicators, risulta quindi interes-sante appurare quali possano essere i comparti(o settori) esposti maggiormente all’ impairmentrisk degli intangibili.Per quanto riguarda il settore servizi (si veda lafigura 2), la maggior parte dei suoi comparti (edi-toria, distribuzione, pubblica utilità, servizi diver-si) presenta un elevato “rischio di impairment”:l’eccezione é rappresentata dal comparto traspor-ti/turismo. Da ciò emerge che, complessivamen-te, quello dei servizi é un settore ad elevato “ri-schio impairment”.D’altro canto, per quanto riguarda il settore in-dustria (figura 3), é possibile discriminare ideal-mente lo stesso in tre gruppi di comparti (oindustries) in ragione del diverso grado di espo-sizione al “rischio impairment”. In particolare,esiste un primo Gruppo di industries caratteriz-zate da un basso “rischio di impairment”. Sitratta di comparti tradizionalmente caratterizzatida un elevata dotazione di beni tangibili ed ove ilpatrimonio intangibile é poco significativo(cartari, costruzioni e impianti/macchine), comepure il comparto chimici, tipicamente “knowledgedriven”.D’altro canto, il gruppo dei settori che presenta-no un elevato “rischio di impairment” é costi-

Figura 2 –Grafico “rischio impairment” settore Servizi. Fonte: propria elaborazione.

Figura 2 –Grafico “rischio impairment” settore Industria. Fonte: propria elaborazione.

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tuito innanzitutto da industries tipicamente“brand based”, come il tessili/abbigliamento/accessori e l’alimentari. Ma a comporre dettoGruppo concorre pure l’industry minerari/metal-lurgici/petroliferi, la quale é tipicamente uncomparto povero di risorse intangibili. In questocaso, l’elevata esposizione al “rischioimpairment” é riconducibile ad una significativadotazione di intangibili acquisiti dovuta alle rile-vanti operazioni di crescita esterna poste in es-sere.Per quanto riguarda invece il settore auto, è pale-se che anche esso sia assoggettato ad un eleva-

2 Nova M., Provasoli A., Intangibili troppo esposti, Il sole 24 ore, 22 ottobre 2008, pag. 11.3 Nova M., Provasoli A., Intangibili troppo esposti, Il sole 24 ore, 22 ottobre 2008, pag. 11.4 IAS 36.

Rischio d'impairment per le società quotate

to “rischio di impairment”, in ragione del fattoche é tipicamente un comparto “brand based” e“knowledge driven”, dove gli intangibili svol-gono un ruolo molto importante.Inoltre, a chiudere l’insieme delle industries adelevato “rischio impairment”, c’é quella elettro-nici/elettrodomestici, dove la dotazione diintangible costituisce un asset significativo,anche se non sempre strategico.Da ultimo il settore Industriali Diversi presentaun’esposizione al “rischio impairment” incerta,in quanto si trova esattamente tra il livello bassoe quello elevato.

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Il Transfer Price in ItaliaNORME E TRIBUTI

ALBERTO DE LUCA Ordine di Treviso

IL COMMERCIALISTA VENETO

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IntroduzionePer “transfer pricing” si intende il complesso di tecniche e procedimentiadottati dalle imprese multinazionali nella formazione dei prezzi relativi allecessioni di beni ed alle prestazioni di servizi che intervengono tra le diverseentità del gruppo operanti in Stati diversi.Quando tale determinazione dei prezzi infragruppo avviene a valori diversida quelli di mercato per ragioni di ordine meramente fiscale ed il grupporicorre al transfer pricing con il solo obiettivo di minimizzare il caricoimpositivo, la pratica assume connotazioni marcatamente elusive. L’acqui-sto e la cessione di beni e servizi diviene infatti funzionale alla localizzazio-ne dei proventi negli Stati in cui il livello di tassazione è più contenuto e,viceversa, la localizzazione dei costi in quelli in cui esso è più alto.Per questo il fine principale delle disposizioni antielusive in materia, ema-nate sia dagli ordinamenti interni sia dagli organismi sovranazionali (OCSE,ECOFIN, ecc…) è quello di fare in modo che tali scambi avvengano conmodalità uguali a quelle che si realizzerebbero fra soggetti indipendenti, e,quindi, secondo prezzi di mercato, contrastando eventuali arbitraggi nellecondizioni applicate ed il conseguente spostamento di materia imponibileda una giurisdizione tributaria ad un’altra (1).Poiché il problema dei prezzi di trasferimento coinvolge le AmministrazioniFinanziarie di quasi tutti i principali Paesi industrializzati, la disciplina chene regola i contenuti non può che derivare da impostazioni assunte a livel-lo sovranazionale. Proprio per tale ragione, organismi internazionali qualil’OCSE hanno definito alcuni principi di comportamento rivolti sia alle am-ministrazioni finanziarie, sia alle imprese interessate: principi in base aiquali accertare ed eventualmente riprendere a tassazione i redditi prodottiapplicando meccanismi elusivi.

L’OCSEIn ambito OCSE il primo documento che tratta dei prezzi di trasferimentorisale all’anno 1979. In esso furono indicati dei primi criteri base per ladeterminazione del valore normale delle operazioni intercorse tra societàappartenenti allo stesso gruppo, al fine di fornire soluzioni idonee a ridurrei conflitti sia tra le diverse amministrazioni fiscali sia tra quest’ultime e leimprese multinazionali. Coerentemente con le esigenze di disporre di regolechiare in un mercato sempre più internazionalizzato, il documento è statorivisto ed opportunamente integrato già nel 1984 (“Transfer Pricing andMultinational Enterprises, Three Taxation Issues”).E’ poi seguita una seconda modifica nel 1987, fino a giungere alla stesura,nel luglio 1995, del nuovo Rapporto dal titolo: “Transfer pricing guidelinesfor multinational enterprises and tax administrations”.L’esame delle disposizioni contenute in tale ultimo documento assumenotevole rilevanza per gli operatori economici che hanno rapporti commer-ciali con imprese controllate e/o collegate estere, in considerazione delfatto che il Consiglio dell’OCSE ha raccomandato ai Governi degli Staticontraenti di invitare le Amministrazioni Fiscali a tenere conto, nella deter-minazione del prezzo di trasferimento delle cessioni di beni e prestazioni diservizi tra imprese associate, delle considerazioni e dei metodi esposti nelRapporto. Ciò allo scopo di evitare l’applicazione, da parte delle Ammini-strazioni Fiscali dei diversi Paesi, di metodologie operative approssimative(e quindi poco incisive) nonché divergenti (e quindi idonee a generarefenomeni di doppia imposizione sui redditi).

La norma fiscale italianaGli interventi e le indicazioni forniti dall’OCSE ruotano intorno al principiodel “prezzo di libera concorrenza” (at arm’s lenght): principio questo cheviene espressamente ripreso anche nel modello di convenzione bilateralecontro la doppia imposizione elaborato dall’OCSE, all’art.9, paragrafo 1,lettera b), ove si legge che se le condizioni convenute o imposte tra le dueimprese, nelle loro relazioni commerciali o finanziarie, sono “diverse daquelle che sarebbero state convenute tra imprese indipendenti, gli utiliche, in mancanza di tali condizioni, sarebbero stati realizzati da unadelle imprese, ma che, a causa di dette condizioni, non lo sono stati,possono essere inclusi negli utili di questa impresa e tassati in conse-

guenza”.Coerentemente a ciò, il legislatore italiano ha introdotto nel nostro ordina-mento fiscale tali principi al comma 7, art. 110 (rubricato Norme generalisulle valutazioni) del D.P.R. n. 917/ 1986, così come modificato dal D.Lgs.344/2003, il quale sancisce che: “ I componenti del reddito derivanti daoperazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che diret-tamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate osono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, sono valu-tati in base al valore normale dei beni ceduti, dei servizi prestati e deibeni e servizi ricevuti, determinato a norma del comma 2, se ne derivaaumento del reddito; la stessa disposizione si applica anche se ne derivauna diminuzione del reddito, ma soltanto in esecuzione degli accordiconclusi con le autorità competenti degli Stati esteri a seguito dellespeciali «procedure amichevoli» previste dalle convenzioni internazio-nali contro le doppie imposizioni sui redditi. La presente disposizione siapplica anche per i beni ceduti e i servizi prestati da società non residen-ti nel territorio dello Stato per conto delle quali l’impresa esplica attivi-tà di vendita e collocamento di materie prime o merci o di fabbricazioneo lavorazione di prodotti”.Dalla lettura della norma italiana, emerge come il principio di libera concor-renza sia posto in diretta correlazione con la definizione di “valore norma-le” espressamente richiamata dall’art.110. Per quanto concerne la determi-nazione del “valore normale” nelle transazioni, si rinvia alle disposizionidell’art. 9 dello stesso Testo Unico, secondo cui “Per valore normale siintende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per beni e servizidella stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e almedesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui ibeni o servizi sono stati acquisiti o prestati e in mancanza nel tempo e nelluogo più prossimi. Per la determinazione del valore normale si fa riferi-mento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che hafornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delleCamere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto deglisconti d’uso. Per i beni e i servizi soggetti a disciplina dei prezzi si fariferimento ai provvedimenti in vigore”.Il quadro normativo interno in materia di prezzi di trasferimento si completacon la circolare esplicativa del Ministero delle Finanze 22 settembre 1980,n. 32/9/2267 (d’ora innanzi “circolare 32/80”) e con la circolare dello stessoMinistero n. 42 del 12 dicembre 1981. Tali circolari, seppur non recenti,rappresentano ancora il principale riferimento sulla disciplina del transferprice in Italia.

(1) Cfr.: “Il transfer price in Italia” di A.De Luca, A.Bampo, E.Bressan, Seac 2007.

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L’applicazione della norma in ItaliaDalla lettura del comma 7 dell’articolo 110 TUIR , si evince che ai fini dell’ap-plicazione della normativa sul transfer price il legislatore fiscale identificaespressamente:1. un requisito “oggettivo”, ossia il trasferimento di beni o la prestazione diservizi;2. un requisito “soggettivo”, ossia la presenza di un soggetto italiano e diun soggetto estero, o la stabile organizzazione di quest’ultimo in Italia;3. un requisito relativo alla natura del rapporto (controllo) esistente fra leparti della transazione.Con riferimento a quest’ultimo punto, merita particolare approfondimento lanozione di “controllo” che, nella disciplina fiscale del transfer price risultaessere molto più ampia di quella prevista dalla normativa civilistica nazionale.

I requisiti oggettivo e soggettivoLa norma italiana sui prezzi di trasferimento fa riferimento in generale a tuttele operazioni poste in essere nell’ambito dei soggetti appartenenti allostesso gruppo d’impresa.Si può trattare di cessione di beni (prodotti finiti, materie prime, beniimmateriali, ecc…) o di prestazione di servizi in genere (consulenza finan-ziaria o strategica, prestito del personale, management fee, concessione didiritti per l’uso di formule e know how, prestazione di servizi comuni accen-trati, head quarter expenses).Con riferimento al requisito soggettivo, l’art.110, comma 7 del TUIR sanci-sce che la disciplina domestica sul transfer pricing sia applicabile alle tran-sazioni commerciali che intervengono fra una impresa residente in Italia esocietà non residenti che, direttamente o indirettamente:- controllano l’impresa italiana;- ne sono controllate;- sono controllate dalla stessa controllante dell’impresa italiana.Si noti come la disposizione in esame trovi applicazione anche relativamen-te alle persone fisiche e ai soggetti diversi dalle persone fisiche che eserci-tano, in Italia, un’attività economica organizzata al fine della produzione edello scambio di beni e servizi, secondo quanto previsto dall’art. 2082,Codice Civile. La norma, infine, vale anche per le stabili organizzazioni disoggetti esteri ubicati in Italia.

Il controlloE’ importante rilevare che in Italia, come del resto nella maggior parte deiPaesi che adottano disposizioni in materia, la nozione di “controllo” richie-sta dalla norma sul transfer price risulta essere piuttosto ampia, e subordi-na l’applicabilità della disciplina sui prezzi di trasferimento all’esistenza diogni genere di situazione di controllo “di diritto” o “di fatto” fra le particoinvolte nelle transazioni.Secondo il disposto dell’art. 2359 c.c., il controllo di diritto si ha quando:1) una società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assem-blea ordinaria di un’altra società;2) una società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza domi-nante nell’assemblea ordinaria di un’altra società;3) una società è sotto l’influenza dominante di un’altra società in virtù diparticolari vincoli contrattuali con essa.Inoltre, da un punto di vista civilistico, sono considerate collegate le socie-tà sulle quali un’altra società esercita un’influenza notevole. L’influenza sipresume quando nell’assemblea ordinaria può essere esercitato almeno unquinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in borsa.Il Ministero delle finanze ha chiarito nella circolare 32/80 che oltre alleipotesi appena indicate, ai fini fiscali devono essere considerate anche lesituazioni di controllo “di fatto” che si verificano in presenza delle seguentifattispecie:1) la vendita esclusiva, da parte di una impresa, di prodotti fabbricatidall’altra impresa;2) l’impossibilità di funzionamento di una impresa senza i capitali, iprodotti e la cooperazione dell’altra impresa;3) il diritto di nomina dei membri del consiglio di amministrazione diuna impresa da parte di un’altra impresa;4) l’esistenza di relazioni di famiglia fra le parti;5) la concessione di ingenti crediti o la prevalente dipendenza finan-ziaria;6) la partecipazione da parte delle imprese a centrali di approvvigio-namento o di vendita;7) la partecipazione delle imprese a cartelli o consorzi, in particolare sefinalizzati alla fissazione dei prezzi;8) il controllo di approvvigionamento o di sbocchi;

9) una serie di contratti che modellino una situazione monopolistica;10) tutte le ipotesi in cui venga esercitata potenzialmente o attualmenteun’influenza sulle decisioni imprenditoriali.Va precisato che la circolare non considera l’elenco esaustivo, lasciando aper-ta la possibilità ad altre forme di controllo di diritto o di fatto. Ma sempre lastessa circolare rileva anche che l’esistenza di uno solo degli elementisopraindicati non consente a priori di pervenire alla conclusione affermativasull’esistenza del controllo, ma dovranno essere analizzate le diverse fattispecie.

I criteri metodologici per la rettifica dei prezzi di trasferimentoDopo aver trattato, seppur sinteticamente, della disciplina generale suiprezzi di trasferimento, si rende necessario ora trattare più specificatamentedelle diverse metodologie di determinazione del corretto prezzo di trasferi-mento intercompany: dei metodi cioè che consentono di capire se il prezzoapplicato nelle transazioni intercompany rispetta o meno il principio di“libera concorrenza” (at arm’s lenght).I criteri di verifica del valore normale enucleabili dalla prassi ministerialerisultano sette:a) Metodo di libera concorrenza e del confronto del prezzo;b) Metodo del prezzo di rivendita;c) Metodo del costo maggiorato;d) Metodo della ripartizione dei profitti globali;e) Metodo della comparazione dei profitti;f) Metodo della redditività del capitale investito;g) Metodo dei margini lordi del settore economico.I primi tre sono definiti “tradizionali, gli ultimi quattro vengono invecedefiniti “alternativi”.Tuttavia, prima di passare all’analisi di detti criteri, preme sottolineare comenon tutti siano uniformi a quelli indicati dall’OCSE. Infatti, mentre esiste unasostanziale coincidenza per i criteri definiti “tradizionali” basati sulla specifi-ca transazione, con riferimento ai criteri basati sui profitti esistono alcunedivergenze. L’OCSE, in particolare, si riferisce unicamente al “metodo di ri-partizione dell’utile” e al “metodo del confronto del prezzo”, mentre le istru-zioni ministeriali indicano anche criteri aggiuntivi, quali il “criterio dellaredditività del capitale investito” e il “criterio dei margini lordi di settore”.

Metodo di libera concorrenza e del confronto del prezzo(c.d. Comparable Uncontrolled Price Method o CUP)E’ questo il criterio principe indicato sia dall’OCSE che dal Ministero dellefinanze, al quale dovrebbe essere data precedenza per la verifica dellacongruità dei valori nelle transazioni praticati dalle parti. Per “prezzo dilibera concorrenza” deve intendersi ovviamente quello che sarebbe statopattuito per transazioni similari da imprese indipendenti.Tale metodo può basarsi su un confronto “interno” ovvero su un confron-to “esterno”. Nel primo caso, il prezzo applicato nella transazioneintercompany viene confrontato con transazioni analoghe, effettuate sem-pre dal medesimo soggetto verso terzi indipendenti.Nel secondo caso invece, il confronto viene effettuato tra il prezzo applica-to nella transazione intercompany ed i prezzi applicati da soggetti indipen-denti che hanno posto in essere transazioni similari.I rapporti OCSE non precisano se sia preferibile il confronto interno oquello esterno, mentre la circolare ministeriale n.32/80 dà preferenza allascelta del criterio della comparazione interna, attribuendo al confronto ester-no un carattere meramente sussidiario. Secondo la circolare infatti, è lostesso art.9 del TUIR che, nella sua formulazione, propone che per la deter-minazione del valore normale si faccia riferimento in primo luogo “ai listinio alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi” (ossia confron-to interno) “e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle Camere dicommercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso”(ossia confronto esterno).L’applicazione del metodo in questione presuppone sempre il confrontotra le condizioni presenti in una transazione controllata e quelle riscontrabiliin una transazione con (o tra) imprese indipendenti. Affinché tale confron-to possa essere svolto correttamente, è necessario però verificare in viapreliminare che la transazione c.d. verificata e quella c.d. campione sianoeffettivamente comparabili. Sul punto, sia la circolare ministeriale 32/80, (dicui al paragrafo successivo), sia i rapporti OCSE, ritengono fondamentaleun’attenta analisi del c.d. grado di comparabilità, così da poter procederecorrettamente nell’analisi dei prezzi da porre a confronto.L’analisi di comparabilità è quindi quel processo logico-economico checonsiste nel porre a confronto le caratteristiche dell’operazione presa acampione, che hanno una effettiva incidenza sul prezzo corrisposto, al fine

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Il Transfer Price in Italia

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IL COMMERCIALISTA VENETO n. 188 - MARZO / APRILE 2009

ASSOCIAZIONE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI DELLE TRE VENEZIE

INSERTOCOMMISSIONE DI STUDIO

DI DIRITTO TRIBUTARIO NAZIONALE ED INTERNAZIONALEDELL’ORDINE DI TREVISO

IMPOSTESUI TRASFERIMENTI IMMOBILIARI

E STRUMENTI URBANISTICI

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IMPOSTESUI TRASFERIMENTI IMMOBILIARI

E STRUMENTI URBANISTICI

INTRODUZIONE

Il lavoro di seguito pubblicato è una parte del primo “Quaderno diapprofondimento” elaborato dalla “Commissione di Studio di dirittotributario nazionale ed internazionale” dell’Ordine dei Dottori Com-mercialisti ed Esperti Contabili di Treviso, presentato a Treviso loscorso 5 maggio 2009.Il Quaderno è dedicato all’esame dei rapporti tra imposte sui trasferi-menti immobiliari e strumenti urbanistici ed è composto da una “pre-messa” (che viene di seguito pubblicata) e tre parti:- nella prima parte (Profilo giuridico degli “strumenti urbani-stici” secondo la normativa statale e della Regione Veneto) vengo-no sinteticamente esaminati i profili giuridici degli strumenti urbani-stici ed edilizi statali e regionali del Veneto, con evidenza di alcuniriferimenti a principi costituzionali e legislativi, nonché del processodi sviluppo verso gli istituti dell’“urbanistica convenzionata”;- nella seconda parte (L’imposizione indiretta sui trasferi-menti immobiliari) sono richiamati alcuni principi e riferimenti dibase validi per la definizione dell’imposizione indiretta nei trasferi-menti immobiliari, con evidenza di alcune riflessioni sulla normativagenerale e su talune disposizioni “speciali” in materia;- la terza parte (Imposte indirette e urbanistica: esame di alcu-ne problematiche operative ed applicative) espone ed affronta alcu-ne problematiche operative le cui soluzioni richiedono riflessioni edargomentazioni su tematiche e nozioni ad elevata caratterizzazione“pluridisciplinare”.Quest’ultima parte viene di seguito pubblicata, con l’avvertenza chetaluni riferimenti nelle note sono stati adattati mediante rinvio allealtre due parti del “Quaderno” (così di seguito richiamato). I singoliparagrafi riportano pertanto la numerazione originaria contenuta nel“Quaderno”, a partire dal paragrafo 3.1 fino al paragrafo 3.5.

PREMESSA

Molte norme dell’ordinamento tributario hanno ad oggetto gli immo-bili, per di più con carattere tipicamente evolutivo e di sistema; illegislatore fiscale d’altra parte ha da sempre dedicato particolareattenzione a fabbricati e terreni, sia da un punto di vista statico–possessorio (come “cespiti” idonei a produrre reddito), sia da unpunto di vista dinamico-transattivo (come oggetto di attività produt-trici di ricchezza e/o di trasferimento della ricchezza stessa).L’immobile in sé e per sé è un “agevole” indicatore di capacità eco-nomica, nonché un evidente e storicamente radicato centro di inte-ressi economici e non solo, privati e/o pubblici; per questo non puòche essere oggetto di articolate e complesse determinazioni che coin-volgono più aspetti disciplinari: dalla politica ambientale di assettodel territorio, all’incentivazione economica in senso lato, alla promo-zione e alla valorizzazione di politiche sociali, per arrivare, da ultimo,ma non certo quale argomento di minor importanza, alla relativa qua-

lificazione come strumento di politica fiscale.La traduzione in termini tecnico-operativi di tali e tante attenzioni èben rappresentata dalle variegate “regole” che hanno ad oggetto oche comunque riguardano il settore immobiliare; regole comunemen-te “settoriali”, ma la cui valenza ed efficacia inevitabilmente non puòessere considerata a “compartimenti stagni”; l’assetto territoriale eambientale non può non considerare quello della sicurezza e dellasocialità, così come, per i fini che qui ci interessano, le regole sullo jusaedificandi non possono non avere ripercussioni sulle regole dellafiscalità.Corollario di tali riflessioni è l’acceso e pressoché ineguagliabile ca-rattere di “interdisciplinarietà strutturale” che le iniziative e le opera-zioni del settore immobiliare presentano nella prassi e nell’operativitàquotidiana. Un approfondimento tematico e sistemico di tali generaliargomentazioni ci porta ad individuare il focus del presente lavoronei rapporti di dipendenza ed interconnessione tra nozioni e regole didiritto amministrativo/urbanistico da una parte e norme di diritto tri-butario dall’altra, con particolare riferimento alla fiscalità indiretta;argomentazioni tematiche che notoriamente coinvolgono le compe-tenze di soggetti normalmente operanti su campi ed ambiti disciplina-ri molto diversi tra loro ed il cui coordinato contributo, nella fattispecie,risulta il più delle volte determinante e decisivo non solo sotto l’aspettoformale-giuridico, ma anche e soprattutto sotto un profilo sostanzia-le-economico.In epoche temporali in cui le regole urbanistiche, nel distinguerenettamente le fasi di pianificazione e di attuazione, lasciano sempremaggior spazio alle determinazioni ed iniziative “convenzionali” traenti ed operatori economici, assume determinante rilievo la funzionedi coordinamento e concertazione tra l’aspetto prettamente tecnico-progettuale ed esecutivo (tipico delle professioni tecniche), quellogiuridico-amministrativo (tipico della professione forense), quellogiuridico-tributario (tipico della professione commercialistica) e quellogiuridico-contrattuale formale (tipico della professione notarile).Il presente lavoro trova quindi il suo spunto originario e la suafinalizzazione proprio in tale quadro di interdisciplinarietà, intenden-do fornire un contributo in termini di riflessioni “giuridico–operati-ve” su argomenti verso i quali l’approccio è molto spesso epregiudizialmente condizionato da un eccesso di “tecnicismo”.Tali riflessioni partono dall’esame preliminare di alcuni concetti dibase in materia sia di diritto urbanistico che di diritto tributario, perpoi coniugare ed utilizzare i relativi spunti nella sintesi delle relativeproblematiche operative ed applicative oggetto dell’esperienza pro-fessionale.

COMMISSIONE DI STUDIO DI DIRITTO TRIBUTARIO NAZIONALE ED INTERNAZIONALEDELL’ORDINE DI TREVISO

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IMPOSTE SUI TRASFERIMENTI IMMOBILIARI

CAPITOLO 3

IMPOSTE INDIRETTE E URBANISTICA: ESAME DI ALCUNEPROBLEMATICHE OPERATIVE ED APPLICATIVE

L’esame delle problematiche operative ed applicative nel rapporto traimposte indirette e strumenti urbanistici ci porta a focalizzare l’atten-zione su alcune fattispecie:- la nozione di “area fabbricabile” o “edificabile”, variamenterichiamata dalle specifiche discipline dei singoli tributi e altresì og-getto di recenti interventi legislativi;- la nozione di opere di urbanizzazione richiamata dalla discipli-na IVA;- l’istituto della ricomposizione fondiaria ed i tributi sui “trasfe-rimenti”;- i trasferimenti di immobili compresi in piani urbanistici partico-lareggiati e/o nell’ambito di piani di recupero.

3.1. La nozione di area “fabbricabile” ai fini tributari: evoluzionenormativa e problemi irrisoltiIl dibattito giurisprudenziale e dottrinale svoltosi negli ultimi anniintorno al variegato concetto di area edificabile ai fini dell’applicazio-ne di vari tributi è stato particolarmente acceso e oggetto delle piùdisparate determinazioni tendenti a dare di volta in volta rilievo aconcetti “fattuali” o “giuridici” e, tra quest’ultimi, al compimento del-le diverse fasi dei complessi procedimenti amministrativo-urbanistici1

Sulle innumerevoli difformità di interpretazioni, è intervenuto l’art. 36,comma 2, del D.L. 4 luglio 2006, n. 2232, secondo cui “ai fini dell’ap-

plicazione del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre1972, n. 633, del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile1986, n. 131, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicem-bre 1986, n. 917 e del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504,un’area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopoedificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottatodal Comune, indipendentemente dall’approvazione della Regionee dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo”; la disposizio-ne si caratterizza per il rinvio a nozioni di diritto amministrativo eurbanistico, quali la definizione di “strumento urbanistico generale” edi “strumenti attuativi”3, oltre che per il richiamo ai momenti dell’“adozione” e dell’ “approvazione” tipici degli istituti di diritto “pro-cedurale”4.Senza voler entrare in questa sede nella complessa e dibattutissimaquestione sulla natura di norma di interpretazione autentica o meno5

attribuibile al citato art. 36, comma 2, il nuovo “aggancio” tra la nor-mativa urbanistica da una parte e quella tributaria dall’altra porta aconcludere che la scelta del legislatore fiscale sia stata quella di “an-ticipare” il riconoscimento della sussistenza dei richiamati connotatitecnici (l’utilizzabilità a scopo edificatorio) alla “prima” fase deliberativadel complesso procedimento, a “formazione progressiva”, che portaalla qualificazione di edificabilità “urbanistica” di un’area6; scelta chesi manifesta quindi chiaramente a favore del titolo del presupposto insé e per sé7, a prescindere dalla liceità e dal perfezionamento dellostesso sotto il profilo amministrativo-urbanistico8.Ciò non toglie, evidentemente, che le norme fiscali non possano nontener conto dello stato di avanzamento del complesso iter ammini-strativo previsto dalla normativa urbanistica, se non altro laddove lenorme stesse fanno riferimento al “valore” delle aree quale “parame-

