Curare gli inguaribili la mission dell' Hospice · valutazione cure palliative, che si occupa dei...

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San Cataldo. Il reparto è un fiore all'occhiello dell'Asp Curare gli "inguaribili" la mission dell' Hospice «La nostra cura comprende anche gli aspetti psicologici» L´equipe dell´Hospice del presidio ospedaliero «Maddalena Raimondi» San Cataldo. Curare gli inguaribili: è questa la missione dell'Hospice di San Cataldo. Il reparto diretto dal dott. Giuseppe Mulè, all'ospedale "Maddalena Raimondi" è diventato un punto di riferimento per centinaia di famiglie. "Non esistono malati incurabili - spiega il dott. Mulè - in quanto, anche i malati inguaribili possono e devono essere curati fino all'ultimo giorno della loro vita. La cura non si limita alla malattia ma comprende anche gli aspetti psicologici e religiosi". Il reparto è un fiore all'occhiello della sanità nissena e riceve continui apprezzamenti da parte degli utenti e dei familiari, come è testimoniato dalle numerose lettere che pervengono alla nostra redazione. All' Hospice lavorano tre medici: oltre al primario dott. Mulè, anche i dottori Fabio Naro e Rosario Paradiso (quest'ultimo assegnato da poco). Il capo sala è l'infermiere Pio Alcamisi mentre il coordinatore dell'Unità valutazione cure palliative, che si occupa dei pazienti esterni, è l'infermiere Calogero Di Prima. L'equipe del reparto è completata da tre infermieri di ruolo e uno incaricato ed è integrato dagli infermieri del territorio appositamente formati, dalla logopedista dott. Luana Naro e da diversi fisioterapisti del territorio. L'assistente spirituale del nosocomio è padre Falletta. Il reparto è dotato di 8 posti letto a cui, dall'inizio dell'anno, si sono aggiunti due posti di Day Hospice (DH), così come è avvenuto anche nel reparto gemello che ha sede a Gela. L'Hospice nel corso dello scorso anno, ha gestito 112 ricoveri e quasi 500 pazienti a domicilio, grazie a una cooperativa convenzionata dotata di 40 infermieri. Si occupa per il 90% di pazienti oncologici e per il restante 10% malati di pazienti neurologici terminali come i malati di Sla. "Grazie ai posti di DH - continua il dott. Mulè - adesso possiamo assicurare anche le prestazioni che si esauriscono nell'arco di una giornata come le trasfusioni di sangue, il cateterismo venoso centrale con tecnica ecoguidata, la paracentesi ed altre. I posti in reparto sono quasi sempre occupati ma cerchiamo di sopperire privilegiando l'assistenza domiciliare i cui pazienti, lo scorso anno, si sono triplicati rispetto al precedente". Il reparto si occupa dell'assistenza domiciliare dei pazienti che vivono della parte nord della provincia. "Ci occupiamo - spiega il dott. Fabio Naro, anestesista - anche di terapia del dolore: non solo quello oncologico ma anche il dolore difficilmente trattabile determinato da lombalgie, sciatalgie, ecc. Spesso i medici di famiglia ci indirizzano i loro pazienti più critici. Contiamo di poter aprire presto un ambulatorio dedicato alla terapia del dolore". Il dott. Naro, oltre all'impegno nell'hospice, svolge anche le funzioni di anestesista per le eventuali necessità degli altri reparti e servizi presenti nell'ospedale (endoscopia, radiologia, ecc.). "Sono nel reparto da poche settimane - continua il dott. Paradiso - dopo diversi anni di servizio nel Pronto soccorso. Ho trovato un ambiente di lavoro sereno sia in reparto che tra i pazienti che seguo al loro domicilio: aiutare le persone è sempre gratificante". "L'assistenza a domicilio - afferma l'infermiere Di Prima - è un servizio che stiamo cercando di potenziare per consentire ai pazienti di rimanere a casa usufruendo di cure adeguate. E' un lavoro che mi appassiona, che svolgo da molti anni in quanto ho iniziato la mia attività professionale come operatore della Samot". "Quello su cui puntiamo - conclude il dott. Mulè - è il rafforzamento della collaborazione con i medici di famiglia e dell'integrazione delle cure fornite dal nostro servizio con quelle del medico di medicina generale a vantaggio del paziente terminale". Valerio Cimino 07/02/2015 07/02/2015 30 Pag. La Sicilia - Ed. caltanissetta (diffusione:64550, tiratura:80914) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 09/02/2015 17

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San Cataldo. Il reparto è un fiore all'occhiello dell'Asp Curare gli "inguaribili" la mission dell' Hospice «La nostra cura comprende anche gli aspetti psicologici» L´equipe dell´Hospice del presidio ospedaliero «Maddalena Raimondi» San Cataldo. Curare gli inguaribili: è

questa la missione dell'Hospice di San Cataldo. Il reparto diretto dal dott. Giuseppe Mulè, all'ospedale

"Maddalena Raimondi" è diventato un punto di riferimento per centinaia di famiglie. "Non esistono malati

incurabili - spiega il dott. Mulè - in quanto, anche i malati inguaribili possono e devono essere curati fino

all'ultimo giorno della loro vita. La cura non si limita alla malattia ma comprende anche gli aspetti psicologici e

religiosi". Il reparto è un fiore all'occhiello della sanità nissena e riceve continui apprezzamenti da parte degli

utenti e dei familiari, come è testimoniato dalle numerose lettere che pervengono alla nostra redazione. All'

Hospice lavorano tre medici: oltre al primario dott. Mulè, anche i dottori Fabio Naro e Rosario Paradiso

(quest'ultimo assegnato da poco). Il capo sala è l'infermiere Pio Alcamisi mentre il coordinatore dell'Unità

valutazione cure palliative, che si occupa dei pazienti esterni, è l'infermiere Calogero Di Prima. L'equipe del

reparto è completata da tre infermieri di ruolo e uno incaricato ed è integrato dagli infermieri del territorio

appositamente formati, dalla logopedista dott. Luana Naro e da diversi fisioterapisti del territorio. L'assistente

spirituale del nosocomio è padre Falletta. Il reparto è dotato di 8 posti letto a cui, dall'inizio dell'anno, si sono

aggiunti due posti di Day Hospice (DH), così come è avvenuto anche nel reparto gemello che ha sede a

Gela. L'Hospice nel corso dello scorso anno, ha gestito 112 ricoveri e quasi 500 pazienti a domicilio, grazie a

una cooperativa convenzionata dotata di 40 infermieri. Si occupa per il 90% di pazienti oncologici e per il

restante 10% malati di pazienti neurologici terminali come i malati di Sla. "Grazie ai posti di DH - continua il

dott. Mulè - adesso possiamo assicurare anche le prestazioni che si esauriscono nell'arco di una giornata

come le trasfusioni di sangue, il cateterismo venoso centrale con tecnica ecoguidata, la paracentesi ed altre. I

posti in reparto sono quasi sempre occupati ma cerchiamo di sopperire privilegiando l'assistenza domiciliare i

cui pazienti, lo scorso anno, si sono triplicati rispetto al precedente". Il reparto si occupa dell'assistenza

domiciliare dei pazienti che vivono della parte nord della provincia. "Ci occupiamo - spiega il dott. Fabio Naro,

anestesista - anche di terapia del dolore: non solo quello oncologico ma anche il dolore difficilmente trattabile

determinato da lombalgie, sciatalgie, ecc. Spesso i medici di famiglia ci indirizzano i loro pazienti più critici.

Contiamo di poter aprire presto un ambulatorio dedicato alla terapia del dolore". Il dott. Naro, oltre all'impegno

nell'hospice, svolge anche le funzioni di anestesista per le eventuali necessità degli altri reparti e servizi

presenti nell'ospedale (endoscopia, radiologia, ecc.). "Sono nel reparto da poche settimane - continua il dott.

Paradiso - dopo diversi anni di servizio nel Pronto soccorso. Ho trovato un ambiente di lavoro sereno sia in

reparto che tra i pazienti che seguo al loro domicilio: aiutare le persone è sempre gratificante". "L'assistenza a

domicilio - afferma l'infermiere Di Prima - è un servizio che stiamo cercando di potenziare per consentire ai

pazienti di rimanere a casa usufruendo di cure adeguate. E' un lavoro che mi appassiona, che svolgo da molti

anni in quanto ho iniziato la mia attività professionale come operatore della Samot". "Quello su cui puntiamo -

conclude il dott. Mulè - è il rafforzamento della collaborazione con i medici di famiglia e dell'integrazione delle

cure fornite dal nostro servizio con quelle del medico di medicina generale a vantaggio del paziente

terminale". Valerio Cimino 07/02/2015

07/02/2015 30Pag. La Sicilia - Ed. caltanissetta(diffusione:64550, tiratura:80914)

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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 09/02/2015 17

La ricerca Pro e contro Dolore cronico, cannabis più efficace degli oppioidi Riscontri positivi in patologie come mal di schiena emicrania e artrite E si evita il rischio di creare dipendenza giovaNNa tomaselli La cannabis allevia il dolore cronico in modo più efficace dei farmaci oppioidi comunemente prescritti, che

hanno un alto rischio di creare dipendenza e causare overdosi accidentali. È quanto sostengono i ricercatori

del Centro nazionale australiano sui farmaci e alcol e dell'università di Melbourne, guidati da Louisa

Degenhardt, in uno studio pubblicato sulla rivista Drug and Alcohol Dependence IL CAMPIONE Nella ricerca

sono stati coinvolti 1500 pazienti, tra i 40 e 50 anni d'età, con problemi di mal di schiena, emicrania e artrite

cronica, a cui erano stati prescritti farmaci oppioidi come morfina e ossicodone. E si è scoperto che circa il

13% dei pazienti aveva usato nell'ultimo anno la cannabis, che è illegale, in cima ai farmaci prescritti, contro il

4,7% del resto della popolazione. "Uno su tre dice di averla trovata molto efficace per dare sollievo al dolore,

con un punteggio di 10 su 10 - spiega Degenhardt - Si tratta di punteggi soggettivi, che però dimostrano che

ci sono delle persone che ritengono molto efficace assumere cannabis''. NUOVE FRONTIERE Secondo un

altro studio, effettua to sui topi e pubblicato da Neurobiology of Disease, condotto da Roberto Di Maio,

ricercatore italiano che lavora all'università di Pittsburgh grazie a una borsa della Fondazione Rimed di

Palermo, la cannabis terapeutica potrebbe avere effetto pure nella prevenzio ne dell'epilessia. Lo studio infatti

sembra dimostrare che il potenziale anti epilettogenico dei cannabinoidi si espleti attraverso il recupero delle

disfunzioni neuronali.

