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domenico patassini università iuav di venezia 2015-20 1 Università Iuav di Venezia DIPARTIMENTO DI CULTURE DEL PROGETTO Department of Architecture and Arts CORSO DI LAUREA IN URBANISTICA cultura della valutazione 2015-2020 rassegna di approcci, metodi e tecniche (versione 04.03.2020) prof. Domenico Patassini

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domenico patassini università iuav di venezia 2015-20

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Università Iuav di Venezia DIPARTIMENTO DI CULTURE DEL PROGETTO Department of Architecture and Arts

CORSO DI LAUREA

IN URBANISTICA

E PIANIFICAZIONE DEL TERRITORIO

cultura della valutazione

2015-2020

rassegna di approcci, metodi e tecniche

(versione 04.03.2020)

prof. Domenico Patassini

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indice

ranking (ordinamento)

benchmarking

valutazione estimativa

valutazione territoriale

valutazione di riferimento (dei titoli)

validazione

valutazioni esplorative

stima/identificazione dei fabbisogni (need assessment)

valutazione orientata agli obiettivi (objective-based)

valutazione indipendente dagli obiettivi (goal-free)

valutazione di risultato in termini di valore aggiunto

valutazione degli impatti

valutazione sperimentale o quasi-sperimentale (esempio: come guardare a sperimentazioni locali sul

reddito di base da una prospettiva PV o EV)

valutazione orientata ai costi

analisi costi-benefici (Acb) aggregata o disaggregata

valutazione dei beni storico-culturali

metodo del costo delle risorse interne

metodo della protezione effettiva

metodo degli effetti (méthode des effets)

valutazione algoritmica (di borsa e altro)

valutazione strategica

valutazione avversariale

scenario writing

riconoscimento del caso di successo

valutazione artistica

valutazione indiziaria

valutazione guidata dalla teoria (theory-driven)

CIPP (context, input, process, product)

valutazione realista (configurazione C-M-R)

valutazione a grappolo (cluster evaluation)

analisi orientata alla responsabilità/trasparenza decisionale (decision accountability)

valutazione orientata al consumatore (consumer oriented)

peer review

auditing

accreditamento, certificazione, iscrizione

valutazione interna

auto-valutazione istituzionale (institutional self-evaluation)

valutazione di qualità (quality control and assurance – QCA)

simulazione valutativa

ricerca valutativa

responsive evaluation (valutazione ‘reattiva’)

valutazione costruttivista o di quarta generazione

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valutazione naturalistica

valutazione democratica deliberativa

valutazione trasformativa (transformative evaluation)

valutazione ‘personalizzata’ (personalizing evaluation)

valutazione inclusiva

valutazione basata sulla teoria critica (critical theory evaluation)

valutazione orientata all’utente (user/utilization focused)

modello di rappresentazione della influenza valutativa (influence pathway)

developmental evaluation (valutazione ‘progettuale’)

valutazione partecipativa

imparare a valutare: valutazione orientata alla responsabilizzazione, allo sviluppo di capacità e alla

autodeterminazione (empowerment evaluation)

valutazione illuminativa/illuminante (illuminative evaluation)

valutare per immagini o figure

valutazione iconografica

valutazione come pratica ermeneutica

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Premessa

Questa rassegna evidenzia la straordinaria varietà di ‘figure’ presenti nel paesaggio della valutazione,

senza alcuna pretesa tassonomica. Per contributi in tal senso si rinvia a testi ben più strutturati dove

teorie, approcci, metodi e tecniche vengono classificati sulla base di criteri ad hoc (usi, valori, modalità

di ricerca, pratiche di interazione sociale e così via). Sono ridotti all’essenziale anche i riferimenti agli

approcci EV e PV, trattati nelle prime lezioni. In questa sede, basti ricordare che EV opera secondo

logiche causa-effetto, si configura come test epistemologico sull’applicazione della conoscenza

(validazione/confutazione) e informa l’azione comunicativa fra stakeholder riconosciuti o riconoscibili

per interesse e influenza. Al contrario, PV è consapevole della difficoltà di distinguere cause da effetti e

per questo cerca di tenere insieme esplorazione e validazione. Ricorre all’ascolto ‘attivo’ e al dialogo

(meglio, alla conversazione) orientati alla spiegazione di fenomeni sociali con riferimento a mutevoli e

locali ‘frame’ di conoscenza. Critica (in quanto selettive e disorientanti) le finzioni dialogiche e

l’azione comunicativa dello stakeholder rilevante, mentre riconosce nell’interazione sociale opportunità

per scoprire valori, costruire significati e agende, avviare (se necessario) processi di advocacy. In

sintesi, è un atteggiamento che favorisce la scoperta e l’espansione della conoscenza. Inoltre, PV va

oltre l’approccio ‘naturalistico’, superando l’ambiguità nell’uso del termine. Gli approcci responsive,

democratici, illuminativi sono anche detti transattivi. L’approccio ermeneutico, forse il più contiguo

alla valutazione come pratica di interazione sociale e come ‘evento’, non opera con modelli pre-definiti

e non aspira ad una sua ‘metafisica’: riconosce, infatti, possibilità di miglioramento (improve) e di

giudizio (prove) in ogni tipo di azione. Se l’ermeneutica non può essere intesa solo come ‘metodo per

decifrare un testo’, in quanto ‘appartiene al processo stesso che cerca di comprendere’1, PV si delinea

come una specie di filosofia della prassi.

In questa sede ci si limita a ricordare che, pur nella loro varietà, le diverse ‘figure’ rinviano ad una

definizione comune di valutazione sintetizzabile come riconoscimento dei significati presenti in azioni,

eventi, oggetti o persone e come attribuzione di valori (merit e worth) ai significati riconosciuti e alle

loro ‘intensità’. Riconoscimento e attribuzione configurano e vivono domini conflittuali.

Come evidenziato in precedenti lezioni, si tratta di due spunti che maturano nell’interazione sociale e

che si presentano secondo ragioni manageriali, democratiche, del ‘pluralismo morale’ o del

‘liberalismo politico’. Queste ragioni rendono più o meno pertinente e plausibile il ricorso a metodi e

tecniche.

Si ricorda che per il riconoscimento di significati e l’attribuzione di valori occorre formulare

proposizioni valutative come base esplorativa e/o di giudizio. Se l’azione è la tutela di un’area verde in

ambito urbano, il significato eco-sistemico può essere rilevante e i valori (worth) riconoscibili sulla

base dei servizi eco-sistemici erogabili. Il valore intrinseco (merit) può essere attribuito al suolo in

quanto risorsa non rinnovabile o rinnovabile in tempi lunghissimi. Allentando i vincoli della logica

proposizionale (ripresi comunque in molte analisi multi-criteriali), una proposizione valutativa si

configura come ipotesi/giudizio che conferma in modo comparativo (contro ipotesi/giudizi concorrenti)

la plausibilità della coppia significati-valori.

In questa accezione la valutazione può essere intesa come pratica sociale di riconoscimento di

significati e attribuzione di valori in una strategia utile a risolvere una incompletezza2. Ciò può

1 G Vattimo, 2018, Essere e dintorni, La nave di Teseo, Milano, p. 111. 2 L’esito del processo può essere negativo in assenza di significati e valori o in presenza di disvalori.

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avvenire sulla base di giudizi di tipo EV o PV, i primi basati su evidenze costruite con proposizioni

razionali, i secondi su pratiche e per questo detti giudizi pratici o di pratica.

Intesa come prassi, riconoscibile per inizio ed evoluzione, la valutazione può influire anche in modo

determinante sulla interazione sociale. Infatti, lo sforzo di descrizione e giudizio contribuisce in diversa

misura allo sviluppo di una conversazione o, in modo più prosaico, di un ‘dialogo pertinente’ (e

continuo) ‘deformando’ l’interazione e le sue possibilità. La ‘deformazione’ può essere assimilata,

ignorata o respinta in modo più o meno intenzionale. Se viene assimilata l’interazione prosegue con

nuova consapevolezza; se viene ignorata può proseguire con indifferenza; se respinta, l’interazione (e

l’eventuale dialogo/conversazione) possono essere interrotti e riproporsi altrimenti.

L’approccio PV propone una narrativa consapevole delle opportunità e dei rischi della deformazione,

connettendo generazione a validazione/confutazione, mentre EV, preoccupato della

validazione/confutazione, li sottovaluta o li ritiene ‘fattori di disturbo’. Se con EV si guarda

all’interazione (ai suoi ‘documenti’), con PV si è nell’interazione e si osserva l’oggetto da prospettive

diverse. Con EV (sperimentale, meta-analisi, ecc.) l’attenzione è al cambiamento che un programma

può generare e alle decisioni che lo motivano. Come precisa J March3, questa attenzione considera

razionale ogni procedura che persegue la logica della conseguenza, che pone cioè una scelta in

relazione alla risposta a quattro questioni fondamentali. Il problema delle alternative possibili; il

problema delle aspettative circa le conseguenze probabili e derivabili; il problema delle preferenze

circa i valori attribuiti ad ogni alternativa e il problema della regola decisionale sul set di alternative

tenuto conto del valore delle conseguenze. L’evidenza di questa procedura è la sua presunta logica.

In PV l’interesse è al vissuto della interazione, alla sua possibilità e contingenza e a quella intelligenza

pratica che si forma nell’ attenzione al livello personale e interpersonale4.

3 J March, 1998, Prendere decisioni, Il Mulino, Bologna, p.12. 4 Su questo tema vedi il nervoso dibattito ospitato da American Journal of Evaluation, n. 21, 2000 fra M W Lipsey e T

Schwandt, in particolare M W Lipsey, ‘Meta-analysis and the learning curve in evaluation practice’, pp. 207-12; M W

Lipsey, ‘Method and rationality are not social diseases ’, pp. 221-223; T A Schwandt, ‘Further diagnostic thoughts on what

ails evaluation practice’, pp. 225-229; T A Schwandt, ‘Meta-analysis and every-day life: the good, the bad, and the ugly’,

pp. 213-219.

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Approcci, metodi e tecniche

Ranking (ordinamento)

Il ranking è una operazione che consente di ordinare ‘oggetti’ o ‘soggetti’ (detti anche evaluandi) sulla

base di performance relative, utilizzando indicatori di sintesi, indici o descrittori ricavati da fonti di

rilevazione analogica o digitale. L’indicatore (e a maggior ragione l’indice) è una combinazione di

descrittori standardizzati e ponderati, la cui ‘forza’ comparativa deriva dalla scala, specifica

combinazione di metrica e semantica. La combinazione può essere costruita con operazioni aritmetiche,

algebriche o con algoritmi ad hoc, come nel caso dei big data. L’indicatore non dice nulla circa la

performance assoluta dell’oggetto (o del soggetto), solitamente misurata su scala intervallare o

rapporto. Ad esempio, la performance può collocarsi al di sotto di una soglia minima di accettazione, e

gli oggetti (soggetti) essere comunque classificati primi, secondi o terzi. La performance assoluta non

può essere ricavata da un ordinamento, mentre l’ordinamento può essere costruito partendo da una

misura assoluta, su scala intervallare o rapporto. Diversamente dall’ordinamento ‘parziale’,

l’ordinamento ‘vero’ non consente ex-aequo.

L’operazione di ranking viene effettuata per diversi scopi. Vi si ricorre per ordinare nazioni (o regioni)

sulla base di indici di sviluppo e/o di eguaglianza5; città o sistemi insediativi sulla base della qualità o

del costo della vita, delle performance informative, dei mercati immobiliari e della sostenibilità6;

5 Vedi, ad esempio l’Indice di Povertà, l’Indice dello Sviluppo Umano ISU (o HDI), l’Indice di Liberta Umana ILU (o HFI),

l’Indice di Libertà Politica ILP (o PFI), ma anche il BES (indice di benessere equo e sostenibile), il Genuine Progress Index

di Clifford Cobb che contabilizza le perdite per inquinamento. Sul versante delle ineguaglianze e degli impatti il riferimento

può essere all’Indice di Gini a all’Impronta Ecologica. L’indice è una combinazione di indicatori, a loro volta combinazioni

di variabili (o descrittori), e la costitutiva multidimensionalità pone rilevanti problemi di aggregazione. L’uso combinato di

questi indici può consentire la rappresentazione di complessi trade-off. 6 L’utilizzo degli indicatori urbani risale alla Scuola di Chicago, ai primordi della sociologia urbana, delle teorie

localizzative e delle scienze regionali. In molte città Usa ha avuto un certo successo, a partire dagli anni ’60 fino agli anni

’90, l’urban indicator movement finalizzato alla allocazione di risorse pubbliche, al monitoraggio delle politiche urbane

locali e al sostegno dei negoziati fra stati e governo federale in materia di welfare. L’attenzione all’ambiente e ai

cambiamenti climatici ha orientato Usa, Ue e numerosi altri stati progressivamente verso indicatori di sostenibilità, vedi a

titolo esemplificativo: Sustainable Urban Development Indicators in Usa promossi dal Penn Institute for Urban Research

nel 2011; Indicators for Sustainable Cities della European Commission DG Environment by the Science Communication

Unit, UWE, Bristol (http://ec.europa.eu/science-environment-policy, consultato il 15/8/2018); Urban Indicators for

Managing Cities (P Newton, Asian Development Bank); il Data Catalog della World Bank in continuo aggiornamento. Il

City Prosperity Index, utilizzato da Un-City Prosperity Initiative (Cpi), sintetizza performance riferite a governance,

generazione e distribuzione urbana di benefici socio-economici. Per la valutazione della sostenibilità negli spazi costruiti

con approccio dal basso vedi Common European Sustainable Built Environment Assessment (Cesba https://www.cesba.eu/).

Alla fine degli anni ’90 è stata avviata una ricerca sui cambiamenti climatici nei capoluoghi di provincia italiani da parte

dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima (Isac) del Cnr in collaborazione con l’Università di Milano (UniMi). Il

Sole24Ore estrae dal database 3BMeteo della società del gruppo Meteosolutions l’indice del clima. L’indice viene costruito

come media dei punteggi ottenuti dalle 107 città (capoluoghi di provincia) nei dieci indicatori (parametri) climatici presi in

considerazione: soleggiamento, indice di calore, ondate di calore, eventi estremi, brezza estiva, umidità relativa, raffiche di

vento, piogge, nebbia e giorni freddi. Per ogni ‘parametro’ è calcolato il valore medio giornaliero o annuale per fascia

esaoraria sul periodo decennale 2008-2018. Per ciascuna graduatoria parametrica sono attribuiti 1000 punti alla città con la

migliore performance. Il punteggio scende in funzione della distanza rispetto alla prima classificata, vedi ‘Qualità della vita.

Progetto 2019’, Il Sole24Ore. Affiancato agli indici della salute, del tempo libero, della sportività e della criminalità,

l’indice del clima contribuisce alla descrizione della qualità della vita. Con le nuove dimensioni della data analysis (big

data), dell’intelligenza artificiale e di IoT vengono costruiti anche indici delle smart city.

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regioni e nazioni sulla base di indici di consumo tecnologico7; ma anche per misurare le performance

dei sistemi previdenziali8, per valutare offerte in bandi di gara o di concorso, per formare graduatorie

delle migliori università (vedi University Ranking Watch). Tecnicamente, gli ordinamenti sono molto

sensibili alla semantica, alla metrica e alle modalità di aggregazione (algoritmi) dei descrittori che

compongono l’indicatore o l’indice. Anche per queste ragioni, consentono di riflettere sul concetto che

rappresentano: innovazione, sviluppo, crescita, decrescita, felicità, giustizia, democrazia, sostenibilità,

resilienza, anti-fragilità e così via.

L’ordinamento è una delle problematiche della valutazione in ambito mono o multi-criteriale. Ad

esempio, il criterio unico di sintesi ‘rapporto benefici/costi’ nell’analisi costi-benefici consente di

ordinare i progetti dal più al meno preferibile in prospettiva economica. Nell’analisi/valutazione

multicriteri l’obiettivo può essere l’ordinamento di opzioni (e non la scelta di una opzione rispetto alle

altre o l’attribuzione delle opzioni a classi predefinite). Nella famiglia di tecniche Electre

l’ordinamento corrisponde ad un algoritmo di analisi di concordanza/discordanza9.

Il ranking si accompagna (differenziandosene) alle nozioni di appraising, assessing, auditing, rating10

e grading.

7 European Samsung Lifestyle Research Lab ha messo a punto il “Samsung Techonomic Index” sui consumi di tecnologia.

L’indice potrebbe perfezionare la configurazione e calibrazione di funzioni di produzione. In Italia si dispone dell’Indice

della qualità della vita urbana (dati su base provinciale) de Il Sole24ore costruito su sei classi di descrittori: ricchezza e

consumi (depositi pro-capite, pil pro-capite, canoni medi di locazione, consumi-spesa media in beni durevoli per famiglia,

protesti pro-capite in euro, prezzi medi di vendita delle case al mq, spesa pro-capite in viaggi e turismo); affari e lavoro

(imprese registrate ogni 100 abitanti, tasso di occupazione 15-64, tasso di disoccupazione giovanile 15-29, impieghi su

depositi, quota di export sul pil in % di esportazioni su VA, start up innovative ogni 1000 società di capitale, gap retributivo

di genere in % tra retribuzioni medie nette di uomini e donne); ambiente e servizi (ecosistema urbano-LegaAmbiente, home

banking ogni 100.000 abitanti, rischio idrogeologico in % di superficie a pericolosità di frana P3/P4 e idraulica P2, spesa

sociale destinata a minori, disabili e anziani degli enti locali per abitante, smart city rate riferito ai capoluoghi, speranza di

vita alla nascita, indice climatico di escursione termina fra Tmin e Tmax); demografia e società (laureati ogni mille residenti

giovani 25-30 anni, tasso di natalità/1000 ab, indice di vecchiaia over 65/0-14, saldo migratorio interno, tasso di

mortalità/1000 ab, acquisizione di cittadinanza italiana/1000 resid, tasso di fecondità-numero figli/donna); giustizia e

sicurezza (durata media dei processi per contenzioso civile in giorni, scippi e borseggi ogni 100.000 ab, indice di litigiosità-

cause di contenzioso civile iscritte ogni 100.000 ab, cause pendenti ultra-triennali sul totale, rapine ogni 100.000 ab, delitti

di stupefacenti ogni 100.000 ab, furti di autovetture ogni 100.000 ab); cultura e tempo libero (librerie ogni 100.000 ab,

indice di sportività, posti a sedere in sale cinematografiche ogni 100.000 ab, offerta culturale –spettacoli ogni 1000 ab,

turisti – permanenza media in notti nelle strutture ricettive, spesa pro-capite al botteghino per spettacoli, numero

Onlus/100.000 ab). 8 Il Mercer Global Pension Index (indice globale delle pensioni) consente di ordinare i paesi per i quali si dispone di

sufficienti dati statistici sulla base di tre dimensioni semantiche ‘pesate’ (detti ‘sotto-indici’): adeguatezza (40%),

sostenibilità (35%) e integrità (25%). Ogni sotto-indice è alimentato da indicatori: l’adeguatezza da benefits, system design,

savings, tax support, home ownership, growth assets; la sostenibilità da pension coverage, total assets, contributions,

demography, governmente debt, economic growth; l’integrità da regulation, governance, protection, communication, costs.