1 Vedasi l’ampio esame, con relativi riferimenti, condotto da GIOVAGNOLI, RE, REBECCA, Terreni e Fisco, Milano, 2006, pagg. 15 e seguenti; vedasi altresì:PURI, La nuova nozione di terreno edificabile fra interventi giurisprudenziali e legislativi in Rivista di diritto tributario, 2007, II, pag. 80 e seguenti; LUNELLI,La diversa valenza della nuova definizione di aree edificabili, in Il Fisco 2008-1, pag. 6263; GAVELLI, Nozione univoca (ma discutibile) di area edificabile, inCorriere Tributario, 2006, pag. 2584 e seguenti.2 Convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto 2006, n. 248.3 Si vedano i paragrafi 1.3, 1.4 e 1.5 del “Quaderno”.4 Sui concetti di “adozione” e “approvazione”, nonché sulle norme procedimentali in genere in materia urbanistica, vedasi il capitolo 1 ed in particolare il paragrafo1.6 del “Quaderno”.5 Questione da cui si fa derivare l’efficacia retroattiva o meno della disposizione stessa; per la natura interpretativa si è fin da subito espressa l’Agenzia delle Entratecon la circolare 28/E del 4 agosto 2006; così pure la Corte di Cassazione, SS.UU., con la sentenza 30 novembre 2006, n. 25506, in materia di ICI (vedasi ancheil commento di GLENDI, Sezioni Unite della Cassazione e legislatore pro fisco – a proposito di edificabilità dei suoli ai fini impositivi - in GT Rivista diGiurisprudenza Tributaria, 2006, pag. 6 e seguenti). La Corte Costituzionale, con le ordinanze nn. 41, 266 e 394 rispettivamente del 27 febbraio 2008, 10 luglio2008 e 28 novembre 2008, ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del citato art. 36, comma 2, D.L. 223/06, seppurnon esprimendosi sulla predetta questione in termini generali, ma rispetto alla specifica previsione ai fini ICI. In dottrina vedasi LUNELLI, La diversa valenza dellanuova definizione di aree edificabili, op.cit., pag. 6261 e seguenti, secondo il quale la natura interpretativa non può riguardare il settore delle imposte dirette edell’IVA, “non solo perché si porrebbe in conflitto con le previsioni dello Statuto dei diritti del contribuente e contrasterebbe con una lettura sistematica delladisposizione nell’ambito dello stesso decreto, ma, soprattutto, perché violerebbe la disposizione dell’art. 53 della Costituzione: verrebbe, infatti, introdotto(surrettiziamente) un presupposto impositivo, prima inesistente, attraverso una (pretesa) interpretazione autentica che non è compatibile (e, anzi, è contraria)rispetto alle disposizioni che si vorrebbe farle interpretare e che sono contenute – rispettivamente – nell’art. 67, comma 1, lettera b), del D.P.R. n. 917/1986 enell’art. 2, comma 3, lettera c), del D.P.R. n. 633/1972 (le cui disposizioni sono rimaste immutate)”; tanto più, che in assenza di un vero e proprio contrastointerpretativo verificatosi nei comparti sopra citati, l’autore rileva che “la stessa Corte Costituzionale ha più volte affermato che il legislatore “non può” valersidello strumento della “interpretazione autentica” in assenza di un reale contrasto sull’interpretazione e sull’applicazione di specifici provvedimenti normativi, amaggior ragione se tale strumento è utilizzato per mascherare norme effettivamente innovative”. Sull’argomento, vedasi anche GAVELLI, Nessuna plusvalenzatassabile se lo strumento regionale sancisce l’inedificabilità, in Corriere Tributario 2009, pag. 199, nonché ATTARDI, La nozione di area fabbricabile ai fini delleimposte sul reddito, in Il Fisco, 2009 – 1, pag. 1502.Sull’ampio dibattito in materia, vedasi anche GAVELLI, VIANELLI, Area edificabile, i giudici non sciolgono il rebus, in Il Sole 24 Ore del 2 febbraio 2009, acommento del contrasto interpretativo sorto tra due sezioni della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna. L’incertezza sulla portata e sull’ambitodi applicazione della norma tributaria in materia di edificabilità ha portato la Cassazione, con la sentenza n. 25928 del 29 ottobre 2008, a ritenere non dovute lesanzioni in sede di accertamento sul valore ai fini ICI. In generale, sui temi di legittimità costituzionale dell’interpretazione autentica retroattiva, vedasi FALSITTA,Abuso di interpretazione autentica, obiter dictum e rispetto della parità delle parti sancita dai principi del giusto processo, in Rivista Diritto Tributario, 2006, II,pag. 900 e seguenti.6 Su tali diversi momenti del procedimento amministrativo, si contrapponevano le due diverse tesi a favore rispettivamente del concetto di “edificabilità potenziale”(deducibile dall’aspetto anche solo formale degli strumenti urbanistici generali) e di “edificabilità effettiva” (deducibile dalla possibilità pratico-sostanziale dirichiedere ed ottenere il titolo abilitativo alla costruzione).7 In verità l’evoluzione normativa ha già reso problematico il riferimento voluto dal legislatore al momento di adozione del PRG; nelle Regioni in cui è stato adottatoil modello della pianificazione generale su due livelli (piano strutturale e piano operativo), infatti, tale riferimento parrebbe poter essere applicato al pianooperativo in quanto il piano strutturale ha caratteri di genericità decisamente marcati (individuazione dei soli perimetri delle aree in cui il secondo piano potràprevedere l’edificabilità); vedasi a tal riguardo BUSANI, Per l’area edificabile il PRG non basta più, in Il Sole 24 Ore del lunedì, Norme e tributi, 17 novembre 2008,pag. 3, nonché ATTARDI, La nozione di area fabbricabile ai fini delle imposte sul reddito, op.cit.. La tesi prevalente sembra orientata al concetto di edificabilitàlegata al piano operativo e non a quello strutturale, in ciò “assistita” sotto il profilo operativo, dalla prassi dei Comuni secondo cui un’area viene certificata (neicertificati di destinazione urbanistica) come edificabile se ricompresa nel piano operativo, così come solo in sede di adozione del piano operativo vengono notificatigli avvisi ai fini ICI. Sull’argomento, in generale, vedasi quanto riportato al precedente paragrafo 1.6 del “Quaderno”.8 È interessante richiamare la relazione governativa al D.L. 223/06 nella parte in cui viene precisato che la disposizione di cui agli art. 36, comma 2, “mira aomogeneizzare la nozione di terreno o area edificabile, in relazione all’applicazione dei diversi tributi che a tale categoria di beni riservano trattamenti peculiari(IVA, imposta di registro, imposte sui redditi e ICI)”. La Relazione continua affermando che “in particolare, viene chiarito che l’edificabilità si riconnetteall’esistenza del piano regolatore generale che qualifica il terreno come fabbricabile, non essendo quindi necessario che sussista anche il piano di attuazione dellostrumento urbanistico generale. La norma chiarisce, altresì, che ai fini della qualificabilità dell’area, come terreno edificabile, è sufficiente che il piano regolatoregenerale sia stato adottato dal comune competente, anche se l’iter di approvazione del predetto piano non si è ancora concluso con la prescritta approvazioneregionale”. La circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 28 del 4 agosto 2006, emanata a chiarimento delle nuove disposizioni, evidenzia che “in sostanza, ladisposizione sopra richiamata estende alle imposte sui redditi, all’IVA e al registro, il concetto di “area fabbricabile” contenuto nell’articolo 11 quaterdecies, comma16, del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, convertito con modificazioni dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, il cui ambito applicativo era riservato alla sola impostacomunale sugli immobili di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504". Secondo GIOVAGNOLI, RE, REBECCA, in Terreni e Fisco, op. cit., pag. 14, tale affermazionedell’Agenzia, non è condivisibile in quanto, il nuovo D.L. 223/06 collega l’edificabilità al momento dell’adozione del P.R.G. mentre il D.L. 203/05 sanciva chel’edificabilità di un terreno ai fini ICI era indipendente dall’adozione degli interventi attuativi del P.R.G.

tro” dell’imposizione9; la “scala” dei valori, infatti, non può prescin-dere dalle caratteristiche e dallo stato del procedimento urbanistico,cosicché due terreni identici in termini di destinazione urbanistica e disuperficie, entrambi “edificabili” per il legislatore fiscale10, avrannotrattamenti diversi (in ragione dell’effettiva e rispettiva diversità deivalori commerciali) se ed in quanto interessati da due diversi “stadi”nell’ambito del relativo procedimento amministrativo11.Un’annotazione sull’argomento in esame riguarda le problematicheinsite nella definizione di “edificabilità”, non tanto dal punto di vistaprocedurale (che, per quanto sopra, il D.L. 223/06, sembra aver risol-to, fatti salvi i nuovi problemi recati dal doppio livello della pianifica-zione generale), quanto “contenutistico”; l’aggettivazione di“utilizzabilità a scopo edificatorio” rinvia letteralmente a connotazioniche ne sottolineano i caratteri di potenzialità “fattuale” in sé e per sé(in senso oggettivo), slegata da ulteriori requisiti di finalità (usi edestinazioni) o tipologici (edifici, opere minime, interventi, ecc.); così,se effettivamente la ratio del legislatore è stata quella di risolvere itanti problemi legati alla nozione di edificabilità di un terreno, la porta-ta dell’intervento ha una sua effettiva valenza solo in termine di“individuazione temporale” sul ciclo di formazione progressiva delprocedimento amministrativo, ma non apporta alcun contributo inno-vativo in ordine alla qualificazione dei terreni la cui destinazione urba-nistica non sia propriamente né fabbricabile né agricola, come tipica-mente e diffusamente accade per quelle superfici che le norme urbani-stiche usualmente definiscono “zone a verde attrezzato”, “zone agri-cole”, “zone di rispetto” (stradale, cimiteriale, aeroportuale, ecc..) o“per attrezzature o opere di pubblico interesse”, ma con attribuzionedi specifici, condizionati e/o vincolati volumi edificatori, spessoquantificati in modo “fisso” e/o per “indice”12.Sul punto alcune note ministeriali13, anche se datate, espongono

l’orientamento di non considerare edificabili tali aree “grigie” a con-dizione che l’assenza di possibilità edificatoria risulti in modoinequivocabile dalle certificazioni di natura urbanistica.La giurisprudenza stessa ha più volte sottolineato la rilevanza dellanozione tecnico-giuridica di “costruzione” per la qualificazione diedificabilità, cosicché un’area diviene tale se il piano regolatore ge-nerale ne prevede la destinazione esclusiva e vincolata alla realizza-zione di un insediamento non abitativo, né industriale o direzionale,ma di “attrezzature ricreative speciali”14

Non si può quindi mancare di sottolineare, al riguardo, l’importanza,ai fini tributari, di una corretta preliminare e preventiva qualificazioneurbanistica della destinazione di un’area15, in particolare se ed inquanto l’area stessa costituisca parte di un piano più generale la cuicapacità edificatoria sia legata al perimetro del più ampio ambito delpiano stesso, secondo criteri redistributivi di volumetria e vincoli didettaglio all’interno del piano e a prescindere dalle rispettive titolaritàsoggettive; così un terreno per il quale il PRG preveda la destinazionea verde pubblico, ma all’interno di una zona la cui edificazione ècondizionata all’approvazione di idoneo strumento urbanisticoattuativo, potrà essere definito di per sé “utilizzabile a scopoedificatorio” se ed in quanto quella specifica destinazione e colloca-zione costituisca condizione necessaria per l’approvazione dell’inte-ro comparto lottizzatorio e la sua superficie concorra, a mezzo indice,alla determinazione della volumetria spettante all’intero comparto; adiversa conclusione, invece, dovrebbe giungersi nel caso in cui aquel medesimo terreno uno strumento urbanistico strutturato in mododiverso assegni sì la stessa destinazione a verde pubblico, ma larelativa superficie non concorra, a mezzo indice tecnico, alla determi-nazione della volumetria spettante all’intero comparto16.Analoga e connessa problematica sull’aspetto “contenutistico” del

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9 Ciò vale per tutti i tributi: imposte dirette, IVA, registro e accessorie, ICI; secondo la Cassazione, SS.UU., nella sentenza 25506 del 28 settembre 2006 “non bisognaconfondere lo ius edificandi con lo ius valutandi, che poggiano su differenti presupposti. Il primo sul perfezionamento delle relative procedure, il secondosull’avvio di tali procedure. Non si può costruire se prima non sono definite tutte le norme di riferimento. Invece, si può valutare un suolo considerato “a vocazioneedificatoria”, anche prima del completamento delle relative procedure. Anche perché i tempi ancora necessari per il perfezionamento delle procedure, con tutte leincertezze riferite anche a quelli che potranno essere i futuri contenuti prescrittivi, entrano in gioco come elementi di valutazione al ribasso”.10 In quanto per entrambi è avvenuta l’ “adozione” del P.R.G, nel senso voluto dal legislatore e sopra richiamato.11 Ad esempio: solo adottato il P.R.G. in un caso; approvato anche lo strumento attuativo (es. lottizzazione) in un altro; vedasi GIOVAGNOLI, RE, REBECCA,Terreni e Fisco, op. cit., pag. 11 e seguenti.12 Secondo il Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 28 giugno 2002, n. 3570, “la destinazione di zona a parco pubblico non è suscettibile di edificazione”; così altresìConsiglio di Stato, sez. IV, sentenza 17 luglio 2002, n. 3999; vedasi anche le sentenze della Cassazione nn. 7258/2001, n. 2272/1999 e 4921/1998. Analogheproblematiche si presentano per le aree classificate come edificabili, ma di fatto prive di capacità volumetrica (es: aree asservite a favore di un lotto adiacente),oppure per le aree a destinazione urbanistica agricola, ma coltivate a cava o miniera.13 Risoluzione 27 novembre 1989, n. 400756; Risoluzione 10 settembre 1991, n. 430065; Circolare 3 agosto 1979 n. 25/364695; Risoluzione 18 febbraio1983, n. 354968.14 Commissione Tributaria Centrale, 7 maggio 1996, n. 1687; Cassazione 25 maggio 2002, n. 7676; Cassazione 27 novembre 2000, n. 15255; Cassazione 29novembre 2000, n. 15312; Commissione Tributaria Centrale 30 settembre 1983, n. 2632. Secondo la Corte Costituzionale, sentenza n. 179 del 5 ottobre 1999,“sono al di fuori dello schema ablatorio-espropriativo con le connesse garanzie costituzionali (e quindi non necessariamente con l’alternativa di indennizzo o didurata predefinita) i vincoli che importano una destinazione (anche di contenuto specifico) realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, chenon comportino necessariamente espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica e quindi siano attuabili anche dal soggetto privato e senza necessitàdi previa ablazione del bene”; inoltre secondo la Corte di Cassazione, SS.UU., sentenza n. 172 del 23 aprile 2001 “la destinazione (di zona) non esclude lavocazione edificatoria. Atteso che l’edificabilità non si identifica né si esaurisce in quella residenziale abitativa, ma ricomprende tutte quelle forme di trasforma-zione del suolo – in via di principio non precluse all’iniziativa privata – che siano riconducibili alla nozione tecnica di edificazione e che siano, come tali, soggetteal regime autorizzatorio ex art. 1 legge n. 10/1977"; secondo la Cassazione “ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione, un’area è da considerareedificabile per il solo fatto che risulti classificata come tale dallo strumento urbanistico; la vocazione edificatoria non può essere desunta come tale dallo strumentourbanistico”, e quindi la relativa connotazione di edificabilità non può derivare solo da tale parametro, considerato che la destinazione ad infrastrutture o parcheggi,ad esempio, è indice di una capacità edilizia esercitabile anche da privati ed assoggettata alle regole urbanistiche generali.Con la recente sentenza 24 ottobre 2008, n. 25672, la Corte di Cassazione si è espressa per l’inapplicabilità dell’ICI ad un’area destinata a verde pubblico, in quantotale previsione amministrativa impedisce ai privati “la trasformazione del suolo riconducibile alla nozione tecnica di edificazione”.Diversamente, con la sentenza 12 settembre 2007, n. 19131, la medesima Corte, in materia di ICI su un terreno qualificato da PRG a “standard” (e quindi vincolatoa esproprio), aveva rilevato che “deve escludersi che un’area edificabile assoggettata a vincolo urbanistico che la destini all’espropriazione, sia, per ciò stesso,esente dall’imposta”. Infine, con la sentenza 14 giugno 2007, n. 13917, la Cassazione richiamava il principio secondo cui, ove la zona sia stata “concretamentevincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico, attrezzature pubbliche, ecc..), la classificazione apporta un vincolo di destinazione che precludeai privati tutte quelle forme di trasformazione del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione”.La stessa Corte, con sentenza 23 settembre 2004, n. 19161, aveva espresso il principio secondo cui, “la destinazione attribuita all’area dalla classificazione in zonaF/1 comporta l’attribuzione alla stessa di una vocazione edificatoria, sia pure specifica, essendo consentito ai privati proprietari di realizzare le opere previste e,quindi, di sfruttare economicamente il loro diritto dominicale”, nonché avvallato l’indirizzo già espresso dalla Corte Costituzionale con la richiamata sentenza n.179 del 1999 secondo cui “sono al di fuori dello schema ablatorio-espropriativo con le connesse garanzie costituzionali (e quindi non necessariamente conl’alternativa di indennizzo o di durata predefinita) i vincoli che importano una destinazione (anche di contenuto specifico) astrattamente realizzabile ad iniziativaprivata o promiscua pubblico-privata, che non comportino necessariamente espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica e quindi siano attuabilianche dal soggetto privato e senza necessità di previa ablazione del bene”.15 L’importanza di tale qualificazione è stata rilevata anche dalla recente Risoluzione n. 6/E del 7 gennaio 2009, laddove l’Agenzia ha definito “agricolo” un terreno,sia pure con sovrastante distributore di carburanti, ma così definito dal PRG; in senso critico vedasi GAVELLI, “Con il distributore il fondo è agricolo“, in Il Sole24 Ore del 9 febbraio 2009, il quale richiama la pronuncia della Corte di Cassazione n. 9131/2006 secondo cui l’edificabilità va valutata anche al di fuori di unaprevisione programmatica urbanistica in base ad una serie di “fatti indice” (“edificabilità di fatto”).16 Secondo PURI, La nuova nozione di terreno edificabile fra interventi giurisprudenziali e legislativi, op. cit., pag. 100, le valutazioni in ordine all’estensibilità delladefinizione di edificabilità di un terreno anche alle predette zone “possono essere applicate solo ai fini dell’imposta ICI” considerato che “l’art. 2 del D.Lgs. n. 504/1992 ... è preordinato allo specifico scopo di individuare i criteri per la determinazione dell’indennità d’esproprio, mentre, al contrario, le altre disposizioni inmateria tributaria si ricollegano esclusivamente alle disposizioni in materia urbanistica, ovvero, ai soli strumenti urbanistici adottati”. Stante il carattere generaledella definizione giuridico-urbanistica, si ritiene di non poter condividere tale settoriale impostazione, non fosse altro perchè l’art. 2 citato richiama in ogni casoil concetto di edificabilità in base agli strumenti urbanistici, integrato, nella fattispecie (“ovvero”) dal criterio di edificabilità di fatto (“possibilità effettive diedificazione”).

IMPOSTE SUI TRASFERIMENTI IMMOBILIARI

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concetto di area edificabile è rappresentata dalla qualificazione dellecaratteristiche di pertinenzialità di un terreno rispetto ad un fabbrica-to; qualificazione in cui si intrecciano valutazioni di ordine civilistico17

ed urbanistico-catastali18; dal punto di vista adottato nell’elaborazio-ne di questo lavoro è evidente come la caratterizzazione e definizionedi un’area possa essere determinata e/o resa determinante dalle spe-cifiche previsioni su di essa estese da uno strumento urbanisticoattuativo; in tal senso appare rilevante il percorso logico-giuridicocondotto dall’Amministrazione Finanziaria in una recente pronun-cia19 secondo cui – seppur a fini diversi da quelli dell’imposizioneindiretta – si è affermato che in ipotesi di trasferimento di fabbricatiricadenti in un piano di recupero, oggetto della compravendita “nonpossano essere più considerati i fabbricati, oramai privi di effettivovalore economico, ma, diversamente, l’area su cui gli stessi insisto-no, riqualificata in relazione alla potenzialità edificatoria in corsodi definizione…”.Seppur la pronuncia appaia criticabile sotto il profilo dei fini per i qualila stessa è stata formulata20, è innegabile l’esistenza di un filone dipensiero che – in presenza di determinati e ben definiti strumenti didiritto urbanistico – tende a definire il rapporto tra norme fiscali enorme urbanistiche in senso di dipendenza assoluta delle prime ri-spetto alle seconde; così, quindi, per ipotesi, se un “giardino”, seppuredificabile da PRG, ma avente tutti i requisiti di pertinenzialità civilisticarispetto ad un’abitazione, può in linea generale essere definito effet-tiva pertinenza (con tutte le conseguenze in termini fiscali derivantidal fatto che oggetto della relativa ipotetica cessione è un fabbricatoe non un’area), così non si potrebbe concludere se lo stesso “giardi-no” fosse compreso nell’ambito di uno strumento attuativo che, inforza della relativa progettualità e normativa tecnica, ne qualifichi evalorizzi le specifiche caratteristiche di volumetria, assetto e destina-zione urbanistica21.Altri aspetti di problematicità sull’argomento in oggetto discendonodal carattere di riferimento puntuale (“fotografico”) del concetto diedificabilità fiscale rispetto a quello “procedimentale” del diritto ur-banistico; si pensi all’ipotesi in cui l’adozione del piano urbanisticogenerale non sia seguito, o lo sia solo parzialmente, dalla definitiva

approvazione; in tal caso una lettura ragionata e sistematica dellanorma, unitamente al richiamo del principio tempus regit actum, ciporta a concludere che il presupposto previsto dal legislatore fiscale(l’edificabilità) non sussista in modo temporalmente indefinito, bensìlimitatamente al periodo necessario per dare definitività e suggello alprocedimento amministrativo avviato con l’adozione22.A conclusioni diverse si deve giungere nell’ipotesi in cui la mancatadefinizione del procedimento dipenda non tanto da determinazioni“ordinarie” degli organi ed enti di competenza23, quanto da eventi cheincidano ex tunc sull’esistenza stessa dell’adozione; tipicamente unasentenza che dichiari la nullità dell’atto iniziale del procedimento ur-banistico, ripristinando di fatto la situazione giuridica ante adozio-ne24; la lettera della norma voluta dal legislatore fiscale come “scelta”della rilevanza di un “momento” all’interno di un procedimento cheha un “momento iniziale” ed uno “finale”, ci induce a ritenere che, see nella misura in cui l’atto iniziale non esiste, la norma stessa, relativa-mente a quell’atto di adozione, non trova possibilità di applicazione,con le relative conseguenze in termini di diverse tassazioni e possibi-le “reviviscenza” degli ambiti operativi delle vecchie disposizioni,tuttora a sistema e non abrogate, disciplinanti i vari tributi25; disposi-zioni, queste, storicamente oggetto di innumerevoli, complesse e di-verse interpretazioni26, ma che, letteralmente, non fanno riferimento ai“momenti” valorizzati come tali dal D.L. 223/06.

3.2. Le opere di urbanizzazione nell’ “urbanisticaconvenzionata”: definizioni, disciplina e problematiche applicativeCome ampiamente richiamato nella prima parte del “Quaderno”27, losviluppo normativo in materia urbanistica, tendente a distingueresempre più nettamente i rispettivi livelli di pianificazione generale especifico-attuativo, fa sì che gli interventi di riconversione,ristrutturazione, ricomposizione o anche più semplicemente di nuovoutilizzo edificatorio, siano sempre più frequentemente interessati daoperazioni che si possono genericamente definire di “urbanistica con-venzionata”; con tali operazioni, il soggetto attuatore dell’interventourbanistico/edilizio assume obbligazioni aventi ad oggetto la realiz-zazione e/o la cessione gratuita all’ente concedente e/o ad altri enti di

17 Vedasi le definizioni giuridiche e relative problematiche analizzate al paragrafo 2.2 del “Quaderno”.18 Richiamando espressamente quanto già riportato al paragrafo 2.2 del “Quaderno”, secondo l’Agenzia delle Entrate (vedasi circolare n. 38/E del 12 agosto 2005,in materia di agevolazioni “prima casa”) le aree scoperte pertinenziali, per essere così classificabili ai sensi dell’art. 817 del codice civile, “devono risultare altresìcensite al catasto urbano unitamente al bene principale”. In pratica, secondo l’Agenzia delle Entrate, un terreno può definirsi pertinenziale solo se “graffato”all’immobile principale. Così anche nella Risoluzione n. 32/E del 16 febbraio 2006. Secondo la Circolare Ministeriale n. 7/1106 del 10 giugno 1993 – risposta 5.17– “il terreno che sia effettivamente pertinenza di un edificio costituisce parte integrante dell’edificio stesso e, quindi, le rendite catastali delle singole unitàimmobiliari formanti l’edificio comprendono anche la quota parte attribuibile al terreno pertinenziale”.19 Risoluzione n. 395/E del 22 ottobre 2008.20 Vedasi il commento di BUSANI, Trasformazione fiscale da fabbricato a terreno, in Il Sole 24 ore dell’8 novembre 2008, pag. 31 secondo il quale il presuppostoimpositivo (cessione di area anziché di fabbricato) “non può che essere la natura del bene venduto, ma non certo l’intenzione dell’acquirente”.21 Sulla distinzione tra area e fabbricato, con tutte le relative conseguenze fiscali, si veda anche l’interessante caso di cui alla sentenza n. 377/3/08 emessa dallaCommissione Tributaria Provinciale di Milano e richiamata da CHIAMETTI, Il piano di recupero sfugge al fisco, in Il Sole 24 Ore del lunedì del 9 marzo 2009;nella fattispecie, il collegio giudicante ha fatto leva sulla finalità del piano urbanistico mirato a “riqualificare il tessuto urbanistico edilizio, ambientale” e quindiinteso a valorizzare i fabbricati già esistenti, per giungere alla conclusione che non si trattava di un’area destinata ad essere edificata ex novo, ma di un fabbricatoil cui possesso ultraquinquennale ha fatto dedurre ulteriormente l’insussistenza del presupposto impositivo della plusvalenza.22 Vedasi, incidentalmente, la sentenza Cassazione, SS.UU., 30 novembre 2006, n. 25506, secondo cui, nella specifica materia ICI, “possono verificarsi variazionial rialzo, che comportano un maggior prelievo nel periodo di imposta, o variazioni al ribasso (ad esempio, a causa della mancata approvazione del piano regolatoregenerale), che attenuano il prelievo, senza che questo comporti, ex se, il diritto al rimborso per gli anni pregressi [salvo che i comuni non ritengano, sul pianodell’equità, di riconoscere il diritto al rimborso, ex art. 59, comma 1, lettera f), del D.Lgs. n. 446/1997], durante i quali, comunque, l’imposta è stata commisurataal valore venale di mercato. E non rileva, ai fini dell’ICI, che l’incremento di valore non sia stato monetizzato, attraverso un atto di trasferimento oneroso, che,eventualmente, ricorrendone i presupposti di legge, avrebbe potuto dar luogo ad una plusvalenza, soggetta ad imposta sul reddito. D’altra parte, anche un pianoregolatore generale approvato e vigente è soggetto a modifiche che possono portare a una diversa classificazione dei suoli con conseguenti sensibili oscillazionidi valore. Per ragioni di equità, come già accennato, il legislatore ha previsto espressamente che i comuni possano “prevedere il diritto al rimborso dell’impostapagata per le aree successivamente divenute inedificabili, stabilendone termini, limiti temporali e condizioni, avuto anche riguardo alle modalità ed alla frequenzadelle varianti apportate agli strumenti urbanistici” [art. 59, comma 1, lettera f), del D.Lgs. n. 446/199)]”.Vedasi anche PURI, La nuova nozione di terreno edificabile fra interventi giurisprudenziali e legislativi, op. cit., pag. 103, secondo il quale il terreno rimaneedificabile “fino a quando il Comune non recepisca le modifiche richieste dalla Regione in un nuovo PRG adottato”. Secondo ATTARDI, “La nozione di areafabbricabile ai fini delle imposte sul reddito”, op. cit., pag. 1505, “occorre, infatti, assegnare un trattamento tributario omogeneo a fattispecie concrete assimilabili,pena la violazione dei principi costituzionali di uguaglianza, ragionevolezza, e capacità contributiva. Se la cessione di un terreno agricolo, ereditato o posseduto daoltre un quinquennio, non genera plusvalenza, non si vede perché debba, invece, essere tassata la plusvalenza generata dalla cessione di un terreno che èdefinitivamente acclarato dalla Regione come non edificabile (sempre che siano già trascorsi cinque anni dall’acquisto)”. Per una chiara qualificazione di “nonedificabilità” ai fini tributari si è espressa anche l’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione n. 460/E del 2 dicembre 2008 relativamente ad un terreno rispetto alquale la Regione aveva rettificato l’iniziale adozione di PRG da parte del Comune.23 Ad esempio, la mancata o parziale approvazione da parte degli organi regionali; cfr. CESTOFANTI, Diritto a costruire – pianificazione urbanistica - espropriazione,Milano, 2005, Tomo I, p. 457 e seguenti, dove si legge che “il provvedimento amministrativo di adozione della variante può essere censurato secondo i principigenerali laddove si riscontri un vizio di legittimità causato da eccesso di potere sia per carenza di motivazione sia per contraddittorietà con precedenti provvedimentio motivazioni addotte dall’amministrazione”.24 Vedasi quanto espressamente riportato sull’argomento al paragrafo 1.6 del “Quaderno”.25 Nei casi e per le fattispecie in cui alla nuova norma non possa essere assegnata efficacia retroattiva; vedasi la precedente nota 5.26 Vedasi la precedente nota 1; tali controverse interpretazioni sono alla base della motivazione addotta dalla Cassazione, nella sentenza n. 25928 del 29 ottobre2008, secondo cui le incertezze sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria sulle aree edificabili ai fini ICI, consentono di ritenere non dovutele sanzioni in sede di accertamento.27 In particolare, vedasi il paragrafo 1.4.

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aree ed opere di pubblico interesse28.Su questo terreno è intervenuto in modo “deciso” il legislatore fiscalecon l’art. 51 della L. 21 novembre 2000, n. 34229, il cui scopo è statoquello di superare le incertezze interpretative sorte per i contrastantiorientamenti manifestatisi fino ad allora nella prassi ministeriale ed ingiurisprudenza circa il trattamento fiscale, agli effetti dell’IVA,applicabile alle predette operazioni30.Prima del richiamato intervento, infatti, prassi e giurisprudenza, oltreche dottrina, discutevano sulla assoggettabilità o meno ai fini IVA ditali cessioni, di volta in volta adducendo l’applicabilità di norme spe-ciali agevolative o di norme generali IVA, fino ad arrivare ai principigeneralissimi sulla natura impositiva o meno degli atti urbanistici diriferimento31.La nuova norma ha utilizzato non tanto il meccanismo di “esenzione”,quanto quello più radicale dell’ “esclusione” dall’ambito di applica-zione del tributo, disponendo altresì, molto opportunamente da unpunto di vista tecnico-operativo, che l’esclusione stessa non rileva aifini dei complessi meccanismi regolanti il diritto alla detrazione del-l’imposta32.L’utilizzo dello schema dell’ “esclusione” porta a qualificare l’inter-vento del legislatore come finalizzato ad una definizione della natura“non sinallagmatica” delle operazioni in oggetto; in sostanza, le ob-bligazioni che il soggetto operatore assume non hanno il carattere dicorrispettività insito nelle nozioni di “cessione di beni” o “prestazionidi servizi” così come definite all’art. 1 del D.P.R. 633/72.Tale natura è indotta e definita in modo palesemente causale e coordi-nata rispetto alla normativa urbanistica di livello esecutivo che, come

già esaminato nel precedente capitolo 1, attribuisce ai vari “strumentiattuativi” la funzione di dare concreta attuazione alla scelta pianificatadi assetto del territorio; nell’ambito quindi di tali strumenti attuativi, laprevisione delle opere, la cui esecuzione viene posta a carico del sog-getto attuatore, assume una rilevanza fondamentale quale espressio-ne esecutiva del potere assegnato dalla norma urbanistica all’ente com-petente in materia di assetto del territorio e di edilizia in particolare.Tali considerazioni portano a concludere per la natura impositiva enon negoziale della “convenzione urbanistica”33, la cui essenza giu-ridica, al di là della sua definizione formale che richiama caratteri con-trattuali, è assimilabile a quella di un “onere” quale prestazione aven-te le caratteristiche di obbligatorietà tipiche della nozione costituzio-nale di “prestazione patrimoniale imposta”34.Tutto ciò premesso, la prassi applicativa della disposizione ha inrealtà presentato diverse problematiche, concentratesi particolarmentesulle interpretazioni strettamente letterali fornite in più occasioni dal-l’Amministrazione Finanziaria relativamente al concetto di “opere diurbanizzazione primaria e secondaria”; secondo l’Agenzia delle En-trate, infatti, il regime di esclusione dell’art. 51 L. 342/200035 deveintendersi operante solamente ed esclusivamente per quelle opereche possano qualificarsi come tali in quanto comprese negli elenchitassativi di cui alle leggi n. 847/1964 e 865/197136 e successive modi-fiche ed integrazioni, ora ripresi all’art. 16, comma 7, 7 bis e 8, delD.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (“Testo unico delle disposizioni legisla-tive e regolamentari in materia edilizia”).Tali specifiche indicazioni di problematicità meritano diversi ordini diriflessioni.