07/02/2015 11Pag. La Notizia Giornale

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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 09/02/2015 20

Cannabis terapeutica, Puglia al via senza autorizzazione. «Lo Stato ci halasciati soli» Sociale primo piano Hanno deciso di piantarla, di coltivarla e di assumerla. Anche senza autorizzazione dello Stato italiano.

Perché sono stanchi di aspettare, di attendere che un loro diritto venga riconosciuto. Perché la cannabis

usata per scopi terapeutici allevia le sofferenze. Lo ha riconosciuto all'unanimità anche il Consiglio regionale

pugliese che lo scorso anno ha detto «sì» alla coltivazione e alla produzione dei farmaci a base di

cannabinoidi in terra di Puglia. Lo sanno bene soprattutto le persone affette da patologie per le quali le cure

con il cosiddetto "farmaco verde" risultano efficaci. Malattie come sclerosi multipla, cancro, dolore cronico,

sclerosi laterale amiotrofica, Parkinson, glaucoma e tante altre. Per loro si batte l'associazione

"LapianTiamo", nata nel 2013 grazie alla tenacia di Andrea Trisciuoglio e Lucia Spiri, due ragazzi affetti

entrambi da sclerosi multipla, che sognano di realizzare il primo Cannabis Social Club italiano. Ma perché il

sogno si concretizzi occorre che lo Stato dia attuazione all'approvazione della legge pugliese. Per questo,

Andrea Trisciuoglio ribadisce con forza, nel corso di un incontro svoltosi a Foggia, che «tempo fa abbiamo

dato un ultimatium alle istituzioni politiche: entro il 31 dicembre 2014 o ci autorizzate o ci autorizziamo da

soli».Mancano le autorizzazioni nazionaliE la data indicata è ormai scaduta da un mese. Ed allora, volontari

ed attivisti dell'associazione "LapianTiamo", sostenuti dai parenti delle persone che ogni giorno convivono

con le malattie, fanno sentire la loro voce. «Chiediamo allo Stato italiano di prendere in considerazione

quanto adottato dalla Regione Puglia, perché ad oggi mancano le autorizzazioni nazionali all'approvazione

della Legge» ricorda Trisciuoglio, che da nove anni fa i conti con la Sla. Ma proprio nella sofferenza, nella

malattia, trova la forza di reagire e di offrire l'opportunità di una vita migliore a quanti si trovano nelle sue

stesse condizioni. Anche perché l'accesso ai medicinali a base di inflorescenze di canapa, come il Bedrocan,

richiede costi troppo elevati, in quanto importanti dall'estero, ed in particolare dall'Olanda. Basti pensare, che

un grammo al giorno può costare dai 35 ai 37 euro, con costi che superano i 12mila euro l'anno a seconda

del dosaggio necessario. Non solo. Troppo spesso i medici non firmano la prescrizione o se c'è estenuanti

iter burocratici e difficoltà delle farmacie a fornire il medicinale, rallentano la cura dei pazienti. Ed allora non

rimane che una soluzione. «Importare i farmaci dall'Olanda, con spese sanitarie altissime, al mercato nero

dagli spacciatori, o coltivando marijuana, ben consapevoli che in Italia è illegale».Il progetto pilotaDi qui, l'idea

del «progetto pilota che abbiamo presentato alla Regione per coltivare in Puglia cannabis a uso medicale. Un

progetto - evidenzia Trisciuoglio - che può far calare il costo del grammaggio per l'uso della cannabis

terapeutica, garantendo un risparmio economico per il sistema sanitario e una migliorare la qualità della vita

per quanti affetti da dolore cronico o neuropatico». Idea che è piaciuta anche alla Regione Puglia, tanto che

nel mese di luglio dello scorso anno ha approvato la Legge dedicata che dà il via libera a sperimentazione di

progetti pilota per la produzione di cannabis ad uso teraputico.«Ed io mi curo dallo spacciatore»«Stiamo

attendendo la delibera per la centralizzazione degli acquisti per fornire il sistema sanitario pugliese di prodotti

che in questo momento vengono acquistate dall'estero - . Il progetto pilota può essere affidato o allo

stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze o ad altro soggetto autorizzato dall'Agenzia Nazionale

del Farmaco alla produzione di cannabis ad uso terapeutico. Ed è quello che stiamo cercando di fare:

costruire una società che avvii il percorso autorizzativo ai fini della produzione». Insomma, per promotori de

"LapianTiamo" con l'attivazione del progetto sarà possibile coltivare in Puglia cannabis garantendo un prezzo

contenuto, e sarà più agevole l'approvvigionamento del farmaco verde su prescrizione terapeutica. La

speranza, dunque, è che il progetto parta al più presto, perché come ricorda Savino Ivano Romagnuolo, vice-

presidente dell'associazione Viva la Vita Italia, a cui la Sla nel giro di quasi due anni ha ridotto al minino le

capacità motorie «il tempo dei malati non è, né può essere quello della politica. Urgono provvedimenti

immediati ed efficaci. Alla politica, al Governo, alle istituzioni chiedo una riflessione: andate a casa dei malati

07/02/201511:46

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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 09/02/2015 31

che assumono marijuana, guardateli, vedete come stanno, ascoltate le loro storie. Poi fatemi sapere per

quale motivo io dovrei andare dallo spacciatore per curarmi».@CorriereSociale

07/02/201511:46

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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 09/02/2015 32

Cure palliative , la nuova sfida guarda ai bambini L'obiettivo: una rete diffusa sul territorio come per gli adultiIn aumento i pazienti in età pediatrica bisognosi del servizio Cure palliative , la nuova sfida guarda ai bambini Cure palliative,

la nuova sfida

guarda ai bambini

L'obiettivo: una rete diffusa sul territorio come per gli adulti

In aumento i pazienti in età pediatrica bisognosi del servizio

di Gianfranco Piccoli wRIVA Sono un centinaio i bambini in Trentino (il dato è presuntivo) che avrebbero

diritto alle cure palliative pediatriche. L'uso del condizionale è d'obbligo, perché il diritto garantito dalla legge

38 del 2010 è ancora lontano dall'essere compiuto, a differenza di quanto è stato fatto invece per gli adulti,

che possono già godere di un'ampia copertura sul territorio. Negli ultimi anni il Trentino ha però fatto

importanti passi avanti, con l'apertura dell'ambulatorio per le cure palliative pediatriche a Rovereto nell'agosto

del 2013 (120 visite solo nei primi mesi) e l'avvio, recentissimo, dei corsi di formazioni per chi deve operare

sul territorio in questo delicato settore. Un altro significativo tassello di questo mosaico arriverà con l'accordo

di collaborazione, in fase di definizione proprio in questi mesi, con il centro specialistico di Padova, una realtà

avviata qualche anno fa da Franca Benini, medico trentino (originario di Tenno) responsabile per la Regione

Veneto del Centro per la terapia del dolore e cure palliative pediatriche e fondatrice del primo (e unico)

hospice pediatrico italiano. L'avvio della rete per le cure palliative dedicate ai bambini è stato il tema al centro

del convegno organizzato nella Sala della Comunità dell'Alto Garda e Ledro a Riva, un'occasione in cui per la

prima volta tutti i soggetti interessati si sono trovati insieme attorno ad un tavolo. Oltre a Franca Benini e

all'assessora Donata Borgonovo Re, erano presenti Eugenio Gabardi, direttore generale dell'Azienda

sanitaria, il dottor Ermanno Baldo, dirigente del reparto di pediatria dell'ospedale di Rovereto, il dottor Gino

Gobber, dirigente dell'unità cure palliative dell'Azienda sanitaria, il dottor Giampaolo Albertini, di "No pain for

children", ed Erika Pederzolli, mamma di Maria. Proprio la vicenda di Maria, uccisa da un tumore a soli tre

anni e mezzo lo scorso maggio, è stata ispiratrice della serata. Il convegno si è mosso tra i "freddi" numeri del

problema (sino ad oggi in gran parte assorbito dalla neuropsichiatria infantile) e l'emozione delle

testimonianze. Con in sottofondo il paradossale ritardo con cui si è arrivati alla consapevolezza dell'esistenza

del bisogno delle cure palliative per i bambini, un ritardo figlio del senso di "inaccettabile" che il dolore dei

bambini e la morte di questi produce nella società. Arrivando - ha detto Franca Benini - anche alla negazione

del problema. La stessa Benini ha sottolineato come i bambini, sin da piccoli, siano consapevoli della malattia

e della vicinanza della morte, con domande, anche di tipo esistenziale, non diverse da quelle degli adulti. Di

certo c'è che in futuro le cure palliative pediatriche saranno un servizio sempre più richiesto, anche alla luce

delle nuove tecniche mediche che permettono la sopravvivenza di bambini un tempo destinati rapidamente

alla morte (si pensi solo ai prematuri). Un tema, quest'ultimo, che investe anche gli aspetti etici della

professione medica: "fino a che punto è giusto spingersi?" la domanda, per ora resta senza risposta, mentre

è impellente la cura di chi sopravvive. La missione delle cure palliative pediatriche è chiara: una risposta

multidisciplinare alla malattia cronica (e solo in parte destinata ai malati terminali), finalizzata alla drastica

riduzione dell'ospedalizzazione per consentire per quanto possibile ai bambini la permanenza tra le mura

domestiche, una vita relazionale soddisfacente e senza dolore. Una ricerca di "normalità" che vuole garantire

qualità della vita non solo ai bambini, ma anche ai genitori, che altrimenti rischiano di fronte alla malattia del

figlio non solo la frantumazione della relazione di coppia, ma anche problemi sul lavoro (una risposta

adeguata - un dato riportato da Franca Benini - permette al 78% delle madri il rientro al lavoro). Per poter

garantire tutto questo, 24 ore al giorno, serve una rete articolata e preparata sul territorio, un percorso che

richiederà la partecipazione di tutti i soggetti interessati («I pediatri sono il centro di questa rete», ha detto

Baldo) e preparazione specialistica: «La medicina non si misura in chili, i bambini hanno esigenze

08/02/2015 1.17Pag. Il Trentino(diffusione:38580, tiratura:292000)

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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 09/02/2015 13

completamente diverse dagli adulti», ha detto Benini. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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«Le risorse ci sono, vanno ottimizzate» franca benini «Le risorse ci sono, vanno ottimizzate» «Le risorse ci sono, vanno ottimizzate»

franca benini

«Nessuno ha la bacchetta magica per trovare soluzioni». Così Franca Benini, pioniere delle cure palliative

pediatriche (un percorso iniziato 30 anni fa in Veneto), ha aperto il suo intervento. La dottoressa ha

sottolineato da una parte la difficoltà per il personale sanitario a vivere a stretto contatto con questa realtà (le

reazioni vanno dalla medicalizzazione estrema all'indifferenza, fino al coinvolgimento eccessivo), dall'altra ha

spiegato come le cure palliative non siano destinate a persone che muoiono, ma a persone inguaribili che

vivono. Una differenza tutt'altro che scontata. "Dobbiamo anche cambiare il concetto di insuccesso - ha

aggiunto Franca Benini - l'insuccesso in medicina non è la morte, ma una cura fatta male". La risposta ai

bisogni del bambino - ha continuato la dottoressa - non può arrivare da una singola persona, ma è una

risposta di gruppo: "Le risorse sul territorio già ci sono, ma vanno messe in rete e ottimizzate. L'ospedale - ha

proseguito - deve essere la risposta solamente alla fase acuta". Qual è dunque la vera sfida di oggi?