I paesi con punteggio maggiore presentano una maggior tenuta del sistema previdenziale, in particolare rispetto alle

dinamiche demografiche, alle condizioni di vita e ai costi sistemici. 9 L Y Maystre, J Pictet, J Simos, 1994, Méthodes multicritères ELECTRE. Description, conseils pratiques et cas

d’application à la gestion environnementale, Presses Polytechniques et Universitaires Romandes, Lausanne. 10 Molto diffusi sono i modelli di rating. Considerando la sostenibilità come driver di crescita, le aziende possono essere

valutate per appartenenza ad una filiera produttiva, dotazione di certificazioni ambientali e di qualità, possesso di marchi e

brevetti, investimenti in ricerca e innovazione, cura del capitale umano, presenza di coperture assicurative, piani di sviluppo

aziendali, struttura manageriale, attenzione al passaggio generazionale, legalità. Maggiori investimenti in sostenibilità sono

associati a migliori performance. Rating migliore vuol dire anche più credito, tassi di interesse più bassi, maggiori

potenzialità di sviluppo. Cercando di tenere assieme etica ed economia, con questi modelli si può valutare anche il

raggiungimento di ‘scopi sociali’ di aziende pubbliche, private, miste o del terzo settore. Oltre alle performance finanziarie,

l’azienda evidenzia se riesce a fornire un positivo contributo alla società a beneficio di tutti i portatori di interesse

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Dall’inizio del secolo, molte ricerche si sono soffermate sul significato politico del ranking e degli

indicatori di città, regioni, stati o istituzioni pubbliche, riconoscendone, forse impropriamente, un ruolo

valutativo. In quest’ambito, il ranking (da intendersi come classificazione o ordinamento sulla base di

indicatori, indici o descrittori) tende a diventare uno strumento di governance locale e globale in grado

di favorire processi di neo-liberalizzazione sulla base del suo potere normativo, disciplinare e

pragmatico11. Vengono così riconosciute performance individuali o sistemiche soprattutto in funzione

dei principi neoliberisti di proprietà privata, liberalizzazione, competizione, crescita ed efficienza e il

loro frequente impiego tende a legittimare tecniche e principi classificatori orientati al mercato. I

processi di liberalizzazione dei mercati e di ridimensionamento del welfare state sono spesso stimolati

da domande di rendicontazione, trasparenza e responsabilità provenienti dalla società civile, e

richiedono l’utilizzo di strumenti in grado di misurare (e se possibile valutare) la conformità dei

processi alla razionalità strumentale di mercato. Alcuni indici di governance globale come lo Economic

Freedom of the World proposto dal Canadian Fraser Institute, l’Index of Economic Freedom

dell’Heritage Foundation e il Global Competitiveness Index del World Economic Forum sono stati

proposti per misurare performance a livello statale. Essi vengono utilizzati da governi (come gli Usa) o

da istituzioni internazionali (come la Banca Mondiale) per ragioni diplomatiche, commerciali, di

sicurezza o di cooperazione12. Il ranking, a volte abbinato all’auditing e al monitoraggio, può assumere

un connotato valutativo ‘esterno’, rafforzando il carattere politico della selezione e del giudizio13.

Indicatori e indici definiscono un ‘dominio politico’ che tende ad auto-legittimarsi nella pratica14, a

sostituire il controllo centralizzato e burocratico del welfare state con una varietà di agenzie di

valutazione nazionali e internazionali, pubbliche, private o del terzo settore (‘stato valutativo’). La

frammentazione settoriale e spaziale se da un lato tende a costruire ‘presunta oggettività’ su valori

egemonici e a diffondere pratiche di naming and shaming, dall’altro fa emergere istanze valutative

autonome, negoziali, critiche e oppositive ad emergenti impianti utilitaristici e a discutibili ‘filosofie

(stakeholder) dell’ecosistema in cui opera: azionisti, dipendenti, clienti, comunità e istituzioni di riferimento. Il contributo

viene ‘misurato’ con i fattori di sostenibilità Esg (environment, social, governance) ritenuti decisivi per gli investitori in

quanto tutelano nel tempo la capacità dell’azienda di creare valore. McKinsey stima che nel 2018 circa un quarto degli asset

gestiti nel mondo sono Esg nonostante la difficoltà ad accertare il profilo di rischio/rendimento del sustainable investing.

Come rileva Morningstar i riscontri sono mediamente positivi: dei 20 indici di sostenibilità, 16 hanno superato gli

equivalenti tradizionali dal 2009 a settembre 2017. Elementi strategici per le decisioni di investimento restano comunque la

correlazione fra fattori sostenibilità Esg e effettivi risultati aziendali, le strategie dei diversi fondi e il rischio di un ‘effetto

bolla’. In questo caso le quotazioni delle aziende sostenibili possono salire per effetto della elevata domanda, comprimendo

i rendimenti futuri di chi investe. 11 A Cooley, J. Snyder (eds), 2015, Ranking the World. Grading States as a Tool of Global Governance, Cambridge

University Press. Vedi anche http://www.mcc.gov/pages/selection/indicators. 12 Vedi Global Benchmarking Database, Centre for the Study of Globalisation and Regionalisation, University of Warwick,

www.warwick.ac.uk/globalbenchmarking/database. 13 K A Davis et al. (eds), 2012, Governance by Indicators: Global Power through Classification and Rankings, Oxford:

Oxford University Press; D Giannone, 2015, “Measuring and Monitoring Social Rights in a Neoliberal age: be-tween the

United Nations’ Rhetoric and States’ Practice”, Global Change, Peace & Security, 27(2), pp. 173-189; S E Merry et al.

(eds), 2015, The Quiet Power of Indica-tors: Measuring Governance, Corruption, and Rule of Law, Cambridge, UK: Cam-

bridge University Press. 14 A Desrosières,2011, “Buono o cattivo? Il ruolo del numero nel governo della città neoliberale”, Rassegna Italiana di

Sociologia, LII(3), pp. 373-397. Sulle performance urbane vedi anche F J Green et al., ‘Recasting the City into City

Regions: Place Promotion, Competitiveness Benchmarking and the Quest for Urban Supremacy’, in Growth and Change,

vol. 38, n. 1, 2007; J Hachworth, 2007, The Neoliberal City: Governance, Ideology, and Development in American

Urbanism, Cornell University Press, Ithaca-London.

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della valutazione’15. Il movimento degli indicatori urbani degli anni ’80 in Usa presentava connotati

negoziali favoriti dalla forma federale dello Stato. Queste filosofie ‘posizionano’ pratiche di auditing,

monitoraggio, ispezione e di vera e propria valutazione nei dispositivi di controllo della

amministrazione pubblica, imponendone l’accettazione ‘istituzionale’ e l’accettazione acritica degli

standard16. Ciò rischia di modificare le prospettive da cui si guarda al fenomeno da valutare e i suoi

stessi contenuti.

Tornando alla problematica dimensione ‘urbana’, classifiche, tabelle di competitività e punteggi

comparati danno la misura del ruolo del neoliberismo nelle città. Ad esempio, ‘le classifiche di

indebitamento delle città compilate da agenzie di credito come Moody’s o Standard & Poor’s sono alla

radice di questa tendenza, la quale porta i centri urbani a competere per ottenere un punteggio

favorevole che andrà poi a determinare le condizioni dei prestiti’17. Le classifiche sulle città ‘si

ripercuotono (anche) sul modo in cui gli investitori ne percepiscono la competitività’18, contribuendo a

modificare l’interpretazione del ranking.

Procedure di ranking più complesse sono le rubriche valutative (evaluative rubric), strumenti di

attribuzione metrica a significati e valori (semantiche) sulla base di ordinamenti più o meno pluralisti.

Ad esempio: una performance (l’accesso all’acqua potabile) potrebbe essere soddisfatta sulla base di

un set di criteri ognuno dei quali è declinato in modalità attribuibili a crescenti livelli di qualità. I criteri

possono essere la distanza (livello di qualità 1) e il reddito (livello di qualità 2). Lo score 2 indica la

performance migliore in quanto potrebbe compensare una maggiore distanza.

Benchmarking

E’ una procedura utilizzata da individui, organizzazioni pubbliche, private o del terzo settore per

comparare performance, processi e pratiche rispetto a valori o profili di riferimento. Valori e profili

possono essere forniti da organizzazioni di successo o da situazioni ideali. Nel primo caso il confronto

avviene fra organizzazioni simili, attive negli stessi contesti e/o settori, o in contesti e/o settori diversi.

Valori e profili sono immanenti, relazionali. Nel secondo caso ci si limita ad evidenziare il gap o la

distanza dai valori/profili di riferimento. Qui, valori e profili tendono ad assumere una configurazione

normativa, a volte criticabile per la sua generalità o trascendenza. In campo organizzativo, il

benchmarking viene utilizzato per identificare le leve competitive o collaborative di una pratica

commerciale, industriale o di servizio, sia in comparto pubblico che privato. I domini comparativi

possono riguardare la leadership, le strategie, l’utenza, l’informazione, le risorse umane, il management

e gli esiti19.

Il benchmarking di secondo tipo evidenzia il gap fra progetto-idea e progetto ideale, mentre quello di

primo tipo lo ancora a sovrapposizioni e differenze fra evaluative framework.

Valutazione estimativa

La valutazione estimativa considera le basi e le dinamiche di valore economico-finanziario di classi di

patrimoni e beni, in particolare immobiliari, a diversa destinazione ed uso. Consente di misurare e

15 D Martuccelli, 2010, “Critique de la Philosophie de l’évaluation”, Cahiers Internationaux de Sociologie, Vol. CXXVIII-

CXXIX , pp. 27-52. 16 Vedi M Power, 1997, The Audit Society: Ritual of Verification, Oxford University Press, Oxford (ed. it. 2002, Edizioni

Comunità) e A Roberts, 2011, The Logic of Discipline: Global Capitalism and the Architecture of Government, Oxford

University Press, Oxford. 17 F Bria e E Morozov, 2018, Ripensare la smart city, Codice edizioni, Torino, p. 30. 18 Ibidem. 19 M J Spendolini, 2003, The benchmarking book (2d edition), Amacon, New York.

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incrementare la redditività degli asset e i rischi immobiliari come indicato da manualistica e Codici di

riferimento20. Per questo viene anche denominata valutazione immobiliare.

In Italia vige il Codice delle valutazioni immobiliari che riguarda fabbricati e aree fabbricabili, terreni e

fabbricati rurali, scorte, miglioramenti fondiari, boschi, legname, aziende commerciali, artigianali,

industriali e di servizio. Le basi di valore vengono riconosciute a partire da principi (prezzo, previsione,

scopo, ordinarietà e comparazione) e utilizzando procedure di stima (confronto di mercato, finanziario

o del costo). Le basi di valore variano a seconda della posizione del bene immobiliare nei processi di

valorizzazione. Il più semplice, anche se non sempre affidabile, è il valore di mercato (o valore di

scambio), a cui si possono accompagnare il valore di costo, di trasformazione e di realizzo. Questi

valori costituiscono, di frequente, la base per perizie (amministrative o giudiziarie), per verificare la

stabilità dei mutui e le loro performance, per tutelare investitori21, ma anche per la stima di indennizzi

di esproprio, di oneri di urbanizzazione, di valori perequativi o compensativi e di stime fornite in gare

d’appalto. Per ragioni assicurative e/o fiscali può essere utile il ricorso al valore assicurabile o di

credito ipotecario (spesso alterato dal creditore per ragioni di bilancio), mentre in caso di fallimenti e

dismissioni si ricorre ai valori di liquidazione o di vendita forzata.

Recenti direttive dei regolatori in merito a rischio, redditività e cambiamenti climatici (Cc) spingono gli

istituti di credito europei a migliorare il processo di valutazione degli immobili, utilizzando anche

nuove tecnologie di acquisizione e analisi dei dati. Le relazioni fra banche e settore immobiliare

influiscono sulla stabilità del sistema finanziario. La European Banking Authority (Eba) sta cercando di

migliorare l’efficienza dell’intera catena di valore del credito bancario, considerando che la valutazione

immobiliare registra impatti su tutte le fasi della catena. Se si cerca di migliorare efficienza e

standardizzazione nelle metodologie e nella periodicità della valutazione immobiliare, può essere utile

una cabina di regia in grado di controllare le società peritali specializzate nella determinazione dei

valori. E ciò utilizzando big data e modelli di valutazione automatizzata (automated valuation models -

Avm).

Seguendo il market comparison approach, Avm consente di stimare in tempo reale il valore di mercato

di un immobile geo-riferito, ivi incluso il valore delle relative garanzie con specifico intervallo di

confidenza. Avm integra informazioni ipotecarie e catastali con quelle relative alle transazioni

effettuate. Per la stima utilizza microzone di isovalore (omogenee e dinamiche) e comparable (atti di

compravendita, perizie dei tribunali e decreti di trasferimento, offerte immobiliari, perizie

professionali, e così via). Avm consente anche di rispettare lo IAS 39 (protocollo di rilevazione e

valutazione degli strumenti finanziari) e le disposizioni di vigilanza prudenziale indicate dalla Circolare

263/2006 della Banca d’Italia. Il rispetto di queste disposizioni consente di attenuare il rischio di

credito, di rispettare gli obblighi di due diligence, di monitorare le operazioni di cartolarizzazione e

calcolare il loan to value22 delle esposizioni creditizie garantite da ipoteca su immobili.

La sensibilità verso la green economy pone al centro i temi della sostenibilità ambientale e climatica,

consigliando la stima dell’impatto sui valori immobiliari (e sui collateral) dei rischi di alluvione,

20 Codici e norme definiscono tecniche da utilizzare e requisiti. Con riferimento al contesto nazionale e sul versante della

garanzia dei crediti, vale la pena ricordare la circolare 285/2013 della Banca d’Italia alla direttiva mutui (recepita con il

d.lgs 72/2016), le Linee-guida per la valutazione degli immobili a garanzia dei crediti inesigibili redatte dall’Abi. 21 Vedi, in particolare, l’attività dell’Istituto italiano di valutazione immobiliare, E-Valuations Istituto di Estimo e

Valutazioni e le riviste The Appraisal Journal e The European Valuer Journal. A livello internazionale ha una certa

diffusione il Journal of Property Evaluation and Investment. Sul versante della certificazione professionale (vedi norma Uni

11558:2014) operano Rev-Tegova (recognized european valuer), Rics-Registered valuer, Tecnoborsa, la rete Vic (valutatori

indipendenti certificati), eStimo, Crif-real estate service, e altri. 22 Rapporto fra importo di finanziamento concesso e valore del bene.

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esondazione, incendio, ondate di calore, inquinamento di aria, acqua e suolo oltre soglia, ma anche di

scarso o aleatorio innevamento in zone montane. A ciò si aggiunga che il real estate ha significativi

effetti di bilancio per gli istituti di credito, in quanto proprietari di ingenti patrimoni immobiliari

strumentali, dalla cui rivalutazione possono derivare significative plusvalenze.

In generale, l’estimo catastale è orientato alla stima dei valori catastali di un bene sulla base di criteri

fisico-funzionali, ambientali e processuali. I valori catastali possono essere molto diversi da quelli di

mercato. Poiché questi ultimi non restituiscono quasi mai il reale valore del bene23, soprattutto se ha

caratteristiche ambientali, storico-culturali e paesaggistiche di unicità, può essere utile il ricorso a

valori d’uso, di esistenza e di eredità. L’assenza di stime dirette consiglia in alcuni casi il ricorso a

valori complementari, mentre in presenza di trade-off può essere utile il valore di sostituzione. In

determinate strategie di investimento si utilizza l’omonimo valore, mentre in casi di esproprio,

successione, servitù o valutazione del danno si utilizzano stime di valore equo. E’ evidente che l’uso

dei valori dipende dai principi di riferimento dell’esercizio estimativo.

Tre sono le principali procedure di stima. Con la procedura analitica si stima il reddito che il bene

immobiliare è in grado di produrre (fitto, locazione, reddito agrario, ecc.) lungo tutto l’arco di vita e, al

netto di spese, oneri fiscali, quote di reintegrazione e costi di manutenzione, può essere attualizzato con

opportuno saggio di capitalizzazione. Nei casi in cui la procedura analitica non fornisca risultati ritenuti

affidabili si ricorre al metodo comparativo sulla base di transazioni recenti. In altri casi si ricorre alla

stima del costo di costruzione. Se si tratta di un fabbricato si calcola l’area edificabile e il costo per

costruire l’immobile al netto del deprezzamento. Nel caso di un terreno coltivato si calcola il costo del

terreno nudo, il costo degli alberi, dell’impianto, del capitale fisso rurale e la coltivazione fino alla data

della stima, sottraendo la vendita del prodotto annuo (vedi, ad esempio, i valori parametrici per zone

agrarie).

All’estimo rinviano pratiche di rating condominiale24. Si tratta di sistemi di classificazione ‘sociale’ di

un condominio con l’attribuzione di rating di vivibilità sulla base di opinioni dell’amministrazione,

degli inquilini e dei vicini, e sulla base della disamina fisica dell’immobile e del suo grado di

manutenzione. La classificazione può diventare parte di un sistema di certificazione condominiale a

validità pluriennale.

Anche con il ricorso ai big data, le versioni più avanzate dell’estimo25 introducono più complesse stime

econometriche, statistiche e di elicitazione che consentono di arrivare alla stima di un bene sulla base

dei valori (utilità) attribuite alle componenti costitutive da parte di consumatori, investitori e

‘comunità’ per contesti di riferimento. Uno di questi approcci comprende i modelli edonici di tipo

misto. Le stime possono essere effettuate anche sulla base di modelli urbani26.

Valutazione territoriale

La valutazione territoriale interessa lo spazio fisico e le sue interazioni in prospettiva esplorativa e

strategica. L’esplorazione e la costruzione di strategie sono parte integrante del design. Alla prima 23 Per questa ragione, in ACB si introducono i fattori di correzione. 24 Un sistema di classificazione è proposto dalla app YouKondo. La app funziona anche come luogo virtuale d’incontro

degli inquilini. 25 In periodi recenti le valutazioni immobiliari hanno cercato una correttezza che va al di là della vigilanza prudenziale per

diventare un elemento costitutivo della disciplina civilista. 26 La modellistica al riguardo è considerevole e rinvia, in termini molto generali, a due paradigmi delle scienze urbane e

regionali: il primo considera le relazioni dipendenti dalle localizzazioni, il secondo le localizzazioni dipendenti dalle

relazioni. Sugli effetti modellistici del secondo paradigma si sofferma M Batty, 2013, The new science of cities, The MIT

Press, Cambridge, Ma. Sul ruolo dell’informazione nei modelli estimativi vedi K I McDonald, 2000, ‘Use and valuation:

information in the city’, Urban Studies 37(10), pp. 1881–1892.

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prospettiva rinviano innanzitutto tecniche e metodi orientati al riconoscimento di valori/disvalori

territoriali assunti come guida e come risorse per le scelte di tutela e sviluppo. A questi approcci si

possono affiancare anche modelli ‘critici’, orientati a scenari o ad opzioni. Alla seconda prospettiva

rinviano molteplici protocolli il cui scopo è valutare le strategie, ovvero la costruzione di azioni di

progettazione, programmazione e pianificazione e la loro attuazione27. Considerata la complessità dei

fenomeni territoriali, le strategie da valutare sono molteplici, connesse e spesso incidenti su uno stesso

dominio spaziale.

La prima prospettiva tende ad assumere un connotato sostantivo. E’ sostantiva quando si misura con la

valutazione patrimoniale del territorio e i suoi connotati morfo-genetici28, ma anche quando ricostruisce

stati e dinamiche degli eco-sistemi29 o definisce quadri di rischio. A contenuto sostantivo è anche la

valutazione degli esiti delle interazioni fra formazioni sociali e assetti fisico-funzionali, la valutazione

delle oscillazioni fra fissità e movimento, considerevolmente mutate passando dal mondo analogico a

quello digitale, l’attenzione ai potenziali rigenerativi e di trasformabilità, e così via. La seconda

prospettiva è più normativa, anche se in molti casi la distinzione è sfocata per effetto degli esiti

cognitivi connaturati ai processi di pianificazione e alla ridefinizione contingente dei sistemi (tavole) di

valori di riferimento.

Valutazione di riferimento (dei titoli)

Nei mercati finanziari si cerca di trasformare le scommesse individuali su dividendi futuri in ricchezza

immediata. A questo scopo si traducono le valutazioni individuali e soggettive in un prezzo

generalmente accettato. ‘La liquidità impone che sia prodotta una valutazione di riferimento che dica a

tutti i finanzieri il prezzo al quale il titolo può essere scambiato. La struttura sociale che permette

l’ottenimento di un tale risultato è il mercato: il mercato finanziario organizza il confronto tra le

opinioni personali degli investitori in modo da produrre un giudizio collettivo che abbia lo statuto di

una valutazione di riferimento (…). Il mercato finanziario, per il fatto di istituire l’opinione collettiva

come norma di riferimento, produce una valutazione del titolo riconosciuta unanimemente dalla

comunità finanziaria’30.