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28 Vedasi la parte del paragrafo 2.4 del “Quaderno” dedicato alla “Legge Bucalossi”.29 Secondo il quale “Non è da intendere rilevante ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, neppure agli effetti delle limitazioni del diritto alla detrazione, la cessionenei confronti dei comuni di aree o di opere di urbanizzazione, a scomputo di contributi di urbanizzazione o in esecuzione di convenzioni di lottizzazione”.30 In tal senso si è espressa la circolare del 16 novembre 2000, n. 207/E, par. 2.1.11; vedasi il paragrafo 2.4.31 Relativamente alle cessioni gratuite delle aree a favore del Comune, ad esempio, non si riteneva applicabile la norma sull’esenzione prevista al n. 12 dell’art. 10D.P.R. 633/72 in quanto il Comune non veniva fatto rientrare tra i soggetti ivi previsti (“enti con esclusiva finalità di assistenza, beneficenza, educazione, ecc. “).Le opere di urbanizzazione realizzate “a scomputo” di contributi, venivano qualificate come prestazioni di servizi imponibili ai fini IVA, con corrispettivo pari agliimporti scomputati. La giurisprudenza, invece, era prevalentemente a favore dell’esclusione, valorizzando l’assenza di corrispettivo. Sull’evoluzione della problematicae le varie soluzioni adottate, si veda l’ampia casistica citata da DEL FEDERICO, Rilevanza ai fini IVA della cessione di immobili a scomputo di oneri diurbanizzazione, in Il Fisco 2003-1 p. 1436 e seguenti, nonché Trattamento fiscale delle aree cedute gratuitamente ai comuni, in Il Fisco, 1998, pag. 10368.32 Prevenendo ulteriori e legittimi dubbi e derogando all’art. 19 del D.P.R. 633/1972, l’art. 51 della citata legge aggiunge che le predette cessioni non rilevanoneppure agli effetti delle limitazioni del diritto alla detrazione, per cui le imprese che le pongono in essere hanno titolo a recuperare l’imposta a “monte”, ancorchéafferente operazioni “a valle” non soggette al tributo.32 Prevenendo ulteriori e legittimi dubbi e derogando all’art. 19 del D.P.R. 633/1972, l’art. 51 della citata legge aggiunge che le predette cessioni non rilevanoneppure agli effetti delle limitazioni del diritto alla detrazione, per cui le imprese che le pongono in essere hanno titolo a recuperare l’imposta a “monte”, ancorchéafferente operazioni “a valle” non soggette al tributo.33 Sulla predetta natura, vedasi le argomentazioni svolte al paragrafo 1.6 del “Quaderno”, nonché la sentenza della Commissione Tributaria di I grado di Alessandria,26 giugno 1986 n. 380, in Bollettino Tributario n. 3/1987 pag. 253, e la sentenza della Commissione Tributaria di II grado di Alessandria, 27 ottobre 1998, n. 505.34 Sulla definizione di tale nozione, vedasi il paragrafo 1.6 del “Quaderno”.35 Risoluzione n. 6/E del 14 gennaio 2003; nel caso specifico l’Amministrazione Finanziaria ha riconosciuto l’applicabilità dell’art. 51 L. 342/2000 unicamente allacessione al Comune di un’area con annessa scuola materna, mentre è stata esclusa per l’area con sovrastante fabbricato ad uso circolo ricreativo, in quanto noncostituente opera di urbanizzazione. Analoga determinazione forma oggetto della Risoluzione n. 37/E del 21 febbraio 2003, in forza della quale non è statoqualificato opera di urbanizzazione un immobile destinato a “centro civico”. Sempre in materia di definizione di opere di urbanizzazione, sia pure ai finidell’applicazione dell’aliquota IVA 10%, anziché della norma in questione, si veda anche la risoluzione n. 394/E del 28 dicembre 2007; con la predetta notal’Agenzia, “attesa la tassabilità dell’elenco di cui al citato art. 4 della Legge n. 847 del 1964 …”, ha demandato l’applicabilità dell’aliquota agevolata allaqualificazione dell’immobile oggetto del quesito (sede del Corpo di Polizia Municipale) come “delegazione comunale” nel senso di sede decentrata di uffici al serviziodiretto della collettività. Sullo stesso tema vedasi anche la Risoluzione n. 291/E del 12 ottobre 2007, laddove il problema di qualificazione riguardava la costruzionedi quattro edifici a struttura prefabbricata destinata ad accogliere laboratori, studi di ricerca, attività didattica e formativa del CNR.36 Vedasi i paragrafi 2.4 e 1.3 del “Quaderno”.Secondo l’art. 4 della Legge 29 settembre 1964, n. 847, integrato dall’art. 44 della Legge 22 ottobre 1971, n. 865, sono “opere di urbanizzazione primaria”:a) strade residenziali; b) spazi di sosta o di parcheggio; c) fognature; d) rete idrica;e) rete di distribuzione dell’energia elettrica e del gas; f) pubblica illuminazione; g) spazi di verde attrezzato.(Ai sensi dell’art. 26 bis decreto-legge n. 415 del 1989 convertito dalla legge n. 38 del 1990 gli impianti cimiteriali sono stati equiparati alle opere di urbanizzazioneprimaria). (Il Ministero dei lavori pubblici, con circolare 31 marzo 1972, n. 2015, ha ritenuto che anche le reti telefoniche rientrino tra le opere di urbanizzazioneprimaria). (Tra le opere di urbanizzazione primaria sono incluse le infrastrutture di comunicazione elettronica per impianti radioelettrici e le opere relative, in forzadell’articolo 86, comma 3, del decreto legislativo n. 259 del 2003; ai sensi dell’art. 40, comma 8, della Legge 166/2002, tra gli interventi di urbanizzazione primariarientrano anche i cavedi multiservizi e i cavidotti per il passaggio di reti di telecomunicazioni, salvo nelle aree individuate dai comuni sulla base dei criteri definitidalle regioni).Sono invece “opere di urbanizzazione secondaria”:a) asili nido e scuole materne;b) scuole dell’obbligo nonché strutture e complessi per l’istruzione superiore all’obbligo;c) mercati di quartiere;d) delegazioni comunali;e) chiese ed altri edifici religiosi;f) impianti sportivi di quartiere;g) centri sociali e attrezzature culturali e sanitarie; nelle attrezzature sanitarie sono ricomprese le opere, le costruzioni e gli impianti destinati allo smaltimento, alriciclaggio o alla distruzione dei rifiuti urbani, speciali, pericolosi, solidi e liquidi, alla bonifica di aree inquinate;(nelle attrezzature sanitarie sono comprese le opere, le costruzioni e gli impianti destinati allo smaltimento, al riciclaggio o alla distruzione dei rifiuti urbani, speciali,pericolosi, solidi e liquidi, alla bonifica di aree inquinate, ai sensi dell’articolo 266, comma 1, decreto legislativo n. 152 del 2006)h) aree verdi di quartiere”.Lo stesso elenco viene espressamente richiamato dal n. 127 quinquies della Tabella A, parte III, allegata al D.P.R. 633/72 ai fini dell’individuazione dei beni e serviziassoggettati all’IVA 10%.

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Sotto il profilo tecnico-operativo, emerge ancora una volta l’oppor-tunità, se non la necessità, che il contenuto tecnico-progettuale egiuridico degli strumenti urbanistici attuativi (e quindi l’operato “tec-nico” e “legale”) venga qualificato e coordinato anche da un puntodi vista meramente tributario al fine di un suo corretto inquadramen-to e valutazioni di tipo giuridico-economico37.Sotto un secondo profilo, devesi sottolineare come, al di là dellespecifiche osservazioni e misure concretamente applicabili di voltain volta per le singole fattispecie, la qualificazione e la definizionesopra riportata della effettiva natura giuridica delle convenzioni ur-banistiche, consente di dare una portata alla norma fiscale (che pre-vede l’esclusione IVA) diversa da quella propriamente letterale pro-spettata dall’Amministrazione Finanziaria, nel senso che laddove illegislatore, con il citato art. 51 L. 342/2000, ha richiamato “le aree o leopere di urbanizzazione da cedere al Comune a scomputo …. o inesecuzione ….” abbia inteso riferirsi genericamente alle “prestazionipatrimoniali imposte” al soggetto attuatore e non tanto ad un rigidoe per di più alquanto datato elenco di opere che l’evoluzione tempo-rale dell’urbanistica convenzionata ha inevitabilmente reso di fattoinadeguate a rappresentare l’effettiva e complessa realtà su cui ope-ra il livello attuativo delle scelte di pianificazione territoriale.Sempre a tale riguardo merita altresì rilevare come il meccanismo di“esclusione” voluto dal legislatore, in quanto fattispecie a configu-razione altamente specialistica, riguardi le cessioni:- nei confronti dei soli Comuni e non anche di altri enti pubbliciterritoriali e non38;- di “aree” o “di opere di urbanizzazione”, con le riflessionisopra formulate in ordine alla “opinabile” letterale interpretazionedatane dall’Amministrazione Finanziaria;- a scomputo di contributi di urbanizzazione o in esecuzione diconvenzioni di lottizzazione; la congiunzione “o” è in linea con iprincipi dell’urbanistica convenzionata che può prescindere daltecnicismo dello scomputo puro e semplice39; in più, il riferimentoletterale alla “lottizzazione”, nel contesto e nella ratio della normati-va, non pare possa in alcun modo escludere l’atto esecutivo di stru-menti urbanistici non propriamente di lottizzazione, quali, ad esem-pio, i piani di recupero40.Altra e diversa valutazione, assai rilevante sotto l’aspetto pratico-operativo, va fatta in merito al meccanismo della rivalsa IVA nell’ipo-tesi in cui alla “cessione gratuita” non si possa applicare il regime diesclusione di cui art. 51, L. 342/200041; l’art. 18 del D.P.R. 633/72 di-spone in linea generale l’obbligatorietà della rivalsa, salvo escluderlae prevederne la facoltà in talune specifiche ipotesi, fra le quali “lacessione gratuita di beni”42; in tali casi, quindi, il legislatore fiscale,fermo il debito per l’IVA dovuta, lascia al cedente la scelta se addebi-

tare o meno l’IVA al cessionario.Nella fattispecie delle convenzioni urbanistiche, tale facoltà può benessere regolamentata nel relativo contesto negoziale, ritenendo pe-raltro che, in assenza di specifici riferimenti, l’esercizio o meno dallafacoltà non possa che essere lasciato alla discrezionalità del cedenteal momento di effettuazione dell’operazione, con le relative conse-guenze in termini di incidenza economica e/o finanziaria per i soggettiinteressati (ad esempio il Comune).Un’ulteriore problematica simmetrica, o comunque connessa allafattispecie in oggetto, riguarda l’applicabilità o meno dell’esenzioneIVA per le cessioni gratuite – che non rientrino nell’ambito dell’art. 51L. 342/2000 – eseguite a favore dei Comuni e/o altri enti pubblici.L’art. 10, n. 12, del D.P.R. 633/7243 prevede infatti il regime di esenzio-ne per le “cessioni di cui al n. 4) dell’art. 2 fatte ad enti pubblici,associazioni riconosciute o fondazioni aventi esclusivamentefinalità di assistenza, beneficenza, educazione, istruzione, studio oricerca scientifica e alle ONLUS”.Nel vasto panorama delle cessioni gratuite da convenzioni urbanisti-che, l’Agenzia delle Entrate, con due recenti interventi44, è giunta allaconclusione di escludere l’applicazione della norma citata laddove lecessioni stesse, risultando solo apparentemente prive di corrispettivo,si inseriscano in un rapporto giuridico complesso a naturasinallagmatica, che impone adempimenti e oneri per ciascuna delleparti interessate.L’Agenzia si è soffermata, in particolare, proprio sull’aspetto dellagratuità rilevando che le cessioni in esame non rispondevano ad unmero intento di liberalità, ma rappresentavano piuttosto una modalitàdi estinzione di una obbligazione assunta nell’ambito del complessoprocedimento amministrativo. Tale interpretazione dell’Agenzia delleEntrate appare il corollario di una qualificazione della convenzioneurbanistica come “istituto contrattuale”; laddove, invece, come inprecedenza esaminato, si addivenga – molto più realisticamente se-condo un approccio di valutazione disciplinare complessiva – ad unacollocazione della stessa in un ambito pubblicistico anziché in quelloprivatistico-contrattuale, la conclusione avrebbe potuto e dovutoessere alquanto diversa, giacché se è vero che l’esenzione spetta perle “cessioni gratuite” solo in quanto non sinallagmatiche45 allora leoperazioni in oggetto vi rientrano in quanto prestazioni patrimonialiaventi titolo in un atto autoritativo e non già negoziale46.Analoga valutazione avrebbe potuto essere formulata in un altrocaso in cui l’Agenzia delle Entrate47 ha negato l’applicabilità dellanorma di esenzione sopra richiamata in sede di permuta immobiliaretra due S.p.A., con trasferimento gratuito a favore di un Comune,terzo beneficiario, di un’area oggetto di uno dei due trasferimenti. Intal caso secondo l’Agenzia delle Entrate, ciò che “rileva è il rappor-

37 Si pensi all’incidenza dell’IVA (“comunemente” a carico del soggetto attuatore) nel quadro economico complessivo dell’intervento laddove l’ “esclusione” omeno dipende (o possa essere fatta dipendere) da una corretta qualificazione e denominazione nel progetto e/o in convenzione.38 La prassi operativa presenta molto spesso dei casi in cui determinate opere vengono cedute ad enti diversi dal Comune, quali l’Enel, i Consorzi di Bonifica, societàdi capitali affidatarie di pubblici servizi, la Provincia, la Regione, ecc..; è da ritenere che in tali casi l’art. 51 non si applichi e quindi la relativa cessione debba seguirele regole ordinarie quali l’ “esclusione” IVA se relative a terreni non edificabili o l’ “imponibilità” IVA dei fabbricati o dei terreni edificabili. La risoluzionedell’Agenzia n. 50/E del 22 aprile 2005 ha evidenziato la non applicabilità dell’art. 51, L. 342/2000, all’ipotesi “rovesciata” della cessione di un’area da parte diun Comune a favore del soggetto attuatore degli interventi previsti dalla convenzione urbanistica.39 Si pensi ai principi del “beneficio pubblico” nelle più recenti norme relative alla pianificazione urbanistica generale, così come richiamato al paragrafo 1.6 del“Quaderno”.40 In tal senso vedasi anche la citata Risoluzione n. 6/E del 14 gennaio 2003 che si riferisce ad un’ipotesi di convenzione esecutiva di un “piano di recupero”.41 Per carenze soggettive e/o oggettive, si pensi proprio al caso della cessione gratuita del circolo ricreativo per il quale la Risoluzione n. 6/E del 14 gennaio 2003ha ritenuto non sussistenti i requisiti oggettivi.42 L’art. 18 D.P.R. 633/72 così dispone: - al primo comma “Il soggetto che effettua la cessione di beni o prestazione di servizi imponibile deve addebitare la relativaimposta, a titolo di rivalsa, al cessionario o al committente”; - al terzo comma “la rivalsa non è obbligatoria per le cessioni di cui ai numeri 4) e 5) del secondocomma dell’articolo 2 e per le prestazioni di servizi di cui al terzo comma, primo periodo, dell’articolo 3"Secondo l’art. 2, comma 2, n. 4, costituiscono cessioni di beni “le cessioni gratuite di beni ad esclusione di quelli la cui produzione o il cui commercio non rientranell’attività propria dell’impresa se di costo unitario non superiore a lire cinquantamila (Euro 25,82) e di quelli per i quali non sia stata operata, all’atto dell’acquistoo dell’importazione, la detrazione dell’imposta a norma dell’articolo 19, anche se per effetto dell’opzione di cui all’articolo 36 bis “.43 Sulle problematiche di tale specifica fattispecie normativa, vedasi anche il paragrafo 2.4 del “Quaderno”.44 Risoluzioni n. 349/E e n. 350/E, entrambe del 7 agosto 2008; nella prima risoluzione, la cessione gratuita di una unità immobiliare operata da una societàcooperativa a vantaggio di un Comune è stata considerata “non esente” in quanto motivata non da mero spirito di liberalità, ma per estinguere una precedenteobbligazione assunta nei confronti dell’ente locale, inserendosi, in un rapporto di natura sinallagmatica.Nella seconda risoluzione, la cessione di immobili fatta da una società nei confronti di un ente pubblico non é stata configurata quale cessione gratuita agli effettidell’IVA, con conseguente inapplicabilità del regime di esenzione di cui al n. 12 dell’articolo 10, D.P.R. 633/72, in quanto la stessa, pur apparendo carente di unaimmediata e specifica controprestazione, trovava giustificazione e assumeva carattere oneroso nell’ambito di un’operazione complessa rilevante economicamen-te, inserita in un rapporto giuridico che prevedeva adempimenti e oneri per ciascuna delle parti interessate.45 A tal proposito vedasi la medesima definizione adottata a supporto delle conclusioni assunte al successivo capitolo 3.3.46 Una particolare problematica operativa è rappresentata anche dall’inquadramento del rapporto tra Comune e soggetto attuatore relativamente alla realizzazionedelle opere di urbanizzazione; se a tale rapporto vengono assegnate le caratteristiche di appalto, da ciò discendono ovviamente determinate conseguenze, fra le qualianche l’applicazione del meccanismo del reverse-charge; sull’argomento vedasi DEL FEDERICO, Scomputo degli oneri di costruzione mediante cessione delleopere di urbanizzazione ed applicazione del sistema del reverse-charge, in Il Fisco, 2007-1, pag. 5154.47 Risoluzione n. 373/E del 14 dicembre 2007.

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to sinallagmatico esistente tra il promittente e lo stipulante, vale adire la sussistenza di un nesso di interdipendenza tra le obbliga-zioni assunte dalle parti contraenti, a prescindere dalla circostan-za che dalla predetta cessione nessun arricchimento patrimonialeè espressamente ravvisabile in capo allo stipulante medesimo. Talenesso di interdipendenza non viene infranto dalla deviazione de-gli effetti a favore del terzo”; la presa di posizione appare caratteriz-zata da eccesso di formalismo, in quanto se è vero che il trasferimen-to avviene in una logica economica di competitività tra le due S.p.A.,è altrettanto vero che la causa giuridica e l’elemento teleologico fon-damentale, ai fini giuridici, del trasferimento stesso è costituito dallacessione a favore del Comune, rispetto al quale, al contrario e pro-prio in applicazione dei principi in altri casi richiamati dalla stessaAgenzia, manca decisamente il carattere di sinallagmaticità.

3.3. La ricomposizione urbanistica per il riequilibrio dellacapacità edificatoria nei comparti o ambiti di intervento con piùproprietari: il complesso rapporto tra norme in materia civilistica,urbanistica e fiscaleUn interessantissimo caso di applicazione di principi generali in ma-teria di imposizione sui trasferimenti e della necessità di coordinamen-to tra normativa urbanistica e fiscale, è rappresentato dalle operazionicon cui più soggetti definiscono ed attuano la redistribuzione dellacapacità edificatoria all’interno di un ambito territoriale oggetto delleprevisioni progettuali ed esecutive di uno strumento urbanistico.Le finalità proprie di quest’ultimo, infatti, riguardano l’assetto delterritorio in un’ottica meramente ed esclusivamente urbanistica,cosicché le rispettive previsioni in termini di individuazione qualitativae di collocazione, sia degli standard urbanistici che dello sviluppodello jus aedificandi, non possono che prescindere dall’assetto sog-gettivo delle rispettive proprietà originarie comprese nell’ambito delpiano stesso48.Tale rilevanza meramente urbanistica del comparto, fa sì che i sog-getti interessati possano e debbano intervenire nell’iniziativa in sen-so e modalità di “apporto” delle rispettive proprietà originarie,

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subordinatamente e con scopo di attuazione del disegno generale diinteresse urbanistico.Ciò comporta che l’effettiva realizzazione delle opere diurbanizzazione, normalmente e comunque “per definizione”, prescin-de dalla collocazione “fisica” e di sedime delle proprietà originariedei soggetti interessati, sollevando la necessità “pratica”, prima an-cora che giuridica, di riequilibrare, mediante idonea assegnazioneredistributiva, le unità tra i vari operatori variamente e casualmenteincisi dalle previsioni dello strumento urbanistico49.La logica sottostante tale redistribuzione non è quindi realizzativa,ma meramente ed esclusivamente risarcitoria o meglio ancora “diripristino” o di ricollocamento equitativo tra soggetti e rispettivi pa-trimoni originari50.Come evidenziato in precisi e circostanziati contributi in materia51,l’esperienza pratico-professionale ha tradotto tali determinazioni me-diante una pluralità di soluzioni tecniche52: dal conferimentoproindiviso in un consorzio di urbanizzazione53, alla costituzione dicomunioni, alle permute plurime, alle cessioni senza corrispettivo,fino alla forma, senza dubbio più consona ed articolata, degli atticomplessi di redistribuzione per ricomposizione fondiaria.Quest’ultima soluzione si basa sull’applicazione della nozionecivilistica di “negozio complesso”54, laddove, come noto, le disposi-zioni convenzionali si legano e si giustificano inscindibilmente leune con le altre, sotto il profilo causale e teleologico; nella fattispecie,l’effetto finale dell’atto (l’assegnazione delle diverse aree ai diversisoggetti proprietari) trova ragione e causa unicamente ed esclusiva-mente quale momento esecutivo ed attuativo delle previsioni dellostrumento urbanistico di riferimento55.Su tali “speciali caratteristiche” giuridico-urbanistiche, si innesta lospecifico trattamento tributario agevolato previsto dall’art. 20, comma1, della Legge 28 gennaio 1977, n. 10, in materia di imposte di registroed ipocatastali56.La formula usata dal legislatore (“ai provvedimenti, alle convenzio-ni e agli atti d’obbligo previsti dalla presente legge si applica iltrattamento tributario di cui all’art. 32, secondo comma del D.P.R.

48 “In conclusione la ricomposizione fondiaria delle aree del comparto tra i co-lottizzanti ha come uniche finalità la eliminazione degli effetti distorsivi dellaconvenzione di attuazione del piano particolareggiato e la possibilità di attuazione del piano stesso ed i relativi trasferimenti all’uopo necessari sono effettuatisenza intenti speculativi e sono inscindibilmente connessi con la convenzione di piano particolareggiato, per consentire la trasformazione urbanistica dei beni”:Commissione Studi Tributari del Consiglio Nazionale del Notariato, Sul trattamento tributario delle convenzioni di redistribuzione fondiaria delle aree tra co-lottizzanti, Studio n. 60/2003/T del 21 novembre 2003.49 Vedasi il paragrafo 2.4 del “Quaderno”.50 “Può anche avvenire che la capacità edificatoria di ciascuno dei lotti del piano di lottizzazione, che vengono ridistribuiti tra i co-lottizzanti, non corrispondaesattamente, per ciascun assegnatario, alla “quota di diritto” che allo stesso competerebbe in base al rapporto tra la superficie della sua proprietà originaria e lasuperficie territoriale complessiva del comparto e che, pertanto, si debba far luogo a “conguagli” in denaro, per compensare tali squilibri patrimoniali”.Commissione Studi Tributari del Consiglio Nazionale del Notariato, Sul trattamento tributario delle convenzioni di redistribuzione fondiaria delle aree tra co-lottizzanti, Studio n. 60/2003/T, op. cit.51 Vedasi PISCHETOLA, Atto di redistribuzione di aree tra co-lottizzanti non consorziati e relativo trattamento fiscale, Studio n. 28-2006-T della CommissioneStudi Tributari del Consiglio Nazionale del Notariato.52 Tali soluzioni hanno formato oggetto di specifiche analisi da parte dello Studio n. 590 della Commissione Studi Civilistici del Consiglio Nazionale del Notariato,approvato il 19 ottobre 1993.53 Su tali consorzi, vedasi: GALGANO, Autodisciplina urbanistica, in Contratto e Impresa, Padova 1985, 2, pagg. 573 e seguenti; CASTELLANO, Sulla naturagiuridica dei consorzi di urbanizzazione, in Corriere giuridico, 1997, p. 844; vedasi Cass. Civ., Sezione I, n. 2877, del 9 febbraio 2007, secondo cui la Corte stessa hada ultimo più volte ribadito che “i consorzi di urbanizzazione (enti di diritto privato, costituiti da una pluralità di persone che, avendo in comune determinati bisognio interessi, si aggregano fra loro allo scopo di soddisfarli mediante un’organizzazione sovraordinata), finalizzati alla sistemazione ed al miglior godimento di unospecifico comprensorio attraverso la realizzazione e la fornitura di opere o servizi, costituiscono figure atipiche, le quali, essendo caratterizzate dall’esistenza di unastabile organizzazione di soggetti, funzionale al raggiungimento di uno scopo non lucrativo, presentano i caratteri delle associazioni non riconosciute”.“Il problema della normativa ad essi applicabile va, peraltro, risolto alla luce della considerazione che, accanto all’innegabile connotato associativo, essi sicaratterizzano anche per un forte profilo di realità - in quanto il singolo associato, inserendosi, al momento dell’acquisto dell’immobile, nel sodalizio, ondebeneficiare dei vantaggi offertigli, assume una serie di obblighi ricollegati in via immediata e diretta alla proprietà dei singoli cespiti e di quelli eventualmentecomuni, legittimamente qualificabili in termini di obligationes propter rem con riferimento non solo alla gestione delle cose e dei servizi consortili, ma anche allarealizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria”.Ne consegue che appaiono insoddisfacenti “tanto le teorie che propugnano l’applicazione generalizzata delle norme sulle associazioni, quanto quelle chepropendono per il ricorso alle sole disposizioni in tema di comunione e condominio, occorrendo invece rivolgere l’attenzione, in primo luogo, alla volontàmanifestata nello statuto e, soltanto ove questo nulla disponga al riguardo, passare all’individuazione della normativa più confacente alla regolamentazione degliinteressi implicati dalla controversia” (così Cass., n. 4125 del 21 marzo 2003; Cass. n. 28492 del 22 dicembre 2005). Fonte primaria di disciplina di siffatticonsorzi, specie per quel che riguarda l’ordinamento interno e l’amministrazione, è dunque l’accordo delle parti sancito nell’atto costitutivo (Cass., n. 3341 del6 marzo 2003).54 Così richiamato da PISCHETOLA, Studio CNN n. 28-2006/T, op. cit.; vedasi anche CASCIO-ARGIROFFI, Contratti misti e contratti collegati, in EnciclopediaGiuridica Treccani, IX; SCOGNAMIGLIO, Collegamento negoziale, in Enciclopedia del diritto, VII, p. 375.55 La figura del negozio complesso è contrassegnata dall’esistenza di una causa unica, che si riflette sul nesso intercorrente tra le varie prestazioni con una intensitàtale da precludere che ciascuna delle predette prestazioni possa essere rapportata a una distinta causa tipica e faccia sì che le predette prestazioni si presentino traloro organicamente interdipendenti e tendenti al raggiungimento di un intento negoziale oggettivamente unico. Le parti nell’esplicazione della loro autonomianegoziale, infatti, possono – con manifestazioni di volontà espresse in uno stesso contesto – dare vita a più negozi distinti e indipendenti, ovvero a più negozi traloro collegati. Le varie fattispecie in cui può configurarsi un negozio giuridico composto possono così distinguersi in contratti misti, quando la fusione delle causefa sì che gli elementi distintivi di ciascun negozio vengono assunti quali elementi di un negozio unico, soggetto alla regola della causa prevalente, contratticomplessi e contratti collegati: vedasi Cass. civ. Sez. II, 7 luglio 2004, n. 12454.56 Il predetto articolo ha formato oggetto di altri approfondimenti da parte della Commissione Studi Tributari del Consiglio Nazionale del Notariato; si veda loStudio n. 114/2005/T nel quale alla disposizione citata viene assegnata “valenza di normativa di cornice … rispetto ad altre normative portate dalla legislazionenazionale e/o regionale e dalla particolare funzione di disciplina generale delle procedure legali finalizzate alla utilizzazione edificatoria dei suoli, e ciò sia pure adonta della formulazione meramente letterale del citato art. 20".