"Intercettare i bambini che necessitano delle cure palliative pediatriche, oggi sono meno del 5% di chi he ha

diritto». Da parte sua l'assessora Borgonovo Re ha garantito la regia della Provincia («che ha una visione

d'insieme») e le risorse: «Non ce ne sono meno di prima, ma vanno usate con più attenzione».

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Il futuro delle cure palliative pediatriche in Trentino. Qui la mortalità resta la più bassa d'Italia, ma non bastaIL CONVEGNO «Restare bambini fino all'ultima ora, con le cure a casa» GIORGIA ZAMBONI Una rete pediatrica per le cure palliative in Trentino che abbia come fine quello di

assistere il paziente a casa sua nella normalità dei ritmi familiari e scolastici, con attenzione alla qualità della

vita, che per un bambino, si sa, corrisponde al tornare ad essere tale nonostante la malattia. Questo

l'impegno che si sta profilando in regione a proposito del delicato tema delle cure palliative pediatriche: parole

scomode perché riguardano un fatto non accettabile, la morte di un bambino. Nel nostro paese sono 30 mila i

bimbi colpiti da una malattia inguaribile o terminale che necessitano delle cure palliative pediatriche regolate

dalla legge 38 del 2010, e se si considera l'impatto emotivo su famiglia e amici (300 persone coinvolte per

bambino) il problema riguarda 9 milioni di persone in Italia. Come affrontare una problematica così delicata e

in aumento è stato argomento di discussone alla sala della comunità di Riva durante l'incontro «Il dolore dei

bambini: cure palliative pediatriche», organizzato dalla Comunità di valle e dal Comune di Tenno, cui hanno

partecipato l'assessore provinciale alla salute Donata Borgonovo Re, il direttore sanitario dell'Apss Eugenio

Gabardi, il direttore dell'Unità operativa pediatrica dell'ospedale di Rovereto Ermanno Baldo, Gino Gobber,

direttore dell'Unità operativa Cure palliative dell'Apss, Giampaolo Albertini per «No pain for children Onlus»

ed Erika Pederzolli, mamma di Maria, scomparsa pochi mesi fa. Insieme a loro, tennese d'origine, la

dottoressa Franca Benini, responsabile del Centro Regione Veneto terapia del dolore e cure palliative

pediatriche che ha messo subito in luce la difficoltà del tema. «Le cure palliative devono corrispondere a una

risposta di gruppo - ha detto - perché nessuno ha le spalle così grandi ed è così competente da rispondere ai

bisogni delle persone che vivono quella situazione. Inoltre c'è una grossa differenza tra le cure palliative

dell'adulto e quelle pediatriche; non c'è niente di più sbagliato che equipararle visto che è l'età ciò che

condiziona la necessità di risposte specifiche. I bambini oncologici - ha continuato la dottoressa -

rappresentano solo il 20%, il restante 80% è una miscellanea drammatica di patologie: bambini con problemi

neurologici, muscolari, respiratori, cromosomici, tutt'altro che pochi e nell'ultimo decennio è aumentata la

permanenza dei bambini di 10 volte. Perché? Perché fino a 10 anni fa questi bambini morivano, adesso

abbiamo competenze, strumentazioni, tecnologie che fanno vivere e che però ci pongono interrogativi etici».

In accordo con l'assessore Borgonovo Re sulle risorse («Ci sono, sono preziose, vanno rivalutate e

ottimizzate») la pediatra punta sul cambiare la modalità di pensiero, la capacità di lavorare in rete perché i

numeri aumentano e aumenteranno sempre di più: «La prospettiva è che la medicina passerà a domicilio sul

territorio, gli ospedali devono essere focalizzati all'acuto, il malato grande o piccolo che sia ha il diritto di

rimanere a casa». A confermare l'aspetto positivo della deospedalizzazione il dottor Baldo, direttore dell'Unità

operativa pediatrica a Rovereto (in 2 anni 50 bambini): «L'assistenza in ospedale è una massa di lavoro

enorme che non porta all'obbiettivo. Ridurre i ricoveri ci ha permesso di costruire sul territorio l'equipe

assistenziale, in Trentino non si sa quanti abbiano bisogno di cure palliative, i dati sono variabili ma la

mortalità è la più bassa d'Italia». Intanto a Trento sono già attivi i corsi di formazione, aperti anche ai medici di

base, ed è già in atto, lo ha confermato il prof. Gavardi, una collaborazione formalizzata con l'azienda di

Padova per un supporto di consulenza, formazione seguita proprio dalla dottoressa Benini. I giovani coristi

tennesi hanno aperto la serata e a destra i relatori (Salvi)

La specialistaUna risposta di gruppo, nessuno ha spalle così larghe in questi casi dottoressa Franca Benini

08/02/2015 35Pag. L' Adige(diffusione:26515, tiratura:32211)

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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 09/02/2015 16

Pronto un vademecum per evitare brutte sorprese Aifa: si consumanosempre più antidepressivi e oppiacei co; riporre sempre le medicine nella confezione originale, tenendole fuori dalla portata dei bambini; in

presenza di patologie non croniche consultare il medico o farmacista per un corretto dosaggio della cura;

evitare di acquistare più confezioni dello stesso prodotto, se non prescritto per la cura di patologie croniche.

Allarme per i consumi. «Se siamo soddisfatti per la riduzione generale dell'uso di antibiotici, un aspetto

preoccupante e con trend è in crescita è il consumo maggiore di antidepressivi e di oppiacei per la resistenza

al dolore, che mostrano un andamento su cui bisogna lavorare coinvolgendo maggiormente il territorio e

rafforzando le strutture psichiatriche e neurologiche», sono le parole del ministro della Salute, Beatrice

Lorenzin durante il suo intervento alla presentazione del Rapporto Aifa (Agenzia italiana del farmaco) sui

farmaci del 2014. Sul tema dei vaccini, invece, il Ministro ha ribadito l'importanza della vaccinazione,

soprattutto quella obbligatoria per i bambini, e ha annunciato che presto sarà reso noto un rapporto

dettagliato».

08/02/2015 3Pag. Giornale dell'Umbria

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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 09/02/2015 22

Medicina Al via entro questo mese la fabbrica militare di cannabis terapeutica Il traguardo Una volta a pieno regime l'impianto preparerà ogni anno 100 chili di sostanza Ruggiero Corcella N essun imbarazzo: «Tutto sommato questo intervento nel settore della cannabis rientra in modo organico e

fisiologico nel quadro delle nostre attività per sopperire alle carenze di medicinali a livello nazionale». Negli

uffici al primo piano della palazzina bianca di via Giuliani, quartiere Rifredi di Firenze, i riflettori dei media

puntati addosso e le polemiche dei mesi scorsi non sembrano impensierire il generale Giocondo Santoni,

direttore dello Stabilimento chimico farmaceutico militare, che fa parte dell' Agenzia industrie difesa (AID).

Dentro la cittadella, la vita scorre tranquilla anche per lo staff di militari e civili dell'unica azienda farmaceutica

dello Stato.

In base all'accordo di collaborazione siglato il 18 settembre scorso, i ministeri della Salute e della Difesa

hanno affidato allo Stabilimento il delicato compito di produrre i 100 chilogrammi di cannabis terapeutica

l'anno stimati come fabbisogno nazionale (56 i chilogrammi importati nel 2014). E gli uomini con le stellette

sono consapevoli di vivere un'occasione irripetibile: «Siamo tutti professionisti dell'ambito chimico-

farmaceutico, ma ovviamente il nostro approccio non è così neutro - ammette il direttore - . È una situazione

decisamente stimolante, anche dal punto di vista culturale e scientifico. L'obbiettivo e l'auspicio è di dare un

esempio di come la pubblica amministrazione funzioni bene e possa diventare addirittura un modello da

esportare».

Conferma il generale Gian Carlo Anselmino, direttore dell'Agenzia industrie difesa: «Lo Stabilimento

farmaceutico militare di Firenze è una vera eccellenza italiana ed è un unicum in campo europeo, non solo

con la produzione dei cosiddetti farmaci orfani o difficilmente reperibili, ma ora anche con il progetto della

cannabis ad uso terapeutico».

Assieme al colonnello Antonio Medica, responsabile della Produzione, e al primo maresciallo Camillo

Borzacchiello, entriamo nel "cuore" dello stabilimento. Comandate da una tastiera a codice, le porte

scorrevoli dell'ingresso si aprono su un lungo corridoio di mattonelle rosse. A metà circa, svoltiamo nel

padiglione della "Sezione Forme Solide, Liquide e Prodotti Industriali". In fondo, una porta a vetri con i

maniglioni antipanico segna il confine della nuova area "riservata" alla coltivazione della canapa. I lavori sono

a buon punto ed entro fine mese dovrebbe essere pronta la serra-pilota.

«Dobbiamo partire con una produzione di tipo sperimentale - spiega il colonnello Medica - . È il primo passo

per completare l'iter autorizzativo e amministrativo previsto». Se ministero della Salute e Agenzia italiana del

farmaco daranno il nullaosta a questo primo nucleo, entro l'estate dovrebbe entrare a regime una serra di 50

metri quadrati. Per raggiungere il traguardo di un quintale di prodotto finito all'anno bisognerà allestire altre

serre e i responsabili dello Stabilimento hanno già pronta un'area di 600 metri quadrati nello stesso

capannone dove fino agli anni 80 si fabbricava sapone.

Il via definitivo? «Secondo me, - calcola il generale Santoni - se parliamo di capacità produttiva complessiva

dovremo aspettare almeno la fine del 2016».

La nuova area produttiva ha già preso forma: porte da laboratorio farmaceutico, con un sistema di

interblocco che consente di aprirne solo una alla volta per evitare l'inquinamento dei locali; spogliatoi per il

personale che dovrà indossare camici, mascherine e guanti. L'intero complesso avrà tutta una serie di sistemi

di sicurezza, di accessi e di controlli. Alla serra potrà accedere solo personale munito di badge, monitorato da

impianti di videosorveglianza.