27 D Patassini, Protocolli valutativi nella pianificazione urbana e territoriale, Iuav Università di Venezia, Congresso AIV,

2019, Venezia (ppt). Ogni protocollo rinvia a specifiche forme di institutional design. Vedi anche D Patassini, ‘Logiche

valutative nei processi di pianificazione territoriale’, in S Moroni, D Patassini, 2006, Problemi valutativi nel governo del

territorio e dell’ambiente, FrancoAngeli, Milano, pp. 23-46. 28 Questo approccio si basa su una definizione di ‘statuto del territorio’ che consente una valutazione qualitativa delle

sinergie fra comunità e ambienti insediativi. Secondo la Scuola territorialista toscana (A Magnaghi e altri) lo statuto è ‘letto

come sintesi della definizione del patrimonio territoriale e dei suoi principi generativi che ne garantiscono la riproducibilità

economica (gestione dei flussi) e morfologica (genesi delle forme identitarie del territorio) nel tempo’. La forza

interpretativa dello statuto sta nella ‘relazione profonda con la comunità locale’ e la valutazione considera sia la dinamica

delle componenti ecologiche che la percezione dei caratteri morfologici dello spazio, vedi C Saragosa, ‘Segnali di uso

innovativo dei processi di pianificazione’, in A Marson (a cura), 2020, Urbanistica e pianificazione nella prospettiva

territorialista, Quodlibet Studio, Roma. 29 Stati e dinamiche degli eco-sistemi vengono valutati con tecniche matriciali, bionomiche o olistiche, con modelli

metabolici e di contabilità, ma anche con tecniche di riconoscimento di caratteri e performance dei servizi eco-sistemici

(SE). La considerazione dei cambiamenti climatici (CC) modifica i quadri di rischio e le conseguenti strategie di

mitigazione e adattamento. 30 A Orléan, 1999, Le pouvoir de la finance, Odile Jacob, Paris, pp. 31-32, cit. da C Marazzi, 2016, Che cos’è il plusvalore,

Edizioni Casagrande, Bellinzona, pp. 78-79.

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Validazione

La validazione è una verifica/prova con cui si dimostra l’accettabilità o la congruità di una operazione

rispetto ad un set di criteri o vincoli. L’esito negativo della verifica o della prova comporta la

confutazione dell’operazione in oggetto.

L’analisi economico-finanziaria di una legge (di un suo disegno o progetto) a livello centrale o

regionale si presenta come procedura di validazione condizionale. L’analisi si articola in tre parti31. La

prima colloca l’iniziativa legislativa nello specifico contesto economico di riferimento con l’obiettivo

di evidenziare la possibile incidenza (non si tratta di impatto) su natura e caratteri del fenomeno

trattato: potrebbe trattarsi di interventi di rigenerazione urbana, di miglioramento del welfare, di

riforma fiscale o altro. L’incidenza viene specificata sulla base degli obiettivi della legge (per articolo),

degli interventi strumentali e attuativi per il loro raggiungimento. Sono quindi identificati i soggetti

interessati dal provvedimento, con particolare riferimento ai fruitori effettivi e potenziali, specificando

se si tratta di soggetti pubblici o privati, la loro numerosità, appartenenza e localizzazione oltre ai criteri

di determinazione utilizzati.

La seconda parte è eminentemente finanziaria e consiste nella identificazione, classificazione e analisi

delle spese annuali (autorizzazione straordinaria una tantum per un solo anno), continuative, ricorrenti

o pluriennali necessarie per l’attuazione del provvedimento, se oneroso. Ad esclusione di quella

annuale, per le altre va specificato se si tratta di spesa obbligatoria o rimodulabile, in conformità con

vincoli di bilancio ed espresse autorizzazioni legislative. La natura economica della spesa indica se si

tratta di spesa corrente (retribuzioni, imposte e tasse, acquisto di beni e servizi, trasferimenti, ecc.), di

spesa in conto capitale (investimenti fissi lordi, contributi agli investimenti o altro), di spese per

incremento di attività finanziarie (fondi di rotazione, acquisizioni, ecc.) o di rimborso di titoli o prestiti.

Delle spese va specificata l’incidenza sugli esercizi finanziari e può essere richiesta la specifica di

eventuali minori entrate, specificandone la natura tributaria, contributiva o perequativa. Le minori

entrate possono essere imputabili a trasferimenti, possono essere extra-tributarie (vendita di beni e

servizi, proventi da gestione di beni, interessi, ecc.), in conto capitale (contributi agli investimenti,

alienazione di beni materiali e immateriali), per riduzione di attività finanziarie (alienazione o

riscossione crediti), accensione prestiti. In tutti i casi vanno specificati i criteri di quantificazione della

spesa (utili per verifiche tecniche) e le modalità di copertura finanziaria: stanziamento della

Missione/Programma di imputazione della spesa già approvato e previsto in bilancio annuale e

pluriennale; riduzione di stanziamenti di altre Missioni/Programmi; prelievo da Fondi Speciali; nuovi

maggiori entrate specificando Titolo/Categoria di allocazione. Per le spese di carattere pluriennale la

copertura deve essere individuata per ognuno degli esercizi del bilancio pluriennale.

In assenza di oneri vanno allegate la clausola di neutralità finanziaria e la relativa declaratoria con le

necessarie informazioni in merito alla invarianza degli effetti sui saldi di bilancio, anche mediante

indicazione della entità delle risorse disponibili e/o già stanziate in bilancio utilizzabili per le finalità di

legge.

Nella pianificazione regolativa la validazione può riguardare le banche dati richieste a supporto di

quadri conoscitivi, strategie e norme. Nel campo delle opere pubbliche verifica e validazione assumono

carattere di certificazione che attesta la conformità e la appaltabilità di un progetto. In Italia, la

validazione è rilasciata dalla stazione appaltante nella persona del responsabile unico del procedimento

(Rup), previa verifica tecnica effettuata da apposito ente di ispezione in possesso delle necessarie

qualificazioni. La validazione si riferisce generalmente al progetto inteso come processo progettuale

31 A titolo esemplificativo, si rinvia agli adempimenti di cui all’art. 6 della Legge Regionale n. 39, 29/11/2001 della Regione

del Veneto (scheda di analisi economico-finanziaria).

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nelle componenti di qualità, conformità, soddisfacimento di requisiti. La verifica dei progetti di opere

pubbliche è prevista dalla disciplina dei lavori pubblici, in particolare dalla Legge 109/94 (legge

‘Merloni’) integrata dal D.L. 163/2006 e modificata dal D.L. 18 aprile 2016, n. 50 (nuovo codice degli

appalti). Sulle regole per le gare di progettazione in Italia l’Autorità anticorruzione (Anac) è

intervenuta in merito ai criteri per la composizione delle offerte32. Il prezzo potrà avere un peso

massimo del 30%, mentre ‘professionalità e adeguatezza dell’offerta’ un peso variabile fra 25% e 50%.

Sulla stessa forbice si collocano le ‘caratteristiche metodologiche dell’offerta’, mentre non potrà

superare il 10% la ‘riduzione percentuale indicata nell’offerta economica con riferimento al tempo’. Le

‘prestazioni superiori ad alcuni o a tutti i criteri ambientali minimi’ non supereranno il 5%. In generale,

gli elementi collegati alla qualità tendono ad assumere un peso preponderante. Non solo: i servizi

indicati per la valutazione del merito tecnico e del fatturato (comprendenti anche la ‘direzione lavori’)

dovranno riferirsi agli ultimi dieci anni.

I modelli Expo di Milano e Universiadi di Napoli hanno introdotto la ‘vigilanza collaborativa’ che

affida un ruolo cardine alla Unità Operativa Speciale (Uos) della Guardia di Finanza insediata presso

Anac. Dopo la firma di un protocollo di intesa con i relativi Commissariati e gli enti locali, le stazioni

appaltanti trasmettono i documenti e gli atti di gara. Uos suggerisce eventuali modifiche al capitolato,

chiede documentazione aggiuntiva, emette pareri di legittimazione con o senza rilievi, attivando un

dialogo documentato, proficuo e tempestivo. La procedura tende a perfezionarsi nella pratica con

progressiva riduzione dei rilievi e dei tempi. Questo tipo di vigilanza evidenzia come sia possibile

eseguire lavori pubblici in tempi rapidi, senza derogare ai controlli e senza irregolarità.

L’Ufficio Parlamentare di Bilancio (Upb), authority che vigila sui conti pubblici, ha il compito di

valutare la correttezza delle stime economiche del Governo (Def, Note di aggiornamento e così via),

confrontandole con un panel di previsioni indipendenti. Nel caso di manovre di politica economica la

procedura di validazione assume un range previsionale di crescita (ad esempio fra lo 0.8 e l’1.1%)

verificando il ‘rischio di revisione’ di punti salienti della manovra. Ad esempio, la manovra potrebbe

assumere che un aumento del deficit di 0.4 punti percentuali possa spingere la crescita di 0.5 punti,

affidandosi ad un robusto moltiplicatore degli investimenti pubblici. Il moltiplicatore potrebbe essere

considerato da Upb troppo ottimistico in condizione deflattiva e, quindi, una incongruenza, fornendo

elementi utili alla sua comprensione. Il ruolo di Upb (che interviene ex-ante) si distingue da quelli della

Ragioneria Generale dello Stato (Rgs) e della Corte dei Conti (Cc). Rgs è un organo di supporto tecnico

del Governo (lo aiuta a trasformare obiettivi in previsioni plausibili), mentre Cc interviene ex-post con

approccio giuridico-contabile. In campo urbanistico la validazione avviene a livello di adozione (da

parte della amministrazione locale o dell’ente competente) e di approvazione da parte della Regione,

della Provincia o della Città metropolitana. Si tratta di un doppio processo istruttorio, generalmente

sostantivo a livello di adozione e procedurale a livello di approvazione.

La validazione di una azione valutativa è di ordine superiore e rinvia al dinamico rapporto fra validità

interna ed esterna.

Valutazioni esplorative

Insistendo sull’utilizzo della valutazione per migliorare le performance e i risultati di un programma, J

S Wholey consiglia due operazioni esplorative e a basso costo, molto utili alla costruzione del disegno

valutativo: evaluability assessment (EA) e rapid-feedback evaluation (RFE). Si tratta di operazioni

32 Vedi versione aggiornata a marzo 2018 della Linea-guida n.1 in materia di servizi di ingegneria e architettura. La nuova

linea-guida Anac è allineata alle indicazioni del decreto correttivo del Codice degli appalti (Dlgs 56/2017). La materia è in

discussione (2019) soprattutto per quanto concerne gli affidamenti diretti, le soglie finanziarie di gara e il subappalto.

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preliminari, utili alla conoscenza di ciò che si intende valutare, delle ragioni per cui si valuta e del loro

contesto sociale, della disponibilità dei soggetti interagenti a valutare e dell’utilità attesa dell’esercizio

valutativo. Queste operazioni sono tanto più efficaci quanto più si svolgono nella interazione sociale

prima della formulazione di possibili ‘proposizioni valutative’. Esse possono orientare il mandato e

influire in modo decisivo sul disegno valutativo.

EA (detta anche exploratory evaluation) consiste in studi esplorativi finalizzati a due obiettivi

principali: a) verificare se un programma è pronto per una valutazione utile; b) giungere ad un accordo

fra valutatore e stakeholder circa la configurazione della funzione valutativa, in particolare il

riconoscimento di obiettivi realistici, dei criteri valutativi, del fabbisogno informativo e degli usi che si

intende fare dell’informazione generata dalla pratica valutativa. EA è un processo a sei fasi che

comprende il coinvolgimento degli intended user e di altri stakeholder (1), l’abbozzo del disegno del

programma (2), l’esplorazione della ‘realtà’ del programma (3), la plausibilità del programma, ovvero

la probabilità che le attività previste dal programma generino gli effetti previsti (4), l’accordo su

eventuali variazioni nel design e nella attuazione del programma (5) e, infine, l’accordo con gli

intended user su oggetto e utilizzo di ogni altra azione valutativa.

RFE (detta anche short-term evaluation) consiste in studi-pilota finalizzati a riconoscere e stimare gli

effetti del programma, indicare eventuali errori di stima, incertezze e rischi, testare disegni per sforzi

valutativi ulteriori. RFE si articola in cinque fasi. Nella prima si organizzano i dati esistenti sulle

performance del programma in termini di obiettivi programmatici condivisi; nella seconda si integrano

i dati sulle performance del programma in termini di obiettivi condivisi (possono essere diversi dai

precedenti); nella terza si stima l’efficacia del programma evidenziando l’incertezza delle stime per

evidenze contraddittorie o per ridotta dimensione campionaria; nella quarta fase si precisano le opzioni

da sottoporre ad una valutazione definitiva in termini di fattibilità, costi, utilità probabile e così via;

nell’ultima fase si conclude un accordo con gli intended user sul design e l’uso di ogni altra

valutazione.

Soprattutto EA è utile in programmi consistenti, distribuiti nello spazio e nel tempo, in cui le

responsabilità manageriali sono disperse, i criteri poco chiari soprattutto sul piano semantico e i

risultati attesi non del tutto evidenti. RFE contribuisce a riconoscere il valore probabile di uno sforzo

valutativo programmato33. Possono essere ricondotti a RFE anche gli approcci di tipo euristico

cosiddetti quick and dirty34.

33 Vedi J S Wholey, ‘Using evaluation to improve program performance and results’, in Alkin M (ed.) 2013 Evaluation

Roots: A Wider Perspective of Theorists’ Views and Influences, Sage, Thousand Oaks, CA, p.262. 34 Gli approcci euristici di tipo quick and dirty vengono seguiti a fini esplorativi o in contesti di difficile accesso ad

informazioni sistematiche per ragioni logistiche, politico-culturali, di sicurezza e così via. In alcuni casi sono affiancati a

valutazioni di tipo etnografico che tendono ad escludere ogni possibilità di interpretazione plausibile senza partecipazione,

condivisione e interazione linguistica. Un esempio datato (ma interessante perché riferito agli inizi della Rete), riguarda il

design di ‘interfacce utente’ nei siti web, vedi J Nielsen, R Molich, 1990, ‘Heuristic evaluation of user interfaces’,

Proceedings ACM CHI'90 Conference (Seattle, WA, 1-5 April), pp. 249-256. L’euristica riguarda i seguenti temi: visibilità

dello stato del sito (gli utenti devono essere informati su quanto sta accadendo con feed-back in tempi ragionevoli);

relazione fra architettura, funzionamento del sito e mondo reale (il sito deve parlare il linguaggio dell’utente, in modo

familiare, generando informazioni in modo naturale e secondo un ordine logico); controllo e libertà dell’utente (in caso di

uso errato di una funzione, l’utente dovrebbe essere in grado di uscire e rientrare con operazioni undo e redo); consistenza e

standard nell’utilizzo di parole, frasi, ecc.; prevenzione degli errori con procedure precedenti l’azione; minimizzare

l’archiviazione di informazioni e renderle disponibili su semplice richiamo; flessibilità ed efficienza per utenti esperti ed

inesperti; facilità dialogica in ambiente esteticamente valido e minimalista (non ridondante); help per diagnosi e recovery.

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Secondo Wholey, completano il quadro della valutazione esplorativa e di breve periodo i sistemi di

misurazione di performance (di gestione, di budget, ecc.), di processi e impatti (in ottica trans-scalare o

gerarchica) e i monitoraggi sugli usi dei risultati della valutazione. Insieme, questi strumenti possono

arricchire l’apprendimento organizzativo.

Stima/identificazione dei fabbisogni (need assessment)

In un contesto statico o dinamico la stima/identificazione dei fabbisogni è una pratica analitica spesso

richiesta dalla valutazione per cogliere i significati di priorità e, a partire da queste, proporre

l’allocazione di risorse disponibili. I fabbisogni possono emergere come istanze dalle interazioni

sociali. Identificazione e stima consentono di costruire eventuali ‘funzioni valutative’ Fv (f, v, o, c, a)s

con f frame, v valori, o obiettivi, c criteri, a opzioni/alternative, s soggetti.

Il fabbisogno può essere definito come differenza (gap) fra uno stato attuale e uno stato atteso

relativamente a descrittori o criteri rilevanti. Del o dei gap viene riconosciuta l’importanza, ricorrendo

ad eventuali ordinamenti (ranking); vengono identificate specifiche cause e proposte soluzioni in un

piano d’azione. Il fabbisogno diventa priorità se riconosciuto problematico in un contesto sociale. Lo

stesso need assessment potrebbe essere valutato da diversi punti di vista.

Nel dimensionamento dei piani urbanistici, in programmi di rigenerazione o in politiche settoriali viene

stimato il ‘fabbisogno abitativo’ come somma di fabbisogno pregresso, adeguamento delle condizioni

abitative esistenti a standard accettabili, risposta a quantità e profili di domanda abitativa futura.

Valutazione orientata agli obiettivi (objective-based)

Questo tipo di valutazione si concentra sulla specificazione e selezione di obiettivi singoli, multipli, o

raggruppati per classi o temi. Agli obiettivi sono correlabili azioni per il superamento di eventuali

ostacoli. I risultati rilevati sono così riferiti ad obiettivi espliciti e, oltre a contribuire alla valutazione di

efficacia, generano informazioni utili sul progetto/programma, sulla sua replicabilità e, più in dettaglio,

su questioni decisionali e di rendicontazione35. Non mette in discussione gli obiettivi definiti (o

dichiarati), considerandoli uniche fonti di significato e valore. Discrimina ciò che si ritiene appartenga

ad altri domini, come gli imprevisti o gli effetti collaterali. Si può dire che questa ‘discriminazione’,

isolando l’imprevisto, in qualche modo lo legittima.

Una versione semplificata (generalmente ex-post) è la valutazione di differenza, divario o discrepanza

(discrepancy evaluation) che, esplicitando obiettivi e risultati attesi, ne misura la distanza specifica e/o

rispetto a standard, benchmark o con il confronto a profili ideali. La distanza può essere interpretata

con suggerimenti per una sua eliminazione o riduzione. Le distanze possono essere misurate e

interpretate anche rispetto agli input e al processo. Può essere uno strumento prossimo al CIPP o utile

in prospettiva costruttiva o formative.

Questo tipo di valutazione viene criticato per varie ragioni: ad esempio, per la difficoltà di definire con

precisione obiettivi e misure o perché il loro raggiungimento può essere apprezzato solo a conclusione

del programma, ma anche perché di questo non si considera il merit o perché non ci si interessa dei

risultati inattesi.

35 Vedi il seminale R Tyler, General Statement on Evaluation del 1942, importante contributo alla valutazione del sistema

educativo Usa.

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Valutazione indipendente dagli obiettivi (goal-free)

Questo approccio è motivato dalla cosiddetta ‘critica agli obiettivi’ (goal critique). Non è, infatti,

scontato che gli obiettivi di un progetto rappresentino un uso accettabile, se non ottimale, delle risorse

disponibili per rispondere a determinati bisogni o domande. La relazione fra obiettivi e risorse è

biunivoca: la disponibilità di risorse può motivare alcuni obiettivi, ma possono essere anche gli

obiettivi a ‘creare’ risorse, aiutare a scoprirle e utilizzarle. Una risposta può essere fornita da indagini di

supporto di tipo need assessment, attente a questa relazione biunivoca. Non è neppure scontato che gli

obiettivi abbiano un fondamento culturalmente valido, che rispondano a principi etico-morali o che

intendano volutamente limitarne la portata. Inoltre, è noto che ogni azione genera effetti collaterali o

esternalità di vario genere attribuibili a soggetti diversi dai beneficiari (o dalle vittime) dichiarati/e.

Non è sempre chiaro il modo in cui effetti attesi e inattesi rispondano a bisogni, vincoli o frame etico-

culturali dei soggetti interessabili. Ma un quesito più generale riguarda il processo di generazione degli

obiettivi stessi: dati in EV, incognite in PV. Questo processo (inclusa la sua valutazione) è consistente

con bisogni, culture e principi etico-morali?36 E’ efficace in termini di costo (in senso lato e non

soltanto monetario), può fornire un utile riferimento per esperienze analoghe senza rinviare agli

scomodi concetti di esportabilità, replicabilità e sostenibilità.

La valutazione goal-free può essere considerata complemento della valutazione orientata agli obiettivi.