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29 settembre 1973, n. 601")57 sottolinea il profilo di scopo e quinditeleologico della fattispecie considerata meritevole dell’agevolazio-ne; in sostanza, lo speciale trattamento tributario viene fatto dipen-dere dal determinante collegamento “a sistema” tra tutte le disposi-zioni contenute nella concreta fattispecie negoziale (l’atto) e la relati-va finalità causale di redistribuzione per attuazione delle previsionidello strumento urbanistico58.Così diviene corretto e logicamente coerente dedurre che il predettotrattamento non trova applicazione laddove la concreta attuazionedella redistribuzione preveda assegnazioni dal carattere non propria-mente o coerentemente “di ripristino”59 o si estenda ad immobili noncompresi nell’ambito dello strumento urbanistico60 o non comprendatutte le proprietà inserite nello strumento stesso61.Con alcune pronunce ormai datate62, l’Amministrazione Finanziariaha riconosciuto l’applicabilità del richiamato trattamento tributarioex art. 32, D.P.R. 601/73, non tanto sulla base delle argomentazioniappena svolte, quanto in forza della valorizzazione dell’istituto delconsorzio di urbanizzazione63 quale alternativa alla espropriazionecoattiva da parte della pubblica autorità; secondo tale impostazione,quindi, con la presenza dell’ente consortile si può prescindere dallanatura dell’atto di redistribuzione in sé e per sé per sottolinearneunicamente il carattere di atto dovuto e “strumento” attuativo dellaconvenzione di lottizzazione tra lottizzanti e Comune.Sotto un profilo generale, è evidente che l’ “aggancio” a norme spe-cifiche dei vari tributi è condizione essenziale per l’applicazione di uncerto trattamento fiscale; e così se il già citato riferimento all’art. 20,L. 10/77, ha consentito di rendere applicabile l’art. 32, D.P.R. 601/73,sia argomentando sulla base della presenza dello strumento del “con-sorzio urbanistico” sia richiamando a motivazione il concetto di “ne-gozio complesso”64, in materia di IVA il collegamento con le specifi-che disposizioni normative appare molto più “complicato”.Premesso l’ovvio requisito soggettivo per la relativa applicazione aifini dell’assoggettamento o meno al tributo IVA, appare decisivoconsiderare se l’atto di redistribuzione costituisca o meno “operazio-ne imponibile” ai sensi dell’art. 1 del D.P.R. 633/72. L’ambito IVAcomprende le cessioni di beni e definisce come tali “gli atti a titolooneroso che importano trasferimento della proprietà …”, con esten-sione dell’ambito, pur in carenza di onerosità, a determinate fattispeciepreviste dall’art. 2, comma 2, D.P.R. 633/72.L’esame rigoroso e asettico della funzione di ristabilimento del rap-porto di originaria proporzionalità tra la capacità edificatoria “com-plessiva” dell’intero comparto e “specifica” dell’unità di proprietà diciascuno dei partecipanti e quindi la sottolineatura della mera funzio-ne ripartitoria/distributiva, porta a considerare l’effetto traslativo ti-pico dell’atto in oggetto solo in via nominale/formale, tanto da farlodefinire come strumento in forza del quale “non vi sono trasferimenti

di diritti e/o situazioni giuridiche attive già di titolarità esclusivadi alcuni soggetti (disponenti) prima e di altri soggetti (accipienti/beneficiari) poi che l’assumano ex novo, ma si attua solo una piùequa allocazione all’interno di un medesimo comparto delle relati-ve capacità edificatorie …”65; sulla base di tale profilo quindi emer-ge l’inesistenza di una vera e propria “cessione” secondo la defini-zione giuridica di tipico contratto a prestazioni corrispettive, il cuioggetto è il trasferimento di proprietà di una cosa o il trasferimento diun altro diritto.La lettura critica e sistematica delle disposizioni in materia di IVA ciporta ad individuare il presupposto del predetto tributo (la cessionedi beni, appunto) non tanto o comunque non solo mediante semplicerinvio alle connesse e relative definizioni civilistiche66, ma alla luce delcriterio di specialità voluto dal legislatore fiscale nel momento in cui,all’art. 2 del citato D.P.R. 633/72, ha inteso individuare, nel proprio conte-sto e ai propri fini, una specifica nozione di “cessione di beni”; secondotale disposizione (c. 1) “costituiscono cessioni di beni gli atti a titolooneroso che importano trasferimento della proprietà …” e (c. 4) “costi-tuiscono inoltre cessioni di beni: …4) le cessioni gratuite di beni ...”.Il legislatore IVA, quindi, avendo interessi e finalità tecnico-applicative,valorizza in sé e per sé l’elemento concreto dell’effetto (“atti … cheimportano trasferimento …”)67, in ciò comprendendo, ad esempio gliatti autoritativi della pubblica amministrazione, quali gli espropri, lerequisizioni e gli atti giurisdizionali come le vendite forzate, le venditegiudiziarie o le sentenze che comportano trasferimento della proprie-tà o costituzione di diritti reali di godimento68.Sotto questo profilo, la redistribuzione per ricomposizione fondiariapuò avere, quale effetto giuridico, oltre che pratico-sostanziale, l’ef-fettivo trasferimento di proprietà per quelle unità o loro porzioni ogget-to di assegnazioni la cui proprietà originaria non spettavaall’assegnatario stesso; laddove e nella misura in cui la redistribuzioneabbia come effetto il “cambio di proprietà” tra i vari soggetti parteci-panti, a nostro parere è giocoforza ritenere che il presupposto volutodal legislatore IVA si verifichi, con i conseguenti obblighi e adempimentivoluti dalla legge in materia (fatturazione e rivalsa in primis)69.Un’ultima osservazione riguarda l’aspetto dell’onerosità che, sia purerichiamato nel concetto definitorio di cessione di beni, il sistema IVAnon eleva a requisito essenziale, in forza delle specifiche previsionidettate sia per le cessioni di beni che per le prestazioni di servizi; inogni caso ed a ogni buon conto, la dissertazione sulla natura onerosao meno dell’atto di ricomposizione non può incidere sulla conclusio-ne a favore della sussistenza del requisito oggettivo IVA, in ragionedel fatto che, nel sistema IVA, la norma di qualificazione come opera-zione imponibile delle cessioni gratuite ha la chiara funzione di “nor-ma di chiusura” in estensione verso le operazioni la cui causa non siaprettamente di liberalità, ma più in generale di operazioni senza speci-

57 L’art. 32, comma 2, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, così recita “Gli atti di trasferimento della proprietà delle aree previste al Titolo III della legge indicata nelcomma precedente [L. 22 ottobre 1971, n. 865] e gli atti di concessione del diritto di superficie sulle aree stesse sono soggetti all’imposta di registro in misurafissa e sono esenti dalle imposte ipotecarie e catastali. Le stesse agevolazioni si applicano agli atti di cessione a titolo gratuito delle aree a favore dei comuni o loroconsorzi nonché agli atti e contratti relativi all’attuazione dei programmi pubblici di edilizia residenziale di cui al Titolo IV della legge indicata nel primo comma”.Vedasi quanto analiticamente riportato anche al paragrafo 2.4 del “Quaderno”.58 Così il citato Studio CNN n. 28-2006/T conclude a favore dell’applicabilità del trattamento fiscale ex art. 32 D.P.R. 601/73, anche in assenza della preventivacostituzione di un ente consortile tra lottizzanti (vedasi infra); vedasi, altresì, PISCHETOLA, Il trattamento fiscale delle convenzioni di redistribuzione di aree traco-lottizzanti, in Immobili e Proprietà, 2005, pag. 204 e seguenti. Nella Risoluzione n. 156/E del 17 dicembre 2004, invece, l’Agenzia delle Entrate ritiene chel’agevolazione di cui all’articolo 20, L. 10/77, “trovi applicazione nel caso di atti di redistribuzione immobiliare tra i proprietari di aree che si siano riuniti inconsorzio, così come previsto dall’art. 13 della legge, come lottizzazione obbligatoria per evitare l’espropriazione per pubblica utilità…”.59 Tipicamente quando le assegnazioni non avvengono in modo rigorosamente proporzionale rispetto alle proprietà originarie dei singoli lottizzanti.60 Ad esempio, laddove la redistribuzione coinvolga terreni o fabbricati la cui superficie o volumetria non abbia concorso alla formazione dei dati territoriali dellostrumento attuativo.61 Condizione, quest’ultima, evidentemente necessaria per dare completa attuazione al piano e comunque per evitare l’intervento espropriativo della pubblicaautorità.62 Risoluzioni n. 250666 del 3 gennaio 1983 e n. 220210 del 16 dicembre 1986.63 Previsto dall’art. 13 della L. 10/77; vedasi altresì la precedente nota 6.64 Nella stessa Risoluzione 250666/83 è richiamato il “favor” del legislatore “su tutti i trasferimenti posti in essere per la realizzazione dei diversi strumenti previstidalla normativa vigente”; proprio l’applicazione di tale principio motiva sia la non necessità della formale presenza di un ente consortile, sia l’irrilevanza delcarattere pubblico o privato dell’iniziativa lottizzatoria; argomento, quest’ultimo, che pare proprio ispirare la conclusione della Risoluzione 156/E del 17 dicembre2004, citata alla precedente nota 11.65 PISCHETOLA, Studio CNN n. 28-2006/T, op. cit..66 L’art. 1470 c.c. definisce la vendita come “il contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o il trasferimento di un altro diritto versoil corrispettivo di un prezzo”.67 Secondo la giurisprudenza comunitaria “la nozione di cessione di un bene non si riferisce al trasferimento del diritto di proprietà nelle forme previste dal dirittonazionale vigente, bensì comprende qualsiasi operazione di trasferimento di un bene effettuata da una parte che autorizza l’altra parte a disporre di tale bene comese ne fosse il proprietario” (Corte di Giustizia CE, 6 febbraio 2003, n. C185-01).68 Cfr., Risoluzione 26 novembre 2001, n. 193/E e 31 ottobre 2000, n. 160/E, nonché Corte di Cassazione 12 agosto 1997, n. 7528.69 Secondo PISCHETOLA, Studio CNN n. 28-2006/T, op. cit., invece, le operazioni di ricomposizione fondiaria non costituiscono “cessione” imponibile ai fini IVA,in quanto non vi sarebbero “trasferimenti di diritti e/o situazioni giuridiche attive”.

IMPOSTE SUI TRASFERIMENTI IMMOBILIARI

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fico corrispettivo70.

3.4. I piani particolareggiati e le imposte di registro, ipotecariae catastale; evoluzione normativa e stato attuale della disciplinaDopo un intenso ed articolato processo normativo, di prassi dottrinale

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70 Vedasi per i medesimi riferimenti le argomentazioni svolte alla fine del capitolo 3.2; per la definizione di cessione gratuita come “cessione senza corrispettivo”vedasi anche la Risoluzione n. 83/E del 3 aprile 2003. Ulteriore requisito necessario era l’accordo con l’amministrazione comunale in ordine alla definizione deiprezzi di cessione e dei canoni locativi degli immobili oggetto di intervento edilizio.A tal riguardo si segnala come “attraverso il convenzionamento si realizza un controllo pubblico sui prezzi di vendita e di locazione degli immobili, al fine dipervenire allo sganciamento dell’attività imprenditoriale edilizia dalla rendita fondiaria: …non si ha pertanto una semplice edilizia libera agevolata, bensìun’edilizia privata condizionata dalla p.a. attraverso forme di controllo della produzione…,della gestione… e dei prezzi (prezzi di vendita e canoni locativi)” (Fiale,Diritto Urbanistico, Napoli, p. 667-668).71 Vedasi i richiami operati al paragrafo 2.4 del “Quaderno”. L’ “esordio” nella materia è recato dall’art. 33, comma 3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, secondocui “ i trasferimenti di beni immobili in aree soggette a piani urbanistici particolareggiati, comunque denominati, regolarmente approvati ai sensi dellanormativa statale o regionale, sono soggetti all’imposta di registro dell’1 per cento e alle imposte ipotecarie e catastali in misura fissa, a condizione chel’utilizzazione edificatoria dell’area avvenga entro cinque anni dal trasferimento”. Con le circolari n. 1/E e n. 6/E, rispettivamente del 3 e 26 gennaio 2001,l’Agenzia delle Entrate era intervenuta con una interpretazione della norma in senso alquanto restrittivo; si precisava, infatti, che le imposte ridotte potevanoapplicarsi ai soli trasferimenti di “immobili funzionali all’utilizzazione edificatoria dell’area stessa” già in possesso dell’acquirente, per i quali potevano sussisteredelle cause ostative all’edificazione, quale ad esempio “la superficie minima richiesta dal piano particolareggiato per la costruzione”.Superando il dettato normativo, l’Agenzia delle Entrate aveva di fatto limitato l’ambito applicativo della disposizione ai soli casi in cui un soggetto, già in possessodi un’area, ne avesse acquistata un’altra al fine di raggiungere complessivamente quantomeno il “lotto minimo” di edificabilità stabilito dal provvedimentourbanistico. Per porre fine ai contrasti sorti a seguito del suddetto pronunciamento dell’Amministrazione Finanziaria, è intervenuto lo stesso legislatore che, conl’art. 76 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, ad efficacia interpretativa, ha specificato come il regime fiscale agevolato doveva trovare applicazione “anche nelcaso in cui l’acquirente non disponesse in precedenza di altro immobile compreso nello stesso piano urbanistico”. In altre parole, per poter fruire del beneficiofiscale si era finalmente chiarito che non occorreva che l’immobile acquistato fosse finalizzato a rendere possibile lo sfruttamento edificatorio di un’area giàposseduta dall’acquirente.Importanti chiarimenti sulle problematiche applicative della norma sono stati forniti con la circolare 9/E del 30 gennaio 2002; l’Agenziadelle Entrate ha formulato il proprio parere, sotto forma di risposta a specifici quesiti, con riguardo al mero significato di “piano urbanistico regolarmenteapprovato”.Nel primo dei due quesiti proposti, si chiedeva, in ipotesi che il piano urbanistico particolareggiato fosse stato rappresentato da una convenzione tracomune e soggetto attuatore, se il regime fiscale agevolato spettasse con la convenzione semplicemente approvata dall’organo comunale o, al contrario, firmatadal comune e dall’attuatore. L’Agenzia si è espressa per la necessità della convenzione firmata, a conferma che il procedimento amministrativo sia eseguito ecompletato secondo la normativa statale o regionale.Il secondo quesito riguardava la possibilità di applicare l’agevolazione fiscale nel caso di un’area soggetta apiano particolareggiato da PRG ma non ancora sussistente. L’Agenzia delle Entrate ha stabilito che il piano regolatore generale è condizione necessaria ma nonsufficiente per l’ottenimento dell’agevolazione, in quanto occorre “che il trasferimento si compia all’interno di aree individuate da appositi piani che sianoespressamente attuativi ed esecutivi del piano regolatore generale medesimo”. Con la circolare n. 11/E del 31 gennaio 2002, l’Agenzia ha riconosciuto la naturainterpretativa della disposizione del citato art. 76, L. 448/2001, e, quindi, la sua efficacia retroattiva a partire dal 1° gennaio 2001. Nel medesimo pronunciamento,inoltre, l’Amministrazione ha fornito chiarimenti sul concetto di “utilizzazione edificatoria dell’area” e sull’accezione di “piani urbanistici particolareggiati,comunque denominati, regolarmente approvati”. Per quanto riguarda il concetto di “utilizzazione edificatoria dell’area” che, secondo le prescrizioni dell’art. 33deve avvenire, pena la decadenza dai benefici fiscali, “entro cinque anni dal trasferimento”, è stato precisato che, quando l’acquisto riguardi un’area, la condizionedi cui sopra viene soddisfatta attraverso la realizzazione, entro lo stesso termine temporale, di un “edificio significativo dal punto di vista urbanistico”,intendendosi come tale, secondo l’art. 2645 bis, comma 6 del Codice Civile, il “rustico comprensivo delle mura perimetrali delle singole unità e della copertura”(ai sensi dell’art. 31, comma 2, della legge 47/1985 “si intendono ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura”). Sulladecadenza delle agevolazioni in caso di cessione del terreno prima del termine di cinque anni dall’acquisto, ma in presenza di utilizzo edificatorio (da partedell’avente causa o comunque da un terzo) si registrano accesi dibattiti dottrinali e diversi orientamenti giurisprudenziali: vedasi TESTA, Cessioni di aree soggettea piani particolareggiati. Ipotesi di decadenza dalle agevolazioni fiscali, in Il Fisco 2008-1, pag. 2502, con numerosi ulteriori riferimenti, nonché tra le numerosepronunce in materia le sentenze: Comm. Trib. di Ravenna, n. 222 del 14 dicembre 2005, e Comm. Trib. di Treviso, n. 99/01/07 del 12 settembre 2007 (a favoredella tesi della non decadenza), Comm. Trib. di Verona, n. 74 del 22 maggio 2007 (a favore della decadenza).Nel caso in cui, invece, il trasferimento agevolato abbia ad oggetto “l’acquisto di un fabbricato”, la condizione “dell’utilizzazione edificatoria dell’area” deveintendersi estesa, ad avviso dell’Agenzia delle Entrate, “all’area di sedime del fabbricato”, comportando la necessità che l’intervento da realizzare entro i cinqueanni dal trasferimento consista nella “demolizione e successiva integrale ricostruzione dell’immobile”. L’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate appareindubbiamente restrittiva, in quanto limita la fruibilità del regime fiscale agevolato ai soli casi di acquisto di un fabbricato che, secondo le prescrizioni urbanistichecontenute nei piani attuativi del piano regolatore generale, debba essere demolito e poi ricostruito, escludendo in tal modo l’applicabilità del beneficio fiscale agliacquisti di fabbricati che risultino, ad esempio, solo da ristrutturare, seppure integralmente. Con particolare riferimento a quest’ultimo aspetto lo Studio n. 2/2001/T della Commissione Studi Tributari del Consiglio Nazionale del Notariato ha precisato che: “Vi rientrano certamente gli interventi di cui alle lettere d) ed e)dell’art. 31 della legge 5 agosto 1978 n. 457 (ristrutturazione edilizia e urbanistica), mentre è da ritenersi escluso quello previsto dalla lettera c) (restauro orisanamento conservativo), ed ovviamente – a maggior ragione – quelli di cui alle lettere a) e b) (manutenzione ordinaria e straordinaria)”.Nell’ambito della stessa circolare l’Agenzia delle Entrate ha ribadito che sotto l’accezione “piani urbanistici particolareggiati, comunque denominati, regolar-mente approvati” rientrano sia i piani ad iniziativa pubblica, sia quelli ad iniziativa privata attuativi del piano regolatore generale, quali ad esempio i piani dilottizzazione. Su tale concetto meritano di essere richiamati gli ampi riferimenti riportati nel già citato Studio del Notariato n. 2/2001/T, secondo cui i piani dilottizzazione, alla luce della giurisprudenza amministrativa, sono equiparati ai piani particolareggiati, mentre, la giurisprudenza della Cassazione tende a farprevalere l’aspetto contrattuale della convenzione di lottizzazione. Sotto tale aspetto, sia la migliore dottrina sia l’Amministrazione Finanziaria hanno qualificatoi piani di lottizzazione come strumenti idonei al verificarsi del presupposto dell’agevolazione in oggetto; non sono mancate, in ogni caso, contrarie pronunce,peraltro isolate, della giurisprudenza tributaria che hanno ritenuto di limitare l’applicazione dell’agevolazione ai piani di iniziativa pubblica sulla base di un presuntoprincipio di unicità dell’ordinamento che, nella fattispecie, impedirebbe il ricorso all’analogia in quanto il favor legis sarebbe limitato ai predetti piani (vedisentenza della Commissione Tributaria Regionale di Venezia n. 17/33/05 del 26 aprile 2005, citata da REBECCA, in Piani particolareggiati, aree lottizzate e areegià urbanizzate: agevolazione dell’imposta di registro, in Il Fisco, 2008-1, p. 2877 e seguenti).L’interpretazione contenuta nelle varie circolari emanate dall’Agenzia delle Entrate è stata, poi, confermata a livello normativo dall’art. 2, comma 30, della legge24 dicembre 2003, n. 350, con il quale è stato stabilito che “nell’ipotesi di piani di iniziativa privata, comunque denominati, le agevolazioni fiscali di cuiall’articolo 33, comma 3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, si applicano, in ogni caso, a seguito della sottoscrizione della convenzione con il soggettoattuatore”. Il D.L. 4 luglio 2006, n. 223, all’art. 36, comma 15, nella sua originaria versione, aveva soppresso l’art. 33 comma 3, della L. n. 388/2000. Insede di conversione in legge (L. 4 agosto 2006, n. 248), l’agevolazione è stata ripristinata limitatamente ai trasferimenti di immobili inseriti “in piani urbanisticiparticolareggiati diretti all’attuazione dei programmi prevalentemente di edilizia residenziale convenzionata pubblica, comunque denominati, realizzati inaccordo con le amministrazioni comunali per la definizione dei prezzi di cessione e dei canoni di locazione …”.Con il predetto provvedimento l’ambito di applicazione dell’imposta di registro agevolata dell’1% era stato notevolmente ridotto, limitandolo alle seguentifattispecie:- trasferimenti di immobili inseriti in piani urbanistici particolareggiati;- tali piani particolareggiati dovevano essere diretti all’attuazione dei programmi prevalentemente di edilizia residenziale convenzionata pubblica;- tali programmi dovevano essere realizzati in accordo con le amministrazioni comunali per la definizione dei prezzi di cessione e dei canoni di locazione.Il regime agevolato di cui al punto precedente è stato poi ulteriormente modificato dalla L. 27 dicembre 2006, n. 296.L’art. 1, comma 306, ha sostituito, con decorrenza 1° gennaio 2007, le parole “edilizia residenziale convenzionata pubblica”, dell’art. 36, comma 15, del D.L.n. 223/2006, con le parole “edilizia residenziale convenzionata”. Un importante requisito richiesto dalla “manovra estiva” al fine di fruire dell’agevolazione erastato l’inserimento dei programmi nell’ambito dell’edilizia residenziale convenzionata pubblica. Successivamente, l’aggettivazione “pubblica” è stata soppressa;così facendo, sono rientrate “nell’ambito applicativo della norma agevolativa anche le ipotesi traslative di immobili siti in aree soggette a piani urbanisticiparticolareggiati, attuativi di politiche di espansione dell’edilizia residenziale anche privata, ma sottoposte a convenzionamento con la pubblica amministrazio-ne” (Il Notariato, Commissione Studi tributari, Studio n. 64/2007/T). Ulteriore requisito necessario era l’accordo con l’amministrazione comunale in ordine alladefinizione dei prezzi di cessione e dei canoni locativi degli immobili oggetto di intervento edilizio. A tal riguardo si segnala come “attraverso il convenzionamentosi realizza un controllo pubblico sui prezzi di vendita e di locazione degli immobili, al fine di pervenire allo sganciamento dell’attività imprenditoriale ediliziadalla rendita fondiaria: …non si ha pertanto una semplice edilizia libera agevolata, bensì un’edilizia privata condizionata dalla p.a. attraverso forme dicontrollo della produzione…,della gestione… e dei prezzi (prezzi di vendita e canoni locativi)” (Fiale, Diritto Urbanistico, Napoli, p. 667-668).

e giurisprudenziale – fatto di previsioni originarie, interpretazioni au-tentiche, pronunce dell’Amministrazione Finanziaria, della dottrina,della giurisprudenza e poi ancora di revisioni, modifiche e assesta-menti legislativi71 –, il regime tributario dei trasferimenti di immobilicompresi in piani urbanistici particolareggiati, con la novella intro-

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dotta dalla Finanziaria 2008, è stato inserito “a regime72” sia ai finidell’imposta di registro, sia ai fini dell’imposta ipotecaria73 .Il lungo e complesso processo che ha portato alle citate disposizionidi cui alla Finanziaria 2008 ha evidenziato notevoli problematiche emotivi di rinvio interpretativo e applicativo dalla normativa tributariaa quella urbanistica74. Fin dall’introduzione di tali disposizioni, il prin-cipio ispiratore dell’intervento del legislatore è stato individuato nel-l’utilizzo della leva fiscale a fini di incentivo alla realizzazione delleprevisioni dei piani urbanistici attuativi in generale, mediante l’atte-nuazione dell’incidenza del peso fiscale nel momento di acquisizionedegli immobili oggetto degli interventi75.Il punto focale della disciplina, già agevolativa ed ora a regime, èsenz’altro l’ambito oggettivo, che l’evoluzione normativa ha inizial-mente individuato nei “… beni immobili in aree soggette a pianiurbanistici particolareggiati, comunque denominati, regolarmen-te approvati ai sensi della normativa statale o regionale…”76, perpoi precisare che “nell’ipotesi di piani attuativi di iniziativa priva-ta, comunque denominati, le agevolazioni fiscali … si applicano,in ogni caso, a seguito della sottoscrizione della convenzione conil soggetto attuatore….”77; successivamente ancora, l’ambito, purrimanendo riferito ai piani urbanistici particolareggiati, è stato circo-scritto in funzione della destinazione degli stessi (“piani direttiall’attuazione dei programmi prevalentemente di edilizia residen-ziale convenzionata pubblica”, poi solo “convenzionata” e nonpiù “pubblica”78); ora il più recente riferimento normativo (a regime)è “agli immobili compresi in piani urbanistici particolareggiatidiretti all’attuazione dei programmi di edilizia residenziale co-munque denominati”79, rispetto al quale le riflessioni di tipo giuridi-co–operativo nell’ambito di questo lavoro riguardano:a) l’ampia definizione di “piani urbanistici particolareggiati, co-munque denominati”;b) l’assenza di specifiche indicazioni in merito al momento pro-cedurale rilevante ai fini del trattamento tributario in questione.Quanto alla definizione di piano urbanistico particolareggiato, l’Am-ministrazione Finanziaria80 e la dottrina più autorevole81, pur ricono-scendone la non agevole interpretazione, hanno evidenziato i riferi-menti sia ai piani di iniziativa pubblica, previsti dall’art. 13 e seguentidella “vecchia” legge urbanistica 1150/1942, sia a quelli di iniziativaprivata aventi caratteristiche di attuazione ed esecutività del pianoregolatore generale (quali, tipicamente, i piani di lottizzazione, i pianidi zona, i piani per l’edilizia economica e popolare, i piani di recupero)82.Risulta pertanto doveroso, ancora una volta, richiamarsi alle nozioni

di diritto urbanistico, con l’annotazione – di assoluto rilievo – che nelprocesso interpretativo ai fini fiscali è sempre stata valorizzata e sot-tolineata l’idoneità degli strumenti stessi, variamente denominati, aperseguire interessi pubblici, in quanto espressione e frutto di unapartecipazione attiva dell’ente al procedimento di loro formazione;partecipazione che si concretizza o nell’iniziativa diretta del piano onella stipula della convenzione. Così molto significativa appare, aifini che qui ci interessano, una nota formulata dall’Agenzia delleEntrate83 a favore della non assimilazione di un “piano di interventoper lo sviluppo di un comparto edificabile” rispetto ad uno stru-mento urbanistico, nel senso voluto dalla normativa in esame, inquanto perfezionatosi con un mero atto d’obbligo unilaterale sotto-scritto da più comproprietari di un’area al solo fine di ottenere ilrilascio di un unico permesso di costruire per l’intero comparto; inaltri termini, e qui sta la rilevanza, il predetto piano non è stato consi-derato come piano particolareggiato, nel senso fatto proprio e volutodel legislatore fiscale, in quanto la relativa procedura amministrativadi formazione ne ha fatto dedurre la connotazione di strumento fina-lizzato alla regolamentazione dell’esercizio del diritto ad edificare,anziché del potere di governo del territorio.Sempre in tal senso, peraltro, la prassi operativa di molti uffici testi-monia dell’applicazione dei benefici fiscali per trasferimenti di immo-bili compresi anche in semplici “comparti” con modesti interventi diriassetto e urbanizzazione, purché convenzionati, mentre analogherichieste di agevolazioni non vengono accettate pur in presenza dianaloghi o anche più consistenti interventi della medesima naturaoggettiva, ma dovuti per effetto di iniziative giuridicamente unilatera-li e pertanto prive del suggello procedurale sopra richiamato.Il secondo ordine di riflessioni ci porta a dover qualificare l’evoluzio-ne normativa dall’originario riferimento agli strumenti “regolarmen-te approvati ai sensi della normativa statale o regionale”84, al suc-cessivo richiamo all’ “edilizia convenzionata”85, fino all’attuale com-pleta assenza di specifiche indicazioni relativamente al momento dirilevanza procedurale ai fini fiscali86.Sotto questo profilo la chiara e letterale condizione originaria del-l’”approvazione” del piano escludeva alla radice la possibilità chel’agevolazione potesse applicarsi fin dalla semplice adozione del pia-no stesso87; tanto più che i riferimenti normativi ed interpretativi suc-cessivi88 avevano dato rilevanza al momento della “convenzione”,tipico atto finale o comunque esecutivo/attuativo nell’ambito del-l’iter procedurale in materia89.Al contrario, dall’assenza di specifici attuali riferimenti normativi let-

72 Sulla significatività della tecnica legislativa utilizzata, vedasi anche il paragrafo 2.4 del “Quaderno”.73 Vedasi i riferimenti normativi estensivamente riportati al paragrafo 2.4 del “Quaderno”.74 Richiamando la precedente nota 1, si pensi alle problematiche in materia di definizione di piani urbanistici particolareggiati, comunque denominati, e del concettodi utilizzazione edificatoria dell’area.75 Così MUCCARI, I trasferimenti di immobili in aree soggette a piani urbanistici particolareggiati, in Corriere Tributario n. 16/2001, pag. 1178, nonché DELFEDERICO, Agevolazioni per l’acquisto di immobili a fini edificatori e rivendita degli stessi prima dell’edificazione entro il quinquennio successivo al trasferi-mento, in Il Fisco n. 10/2005-1, pag. 1456.Per un esame del convulso iter parlamentare che ha portato all’approvazione della norma originaria si veda la nota 2 dello Studio del Consiglio Nazionale delNotariato n. 2/2001/T.76 Art. 33, c. 3, Legge 388/2000; vedi precedente nota 1.77 Art. 2, c. 30, Legge 350/2003; vedi precedente nota 1.78 Art. 1, c. 306, Legge 296/2006.79 Art. 1, c. 25, Legge 244/2007; vedi precedente nota 1; sul requisito dei programmi di edilizia residenziale, comunque denominati, si è pronunciata anche Assonime,con circolare n. 5 del 24 gennaio 2008, secondo cui la previsione deve essere letta nel senso che la condizione va riferita all’attuazione dei piani nei quali lacostruzione di abitazioni sia almeno “prevalente” rispetto ad altra tipologia di immobili. Devono ritenersi esclusi, invece, i piani destinati, esclusivamente oprevalentemente, alla realizzazione di insediamenti produttivi, industriali, commerciali o artigianali. Nel senso del concetto di “prevalenza” si veda anche larelazione accompagnatoria della Legge Finanziaria 2008.80 Circolare 30 gennaio 2002 n. 9/E e Risoluzione 22 dicembre 2005 n. 175/E.81 PETRELLI, Agevolazioni per l’acquisto di immobili a fini di utilizzo edificatorio, in Studio n. 2/2001/T, Consiglio Nazionale del Notariato.82 Vedasi, in tal senso, quanto già riportato al paragrafo 2.4 del “Quaderno”.83 Risoluzione n. 175/E del 22 dicembre 2005.84 Art. 33, c. 3, Legge 388/2000.85 Art. 36, c. 15, D.L. n. 223 del 4 luglio 2006, convertito in Legge 4 agosto 2006, n. 248.86 Si parla, infatti, di “immobili compresi in piani urbanistici particolareggiati … “.87 Così GIUNCHI, MASTROIACOVO, PODETTI, Il regime tributario dei trasferimenti di immobili compresi in piani urbanistici particolareggiati, in Studio n. 18/2008/T del Consiglio Nazionale del Notariato.88 Vedasi le precedenti note 1 e 5.89 Secondo la Commissione Provinciale di Pescara (sentenza n. 3 del 15 aprile 2008, in Il Fisco n. 24-2008/1, pag. 4355, con nota di DEL FEDERICO),l’applicazione dei benefici ex art. 33, c. 3, richiedeva che l’immobile fosse compreso in aree facenti parte di piani urbanistici particolareggiati, debitamenteapprovati in base alle leggi statali e regionali e che l’utilizzazione edificatoria avvenisse entro 5 anni; non venivano richiesti, quali ulteriori condizioni, né il rilasciodel permesso di costruire né la stipula della convenzione con il Comune stesso. Così anche la Commissione Tributaria Provinciale di Treviso, con sentenza n. 9 del1° aprile 2005.Sempre sul medesimo tema, si segnala altresì la problematica inerente la spettanza o meno dell’agevolazione in presenza di una convenzione dilottizzazione stipulata oltre i dieci anni precedenti dall’atto di trasferimento e sul quale comunemente l’Agenzia invoca la decadenza per intervenuta decorrenzadel termine decennale; la Commissione Tributaria Provinciale di Treviso, con sentenza n. 57 del 19 ottobre 2005, ha ritenuto ammissibile l’agevolazione anchein tale ipotesi.