Come si svolgerà il processo di lavorazione?

«Il ciclo di sviluppo della pianta di cannabis sativa dura mediamente dai 90 ai 110 giorni - spiega Medica - .

Viene fatto il raccolto, tagliando solo la parte che ci interessa, cioè le infiorescenze femminili non fecondate.

08/02/2015 50Pag. Corriere della Sera(diffusione:619980, tiratura:779916)

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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 09/02/2015 6

Le infiorescenze sono messe ad asciugare in un essiccatoio, in una stanza dove un impianto di trattamento

immette aria a bassissimo contenuto di umidità. Poi si passa alla fase di lavorazione vera e propria sotto una

cappa a flusso laminare di aria, che garantisce un ambiente sterile. Infine, le infiorescenze vengono macinate

in un box dove sarà montato un mulino. Quindi gli operatori prenderanno il principio attivo ottenuto, lo

peseranno e lo confezioneranno in contenitori da 5 grammi. I flaconi o le bustine saranno etichettate,

conservate in un'area blindata e pronte per la distribuzione».

Lo Stabilimento riceverà gli ordini dalle farmacie e provvederà alla consegna anche tramite distributori

esterni. «Sarà compito del farmacista preparare le dosi - precisa Medica - . Sappiamo che in base al tipo di

patologia sono previsti dosaggi diversi. Ecco perché non possiamo fare il prodotto finito, come è accaduto

altre volte. I quantitativi medi di prodotto essiccato variano dai 20 ai 100 milligrammi al giorno per paziente,

pari a 30-35 grammi l'anno per paziente. Quindi i 100 chili di produzione previsti dal ministero della Salute

dovrebbero essere sufficienti a coprire le prime esigenze».

Quanto costa l'intero progetto? L'Agenzia industrie difesa preferisce non rispondere. «Grazie alla vendita del

prodotto, - dice il generale Santoni - gli investimenti saranno ammortizzati nel giro di pochi anni e potrebbero

essere reinvestiti per sviluppi futuri».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Fonti: Organizzazione Mondiale della sanità; Ministero della salute; Ass. Luca Coscioni CdS Le possibili

indicazioni dei medicinali a base di cannabis INDICAZIONI STUDIATE CON RISULTATI NON DEFINITIVI

glaucoma traumi cerebrali ictus sindrome di Tourette epilessia artrite reumatoide CAMPI MENO

CONTROVERSI cure palliative terapia del dolore cronico (compreso quello neuropatico da sclerosi multipla)

terapia di supporto contro la nausea e il vomito nella chemioterapia USI IPOTIZZATI MA CON POCHI STUDI

CLINICI per l'asma bronchiale per le malattie auto-immuni nelle sindromi ansioso depressive per ridurre i

dosaggi degli oppiacei pazienti che in Italia potrebbero usufruire della cannabis terapeutica 600-900 mila Le

autorizzazioni all'importazione dall'Olanda preparati a base di cannabis rilasciate nel 2014 dal Ministero della

salute 149 chilogrammi di cannabis terapeutica importati nel 2014 56 Il costo per il preparato importato 30-75

euro al grammo Il costo del preparato se prodotto dallo Stabilimento farmaceutico militare 15 euro al grammo

Il progettoNon solo una risposta

alla carenza

di cannabis terapeutica. All'interno

del Gruppo di lavoro attivo

al ministero della Salute,

i responsabili dello Stabilimento di Firenze hanno proposto di avviare

in parallelo all'attività

di produzione anche un percorso di ricerca clinica. L'idea è di dimostrare con protocolli clinici validi e

standardizzati se esistono

i presupposti scientifici

in grado

di validare l'efficacia delle medicine

a base di cannabis

per alcuni tipi di patologie.

Foto: L'accordo sulla produzione della cannabis terapeutica tra ministeri della Salute e della Difesa

www.salute. gov.it

08/02/2015 50Pag. Corriere della Sera(diffusione:619980, tiratura:779916)

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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 09/02/2015 7

Altra impresa a 60 anni Il biologo con il kayak lancia la sfida al Tirreno Parzanica: sul lago prepara il Neptune Challenge che lo porterà da Montecarlo a Porto Empedocle Duemilakm in un mese, per le Cure Palliative claudia mangili Molti, a sentirlo raccontare, scuotono la testa: a 60 anni... Ma lui non ha alcuna intenzione di mollare e non ci

pensa nemmeno ad appendere il kayak al chiodo. Anzi. Dopo il primo «assaggio» nel 2011, quando in canoa

ha messo in tasca il periplo della Sicilia, e dopo che l'anno successivo ha percorso la costa adriatica da

Trieste a Gallipoli, adesso ha deciso che non si poteva lasciare «inviolato» il Mar Tirreno. E così, sempre con

lo stesso obiettivo di spostare un po' più il là l'asticella dei propri limiti, ma anche e soprattutto quello anche

più nobile di sostenere l'Associazione Cure Palliative di Bergamo, Livio Marossi ha deciso che si parte,

ancora una volta: dal 15 luglio al 15 agosto, un mese da trascorrere in mare, a bordo di un kayak scendendo

lo Stivale da Nord a Sud e stavolta sconfinando. Partirà infatti a Monte Carlo il neonato «Neptune Challenge

2015» che porterà il biologo con il kayak a pagaiare per 2.000 chilometri fino a Porto Empedocle, la terra

natale del commissario Montalbano all'estremo sud della Sicilia.

Le tappe forzate dell'allenamento in vista di questa nuova impresa sono già cominciate sul Sebino, dove abita

in riva al lago a Portirone, la frazione di Parzanica con i «piedi» nell'acqua. Il sabato e la domenica è lui il

puntino rosso e giallo che solca il lago a grandi pagaiate, mentre il resto della settimana lo trascorre nei

laboratori del gruppo Bianalisi di Carate Brianza, dove lavora in qualità di biologo.

Il viaggio di quest'estate sarà anche l'occasione per un test sulla tenuta fisica e psichica di Marossi. E per

sfatare i luoghi comuni attorno alla cosiddetta terza età. «Io faccio le cose con giudizio - garantisce -: mi

alleno con costanza, senza sottoporre il fisico a sforzi eccessivi. E non improvviso mai, ma mi preparo a

lungo per queste imprese in cui sarò seguito da un team da terra per qualsiasi problema». In più, le

condizioni fisiche del biologo saranno monitorate costantemente grazie ad appositi sensori e i parametri

saranno a disposizione tramite un'App. I dati serviranno per elaborare modelli dietetici e di integrazione

alimentare, oltre a fornire informazioni scientifiche in ambito farmacologico. Dal 15 luglio al 15 agosto Marossi

sarà in mare lungo la costa tirrenica per 10 ore e una media di 60 km al giorno. Al tramonto lo «sbarco» nelle

varie tappe del viaggio, nelle sedi di leghe navali, circoli velici e yacht club lungo il percorso, dove Marossi

racconterà - brevemente, perché il giorno successivo lo aspettano altre 10 ore in mare - i progetti

dell'Associazione Cure Palliative. Al Neptune Challenge è abbinato anche un simpatico concorso, la «Caccia

al kayakista»: gadget e premi a chi lo «catturerà» con una foto in mare. •

09/02/2015 Eco di Bergamo(diffusione:54521, tiratura:63295)

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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 09/02/2015 10

HOSPICE VIA DELLE STELLE Murales dell'accoglienza Inaugurata l'opera colorata che si propone quale percorso artistico per interagire coi pazienti "L'albero della vita è il simbolo dell'accoglienza e del valore dell'esistenza vissuta assieme e condivisa,

perché il Talento che ognuno possiede diventi dono prezioso per tutti". Recita così la frase scelta dallo staff

dell'Hospice Via delle stelle per presentare l'iniziativa di sensibilizzazione e promozione delle cure palliative

"L'albero della vita". Già nel mese di dicembre dello scorso anno, per avviare il percorso di crescita e

condivisione, è stato piantato l'albero di ulivo nel giardino dell'Hospice. Qualche giorno fa un altro momento

condiviso dai familiari dei pazienti, dai volontari, dagli operatori dell'equipe di cura e da tutti coloro che

seguono con interesse ed affetto la fondazione "Via delle Stelle". Alla presenza di numerosi ospiti è stato

inaugurato il murales "L'albero della vita", realizzato dall'illustratrice reggina Giusy Morabito, che avvolge il

muro d'ingresso ai reparti e che rappresenta un'opera in continuo mutamento. Un albero imponente e

maestoso che, nonostante le sue dimensioni, sembra muoversi delicatamente così da avvolgere con i suoi

rami sinuosi l'intera struttura. «Ringrazio tutte le persone che credono nel nostro lavoro e che ci sostengono

quotidianamente condividendo le proprie passioni e professionalità - spiega il presidente della Fondaziona

'Via delle Stelle' Vincenzo Trapani Lombardo - Le iniziative legate all'albero della vita hanno un significato

profondo perché la vita è alla base di ogni nostra attività. In alcuni momenti del nostro percorso, specialmente

nel momento finale, è molto importante curare la qualità della vita stessa. Abbiamo bisogno, oltre che delle

risorse economiche che scarseggiano, soprattutto dei volontari. In questi giorni stiamo lavorando ad una

rivista trimestrale che presto verrà presentata e pubblicata grazie al supporto di giornalisti e grafici volontari

che prestano il proprio ingegno ed entusiasmo. Siamo convinti - conclude il presidente Trapani - che ciò che

stiamo realizzando all'interno di questa struttura sia un percorso in continua crescita. La nostra forza non è

politica né economica. La nostra forza è solo una: quella delle idee». L'evento di inaugurazione è stato

preceduto dall'esibizione ed intrattenimento musicale a cura di Ludowika Tripodi e Cristina Caridi che ha

ricordato come non a caso «le persone che lavorano all'Hospice vengono chiamate "gli angeli della città". La

forza e l'entusiasmo che trasmettono sono meritori. Prestare il proprio talento ed essere coinvolti in progetti

come quello di oggi mi gratifica e mi onora». L'albero della vita, realizzato dall'illustratrice Giusy Morabito

verrà modificato nel tempo attraverso l'applicazione delle foglie di talento di tutti coloro che vorranno

partecipare alla crescita dell'Hospice. «L'albero della vita creato all'interno dell'Hospice è e sarà un'opera in

continua evoluzione - spiega l'artista Giusy Morabito - Nel dipinto nulla è definitivo. Con l'aiuto degli ospiti e

degli amici della struttura, l'albero crescerà ed evolverà attraverso l'integrazione delle foglie del talento che

arricchiranno la pianta. E' un vero e proprio albero che cresce così come avviene in natura. Ho creato solo la

base di un percorso artistico nel quale i pazienti dovranno interagire». Vincenzo Comi Trapani: «Stiamo

lavorando alla realizzazione di una rivista trimestrale grazie al supporto di giornalisti e grafici volontari»