Viene incaricato un analista/valutatore (goal-free investigator – Gfi) per riconoscere che tipo di effetti

può generare o aver generato un progetto indipendentemente dagli obiettivi. Gfi viene informato sui

beneficiari del progetto e in merito al contesto in cui opera, ma ignora gli obiettivi. Analizza che cosa il

progetto ha prodotto o sta generando, verifica le istanze dei beneficiari (bisogni, domande, ecc.) ed

evidenzia come il progetto si relaziona al contesto, con quali meccanismi interagisce e così via.

Riconoscendo ciò che il progetto genera, Gfi non formula giudizi di valore su ‘verità’ o ‘falsità’ degli

effetti, sulla loro pertinenza o rilevanza, né distingue gli obiettivi dichiarati da quelli ‘praticati’. La

conoscenza di queste cose è ‘irrilevante’ rispetto a ciò che accade realmente. Si concentra su processi

ed effetti (realizzazioni, risultati e impatti) rispetto a domande e bisogni sociali cui il progetto intende

rispondere. In certe circostanze è l’unico modo per evidenziare ‘deviazioni’, effetti collaterali,

esternalità e riconoscere i valori di un’azione progettuale indipendentemente dagli obiettivi. Il risultato

viene confrontato con la valutazione orientata agli obiettivi. I due tipi di valutazioni possono essere

condotte in simultanea per consentire una plausibile comparazione dei risultati.

La valutazione goal-free può essere effettuata in modo manageriale, democratico o pluralista, o con

impianto pragmatista sensibile al pluralismo dei valori.

Valutazione di risultato in termini di valore aggiunto (outcome evaluation as value added assessment)

Questo tipo di valutazione evidenzia miglioramenti lungo trend di risultato riconoscendo diverse

connotazioni di valore aggiunto. Esempio di trend di risultato può essere una configurazione di rete, il

cui valore aggiunto può essere determinato da ‘sinergie in pratica’. Le performance della rete possono

essere formali o informali, verticali o orizzontali, generalizzate o ripartite, a contenuto politico-

36 M Scriven, ‘Conceptual revolution in evaluation. Past, present and future’, in Alkin M (ed.) 2013 Evaluation Roots: A

Wider Perspective of Theorists’ Views and Influences. Sage, Thousand Oaks, CA, p. 177.

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amministrativo o cognitivo e così via. Il valore aggiunto può derivare, in questo caso,

dall’accostamento di diverse appartenenze, dal formarsi di un ‘attore-rete’ critico o condizionato e dalla

generazione di capitale sociale.

Nel planning, l’applicazione di dispositivi di compensazione ecologica potrebbe ridurre

tendenzialmente il consumo di suolo a fini edificatori in un determinato contesto territoriale e/o

migliorare l’offerta di servizi eco-sistemici (SE). La riduzione del consumo di suolo (beneficio diretto

apprezzabile su valori intrinseci) può essere accompagnata dal co-beneficio ‘aumento dell’offerta di

SE’37. Questo co-beneficio assume la connotazione di valore aggiunto.

In economia il termine valore aggiunto può riferirsi ad effetti moltiplicativi (investimenti) o accelerativi

(consumi) misurabili sulla base di variazioni di grandezze come salari, profitti, interessi e rendite. La

selezione di investimenti prioritari in un programma o in un piano può avvenire sulla base di ACB che,

in versioni aggiornate, contabilizza esternalità, impatti occupazionali diretti e, in certa misura, del costo

opportunità marginale dei fondi pubblici. Tuttavia, questo approccio non dialoga efficacemente con le

scelte macroeconomiche ‘in quanto misura il surplus sociale netto che con la crescita economica ha

relazioni deboli nei contesti sviluppati. Il surplus sociale misura il benessere di famiglie e imprese, e

quello delle prime è spesso dominante (si pensi per esempio ai risparmi di tempo per viaggi non di

lavoro, che pure costituiscono una quota rilevante dei benefici delle infrastrutture di trasporto)’38. Per

evidenziare e misurare gli effetti di crescita degli investimenti pubblici si ricorre ad analisi comparative

di valore aggiunto in termini di risultati per le imprese e l’occupazione. Sono comparative ‘in quanto

danno sempre risultati positivi se usate per progetti singoli, al contrario dell’ACB’39. L’appartenenza

dei progetti ad una regione di ammissibilità è condizione preliminare alla ottimizzazione del valore

aggiunto, ‘altrimenti l’affermazione generale della superiorità di questa strategia di spesa rispetto a

varie forme di sostegno ai consumi potrebbe essere messa in serio dubbio’40.

Nello specifico, la valutazione di valore aggiunto si basa sulla somma delle remunerazioni di lavoro e

capitale generate dall’ investimento pubblico e misurate con l’ausilio di tabelle input-output. I benefici

della remunerazione del lavoro soffrono degli stessi problemi osservabili nel sostegno ai consumi (per

37 L’identificazione dei servizi eco-sistemici (SE) avviene sulla base di classificazioni variabili. La più diffusa considera

quattro classi di servizi: supporto alla vita, approvvigionamento, regolazione e cultura, con declinazioni interne adattabili ai

contesti geografici, ambientali e storico-culturali. I benefici generabili e i costi necessari per ottenerli sono stimabili in modi

diversi e spesso non riducibili: in termini climatici generali e locali o di dotazione di materie prime (comprese le

caratteristiche del suolo); in termini insediativi e di contenimento dei rischi; in termini ecologici (matriciali o bionomici)

riferiti alla qualità di habitat e specie, ma anche in termini metabolici, con riferimento al ciclo dei nutrienti (compreso il

cibo), alla riproduzione e al mantenimento dei processi evolutivi (impollinazione, catene trofiche, ecc.). Benefici e costi

sono identificabili e stimabili anche in termini economici o termo-economici con stime dirette, indirette o ibride e in termini

storico-culturali e spirituali. Le diverse stime non sono standardizzabili e non è agevole giungere a valutazioni con criteri di

sintesi. Lo stesso approccio multicriteriale richiede discutibili approssimazioni metriche e, in molti casi, è preferibile

ricorrere a procedure di analisi costi-efficacia o di riconoscimento delle performance eco-sistemiche in forma olistica. Negli

‘schemi di pagamento dei servizi eco-sistemici’ sono state introdotte importanti innovazioni in merito a procedure che

incoraggiano il coordinamento spaziale della partecipazione, la partecipazione di gruppo piuttosto che quella individuale, il

ricorso a dispositivi comportamentali, forme di pagamento dei risultati (o delle performance) ambientali piuttosto che di

copertura dei costi di intervento o di attivazione di procedure di trade-off con la biodiversità. Vedi, ad esempio, CMCC-

BIOECON WEBINAR Improving the design of Payment for Ecosystem Services Schemes, July 2018 (N Hanley, University

of Glasgow). Utili riferimenti teorici, metodologici ed empirici sono forniti con una certa frequenza dal Journal of Applied

Ecology. 38 M Ponti, ‘Valutare bene prima di investire’, lavoce.info, 13/11/2018. 39 Ivi. ‘L’uso non comparativo delle analisi di valore aggiunto è generalmente privilegiato dai decisori politici’ interessati ad

evidenziare i risultati positivi nelle scelte discrezionali di spesa. 40 Ivi.

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esempio, destinazioni “indesiderabili” al fine della crescita produttiva, come risparmi o acquisti di beni

importati). Ma ne ‘soffre’ anche la remunerazione del capitale per risparmio e collocazioni estere. Non

va inoltre escluso che la remunerazione assuma natura di rendita, se i settori interessati sono poco

esposti alla concorrenza o afflitti da corruzione, come è spesso il caso delle opere pubbliche.

La valutazione di un piano o programma di investimenti basata sul metodo del valore aggiunto

potrebbe fornire risultati molto diversi di quelli ottenibili basandosi sull’ACB: le priorità si potrebbero

spostare verso investimenti più orientati alla produzione e un’ottimizzazione a risorse date potrebbe

orientare le scelte verso quelli con maggiori prospettive di ritorno finanziario, cioè con minori costi

pubblici netti a parità di valore aggiunto. E le opere con rilevanti ritorni finanziari sono anche quelle

che meglio si presterebbero alla partecipazione di capitali privati che potrebbe (anche se non è

scontato) aumentarne l’efficienza, oltre che diminuire l’onere sulle casse pubbliche41.

A livello macro questo tipo di valutazione aiuta a stimare le variazioni di valore aggiunto anche al

variare dei coefficienti tecnici in termini fisici e di valore, e delle componenti di reddito (consumi,

investimenti, risparmi, importazioni, esportazioni, debito, deficit e così via).

Valutazione degli impatti

Gli effetti di un’azione possono essere apprezzati come realizzazioni (output), risultati (outcome) e

impatti più o meno misurabili e monetizzabili. Un output o un outcome possono avere un forte impatto

monetario, fisico, sociale, estetico ma anche emozionale, generando vantaggi o svantaggi competitivi.

È, quindi, consigliabile non assimilare l’impatto ad un generico effetto, ma ad una sua declinazione

specifica. Non è appropriato misurare l’impatto neppure come misura di una variazione in termini di

realizzazione o di risultato, a meno di non ancorare esplicitamente entrambe a una determinata

‘popolazione’ o ad un ‘contesto di riferimento’.

La definizione utilizzata nelle pratiche valutative non è comunque univoca in quanto l’impatto può

venire inteso come ‘mappa’ di una realizzazione o di un risultato su una popolazione o su un contesto,

come variazione di stato o come attivazione di processo, ma anche come effetto o contributo specifico

di un’azione. In tutti questi casi l’impatto può essere previsto o interpretato secondo teorie consolidate

o in via di definizione, ma può presentarsi in modo inedito, paradossale e senza preavviso. La

valutazione di impatto aiuta a rispondere a due tipi di quesiti. Con il primo si verifica se un’azione ha

generato un impatto positivo o negativo e se vi è un nesso causale o di causazione mutua. A questo

quesito cerca di dare risposta la valutazione di impatto controfattuale. Il secondo quesito è più

complesso in quanto si intende verificare se un’azione ha generato gli impatti desiderati o se è successo

qualcos’altro, se l’azione ha funzionato, perché ha funzionato e in quali circostanze. A questo quesito

cerca di rispondere in modo discorsivo o formale la valutazione d’impatto basata sulla teoria.

Per la valutazione di impatto si ricorre spesso a procedure DPSIR42, a metodi sperimentali,

econometrici, fisico-matematici o alla statistica spaziale, e su di essi si fonda in modo esplicito quello

che potremmo definire il ‘movimento’ EV, deciso sostenitore della ‘valutazione scientifica’43.

41 Ivi, passim. 42 Va rilevato che il modello DPSIR lavora in modo appropriato (e non si riduce a mero espediente) se si riescono a mappare

le relazioni fra driver, pressioni, stato, impatto e risposta. La valutazione delle risposte (R) è critica. DPSIR è molto diffuso

nella valutazione ambientale. 43 Vedi, ad esempio, G Julnes, D J Rog (eds), 2007, ‘Informing federal policies on evaluation methodology: building the

evidence base for method choice in Government sponsored evaluation’, New Directions for Evaluation 113, Jossey-Bass,

San Francisco, 4-12; M W Lipsey, E Noonan (eds), 2009, ‘Better evidence for a better world’, International initiative for

impact evaluation (3ie), Working paper n.2, New Delhi; E Stern et al. 2012, ‘Broadening the range of design and methods

for impact evaluations’, Working paper n. 38, Dept. for International Development, London.

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Spesso ancorata al ciclo di vita di una azione (vedi life cycle assessment, Lca44) la valutazione di

impatto si concentra sulla logica di generazione degli impatti, sulla loro dimensione spazio-temporale e

sul modo in cui ‘diffusione’ e interazione’ ne possono modificare la natura e le implicazioni in termini

di tollerabilità45 e di rischio. In campo sociale, ambientale/ territoriale/sanitario si ricorre a Vis

(valutazione di impatto sociale)46, Via (valutazione di impatto ambientale), Vinca (valutazione di

44 In prospettiva di eco-efficienza e secondo il paradigma dell’economia lineare, Lca è una procedura di stima dei carichi

energetici e ambientali (energia, materiali e rifiuti) utilizzati e rilasciati durante un processo di produzione. La stima

comprende l’estrazione e il trattamento delle materie prime, la fabbricazione, il trasporto, la distribuzione, l’uso, il riuso, il

riciclo e lo smaltimento finale. Uno dei primi sperimentatori di Lca è stata la Coca-Cola, negli anni ’60, e fra le più recenti

applicazioni si può annoverare il marchio Ecolabel dell’Unione Europea. Strumenti analoghi, anche se meno utilizzati, sono

il Material Input per Unit of Service (Mips), la Material Intensity Analysis (Maia) e lo ‘spazio ambientale’ di J Opschoor

che riconosce le soglie oltre le quali gli ecosistemi globali cominciano a destabilizzarsi. Questo concetto è utilizzato nella

‘ciambella’ di K Raworth, 2017, L’economia della ciambella. Sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo,

Edizioni Ambiente, Milano. Problematico, anche se molto utilizzato e di facile comprensione, è il concetto di impronta

ecologica (carbonica, idrica, globale, ecc.) sviluppato da W Rees e M Wackernagel dell’Università di Vancouver.

L’impronta rappresenta la superficie complessiva di cui una certa regione geografica si appropria per il funzionamento delle

proprie attività. Lca, assieme a Mfa (material flow analysis) e a specifiche metodiche I/O, viene anche impiegata nella

valutazione dei metabolismi sostenibili a livello urbano e territoriale (vedi, in proposito, Dss Bridge http://www.bridge-

fp7.eu). 45 La ‘tollerabilità’ è un concetto relativo nella valutazione degli impatti, perché li qualifica rispetto al rischio e alla sua

percezione da parte di popolazioni diverse (animali, vegetali o minerali, come il suolo o i monumenti prodotti con diversi

materiali da costruzione). Con la sentenza 6136/2018 la Cassazione italiana precisa il principio di ‘normale tollerabilità’ con

particolare riferimento alle immissioni rumorose. In accordo con l’art. 844 del Codice Civile, secondo la sentenza ‘la

tollerabilità o meno di una immissione va valutata caso per caso, dal punto di vista del fondo che la subisce, tenendo conto

delle “ condizioni dei luoghi” ‘. Per condizione dei luoghi si intende la loro ‘concreta destinazione naturalistica e

urbanistica, l’attività normalmente svolta, il sistema di vita e le abitudini di chi vi opera’. Al giudice spetta l’accertamento

dell’eventuale superamento della normale tollerabilità, non più limitabile ai tre decibel. 46 La valutazione di impatto sociale (Vis) può accompagnare (integrare) la valutazione economica o ambientale, affrontando

specifici trade-off ed estendendo il dominio ad esternalità o a fenomeni distributivi. In alcuni casi riguarda azioni o politiche

specifiche, come nel caso delle politiche sociali in Italia. Nel 2019, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha

predisposto linee guida in materia di Vis delle attività svolte dagli enti del Terzo settore definendola come ‘valutazione

qualitativa e quantitativa, sul breve, medio e lungo periodo, degli effetti delle attività svolte sulla comunità di

riferimento’ rispetto agli obiettivi e come supporto alla costruzione del bilancio sociale (GU Serie Generale n.214 del 12-

09-2019). La Vis viene considerata ‘strumento attraverso il quale gli enti di Terzo settore (Ets) comunicano ai propri

stakeholder (Sths) l'efficacia nella creazione di valore sociale ed economico, allineando i target operativi con le aspettative

dei propri interlocutori e migliorando l' attrattività nei confronti dei finanziatori esterni’. Questo tipo di valutazione viene

applicata a ‘interventi ed azioni di media e lunga durata (almeno diciotto mesi) e di entità economica superiore ad euro

1.000.000, se sviluppati in ambito interregionale, nazionale o internazionale’. I costi sono proporzionati al valore dell'

intervento e inclusi nei costi complessivi finanziati. Gli Sths ‘destinatari’ sono finanziatori e donatori, presenti o futuri,

interessati a proseguire, interrompere o rivedere le modalità di sostegno, i beneficiari ultimi, eventuali interessati a

comprendere, anche se in misura diversa, le ricadute sociali ed economiche generate dall'organizzazione (es. comunità

locale, lavoratori, utenti etc.), collaboratori, soci e volontari dell' organizzazione , cittadini interessati a conoscere

come e con quali risultati vengano impiegate le risorse pubbliche, soggetti pubblici e comunità locali. I principi guida

della Vis sono: intenzionalità (il sistema di valutazione è connesso alla valutazione di obiettivi strategici

dell'organizzazione); rilevanza (inclusione di informazioni utili a dare evidenza dell'interesse generale perseguito e

della dimensione comunitaria dell' attività svolta); affidabilità (informazioni precise, veritiere ed eque, con specifica

indicazione delle fonti dei dati); misurabilità ( le attività oggetto di valutazione riconducibili a parametri quantitativi

vanno opportunamente misurate). A tal fine, gli Ets dovranno prevedere un sistema di valutazione che identifichi: le

dimensioni di valore che le attivita' perseguono; gli indici e gli indicatori coerenti con le attivita' oggetto della valutazione,

oltre a comparabilita' (restituzione dei dati che consenta la comparabilita' nel tempo), trasparenza e comunicazione

( restituzione pubblica della valutazione di impatto e del processo partecipativo degli Sths). Su questa base Vis fa

emergere il valore aggiunto sociale generato, i cambiamenti sociali e la sostenibilita' dell'azione sociale. Il quadro

conoscitivo viene composto con una sequenza di operazioni analitiche. In primo luogo si dà evidenza al processo di

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incidenza ambientale), Vit (valutazione integrata territoriale), Visa (valutazione di impatto sanitario47)

e ad altre tecniche specifiche. Per la tutela dei beni storico-culturali è prevista la valutazione di impatto

patrimoniale e la heritage impact assessment (Hia)48. Vi sono esperienze congiunte di Hia e Vas

(valutazione ambientale strategica), con impostazione matriciale, olistica o teorica. Un riferimento

importante a Hia e all’ outstanding universal value (Ouv) è la teoria della conservazione (o della tutela)

alla base del riconoscimento e della interpretazione dei beni a valenza storico-culturale49.

Per la cattura e la misurazione di effetti economico-finanziari di progetti o programmi dal lato della

domanda e dell’offerta si ricorre a tecniche di impact economy o a specifici modelli econometrici50.

partecipazione alla definizione delle dimensioni di valore della misurazione di impatto da parte degli Sths rappresentativi

interni ed esterni all'ente. In secondo luogo vengono specificati attività, servizi e progetti con relativi input, output e

outcome. 47 Approfondendo le questioni epidemiologiche e di rischio, la valutazione dello stato di salute può essere viziata da scarsa

consapevolezza soggettiva, così come da scarse cognizioni mediche o inadeguata disponibilità di informazioni comparative.

Il punto di vista ‘interno’ (basato sulla percezione del paziente e vissuto prevalentemente in termini di sofferenza) si può

contrapporre a quello ‘esterno’, basato su osservazioni, analisi, esami di medici o patologi professionisti (e tradotto in

termini di malattia). Le due prospettive possono combinarsi efficacemente, ma non è da escludere che si creino anche gravi

tensioni, con effetti su strategie mediche e politiche sanitarie pubbliche 48 International Council on Monuments and Sites (Icomos), 2011, Guidance on Heritage Impact Assessments for Cultural

World Heritage Properties, Paris. 49 Vedi Icomos, 2008, The World Heritage List, What is OUV? Defining the Outstanding Universal Value of Cultural World

Heritage Properties, Paris e UNESCO World Heritage, 2015, Retrospective Statement of Outstanding Universal Value e

Operational Guidelines for the implementation of the World Heritage Convention (2016). 50 Ad esempio, nella valutazione dei POR (piani operativi regionali) in attuazione di politiche comunitarie in contesto

europeo, la valutazione degli impatti economici può ricorrere a modelli econometrici regionali (o nazionali regionalizzati).