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terali, autorevole dottrina90 ha assegnato l’idoneità di presuppostoagevolativo alla semplice “adozione” del piano, rilevando altresì lanon necessità dell’apposita convenzione (laddove prevista).La focalizzazione sul momento dell’adozione del piano è evidente-mente “figlia” della nuova definizione di area fabbricabile introdottadal D.L. 223/0691.Sotto un profilo generale, però, non si può mancare di sottolinearecome la richiamata norma di interpretazione autentica abbia ambiti efinalità di applicazione decisamente diversi rispetto a quelli della nor-mativa sui piani particolareggiati; potrebbe, invero, richiamarsi il con-cetto di simmetria dell’una rispetto all’altra, ma è evidente la disparitàdi riferimenti: nel primo caso lo stato del procedimento (l’adozione)rileva per la maturazione di un presupposto impositivo (la destina-zione urbanistica) in quanto di per sé elemento costitutivo e/o espres-sivo di una determinata capacità contributiva; nel secondo caso,invece, la ricerca del “momento rilevante” assume importanza ai “soli”fini dell’individuazione di una fattispecie impositiva che, seppur aregime, è comunque espressione di un favor legislativo92; una carat-terizzazione, pertanto, da leggersi in termini di norma “speciale”, ri-spetto alla quale mal si prestano concetti generali come quello volu-to dalla richiamata norma di interpretazione autentica93.Un’ulteriore riflessione in materia viene indotta dall’analisi dell’evo-luzione storico-interpretativa sulla rilevanza, ai fini fiscali, del proce-dimento amministrativo in materia urbanistica, laddove si è richiama-to il concetto di strumento urbanistico “perfezionato”94.La stessa norma che pone la condizione di definitiva spettanza del-l’aliquota ridotta, nel letterale riferimento al “completamento dell’in-tervento cui è finalizzato il trasferimento”95, porta a valorizzare ilcollegamento biunivoco tra, da una parte, l’atto in sé e per sé e,dall’altra, non tanto il piano quanto l’intervento previsto da quelpiano; in altri termini il trattamento voluto dal legislatore sembralegato allo scopo dello strumento urbanistico (tant’è che la decaden-za è legata al mancato completamento dell’intervento) e non già allaforma del piano stesso, cosicché sembra più plausibile ritenere che ilmonitoraggio successivo al trasferimento non possa che avere adoggetto un piano perfezionato e non solo adottato.Sul concetto di perfezionamento, poi, si aprono degli ulteriori scenaridi possibili definizioni che coinvolgono i momenti dell’approvazione

90 Si veda lo Studio n. 18-2008/T citato alla precedente nota n. 17; così anche DEL FEDERICO, nella nota a sentenza richiamata nella precedente nota n. 19 eAMENDOLA, L’imposta ipotecaria nei trasferimenti di immobili strumentali effettuati da soggetti passivi IVA, in Il Fisco 2009-1, pag. 1525, nota n. 39.91 Si veda il capitolo 1.1 del “Quaderno”.92 L’impostazione strutturale “a regime” voluta dal legislatore non sembra infatti contraddire il carattere di agevolazione fiscale in senso tecnico della norma inoggetto; in tal senso si possono richiamare le varie casistiche – soprattutto in materia di IVA – nelle quali l’adozione di un tale schema legislativo comportal’introduzione di regimi sostanzialmente agevolativi nell’ambito della disciplina base del tributo; vedi LA ROSA, Le agevolazioni tributarie, in Trattato di dirittotributario, diretto da Amatucci, I, 1, 1994, p. 401.93 Devesi comunque rilevare un certo orientamento dottrinale critico verso il principio (prevalente in giurisprudenza) dell’inapplicabilità per analogia delleagevolazioni fiscali: vedasi, in particolare, MOSCHETTI-ZENNARO, Agevolazioni fiscali, in Digesto, IV ed., 1988, I, p. 84; LA ROSA, Le agevolazionitributarie, op. cit., p. 405.Sotto il profilo funzionale, si ha un’agevolazione fiscale e non una minore tassazione nell’ambito della disciplina ordinaria di un dato tributo, quando il trattamentodi favore è motivato da ragioni extrafiscali, ossia che prescindono dai criteri di ripartizione e di concorso alla spesa pubblica cui ogni cittadino è tenuto ex art. 53della Costituzione (vedasi LA ROSA, Le agevolazioni tributarie, op. cit., p. 401 ss.). Su tale carattere si fonda la critica di quell’orientamento giurisprudenziale(vedasi Cass, 8 ottobre 1997, n. 9760, in Comm.Trib., 1998, II, p. 95; Cass. 27 febbraio 1997, n. 1763, in Mass. Foro it., 1997; Cass, 9 agosto 1990, n. 8111,in Foro it., 1990, I, c. 3419; Cass. 24 luglio 1989, n. 3496, in Foro it., 1990, I, c. 1626), secondo il quale le norme che prevedono agevolazioni tributarie,qualificandosi come in deroga al principio di capacità contributiva, sono suscettibili esclusivamente di interpretazione estensiva e non di applicazione analogica.Sotto il profilo strutturale, si ritengono indici dell’esistenza di un’agevolazione fiscale in senso tecnico, la presenza di limiti temporali o territoriali di efficacia,la collocazione della norma in testi unici dedicati ad agevolazioni fiscali – ad es. il D.P.R. n. 601/73, n.d.r. -, la configurazione della disciplina come derogatoriae l’interessamento dal punto di vista agevolativo di più tributi contemporaneamente.94 Argomento trattato al paragrafo 1.6 del “Quaderno”.1 Art. 1, c. 25, Legge 244/2007. Secondo Assonime, con circolare n. 5 del 24 gennaio 2008, questo momento si riferisce all’ultimazione dei lavori e non già – comeinvece ritenuto dall’Agenzia delle Entrate con circolare 11/E/2002 in merito all’art. 33, c. 3, Legge 388/2000 – ad un edificio “significativo” dal punto di vistaurbanistico. Per inciso, l’attuale formulazione della norma (che, come già rilevato, non contiene più alcun riferimento all’utilizzo edificatorio dell’area, ma ponecome condizione “il completamento dell’intervento”) sembra poter estendere il suo ambito “non soltanto ai fabbricati non ultimati ma anche a quelli oggetto disuccessiva integrale ristrutturazione” (così SMALDINI, Immobili compresi in piani urbanistici particolareggiati. Trasferimento, in La settimana fiscale, n. 24/2008, pag. 19). Quanto al concetto di completamento dell’intervento, in assenza di specifiche indicazioni sulla norma, l’Agenzia delle Entrate, sia pure in meritoad argomenti diversi, si è già espressa con circolare n. 12/E del 1° marzo 2007, par. 10, secondo cui:a) l’intervento di costruzione o ristrutturazione si deve ritenere ultimato “con riferimento al momento in cui l’immobile sia idoneo ad espletare la suafunzione ovvero sia idoneo ad essere destinato al consumo”;b) nel caso di costruzione si deve ritenere “ultimato l’immobile per il quale sia intervenuta da parte del direttore dei lavori l’attestazione dell’ultimazionedegli stessi, che di norma coincide con la dichiarazione da rendere in Catasto”; in assenza di formale attestazione di fine lavori si deve comunque ritenere ultimatol’intervento laddove il fabbricato sia concesso in uso a terzi.96 Si vedano il paragrafo 3.1 del “Quaderno” e la nota 1 del presente paragrafo 3.4.97 Vedasi così anche AMENDOLA, L’imposta ipotecaria nei trasferimenti di immobili strumentali, op. cit., pag. 1526.98 L’art. 5 della legge 22 aprile 1982, n. 168 prevede che “nell’ambito dei piani di recupero di iniziativa pubblica, o di iniziativa privata purché convenzionati, dicui agli artt. 27 e seguenti della L. 5 agosto 1978, n. 457, ai trasferimenti di immobili nei confronti dei soggetti che attuano il recupero, si applicano le impostedi registro, catastali e ipotecarie in misura fissa. Nello stesso ambito le permute sono esenti dall’imposta sull’incremento del valore degli immobili e sono soggettealle imposte di registro, catastale e ipotecaria in misura fissa”; sullo specifico argomento si veda lo Studio del Consiglio Nazionale del Notariato (estensoreMONTELEONE), Imposte di registro, ipotecarie e catastali: agevolazioni concernenti il recupero del patrimonio edilizio esistente, in C.N.N. Strumenti, voce1910, p. 13.1.

definitiva fino a quello della stipula della convenzione96, laddoveevidentemente prevista.La lettera della legge, anche e soprattutto in assenza di una specificadisposizione come quella di cui all’art. 2, comma 10, L. 350/2003, nonpare avvalorare l’orientamento già emerso con il vecchio regime diconsiderare la convenzione come elemento indispensabile, concen-trando invece l’attenzione sulla previsione oggettiva del piano e delsuo contenuto, rispetto al quale la convenzione stessa appare unelemento più esecutivo che deliberativo per la formazione di un tito-lo giuridico.Un’ultima ulteriore riflessione viene indotta da una lettura sistemati-ca, complessiva e relazionale delle due nuove disposizioni a regimein materia, rispettivamente, di imposta di registro (il comma 25 dell’art.1, L. 244/2007) e di imposta ipotecaria (il successivo comma 26); datale lettura si deduce che la “condizione” del completamento dell’in-tervento (con i relativi aspetti di rilevanza oggettiva dello stesso) èstata pensata e voluta dal legislatore unicamente ed esclusivamenteper l’imposta di registro (il comma 25) e non anche per l’impostaipotecaria (il comma 26)97.

3.5. Piani di recupero e agevolazioni in materia di imposta diregistro: il difficile rapporto tra la “statica” normativa specialetributaria e la “dinamica” normativa urbanistica.Nell’ambito del rapporto di interdipendenza tra norme fiscali da unaparte e norme urbanistiche dall’altra, assume frequentemente rilievola diversa dinamica evolutiva delle due discipline; così, se è notorioconsiderare l’ordinamento tributario in sistematico sviluppo, apparequanto meno inusuale affrontare delle problematiche in cui è propriola norma fiscale a dover essere letta, interpretata ed applicata suistituti e fattispecie di nuova previsione evolutiva in un diverso cam-po (nella fattispecie quello urbanistico) dell’ordinamento giuridico.Questa esigenza di coordinamento porta con sé la necessità di indi-viduare ambiti, definizioni e caratteristiche delle nuove previsioniurbanistiche al fine di consentire l’ “aggancio” applicativo con altrenorme, rimaste temporalmente legate a diversi e più datati riferimenti.Un esempio di tali complesse problematiche è rappresentato dal rap-porto tra le previsioni di cui all’art. 5 della L. 168/8298 ed i nuoviistituti urbanistici frutto dell’incessante evoluzione normativa in

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materia; l’esperienza applicativa ha reso complesso il collegamentotra, da una parte, “i piani di recupero di iniziativa pubblica, o diiniziativa privata purché convenzionati, di cui agli articoli 27 eseguenti della legge 5 agosto 1978, n. 457” (così letteralmente ri-chiamati dal citato art. 5 L. 168/82) e, dall’altra, gli strumenti compresitra le numerose forme di piani particolareggiati previste dalla soprav-venuta normativa urbanistica il cui ambito spesso si sovrappone, perfinalità e caratteristiche, ai piani di recupero medesimi.Sotto il profilo fiscale, il rapporto tra le due fattispecie di strumentiattuativi risulta evidentemente decisivo ai fini dell’applicazione omeno della norma di favore del predetto art. 5 L. 168/82 in luogo dellanorma più generale che, salva la presenza anche degli altri presuppo-sti, richiama i piani particolareggiati99.Con un significativo intervento sulla specifica questione100, l’Agen-zia delle Entrate ha sviluppato le proprie determinazioni sulla base divalutazioni ed argomentazioni di tipo eminentemente urbanistico,valorizzando gli ambiti e le finalità specifiche degli strumenti attuativirichiamati dalla norma fiscale; così il “piano di recupero” di cui alla L.168/82 è stato definito “strumento più complesso rispetto al pianoparticolareggiato dovendo, a differenza di quest’ultimo, valutarela compatibilità del tessuto preesistente con le nuove esigenze ur-banistiche e potendo rivedere, quindi, l’assetto urbanistico con adesempio differente distribuzione dei lotti, reperimento di aree diinteresse pubblico, riassetto delle vie di comunicazione. Tali carat-teristiche del piano di recupero emergono in modo chiaro dagliarticoli dal 27 al 31 della più volte citata legge n. 457, ove èripetutamente sottolineata la relazione tra piano di recupero, pa-trimonio edilizio e interventi preordinati alla conservazione, alrisanamento, alla ricostruzione e alla migliore utilizzazione delpatrimonio stesso”; inoltre, pur riconoscendone la natura di pianoparticolareggiato, “il piano di recupero opera su specifici fronti,diversi da quelli interessati dagli altri piani particolareggiati. In-fatti, il primo riguarda zone in cui esiste già un tessuto urbanistico– edilizio che deve essere recuperato, mentre gli altri si riferisconoad aree di espansione urbanistica”.

Nel caso specifico, l’Amministrazione Finanziaria ha concluso perl’applicabilità della norma sui piani di recupero in quanto “costitui-sce, per la particolare finalità, norma speciale rispetto a quella diregime …” relativa ai piani particolareggiati.Da questi principi generali, sotto il profilo pratico-operativo, derivamolto spesso la necessità/opportunità di individuare, all’interno dideterminati strumenti urbanistici attuativi, variamente denominati ecomunemente complessi, l’assimilabilità o meno, totale o parziale,agli interventi di recupero di cui agli artt. 27 e 28, L. 457/78101; ciò inragione e al fine dell’applicabilità del particolare regime di favore dicui all’art. 5, L. 168/82, in presenza di strumenti urbanistici che pre-sentano caratteristiche e finalità non solo o comunque non perfetta-mente inquadrabili tra quelle tipiche dei “piani di recupero”.Tale valutazione necessita, evidentemente, del compimento di unesame concreto delle fattispecie progettuali previste dai rispettivipiani secondo una logica giuridico-normativa.Richiamandoci, ad esempio, alla fattispecie complessa e significati-va dei P.I.R.U.E.A., in relazione alla normativa urbanistica regionaledel Veneto102, devesi segnalare che, ancorché la normativa stessa(art. 19, comma 1, L.R. 11/2004) definisca e faccia rientrarenell’elencazione dei “Piani Urbanistici Attuativi” sia, sub d), il “pia-no di recupero di cui all’articolo 28 della legge 5 agosto 1978 n.457 …”, sia, sub f), il “programma integrato” (e quindi ilP.I.R.U.E.A.), non c’è dubbio che il contenuto del P.I.R.U.E.A. siaestremamente più vasto e complesso di quello del “Piano diRecupero”, in quanto mentre quest’ultimo ha finalità esclusivamen-te urbanistico-edilizia, il programma integrato ha finalità ben più va-sta, essendo stato concepito come strumento di politicaprogrammatoria in materia urbanistica. In tal senso: “il programmaintegrato d’intervento ex art. 16, L. 17 febbraio 1992, n. 179, vadistinto dal piano di recupero di cui all’art. 28, L. 5 agosto 1978,n. 457, avendo come finalità primaria quella di convogliare l’ini-ziativa pubblica e quella privata verso obiettivi di riqualificazioneambientale attraverso forme miste di finanziamento privato, regio-nale e statale, che trascendono i limiti della scelta urbanistica”103.

99 Cfr. i i paragrafi 2.4 e 3.4 del “Quaderno”.100 Risoluzione n. 383 dell’11 dicembre 2002.101 L’art. 27 della legge 5 agosto 1978 n. 457 così recita:“I comuni individuano, nell’ambito degli strumenti urbanistici generali, le zone ove, per le condizioni di degrado, si rende opportuno il recupero del patrimonioedilizio ed urbanistico esistente mediante interventi rivolti alla conservazione, al risanamento, alla ricostruzione e alla migliore utilizzazione del patrimonio stesso.Dette zone possono comprendere singoli immobili, complessi edilizi, isolati ed aree, nonché edifici da destinare ad attrezzature. Le zone sono individuate in sededi formazione dello strumento urbanistico generale ovvero, per i comuni che, alla data di entrata in vigore della presente legge, ne sono dotati, con deliberazionedel consiglio comunale sottoposta al controllo di cui all’articolo 59 della legge 10 febbraio 1953, n. 62. Nell’ambito delle zone, con la deliberazione di cui alprecedente comma o successivamente con le stesse modalità di approvazione, possono essere individuati gli immobili, i complessi edilizi, gli isolati e le aree per iquali il rilascio della concessione è subordinato alla formazione dei piani di recupero di cui al successivo articolo 28. Per le aree e gli immobili non assoggettati alpiano di recupero e comunque non compresi in questo si attuano gli interventi edilizi che non siano in contrasto con le previsioni degli strumenti urbanistici generali.Ove gli strumenti urbanistici generali subordinino i rilascio della concessione alla formazione degli strumenti attuativi, ovvero nell’ambito delle zone destinate aservizi i cui vincoli risultano scaduti, sono sempre consentiti, in attesa di tali strumenti urbanistici attuativi, gli interventi previsti dalle lettera a), b), c) e d) delprimo comma dell’articolo 31 che riguardino singole unità immobiliari o parti di esse. Inoltre sono consentiti gli interventi di cui alla lettera d) del primo commadell’articolo 31 che riguardino globalmente uno o più edifici anche se modifichino fino al 25 per cento delle destinazioni preesistenti purché il concessionario siimpegni, con atto trascritto a favore del comune e a cura e spese dell’interessato, a praticare , limitatamente alla percentuale mantenuta ad uso residenziale, prezzidi vendita e canoni di locazione concordati con il Comune ed a concorrere negli oneri di urbanizzazione ai sensi della legge 28 gennaio 1977, n. 10, e successivemodificazioni.Secondo l’art. 28 della medesima legge “I piani di recupero prevedono la disciplina per il recupero degli immobili, dei complessi edilizi, degli isolati e delle areedi cui al terzo comma del precedente art. 27, anche attraverso interventi di ristrutturazione urbanistica, individuando le unità minime di intervento.I piani di recupero sono approvati con la deliberazione del consiglio comunale con la quale vengono decise le opposizioni presentate al piano, ed hanno efficaciadal momento in cui questa abbia riportato il visto di legittimità di cui all’art. 59 della legge 10 febbraio 1953, n. 62.Ove la deliberazione del consiglio comunale di cui al comma precedente non sia assunta, per ciascun piano di recupero, entro tre anni dalla individuazione cui al terzocomma del precedente art. 27, ovvero non sia divenuta esecutiva entro il termine di un anno dalla predetta scadenza, l’individuazione stessa decade ad ogni effetto.In tal caso, sono consentiti gli interventi edilizi previsti dal quarto e quinto comma del precedente art. 27.Per quanto non stabilito dal presente titolo si applicano ai piani di recupero le disposizioni previste per i piani particolareggiati dalla vigente legislazione regionalee, in mancanza, da quella statale.

I piani di recupero sono attuati:a) dai proprietari singoli o riuniti in consorzio o dalle cooperative edilizie di cui siano soci, dalle imprese di costruzione o dalle cooperative edilizie cui i proprietario i soci abbiano conferito il mandato all’esecuzione delle opere, dai condomini o loro consorzi, dai consorzi fra i primi ed i secondi, nonché dagli IACP o loroconsorzi, da imprese di costruzione o loro associazioni temporanee o consorzi e da cooperative o loro consorzi;b) dai comuni, direttamente ovvero mediante apposite convenzioni con i soggetti di cui alla lettera a) nei seguenti casi:1) per gli interventi che essi intendono eseguire direttamente per il recupero del patrimonio edilizio esistente nonché, limitatamente agli interventi di rilevanteinteresse pubblico, con interventi diretti;2) per l’adeguamento delle urbanizzazioni;3) per gli interventi da attuare mediante cessione volontaria, espropriazione od occupazione temporanea, previa diffida nei confronti dei proprietari delle unitàminime di intervento, in caso di inerzia dei medesimi, o in sostituzione dei medesimi nell’ipotesi di interventi assistiti da contributo, La diffida può essere effettuataanche prima della decorrenza del termine di scadenza del programma pluriennale di attuazione nel quale il piano di recupero sia stato eventualmente incluso. I Comuni, sempre previa diffida, possono provvedere all’esecuzione delle opere previste dal piano di recupero, anche mediante occupazione temporanea, condiritto di rivalsa, nei confronti dei proprietari, delle spese sostenute. I Comuni possono affidare la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria ai proprietari singoli o riuniti in consorzio che eseguono gliinterventi previsti dal piano di recupero.102 Vedasi il paragrafo 1.5 del “Quaderno”.103 TAR del Lazio, Sez. I, 11 marzo 1998, n. 1000; sulla qualificazione del piano di recupero come strumento urbanistico sostanzialmente attuativo delle scelte delP.R.G. e quindi equivalente al piano particolareggiato, vedasi il paragrafo 1.4 del “Quaderno”.

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104 A volte comprendenti anche la creazione di nuove zone edificabili, mediante specifiche varianti al PRG.105 Cfr., ex multis, Cons. St., Sez. IV, 31 maggio 1999, n. 925.106 Ad esempio tramite apposite certificazioni e/o attestazioni che costituiscano parte integrante degli atti soggetti a registrazione.

Del resto, non a caso, nel testo dell’art. 19, c. 1, lettera f) il legislatoreveneto della L.R. 11/2004 ha ritenuto opportuno specificare, proprioa significare la particolare e diversa natura e portata del “programma”rispetto agli strumenti attuativi sopra ricordati nello stesso articolo19, ai punti a), b), c), d) ed e), quanto segue: “… in particolare ilprogramma integrato è lo strumento di attuazione della pianifica-zione urbanistica per la realizzazione coordinata, tra soggetti pub-blici e privati, degli interventi di riqualificazione urbanistica, edi-lizia ed ambientale. La riqualificazione si attua mediante il riordi-no degli insediamenti esistenti e il ripristino della qualità ambien-tale anche attraverso l’ammodernamento delle urbanizzazioni pri-marie e secondarie e dell’arredo urbano, il riuso di aree dismesse,degradate, inutilizzate, a forte polarizzazione urbana, anche con ilcompletamento dell’edificato”.La novità dei contenuti del “programma integrato” rispetto al piùdatato strumento del “piano urbanistico” è quindi evidente.Avendo ben presente il paradigma legale dell’art. 28, L. 457/78 (nor-ma che peraltro non può essere letta se non in combinato dispostocon quella del precedente art. 27), volto essenzialmente al recupero oriutilizzo di immobili esistenti e le concrete fattispecie progettuali deiP.I.R.U.E.A. pensati per prevedere interventi ben più complessi alivello urbanistico104, non vi è dubbio che solo determinati interventipotrebbero essere ritenuti oggetto di un “piano di recupero” ai sensidella L. 457/1978. Ed invero, non a caso, la giurisprudenza è concorde

nel ritenere “… illegittimo il piano di recupero che, in sostanzialesostituzione di un piano particolareggiato, riguardi un’area qua-si completamente inedificata e non immobili degradati”105.Tutto ciò premesso, si deve concludere che l’assimilazione ad un“Piano di Recupero”, con il conseguente trattamento tributario difavore, può essere effettivamente riconosciuta anche nella singolafattispecie operativa di strumenti attuativi complessi e disciplinatida norme sopravvenute, purché i relativi concreti interventi presen-tino caratteristiche tecnico-progettuali e urbanistico-normative talida poter formare oggetto di un vero e proprio Piano di Recupero.Quindi, concretamente, il regime di favore previsto dal “vecchio”art. 5, L. 168/1982, può e deve applicarsi anche in presenza di stru-menti attuativi non propriamente e formalmente definibili come Pianidi Recupero, a condizione che gli organi e soggetti aventi competen-za e qualificazione “tecnica” possano ravvisare e attestare le condi-zioni progettuali-normative sopra richiamate106.È evidente, in tal caso, l’intreccio tra normativa fiscale e normativaurbanistica, reso particolarmente complesso dall’evoluzione di que-st’ultima verso forme ed ambiti diversi da quelli a cui in origine si erariferito e si ispirava il legislatore fiscale; ma è proprio in quest’ultimoambito, reso ancora più complesso ed articolato dallo “scollamentotemporale”, che emerge la rilevanza, non solo formale, ma anche esoprattutto operativa, di un approccio alla concreta fattispecie concriteri e principi di interdisciplinarietà.

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di poter correttamente valutare il grado di comparabilità fra l’operazionecampione e l’operazione oggetto di verifica o, alternativamente, di disporredi eventuali aggiustamenti da apportare alla operazione campione al fine dipoter determinare una situazione di comparabilità.L’analisi di comparabilità è un passaggio fondamentale per la determinazio-ne del valore normale e coinvolge diversi aspetti della transazione. Ovvia-mente non ci si riferisce solo agli elementi oggettivi dei beni ceduti o deiservizi prestati, ma si dovranno considerare anche elementi quali le funzionisvolte dalle parti, i rischi sostenuti. gli assets utilizzati, i termini e le condizionicontrattuali, le circostanze economiche, le strategie commerciali, ecc… .

Il prezzo di rivendita (resale price method)Secondo tale metodo, il valore normale equivale al prezzo (di rivendita) alquale i beni o i servizi, che sono stati acquistati da parte di un soggettoappartenente al gruppo (il rivenditore), sono da esso stesso rivenduti adun soggetto indipendente, diminuito di un margine di utile lordo nel qualevanno compresi, oltre all’utile netto del rivenditore stesso anche i costisostenuti dal rivenditore per ogni funzione espletata inerente alla vendita.Anche in questo caso è possibile individuare una tipologia di prezzo dirivendita interno, ed una tipologia di prezzo di rivendita esterno.Nella prima tipologia, la comparazione viene fatta con la vendita ad unsoggetto terzo del bene o servizio precedentemente acquistato da un ce-dente facente parte del medesimo gruppo.Il criterio del prezzo di rivendita esterno trova, invece, applicazione nei casi incui il bene o il servizio venga previamente acquistato intragruppo e rivendutoad un soggetto sempre del gruppo il quale a sua volta non procede alla venditaa terzi ma solamente ad altre società del gruppo. In tale ipotesi, il margine di utiledeve essere determinato facendo riferimento al margine realizzato da un’impre-sa indipendente esercente attività similari in condizioni analoghe.

Il costo maggiorato (cost plus)Il metodo del costo maggiorato o cost plus considera innanzitutto i costisostenuti dal fornitore di beni (o servizi) nel corso di una transazioneintragruppo per beni trasferiti o servizi forniti ad un acquirente collegato.Viene poi aggiunta a detto costo un’ appropriata percentuale di ricaricosul costo di produzione (cost plus mark up), così da ottenere un utile ade-guato tenuto conto delle funzioni svolte e delle condizioni di mercato.Il cost plus mark up del fornitore, nel corso di una transazione controlla-ta, dovrebbe in teoria essere stabilito con riferimento al cost plus markup che lo stesso fornitore ottiene nel corso di transazioni comparabili sullibero mercato. Può servire da guida il cost plus mark up che sarebbestato ottenuto in transazioni comparabili da un’impresa indipendente.Anche in questo caso quindi, l’analisi di comparabilità risulta fondamentale.

Metodi alternativiDa quanto sin qui visto, appare chiaro che tutti i metodi “tradizionali”presuppongono sempre l’esistenza di prezzi tra loro confrontabili. I criteri“alternativi” si applicano invece laddove non vi sia tale comparabilità, epuntano alla ricostruzione dei prezzi di trasferimento ritenuti idonei utiliz-zando criteri cosiddetti “funzionali”, individuando nella “catena del valo-re” aziendale le diverse fasi di creazione del profitto.Ed in effetti, nella pratica possono verificarsi spesso delle situazioni in cuii criteri “di base” non trovano applicazione per diverse cause quali, adesempio, la mancanza di circostanze comparabili o la impossibilità di giun-gere ad un confronto attendibile tra la transazione controllata ed un’altraeffettuata tra soggetti terzi. Per incontrare l’esigenza degli operatori di de-finire comunque un prezzo di trasferimento congruo, sia l’OCSE che l’Am-ministrazione Fiscale italiana hanno previsto dei criteri alternativi, che an-dremo ad illustrare di seguito.Va comunque precisato che per l’Amministrazione Fiscale italiana questaelencazione non deve ritenersi tassativa, lasciando la possibilità al contri-buente di adottare un metodo di determinazione del valore normale diver-so, purché coerente e opportunamente documentato.

Metodi alternativi previsti dall’OCSEContrariamente al primo rapporto OCSE sui prezzi di trasferimento, la versio-ne del 1995 legittima pienamente l’adozione di metodi alternativi a quellitradizionali, sostenendo che il prezzo di libera concorrenza può esseredeterminato, teoricamente, non solo considerando le singole operazionied i relativi prezzi, ma anche basandosi sugli utili derivanti dalle transa-zioni medesime.In particolare, secondo il Rapporto OCSE del 1995, vi sono almeno altri due

metodi accettabili:

il “Profit Split Method”, ovvero metodo di “ripartizione dell’utile”, sibasa principalmente sulla determinazione dell’utile complessivamente con-seguito da una transazione controllata. Una volta individuato tale valore, ilmedesimo viene ripartito tra tutte le imprese associate, applicando un crite-rio di ripartizione in grado di riflettere il più oggettivamente possibile laripartizione degli utili che sarebbe stata prevista ed applicata da impreseindipendenti, secondo il principio di libera concorrenza.

Il “Transaction Net Margin Method”, basato, cioè, sul “margine nettodella transazione”, prende in considerazione il margine di profitto nettorealizzato con riferimento ad una base appropriata (di costi, di vendite,ecc.) che l’impresa realizza per il tramite di una transazione controllata.Va segnalato che, secondo l’OCSE, entrambi tali metodi dovrebbero co-munque essere utilizzati in via subordinata ed in situazioni eccezionali, incui la complessità dell’attività reale della società genera difficoltà pratichenell’applicazione dei metodi tradizionali sopra esaminati (ed in particolarenella comparazione del prezzo).

I metodi alternativi secondo l’Amministrazione Finanziaria italianaPossono essere così sinteticamente spiegati:

- Ripartizione dei profitti globali: tale metodo consiste nella ripartizio-ne dell’utile derivante da una vendita o da una serie di vendite effettuatetra le due imprese collegate. Gli utili sono, così, ripartiti proporzionalmen-te ai costi sopportati dalle due entità.

- Comparazione dei profitti: secondo tale criterio i profitti globali del-l’impresa vengono comparati con quelli conseguiti da un’altra entitàoperante nello stesso settore economico.

- Redditività del capitale investito: il metodo consiste nella determina-zione del profitto realizzato dall’impresa, espresso percentualmente, inrelazione al capitale investito prescindendo, quindi, da ogni riferimentoai costi di produzione o alle vendite. Nel caso - sconsigliato - in cui siadotti tale criterio, la difficoltà consiste nella fissazione del saggio direndita del capitale, variando lo stesso anche in relazione ai rischi sop-portati dall’impresa e al settore economico considerato.

- Margini lordi del settore economico d’appartenenza: vi è infine il meto-do dei margini lordi del settore economico, il quale, tuttavia (certamentein ragione della sua scarsa attendibilità e praticabilità), risulta solo ac-cennato nella circolare n. 32/80 e sconsigliato dall’OCSE in ragione del-la sua difficoltà applicativa relativa alla possibilità di poter determinare,per ciascun settore di riferimento, un corretto margine di profitto lordo.

La documentazioneUn aspetto particolarmente rilevante in tema di prezzi di trasferimento ri-guarda la così detta “documentazione”, ossia l’insieme dei documenti, deiprospetti e più in generale di tutte quelle informazioni necessarie all’impre-sa per la dimostrazione che i prezzi applicati nelle transazioni intercompanysono avvenute correttamente, applicando cioè uno dei metodi appena ana-lizzati. Si tratta cioè dell’insieme della documentazione necessaria a prova-re che i prezzi applicati sono quelli di mercato e, laddove si discostassero,a spiegarne le ragioni.La raccolta e l’analisi della documentazione svolge quindi un ruolo fonda-mentale non solo per una verifica interna della corretta determinazione deiprezzi intercompany, ma costituisce anche il primo e più importante elementodi difesa in caso di un eventuale accertamento. Nella pratica infatti la produ-zione e la conservazione di documenti atti a comprovare i criteri applicati perla determinazione del “valore normale” potrebbe consentire al contribuentedi risolvere le controversie fiscali in tempi brevi ed a costi ridotti.Nonostante l’importanza rivestita dalla documentazione, la norma internanon indica quali atti vadano esibiti agli organi accertatori.Per questo, già da tempo, si sta sviluppando a livello comunitario un inten-so dibattito volto a definire uno standard di documentazione che possasoddisfare le diverse esigenze legate al controllo delle transazioniintercompany da parte delle Amministrazioni Fiscali dei diversi Paesi, sen-za per questo creare un onere troppo gravoso in capo alle imprese.Nel silenzio della prassi e della normativa interna, nel presente capitolo siritiene utile illustrare brevemente i recenti orientamenti e le indicazioni for-

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nite sul punto dall’Unione Europea (2).