PUBBLICAZIONE

Foto: L'inaugurazione del murales

09/02/2015 14Pag. Il Garantista - Ed. reggio calabria

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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 09/02/2015 19

PROFESSIONI UNA NUOVA ALLEANZA ISF-MEDICI DI FAMIGLIA PER IL DOLORECRONICO Mundipharma ha appena attivato una rete di informatori per interloquire con 500 generalisti italiani. L 'amministratore delegato Marco Filippini: "I tempi erano maturi per un passo del genere" Non sarà una "seconda giovinezza" ma di certo è il segnale che la primary care può ancora dire la sua. Dal

mese scorso Mundipharma Pharmaceuticals ha messo in azione una nuova rete di informatori scienti" ci del

farmaco per prendere contatto con 500 medici di medicina generale italiani e favorire la comunicazione sul

buon uso del farmaco oppioide in rapporto al dolore cronico. "I tempi erano maturi per un passo del genere"

spiega Marco Filippini, ad di Mundipharma South Europe, a margine di una recente conferenza stampa

organizzata a Milano dedicata proprio al trattamento del dolore cronico, patologia che sconta ancora gli e^ etti

di una notevole inappropriatezza prescrittiva. Prosegue Filippini: "Dai dati di mercato emerge che a un

leggero decremento dei Fans, non corrisponde un' adeguata crescita degli oppioidi, nonostante le evidenze

cliniche, le note Aifa e i warning speci" ci che le autorità regolatorie hanno comunicato nel 2014. A farne le

spese sono poi i pazienti, condannati a non ricevere cure antalgiche adeguate, a rischiare seri e^ etti avversi

e a convivere, nel quotidiano, con la so^ erenza". A sostegno della nuova strategia aziendale c'è anche un'

indagine che il Centro Studi Mundipharma ha commissionato a Doxa Marketing Advice, presentata proprio a "

ne 2014 e dedicata ai comportamenti del medico di famiglia nella gestione dei pazienti con dolore. "Da tempo

siamo impegnati nel supportare iniziative volte a informare e sensibilizzare clinici e cittadini sul problema

dolore - prosegue Filippini - e con questa nuova survey ci auguriamo di poter contribuire a stimolare

ulteriormente l' attenzione e il coinvolgimento dei medici di famiglia, snodo fondamentale all' interno della rete

territoriale auspicata dalla Legge 38". Dall' indagine risulta che l' 85% del campione (200 mmg in tutta Italia)

dichiara di conoscere la Legge 38 del 2010 e la nota 66 dell' Aifa che evidenzia le controindicazioni dell'

impiego di antin" ammatori non steroidei e Coxib nei pazienti con patologie cardiovascolare. Allo stesso

tempo, i medici di famiglia intervistati mostrano di essere al corrente delle recenti restrizioni sui medicinali che

associano paracetamolo e codeina, il cui impiego è stato limitato a 72 ore. E cresce la loro dimestichezza con

i farmaci oppioidi: il 94%, infatti, è in grado di citare i marchi principali contro il 70% rilevato nel 2013. Tuttavia

se da un lato le conoscenze sembrano ben consolidate, dall' altro più della metà dei medici dichiara di non

essere intenzionato a modi" care le proprie abitudini prescrittive. "I più anziani - commenta Massimo

Sumberesi, managing director di Doxa Marketing Advice - sono quelli che dimostrano una maggiore

resistenza al cambiamento. Analizzando le risposte relative alle prescrizioni e^ ettuate, i Fans restano la

soluzione più di^ usa (36%), seguiti dagli oppioidi (26%, in monoterapia oppure in associazione a

paracetamolo) e dagli antipiretici (22%). Rispetto a una nostra indagine condotta sempre sui generalisti nel

2013, si evince una situazione di stallo, dove l' evoluzione delle norme - che dovrebbero limitare l' impiego di

antin" ammatori e favorire quello di oppiacei, per una maggiore appropriatezza terapeutica - non si traduce

ancora in un comportamento concreto. Va tuttavia segnalato che, guardando al futuro, il 56% degli intervistati

ritiene che le proprie prescrizioni di oppioidi aumenteranno". Secondo l' indagine, un terzo dei pazienti visitati

ha dolore, lieve nel 34% dei casi, moderato nel 44% e severo nel 22%. Per quasi 7 assistiti su 10 si tratta di

una forma cronica: in questo caso, sia farmaci sia i medici di base considerano di riferimento sono gli oppioidi

(29%), seguiti dai Fans (28%) e dalle associazioni di paracetamolo e codeina (16%). Tuttavia - secondo Doxa

Marketing Advice - il 52% delle loro prescrizioni di Fans continua ad avvenire nei pazienti con dolore cronico.

E non solo: le associazioni paracetamolo/ codeina vengono prescritte per oltre 3 giorni dal 90% degli

intervistati, in media quasi per 10 giorni. "Il medico di medicina generale ha un ruolo cruciale nella presa in

carico del paziente che so^ re", spiega Fiorenzo Corti, responsabile comunicazione nazionale Fimmg. "L '

09/02/2015 51Pag. About Pharma and Medical Devices - Ed. n.125 - febbraio 2015

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MUNDIPHARMA - Rassegna Stampa 10/02/2015 5

indagine Doxa evidenzia come permangano ancora importanti margini di miglioramento sul fronte dell'

applicazione delle normative. Occorrono quindi nuovi sforzi per intensi" care le attività di formazione a

supporto delle cure primarie. Fimmg sta lavorando proprio in questa direzione, con l' obiettivo di promuovere

una maggiore appropriatezza. Il nostro Paese tende ancora a un impiego eccessivo di Fans, spesso usati

anche in presenza di controindicazioni (soggetti anziani e/o cardiopatici). Al contrario, esistono valide

alternative farmacologiche, maneggevoli, e caci e con minori e^ etti collaterali, come gli oppiacei". (S.D.M.)

Parole chiave Primary care, dolore cronico, informatori scientifi ci del farmaco, medici di medicina generale

Aziende/Istituzioni Mundipharma Pharmaceuticals, Aifa, Fimmg

09/02/2015 51Pag. About Pharma and Medical Devices - Ed. n.125 - febbraio 2015

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MUNDIPHARMA - Rassegna Stampa 10/02/2015 6

medicina ORTOPEDIA I legamenti spesso all'origine del mal di schiena Se lo zucchero batte il dolore Le tendinopatie possono essere trattate con la proloterapia: si iniettano destrosio e lidocaina Luigi Cucchi «Il dolore osteoarticolare non fa parte necessariamente del processo di invecchiamento. Ha sempre una

causa che non è la sindrome di vecchiaia. É sovente dovuto ad una alterazione dei legamenti», afferma

Luciano Bassani, medico, fisiatra, libero docente presso l'università di Milano, presidente della Società

italiana di Proloterapia (www. proloterapia.eu), costituita all'inizio dell'anno duemila e associata alla Hackett

Hemwall Foundation dell'Università di Madison Wisconsin(USA), che si occupa della formazione di specialisti

in proloterapia, tenendo più corsi annuali sia in Italia che all'estero organizzati e supervisionati dai propri soci.

La proloterapia, metodica ancora poco conosciuta in Italia, è un acronimo che deriva da proliferation therapy

(prolotherapy), coniato negli anni cinquanta dal professor Hackett, un chirurgo ortopedico americano. La

Proloterapia è una terapia infiltrativa ormai consolidata , molto diffusa negli Stati Uniti ed in Europa,

soprattutto in ambito medico-sportivo, inclusa nei protocolli evidence-based di trattamento delle patologie del

tessuto connettivo (tendinopatie e lesioni legamentose non chirurgiche). Risulta efficace in assenza di rotture

sub-totali per le quali l'indicazione primaria rimane, comunque, chirurgica. Nei casi di tendinosi di qualsiasi

distretto anche associate a rotture parziali, si riescono ad ottenere risultati molto soddisfacenti (sia dal punto

di vista funzionale che sul dolore). «La Proloterapia - precisa il professor Bassani - può aiutare a rafforzare i

legamenti a qualsiasi età ed è il trattamento di prima scelta per il dolore cronico». Questa branca della

medicina ortopedica comporta la somministrazione di una sostanza, che crea un'infiammazione localizzata,

nell'area in cui il tessuto connettivo è stato indebolito o danneggiato a causa di un sovraccarico funzionale o

di un trauma. Questo porta alla auto-stimolazione del tessuto lesionato favorendone la sua riparazione. Le

soluzioni che vengono comunemente usate sono il destrosio e la lidocaina anche se in alcuni rari casi si può

far uso di fenolo e glicerina.L'infiltrazione viene praticata all'interno dell'articolazione o nel punto in cui il

tendine o il legamento si connettono all'osso. A volte le iniezioni sono più di una ed i punti in cui iniettare

variano da caso a caso. La soluzione iniettata provoca una reazione infiammatoria iniziale che innesta un

meccanismo rigenerativo verso la guarigione. La proloterapia risulta di grande utilità nel trattamento del

dolore della colonna vertebrale come lombalgia o cervicalgia su base artrosica o post traumatica e talora

anche dopo il fallimento della chirurgia vertebrale. Spesso infatti l'indicazione alla chirurgia viene data più in

base alla RM che alla clinica e ciò puo' spesso comportare molte volte una persistenza della lassità

legamentosa con instabilità della colonna vertebrale e dunque a dolori residui persistenti che la proloterapia

può ridurre o in moti casi eliminare. Quando, quindi, avvalersi della proloterapia? «I nostri risultati mostrano

che la terapia rigenerativa è da preferirsi come prima scelta in caso di dolore cronico. Spesso la diagnosi

clinica è possibile solo con l'esplorazione manuale delle strutture anatomiche dolenti, che in questi casi sono

poco valutabili con degli esami di routine. La proloterapia è indicata nel dolore muscolo-scheletrico, in

particolare nei dolori della colonna e delle articolazioni periferiche tra cui spalle, gomiti, polsi, anche,

ginocchia e piedi. É una metodica non-invasiva, sicura, sia dal punto di vista della tecnica che delle sostanze

impiegate, a patto che venga praticata da un medico esperto.