L’efficacia delle politiche finanziate viene valutata rispetto al valore aggiunto, al reddito disponibile delle famiglie, i tassi di

attività, di occupazione e disoccupazione. Nella Regione del Veneto è stato impiegato il modello GREM (GRETA Regional

Econometric Model) per valutare gli impatti economici del POR, parte FSE 2007-2013, nel periodo 2007 – 2015. Il modello

è a frequenza annuale ed è incentrato sulle dinamiche del mercato del lavoro regionale, per studiare le quali viene attivato

un modello ‘satellite’. Le equazioni e le identità che compongono il GREM sono organizzate in sei blocchi: 1. conto

economico delle risorse e degli impieghi (PIL, spese per consumi nazionali, investimenti fissi lordi, importazioni ed

esportazioni di beni e servizi, scorte); 2. reddito disponibile delle famiglie (redditi da lavoro dipendente, redditi da capitale,

altri redditi, imposte correnti, contributi sociali effettivi e figurativi, prestazioni sociali nette ed altri trasferimenti netti); 3.

valore aggiunto disaggregato per i settori agricoltura, silvicoltura e pesca, industria in senso stretto, costruzioni e servizi; 4.

commercio estero di beni (importazioni ed esportazioni); 5. prezzi di domanda e di offerta; 6. mercato del lavoro. Questo

blocco è a sua volta composto da quattro sotto-gruppi di equazioni e identità: a) salari e redditi da lavoro dipendente

(disaggregati per i quattro settori di attività economica agricoltura, silvicoltura e pesca, industria in senso stretto, costruzioni

e servizi); b) produttività e unità totali di lavoro (disaggregati per settori); c) unità di lavoro dipendenti (disaggregati per

settori); d) forza lavoro, occupati e disoccupati derivanti dall’indagine continua delle forze di lavoro (Istat). GREM-Veneto

fornisce per l’intera regione e per il periodo di previsione, due possibili scenari prospettici, l’uno pessimistico l’altro

ottimistico, derivanti da due profili alternativi delineati per l’economia nazionale. Poiché l’obiettivo è misurare l’impatto

economico in termini di variazioni generate dalle politiche adottate, distinguendo tra politiche anticrisi e non, su alcune

grandezze significative - generalmente il PIL, l’occupazione, il reddito disponibile e il valore aggiunto – vengono messi a

confronto quattro scenari. Il primo, di riferimento e identificato con il nome ‘Tutte le misure’, corrisponde alla traiettoria

effettiva e simulata per l’economia regionale nel caso in cui tutti gli interventi considerati siano in essere. Il secondo,

alternativo, è basato sull’ipotesi di assenza di interventi FSE (‘Nessuna misura’). Il terzo, sempre alternativo, ipotizza che

siano stati messi in atto i soli interventi anticrisi (‘Solo misure anticrisi’). Nel quarto, anch’esso alternativo, si suppone siano

state messe in atto tutte le misure finanziate dal FSE ad eccezione di quelle anticrisi (‘No misure anticrisi’). La

differenziazione degli scenari alternativi consente non solo di valutare l’impatto complessivo delle azioni finanziate nel

Programma attraverso il confronto dei primi due scenari, ma anche di valutare l’impatto relativo di ciascuna macro classe di

interventi - anticrisi e non – traendone di conseguenza indicazioni anche di carattere strategico-decisionale. L’elaborazione

dello scenario di riferimento richiede la definizione dell’andamento futuro più probabile delle variabili nazionali, sulla base

di considerazioni macroeconomiche e finanziarie circa il contesto internazionale. La definizione degli scenari alternativi,

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Con sempre maggiore frequenza e ricorrendo anche ad Acb, le società assicurative calcolano il valore

della cattura delle emissioni di CO2 da parte di ecosistemi biologicamente diversificati, mentre imprese

in fase di transizione verso orizzonti di sostenibilità propongono diversi metodi di ammortamento dei

costi, mettendo, ad esempio, con il segno positivo il pagamento delle tasse e dei salari e con il segno

negativo le emissioni di CO2 e l’uso intensivo dell’acqua51. Le variazioni dei metodi di ammortamento

propongono nuovi modelli di creazione (oltre che di riconoscimento) di valore, in quanto il degrado

ambientale viene ritenuto un fattore di rischio e comunque un fattore negativo per l’economia.

Il dibattito sulla trasformazione del capitalismo neoliberista, delle imprese e dei modelli finanziari in

ottica di sviluppo sostenibile apre alla cosiddetta social impact finance (Sif). Questo tipo di finanza

tratta fondi di investimento che intendono aderire a criteri Esg (environmental, social and governance)

come base per valutarne la sostenibilità e migliorare il profilo rischio/rendimento dei portafogli52. Due

sono le principali strategie di impatto: investing for impact e investing with impact. Con la prima

strategia si adottano soluzioni disruptive che, a fronte di un elevato impatto sociale o ambientale, sono

invece, prevede la stima e/o la misurazione degli effetti economici diretti degli interventi FSE e la loro conversione in

variabili che possano influenzare lo sviluppo complessivo della regione (ad esempio in mutamenti che possono modificare

la produttività del lavoro). Una volta imputate le variazioni di tali variabili nel modello e ottenuta la simulazione delle

grandezze d’interesse (PIL, occupazione, valore aggiunto per settore, reddito disponibile) è possibile valutare l’impatto

degli interventi FSE come differenza tra i diversi scenari alternativi e lo scenario di riferimento (per approfondimenti

www.greta.it). 51 Vedi procedure di water pricing per usi domestici e irrigui e gli algoritmi alla base dei water footprint calculator. 52 Il Network for Greening the Financial System (Ngfs), forum internazionale delle banche centrali, ha emanato nell’Ottobre

2019 una Guida all’investimento sostenibile. La possibilità di applicare criteri di sostenibilità e la flessibilità nella gestione

delle risorse varia per tipo di portfolio (policy ,own, pension e third party). Per l’Eurosistema, rientrano in questa categoria

anche le riserve in valuta detenute dalle banche centrali nazionali. La possibilità di applicare criteri di sostenibilità, e quindi

la flessibilità di gestione, sono più elevate per l’own portfolio, mentre sono più limitate negli altri casi. ‘In particolare,

il policy portfolio è funzione degli obiettivi macroeconomici della politica monetaria ed è soggetto al principio di market

neutrality, che vincola la banca centrale ad acquistare titoli in proporzione alla composizione del market portfolio, al fine di

limitare l’impatto distorsivo degli acquisti. L’applicazione di questo principio è particolarmente delicata nel caso dei green

bonds, il cui mercato è ancora poco sviluppato, nonostante i progressi recenti, rispetto alle dimensioni degli acquisti fatti

dalla Bce con il quantitative easing (Qe). Queste considerazioni trovano riscontro nella indagine condotta da Ngfs presso 27

banche centrali nel mondo: tutte dichiarano di applicare criteri Sri (social responsible investment) nella gestione dell’own

portfolio, mentre le risposte relative agli altri portafogli sono assai più differenziate. Va anche detto che la maggior parte (60

per cento) si pone obiettivi riferibili genericamente ai criteri Esg (Environment, Social, Governance) mentre solo il 16 per

cento ne ha alcuni legati specificamente ai cambiamenti climatici’. Anche la Banca d’Italia (maggio 2019) ha introdotto

criteri di sostenibilità nella strategia di investimento dei fondi propri (own portfolio). Due sono le strategie: a) il negative

screening, ovvero la ‘esclusione di società emittenti che operano in settori controversi, quali il tabacco e la produzione di

armi’ e b) il best in class, secondo cui ‘le società che presentano migliori Esg-score vengono sovra-pesate nel paniere di

investimento, rispetto all’indice azionario utilizzato in precedenza’. ‘La Banca d’Italia stima che, in seguito all’adozione dei

nuovi criteri Esg, i portafogli azionari della banca migliorino significativamente la loro “impronta ambientale”, grazie a una

riduzione delle emissioni totali di gas serra (-23 per cento), dei consumi di energia (-30 per cento) e di acqua (-17 per

cento). Effetti positivi, seppure meno rilevanti, sono attesi anche sotto i profili sociali e di governance’. Iniziative analoghe

interessano altri paesi europei. Tutte le banche centrali possono investire nel green bond fund lanciato dalla Bri. Dal canto

suo, la Bce, compatibilmente con l’obiettivo prioritario della stabilità dei prezzi, ha la facoltà di includere fattori ambientali

nella sua politica, ad esempio ‘modificando la composizione del paniere di titoli corporate acquistati con il Qe, sotto-

pesando quelli emessi da imprese che operano in settori ad alta intensità di carbonio (ad esempio petrolio, gas e materie

prime) e sovra-pesando altri emittenti che si caratterizzano per un minore consumo di carbonio (emissioni di CO2 per unità

di fatturato). Analoghe variazioni potrebbero essere apportate agli haircuts applicati alle attività accettate come collaterale

nelle operazioni convenzionali di politica monetaria, penalizzando i titoli a più alta intensità di carbonio. In tal modo, la Bce

potrebbe contribuire a ridurre il costo del capitale per le imprese più virtuose sotto il profilo delle emissioni. D’altra parte, il

maggiore costo del finanziamento potrebbe incentivare le imprese che operano in settori “brown” a fare investimenti per

ridurre il loro impatto ambientale’, A Baglioni, ‘Effetto Greta sulle banche centrali’, Lavoce.info, 1/2/2020.

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disposte a rinunciare a parte dei rendimenti, dato un certo livello di rischio. In una logica di finanza

generativa piuttosto che estrattiva, esse antepongono l’impatto prevedibile (stimato o simulato) al

profitto e alle tradizionali logiche di ricerca dei rendimenti (pur garantendo la restituzione del capitale e

plausibili quozienti di redditività)53.

Una recente ricerca della Banca dei Regolamenti Internazionali (Bri)54 rileva come i CC siano correlati

alla stabilità finanziaria e dei prezzi e possano diventare fonte di instabilità. Anche per questa ragione,

gli istituti finanziari potrebbero essere forzati ad intervenire come ‘salvatori di ultima istanza’ del

clima, acquistando su grande scala asset svalutati, come quelli ancorati alle emissioni di carbonio. Le

ragioni sono da attribuirsi a diversi fattori. In primo luogo, combinazioni di rischi naturali e connessi

alla transizione energetica, oltre a generare incertezza, potrebbero richiedere costose azioni di

contrasto. In secondo luogo, gravità e frequenza di eventi catastrofici naturali tendono ad essere più

pericolosi delle crisi sistemiche. Infine, la complessità di crisi generate da CC è molto più elevata in

quanto genera imprevedibili effetti a cascata su diversi domini fortemente correlati. Questi effetti

richiederebbero modelli previsionali basati su metodologie prospettive (simulazioni e scenari). La

ricerca di Bri propone di introdurre esplicitamente la sostenibilità tra gli obiettivi delle politiche

monetarie, di modificare il metodo del carbon pricing (utilizzato per misurare i costi della transizione

energetica) bilanciandolo con politiche di sostegno ai settori penalizzati dalla transizione dei processi

produttivi verso una maggiore sostenibilità.

Nella valutazione accademica e scientifica si ricorre all’ impact factor, parametro che misura la

frequenza media di citazione degli articoli di una rivista in un anno. L’ impact factor consente di

identificare le riviste più influenti, non necessariamente le migliori, e può essere influenzato da forme

di autoalimentazione. L’impatto, in questo caso, si intende come influenza in una data comunità

scientifica.

Allontanandosi dalla ‘contabilità’ e rimanendo nell’ambito delle ‘fortune editoriali’ delle opere

scientifiche o letterarie, un approccio interessante è costituito dalla ‘bibliografia descrittiva e della

storia degli esemplari’. La fortuna editoriale di un’opera viene ‘ricostruita’, anche a distanza di molti

anni, sulla base della circolazione e del tipo di impatto. Ripercorrendo la storia di ogni singolo testo si

evidenziano i segni di possesso, la presenza di note a margine e di censura, commenti, rilievi critici,

tracce di lettura. In sostanza, si ricostruisce il destino del libro (o dell’opera) dall’uscita dalla tipografia

fino ai suoi più svariati utilizzi, identificando il nome dei lettori, e dei possessori (illustri e meno

illustri), e la mappa della loro distribuzione spazio-temporale55.

53 Un riferimento utile in proposito è l’Impact Outlook 2019 del centro di ricerca Tiresia (School of Management del

Politecnico di Milano) che individua come ‘operatori di finanza a impatto’ i soggetti che rispondono ai criteri di

intenzionalità, misurabilità e addizionalità. Le soluzioni trasformative guidate da questi criteri sono in grado di generare

valore sociale, ambientale ed economico, con interventi anche in domini sottocapitalizzati e poco attrattivi per gli investitori

tradizionali. ‘Nella versione più radicale della finanza ad impatto…gli obiettivi di generazione di valore sociale e la

misurazione dei progressi degli stessi non rappresentano un sottostante generico nella scelta dell’investimento, ma sono

compiutamente integrati nel meccanismo finanziario’, V Chiodo, ‘Approccio disruptive alla finanzia globale’, Il Sole 24

Ore, 12/1/2020. Poco più di un quinto degli operatori oggetto dell’analisi di Tiresia ha risposto ai tre criteri nel 2018,

https://www.som.polimi.it/event/tiresia-impact-outlook-2019-221119/. 54 Bri, 2020, Cigno verde. Cambiamenti climatici e stabilità del sistema finanziario: quale ruolo per banche centrali,

regolatori e supervisori. 55 Considerata la scarsa considerazione di questo approccio nella valutazione mainstream, si segnala a titolo esemplificativo,

lo studio di G Barbero, A Paolini, 2018, Le edizioni antiche di Bernardino Telesio: censimento e storia, Les Belles Lettres,

Paris.

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La valutazione di impatto viene a volte criticata non soltanto per l’abuso o l’utilizzo meccanicistico di

matrici e indicatori56, ma anche perché limitata ad azioni specifiche come contenere i danni o le

componenti di rischio57 e alla stima diretta o indiretta dei loro costi reali o potenziali. Nonostante

contribuisca ad orientare strategie di risarcimento58, la valutazione di impatto non può sostituire la

promozione di azioni in grado di mettere in discussione condizioni e cause di impatto e di riconoscere i

‘potenziali cumulativi’ rispetto ai ‘fondi’ (o condizioni dei luoghi) che li subiscono.

Per rispondere ai gravi deficit del bilancio planetario consolidato e in un’ottica di corporate social

responsibility vengono proposti specifici social impact index. Questi indici incrociano i sustainable

development goal con i criteri Esg (environmental, social and governance). Essi hanno lo scopo di

stimare l’impatto, ma soprattutto di correggere le pratiche di investimento e di consumo di pubbliche

amministrazioni, associazioni no- profit, imprese, famiglie e comunità con una serie di accorgimenti: a)

tener conto in modo appropriato dei debiti ambientali e sociali comunque stimati; b) non ipotecare le

generazioni future; c) valutare gli investimenti e i consumi sulla base dell’impatto ambientale e sociale

atteso; d) calcolare gli ammortamenti sui tempi di ripristino di un ecosistema sostenibile59. L’obiettivo

è ‘riconfigurare il modello di business in chiave di innovazione strategica sociale per risolvere il

paradosso tra profitto economico e responsabilità sociale, così da generare valore condiviso. Questo

concetto è stato elaborato da Michael Porter….e si basa su tre principi guida: 1) ridefinire la catena di

valore, ispirandosi ai principi dell’economia circolare per favorire un rapporto equilibrato tra progresso

sociale e produttività economica; 2) riconcepire l’offerta aziendale studiando bisogni (sociali) che

56 In alternativa vengono proposti modelli bionomici o approcci ecosystem-based. 57 La definizione di rischio è complessa e non riconducibile semplicemente al prodotto logico di vulnerabilità, esposizione e

pericolo. Oltre ad essere multidimensionali le tre componenti, e a maggior ragione il prodotto, sono influenzati dalle

capacità di adattamento e mitigazione, in generale da sensibilità e capacità di anticipazione e risposta. 58 La letteratura sulla valutazione economica del danno è imponente e molto influenzata dai modelli assicurativi, fiscali e

dalle pratiche giudiziarie. Non mancano le contraddizioni quando i valori assicurati ricorrono a proxy discutibili o a big data

elaborati senza le necessarie precauzioni; oppure, quando le expertise giudiziarie assumono evidenti connotati di parte. Ma è

nella fiscalità che emergono le contraddizioni più eclatanti e frequenti, come spesso rilevano le Corti dei Conti o gli Uffici

di valutazione parlamentari. L’Ufficio Valutazione Impatto del Senato della Repubblica Italiana evidenzia come il detto ‘chi

inquina paga’ sia una chimera in quanto il carico fiscale per classi di soggetti inquinanti non è correlato alle entità

dell’inquinamento per fonte (vedi Ufficio Valutazione Impatto, Senato della Repubblica, 2017, Chi inquina, paga? Tasse

ambientali e sussidi dannosi per l’ambiente. Ipotesi di riforma alla luce dei costi esterni delle attività economiche in Italia,

Documento di valutazione n.11, Roma). Per quanto concerne i danni all’ambiente, le proposizioni valutative sono sensibili

alle concezioni di sostenibilità che, com’è noto, variano a seconda si adotti l’approccio tipico della deep ecology, elaborata

dal filosofo norvegese Aarne Naess e sostenuta dal biologo statunitense Paul Erlich, oppure l’ottimismo del riformismo

liberale o più impegnative pratiche di ecologia sociale (vedi, ad esempio, M M Bookchin, 1989, Per una società ecologica,

Elèuthera, Milano 1989; J Biehl, 2015, Ecology or catastrophe: the life of Murray Bookchin, Oxford University Press; V

Gerber, F Romero, 2014, Murray Bookchin, Pour une écologie sociale et radicale, Le Passager clandestin, Neuvy-en-

Champagne). Sulla valutazione economica del danno ambientale nella logica del risarcimento sono esemplificativi i

contributi di E De Francesco, P Rosato, L Rossetto, ‘Valutazione economica del risarcimento per danni all’ambiente’ e di F

Nuti, Marco Stampini, ‘Valutazione economica del danno ambientale in sede giudiziaria’ entrambi in S Moroni e D

Patassini (a cura), 2006, Problemi valutativi nel governo del territorio e dell’ambiente, FrancoAngeli, Milano,

rispettivamente a pp. 144-162 e a pp. 163-179. Un invito ad andare oltre la logica della limitazione del danno viene da un

protagonista della controcultura e del movimento bio-regionale Usa negli anni ’60, P Berg. Berg è stato attore di strada con

la Mime Troupe e uno dei fondatori di Diggers, gruppo libertario che nel quartiere hippie di Haight-Ashbury a San

Francisco prestava gratuitamente cure mediche, aiutava a risolvere problemi abitativi, forniva aiuti alimentari, ma

soprattutto controinformazione a chi si trovava in condizioni di bisogno. Una selezione dei suoi scritti a cura di G Moretti è

ripubblicata in P Berg, 2016, Alza la posta! Saggi storici sul bioregionalismo, Edizioni Mimesis. 59 L’insostenibilità ambientale del capitalismo è oramai riconosciuta e confermata dall’emergenza planetaria e dalle

crescenti diseguaglianze.

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consentano l’ingresso in nuovi mercati (sociali) con nuovi prodotti (sociali); 3) favorire lo sviluppo dei

cluster locali, assumendo il ruolo di keystone di un social business ecosystem’60.

La ‘cattura’ degli impatti non è sempre agevole. Ci si può trovare di fronte a relazioni causali dubbie,

specie in situazioni complesse; si possono attivare feedback che generano trade-off61; spesso la

distribuzione di benefici e costi di un’azione non consente caratterizzazioni univoche. Problematica

diventa così la costruzione di modelli di impatto attenti a questioni di libertà, equità e giustizia.

Valutazione sperimentale o quasi-sperimentale62

Con questo tipo di valutazione si cerca di riconoscere e misurare l’effetto netto/lordo (aggregato o

disaggregato) di un’azione progettuale su un target di beneficiari definito ‘gruppo sperimentale’ (Gs).