L’orientamento comunitario - “Forum Congiuntosui Prezzi di Trasferimento”Le novità più interessanti in materia di documentazione, riguardanosenz’altro gli orientamenti adottati dall’Unione Europea e codificati in un“codice di condotta”, il cui ambizioso obbiettivo è quello di armonizzare lediverse legislazioni fiscali, offrendo ai contribuenti ed alle amministrazionicomunitarie un riferimento unico per tutte le società dei gruppi multinazio-nali che operino in ambito UE.Uno degli aspetti più interessanti, ai fini che qui interessano, è costituitadal fatto che secondo quanto previsto dal codice, gli Stati membri si do-vrebbero impegnare ad accettare, per la valutazione dei prezzi di trasferi-mento, una base comune di informazioni definita “EU TPD” (EuropeanUnion Transfer Price Documentation) che dovrebbe contenere indicazio-ni sufficienti a comprendere le modalità con cui è stato determinato il prez-zo intercompany, nonché la sua conformità all’arm’s length principle. Perquesto pare fondamentale analizzare più in dettaglio il contenuto dell’Alle-gato al codice di condotta, che traduce operativamente i principi contenutinel codice stesso.

Il codice di condotta e la TPDSecondo quanto disposto dalla sezione 1 dell’allegato al codice di condotta,la TPD UE di un gruppo multinazionale si compone di due parti principali:- una prima, contenente informazioni standardizzate valide per tutti imembri del gruppo residenti nell’Unione europea (c.d. “Masterfile”), taleda riflettere la realtà economica dell’impresa ed in grado di fornire unarappresentazione del gruppo multinazionale e del suo sistema di fissazionedei prezzi accessibile a tutti gli Stati membri interessati;- una seconda, contenente ulteriori documentazioni integrative delmasterfile, ciascuna con informazioni relative ad ogni singolo paese(“country specific” o “documentazione nazionale”).La TPD UE dovrebbe quindi contenere indicazioni sufficienti per consen-tire all’Amministrazione Fiscale di effettuare, in occasione di un primo ac-cesso, una valutazione dei rischi, indirizzando eventuali indagini sui prezzidi trasferimento delle imprese multinazionali.Ma la stessa TPD UE dovrebbe consentire anche alle imprese multinazio-nali di offrire sin da subito un quadro chiaro della situazione, prevenendoogni genere di contenzioso. La qual cosa non è di poco conto soprattuttose si considera che ad oggi, il contribuente è spesso impreparato ad unaverifica sui prezzi di trasferimento e omette, il più delle volte, di documenta-re in modo corretto le proprie politiche di prezzo intercompany. Del resto, inassenza di indicazioni precise sul punto, neppure i consulenti possonooffrire una assistenza sufficientemente completa.

Il MasterfileLo scopo del Masterfile è quello di fornire una visione d’insieme dellarealtà economica del gruppo, nonché le strategie di gruppo adottate e lapolitica di Transfer pricing posta in essere. Pertanto, le informazioni che inesso dovrebbero essere indicate sono le seguenti:a. una descrizione generale dell’impresa e della strategia d’impresa, com-presi i cambiamenti di strategia rispetto all’esercizio precedente;b. una descrizione generale della struttura organizzativa, giuridica e opera-tiva del gruppo multinazionale (compresi un organigramma, un elenco deimembri del gruppo e una descrizione della partecipazione della societàmadre nelle consociate);c. i dati identificativi generali delle imprese associate che effettuano transa-zioni controllate in cui intervengono imprese residenti nell’UE;d. una descrizione generale delle transazioni controllate in cui intervengo-no imprese associate residenti nell’UE, ossia una descrizione generale dei:- flussi di transazioni (attività materiali e immateriali, servizi, attività finan-ziarie);- flussi di fatturazione;- importi dei flussi di transazioni;e. una descrizione generale delle funzioni esercitate e dei rischi assun-ti e descrizione dei cambiamenti intervenuti nelle funzioni e nei rischi ri-spetto all’esercizio precedente, ad es. cambiamento da società distributricea pieno titolo a commissionario;f. attività immateriali detenute (brevetti, marchi di fabbrica, marche,know-how ecc.) e royalty pagate o riscosse;

g. politica del gruppo multinazionale in materia di prezzi di trasferimen-to tra società o una descrizione del sistema di fissazione dei prezzi di trasfe-rimento del gruppo che spieghi la conformità dei prezzi di trasferimentodella società al principio di piena concorrenza;h. elenco degli accordi di contribuzione ai costi, degli APP e delledecisioni riguardanti aspetti attinenti ai prezzi di trasferimento nella misurain cui interessano i membri del gruppo residenti nell’UE;i. impegno da parte di ciascun contribuente nazionale a fornire infor-mazioni supplementari su richiesta e entro un periodo di tempo ragionevo-le in conformità alle norme nazionali.

Il Country SpecificIl “country specific” è il naturale completamento al contenuto del Masterfile,fornendo una serie di informazioni specifiche sui gruppi di aziende operan-ti nei diversi Paesi. In aggiunta alle informazioni precedentemente indicate,e con specifico riferimento alle aziende operanti nei diversi Paesi, il contri-buente dovrà quindi fornire:a - una descrizione particolareggiata dell’impresa e della strategia d’impre-sa, compresi i cambiamenti di strategia rispetto all’esercizio precedente; eb - informazioni, ossia descrizione e spiegazione, relative alle transazionicontrollate nazionali, in particolare:– flussi di transazioni (attività materiali e immateriali, servizi, attività finan-ziarie);– flussi di fatturazione;– importi dei flussi di transazioni;c - un’analisi di comparabilità, ossia:– caratteristiche dei beni e servizi;– analisi funzionale (funzioni esercitate, attività usate, rischi assunti);– termini contrattuali;d - condizioni economiche;e - strategie d’impresa particolari;f - indicazioni sulla scelta e applicazione del o dei metodi di fissazione deiprezzi di trasferimento, ossia indicazione dei motivi per i quali è stato sceltoun determinato metodo e del modo in cui è stato applicato;g - informazioni pertinenti sugli elementi comparabili interni e/o esterni, sepossibile;h - descrizione dell’attuazione e applicazione della politica del gruppo inmateria di prezzi di trasferimento tra società.I vantaggi conseguenti alla predisposizione del Masterfile, indicati dallostesso Forum, sia per il contribuente che per le Amministrazioni Finanzia-rie, possono essere così sintetizzati:- la possibilità di predisporre anticipatamente una documentazionedettagliata relativa al gruppo;- l’elevato livello di concordanza nell’analisi funzionale e nell’appli-cazione dei metodi per la determinazione del transfer pricing;- la maggiore trasparenza riguardo al transfer pricing adottato;- la revisione a livello centralizzato della documentazione predispo-sta a livello locale al fine di evitare l’applicazione di sanzioni;- la maggiore collaborazione tra il contribuente e l’AmministrazioneFinanziaria;Poiché l’obiettivo del Masterfile è quello di ridurre gli oneri per il contri-buente e prevenire il contenzioso, la documentazione dovrebbe essereprodotta in lingua originale, predisponendo la traduzione solo se richiestain caso di verifica da parte dell’Amministrazione Finanziaria competente.

ConclusioniA conclusione di questo breve intervento, pare opportuno compiere trebrevissime riflessioni.In primo luogo, va sottolineata l’importanza sempre crescente che sta as-sumendo il tema in questione, anche in considerazione dell’incrementodegli accertamenti da parte dell’Amministrazione Finanziaria.In secondo luogo, a parere di chi scrive, oggi più che mai si rende opportu-na una maggiore sensibilizzazione degli imprenditori al problema, che noncoinvolge solamente le grosse multinazionali ma che può interessare an-che le imprese di piccole e medie dimensioni. Si pensi ai casi abbastanzafrequenti di aziende con fatturati modesti ma con controllate in Cina o inqualche Paese dell’est.Da ultimo, va evidenziata ancora una volta l’importanza che riveste unacorretta predisposizione della documentazione. Predisporre un Masterfile,non solo aiuta l’azienda a verificare le corrette procedure interne di deter-minazione dei prezzi intercompany, ma oggi costituisce indubbiamente ilpiù valido strumento di difesa in caso di accertamento.

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Il Transfer Price in Italia

(2) Cfr.: “Il transfer price in Italia” di A.De Luca, A.Bampo, E.Bressan, Seac 2007.

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Autonoma organizzazionee IRAP: l'interpello

NORME E TRIBUTI

ENRICO PRETE Ordine di Udine

IL COMMERCIALISTA VENETO

1. PremessaIn un mio precedente intervento sulle pagine diquesta Rivista, avevo analizzato gli ultimi svilup-pi sull’annosa questione, in materia di IRAP, del-la soggettività passiva di soggetti in capo ai qualinon sia rinvenibile il requisito dell’autonoma or-ganizzazione alla luce sia della guirisprudenza dilegittimità che delle indicazioni operative fornitedall’Amministrazione Finanziaria soprattutto, inultimo, con la circolare 45/E del 13 giugno 2008.Nel contesto delineato, che definire “poco chia-ro” è un eufemismo, avevo concluso con l’au-spicio che il Governo emanasse una norma diinterpretazione autentica così da dirimeredefinitivamente la questione.Nelle more di un tanto, e considerando che ilnostro Esecutivo, per ora, è occupato da benaltri problemi, mi è balenata – a torto o a ragione- l’idea che potesse essere di qualche aiuto ilricorso all’istituto dell’Interpello, quantomenoriguardo all’atteggiamento da assumere per il fu-turo, giacchè per le posizioni pregresse pare evi-dente che non vi sia alternativa alla procedura cheprevede istanza di rimborso e ricorso alla Commis-sione Tributaria avverso il silenzio rifiuto.Di un tanto “mal me ne incolse”, per i motivi chedi seguito vado ad illustrare, con la promessa,peraltro, di non tediarvi più sull’argomento inquestione.

2. Cenni normativiL’istituto dell’Interpello è stato istitutito dallaLegge 212/2000, nota anche come “Statuto delContribuente”, la quale all’art.11 prevede che: 1. Ciascun contribuente può inoltrare per iscrit-to all’Amministrazione Finanziaria, che rispondeentro centoventi giorni, circostanziate e specifi-che istanze di interpello concernenti l’applica-zione delle disposizioni tributarie a casi concretie personali, qualora vi siano obiettive condizionidi incertezza sulla corretta interpretazione delledisposizioni stesse. La presentazione dell’istan-za non ha effetto sulle scadenze previste dalladisciplina tributaria. 2. La risposta dell’Amministrazione Finanzia-ria, scritta e motivata, vincola con esclusivo rife-rimento alla questione oggetto dell’istanza di in-terpello, e limitatamente al richiedente. Qualoraessa non pervenga al contribuente entro il termi-ne di cui al comma 1, si intende che l’Amministra-zione concordi con l’interpretazione o il compor-tamento prospettato dal richiedente. Qualsiasiatto, anche a contenuto impositivo osanzionatorio, emanato in difformità dalla rispo-sta, anche se desunta ai sensi del periodo prece-dente, è nullo. 3. Limitatamente alla questione oggetto del-l’istanza di interpello, non possono essere irrogatesanzioni nei confronti del contribuente che nonabbia ricevuto risposta dall’Amministrazione Fi-nanziaria entro il termine di cui al comma 1. 4. Nel caso in cui l’istanza di interpello formula-ta da un numero elevato di contribuenti concer-na la stessa questione o questioni analoghe fraloro, l’Amministrazione Finanziaria può rispon-dere collettivamente, attraverso una circolare o

una risoluzione tempestivamente pubblicata aisensi dell’articolo 5, comma 2. 5. Con decreto del Ministro delle finanze, adot-tato ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge23 agosto 1988, n. 400, relativo ai poteri regola-mentari dei Ministri nelle materie di loro compe-tenza, sono determinati gli organi, le procedure ele modalità di esercizio dell’interpello e dell’ob-bligo di risposta da parte dell’AmministrazioneFinanziaria. 6. Resta fermo quanto previsto dall’articolo 21della legge 30 dicembre 1991, n. 413, relativo al-l’interpello dell'Amministrazione Finanziaria daparte dei contribuenti.

La norma in oggetto, in sintesi, prevede cheil contribuente possa sottoporre alla Dire-zione Regionale delle Entrate competente

quesiti in merito alla soluzione di questioniinterpretative relative a condizioni personali econcrete prospettando anche la soluzione cheritiene aderente al dettato normativo.A seguito di tale interpello, l’AmministrazioneFinanziaria ha tempo 120 giorni dalla ricezionedell’istanza per rispondere e, in caso di non ri-sposta, la legge dispone il “silenzio-assenso”,quindi, ritiene che l’Amministrazione Finanziariaconcordi con la soluzione prospettata dal contri-buente, con tutte le garanzie di legge che ne con-seguono.Perché tale disposizione possa essere operante,però, deve sussistere una condizione fondamen-tale: vi deve essere, cioè, una “obiettiva situa-zione di incertezza sull’interpretazione delladisposizione normativa di natura tributaria”.Tale condizione “non opera ogni qual volta l’Am-ministrazione Finanziaria abbiacompiutamente fornito la soluzioneinterpretativa di fattispecie corrispondenti aquella prospettata dal contribuente”, quindi,verosimilmente ogni volta vi sia una Circolare,Risoluzione, nota o quant’altro che disciplini ilcaso concreto.

3. La posizione dell’AmministrazioneFinanziaria e il caso concreto

Lo scorso 13 giugno, l’Agenzia delle Entrate haemanato la Circolare n. 45/E della quale ho giàanalizzato gli aspetti salienti nel precedente in-tervento sopra richiamato.Qui basti ricordare che in mancanza di disposi-zioni normative, l’Agenzia delle Entrate ha indi-cato come parametri utili a cui fare riferimento –per rinvenire una autonoma organizzazione - quel-li propri della disciplina dei c.d. “contribuentiminimi” di cui alla Legge Finanziaria 2008. In par-ticolare (pag. 14 Circ. 45 cit.) considera non sus-sistente il requisito dell’autonoma organizzazio-ne ogni qual volta il professionista possa essereconsiderato “minimo”, cioè quando rientri neiparametri di cui all’art.1, comma 96 della legge cita-ta indipendentemente se si sia avvalso o meno del

predetto regime fiscale. Infatti viene affermato(pag.14) che “si ritiene che gli Uffici possano con-siderare non sussitente il presupposto dell’auto-noma organizzazione e, quindi, non coltivare ilcontenzioso nei casi in cui … il professionistapossa considerarsi contribuente minimo”.Coma ho già avuto modo di evidenziare, per l’Am-ministrazione Finanziaria la verifica dei parametri“minimi” vale ad escludere la soggettività passi-va IRAP solo per i professionisti e non per i sog-getti che, pur rientrando nei limiti, conseguonoreddito di impresa a meno che gli stessi non ab-biano optato per il nuovo regime che ne sanciscel’esenzione. Per i contribuenti che conseguonoreddito di impresa la questione è rimessa princi-palmente ai Giudici di merito e, quindi, ancoraaperta . Va ricordato a proposito che la recenteGiurisprudenza di legittimità, anche se la que-stione non è completamente risolta, tende ad af-fermare la soggettività passiva IRAP per coloroche conseguono redditi di impresaMa nella Circolare citata, precisamente a pag.15,l’Amministrazione afferma, in modo perentorio,che “resta inteso che il regime dei “minimi” ov-viamente non esaurisce le ipotesi caratterizzatedall’assenza di autonoma organizzazione, laquale deve essere valutata caso per caso dagliUffici, sulla base dei criteri enunciati nella pre-sente circolare, anche in presenza di parametriche esprimano valori superiori a quelli utilizza-ti per la definizione di contribuenti minimi”.Ora, se l’Italiano è una lingua che ha ancora unsignificato, e se io sono ancora in grado di co-glierlo, il periodo sopra riportato sta a significareche:- Il professionista che soddisfa i requisitidei contribuenti “minimi”, così come definiti dal-la Legge Finanziaria 2008, è da considerarsi privodi autonoma organizzazione e quindi non è sog-getto passivo IRAP;- Per il professionista che non soddisfa tuttii requisiti richiesti per essere considerato “mini-mo”, la sua soggettività passiva IRAP va valuta-ta “caso per caso” e, a seguito di valutazione,potrebbe risultare sussistente come anche no.Ed ora, veniamo al caso concreto: un professio-nista - medico - (ma anche un ingegnere: il casonon si limita ad una sola fattispecie) soddisfatutti i requisiti dei contribuenti “minimi” tranneuno: il fatturato.La stessa Circolare 45 più volte citata stabilisceuna valutazione “caso per caso” per la verificadella sussistenza di una autonoma organizzazio-ne. Vi è da dire che, a favore dell’insussistenzadella soggettività passiva IRAP, viene a confor-to la recente giurisprudenza della Suprema Corte(sent. 26681 del 06/11/2008) la quale ha stabilitoche l’ammontare del fatturato è del tutto irrile-vante.Non appare esservi dubbio alcuno che vi sia unaincertezza sulla applicazione della norma giacchèil contribuente (professionista) non può essereconsiderato “minimo” e le disposizioni dell’Am-ministrazione Finanziaria non chiariscono il caso

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concreto poiché la stessa circolare 45/E stabili-sce che – ovviamente – vi deve essere una valu-tazione “caso per caso”, e la sentenza della Su-prema Corte non appare proprio poter integraregli estremi di una soluzione fornita dall’Ammini-strazione Finanziaria. Si sottopone a quest’ulti-ma la questione in oggetto.Cosa risponde la Direzione Regionale delle En-trate del Friuli Venezia Giulia (Prot. 573 dd. 09/01/2009 e prot.859 dd. 13.01.2009)?Cito testualmente (dalla nota prot. 8591): “poichèil documento citato dall’istante (la circolare45 del 13/06/2008) non è suscettibile di inter-pretazione o di confutazione tramite l’attivataprocedura, ed appare inoltre di già risolutivodella questione posta all’attenzione, deve con-cludersi dichiarando il proposto interpelloinficiato da profili di inammissibilità assoluta”.Se già il primo periodo della risposta, giacchèl’oggetto di interpello era il D.P.R 446/97, art.3, enon la Circolare 45/E, induce a ritenere che non sisia prestata particolare attenzione nell’esamina-re il quesito proposto, nonché le norme di leggesottese, il secondo periodo, evidenziato ingrassetto, afferma l’impossibile, tra l’altro, ne-gando palesemente l’evidenza. Dove possa rinvenirsi nella Circolare 45 la rispo-sta compiutamente “risolutiva” del caso concre-to lo sanno solo a Trieste, tanto è vero che si“dimenticano” di indicare le pagine del documen-to in cui è scritta la soluzione del caso in esame.Ma non basta: in un successivo asserto, l’Am-ministrazione afferma che “l’istante, per di più,dimostra di essere ben a conoscenza degli estre-mi della nota di riferimento, la Circolare 45 del13/06/2008, e del relativo contenuto”.Rimango basito: è appunto per questo motivo,cioè per il fatto che l’Amministrazione Finanzia-ria, nella Circolare più volte citata, non solo nonha ha assolutamente fornito alcuna interpreta-zione relativa al caso concreto, ma anche ha di-sposto una valutazione “caso per caso” qualora ilcontribuente – professionista – non verifichi tuttii requisiti dei “minimi”, che i contribuenti hannoattivato la procedura dell’interpello nella convin-zione, inconfutabile, che sussista una obiettivaincertezza sulla applicabilità della norma tributaria(soggettività passiva IRAP ex D.P.R. 446/97 art.3 enon sull’interpretazione di un documento di pras-si) e che l’Amministrazione non ha fornito alcunasoluzione interpretativa che possa definirsi riso-lutiva della questione concreta !!!!Ad esempio, ed in senso contrario, l’interpello èstato posto anche con riferimento ad un contri-buente che esercita l’attività di “promotore fi-nanziario”. La Direzione regionale del Friuli – V.G.(nota prot. 1144/2009 dd. 14/01/2009) ha rispostocome nei casi precedentemente citati; tuttavia inquesta circostanza, è inequivocabile il fatto chechi esercita l’attività di cui sopra produce reddi-to di impresa e, quindi, l’inammissibilità della ri-chiesta discende dal fatto che la Circolare 45/Eha affermato l’assenza dell’autonoma organizza-

zione solo ed esclusivamente per i professionistie non per gli imprenditori onde, effettivamente, ègià risolutiva del caso concreto. Il fatto che, aseguito del giudizio instaurato dal contribuentedi cui sopra, l’Agenzia delle Entrate sia risultatatemporaneamente soccombente – in due gradi digiudizio - appare, alla luce della normativa, deltutto secondario e, sostanzialmente, irrilevante.

4. ConclusioniA prescindere dalle problematiche relative alladefinizione della soggettività passiva IRAP diprofessionisti - ed altri soggetti - a seguito dellasentenza della Corte Costituzionale e della Giuri-sprudenza di merito nonché, in parte, di legittimi-tà che si è formata in questo decennio, questiultimi sviluppi meritano alcune considerazioni.Lo Statuto del Contribuente – legge dello Stato –contiene alcune specifiche disposizioni in meritoai rapporti Stato/Contribuente2 che andrebberoanalizzate.L’Interpello sopra delineato appariva configurarsinon solo come un utile strumento per indicare alcontribuente la strada da seguire per il futuro, maanche un ausilio per le cause in corso, giacché,per i percettori di redditi professionali, avrebbetranquillamente condotto ad una agevolata chiu-sura del contenzioso, nonché alla prevenzionedel contenzioso futuro, con notevole risparmiodi tempo, mentre per i percettori di redditi di im-presa il problema si sarebbe presentato ancora alungo, fermo restando l’orientamento prevalentedella Giurisprudenza di legittimità che definiscetali soggetti passivi IRAP.L’atteggiamento non collaborativo dell’Ammini-strazione Finanziaria, di contro, e peraltro in pa-lese violazione di precise norme di legge, costrin-ge i contribuenti non solo ad attivare ilcontenzioso per gli anni pregressi ma anche adover assumere iniziative per il futuro.Se per i professionisti “minimi” il problema è tut-to sommato trascurabile, perché possono permet-tersi di non pagare l’IRAP in quanto l’Agenzia delleEntrate li ha già di fatto esonerati e, in caso di suc-cessive modificazioni, in ogni caso non potrebberoun domani essere chiamati a pagare sanzioni, diver-so si presenta il contesto per gli altri professionistiche non rientrano nei parametri “minimi” esclusiva-mente per il superamento del fatturato.A questi ultimi, infatti, non resta che l’”azzardo”della scelta tra non pagare l’IRAP, oppure pagarlae chiedere il rimborso, in ogni caso, senz’altra so-luzione che quella di dover affrontare domani uncontenzioso con tutte le conseguenze del caso.Se il contenzioso appare in tutta evidenzaevitabilissimo con gli strumenti normativi a di-sposizione, e soprattutto per il fatto che i tempied i relativi costi, potrebbero renderlo non “con-veniente” – per non avallare di fatto il comporta-mento dell’Agenzia delle Entrate la quale eviden-temente punta molto su quest’ultimo aspetto - ènecessario che i Giudici chiamati a dirimere lecontroversie siano perfettamente consapevoli,soprattutto per la quantificazione delle spese digiudizio, di chi, con il suo comportamento, le harese inevitabili.

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IRAP: l'interpelloSEGUE DA PAGINA 15

1 Il medesimo concetto è riportato nell’altra nota citata2 Art. 10. (Tutela dell’affidamento e della buona fede. Errori del contribuente)1. I rapporti tra contribuente e Amministrazione Finanziaria sono improntati al principio della collaborazione edella buona fede.2. Non sono irrogate sanzioni nè richiesti interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato aindicazioni contenute in atti dell’Amministrazione Finanziaria, ancorché successivamente modificate dall’Ammini-strazione medesima, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguen-ti a ritardi, omissioni od errori dell’Amministrazione stessa.3. Le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sullaportata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria o quando si traduce in una mera violazione formale senzaalcun debito di imposta. Le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa dinullità del contratto.

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DECRETO INCENTIVINORME E TRIBUTI

ALBERTO PISARRO Praticante Ordine di Venezia

IL COMMERCIALISTA VENETO

La nuova veste del Bonus Aggregazioni

L’ATTUALE AGEVOLAZIONE, i cui effetti comin-ceranno a farsi sentire nella dichiarazione dei redditidel periodo d’imposta 2010 (Unico 2011), ricalcaper molti aspetti la prima edizione, in quanto, anchein questo caso, sono richiesti specifici requisiti diaccesso e i maggiori valori riconosciuti non possonoeccedere l’importo di 5 milioni di euro; ma sono pre-senti alcuni rilevanti elementi di differenziazione, inquanto:– non è più indispensabile presentare l’apposi-ta istanza di interpello preventivo per accedere al be-neficio, prevedendo una sorta di automatismo nell’ac-cesso all’istituto agevolativo;– possono beneficiare del favore normativo an-che i soggetti legati fra loro da un rapportopartecipativo sotto la soglia del 20%;– rispetto alle norma valide per il biennio 2007/2008, non viene più richiamato, tra le poste affrancabili,il valore di avviamento.

Presupposti soggettiviAi sensi del comma 1 dell’art. 4 del D.L. in esame, èpossibile fruire dell’agevolazione di cui nel prosieguosolo se il soggetto che emerge dalle operazioni di ag-gregazione (fusione, scissione o conferimento) sia com-preso fra i soggetti di cui alla lett. a) dell’art. 73 delTUIR, ovvero una S.p.a., una S.r.l., una S.a.p.a., unasocietà cooperativa o una società di mutua assicura-zione residente nel territorio dello Stato.Non rileva la natura giuridica assunta dai soggetti "dantecausa" che pongono in essere le operazioni di aggrega-zione aziendale (anche non residenti, società di perso-ne o ditte individuali1).La circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 16/E del 21marzo 2007 ha chiarito che l’agevolazione può esserecomunque riconosciuta nei casi in cui si effettuino dueo più conferimenti/scissioni d’azienda da parte di so-cietà, a favore di una società di nuova costituzione;analoghe considerazioni possono effettuarsi in caso difusione propria dove due o più società, dando vita ad

una new-co vedrebbero riconosciuto il disavanzo daconcambio con riferimento ai patrimoni delle singolesocietà fuse (sempre nei limiti complessivi di 5 milionidi euro)2.

Requisito di operatività biennaleIl comma 3 dell’art. 4 del D.L. n. 5/2009 conferma chel’agevolazione in oggetto si applica qualora alle opera-zioni di aggregazione aziendale partecipino esclusiva-mente imprese operative da almeno due anni; risulta-no quindi escluse le imprese costituite da meno di dueanni o che in tale biennio non abbiano esercitato uneffettiva attività d’impresa.La circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 16/E del 2007ha evidenziato che il concetto di operatività di cuitrattasi non corrisponde totalmente con quello utiliz-zato per le c.d. “società di comodo”3, ma rimane fer-ma, in ogni caso, la possibilità di prendere a riferimen-to i criteri di operatività testé richiamati, escludendodall’agevolazione le società che, nonostante l’oggettosociale dichiarato, siano state costituite per gestire ilproprio patrimonio nell’interesse dei soci anziché peresercitare un’effettiva attività commerciale.In particolare, non basta ai fini della sussistenza delpresupposto in esame la formale costituzione dell’im-presa da almeno due anni, risultando invece necessarioche nel biennio stesso sia stata svolta una effettivaattività commerciale4.

Requisiti di indipendenzaIl medesimo comma 3 dell’art. 4 del D.L. n. 5/2009stabilisce, in primis, una previsione di minor rigore5,

affermando che il beneficio non risulta fruibile qualorale imprese che partecipino all’operazione straordina-ria di aggregazione aziendale facciano parte dello stes-so gruppo societario.Successivamente, nello stesso comma, vengono inse-rite due condizioni ostative che prescrivono in modotranciante che:– i soggetti partecipanti all’aggregazione non si-ano legati fra loro da un rapporto partecipativo supe-riore alla soglia del 20%;– i soggetti non siano controllati anche indiret-tamente dallo stesso soggetto ai sensi dell’art. 2359,comma 1, n. 1) del codice civile.Scopo del provvedimento è quello di incentivare leaggregazioni aziendali tra soggetti autonomi e non, quin-di, le mere riorganizzazioni operate nell’ambito deigruppi societari, ovvero effettuate tra soggetti legatitra loro da rapporti di partecipazione.Ciò posto, non esistendo nel diritto tributario unadefinizione di gruppo societario, la prima previsionenormativa intende limitare l’accesso all’agevolazionea quei soggetti che, pur “civilisticamente” indipenden-ti ed autonomi ai sensi dell’art. 2359 del codice civile,nella sostanza risultino essere “collegati” in modo taleda essere sottoposti comunque ad un controllo univo-co e congiunto6.Invero, in relazione ai fini perseguiti dalla normativatributaria, che ben possono divergere da quelli del legi-slatore civilistico, la nozione di “controllo” deve ne-cessariamente essere intesa in senso funzionale allefinalità della norma agevolativa così da ricomprenderviogni fattispecie di “dipendenza” tra i soggetti. Pare,dunque, che il concetto di controllo debba essere este-so, ai fini fiscali, ad ogni ipotesi di influenza potenzia-le od attuale (al di là dei meri vincoli contrattuali),desumibile anche da circostanze ulteriori ed eventuali,come ad esempio la perfetta identità della compaginesociale delle due società intenzionate ad aggregarsi7.Con i nuovi fini derivanti dall’attuale contesto econo-mico8, possono ora beneficiare dell’agevolazione an-che i soggetti legati fra loro con una partecipazionesotto la soglia del 20% (in precedenza, qualsiasi rap-porto partecipativo, anche minimo, era stato interpre-tato dall’Agenzia delle Entrate in senso restrittivo).Sembra dunque siano state accolte le numerose criti-che9 che non vedevano nell’assenza di qualsivogliavincolo partecipativo la necessaria condizionesottostante alla ratio legis.Con le stesse motivazioni, pure la stringente condi-zione del “controllo” (anche indiretto) è stata attenua-ta, visto che l’allora generico riferimento all’articolo2359 del codice civile, viene circoscritto nellafattispecie del comma 1, n. 1 dello stesso articolo (vie-ne sostanzialmente escluso il beneficio fiscale nell’ag-

1 Con la Ris. Ag. Entrate n. 300/E del 18 ottobre 2007, si è ottenuto parere favorevole ad un interpello presentato da due persone fisiche intenzionate a concludere un’operazionedi conferimento delle rispettive imprese in una New-co avente la forma giuridica di S.r.l.;2 La norma e l’interpretazione appena citata non sembrano impedire l’effettuazione di operazioni tese a moltiplicare, oltremodo i benefici: se due soggetti A e B, in possesso deirequisiti normativi, intendono aggregarsi sfruttando oltre misura il plafond agevolabile, potrebbero entrambi effettuare una scissione totale, dando vita rispettivamente ad A1e A2 (da una parte) e B1 e B2 dall’altra (trattandosi di operazione neutrale, anche il requisito dell’operatività si trascinerebbe sulle beneficiarie). Contestualmente A1 e B1confluirebbero nella new-co X mentre A2 e B2 confluirebbero nella new-co Y, vedendosi riconosciuti, per entrambe le aggregazioni, valori fiscali potenzialmente pari a 10milioni di euro e quindi in misura superiore a quelli che sarebbero emersi a seguito della semplice aggregazione fra A e B;3 Art. 30 della Legge n. 724 del 1994;4 Vedasi, da ultimo, la Ris. Ag Entrate n. 57/E del 6 marzo 2009, dove è stato negato il requisito di operatività ad una società immobiliare di costruzione che, nonostante superasseil parametro dei ricavi previsto dalla normativa per le c.d. società di comodo, aveva all’attivo delle poste meramente numerarie, insufficienti per svolgere un’attività dicostruzione immobiliare e quindi delineando in capo alla medesima la carenza del presupposto dell’organizzazione aziendale;5 Come previsto nella prima versione normativa per il biennio 2007/2008;6 La circolare dell’Ag. Entrate n. 16/E del 2007 ha dichiarato che dette imprese devono essere tra loro indipendenti: a tali fini si considerano parte dello stesso gruppo societariola società controllante e le controllate ai sensi dell’art. 2359 del codice civile, rilevando, pertanto, anche l’eventuale sussistenza di vincoli di natura meramente contrattuale.7 Vedasi, da ultimo, la Ris.Ag. Entrate n. 468/E del 3 dicembre 2008;8 Leggasi la relazione al D.L. c.d. “Incentivi”;9 Fra tutte, Fondazione Luca Pacioli, doc. n. 4 del 14 febbraio 2007;

SEGUE A PAGINA 18

Con l’articolo 4 del D. L. n. 5 del 10 feb-braio 2009 (c.d. Decreto Incentivi), in consi-derazione dell’attuale situazione econo-

mica di recessione, è stato riproposto essenzial-mente il beneficio già sperimentato con la L. n.296 del 27 dicembre 2006 (Finanziaria 2007)e valevole per il biennio 2007/2008. L’attualeriedizione, usufruibile a seguito delle opera-zioni di fusione, scissione o conferimentoaziendale attuate nel corso del 2009, permetteil riconoscimento fiscale (gratuito) del disavan-zo da concambio o dei maggiori valori iscrittidalla conferitaria in occasione di operazionidi aggregazione aziendale.