Foto: BASSANI Il tessuto connettivo lesionato o danneggiato dal trauma si autoripara grazie allo stimolo

originato dal processo attivo della proloterapia

11/02/2015 29Pag. Il Giornale(diffusione:192677, tiratura:292798)

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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 11/02/2015 7

FONDAZIONE ANT Ricostruiamo la buona vita con i malati di tumore L'assistenza domiciliare modello Eubiosia VITA - febbraio 2015 Sono medici, infermieri, fisioterapisti, professionisti esperti in oncologia e cure palliative

che ogni giorno in Italia assistono, gratuitamente, a domicilio 4.250 malati di tumore. Senza indossare il

camicie bianco. «Sarebbe una barriera fra noi e il paziente, fra noi e la famiglia del malato. In Fondazione Ant

gli operatori accompagnano il malato e la sua famiglia a vivere la malattia», chiarisce subito Maria Bruno uno

dei medici dell'organizzazione. Fondata 35 anni fa dal medico oncologo Franco Pannuti per diondere le cure

palliative per malati di tumore, Ant ha in carico in tutta Italia circa 10mila persone grazie a 21 équipe di

operatori che lavo rano in nome dell'Eubiosia (la buona vi- testi: Carmen Morrone foto: Stefano Pedrelli ta, in

greco antico), intesa come insieme di elementi per una vita dignitosa dal primo all'ultimo respiro. In particolare

si tratta di 400 professionisti - sanitari e non - a cui si aancano 1.800 volontari iscritti nell'albo

dell'associazione. Tutti protagonisti 365 giorni l'anno, 24 ore su 24, in 9 delle venti regioni italiane. A partire

da Bologna e dall'Emilia Romagna, dove è nato il progetto. Nel capoluogo emiliano l'attività di assistenza

domiciliare prende avvio dalla palazzina di via Jacopo di Paolo, dove medici e infermieri iniziano la loro

giornata con il prelievo dei farmaci da portare a casa dei 1.400 malati visitati ogni giorno. Prima di tutto, il

medico oncologo Maria Bruno, tarantina, ma bolognese d'adozione che lavora con Fondazione Ant da 12

anni, spiega come avviene l'incontro con i pazienti. «In certi casi è il malato che telefona al nostro call center,

altre volte è il medico ospedaliero o il medico di base che invita il paziente a rivolgersi a noi». Fatto sta che

«riceviamo ogni anno circa 7mila richieste. Tutte soddisfatte». Il prelievo dei farmaci al mattino è preceduto

dall'invio delle richieste, come spiega la dottoressa Bruno che ci accompagnerà lungo tutta la giornata. «Ogni

sera invio, tramite cellulare, l'elenco dei farmaci per il giorno dopo. La mattina li trovo nel nostro deposito

farmaceutico già insacchettati e li ritiro. Quando invece occorrono altre attrezzatura, ad esempio bombole di

ossigeno e altri apparecchi "pesanti", li trovo già al domicilio del paziente perché recapitati dal nostro Servizio

Famiglia, che si occupa del trasporto a domicilio degli ausili. I farmaci naturalmente sono quelli prescritti dal

medico che ha diagnosticato la malattia e che sta seguendo il paziente. Lavoriamo, infatti, in collaborazione

con i medici ospedalieri e di base, e ci confrontiamo per aggiornare le terapie in base ai bisogni del singolo

malato. Mi piace definire la nostra assistenza fatta su misura, come un abito». «Si tratta di un servizio unico

in Italia», interviene la presidente Raaella Pannuti, figlia del fondatore . «La presa in carico di un paziente da

parte di Ant comporta un costo di 2mila euro (esclusi i farmaci che spettano al Servizio sanitario nazionale e il

cui costo è assimilabile a quello della presa in carico) per una media di 132 giorni di assistenza l'anno a

paziente. Tenendo conto che il costo giornaliero di degenza in una struttura per cure palliative è di circa 240

euro e in un ospedale è di 780 euro, il risparmio è evidente». Il primo paziente della giornata è la signora

Teresa , 78 anni. «Dopo aver ascoltato la diagnosi non mi sembrava vero», racconta, «pensavo di avere

capito male. Sono arrivata sino a questa età senza gravi malattie. Eppure i referti medici erano chiari: così

sono entrata nel mondo dei malati di tumore». «Il mio primo pensiero», continua «è stato per Carlo, mio

marito da ben 56 anni, chi avrebbe pensato a lui? Avevo sentito parlare di Fondazione Ant e mi sono rivolta a

loro». Teresa è seguita da quasi un anno. «Sono molto soddisfatta per tanti motivi», dice, «il primo è perché

mi sto curando a casa mia che non può essere sostituita con nessuna camera di ospedale, nemmeno la più

bella. Ant è a disposizione tutti i giorni, Natale, Santo Stefano, Pasqua. Tutto agosto. Chiami e loro ti

rispondono. Ant è quello che cercavo, sopratutto per Carlo. Ora si è tranquillizzato perché sotto l'aspetto

medico e infermieristico sono assistita, così che lui può pensare a tutte le altre faccende domestiche. Mio

marito alla sua età, ha 80 anni, ha imparato pure a cucinare: un mezzo miracolo». «Che dici? È ancora lei il

cuoco», interviene Carlo guardano Teresa con gli occhi lucidi, «mi ha insegnato a fare anche il ragù alla

bolognese». A Bologna e in Emilia Romagna - così come nelle altre regioni dove la Fondazione Ant è

presente - è attivo anche un servizio di assistenza per i familiari che ogni anno si prende in carico centinaia di

11/02/2015 80Pag. Vita - Ed. n.2 - febbraio 2015(diffusione:45000)

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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 12/02/2015 30

parenti fornendo aiuti di vario tipo, a partire dalla compilazione e dall'inoltro delle pratiche per l'assegno di

cura, per la domanda di invalidità e per quella di esenzione dal ticket fino agli incontri di informazione sulla

malattia e a un vero e proprio supporto psicologico per i ca82 regiver. Solo nei primi sei mesi del 2014 sono

state oltre 1.700 le persone che hanno usufruito del servizio psicologico gratuito. La fondazione fornisce

anche un servizio di cambio biancheria e il trasporto gratuito del malato dal domicilio all'ospedale in

occasione di ricoveri e trattamenti in day hospital. Un lavoro che Ant riesce a svolgere in rete con i servizi

socio-sanitari del territorio. A casa di Teresa, suona il campanello : sono due volontari. Portano una

carrozzina. «Teresa in questi giorni ha un forte mal di schiena e fa molta fatica a camminare. La sedia a

rotelle le permetterà di spostarsi in casa e di poter fare qualche giretto nel quartiere», spiega Roberto Cesari,

a capo del Servizio Famiglia. Sono le 15 e a casa di Teresa arriva Monica Zanoni. Venticinque anni, Monica è

infermiera professionale e lavora per Fondazione Ant da sei mesi. «Ho sempre desiderato lavorare per

questa realtà che è molto conosciuta nel bolognese», dice. Per poi aggiungere: «Vengo da San Giovanni in

Persiceto e tutti i giorni raggiungo Bologna da quando ho iniziato la professione di infermiere domiciliare.

Faccio volentieri la pendolare perché il lavoro mi piace. L'infermiera di Fondazione Ant, infatti, non svolge

solo le sue mansioni tecniche, ma come tutti gli altri operatori è responsabile del benessere del paziente: qui i

principi dell'Eubiosia si toccano con mano». «Oggi Teresa ha bisogno di un'iniezione», continua, «poi, come

ogni giorno, verifico se ha assunto le pastiglie in programma. Infine preparo la terapia per la sera». Il tutto si

svolge in una calda cordialità e Monica e Teresa si scambiano i commenti su trasmissioni tv. «La signora

Teresa ha una vita familiare serena, in altre famiglie è molto diverso il clima che si respira», interviene Maria

Bruno. «Ci capita di visitare pazienti che vivono in case piccole e malsane. Persone sole, soprattutto anziani

soli che a causa del tumore non possono più svolgere attività semplici come fare la spesa. Per questo ci sono

i volontari della Fondazione che fanno le compere quotidiane, che vanno in posta a pagare le bollette della

luce e del gas. A volte, queste persone sole, anche se la malattia non è ancora invalidante, non si prendono

più cura di loro stessi: smettono di fare i tradizionali gesti quotidiani, come radersi la barba, lavarsi, pettinarsi.

Abbiamo verificato che la nostra presenza quotidiana li spinge a tornare a una vita dignitosa». Le reazioni alla

malattia sono diverse. «La famiglia può diventare ansiosa e iniziare una ricerca aannosa di chissà che cosa»,

continua Bruno, «oppure impietrirsi, diventando incapace di essere attiva anche nelle cose più semplici: come

se il familiare fosse entrato in una dimensione estranea alla loro. Qualche mese fa abbiamo seguito una

famiglia con sette figli, di cui uno malato terminale. È stato un intervento molto dicile per via delle condizioni

economiche precarie e per la scarsa informazione e formazione dei genitori». Gli operatori di Fondazione Ant

vivono situazioni emotive molto impegnative per questo c'è l'Unità di psico-oncologia (una trentina di operatori

in tutta Italia) che lavora per evitare fenomeni di burn out. La coordina Silvia Varani. «Non è sempre facile

instaurare una relazione con i malati di tumore:», spiega, «gli operatori sono preparati per gestire le situazioni

di stress e hanno il nostro costante supporto. Al di là degli aspetti strettamente terapeutici, con i malati di

tumore non si può essere superficiali, né drammatici, né si possono usare luoghi comuni, né essere fatalisti.

È un rapporto che richiede un grande sforzo comunicativo». L'altra parte dell'attività dell'Unità di psico-

oncologia è rivolta ai malati e alle famiglie sia durante l'assistenza sia nell'elaborazione del lutto. Una presa in

carico molto ampia svolta grazie soprattutto alle liberalità di privati cittadini e alle manifestazioni di raccolta

fondi (56%), al contributo del 5permille (11%) a lasciti e donazioni (7%), e a un contributo pubblico pari

all'18%. Nel 2013 sono stati raccolti 22 milioni di euro, il 76% dei quali è andato alle attività di assistenza.