Gs rappresenta i beneficiari del progetto e il ‘campione’ su cui si testa l’ipotesi di progetto. Gli effetti

devono essere prevedibili e riferiti ad obiettivi progettuali circoscritti. Il grado di raggiungimento degli

obiettivi viene misurato sulla base di descrittori misurabili. Gli obiettivi costituiscono il termine di

paragone della riuscita del progetto, rendendo questo tipo di valutazione goal oriented (orientata agli

obiettivi). Il grado di realizzazione degli obiettivi del progetto (ovvero la sua efficacia) viene assunto

come criterio generale e non si considerano effetti inattesi o collaterali. In presenza di più obiettivi

l’efficacia può assumere forma additiva o moltiplicativa, tenendo conto del carattere cooperativo o

conflittuale degli obiettivi medesimi. La disaggregazione degli effetti può consentire l’apprezzamento

di effetti distributivi del progetto. Poiché si intende verificare se i cambiamenti nel target (Gs) sono da

attribuirsi al progetto (effetto netto) o anche ad altri fattori (effetto lordo) occorre effettuare un vero e

proprio esperimento assumendo che quanto il progetto genera sia spiegabile ricorrendo ad un modello

causale. La teoria della spiegazione causale è basata sul principio della successione nel tempo fra causa

ed effetto e assume vi sia linearità, ovvero che l’entità dell’effetto derivi dall’entità della causa

(proporzionalità causa-effetto).

L’esperimento viene costruito secondo la seguente procedura. In primo luogo si identificano le variabili

da studiare (descrittori di effetti del progetto vs. descrittori della popolazione beneficiaria). Vengono

quindi costruiti in modo casuale i due gruppi (sperimentale e di controllo, Gs e Gc), il più possibile

simili. Si applica, quindi, il progetto su Gs, misurando i descrittori degli effetti e della popolazione

prima e dopo il trattamento (progetto). Se le misure del descrittore di effetto sono uguali prima e

diverse dopo, il progetto può esserne la causa. L’esperimento esclude azioni di fattori ‘esterni’ (cosa

difficile nella realtà sociale, più facile in laboratorio) e l’inferenza viene ritenuta possibile soltanto

dopo esperimenti ripetuti con test su possibilità di generalizzazione.

Quando, per ragioni logistiche o etiche, non è possibile costruire i due gruppi a confronto in modo

casuale si passa da una comparazione con-senza progetto ad una comparazione pre-post progetto su un

60 C Bagnoli, ‘Un indice per testare la sostenibilità’, Il Sole 24 Ore, 4/2/2020. 61 Ad esempio, negli studi sui rapporti fra urbanizzazione e crescita non è agevole riconoscere gli impatti delle

agglomerazioni. I benefici possono essere assorbiti da più elevati prezzi immobiliari (specie fondiari) e più elevati costi del

lavoro e mitigati (compensati) da una maggiore congestione. Non risultano quindi evidenti in termini di prodotto o

occupazione a livello aggregato. 62 La letteratura sull’argomento è vastissima e si è sviluppata in Usa a partire dagli anni ’60 del secolo scorso. Un

riferimento relativamente recente è DT Campbell, MJ Russo (1999), Social experimentation, Sage, Thousand Oaks, Ca,

anche se va ricordato che a fondamento di questo metodo vi è la statistica fisheriana sviluppatasi nella prima metà del

secolo XX. Per un riferimento in lingua italiana a questo approccio vedi N Stame (a cura), 2007, Classici della valutazione,

FrancoAngeli, Milano.

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unico gruppo (Gs=Gc), oppure si segue una procedura quasi-sperimentale, con Gs e Gc non casuali e

selezione dei componenti63. Esistono diverse varianti in proposito.

Questo tipo di valutazione con esperimenti randomizzati o non randomizzati è di grande interesse e può

essere applicato in politiche sociali a precise condizioni. Innanzitutto cause ed effetti devono essere

prevedibili, lineari e sequenziali; le circostanze nelle quali avviene l’esperimento devono rimanere

costanti e con variazioni prevedibili; i siti sperimentali dovrebbero essere ‘isolati’, ovvero non

influenzabili dal contesto. Si tratta di condizioni molto forti e difficili da rispettare in qualsiasi

momento e luogo. Queste difficoltà incoraggiano comunque la riflessione. Le principali evidenze

riguardano i nessi causali non facilmente riconoscibili (black box). Infatti, di cause ignote si possono

conoscere gli effetti, ma potrebbe essere difficile identificare a priori anche gli effetti di cause note.

Questa doppia incertezza sui nessi di causalità fra programma/progetto ed effetti consiglia il ricorso ad

altri approcci come la valutazione fondata sulla teoria o la valutazione realista. In entrambi i casi, al

nesso di causalità si sostituiscono i meccanismi di cambiamento come dominio analitico. Ciò può

avvenire con riferimento ad una ipotetica sequenza azione-risultato (i-o), ma anche nel caso in cui

questa ipotesi non sia plausibile. Nel primo caso si cerca di individuare il meccanismo intermedio che

conduce dalla causa all’effetto atteso; nel secondo, si cercano i meccanismi che possono aiutare la

formulazione di ipotesi sui nessi casuali. Ad esempio: attraverso quali meccanismi il passaggio dalla

tassa alla tariffa riduce i rifiuti, ne modifica la funzione di produzione e i comportamenti di gestori e

utenti? Con opportune indagini sull’utenza e valutazioni di contingenza rispetto a scenari di servizio

potremmo evidenziare come l’introduzione della tariffa riduca gli utili del gestore e generi significativi

effetti distributivi per condizione socio-economica e abitativa degli utenti. Ma attraverso quali

meccanismi tutto questo può avvenire?

Altri limiti riguardano l’affidabilità statistica dei risultati (validità interna) e le difficoltà di

generalizzazione (validità esterna e uso). In alcuni casi potrebbe essere più interessante spiegare perché

in situazioni simili si ottengono esiti diversi.

In sintesi, la valutazione sperimentale viene effettuata con trial di controllo randomizzati, ovvero su

gruppi sperimentali (Gs) e di controllo (Gc) scelti con procedura casuale (randomized). Si sviluppa

63 Per alcuni esempi di valutazione quasi-sperimentale nel campo delle politiche abitative e di rigenerazione urbana in Usa,

vedi T.D. Boston, “The effects of revitalization on public housing residents”, Japa, vol.71, n. 4, Autumn 2005 pp. 393-410;

G Galster, P Tatian J Accordino, “Targeting investments for neighborhood revitalization”, Japa, vol.72, n. 4, Autumn 2006,

pp. 457-474. Interessanti sono anche esperienze di ‘valutazione di impatto sociale’ (vedi dispensa ppt su progetto WB in

Vietnam), le esperienze riportate nelle periodiche rassegne di WB-OED, i materiali didattici di Ipdet (International program

for development evaluation training), la documentazione del Gao in Usa (Gao’s Program Evaluation and Methodology

Division) e quella di Oecd/Dac Expert group on aid evaluation. In Italia è molto limitato il ricorso a queste pratiche. Si

ricorda che due premi Nobel per l’economia 2019 sono stati assegnati a A V Banerjee e E Duflo per applicazione del

metodo sperimentale alla economia dello sviluppo, in particolare per il superamento delle ‘trappole della povertà’ (J Sachs)

e per il riconoscimento dei meccanismi che le producono. Fra tutti: la presenza di forme di paternalismo coercitivo, la

mancanza di competenze gestionali, la sottovalutazione di istituzioni locali che possono generare effetti positivi anche in

contesti connotati da pessimi quadri politico-istituzionali. M Kremer, terzo premio Nobel 2019, evidenzia come alcuni dei

‘vantaggi comparati’ goduti dai paesi ricchi rispetto a quelli poveri dipendano da forme di ‘accoppiamento selettivo’ (teoria

dell’ O-ring), grazie alle quali persone con simili livelli di competenze riescono ad operare insieme. Le ‘complementarietà

strategiche’ diventano una significativa implicazione di policy. Vedi in particolare: A V Banerjee, E Duflo, 2019,

L’economia dei poveri. Capire la vera natura della povertà per combatterla, Feltrinelli, Milano (ed. or. 2011); E Duflo,

2011, I numeri per agire, Feltrinelli, Milano; A Bouguen, Y Huang, M Kremer, E Miguel, 2019, ‘Using Randomized

Controlled Trials to Estimate Long-Run Impacts in Development Economics’, Annual Review of Economics 11, pp. 523-

61. Quest’ultimo articolo evidenzia l’utilità dei randomized control trial (Rct) nella valutazione delle variazioni di

produttività di lungo periodo e degli standard di vita nei paesi poveri. Meritano attenzione anche le due istituzioni: Abdul

Latif Jameel Poverty Action Lab (J-Pal, https://www.povertyactionlab.org/evaluations) e Innovation for Poverty Action.

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mediante comparazione di profili pre-post o con-senza su criteri ‘discriminanti’. La valutazione non-

sperimentale non ricorre a campionamenti casuali, può limitarsi al confronto dei comportamenti pre-

post di Gs, a volte ricorrere a serie temporali interrotte e ad analisi di discontinuità regressiva

(variazioni di intercetta e coefficiente regressivo).

Esempio: come guardare a sperimentazioni locali su aiuti personalizzati, reddito di base (o di

cittadinanza) da una prospettiva PV o EV

Nel pamphlet ‘The agrarian justice. Opposed to Agrarian Law and to Agrarian Monopoly Being a Plan

for Meliorating the Conditions of Man’, scritto fra il 1795 e il 1796, Thomas Paine propone un sistema

di tassazione fondiaria e delle successioni ereditarie finalizzato alla redistribuzione della ricchezza e del

reddito. Il fondo, alimentato dall’affitto di terre non coltivate e da una tassa del 10% sulle successioni,

avrebbe consentito l’erogazione di una somma mensile a favore di tutti i maggiorenni, una sorta di

diritto universale à la Rousseau maturato nel passaggio dallo stato di natura a quello sociale64. Date le

condizioni storiche (i settori economici più importanti in quel periodo erano agricoltura, artigianato e

commercio), il diritto assumeva la forma di ‘sussidio compensativo’ ai non proprietari terrieri e a chi

era escluso da eredità (quasi esclusivamente immobiliari). Paine non pensava ad una più equa

redistribuzione delle terre (a parte la locazione di terre o latifondi non utilizzati), quanto piuttosto a

rimettere in circolazione profitti e rendite generati dal loro sfruttamento. Egli anticipa così successive

concezioni di welfare che porteranno alla stagione socialdemocratica e keynesiana di un’economia di

mercato. Per questa ragione viene considerato una delle fonti (forse la più importante) del basic

income65.

Oggi, la rivoluzione digitale sta ‘disintermediando la società’, favorisce processi di automazione e un

irreversibile aumento della disoccupazione strutturale, richiede investimenti infrastrutturali di

connessione materiale e immateriale i cui rendimenti possono essere garantiti dalla privatizzazione

delle storiche voci di welfare e da modelli ‘estrattivi’ della conoscenza (e del plusvalore che essa

rappresenta). Questi processi richiederebbero una risposta adeguata a livello macro che tarda, tuttavia, a

prendere piede.

Diversamente dalle politiche macro orientate al sostegno della domanda aggregata e al contenimento

delle diseguaglianze66, le sperimentazioni locali sul reddito di base (inteso come minimo vitale e

quindi, a certe condizioni, garantito e generalizzabile) si misurano con l’efficacia delle politiche urbane

e affrontano i complessi temi ‘città e welfare’, ‘stato e welfare’, ma anche ‘pubblico-privato-comune’.

64 Com’è noto, il passaggio è critico in quanto riconosce ‘diritti umani’ a prescindere da quelli degli altri esseri viventi che

continuerebbero ad appartenere ad un ipotetico stato di natura. 65 Il reddito universale garantito veniva assunto come diritto fondamentale dal socialismo utopistico a metà del XIX secolo

(Fourier, Charlier, Mill e altri), ma venne ripreso anche sul piano filosofico, oltre che politico, negli approcci ‘eretici’ e

‘non-lavoristi’ (oggi un po’ meno eretici) di Bertrand Russell agli inizi del XX secolo e, qualche decennio dopo, da Cole. 66 Diversi autori ritengono che il ‘reddito di cittadinanza’ sia un reddito aggiuntivo di cui le economie avrebbero bisogno per

uscire dalla ‘stagnazione secolare’. Secondo C Marazzi ‘queste forme di reddito non sono solo redistributive, sono anche

forme di monetizzazione di attività produttive non riconosciute, quelle attività che nel biocapitalismo digitale, nel

capitalismo che mette la vita al lavoro, producono saperi, conoscenze, relazioni e informazioni di cui il capitale si appropria

e arricchisce, senza però generare reddito, ma solo impoverimento’. In questa prospettiva, il reddito di cittadinanza potrebbe

essere inteso come quantitative easing for the people, una ‘forma di governance dello squilibrio strutturale del circuito

economico’ che si affianca all’imperialismo, al welfare e alla finanziarizzazione, vedi C Marazzi, 2016, Che cos’è il

plusvalore?, Edizioni Casagrande, Bellinzona, pp. 82-83. A favore di un reddito minimo universale vi è anche chi fa leva

sulla promozione delle libertà individuali, ad esempio P Van Parijs, 1995, Real Freedom for All: What (If Anything) Can

Justify Capitalism, Clarendon Press, Oxford; oppure, chi ritiene che sapere, conoscenza e capitale sociale accumulati da chi

ci ha preceduto appartengano a tutti, siano un bene comune. Il reddito minimo universale consentirebbe di condividerlo,

creerebbe capacità sufficienti alla condivisione.

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Questo tema ha implicazioni sulla configurazione delle formazioni sociali urbane e la loro mobilità,

sulla costruzione della città fisica, ma anche sulla sua manutenzione e gestione. In generale, sulle

‘atmosfere’ urbane. Sono rilevanti anche gli innesti su teorie e pratiche del planning.

Si tratta, nella quasi generalità dei casi, di forme spurie e non di vero reddito di base, svincolato

dall’obbligo di accettare un lavoro (se si trova) secondo il principio del workfare. Una forma simile,

denominata B-Mincome, è stata adottata a Barcellona, analoga al sussidio di ultima istanza

discrezionale adottato in Italia con il cosiddetto ‘reddito di inclusione’ (Rei)67. In America Latina, in

Africa e in India sono stati effettuati diversi esperimenti con esiti interessanti e a volte contraddittori.

Ma al di là degli esiti e degli approcci seguiti, in questi esperimenti risulta abbastanza evidente come la

valutazione non costringa la politica ad abdicare. E neppure la politica si ritrae irresponsabilmente

affidando alla valutazione compiti impropri. Cerca semplicemente di ‘capire’ con un esperimento dal

vivo, di cui sono note implicazioni e limiti, che cosa potrebbe generare una determinata politica sociale.

Ad Oakland, in California, l’imprenditore Sam Altman di Y Combinator intende sperimentare dal 2018

un reddito di base su 3000 persone come rimedio alla perdita di occupazione causata dalla automazione

e come riconoscimento dell’autonomia delle persone68.

Vi sono tuttavia importanti precedenti, per certi versi più radicali di quanto non stia accadendo in tempi

più recenti. Durante la cosiddetta ‘guerra alla povertà’ lanciata all’inizio degli anni ’60 del secolo

scorso dalla presidenza di L B Johnson e anticipata da J F Kennedy il Congresso sostenne alcune

riforme del welfare. Una di queste riguardava il reddito minimo. Vennero allo scopo avviati alcuni test

sperimentali su grande scala in New Jersey, Pennsylvania, Iowa, North Carolina, Seattle e Denver con

l’obiettivo di rispondere a tre quesiti: a) la gente avrebbe lavorato significativamente di meno se

beneficiava di un reddito garantito? b) il programma sarebbe stato troppo oneroso? c) il programma

sarebbe stato realizzabile dal punto di vista politico? La ricerca evidenziava che il numero delle ore

lavorate a livello individuale e familiare non era significativamente calato e che la leggera flessione era

comunque compensata da attività utili, come la ricerca di un lavoro migliore o un aumento delle attività

casalinghe di routine, di manutenzione ordinaria della casa e così via. L’esperimento durò circa quattro

anni, dal 1964 al 1968, e nel 1968 cinque famosi economisti J K Galbraith, H W Watts, J Tobin, P

Samuelson e R Lampman inviarono una lettera al Congresso citata in prima pagina dal New York

Times: ‘La nazione non avrà onorato le sue responsabilità finché non sarà garantito a tutti nel paese un

reddito non inferiore alla definizione ufficiale di povertà’69. Una ‘via capitalistica al comunismo’, si

potrebbe dire, sostenuta dallo stesso presidente Nixon che la riteneva ‘la riforma più importante del suo

programma’70. Il progetto venne rimpallato fra Camera e Senato fino al 1978 quando fu

definitivamente accantonato per una imprevista scoperta nel test di Seattle. L’analisi dei dati, oltre a

migliori performance scolastiche e sanitarie, evidenziava un aumento dei divorzi del 50%. Sembrava

che il reddito di base ‘(concedesse) troppa indipendenza alle donne’71, ipotesi confutata dieci anni dopo

sulla base di una nuova analisi dei dati che metteva in luce un imperdonabile strafalcione statistico.

Un’ esperienza svolta nel periodo più ottimista della experimenting society nordamericana è quella di

Dauphin (Manitoba, Canada). Dal 1974 al 1979 l’amministrazione provinciale e il governo federale

canadese hanno garantito un reddito di base agli abitanti meno abbienti di Dauphin come stimolo al

67 R Ciccarelli, ‘Reddito di base? Sì grazie a Zurigo, in Scozia e in Olanda, il Manifesto, 10/12/2017, p. 6. 68 La definizione di autonomia è in questo caso contraddittoria. Se l’imprenditore sembra condividere una spinta utopica e

radicale, chi vi si oppone tende a riconoscere una dipendenza da una fonte di reddito garantita. 69 ‘Economists Urge Assured Income’, New York Times, 28/5/1968, cit. in R Bregman 2017, Utopia per realisti. Come

costruire davvero il mondo ideale, Feltrinelli, Milano, (ed. or. Utopia for realists, 2016), pp.38-41 (e nota 38, cap. 2). 70 Ivi, p. 41. 71 Ibidem.

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lavoro72. Attualmente, il Governo provinciale dell’Ontario (Canada) sta erogando un reddito a tutti gli

abitanti in tre aree selezionate. L’esperimento ha durata triennale e si concentra sulla dignità della

persona piuttosto che sugli effetti occupazionali, diminuendo la povertà, l’insicurezza alimentare e i

problemi di salute mentale provocati dalla precarietà.