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10 Il risparmio massimo ottenibile è di 600.000 euro;11 L’Agenzia delle Entrate ha chiarito che nei quattro periodi d’imposta va considerato anche l’anno di effettuazionedell’operazione;12 Trova quindi chiaramente applicazione l’ultima parte del comma 7 dell’art. 4 del D.L. 5/2009;

DECRETO INCENTIVISEGUE DA PAGINA 17

gregazione di due società dove una dispone della mag-gioranza dei voti esercitabili nell’assemblea dell’altra).

Eliminazione dell’interpello preventivoNell’attuale versione normativa scompare la prescri-zione dell’interpello preventivo, precedentemente in-dispensabile per accedere al beneficio fiscale. Si pre-vede, quindi, una sorta di automatismo nell’accessoall’agevolazione, che potrebbe favorire l’operativitàdei soggetti interessati ad accedere al vantaggio tribu-tario, fermi restando i poteri di controllo ex post del-l’Amministrazione Finanziaria.

Effetti fiscali dell’agevolazioneL’agevolazione concessa con il D.L. n. 5/2009, con-sente, alle condizioni e nei limiti testé previsti, di su-perare le disposizioni contenute negli art. 172, 173 e176 del TUIR.Per quanto riguarda la fusione e la scissione, essa de-termina, in deroga alla disciplina generale, il riconosci-mento fiscale (gratuito) ai fini IRES e IRAP, senzapagamento di alcuna imposta sostitutiva, nei limiti diun ammontare complessivo di 5 milioni di euro, delvalore attribuito ai beni strumentali materiali eimmateriali per effetto della imputazione su tali postedi bilancio del disavanzo da concambio.Per i conferimenti aziendali di cui all’art. 176, si consi-derano riconosciuti, ai fini fiscali, i maggiori valori iscrit-ti dal soggetto conferitario sui beni strumentali mate-riali e immateriali, per un ammontare complessivo noneccedente l’importo di 5 milioni di euro.Nello specifico, l’applicazione della disciplinaderogatoria consente la deducibilità fiscale dei maggioriammortamenti ed il riconoscimento dei maggiori valoriin sede di quantificazione delle eventuali plusvalenze ominusvalenze da realizzo.In tutti i tipi di aggregazione aziendale, la disposizionenon fa più riferimento all’avviamento, il che ha porta-to a concludere la non applicabilità dell’agevolazionesu detta posta di bilancio. Si resta tuttavia in attesa diun chiarimento ufficiale che chiarisca eventuali dubbiin proposito.Facendo seguito a queste considerazioni di caratteregenerale, si propongono di seguito alcune considera-zioni di ordine pratico:– è esclusa la possibilità di ottenere il riconosci-mento fiscale di quei beni già presenti nella societàincorporante, beneficiaria o conferitaria;– è possibile imputare il disavanzo o i maggiorivalori derivanti dall’operazione straordinaria, anche abeni strumentali materiali o immateriali che non risul-tino esposti precedentemente in bilancio in quantocompletamente ammortizzati oppure perché mai iscrit-ti (si pensi ad esempio al marchio generato interna-mente);– è esclusa la possibilità di ottenere il riconosci-mento fiscale di beni del magazzino e diimmobilizzazioni finanziarie quali partecipazioni.

Riconoscimento a due vie: Bonus Aggregazionie imposta sostitutiva per le operazioni straordinarieSostanzialmente, con l’agevolazione del D.L. n. 5/2009,la società risultante dall’aggregazione potrà risparmia-re l’esborso corrispondente all’imposta sostitutiva pre-vista dall’art. 176, comma 2-ter del TUIR e dall’art.15, comma 10 del D.L. 185/2008 e dunque, nei casi didisallineamenti contenuti nei limiti di 5 milioni di euro,un importo corrispondente al 12% dei maggiori valoririconosciuti a seguito dell’operazione straordinaria10.Una eventuale intersezione delle due tipologie di rico-noscimenti fiscale dei maggiori valori derivanti da ope-razioni straordinarie (a pagamento e gratuita), si puòconcretizzare qualora, in luogo della stessa operazio-ne di aggregazione, sia possibile l’applicazione del

Bonus e dell’imposta sostitutiva. In merito, la circola-re dell’Agenzia delle Entrate n. 57/E del 2008 ha pre-cisato che il contribuente potrà optare per l’applica-zione dell’imposta sostitutiva sui residui maggiori va-lori eventualmente presenti in bilancio e non ricono-sciuti fiscalmente in quanto eccedenti i 5 milioni dieuro. Inoltre, ai fini dell’individuazione dell’aliquota(12%-14%-16%) da applicare al residuo ammontare,non si deve tenere conto della parte di maggiori valoriche ha ottenuto il riconoscimento fiscale gratuito; così,ad esempio, per un’operazione che presentadisallineamenti pari a 7 milioni di euro, su quelli cheresiduano dopo l’applicazione del Bonus Aggregazioni,pari a 2 milioni di euro, il contribuente potrà decideredi applicare l’aliquota pari al 12% (e non quella del14%) per ottenere l’ulteriore riconoscimento fiscale.Elemento di differenziazione/intersezione delle duetipologie di riallineamento è dato dalla modalità diapplicazione dei due regimi, dove, in quello ad impo-sta sostitutiva, è previsto che il riconoscimento fi-scale debba avvenire per categorie omogenee diimmobilizzazioni. Si ritiene, dunque, che questa re-gola debba essere coordinata con il funzionamentodel Bonus, dove invece una simile restrizione non èstata prevista.

Decadenza dal beneficio e sanzioniLe cause di decadenza, riproposte con lo stesso im-pianto normativo del biennio 2007/2008, vengono inessere qualora la società che emerge dall’operazione diaggregazione aziendale:– ponga in essere, nei primi quattro periodi d’im-posta11, ulteriori operazioni straordinarie di cui al Ti-tolo III, Capi III e IV del TUIR;– ceda i beni iscritti o rivalutati, sempre nell’ar-co dei predetti periodi d’imposta.In entrambi i casi è comunque fatta salva la possibilitàdi richiedere la disapplicazione della disposizioneantielusiva contenuta nel comma 6 dell’art. 4 del D.L. 5/2009, attivando la procedura prevista dall’art. 37 bis,comma 8 del D.P.R. 600/1973.Per quanto riguarda la prima fattispecie di decadenza,si sottolinea che non si vede ragione nella perdita del-l’agevolazione dove una S.r.l. conferitaria, dopo avergoduto del Bonus debba effettuare una trasformazio-ne omogenea in S.p.a. entro i quattro periodi d’impo-sta successivi.La seconda fattispecie non comporta di per sé aspettiautomatici di elusività. La norma ha esclusivamente loscopo di far mantenere nell’ambito della società cheemerge dall’operazione di aggregazione aziendale glielementi patrimoniali in essa confluiti.Stante questa previsione di carattere generale, nono-stante il carattere letterale della norma preveda la de-cadenza dal beneficio complessivamente considerato,sembrerebbe ragionevole disconoscere i maggiori valo-ri di cui si è goduto, esclusivamente e limitatamente aquelli ottenuti sullo specifico bene fuoriuscito. Su talpunto sarebbe opportuno un chiarimento.E’ infatti previsto che, nella dichiarazione dei redditidel periodo d’imposta in cui si verifica la decadenza, lasocietà sia tenuta a liquidare e versare l’IRES e l’IRAPdovute sul maggior reddito, relativo anche ai periodid’imposta precedenti, determinato senza tenere contodei maggiori valori riconosciuti fiscalmente per effettodel Bonus.Su queste maggiori imposte liquidate non sono sicura-mente dovute sanzioni e interessi, qualora le maggioriimposte siano versate autonomamente dal contribuen-te, in caso di decadenza12.L’esplicito riferimento nel comma 5 dell’art. 4 del D.L.n. 5/2009 all’applicazione, per la liquidazione, l’ac-certamento, ... le sanzioni e il contenzioso, delle di-sposizione previste per le imposte sui redditi, parecomporti l’applicazione di sanzioni e interessi qualo-ra la decadenza consegua ad eventuali controlli e veri-fiche effettuati dall’Amministrazione Finanziaria.

“Passione & Professione” è il titolo con cui vienepresentato il prossimo convegno nazionaledell’Unione Giovani Dottori Commercialisti edEsperti Contabili che si terrà a Pordenone nei giorni14, 15 e 16 di ottobre di quest’anno.Il titolo vuole sottolineare un aspetto che per noi, chesvolgiamo questo lavoro, è ben noto: senza passionenon si può esercitare la nostra professione, ed è propriola passione che abbiamo per la nostra professione checi spinge ad approfondire e migliorare quello chefacciamo. La possibilità di portare un convegnonazionale dell’associazione in terra triveneta è statacolta dall’Unione Giovani di Pordenone con ilmassimo dell’entusiasmo e della partecipazione, conil duplice intento di gratificare il nostro territorio, nonsempre adeguatamente conosciuto a livello nazionale,e di portare nel Nord Est un evento di rilievo chepremi anche le eccellenze professionali che sonopresenti nel nostro territorio.L’evento è patrocinato e accreditato ai fini dellaformazione permanente continua da parte dell’Ordinedei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili diPordenone.Oggetto dell’evento dal punto di vistadell’approfondimento saranno i nuovi modelliorganizzativi dello studio professionale e il controllo digestione negli studi. Temi che non sempre riescono atrovare adeguato spazio pratico all’interno del nostrooperare quotidiano, sempre troppo rivolto ad occuparsidel contingente che incombe senza soluzione dicontinuità. La passione è un ingrediente insostituibilema purtroppo non basta: anche a livello internazionale,l’Ifac sta affrontando il tema dell’organizzazione deglistudi professionali (Small and Medium Practioners)sotto la regia del collega Giancarlo Attolini. Le sfide chela congiuntura internazionale e nazionale stannolanciando devono essere colte da noi tutti in modostrategico, sistemico e organizzato. Molte volte, infatti,ci troviamo ad essere parte di ristrutturazioni aziendalio di valutazioni gestionali per i nostri clienti, senzatuttavia essere in grado di porre la medesima attenzioneall’interno delle nostre strutture in cui ci troviamoad operare in maniera probabilmente inadeguatarispetto alle risorse o agli obiettivi che abbiamo.Se poi il medesimo discorso lo trasliamo su un arcotemporale che non sia di breve momento, maggiore èla disattenzione che viene posta sui punti di forza osulle deficienze che gli apparati organizzativi dei nostristudi presentano.Dal punto di vista dottrinale sarà pertanto cura deirelatori, scelti in particolare all’interno delpanorama universitario, illustrare alcuni aspettipeculiari che l’attività di pianificazione,programmazione e controllo negli studi presenta,sottolineandone gli aspetti segnaletici che da talemetodologia di controllo può derivare.Inoltre, dal punto di vista delle strutture organizzativedi studio, verrà data enfasi a casi pratici che permettanodi illustrare come, a prescindere dalla forma societariautilizzata, sia possibile creare degli aggregati tra piùcolleghi e più professionalità.La creazione di strutture professionali diverse da quelleclassiche a noi note e l’adozione di sistemi di governoanche all’interno degli studi rappresentanoun’occasione operativa per fornire risposte adeguatealla propria clientela e permettono, soprattutto inmomenti di crisi, di rispondere meglio agli inevitabiliscossoni che si riflettono anche sulla nostraquotidianità. Come di consueto, oltre alla parte diapprofondimento, il Convegno Nazionale prevedeuna parte di intrattenimento che, nel caso specifico,avrà il proprio culmine nella cena organizzata pervenerdì 16. Senza voler entrare nei dettagli, soprattuttoper non rovinare la sorpresa agli intervenuti, la serataverrà organizzata in una cornice insolita, dove icongressisti e i loro accompagnatori potrannodegustare prodotti tipici della nostra zona e trascorrereil resto della serata in allegria.Gli ingredienti per passare delle giornate interessantidal punto di vista dell’approfondimento e piacevoliper quanto concerne l’aspetto dell’intrattenimento cisono tutti; un benvenuto fin da subito a tutti coloroche vorranno partecipare.

Passione& Professione

L'Unione Giovani a Pordenoneil 14, 15, 16 ottobre 2009

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Un nuovo istituto giuridico:la violazione tributaria putativa

NORME E TRIBUTI

FLAVIO PILLA Ordine di Treviso

IL COMMERCIALISTA VENETO

PrologoL’aggettivo putativo, secondo il Vocabolario della lin-gua italiana edito dall’istituto dell’Enciclopedia Ita-liana Treccani significa "che non è veramente ciò che ilsostantivo cui è unito indica, ma tenuto per tale, èconsiderato come tale", la parola, aggiunge il Vocabola-rio, è di uso comune solo nella locuzione “san Giusep-pe padre putativo di Gesù”.I giuristi chiamano putativo il matrimonio annullato"quando da almeno uno dei coniugi sia stato contrattoin buona fede"; in questo caso, infatti, nonostante l’an-nullamento "gli effetti del matrimonio valido si produ-cono a vantaggio dei figli i quali naturalmente conser-veranno poi per sempre lo stato di legittimi1 ".

Il fattoNel corso del 2006 un mio cliente acquistò presso unsuo fornitore londinese una partita di merce che gli fuperò spedita direttamente da Singapore e che fu, per-tanto, normalmente sdoganata in Italia; valore dellamerce Euro 100.000, IVA relativa Euro 20.000.Per una banale disattenzione (la fattura proveniva dalRegno Unito, cioè da un paese dell’Unione Europea)l’operazione, invece di essere trattata come importa-zione, fu contabilizzata quale acquisto intracomunitario(con tutte le conseguenze di ciò nella liquidazione del-l’IVA e nella presentazione del mod. INTRASTAT),però senza integrare la fattura "con l’indicazione delcontrovalore in lire del corrispettivo e degli altri elemen-ti che concorrono a formare la base imponibile dell’ope-razione, espressi in valuta estera, nonché dell’ammon-tare dell’ imposta, calcolata secondo l’ aliquota dei benio servizi acquistati2".L’IVA assolta sull’importazione fu considerata costonell’articolo di contabilità che conteneva l’onorariodello spedizioniere che aveva curato la pratica.Le conseguenze dell’errore, sul piano economico econtabile, sono state (per semplicità ipotizzo che l’IVAdella bolla doganale fosse pari a quella dell’integrazio-ne della fattura erroneamente considerataintracomunitaria):a) la ditta non ha detratto, nella liquidazione dell’impo-sta, Euro 20.000 di IVA versata in denaro alla dogana;b) la ditta ha conseguito un indebito risparmio di IRESed IRAP conseguente all’inserimento tra i costi del-l’IVA versata in dogana pari al 33,00 + 4,25 = 37,25%di Euro 20.000, cioè di Euro 6.950.Quindi l’errore, per il momento, è costato Euro 20.000- 6.950 = Euro 13.050.Al termine di una recente verifica una pattuglia (com-posta da un ufficiale e tre sottufficiali) di militari dellaGuardia di Finanza, senza avere la cortesia di informa-re il contribuente che la detrazione è ancora esercitabilecon la dichiarazione per il 20083, ha contestato, inrelazione all’errore che ho appena descritto, le viola-zioni che riporto nello specchietto in calce4.

Le violazioniLa prima delle violazioni contestate è ovvia: la bolladoganale doveva essere registrata ai fini IVA e ciò nonè stato fatto.Altrettanto è ovvio che gli imponibili IRES e IRAP5

siano stati indebitamente ridotti dall’inserimento tra i

costi dell’IVA pagata alla dogana tramite lo spedizio-niere. È, anche, senz’altro vero che il modelloINTRASTAT presentato per il periodo in cui l’opera-zione è stata effettuata conteneva dati inesatti (quelliinerenti l’acquisto intracomunitario inesistente in quantoin realtà era un’importazione).Sono, però, rimasto spiacevolmente colpito - comecittadino, non come professionista - scoprendo chel’ordinamento punisce l’”inesatta o irregolare compi-lazione del mod. INTRASTAT” due volte, una qualeviolazione finanziaria (da lire unmilione a lireduemilioni), un’altra quale offesa alla correttezza dellestatistiche nazionali ed europee (da lire unmilione alire diecimilioni). Soprattutto la seconda mi sembraesagerata nonostante l’importante riduzione6 possibi-le in caso che, anche su sollecitazione della parte pub-blica, i dati errati vengano rettificati.

La violazione putativaL’ultima delle violazioni (in verità i verificatori l’hannoesposta per prima, ma a me è sembrato opportuno la-sciarle l’onore dello spazio finale) deve essere spiegata.La fattura emessa dalla ditta inglese, infatti, non dove-va essere integrata ai sensi degli articoli 46 e 47 D.L.331 del 1993 in quanto non rappresentava un’opera-zione intracomunitaria (l’operazione IVA era l’impor-tazione, quindi la fattura non andava neanche proto-collata nel registro IVA degli acquisti).È, però, evidente che, secondo i verificatori, chi sba-glia deve essere coerente nell’errore fino in fondo e senon lo è, deve pagare il fio della sua incoerenza: se haitrattato l’operazione come acquisto intracomunitario,

ma ti sei dimenticato una delle parti - l’integrazionedella fattura - della procedura che hai dimostrato disupporre corretta, devi essere sanzionato per tale tuadimenticanza.Ripetiamo il concetto: se, come tu hai dimostrato dicredere, l’operazione fosse stata un acquistointracomunitario, avresti dovuto integrare la fattura,ma non l’hai fatto; hai quindi violato una norma che,secondo la tua convinzione avresti dovuto osservare,e devi essere punito per questo. Tale sillogismo,condivisibile sul piano strettamente etico (la personache si è comportata male rispetto alla situazione in cuicredeva di trovarsi è di sicuro censurabile anche se inrealtà, essendo la situazione diversa da quella che eglicredeva, non ha provocato nessun danno), è inaccetta-bile su quello giuridico in quanto lo scopo del sistemasanzionatorio in materia tributaria non può certo esserequello di distribuire giudizi etici.Le sanzioni amministrative in materia tributaria sonosoggette al principio di legalità7, devono, cioè, esserestabilite per legge e solo per legge, e la legge punisce lamancata integrazione della fattura intracomunitaria,non di quella supposta tale senza che, in effetti, lo sia.

EpilogoIgnoro ancora quale sarà la conclusione dell’iter inne-scato dalla verifica e, data la ordinaria inenarrabile lun-ghezza dei tempi della burocrazia italiana, non lo sa-prò per ancora molto tempo; quindi “continua allaprossima puntata”. Mi è, però, sembrato opportunoinformare velocemente i colleghi che è opportuno checi attrezziamo mentalmente a difendere i clienti da unnuovo pericolo: le “violazioni tributarie putative”, di-rei invocando il principio, proprio del diritto penale,per cui "Non è punibile chi commette un fatto noncostituente reato, nella supposizione erronea che essocostituisca reato"8.

1 Alberto Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, Padova, CEDAM, 1966 XV edizione, pag. 283.2 Art. 46 comma 1 D.L. 30 agosto 1993 n. 331 richiamato nel comma 1 del successivo art. 47.3 "Al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto …", art. 19 comma 1 D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633.4 Se qualcuno conosce qualche altro fatto che, da solo, costituisca cinque (o più) violazioni ognuna sanzionata separatamente, per favore me lo comunichi.5 Chiedo scusa, avrei dovuto dire “imponibile” IRES e “valore della produzione” per l’IRAP.6 Riduzione alla metà se entro trenta giorni dal verbale i dati vengono corretti, possibile definizione per le vie brevi pagando un terzo del massimo o, se più favorevole, il doppiodel minimo (in caso di rettifica nei trenta giorni, la definizione breve è ottenibile pagando il doppio del minimo dimezzato, cioè Euro 516, peraltro da moltiplicare per il numerodei modelli presentati con dati inesatti) vedi il D.L. n. 41 del 1995 art. 34 commi 1 e 5 e L n. 689 del 1981 art. 16.7 Art. 3 D.Lgs. 18 dicembre 1997 n. 472.8 Art. 49 del codice penale ai cui principi, secondo la relazione illustrativa, si è ispirata la riforma Visco (D.Lgs. n. 472 del 1997) del sistema delle sanzioni tributarie.

20 IL COMMERCIALISTA VENETO

BORSE DI STUDIO 2009

ASSOCIAZIONE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI ED ESPERTI CONTABILI DELLE TRE VENEZIE

IL COMMERCIALISTA VENETO PERIODICO BIMESTRALE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI ED ESPERTI CONTABILI DELLE TRE VENEZIE

NUMERO 188 - MARZO / APRILE 2009

L’Associazione dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili delle Tre Venezie, in collaborazione con Il Commercialista Veneto,periodico dalla stessa edito, al fine di individuare e valorizzare capacità professionali particolarmente qualificate nell’ambito dei giovanipraticanti e tirocinanti che non abbiano ancora superato l’Esame di Stato per l’ammissione alla professione di Dottore Commercialista,bandisce, anche per il 2009, un concorso per n. 3 borse di studio denominate IL COMMERCIALISTA VENETO 2009.

1. ImportoLe borse di studio prevedono l’elargizione a favore dei vincitori di un premio in denaro di Euro 800 al lordo ciascuno.

2. DestinatariDestinatari delle borse di studio sono i giovani nati dopo il 31/12/1977, iscritti al Registro praticanti di uno dei 14 Ordini dei Dottori Commer-cialisti ed Esperti Contabili delle Tre Venezie prima del 30/09/2008, ovvero i praticanti che abbiano concluso il periodo di praticantatoobbligatorio e non abbiano ancora superato l’Esame di Stato per l’ammissione alla professione di Dottore Commercialista.

3. OggettoI partecipanti dovranno presentare un elaborato inedito di approfondimento, di lunghezza compresa tra le 15.000 e le 20.000 battute (spaziinclusi), su un argomento specifico inerente l’attività professionale dei Dottori Commercialisti. Ogni lavoro dovrà essere accompagnato dauna premessa introduttiva (abstract) di una cartella (distinta dalla relazione e non rilevante ai fini della dimensione massima dell’elabora-to), in cui l’Autore dovrà illustrare sommariamente i contenuti, gli obiettivi e i risultati della ricerca. Costituirà particolare elemento divalutazione l'originalità e la novità nell'approccio al tema trattato.

4. ModalitàGli interessati dovranno inviare i loro elaborati esclusivamente a mezzo di posta elettronica, redatti in formato word, al Comitato di Redazionede IL COMMERCIALISTA VENETO, all’indirizzo [email protected], entro le ore 24.00 del 31 ottobre2009. Dovrà essere allegato modulo di iscrizione rilevabile dal sito web del giornale: www.commercialistaveneto.com e copia della documen-tazione, rilasciata dai rispettivi Ordini di appartenenza, attestante i requisiti di cui al punto 2). 5. GiuriaLa giuria è costituita dai componenti il Comitato di Redazione de IL COMMERCIALISTA VENETO, dal Direttore del periodico e dalPresidente dell’Associazione. Verificato il rispetto dei requisiti di cui ai punti 2, 3 e 4, la giuria deciderà a maggioranza, a suo insindacabile einappellabile giudizio.

6. PremiazioneLa premiazione avverrà in occasione di una Giornata di Studio organizzata dall’Associazione dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabilidelle Tre Venezie nella stagione formativa 2009/2010. I lavori premiati saranno integralmente pubblicati su “Il Commercialista Veneto”;potranno eventualmente essere pubblicati, pur non premiati, anche lavori ritenuti di particolare interesse.Dopo il 31 dicembre 2010 i lavori che hanno concorso all’assegnazione delle borse di studio potranno essere pubblicati anche altrove conl’espressa indicazione “elaborato redatto per la partecipazione alla borsa di studio denominata IL COMMERCIALISTA VENETO 2009periodico bimestrale dell’Associazione dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili delle Tre Venezie”. Venezia, giugno 2009

ASSOCIAZIONE DEI DOTTORI IL COMMERCIALISTA VENETO COMMERCIALISTI ED ESPERTI CONTABILIDELLE TRE VENEZIE Il Presidente Il Direttore ResponsabileDante Carolo Massimo Da Re

NUMERO 188 - MARZO / APRILE 2009 21NORME E TRIBUTI

IL COMMERCIALISTA VENETO

1 PremessaIl contratto di leasing non gode di un’autonoma trat-tazione nell’ambito della regolamentazione contrat-tuale sancita dal del codice civile.La definizione è tuttavia rintracciabile in una dispo-sizione convertita in Legge e precisamente nell’artico-lo 6 del Decreto Legge del 8 marzo 1991, numero 72,che così enunciava: “per locazione finanziaria si in-tende l’operazione nella quale il concedente mette adisposizione per un tempo determinato e verso uncorrispettivo periodico un bene strumentale all’eser-cizio dell’attività dell’utilizzatore, che il concedente facostruire, o acquista anche dallo stesso utilizzatoreche lo sceglie e ne assume tutti i rischi, anche diperimento, e può acquisire la proprietà a scadenza delcontratto con il pagamento di un prezzo prestabilito”.Questa tipologia contrattuale si caratterizza per latrilateralità dei soggetti che vi prendono parte:a) l’utilizzatore, che rappresenta la parte inte-ressata all’utilizzo del bene e all’eventuale acquisto,dietro pagamento di corrispettivi periodici e di un prez-zo di riscatto concordato sin dall’inizio;b) il fornitore del bene, che assume l’impegnodi cedere il bene scelto dall’utilizzatore;c) l’impresa concedente che acquista il benedal fornitore e ne cede il diritto d’uso all’utilizzatore,impegnandosi a cederlo definitivamente alla scadenzadel contratto.Quando utilizzatore e fornitore sono il medesimosoggetto si è in presenza del contratto c.d. di “leaseback”.La peculiarità del leasing, rispetto al noleggio, consi-ste nella facoltà accordata all’utilizzatore di poter ac-quistare il bene al termine del contratto, versando uncorrispettivo pattuito (prezzo di riscatto).La disciplina del leasing ha sancito, nell’ambito dellamedesima tipologia contrattuale, due categorie diffe-renti a seconda che l’obiettivo dell’utilizzatore siaquello di acquisire, o meno, il bene oggetto del contrat-to. A tal proposito distingue:- il leasing finanziario dove l’obiettivodell’utilizzatore è quello di acquistare il bene al ter-mine del contratto e nel quale il ruolo del concedenteè riservato ad istituti finanziari che non hanno alcunlegame con l’utilizzatore;- il leasing operativo ove ha rilevanza predo-minante per l’utilizzatore la possibilità di impie-go durante il periodo di locazione, mentre l’impre-sa concedente, che talvolta si impegna a fornire con-trattualmente la manutenzione del bene, condivide gliinteressi economici del fornitore, facendo spesso par-te del medesimo gruppo.Il locatario secondo la normativa italiana devecontabilizzare l’operazione secondo il metodopatrimoniale che privilegia l’aspetto formale (normativo-giuridico) a quello economico-sostanziale, secondo cui,il contratto di leasing viene equiparato ad un normalecontratto di locazione, i cui canoni sono costituiti da-gli importi periodici versati a fronte della facoltà diutilizzazione dei beni.Il principio contabile internazionale numero 17 ritieneche tale metodologia di contabilizzazione del contrat-to di leasing finanziario non consenta una chiaraesposizione del fenomeno economico in bilancio, per-tanto, suggerisce di registrare tra le immobilizzazionidel locatario il bene oggetto del contratto di leasing edi rilevare il corrispondente debito nei confronti delfornitore.Il valore del bene deve essere sistematicamente am-

Il leasing immobiliaree la capitalizzazione dei costi

riferita ai terreniANDREA BARBERA

Ordine di Padova

mortizzato in relazione alla residua possibilità di uti-lizzazione.Il locatario deve, altresì, considerare le rate del con-tratto come se fossero i rimborsi di un finanziamentosottoscritto per l’acquisto del bene, imputando a con-to economico i relativi interessi.Più nello specifico, lo IAS 17 indica le condizioni chepermettono di classificare un leasing come operativoo finanziario basate sull’attribuzione dei rischi e deibenefici derivanti dalla proprietà di un bene locato allocatore o al locatario.____________________________________________________________

RISCHI La possibilità di perdite derivanti dacapacità inutilizzata o da obsolescenza tecnologica edi variazioni di rendimento dovute a cambiamenti nel-le condizioni economiche.

BENEFICI L’attesa di utilizzo redditizio durantela vita economica del bene e di proventi dallarivalutazione o dalla realizzazione del valore residuo.__________________________________________

Un leasing è classificato come finanziario se trasferi-sce, di fatto, tutti i rischi e i benefici derivanti dallaproprietà al conduttore. In caso contrario il contratto,secondo la classificazione contenuta nello IAS 17, è daqualificare come leasing operativo.La tabella sottostante riepiloga i criteri dettati dalloIAS 17 per la verifica della tipologia di leasing.

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Requisiti delLeasing Finanziario per lo IAS 17

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1. Vi è trasferimento della proprietà del beneal locatario al termine del contratto di leasing.

2. Il locatario ha l’opzione di acquisto delbene ad un prezzo che ci si attende sia sufficien-temente inferiore al fair value alla data in cui sipuò esercitare l’opzione.

3. La durata del leasing copre la maggior par-te della vita economica del bene anche se la pro-prietà non è trasferita.

4. Nel momento iniziale del leasing il valoreattuale dei pagamenti minimi dovuti per il leasingequivale almeno al fair value del bene locato.