Salutiamo Teresa appena in tempo perché suona il telefono di casa accanto alla poltrona e lei risponde

pronta. «Sono quelli di Fondazione Ant, devo rispondere e vi devo salutare», dice con un dolce sorriso. Che

sarà impossibile dimenticare. febbraio 2015 - VITA - DOVE Ant è presente in 9 regioni: Emilia Romagna,

Lombardia, Veneto, Toscana, Lazio, Marche, Basilicata, Campania e Puglia. Ci sono progetti pilota anche a

Mestre, Mantova, Cosenza, Monfalcone e in Albania - COME L'attività di assistenza è svolta grazie a una rete

di 400 professionisti, sanitari e non, cui si aancano 1.800 volontari che si occupano di servizi alle famiglie e di

raccolta fondi - CHI Fondazione Ant nasce a Bologna nel 1978 per iniziativa del medico Franco Pannuti e

11/02/2015 80Pag. Vita - Ed. n.2 - febbraio 2015(diffusione:45000)

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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 12/02/2015 31

fornisce assistenza socio sanitaria gratuita a domicilio ai soerenti di tumore

Foto: Ogni giorno. La signora Teresa insieme all'infermiera Monica Zanoni, in un momento dell'assistenza

domiciliare svolta da Fondazione Ant

Foto: ORE 10.00 ORE 8.00 La giornata comincia nella farmacia, dove gli operatori prelevano i sacchetti di

farmaci confezionati dai farmacisti di Fondazione Ant che ricevono le richieste la sera prima Maria Bruno,

medico oncologo, arriva a casa del primo paziente della giornata, la signora Teresa. Maria Bruno è uno dei

37 medici di Fondazione Ant, che lavorano a Bologna Raffaella Pannuti Presidente di Fondazione Ant Maria

Bruno Medico oncologo

Foto: 1. Il deposito farmaceutico di Fondazione Ant . Qui i famacisti insacchettano i farmaci che ogni giorno

gli operatori sanitari prelevano per portare al domicilio dei pazienti 2. La dottoressa Maria Bruno per spostarsi

dalla sede di via Jacopo di Paolo alle case dei pazienti utilizza un veicolo della Fondazione 3.4. Maria e

Monica al lavoro a casa della signora Teresa. In Italia Fondazione Ant conta 122 medici, 87 infermieri, 29

psicologi, 2 nutrizionisti. A Bologna, i medici sono 37, gli infermieri 22 e 8 gli psicologi ORE 15.00 ORE 13.00

È il momento del pranzo cucinato dal marito di Teresa. L'assistenza domiciliare permette di continuare a

vivere la normalità, come pranzare e cenare insieme ai propri cari Teresa riceve la visita dell'infermiera,

Monica Zanoni. A Bologna ci sono una settantina di operatori. Monica ogni giorno visita una decina di pazienti

Foto: ORE 17,30 ORE 20.00 Nella biblioteca della fondazione si preparano i libri e i dvd da portare ai pazienti

il giorno dopo. È attivo infatti un servizio di prestito di volumi e film Al call center della fondazione, alcuni

volontari ricevono le chiamate dai pazienti e dai familiari. Il servizio è attivo 365 giorni l'anno 24 ore su 24 5.

Roberto Cesari, capo del Servizio Famiglia insieme a un collaboratore .Il Servizio Famiglia ogni giorno porta

al domicilio ausili come bombole d'ossigenzo, carrozzine 6. Carlo, 80 anni è il marito di Teresa . Da quando la

moglie si è ammalata è lui che sbriga le faccende domestiche 7. Teresa, 78 anni . In questo momento, la

malattia la costringe a stare molte ore in casa. Le telefonate rendono meno noiosa la giornata

11/02/2015 80Pag. Vita - Ed. n.2 - febbraio 2015(diffusione:45000)

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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 12/02/2015 32

Nuova legge Cannabis terapeutica, la dà il medico di base In Toscana i medici di famiglia potranno prescrivere medicinali a base di cannabis (che saranno prodotti a

Firenze). È stato il Consiglio regionale ad approvare, ieri, la nuova legge che riforma le norme che

consentivano solo ai medici specialisti di prescrivere questo tipo di farmaci, previsti per le cure palliative e

alcune patologie invalidanti. «L'obiettivo - ha detto la consigliera di Rifondazione, Monica Sgherri, che ha

presentato la legge approvata a maggioranza - era semplificare la burocrazia e facilitare l'accesso ai

farmaci». Entro la fine del mese, lo stabilimento farmaceutico militare di Firenze inizierà la produzione di

farmaci cannabinoidi. La Toscana fa così da apripista in Italia sulla cannabis terapeutica. (L.B.)

12/02/2015 9Pag. Corriere Fiorentino - Ed. firenze(diffusione:12000)

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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 12/02/2015 23

Dolore . Un "problema" per 12 milioni di italiani. Ma solo il 40% sa a chirivolgersi Parte la campagna nazionale di associazioni malati e consumatori. Un "vademecum" a disposizione nei 1.000sportelli di federsconsumatori e nelle 120 delegazioni della Fondazione ANT. Una guida su sintomi, farmaci ecentri specializzati. IL VADEMECUM. 12 FEB - Più che un problema, è una vera emergenza sociale, che tocca da vicino almeno un italiano su

cinque: è il dolore, fenomeno che solo in Italia colpisce oltre 12 milioni di persone (alcune analisi stimano fino

a 15 milioni), di cui ancora oggi meno della metà - appena il 40% - sa a chi rivolgersi. Ed è proprio per

rendere finalmente più informati e consapevoli i cittadini sugli strumenti legislativi e medici per combattere il

dolore, che Federconsumatori, insieme a Fondazione ANT Italia ONLUS e IMPACT Proactive, e con il

patrocinio del Ministero della Salute, ha lanciato una capillare campagna nazionale di sensibilizzazione su

questa tematica. Percepito per lungo tempo solo come un sintomo o la conseguenza di altre malattie, da

accettare o comunque da curare secondariamente, il dolore oggi è invece considerato dalla classe medica

come una vera e propria malattia. Grazie alla legge 38/2010 l'Italia ha in materia una legislazione

all'avanguardia a livello europeo, eppure paradossalmente poco conosciuta da chi ne avrebbe bisogno. I dati

più recenti ci dicono infatti che il 40% dei cittadini non sa ancora oggi a chi rivolgersi in caso di dolore, mentre

solo il 32% è stato informato dal proprio medico, il 22% da amici e parenti e il 14% su Internet. Inoltre, solo il

35% sa che in Italia c'è una legge sul tema (fonte: Fondazione Isal). Dall'impegno congiunto dei tre enti è

nato così un apposito "Vademecum sul dolore", esaustivo e di facile consultazione, per informare il più ampio

numero possibile di cittadini: per poter riconoscere il dolore e saper valutare i propri sintomi, per conoscere i

farmaci, ma soprattutto per sapere a chi rivolgersi, dove sono ubicati i centri di terapia del dolore e i centri di

cure palliative, e quali sono i diritti dei cittadini garantiti dalla Legge 38/2010. Il "Vademecum sul dolore",

accompagnato da una locandina, sarà a disposizione dei cittadini negli oltre 1000 sportelli di

Federconsumatori e nelle 120 Delegazioni di Fondazione ANT dislocate su tutto il territorio italiano, e sarà

distribuito a tutti i partner coinvolti; sarà inoltre scaricabile dai tre siti di Federconsumatori, ANT e IMPACT

proactive. La campagna di informazione sulla Legge 38/2010 e dolore - scrivono i promotori - ha un

importante elemento di novità: per restare più vicini ai cittadini, a distanza di due mesi dal lancio della

campagna sarà infatti diffuso, con la stessa capillarità del materiale informativo, un questionario per cogliere

le reali esigenze del cittadino. I risultati saranno condivisi con la classe medica, le associazioni e le istituzioni

nel corso di un Workshop promosso da IMPACT proactive a Firenze nel giugno 2015 con i suoi oltre 80

partner e nei convegni di Federconsumatori e Fondazione ANT.

12/02/201510:50

Sito WebIlFarmacistaOnline.it

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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 13/02/2015 35

scienze / il senso della ricerca Contro il dolore ci siamo alleati con una tarantola David Julius è da tempo candidato al nobel della medicina. l'abbiamo intervistato a san Francisco. dove, perliberarci dal male, studia i recettori alla periFeria del sistema nervoso. anche grazie a un ragno velenoso Caterina Visco san francisco . «Il dolore è come il cancro». Con queste parole il professor David Julius cerca di spiegare

perché, anche se riusciamo a far atterrare una sonda su una cometa, ancora non siamo in grado di

contrastare efcacemente il dolore cronico. «Dolore è un termine generico, come cancro» ripete. «Noi

adoperiamo sempre la stessa parola, ma con dolore possiamo intendere molte patologie diverse». C'è un

dolore di natura infiammatoria, un altro dovuto a una ferita, un altro ancora di natura oncologica. «Ci sono

punti in comune tra i diversi meccanismi, ma anche molte particolarità, e uno stesso farmaco non sarà mai

efcace per tutti» prosegue. E se lo dice lui, c'è da fidarsi. David Julius è infatti uno dei pionieri dello studio del

dolore. Ha cominciato a occuparsene negli anni Ottanta, dopo una laurea al Mit di Boston e un dottorato

all'Università della California a Berkeley. Nel 1997 ha scoperto il recettore Trpv1 per la capsaicina, la

molecola contenuta nel peperoncino, e il fatto che questo è legato anche alla percezione delle alte

temperature (sopra i 42°C) e del dolore provocato da diverse sostanze, incluse quelle rilasciate dalla

tarantola quando morde. Proprio in virtù di questi studi il suo nome è stato uno di quelli più citati alla vigilia

degli annunci degli ultimi Nobel per la medicina. E non è detto che il premio non arrivi al prossimo giro. Oggi,

all'Università di San Francisco, Julius è a capo di un laboratorio che porta il suo nome. Qui, nel suo ufcio, in

maniche di camicia su uno sgabello, pazientemente racconta come tutto è cominciato. «Verso la metà degli

anni Ottanta non si sapeva molto del meccanismo di percezione del dolore a livello molecolare o chimico. Io

ero curioso di capire come funzionava, e la periferia, dove lo stimolo doloroso comincia, mi sembrava un

buon punto di partenza. Diversi tipi di dolore di natura infiammatoria, come per esempio quelli dovuti ad

alcune patologie oncologiche, sono legati all'attivazione iniziale delle fibre nervose sensoriali da parte dei

recettori per la capsaicina o di altri recettori simili. Magari, prevenendo questo iniziale dolore periferico, sarà

possibile bloccare la cascata di eventi che porta al dolore persistente. Inoltre, capire come intervenire sul

meccanismo iniziale di trasmissione potrebbe permetterci di sviluppare azioni contro il dolore più specifiche,

senza efetti collaterali sul resto dell'organismo». Ma a che cosa servono esattamente questi recettori

periferici? «Il recettore per la capsaicina, o Trpv1, come anche quello per il mentolo (Trpm8), che ci permette

di percepire anche il freddo, o quello cosiddetto "del wasabi" (Trpa1), che ci fa percepire le sostanze pungenti

e che, secondo alcuni ricercatori, è anche legato alla percezione di temperature particolarmente basse e del

dolore che si prova in queste condizioni, sono sentinelle dell'organismo che ci forniscono informazioni

importanti sull'ambiente in cui viviamo. Ci dicono cioè se coprirci per conservare calore o scoprirci per

cederlo, se evitare una superficie troppo calda, o se una parte del nostro corpo è ferita e deve essere

protetta. Per esempio, se ci siamo scottati trascorrendo una giornata in spiaggia, possiamo non accorgercene

immediatamente; tuttavia, quando saremo sotto la doccia, l'acqua che il giorno prima sembrava fresca ci

risulterà dolorosamente calda. Questo accade perché la scottatura ha innescato l'azione di recettori che, a

loro volta, hanno attivato fibre nervose. Queste hanno sia trasmesso il segnale doloroso alla spina dorsale,

sia avviato il rilascio in loco di una serie di molecole che hanno provocato rossore, gonfiore e ipersensibilità al

calore e al tatto. Questi sono segnali per dire al cervello "fai attenzione, sei ferito e devi proteggere

quest'area"». Queste molecole hanno a che fare anche con il dolore persistente? «Sì, perché queste

molecole riaccendono anche continuamente il recettore e questo, a sua volta, riattiva la fibra nervosa che

trasmette un nuovo segnale di dolore, innescando in alcuni casi un circolo vizioso chiamato infiammazione

neurogenica, che è una parte importante del dolore cronico». Che cosa possono ancora rivelarci questi

recettori? «Con il mio gruppo di ricerca ci stiamo concentrando sullo studio della struttura tridimensionale di

Trpv1, che recentemente siamo riusciti a "fotografare" per la prima volta, grazie all'aiuto di una tarantola».