Le recenti esperienze in corso in alcune città olandesi e finlandesi73 hanno avviato un interessante

dibattito su obiettivi, strategie ed esiti e quindi sul senso di queste politiche a livello locale. Il Governo

federale finlandese sta sperimentando con 2000 disoccupati un reddito di 560 euro in contanti (pari al

72 L’esperimento (denominato Mincome e interrotto per un cambio di amministrazione) cercava di testare un’ipotesi allora

non comune, ovvero se un reddito annuale incondizionato disincentivasse la propensione al lavoro dei beneficiari e se sì di

quanto. Ogni nucleo familiare riceveva il contributo in cash e chi lavorava se lo vedeva ridotto di 50 cent per ogni dollaro

guadagnato. I risultati hanno evidenziato un certo impatto sul mercato del lavoro locale. Le ore lavorate sono diminuite

complessivamente dell’1% per gli uomini, del 3% per le donne sposate e del 5% per le nubili. Alcuni ritengono queste

variazioni sottostimate, perché i beneficiari sapevano che l’esperimento sarebbe finito prima o poi. In ogni caso, la

riduzione nelle ore lavorate risultava compensata dal tempo aggiuntivo dedicato alla famiglia e all’educazione. Si registrava

cioè un diverso utilizzo del tempo il cui valore poteva essere agevolmente stimato ricorrendo a costi-opportunità. I genitori

dedicavano più tempo ai figli e aumentava la partecipazione a corsi di formazione permanente. Contemporaneamente, gli

studenti miglioravano le prestazioni scolastiche in termini di frequenza, votazioni, promozioni, ma anche impieghi meglio

qualificati e retribuiti. Non è stata effettuata una valutazione conclusiva dell’esperienza, ma Evelyn L Forget (direttrice del

Centro Ricerche dell’Università di Manitoba) ha elaborato (nel 2009-11) le informazioni disponibili mettendo in luce aspetti

ancor più interessanti. Solo le madri giovani e i teenager diminuivano significativamente le ore lavorate. E quelli che

continuavano a lavorare avevano l’opportunità di scegliere il lavoro preferito. Durante il periodo in cui si svolgeva

l’esperimento le visite ospedaliere sono diminuite dell’8.5%, con significativa diminuzione degli incidenti di lavoro,

riduzione delle emergenze per incidenti stradali e abusi domestici. Sono anche diminuite le ospedalizzazioni psichiatriche e

il numero di visite specialistiche in malattie mentali, vedi Evelyn L Forget, 2011, The Town with No Poverty. Using Health

Administration Data to Revisit Outcomes of a Canadian Guaranteed Annual Income Field Experiment, University of

Manitoba. In quanto a salute e reddito, E Forget è riuscita a riconoscere ricadute del reddito di base anche sulla generazione

successiva. Mincome resta a tutt’oggi il maggiore esperimento al mondo sul reddito di base 73 R Fulterer, ‘I Paesi Bassi sperimentano il reddito di base’, Internazionale 28/8 – 3/9 2015, p. 94. In Finlandia un

esperimento sul reddito di base è stato lanciato nel 2017. Duemila disoccupati tra i 25 e i 58 anni, selezionati casualmente

dal Kela (Istituto nazionale di previdenza sociale), percepiscono 560 euro al mese esentasse (inferiore comunque al minimo

vitale) senza l’obbligo di accettare un lavoro vincolante all’ottenimento del sussidio o di rinunciarci in caso di impiego. A

questa sperimentazione, della durata di due anni e per la quale sono stati stanziati 20 milioni di euro, dovrebbe seguire un

test su una imposta negativa sul reddito e una sperimentazione basata sul ‘credito universale’ ad integrazione di sussidi

come il diritto all’abitare o ad altre forme di sostegno al reddito. La mancanza di vincoli, a differenza di altre forme di aiuto

ai disoccupati, è il fattore più innovativo dell’esperimento il cui obiettivo non è soltanto valutare l’efficacia del reddito di

base universale ai fini del reinserimento nl mercato del lavoro, ma verificare soprattutto se il reddito di base aumenta il

benessere o se aumenta la propensione ad un lavoro non pagato, sotto-pagato, di tipo solidaristico o comunque estraneo a

logiche di mercato. In una intervista alla fine di dicembre 2018, il referente scientifico di Kela Olli Kangas ha dichiarato che

un obiettivo non marginale dell’esperimento è valutare come la questione del reddito di base venga trattata dai politici e dai

media. Alcune indicazioni già emergono in proposito. E Hartikainen, esperto in economia circolare del Sitra (Fondo

finlandese per l’innovazione) riferisce di giudizi positivi di soggetti appartenenti al gruppo sperimentale, soprattutto per

l’assenza di adempimenti burocratici nelle ricerca di lavoro. Indagini sugli effetti della sperimentazione rivelano come i

partecipanti si sentano meno stressati e liberi di vivere, ma soprattutto come il reddito diventi espressione di un diritto

fondamentale della persona che già produce ‘plusvalore’, oggi in modo crescente mediante l’uso di piattaforme digitali.

Aggiornamenti in proposito sono forniti dal Basic Income Earth Network (Bien, http://basicincome.org/about-bien/ ). Va

infine sottolineato che queste sperimentazioni, se da una lato consentono di capire se e come si può conciliare un reddito

universale con le esigenze di bilancio pubblico, esse spingono a guardare alla dimensione macro in termini più generali sia

dal punto di vista economico che sociale. Come ricorda E Hatikainen, in una valutazione macro si dovrebbero considerare ‘i

costi sociali negativi di un aumento della disoccupazione, dei sussidi, della criminalità: l’alternativa potrebbe in definitiva

essere più dispendiosa del costo diretto del reddito di base universale’, in M Pignatelli, ‘La Finlandia archivia il reddito di

base universale’, Il Sole 24 Ore, 27/12/2018. Non può sfuggire la contraddizione (un po’ bizzarra per la verità) fra titolo

dell’articolo e suoi contenuti.

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sussidio di disoccupazione) inteso come strumento contro le difficoltà di reimpiego. In Olanda hanno

avviato, o stanno comunque discutendo, queste esperienze le città di Wageningen, Utrecht, Tilburg,

Maastrict, Deventer, Nijmegen, Amsterdam e Groningen.

Verso la fine del 2015 la Giunta municipale di Utrecht74 ha avviato un progetto sperimentale (progetto

pilota) denominato basic income, una sorta di reddito di base incondizionato che dovrebbe permettere a

persone, già beneficiarie di un sussidio sociale, di ricevere ogni mese per due anni tra 900 e 1300 euro

mensili (a seconda dello status familiare) senza alcun tipo di obbligo o condizione. ‘Sia chiaro, io non

sono né contro né a favore’, dice Victor Everhardt l’assessore al lavoro, ‘ma è un dato di fatto che il

nostro sistema di welfare non funzioni più come una volta. Così abbiamo deciso di sperimentare cosa

può accadere se a persone che già ricevono assistenza, seppur vincolata a una serie di comportamenti,

forniamo lo stesso tipo di aiuto economico slegato da qualsiasi forma di obbligo. Che cosa faranno?

Passeranno il loro tempo seduti sulla poltrona a guardare la tv oppure, senza tutte le limitazioni

imposte, avranno tempo, modi e capacità per reinventarsi una vita? ’75. La Utrecht University School of

Economics76, incaricata dello studio, valuta se gli obblighi connessi alla erogazione di forme di

assistenza sociale (come accettare lavori modesti e non graditi, lontani da casa o senza prospettive di

mobilità sociale, pena decurtazione dei sussidi) incentivino significativamente le persone a trovare

lavoro; oppure, se responsabilizzarle garantendo uno stile di vita e un lavoro più flessibile non possa

costituire una alternativa migliore77. I gruppi sperimentali e di controllo sono composti da 300 persone

scelte fra le 9000 che già ricevono assistenza nelle città di Utrecht. Il gruppo sperimentale (con reddito

di base senza limitazioni) verrà confrontato con un primo gruppo di controllo formato da persone che

manterranno il sussidio tradizionale e con un secondo gruppo di controllo composto da soggetti che

riceveranno il sussidio, ma con minori obblighi.

Queste esperienze e le discussioni sugli esiti evidenziano come l’argomento stia entrando nell’agenda

della politica economica anche come risposta alla crisi dei sistemi di welfare nell’economia liberista78.

In Scozia il Gabinetto governativo delle comunità, sicurezza sociale ed eguaglianza sta finanziando con

250.000 sterline l’avvio di studi di fattibilità per progetti-pilota. Glasgow ha attivato un programma

pilota di reddito minimo in partnership con la Royal Society of Arts e nel 2017 ha avviato una

valutazione di efficacia dell’operazione e uno studio di fattibilità sul progetto municipale di base.

In Italia, la città di Livorno ha lanciato un esperimento di reddito minimo nel 2016 su 200 famiglie a

rischio di povertà, seguita da Napoli e da altre città. Il dibattito è acceso, come in occasione della

manovra governativa 2018, ma alle verifiche empiriche e agli studi sul campo si preferiscono più

comode argomentazioni ideologiche. Un referendum effettuato nel 2016 in Svizzera ha registrato una

forte opposizione (quasi il 77%) alla introduzione del reddito di base incondizionato79, ma non ha

74 Stanno pianificando esperimenti simili altre città olandesi come Tilburg, Groningen, Nijmegen e Wageningen. La

diffusione di questi esperimenti è motivata da un permanente deficit di domanda di lavoro a fronte di un sistema di welfare

che assume la possibilità di azzerarlo, se non trasformarlo in saldo positivo. Se il deficit permane o si aggrava, l’efficacia,

l’efficienza e la stessa equità del sistema di welfare potrebbero ridursi considerevolmente. 75 Intervista di G Malatesta a V Everhardt pubblicata in La Repubblica - Il Venerdì, 20/11/2015, pp. 57-58. 76 Responsabile del progetto è Loek Groot. 77 Non va dimenticato che l’Olanda nel 2015 registra un tasso di lavoro part-time pari al 45% (il più elevato nella Ue) e un

tasso di disoccupazione del 7%, inferiore alla media Ue. 78 Inteso come ‘diritto all’esistenza’, e non solo al lavoro, viene discusso da G Bronzini, 2018, Il diritto a un reddito di base,

Edizioni Gruppo Abele e, più in generale, nella letteratura sul Comune vs. capitalismo cognitivo. 79 La proposta prevedeva un reddito mensile, dalla nascita alla morte, di 2.500 franchi elvetici (circa 2.250 euro) per gli

adulti e di 625 franchi (560 euro) per i minorenni, a sostegno della dignità umana e del servizio pubblico. Secondo i

promotori in Svizzera si perdono sempre più posti di lavoro a causa dell'automazione e una percentuale significativa di

persone svolge un lavoro non riconosciuto e non pagato, come la cura dei bambini o di parenti malati o anziani.

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scoraggiato il movimento Dein Grundeinkommen (‘il tuo reddito di base’) che ha proposto un nuovo

test. Una sperimentazione simile è stata proposta dai Verdi a Losanna con il revenu de base

inconditionnel.

Nell’esperimento di Utrecht80 i beneficiari (circa 300 e già titolari di sussidio sociale) riceveranno a

determinate condizioni circa 1000 euro al mese in forma di sussidio o come reddito di base

incondizionato. Mentre il sussidio viene percepito durante il periodo di disoccupazione, il reddito di

base può continuare ad essere riscosso anche se il beneficiario inizia a lavorare. Il reddito di base

sarebbe quindi indipendente dalla condizione lavorativa e l’obiettivo dell’esperimento non

riguarderebbe tanto le variazioni delle condizioni di vita dei beneficiari quanto ‘stabilire se il controllo

e le pressioni degli uffici di collocamento sono davvero necessari per motivare i disoccupati a cercare

un impiego o a seguire un corso di specializzazione’81.

L’esperimento (nella logica dell’experimenting society) sta generando un dibattito interessante che non

sembra riguardare in modo prioritario il ruolo degli uffici di collocamento e più in generale

dell’amministrazione pubblica. Vi è chi ritiene che la scelta di non lavorare dipenda dall’entità del

reddito assegnato al beneficiario contro l’opinione di chi ritiene siano altri i fattori determinanti: lo stile

di vita, ad esempio, le strategie di sopravvivenza, la densità delle relazioni familiari o sociali,

l’impegno sociale, e così via. Già queste opinioni pongono interessanti domande alla ricerca valutativa.

Ma un argomento non certo irrilevante riguarda l’attribuzione del reddito di base (o minimo). Deve

limitarsi ad alcune categorie di beneficiari e quindi dipendere da alcune condizioni (da cui la

definizione di ‘reddito di base condizionato’) o va esteso a tutti, incondizionatamente? In questo

secondo caso, che implicazioni potrebbe avere sulle politiche locali di welfare e sulle trasformazioni

sociali?

Molto più radicale è la posizione di B Stiegler che, contro il rischio di riempire la società automatica di

‘discariche sociali’, propone un ‘reddito di de-proletarizzazione generalizzato’82. L’insopportabile

entropia climatica, biologica (alimentazione e relazione con altre specie), informatica (con la stupidità

che emerge come fattore dominante) ed economica rendono l’umanità manipolabile e sempre più

vulnerabile. Favorire una sorta di de-automatizzazione abbinata al reddito generalizzato pone al centro

lo ‘scarto dalla norma’.

Il reddito di base, nonostante lo stigma che lo connota anche sul versante dell’economia classica e

marxista, verrebbe a sostituire altri sussidi previdenziali o servizi pubblici come le scuole dell’obbligo

e l’assistenza sanitaria modificando radicalmente le politiche locali di welfare sia dal punto di vista

della domanda che dell’offerta83. Ma potrebbe anche avere importanti effetti sociali, positivi e negativi.

80 L Doré, 2015, ‘Dutch city of Utrecht to experiment with a universal, unconditional 'basic income'’, The Independent

(2015-06-26). 81 Ibidem. 82 B Stiegler, 2019, La società automatica. 1. L’avvenire del lavoro, Meltemi Editore. Vedi anche T Numerico, B Vecchi,

‘L’indispensabile scarto dalla norma’ (intervista a B Stiegler), il Manifesto, 9/10/2019. 83 In questa prospettiva potrebbero essere considerate alcune esperienze sui senza fissa dimora in diverse città. La Joseph

Rowntree Foundation (http://www.jrf.org.uk/pu) documenta quella londinese in J Hough, B Rice, 2010, Providing

Personalised Support to Rough Sleepers. An Evaluation of the City of London. Che i ‘soldi gratis non impigriscano la gente’

è documentato anche da GiveDirectly, riconosciuto da GiveWell (istituzione di valutazione di enti benefici) fra le top

charities sulla base di quattro criteri: efficacia motivata (evidence of effectiveness), costi-efficacia, trasparenza, e possibilità

di finanziamento aggiuntivo con efficacia marginale crescente. La letteratura sugli effetti delle ‘sovvenzioni’ condizionate e

non condizionate è molto ampia e per alcuni riferimenti vedi R Bregman 2017, Utopia per realisti. Come costruire davvero

il mondo ideale, Feltrinelli, Milano, (ed. or. Utopia for realists, 2016), in particolare il cap. 2 ‘Perché dovremmo regalare

soldi a tutti’. Fra gli effetti più significativi del ‘denaro gratuito’ vanno ricordate le azioni di contrasto alla povertà che

spesso contribuiscono a ridurre la criminalità, a contenere la mortalità infantile, la malnutrizione e le gravidanze minorili, la

dispersione scolastica, aumentando la crescita economica e l’uguaglianza di genere, rendendo meno tragica l’infanzia. In

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Potrebbe consentire alle persone di occuparsi di più della propria formazione (in senso lato), di

bambini, anziani, infermi, di manutenzione e sicurezza della città, di accoglienza e così via. Non va

sottovalutata comunque la possibilità che in certi casi possa favorire attività socialmente inutili e

pericolose.

Le domande poste in questo caso alla ricerca valutativa sono diverse, una fra tutte: il reddito di base

incondizionato è una buona idea per semplificare il welfare? Siamo sicuri che, a parità di prestazioni

attese, non lo complichi o non lo indebolisca?

A titolo esemplificativo e limitandoci al reddito di base incondizionato, vediamo come si pongono

alcune domande in prospettiva EV o PV. La differenza di approccio non è procedurale, ma sostantiva, e

ciò contribuisce a modificare il modo in cui si pongono le domande sia dal lato della domanda che

dell’offerta.

I due approcci differiscono per diverse ragioni, ma le più rilevanti sono ritenute le seguenti: ‘oggetto’ o

argomento della valutazione; attitudine valutativa del ‘soggetto’ o dei ‘soggetti’ nei confronti

dell’oggetto o dell’argomento della valutazione (l’attitudine può essere riconosciuta come ‘regola di

ingaggio’); modalità, forme e tipo di apprendimento durante l’azione valutativa; natura della

conoscenza acquisibile mediante azione valutativa; concetto di dialogo; base di autorità e expertise.

Di seguito una lista di possibili quesiti:

D1 E’ plausibile un reddito di base (Rb) erogato incondizionatamente e indipendentemente dalla condizione lavorativa del

beneficiario?

D2 Quali possono essere le implicazioni di Rb in termini di politiche locali di welfare e di gestione della città?

D2.1 Rb verrebbe a sostituire altri sussidi previdenziali o servizi pubblici come le scuole dell’obbligo e l’assistenza

sanitaria, con effetti sulle politiche locali di welfare sia dal punto di vista della domanda che dell’offerta (depotenziamento

del sistema di welfare o di sue parti)?

D3 Come possono cambiare i comportamenti dei beneficiari a seguito di Rb?

D3.1 motiva i beneficiari a cercare un impiego?

D3.2 motiva i beneficiari a dedicare il loro tempo ad altre attività? Se sì, quali e con quali costi-opportunità?

D3.4 vi sono altri fattori, oltre a Rb, che contribuiscono a modificare il comportamento dei beneficiari?

Lo stile di vita, le strategie di sopravvivenza, la densità delle relazioni familiari o sociali, l’impegno sociale, ecc. Rb è

sinergico con questi fattori?

D4 Quali possono essere le implicazioni di Rb sulle trasformazioni sociali?

D5 Rb contribuisce a semplificare il welfare o lo complica a parità di prestazioni? (ad esempio, aumenta o riduce i costi di

transazione sostenuti dagli uffici di collocamento o comunque dalla amministrazione pubblica?)

generale, ‘il ‘denaro gratuito’ contribuisce a ridurre le diseguaglianze, come evidenziato dallo studio condotto dalla

University of Manchester, Just Give Money to the Poor (2010). Lo studio ha evidenziato che le famiglie fanno buon uso dei

soldi, la povertà cala, possono esserci svariati vantaggi a lungo termine quanto a reddito, salute ed entrate fiscali. Ma

l’aspetto più interessante, e convincente, è che questi programmi costano meno delle alternative

(http://www.oecd.org/dev/pgd/46240619.pdf). Ad esempio, le analisi ex-post costi-benefici degli aiuti ai senzatetto in Usa,

Uk, Olanda e paesi scandinavi effettuate da Ministeri e National Accounting Office concludono che investire su un senza

fissa dimora offre rientri doppi o tripli grazie ai risparmi sui servizi sociali, sui costi di polizia e di tribunale. E ciò

considerando soltanto i risparmi per lo Stato, quando andrebbero contabilizzati anche quelli per imprese e residenti. Le

evidenze in tema di povertà infantile sono numerose: fra tutte, quelle fornite da D Hirsch, 2013, ‘An estimate of the cost of

child poverty in 2013’, Centre for Research in Social Policy e ‘Estimating the costs of child poverty, Joseph Rowntree

Foundation, 2008. JRF Analysis Unit aggiorna annualmente le analisi in Uk. A risultati analoghi giungono anche H J Holzer

et al., ‘The Economic Costs of Poverty in the United States. Subsequent Effects of Children Growing Up Poor’, Center for

American Progress (2008) e G J Duncan, ‘Economic Costs of Early Childhood Poverty, Partnership for America’s

Economic Success’, Issue Brief n.4 (febbraio 2008).

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Valutazione orientata ai costi

L’analisi dei costi (generalmente monetari) fornisce informazioni utili alla stima del valore

complessivo di un’azione. L’interesse esclusivo per i costi o l’impossibilità/difficoltà di stimare i

benefici monetari possono orientare verso l’analisi costi/efficacia C/E (cost effectiveness) o l’analisi

costi/utilità C/U (cost-utility). Si tratta di analisi mono-criteriali o multi-criteriali aggregate. C/E

consente di stimare i costi relativi al raggiungimento di un determinato obiettivo, come variano i costi a

parità di risultato atteso e come i costi possono variare con il grado (gradiente) di raggiungimento, data

una quantità di risorse limitate84. In altre parole, si assume siano disponibili diverse alternative per

raggiungere un obiettivo, ognuna dotata di potenziale efficacia a determinati costi. Si assume anche che

le efficace potenziali siano confrontabili, condizione non sempre garantita e influente su eventuali

meta-analisi. Trattandosi di un quoziente C/E, un’azione (anche nella forma più astratta di opzione) può

intervenire sia su C che su E. Se più sopra abbiamo considerato come varia E dato C, possiamo anche

verificare come potrebbe variare C dato E.