5. Il bene locato è di natura così particolareche solo il locatario può utilizzarlo senza doverapportare importanti modifiche.__________________________________________

Nel leasing operativo la sostanza economica dell’ope-razione coincide con la forma giuridica del contratto,pertanto, il locatario registra i canoni come costi d’eser-cizio, con un criterio sistematico che rispecchi le mo-

dalità temporali di godimento dei benefici da partedell’utilizzatore.Qualora all’atto della stipula del contratto sia previsto ilversamento di un maxicanone, l’importo corrispon-dente deve essere imputato tra i costi dell’esercizio eriscontato in funzione della durata residua del contratto.Nel leasing finanziario il maxicanone costituisce partedella quota di capitale del finanziamento sottoscrittoper l’acquisto del cespite.La riforma societaria introdotta dalla Legge 3 ottobre2001, numero 366, ed attuata tramite il Decreto Legisla-tivo numero 6, del 10 gennaio 2003, ha introdotto apartire dal 2004 nuovi obblighi contabili all’estensoredel bilancio, relativamente alla contabilizzazione delleoperazioni di leasing finanziario.Intatti, se prima era comunque opportuno fornire innota integrativa le informazioni di confronto tra lemodalità di contabilizzazione stabilite dalla normativanazionale e quelle richieste dal principio contabile in-ternazionale numero 17, ora, tali informazioni di-vengono obbligatorie e dovranno essere esposte alpunto 22) della nota integrativa al bilancio d’esercizio,dove si richiede di indicare: “le operazioni di locazionefinanziaria che comportano il trasferimento al locata-rio della parte prevalente dei rischi e dei benefici ine-renti ai beni che ne costituiscono oggetto, sulla base diun apposito prospetto dal quale risulti il valore attualedelle rate di canone non scadute quale determinatoutilizzando tassi di interesse pari all’onere finanziarioeffettivo inerenti i singoli contratti, l’onere finanziarioattribuibile ad essi e riferibile all’esercizio, l’ammon-tare complessivo al quale i beni oggetto di locazionesarebbero stati iscritti alla data di chiusura dell’eser-cizio qualora fossero stati consideratiimmobilizzazioni, con separata indicazione di ammor-tamenti, rettifiche e riprese di valore che sarebberostati inerenti l’esercizio”.

2 Trattamento fiscale del leasingL’art. 102, comma 7, del TUIR, in vigore dal 1° gen-naio 2008 - come modificato dalla Legge del 24 di-cembre 2007, n. 244, art. 1 - a proposito delladeducibilità dei canoni leasing prevede che “… Perl’impresa utilizzatrice che imputa a conto economico icanoni di locazione finanziaria, la deduzione è am-messa a condizione che la durata del contratto non siainferiore ai due terzi del periodo di ammortamentocorrispondente al coefficiente stabilito a norma delcomma 2, in relazione all’attività esercitata dall’im-presa stessa; in caso di beni immobili, qualora l’ap-plicazione della regola di cui al periodo precedentedetermini un risultato inferiore a undici anni ovverosuperiore a diciotto anni, la deduzione è ammessa sela durata del contratto non è, rispettivamente, inferio-re a undici anni ovvero pari almeno a diciotto anni…”Pertanto, fermo restando il criterio generale per cui ilcontratto di locazione finanziaria deve avere una dura-ta non inferiore a due terzi del periodo di ammorta-mento, così come individuato dalle tabelle allegate alD.M. 31 dicembre 1988, viene prevista una durataminima e massima per i leasing immobiliari, rispetti-vamente di 11 e 18 anni.Per i contratti sottoscritti antecedentemente il 1° gen-naio 2008 la durata minima non doveva essere inferio-re alla metà del periodo di ammortamento, e con parti-colare riferimento ai contratti di leasing immobiliare

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22 NUMERO 188 - MARZO / APRILE 2009 IL COMMERCIALISTA VENETO

dovevano avere una durata minima e massima rispetti-vamente di 8 e di 15 anni.2.1 Il trattamento fiscale del leasing immobiliareNella tabella sottostante si evince la durata massimadel leasing immobiliare in relazione ai vari coefficientidi ammortamento fiscali tenuto conto dei tre requisiti:- della durata non inferiore ai due terzi del pe-

riodo di ammortamento;- della durata minima di 11 anni;- della durata massima di 18 anni;

2.2 Indeducibilità dei costi dei terrenisu cui insistono i fabbricatiL’articolo 36, comma 7, del decreto legge 4 luglio 2006,n. 223 stabilisce che “ai fini del calcolo delle quote diammortamento deducibili il costo complessivo dei fab-bricati strumentali è assunto al netto del costo dellearee occupate dalla costruzione e di quelle che ne co-stituiscono pertinenza”. Il costo delle aree, se non au-tonomamente acquistate in precedenza, è quantificatoin misura pari al maggior valore tra quello esposto inbilancio nell’anno di acquisto e quello corrispondenteal 20% e, per i fabbricati industriali, al 30% del costocomplessivo stesso. Lo stesso comma 7 definisce fab-bricati industriali “quelli destinati alla produzione otrasformazione di beni”.Non rientrano, quindi, tra i fabbricati industriali gliimmobili destinati ad un’attività di servizi ovvero, comeprecisato nella circolare n. 1/E del 19 gennaio 2007,quelli destinati ad un’attività commerciale quali adesempio negozi, locali destinati al deposito o allostoccaggio di merci.A tal proposito la Risoluzione del 19 dicembre 2007n. 383 stabilisce inoltre che “… Ai fini della determi-nazione del valore fiscalmente deducibile del fabbri-cato, occorre utilizzare - nelle aree in cui è esercitataindistintamente sia l’attività industriale che un’attivitàdiversa - criteri che evidenzino in modo oggettivo imetri quadri utilizzati per lo svolgimento delle diverseattività e calcolare l’area destinata alle diverse attivi-tà in proporzione al personale impiegato per lo svol-gimento delle stesse. Nel costo complessivo dell’im-mobile sul quale applicare le percentuali forfetariedovrà essere ricompreso anche il valore delle aree dipertinenza e quindi, anche il valore di quelle aree che- seppur distinte al Catasto Terreni - sono destinatedurevolmente a servizio del complesso immobile. L’im-putazione delle spese di ammortamento eristrutturazione nel bilancio, costituisce presuppostoper la deducibilità fiscale, nel rispetto dei requisiti dicertezza e obiettiva determinabilità stabiliti nel comma1 dell’art. 109 del TUIR.”

2.3 Indeducibilità del costo dei terreni su cuiinsistono i fabbricatiLa Risoluzione del 23 febbraio 2004 n. 19 formulata inrisposta ad un’istanza d’interpello, fornisce alcuneprecisazioni in merito alla deducibilità dei canoni dileasing conseguenti all’acquisto di un terreno median-te un contratto di locazione finanziaria.L’Agenzia, atteso che il trattamento fiscale dei canoniderivanti da un contratto di locazione finanziaria perl’acquisizione di un terreno deve essere equivalente aquello applicabile al costo sostenuto per l’acquisto diun terreno a titolo di proprietà, ritiene in virtù del“principio di equivalenza” tra l’acquisizione del benein proprio e l’acquisizione attraverso un contratto di

locazione finanziaria, così come non sono ammesse indeduzione dal reddito d’impresa le quote di ammorta-mento di un terreno strumentale, non sono deducibili icanoni di locazione finanziaria relativi ad un terrenoacquisito in leasing.Tuttavia in applicazione al principio di equivalenza è,invece, deducibile la quota parte costituita dagli inte-ressi passivi impliciti relativi al contratto di leasingper l’acquisizione di un terreno, tali interessi concor-reranno alla determinazione del reddito d’impresa nel-l’esercizio di competenza tenendo conto dei limiti pre-visti dall’art. 96 del nuovo TUIR (già art. 63).

2.4 Il trattamento fiscale in capo alla societàconcedente il bene in leasingLa Risoluzione del 20 settembre 2007 n. 256 precisache “la disciplina prevista nei commi 7, 7 bis e 8dell’articolo 36 del decreto legge n. 223 del 2006 nonè applicabile nei confronti delle società di leasing checoncedono in locazione finanziaria l’immobile, poichéper tali società l’immobile costituisce, nella sostanza,un credito vantato nei confronti dell’utilizzatore e nonun bene strumentale”.Inoltre, si ricorda che la Corte di Cassazione ha stabi-lito che le quote di ammortamento sono deducibili, perla società di leasing, fino al momento del riscatto daparte dell’utilizzatore, dopo di che è quest’ultimo cheha diritto all’ammortamento medesimo.

3 Informativa in Nota Integrativa al punto 22)La disciplina del bilancio è stata modificata dal D.Lgs.n. 6 de 17 gennaio 2003 e successive modifiche recantela riforma del diritto societario.In tale occasione è stato modificato anche l’articolo2427 del codice civile rubricato “Contenuto della notaintegrativa”, dove a proposito delle operazioni dileasing finanziario è stato introdotto il punto 22) checosì recita: “La nota integrativa deve indicare, oltre aquanto stabilito da altre disposizioni:(omissis)22) le operazioni di locazione finanziaria che compor-tano il trasferimento al locatario della parte prevalen-te dei rischi e dei benefici inerenti ai beni che ne costi-tuiscono oggetto, sulla base di un apposito prospettodal quale risulti il valore attuale delle rate di canonenon scadute quale determinato utilizzando tassi di in-teresse pari all’onere finanziario effettivo inerenti isingoli contratti, l’onere finanziario effettivo attribuibilead essi e riferibile all’esercizio, l’ammontare com-plessivo al quale i beni oggetto di locazione sarebberostati iscritti alla data di chiusura dell’esercizio qualo-ra fossero stati considerati immobilizzazioni, con se-parata indicazione di ammortamenti, rettifiche e ri-prese di valore che sarebbero stati inerenti all’eserci-zio.”.L’OIC si è pronunciato sul nuovo punto 22 della notaintegrativa proponendo, con il principio contabile n.12 “Schemi di bilancio” una tabella riepilogativa cheriassume le informazioni richieste.Un esempio di come esporre in nota integrativa leinformazioni richieste dal dettato normativo dell’arti-colo 2427, numero 22), del codice civile, aiuterà unamigliore comprensione di quanto sin qui trattato.Si supponga pertanto di riepilogare gli estremi del con-tratto di leasing immobiliare in un prospetto comequello esposto di seguito.

Aliquota ammortamento

fabbricato Ammortamento 2/3 del periodo di ammortamento

Durata minima del leasing

3% 34 anni 22,7 anni 18 anni 3,50% 30 anni 20 anni 18 anni

4% 26 anni 17,3 anni 17,3 anni 5% 21 anni 14 anni 14 anni

5,50% 19 anni 12,7 anni 12,7 anni 6% 18 anni 12 anni 12 anni 7% 15 anni 10 anni 11 anni

Bene in leasing Contratto n. XXX Fabbricato industriale

Anno di bilancio 2008- Apertura bilancio 01/01/2008- Chiusura del bilancio 31/12/2008- Aliquota media imposte IRES 27,5% + IRAP 3,9% 31,40%- Costo del bene per il concedente 396.239,24- Aliquota di ammortamento 3,00%- Deducibilità del costo di acquisto ai fini IRES 80%- Anno di acquisto del cespite 2001- Aliquota IVA sull’acquisto 20%- Detraibilità dell’IVA 100%- Costo del concedente più indetraibilità IVA 396.239,24- Fondo ammortamento all’inizio dell’esercizio 77.266,65- Ammortamento dell’anno 11.887,18- Fondo ammortamento alla chiusura dell’esercizio 89.153,83

Data di inizio contratto 17/07/2001- Data di fine contratto 17/05/2011- Giorno inizio contratto 17- Mese inizio contratto 7- Anno inizio contratto 2001- Totale giorni contratto 3592- Totale giorni di competenza dell’esercizio 366- Totale giorni di competenza residua 867- Totale giorni di competenza residua oltre 12 mesi 502 Maxicanone alla firma 33.569,70- Numero rate 119,00- Valore rata 3.749,03- Maxicanone alla firma più indetraibilità IVA 33.569,70- Valore rata più indetraibilità IVA 3.749,03- Costo totale del leasing senza riscatto 479.704,62- Canoni leasing di competenza 44.988,40- Risconto attivo maxicanone 8.102,71- Maxicanone di competenza dell’esercizio 3.420,52 Prezzo di riscatto 39.623,92- Anno di riscatto del cespite 2011- Prezzo di riscatto più indetraibilità IVA 39.623,92- Valore beni riscattati 0,00- Fondo ammortamento all’inizio dell’esercizio 0,00- Ammortamento dell’anno dei beni riscattati 0,00- Fondo ammortamento alla chiusura dell’esercizio 0,00 Totale interessi da contratto 123.089,30- Tasso di interesse implicito per rata 6,858%- Interessi di competenza 8.232,50- Interessi residui 8.793,80- Quota capitale dei canoni residui 99.928,15- Quota capitale dei canoni residui oltre 12 mesi 60.570,85- Debito verso società di leasing 139.552,08- Debito verso società di leasing oltre 12 mesi 100.194,77

SEGUE DA PAGINA 21

SEGUE A PAGINA 23

Il leasingimmobiliare

NUMERO 188 - MARZO / APRILE 2009 23IL COMMERCIALISTA VENETO

Anno Rate Debito residuo

Rata capitale

Capitale residuo Interessi

Risconto del maxi-

canone

Maxi-canone residuo

Maxicanone 33.569,70 485.758,88 33.569,70 362.669,53 33.569,70 2001 22.494,20 463.264,68 11.581,64 351.087,89 10.912,56 1.570,08 31.999,62 2002 44.988,40 418.276,28 24.385,81 326.702,08 20.602,59 3.411,17 28.588,45 2003 44.988,40 373.287,88 26.111,72 300.590,36 18.876,68 3.411,17 25.177,28 2004 44.988,40 328.299,48 27.959,78 272.630,58 17.028,62 3.420,52 21.756,75 2005 44.988,40 283.311,08 29.938,64 242.691,94 15.049,76 3.411,17 18.345,58 2006 44.988,40 238.322,68 32.057,55 210.634,39 12.930,84 3.411,17 14.934,40 2007 44.988,40 193.334,28 34.326,43 176.307,96 10.661,96 3.411,17 11.523,23 2008 44.988,40 148.345,88 36.755,90 139.552,06 8.232,50 3.420,52 8.102,71 2009 44.988,40 103.357,48 39.357,30 100.194,76 5.631,09 3.411,17 4.691,53 2010 44.988,40 58.369,08 42.142,82 58.051,94 2.845,57 3.411,17 1.280,36 2011 18.745,16 39.623,92 18.428,02 39.623,92 317,14 1.280,36 0,00 Riscatto 39.623,92 0,00 39.623,92 0,00 Totale 519.328,58 396.239,23 123.089,30 33.569,70

Anno Costo storico Ammortamento Fondo ammortamento

Residuo da ammortizzare

2001 396.239,23 -5.943,59 -5.943,59 390.295,64 2002 -11.887,18 -17.830,77 378.408,46 2003 -11.887,18 -29.717,94 366.521,29 2004 -11.887,18 -41.605,12 354.634,11 2005 -11.887,18 -53.492,30 342.746,93 2006 -11.887,18 -65.379,47 330.859,76 2007 -11.887,18 -77.266,65 318.972,58 2008 -11.887,18 -89.153,83 307.085,40 2009 -11.887,18 -101.041,00 295.198,23 2010 -11.887,18 -112.928,18 283.311,05 2011 -11.887,18 -124.815,36 271.423,87 2012 -11.887,18 -136.702,53 259.536,70 2013 -11.887,18 -148.589,71 247.649,52 2014 -11.887,18 -160.476,89 235.762,34 2015 -11.887,18 -172.364,07 223.875,16 2016 -11.887,18 -184.251,24 211.987,99 2017 -11.887,18 -196.138,42 200.100,81 2018 -11.887,18 -208.025,60 188.213,63 2019 -11.887,18 -219.912,77 176.326,46 2020 -11.887,18 -231.799,95 164.439,28 2021 -11.887,18 -243.687,13 152.552,10 2022 -11.887,18 -255.574,30 140.664,93 2023 -11.887,18 -267.461,48 128.777,75 2024 -11.887,18 -279.348,66 116.890,57 2025 -11.887,18 -291.235,83 105.003,40 2026 -11.887,18 -303.123,01 93.116,22 2027 -11.887,18 -315.010,19 81.229,04 2028 -11.887,18 -326.897,36 69.341,87 2029 -11.887,18 -338.784,54 57.454,69 2030 -11.887,18 -350.671,72 45.567,51 2031 -11.887,18 -362.558,90 33.680,33 2032 -11.887,18 -374.446,07 21.793,16 2033 -11.887,18 -386.333,25 9.905,98 2034 -9.905,98 -396.239,23 0,00

Totale 396.239,23 -396.239,23

La scrittura di transito dal criterio di contabilizzazionepatrimoniale a quello finanziario è la seguente:

Diversi 423.465,17Immobilizzazioni materiali 396.239,24Interessi finanziari 8.232,50Ammortamento 11.887,18Imposte differite 7.106,26

@ Diversi 423.465,17Fondo ammortamento finale 89.153,83Godimento di beni di terzi 48.408,92Debito verso società di leasing 139.552,08Risconto attivo del maxicanone 8.102,71Fondo imposte differite finale 33.435,16Effetto a patrimonionetto iniziale 104.812,48

Il piano di ammortamento del bene oggetto del contratto è specificato nella tabella di cui sotto:

Il piano di rimborso del leasing preparato dal locatoreè riportato nella tabella sottostante:

La Società ha in corso contratti di locazione finanzia-ria che comportano il trasferimento al locatario dellaparte prevalente dei rischi e dei benefici inerenti aibeni che ne costituiscono oggetto per un importo com-plessivo pari a Euro 396.239,24.La rappresentazione patrimoniale, anziché finanziariasecondo lo IAS 17, del leasing ha comportato unavalutazione del Patrimonio Netto a fine esercizio pari

a Euro -125.995,46 e un risultato dell’esercizio pari aEuro -21.182,98 al netto dell’effetto fiscale per com-plessivi Euro 7.106,26.

Di seguito si riporta un prospetto di riepilogo dellasommatoria dei dati relativi ai contratti di locazionefinanziaria stipulati dall’azienda, che comportano iltrasferimento in capo alla stessa dei rischi e dei bene-fici inerenti ai beni che ne costituiscono oggetto e chehanno interessato l’esercizio.

4 La capitalizzazione dei costi riferitiai terreni nel leasing immobiliare

L’ammortamento é una procedura tecnico-contabileattraverso la quale si ripartisce nei vari esercizi l’oneredel deperimento e del consumo relativo all’utilizza-zione di beni strumentali di durata pluriennale.Ciò premesso, si rammenta che, linea generale, iterreni, ancorché assolvano la funzione di bene stru-mentale, non sono ammortizzabili in quanto hannouna vita illimitata. Ciò é confermato dal fatto che latabella dei coefficienti di ammortamento del costodei beni materiali strumentali approvata con decre-to ministeriale 31 dicembre 1988 non prevede lapossibilità di ammortizzare i terreni salvo nel casoin cui essi siano adibiti a piste, moli, linee ferrate edautostrade. Si tratta di particolari attività, ricompresenel Gruppo XVIII - specie dalla prima alla quinta e la

PUNTO 22DELLA NOTA INTEGRATIVA

Esercizio in corso

Immobilizzazioni materiali (+)Immobilizzazioni materiali 396.239,24(-) Fondo ammortamento iniziale -77.266,65(-) Ammortamento -11.887,18(-) Fondo ammortamento finale -89.153,83A) Totale immobilizzazioni 307.085,41 Immobilizzazioni riscattate (+) Immobilizzazioni riscattate 0,00(-) Fondo ammortamento beni riscattati iniziale 0,00(-) Ammortamento beni riscattati 0,00(-) Fondo ammortamento beni riscattati finale 0,00B) Totale immobilizzazioni riscattate 0,00 C) Totale immobilizzazioni nette= A) - B) 307.085,41 (+) Debito verso società di leasing all’iniziodell’esercizio 176.307,97(-) Canoni corrisposti nell’esercizio -36.755,90D) Debito verso società di leasing(capitale e riscatto) – SP 139.552,08di cui oltre 12 mesi 100.194,77 E) Risconto attivo del maxicanone – SP 8.102,71 (+) Ammortamento 11.887,18(-) Ammortamento beni riscattati 0,00(+) Interessi finanziari 8.232,50(-) Godimento di beni di terzi -48.408,92Effetto a conto economico -28.289,24Imposte differite / (anticipate) 7.106,26Effetto netto a CE di periodo -21.182,98 Imposte differite Fondo imposte differite /(anticipate) iniziale 26.328,90Imposte differite / (anticipate)di periodo 7.106,26

F) Fondo imposte differite finale 33.435,16Effetto a patrimonio netto iniziale -104.812,48Effetto netto a CE di periodo -21.182,98

G) Effetto a patrimonio netto finale= C) - D) - E) + F) -125.995,46

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Il leasingimmobiliare

24NUMERO 188 - MARZO / APRILE 2009

Questo periodico è associatoall'Unione Stampa Periodica Italiana

PERIODICO BIMESTRALE DELL'ASSOCIAZIONE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI DELLE TRE VENEZIE

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Hanno collaborato a questo numero: ANDREA BARBERA (PD) - ALBERTO DELUCA (TV) - FLAVIO PILLA (TV) – ALBERTO PISARRO (VE) - ENRICO

PRETE (UD) - GIUSEPPE RODIGHIERO (VI) - NICOLA SOLDATI (BO)GIULIA TESCARO (VI)

Inserto a cura di: COMMISSIONE DI STUDIO DI DIRITTO TRIBUTARIO NAZIONA-LE E INTERNAZIONALE DELL'ORDINE DI TREVISOSegreteria di Redazione: MARIA LUDOVICA PAGLIARI, via Paruta 33A, 3 5126 PadovaAutorizzazione del Tribunale di Venezia n. 380 del 23 marzo 1965Editore: ASSOCIAZIONE DOTTORI COMMERCIALISTI E DEGLI ESPERTICONTABILI DELLE TRE VENEZIE Fondatore: Dino Sesani (Venezia)Ideazione, laying out: Dedalus (Creazzo-VI)Stampa: GRAFICHE ANTIGA spa , via delle Industrie, 1 - 31035 Crocetta del Montello

Articoli (carta e dischetto), lettere, libri per recensioni, vanno inviati a Maria Ludovica Pagliari, via Paruta33A, 35126 Padova, tel. 049 757931. La redazione si riserva di modificare e/o abbreviare. I colleghipossono prendere contatto con il redattore del proprio Ordine per proposte e suggerimenti. Gli interventipubblicati riflettono esclusivamente il pensiero degli autori e non impegnano Direzione e Redazione.

Numero chiuso il 20 luglio 2009 - Tiratura 10.500 copie.

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IL COMMERCIALISTA VENETO

Il leasing immobiliareQuesto al volo:SEGUE DA PAGINA 23

L'intervistaad Antonio CancianQuella di Germano Rossi (pagine 3e 4) è qualcosa di più che una buonaintervista ad un personaggio di spic-co dell'economia veneta. Coinvolgein realtà un personaggio che può es-sere interpretato, nel suo ruolo im-prenditoriale-professionale, come unpossibile piccolo profeta di un'allean-za tra professioni e impresa che è pro-babilmente una scelta obbligata delnostro futuro.

La difficileconciliazionedei conflitti societariTema classico e sempre attuale, quellosvolto a pagine 5 e 6 dal professorNicola Soldati dell'Università diBologna. Il tema del conflittosocietario e della sua possibile conci-liazione è sviluppato in senso verti-cale e con una sintesi davvero effica-ce: organismi, svolgimento, perso-naggio chiave della conciliazione, ef-fetti processuali, verbale, tariffe.

La “privacy”e il computerAncora un capitolo sulla privacy, sta-volta nei suoi versanti informatici(Privacy e spazzatura elettronica)dalla competenza di AdrianoCancellari a pagina 2.

Tra art banking erischio d'impairmentper le società quotateDue temi apparentement molto di-versi ma strettamente legati all'attua-lità più stringente delle crisi finan-ziarie (al plurale) sono svolti in modoefficace da due praticanti vicentini,Giulia Tescaro (pagine 7 e 8) e Giu-seppe Rodighiero (pagine 9 e 10).In tempo di crisi l'arte è un investi-mento in senso classico? E gliintangible assets delle società quota-te italiane che fine fanno?

dodicesima - che operano in regime diconcessione nel settore del trasportoaereo, marittimo, ferroviario, nonchédella costruzione e gestione delle auto-strade, strade e superstrade per le qualial termine della concessione l’intera pro-prietà dei beni in concessione va devolu-ta gratuitamente all’ente concedente. Inquesto caso, i terreni non hanno un valo-re di recupero per il concessionario e laloro inclusione in tabella é giustificata dallanecessità di consentire la deduzione delloro costo attraverso il processo di am-mortamento.Si tratta, comunque, di eccezioni checonfermano la regola generale che nonconsente l’ammortamento del bene stru-mentale terreno.Il principio contabile n. 16 “Leimmobilizzazioni materiali” dell’OIC invigore dal 13 luglio 2005, a propositodell’ammortamento dei terreni così re-cita: “La procedura di ammortamentoè prescritta per le immobilizzazionimateriali la cui utilizzazione è limitatanel tempo; non appare, dunque,estendibile a tutte le immobilizzazioni.Vi sono, infatti, immobilizzazioni nonsoggette a utilizzazione limitata nel tem-po per le quali la procedura di ammor-tamento è improponibile (l’esempio ti-pico è costituito dai terreni), altre che,pur soggette a tale limitazione, per laloro modesta entità non vengono assog-gettate all’ammortamento, ma diretta-mente imputate a spese nell’esercizio.La scelta dell’una o dell’altra procedu-ra rispecchia criteri tecnici e non devecontrastare con i requisiti della «chia-rezza» e della «rappresentazione veri-tiera e corretta» richiesti dall’art. 2423c.c. e di «evidenza e verità degli utiliconseguiti» richiesti dall’art. 2217 c.c.”.Alla luce di quanto sin qui detto, a pare-re di chi scrive, nel leasing immobiliaredovrebbe essere possibile, se non ne-cessario, capitalizzare la quota capitaleriferita al terreno, infatti, come nel pro-cedimento di ammortamento non è pos-sibile ammortizzare un bene la cui uti-lizzazione non è limitata nel tempo,così, sembra “improponibile” rilevarecome componente negativa di redditociò che non ha natura reddituale (canoneleasing riferito al terreno).Ad avvalorare tale tesi sta il fatto chel’acquisto di un immobile medianteleasing finanziario comporterebbe unadifformità sostanziale di rilevazione dicosti a bilancio rispetto all’acquisto delmedesimo immobile mediante finanzia-mento da parte di un istituto di credito.Più nello specifico, ipotizzando che ilvalore dell’immobile risulti pari a 1.000,di cui 200 sono rappresentati dal valoredel terreno, nell’ipotesi di acquisto confinanziamento si dovrebbe procedere al-l’ammortamento solo di 800, rappresen-tati dal valore del fabbricato, mentre i200 riferiti al terreno verrebberocapitalizzati, viceversa, se l’acquistofosse fatto mediante leasing finanziariotutto il valore intero del capitale di 1.000verrebbe portato a conto economicomediante il canone leasing periodico.Alla luce della predetta considerazioneappare inevitabile capitalizzare la quo-ta di capitale del leasing finanziario ri-ferita al terreno nel rispetto dei fonda-

principi contabili internazionali - IASn. 17 -, privilegiando la sostanza sullaforma, consentono al locatario la possi-bilità di effettuare l’ammortamento con-tabile dei beni acquisiti con un contrattodi locazione finanziaria e di ripartire i ca-noni di leasing tra costi finanziari e ridu-zione delle passività residue (metodo dicontabilizzazione c. d. “finanziario”).Sulla base delle predette considerazioniil parere dello scrivente è tanto più fer-mo nell’affermare, non solo l’opportu-nità, ma anche la necessità dicapitalizzare la quota capitale del cano-ne leasing riferita al terreno su cui graval’immobile oggetto del contratto, non soloper l’anno in corso ma anche per gli annipregressi, rilevando una sopravvenienzaattiva non tassata per la quota capitaledel terreno portata a costo indeducibilein esercizi precedenti.Tanto più che a livello fiscale tale ope-razione risulta assolutamente neutra,infatti, l’impresa utilizzatrice non aven-do potuto dedurre i canoni leasing rife-riti al terreno nel caso di riscatto del-l’immobile e successiva rivendita rile-verebbe una plusvalenza/minusvalenzatassata fiscalmente solo sul prezzo divendita al netto del costo di acquistonon dedotto fiscalmente.La plusvalenza/minusvalenza fiscale ri-sulterebbe, pertanto, la medesima indi-pendentemente dalla metodologia dirilevazione contabile adottata, sia chevengano capitalizzati i canoni riferiti alterreno come sostiene chi scrive, sia nonvengano capitalizzati.

mentali principi di redazione del bilan-cio “della «chiarezza» e della «rappre-sentazione veritiera e corretta» richie-sti dall’art. 2423 c.c. e di «evidenza everità degli utili conseguiti» richiestidall’art. 2217 c.c.”.Se così non fosse alla fine del periodo diammortamento dell’immobile si otter-rebbero due risultati diversi a livello dipatrimoniale in relazione alla tipologia dimetodo contabile adottato - acquisto confinanziamento (metodo finanziario),ovvero leasing finanziario (metodopatrimoniale), infatti, nel primo caso ilrisultato finale dell’operazione risul-terebbe maggiore di 200 rispetto alleasing finanziario, in cui tale valoreverrebbe integralmente fatto gravareprogressivamente a livello di contoeconomico incorporato a livello di ca-noni periodici di leasing.Ad abundantiam si rileva come il legi-slatore fiscale abbia già da tempoevidenziato (nella relazione ministerialeal decreto legge n. 414 del 1989, reiteratocon il decreto legge n. 90 del 1990, re-cante modifiche al comma 8 dell’art. 67del TUIR ante riforma) l’esistenza diun criterio di “sostanziale equivalenza”tra l’acquisizione o la realizzazione delbene in proprio e quella effettuata tra-mite contratto di leasing. Tale criterio èfinalizzato ad “assicurare nel tempo, inrelazione alle mutevoli condizioni dimercato, la necessaria neutralità fisca-le della scelta aziendale tra acquisizionedei beni in proprietà e in leasing”. Inlinea con tale impostazione, gli stessi

Il Transfer Pricein ItaliaQuali sono oggi i metodi applicati dal-le società multinazionali per stabilireil transfer pricing in Italia?Quali le norme cui attenersi, europeee italiane? Quali i controlli ai fini dellapiù corretta fiscalità e della libera con-correnza? Se lo chiede e vi rispondecon ricchezza di informazioni, Alber-to De Luca (Treviso) da pagina 11 apagina 14.

Leasing e terreniUn'ampia disamina dei temi conta-bili e normativi relativi al leasingimmobiliare, in particolare dei terre-ni, per quanto concerne lacapitalizzazione dei costi riferita atali cespiti, è svolta da AndreaBarbera (Padova) da pagina 21 apagina 24.