13/02/2015 56Pag. Il Venerdi di Repubblica - Ed. n.1404 - 13 febbraio 2015(diffusione:687955, tiratura:539384)

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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 13/02/2015 22

Una tarantola? «Cercavamo, oltre al peperoncino, altre sostanze in grado di attivare questi recettori che, sulla

superficie delle cellule, si aprono e si chiudono per rilasciare gli ioni calcio che mediano il messaggio

doloroso. Sapendo che il morso di alcuni animali velenosi può essere molto doloroso a causa delle tossine

presenti nella sostanza prodotta dall'animale, abbiamo esaminato il veleno di diversi tipi di animali come

ragni, scorpioni e serpenti di ogni angolo del pianeta. Volevamo capire quali sostanze interagissero con Trpv1

e abbiamo scoperto che la maggior parte di questi veleni efettivamente lo attiva. In particolare ci è stato utile il

veleno di una tarantola di Trinidad chiamata Tarantola Trinidad Chevron ( Psalmopoeus cambridgei ).

Contiene una tossina il cui efetto è quello di mantenere sempre aperto i canali sulla superficie delle cellule

rappresentati dai recettori, provocando un costante usso di ioni e quindi un segnale doloroso intenso e

prolungato. A quel punto, grazie alla collaborazione di Yifan Cheng, anche lui ricercatore qui a San Francisco,

abbiamo usato una microscopia crio-elettronica per fotografare per la prima volta in 3D la struttura del

recettore». E questo potrebbe essere utile per mettere a punto nuove terapie? «Sì, perché ora possiamo

cercare di capire come funziona, come si attiva o disattiva, e possiamo farne il bersaglio per trattamenti

contro il dolore più sofisticati e selettivi. Per esempio, farmaci con meno efetti collaterali come la dipendenza

o assuefazione. O in grado di bloccare l'azione del recettore quando si innesca il circolo vizioso del dolore

cronico, ma non quando questo deve trasmettere la percezione del calore o di un dolore acuto e

momentaneo». corbis, silvio coiante, ansa, shutterstockCorteccia somatosensoriale Corteccia frontale

Talamo Epidermide Derma Recettore del dolore Sistema limbico Nervo periferico Spina dorsale Il segnale

che fa male 1

I recettori del dolore (nocicettori) che si trovano sulla pelle sono attivati da un danno ai tessuti Un segnale

risale il nervo periferico fno alla spina dorsale All'interno della spina dorsale, vengono rilasciati messaggeri

chimici (i neurotrasmettitori) che attivano altri nervi che passano il segnale del dolore al cervello. Nel cervello

il talamo trasmette i segnali alla corteccia somatosensoriale (sede della sensazione), alla corteccia frontale

(sede del pensiero) e al sistema limbico (sede della risposta emotiva) Nel DOLORE CRONICO i nervi

continuano a trasmettere al cervello il segnale del dolore, anche quando non c'è più il danno che l'ha causato.

Veleno utile Grazie all'efetto che il veleno della tarantola Trinidad Chevron ha su un recettore del dolore, gli

scienziati sono riusciti a fotografarlo in 3D. Ora è più facile studiarlo

Foto: Sotto, David Julius, fsiologo dell'Università della California di San Francisco e pioniere dello studio del

dolore. Ha scoperto il recettore della capsaicina , molecola del peperoncino, e il fatto che è legato anche alla

percezione delle alte temperature e, appunto, del dolore provocato da alcune sostanze

Foto: Il piccante, alcuni dolori e il calore forte sono percepiti grazie a un unico recettore

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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 13/02/2015 23

scienze Nuovi interruttori per spegnere la sofferenza Negli usa gli studi di due italiaNi su cellule gliali e adenosina: potrebbero dare altre chiavi per battere i doloricroNici Giuliano Aluf tredici milioni di italiani convivono col dolore cronico: lo riporta il libro bianco presentato lo scorso ottobre a

Roma, al convegno Health over Pain Experience. A essere considerato cronico è ogni dolore che duri oltre

tre mesi: il più comune è il mal di schiena (60 per cento dei casi), seguito da dolori articolari e reumatici,

neuropatie, cefalee, angina pectoris e dolori neoplastici. Cruciale, nel sorgere del dolore cronico, è il

fenomeno della plasticità neuronale, la capacità del sistema nervoso di adattarsi. Quando i suoi recettori per il

dolore, detti nocicettori, subiscono una stimolazione prolungata, possono infatti scatenare meccanismi

neurochimici che modificano le sinapsi, aumentando l'eccitabilità dei neuroni. E il cambiamento può rimanere

anche quando la causa del dolore si estingue: nei neuroni, in pratica, rimane una «memoria» del dolore, che

continua a tormentare i pazienti. La spesa annuale del nostro Servizio sanitario per combattere il dolore è

stimata intorno ai 36,4 miliardi di euro. Due, le principali categorie di farmaci. Gli antinfiammatori non steroidei

(Fans), come nimesulide e ibuprofene, agiscono localmente, e cercano di evitare la formazione del segnale

doloroso desensibilizzando i nocicettori periferici. Gli oppioidi invece inibiscono la trasmissione del segnale

del dolore riducendo il rilascio di neurotrasmettitori e ostacolando l'arrivo dello stimolo doloroso nella

corteccia sensoriale. Siamo al primo posto in Europa per l'uso di Fans e all'ultimo per oppioidi: questo mostra

un uso improprio degli antinfiammatori, perché non sempre attenuando le infiammazioni si cura il dolore.

D'altra parte, però, gli oppioidi possono provocare assuefazione e dipendenza. Un nuovo promettente

bersaglio terapeutico è la glia, ossia l'insieme di cellule che circonda e sostiene i neuroni. Lo suggerisce uno

studio pubblicato in gennaio sulla rivista scientifica Brain da Marco Loggia, docente di radiologia alla Harvard

Medical School. «Fino a poco tempo fa si pensava che il dolore cronico fosse causato soprattutto

dall'eccessiva eccitabilità dei neuroni che trasmettono i segnali dolorosi. Negli ultimi dieci anni, però, molti

studi su animali hanno suggerito che ad avere un ruolo fondamentale possono essere le cellule gliali. Queste

sono le sentinelle del sistema nervoso: quando un animale subisce una lesione, la "sentono" e, tramite una

risposta infiammatoria, aumentano l'eccitabilità dei neuroni che trasmettono i segnali dolorosi» spiega Loggia

al Venerdì . «Questa risposta è utile perché, se un arto ferito diventa ipersensibile al dolore, l'animale

cercherà di non muoverlo e proteggerlo, favorendone il recupero. Poi però, quando il tessuto guarisce, la

risposta infiammatoria dovrebbe ridimensionarsi. Se invece continua, diventa patologica». Finora non si era

studiata l'attivazione delle cellule gliali nel dolore umano. «Nella nostra ricerca, abbiamo per la prima volta

visualizzato in pazienti con dolore cronico (in particolare, la lombalgia) la presenza di elevati livelli di una

proteina che si produce durante l'attivazione gliale. Questo indica che, anche nel dolore cronico negli esseri

umani, le cellule gliali si attivano in maniera eccessiva e non si "calmano" dopo la risoluzione dell'evento che

ha causato il dolore. Queste cellule possono quindi essere esplorate come target terapeutico» spiega Loggia.

«Per la verità, esistono già farmaci adatti a calmarle - come l'antibiotico minociclina, usato per curare l'acne e

infezioni - ma non vengono usati per il dolore». Uno studio pubblicato sempre su Brain, a fine 2014, da

Daniela Salvemini, docente di farmacologia alla Saint Louis University, ha invece individuato un «interruttore»

del dolore partendo dall'adenosina, una delle sostanze endogene che hanno un efetto calmante sul nostro

organismo. «I recettori dell'adenosina si trovano nel sistema nervoso centrale, sia nella spina dorsale che nel

cervello. Quando entrano in azione, attenuano l'iperattività tanto dei neuroni quanto delle cellule gliali» ci

spiega Daniela Salvemini. «Se però, per stimolare questi recettori, somministrassimo semplicemente

adenosina, attiveremmo tutti i recettori adenosinici dell'organismo e avremmo efetti collaterali. Così abbiamo

prodotto molecole sintetiche che attivano solo un recettore (l'A3) centrale per attenuare il dolore cronico. Per

ora nei topi, ma i test di fase 1 sull'uomo sono imminenti». spl / agf

13/02/2015 58Pag. Il Venerdi di Repubblica - Ed. n.1404 - 13 febbraio 2015(diffusione:687955, tiratura:539384)

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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 13/02/2015 24

FARMACO IN ARRIVO? Daniela Salvemini, dell'Università di Saint Louis, ha messo a punto molecole che

imitano gli efetti dell' adenosina , sostanza con efetti calmanti prodotta dal nostro organismo. Il disegno a

sinistra mostra come, durante gli stati di dolore cronico, i segnali di dolore siano trasmessi su per la spina

dorsale (frecce rosse) fno al cervello. Bloccare questa catena può ofrire sollievo. Se i recettori dell'adenosina

A3 (in blu), che sono nella spina dorsale e in aree cerebrali rilevanti per il dolore, vengono attivati dalle

molecole sintetizzate (in giallo) dal team della Salvemini, il dolore cronico si attenua. Sono già stati efettuati i

test sui topi. Devono partire quelli sull'uomo

Foto: La glia è un insieme di cellule che circonda i neuroni

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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 13/02/2015 25