C/U evidenzia come può essere massimizzata l’utilità (associata ad un insieme di benefici anche

qualitativi) al minor costo. I diversi attributi di utilità associati ai benefici sono ponderati sulla base

delle preferenze dei soggetti coinvolti (promotori, investitori, produttori, beneficiari diretti e indiretti, e

così via), utilizzando la teoria della utilità multi-attributo, metodi diretti o indiretti, dispositivi di

ponderazione85/standardizzazione o approcci di teoria delle decisioni. Nelle analisi del rischio86 e nelle

valutazioni economico-finanziarie degli impatti ambientali si ricorre di frequente alla stima monetaria

dei danni e ai costi da sostenere per evitare un danno probabile (costi incrementali). Questi ultimi (detti

84 Vedi E Quade, 1971, A history of cost-effectiveness (P-4557), Rand Corporation, Santa Monica, CA,

http://www.rand.org/pubs/papers/2006/P4557.pdf. Come ci ricorda Quade, in un piacevole testo che inizia nella valle

dell’Eden, la versione moderna dell’analisi costi-efficacia deriva da una inedita combinazione di teoria economica,

ingegneria e ricerca operativa avvenuta poco prima della II Guerra Mondiale (1940-45). Secondo S A Marglin citato da

Quade (Public investment criteria, MIT Press, MA, 1967, p.16), un contributo economico seminale è del francese Jules

Dupuit (1844) che evidenzia come gli investimenti pubblici generino un monte-benefici superiore all’ammontare dei ricavi

da tassazione in una data comunità. Questo concetto è stato sviluppato da Pigou. Negli Usa, un significativo impulso alla

valutazione C/E (in affiancamento ad ACB) viene dalla approvazione di leggi a supporto di lavori pubblici come il River

and Harbor Act del 1902 e il Flood Control Act del 1936 con il coinvolgimento dei Corps of Engineers e del Bureau of

Reclamation per quanto concerne i progetti idraulici. Una ulteriore sistemazione della materia è avvenuta con il Green Book

del 1950. Per un quadro aggiornato su C/E vedi H M Levin, 1983, Cost-effectiveness analysis: A primer, Sage, Beverly

Hills, CA e il più recente H M Levin, P J McEwan, 2001, Cost-effectiveness analysis: Methods and applications (2nd

edition), Sage, Thousand Oaks, CA. 85 L’analisi gerarchica (analytic hierarchy process – AHP), impropriamente considerata tecnica valutativa, è una di queste

procedure di ponderazione. Le relazioni di importanza o di rilevanza fra criteri compongono le matrici di giudizio, per

costruzione dotate di determinante nullo. Un determinante è nullo quando esistono relazioni di dipendenza fra vettori riga o

colonna e la matrice dei giudizi presenta questo connotato. Ciò fa sì che l’equazione caratteristica Ax=λx (con A matrice dei

giudizi, x autovettore e λ autovalore) abbia un unico autovalore (detto appunto autovalore massimo), ovvero una unica

soluzione (o zero) a cui corrisponde l’autovettore. L’ autovettore rappresenta il vettore dei pesi dei criteri a confronto.

L’analisi gerarchica è stata sviluppata a partire dagli anni ’70 del secolo scorso da T L Saaty e dalla sua scuola, vedi T L

Saaty, 1980, The Analytic Hierarchy Process, McGraw-Hill, New York. Una versione più generale in grado di operare con

più matrici dei giudizi è l’analytic network process (ANP), utilizzata nella multi-criteria decision analysis e nelle analisi

Swot. Un utilizzo di AHP limitato a fini ponderali nell’ambito di analisi multicriteriali è proposto dal software DEFINITE,

vedi R Janssen, M van Herwijnen, E Beinat, 2001, DEFINITE for Windows. A system to support decisions on a finite set of

alternatives (software package and user manual). Institute for Environmental Studies (IVM), Vrije Universiteit: Amsterdam. 85 L’opzione definisce una possibilità, mentre l’alternativa una necessità. La funzione valutativa F può operare su entrambi i

versanti con coerenti specificazioni. 86 In generale, l’analisi di rischio viene effettuata per rispettare o definire standard di controllo.

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anche avoidance cost, costi di mitigazione o di controllo) evidenziano la differenza fra ciò che si

spenderebbe in uno scenario do nothing o business as usual (Bau) rispetto ad uno scenario

precauzionale. Si tratta di una analisi C/E che consente di stimare il costo minimo per diminuire di una

certa quota l’impatto (target). Il target ottimale (ad esempio, un livello di emissione) si trova

all’intersezione della curva del costo marginale di mitigazione (marginal avoidance cost) e la curva di

danno sociale marginale (marginal social damage). L’intersezione identifica il prezzo-ombra.

L’impatto è considerato ottimale quando i costi marginali sociali di un suo contenimento corrispondono

ai benefici sociali addizionali generati dal danno evitato.

Il nesso fra conseguenze economico-finanziarie di un impatto ambientale e variazioni fisiche (ad

esempio fra costi di emissione e realizzazione di una infrastruttura stradale in contesti climatici definiti)

viene generalmente catturato da modelli di impatto integrato (Integrated assessment models – Iam)87.

Un criterio di efficacia utilizzabile in condizioni conoscitive favorevoli è il rapporto fra rischio residuo

e costi di mitigazione, oppure fra rischio residuo e valore del danno.

In campo filantropico si valutano programmi di cooperazione e aiuto in termini di efficacia della

donazione (grant) e del donatore (relazione fra sua mission e fabbisogni), oltre all’impatto sociale del

programma. Problemi di responsabilità e rendicontazione (social accountability rispetto ad obiettivi,

processi e risultati) non soltanto tecnica spostano le istanze valutative verso modelli di apprendimento,

buone pratiche e approcci di tipo partecipativo coinvolgendo i beneficiari (vedi philantropic

evaluation).

Analisi costi-benefici (Acb) aggregata o disaggregata

Tre principi su comparazione, conseguenze e additività

Acb, in versione ridotta o estesa, appartiene ad una classe di tecniche di valutazione economico-

finanziaria di progetti pubblici, di interesse collettivo o comune88. Essa ha ispirato una vasta letteratura

orientata a questioni analitiche, metodologiche e pratiche dalla metà del secolo XX anche se le

premesse teoriche e metodologiche sono state discusse da J Dupuit fin dalla metà del XIX secolo89.

87 Vedi R A Ortiz, A Markandya, 2009, ‘Integrated impact assessment models of climate change with an emphasis on

damage functions: a literature review’, BC3 Working Paper Series. Gli autori dividono gli Iam in tre gruppi. Il primo

riguarda modelli di valutazione integrati (fully integrated assessment model) con modulo su struttura e dinamica

dell’economia (incluso il settore energetico) e moduli su clima e danni. Il secondo gruppo comprende modelli di equilibrio

generale non calcolabile (non-computable general equilibrium model) con moduli relativi al clima e al danno. L’eventuale

modulo energetico non è accompagnato da alcuna procedura di ottimizzazione economica, né da scenari ‘esogeni’. Il terzo

gruppo riguarda i modelli di equilibrio generale calcolabile (computable general equilibrium model) orientati

all’ottimizzazione economica su più settori, ma senza modulo climatico. 88 Acb si presta alla valutazione di investimenti pubblici in progetti intesi come ipotesi operative di trasformazione o

conservazione di un determinato contesto ancorate a specifiche istanze, scenari, piani o programmi. I progetti dovrebbero

essere dotati di un modello riconoscibile di acquisizione e impiego delle risorse in un dominio spazio-temporale limitato e

riconoscibile, ancorché incerto e interessato da effetti esterni attesi e inattesi (ring fenced). Ad Acb si affiancano altre

tecniche o metodi, come il metodo delle risorse interne (Mri), il metodo della protezione effettiva (Mpe) e il metodo degli

effetti (Me) di scuola francese. Mri e Mpe sono stati spesso applicati in paesi detti ‘in via di sviluppo’ o in fase di rapida

industrializzazione con l’obiettivo di identificare i settori dotati di maggior vantaggio comparato, vedi G Pennisi (a cura),

1985, Tecniche di valutazione degli investimenti pubblici, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma, pp. 145-163. 89 J Dupuit é un economista e ingegnere civile francese impegnato nel Corps des Pontes et Chaussées. In ottica marginalista,

perfeziona i concetti di surplus del produttore e del consumatore con cui stima il beneficio sociale totale. Introduce Acb per

valutare l’utilità effettiva della costruzione di un’opera pubblica.

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Acb si basa su tre principi generali che la configurano come approccio più che come metodo

valutativo90: la comparazione esplicita fra priorità concorrenti, l’attenzione alle conseguenze

dell’azione oggetto di valutazione, il ricorso a contabilità additiva (additive accounting). Questi

principi attivano procedure di identificazione, sconto, comparazione e sintesi nell’arco di vita di un

progetto appartenente ad un determinato dominio spazio-temporale.

La valutazione è comparazione (conflitto) fra pro e contro, vantaggi e svantaggi, costi e benefici. Può

effettuarsi in modo implicito, intuitivo o routinario come generalmente accade nelle decisioni personali

o all’interno di determinate procedure progettuali e pianificatorie, oppure in modo esplicito quando

occorra render conto ad altri (e/o a se stessi) di ciò che si fa. Un’azione privata importante o con effetti

‘pubblici’ potrebbe richiedere una valutazione esplicita, così come potrebbe essere richiesta ad un

soggetto pubblico vincolato ad un mandato o ad un budget di spesa.

Acb valuta le conseguenze (o gli effetti) delle decisioni in termini di efficienza91, ovvero in termini di

costo e beneficio economico (consequential evaluation). Le conseguenze possono essere di vario

genere: inclusive del grado di soddisfazione o di raggiungimento di un obiettivo, come suggeriscono gli

utilitaristi; riferite a condizioni e modalità di attuazione (performance), oppure al rispetto di particolari

regole e diritti. Poiché il consequenzialismo è uno dei connotati dell’etica utilitarista, l’approccio

utilitarista tende a ridurre la valutazione a ‘scienza delle conseguenze’. Ma i limiti dell’approccio

emergono con chiarezza quando, ad esempio, della conseguenza si intenda riconoscere la ‘giustezza’;

oppure quando occorra tener conto di capacità, impegni e obbligazioni indipendentemente dalla loro

giustezza. L’indipendenza dalle conseguenze offre in questo caso una opportunità92, oltre a porsi come

istanza plausibile.

Acb (e veniamo al terzo principio) non si limita a fondare le decisioni su costi e benefici

opportunamente monetizzati, ma cerca di stimare i benefici netti attualizzati come differenza benefici-

costi lungo il ciclo di vita del progetto. Mentre i benefici sono riconosciuti e aggregati (nei limiti del

possibile) sulla base di opportune ponderazioni e trade-off, i costi sono riconosciuti in termini di

opportunità o benefici perduti. Così benefici e costi si posizionano in uno stesso ‘spazio semantico’93.

L’aggregazione (alla base della attualizzazione) avviene per addizione lungo il flusso di cassa e uno dei

criteri unici di sintesi, il valore attuale netto (Van), si presenta a tutti gli effetti come somma ponderata:

somma del prodotto dei benefici netti scontati per il fattore (o i fattori) di sconto.

Occorre tuttavia sottolineare che l’addizione è una delle tante forme aggregative assieme alla

moltiplicazione, al prodotto logico e così via. Infatti, costi e benefici possono essere rappresentati da

funzioni concave o convesse, sigmoidali o a gradino (step-function), forzando la costanza dei pesi e il

formato lineare. Ciò porta alla stima dei cosiddetti prezzi-ombra (e quindi di fattori di correzione)

variabili, evidenziando come la forma additiva soffra di semplificazione. Non solo: ma rischi anche di

influire sullo stesso riconoscimento dei valori e quindi sui valori assunti dai criteri unici di sintesi (Sri,

Van, B/C e così via).

90 A Sen, 2000, ‘The discipline of cost-benefit analysis’, Journal of Legal Studies, vol. XXIX, June, pp. 931-952, passim. 91 L’efficienza evidenzia in che misura un progetto raggiunge un rendimento superiore al costo-opportunità del capitale

impiegato o genera benefici a costo minimo rispetto ad altre opzioni o alternative. L’operazione è richiesta (e possibile) se

vigono condizioni di valutabilità. 92 ‘The world of costs and benefits (which includes taking note of the badness of nasty actions and of violation of freedoms

and rights) is quite a different decisional universe from the sledgehammer reasoning of consequence-independent duties and

obligations’, A Sen, 2000, p. 938. 93 Ibidem.

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Adottando questi principi, Acb diventa uno strumento tipico dell’economia lineare94 di impianto

utilitaristico anche se negli anni ha ibridato principi di economia neo-classica con principi di economia

keynesiana, specie con riferimento alle interazioni fra stato e mercato, fra società e ambiente, fra

mercato e ambiente.

Valore economico vs valore finanziario

Acb è alla base della valutazione degli investimenti pubblici95, degli investimenti privati con

implicazioni pubbliche, ma anche del riconoscimento monetario dei valori presenti nei beni pubblici,

meritori e comuni96. Questo tipo di valutazione tende a ‘catturare’, secondo logica comparativa, le

componenti di valore monetarie o monetizzabili (ambientali, culturali, sanitarie, estetiche, ecc.) con

azioni di supplenza rispetto al mercato e al comportamento di singoli (o gruppi di) individui. Anche

quando rispetta principi di competitività, il mercato non è sempre in grado di (o non intende)

riconoscere il ‘reale’ valore dei beni sulla base del sistema dei prezzi: e ciò per la presenza di

condizionamenti amministrativi, forme di monopolio o oligopolio collusivo, fiscalità, dumping e così

via. La difficoltà è evidente in presenza di esternalità positive o negative (differenza fra costi o benefici

marginali individuali e sociali), ma si presenta soprattutto nella mutevole accezione di benessere,

spesso appiattita a mera utilità o affidata ad indicatori ancillari come i Bes (benessere equo e

sostenibile) o indicatori di altro tipo utilizzati in procedure di ranking.

In termini operativi, e molto semplificati, Acb può essere considerata una tecnica di valutazione

economico-finanziaria fondata su due tipi di analisi: l’analisi finanziaria e l’analisi economica.

94 L’accezione ‘lineare’ è da contrapporsi a quella ‘circolare’. L’impiego di Acb in un contesto di economia circolare, oltre a

misurarsi con scenari specifici, può richiedere significativi aggiustamenti concettuali e parametrici (surplus del

consumatore, fattori di correzione, saggio sociale di sconto e così via). Gli scenari di riferimento possono significativamente

orientare le stesse analisi di sensitività sui criteri unici di sintesi e di robustezza su parametri e decisioni pubbliche. 95 La manualistica e il dibattito sull’approccio Acb interessano una letteratura vastissima. Avviata nella seconda metà del

XIX secolo per l’ottimizzazione della spesa pubblica in sede nazionale, Acb si è sviluppata in Usa nel periodo successivo

alla crisi del ’29 (vedi esperienza della Tenessee Valley Authority) per poi diffondersi con le istituzioni di Bretton Woods e

le politiche di cooperazione internazionale. La World Bank ha giocato un ruolo rilevante in proposito. In ambito europeo,

vedi European Union, DG Regio, 2014, Guide to Cost-benefit Analysis of Investment Projects, Bruxelles. In Italia, con DM

16/6/2017 n.300, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha emanato le Linee guida per la valutazione degli

investimenti in opere pubbliche di propria competenza. Queste Linee guida recepiscono le Linee Guida della Commissione

Ue del 2014 e contribuiscono ad attivare un nuovo approccio alla programmazione infrastrutturale fondato su: a)

valutazione ex-ante dei fabbisogni infrastrutturali con l’utilizzo del modello matematico di simulazione del sistema

nazionale integrato dei trasporti SIMPT (sistema informativo per il monitoraggio e la pianificazione dei trasporti del MIT);

b) valutazione ex-ante delle singole opere indicata dal Codice degli appalti come ‘progetto di fattibilità tecnica e

economica’; c) criteri di selezione delle priorità di investimento non solo di tipo economico finanziario (efficienza), ma

anche di efficacia (raggiungimento degli obiettivi strategici di politica infrastrutturale; d) riduzione di tempi e costi di

attuazione; e) metodologia di avanzamento dei lavori (in itinere) e di misurazione degli impatti effettivi delle opere (ex-

post), vedi A S Bergantino, A Boitani, ‘Usi e abusi dell’analisi costi-benefici: le valutazioni degli investimenti ferroviari’, in

E Cascetta (a cura), 2019, Perché TAV, Risultati, prospettive e rischi di un Progetto Paese, Edizioni Il Sole 24 Ore, Milano,

pp. 181- 204. 96 Le decisioni pubbliche richiedono, per ragioni di rendicontazione e trasparenza, più valutazione esplicita delle decisioni

private o delle azioni personali. Le istanze possono essere generali o particolari, rivolte alla plausibilità o alla attuazione di

un progetto riferito ad un piano, programma o politica. Non va tuttavia esclusa la possibilità di giungere ad ‘accordi

incompleti’ (nel senso di parzialmente documentati e motivati) come sostiene C Sunstein in Legal Reasoning and Political

Conflict (1996). Questi accordi informano di frequente le decisioni pubbliche proprio per la loro parziale (e non

necessariamente preliminare) articolazione. Ciò espone la valutazione esplicita a problemi sia nel dominio pubblico che in

quello privato.

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L’analisi finanziaria identifica i flussi di cassa nell’ottica dei diversi stakeholder, compresa

l’amministrazione pubblica. In questa parte dell’analisi si identificano e quantificano costi di vario

genere, ricavi (fatturato), benefici, tassazione, agevolazioni, incentivi, interessi sul debito e così via.

L’analisi economica contabilizza costi e benefici in ottica collettiva, recuperando eventuali effetti

distributivi con opportune ponderazioni97. L’assenza di ponderazioni è di per sé una scelta.

Nell’analisi economica che sta alla base di Acb, i costi non rappresentano le ‘spese’, bensì il consumo

di risorse scarse sottratte ad usi alternativi (costi-opportunità). Le spese vanno infatti depurate da ciò

che non è consumo reale di risorsa ovvero dai trasferimenti di risorse disponibili mediante tariffe,

imposte e altri dispositivi. Se queste componenti non venissero escluse si produrrebbero ‘duplicazioni’,

ovvero sovrastime dei costi. Tuttavia, questa elisione potrebbe non essere del tutto motivata qualora

l’elasticità alla tariffa o all’imposta modificasse i benefici dei consumatori (variazione del surplus con

la regola della metà) e se la stessa Dap variasse con i comportamenti in modo significativo. Ad

esempio, minori accise sui carburanti potrebbero far aumentare il surplus. Un esito analogo potrebbe

derivare da un trasferimento modale da gomma a ferro che, riducendo il consumo di carburante,

potrebbe contribuire a ridurre le accise. Ciò non esclude una variazione di Dap (e quindi della

elasticità) con il passaggio modale. L’elisione potrebbe non essere del tutto motivata anche in relazione

al livello e alla composizione delle accise. Il livello potrebbe essere più alto di quello necessario ad

internalizzare le esternalità dovute ad emissioni inquinanti e ad altri fattori. La stessa composizione

potrebbe non riguardare queste esternalità, ma riferirsi ad altre motivazioni fiscali che nulla hanno a

che vedere con il progetto e con i suoi riferimenti programmatici98.

Le spese vanno depurate anche da eventuali imperfezioni di mercato che possono influire sui prezzi dei

beni e dei servizi utilizzati e generati dal progetto. Le imperfezioni possono essere dovute alla presenza

di forme di monopolio o oligopolio, alla presenza di prezzi amministrati o a forme di dumping sulla

commercializzazione internazionale di beni e servizi. Anche il tasso di cambio può essere un fattore

distorsivo se la moneta in oggetto è sopra o sottovalutata o se sono attivi uno o più mercati paralleli99.

La analisi dei benefici in ottica collettiva è più complessa dell’analisi dei costi. I benefici rappresentano

l’utilità (più in generale l’apprezzamento o la capacità) che i diversi soggetti di una comunità

esprimono o potrebbero esprimere rispetto agli effetti del progetto. Poiché i prezzi di mercato

generalmente non esprimono in modo adeguato questa utilità/capacità, o la ignorano in caso di

esternalità (positive), si ricorre alla disponibilità a pagare (Dap), tenendo conto che i soggetti di una

comunità non hanno la stessa capacità di spesa. Dap viene misurata ricorrendo alle ‘preferenze rivelate’

(revealed preference), se dal comportamento di un soggetto si ricava il valore attribuito all’azione, o

alle ‘preferenze dichiarate’ (stated preference) se all’interessato viene chiesto di scegliere fra Dap

97 Acb affronta sia problemi di efficienza che di equità (o distributivi). Identificare l’utilità marginale di un bene o servizio

con la disponibilità a pagare (Dap) di un consumatore significa tener conto dell’effetto reddito. Più alto è il reddito e

maggiore tende ad essere Dap. Il ricorso alla metrica monetaria implica quindi un giudizio di valore sulla distribuzione del

reddito esistente anche in relazione al fatto che i problemi distributivi sono soltanto in parte mitigati dalla comparazione fra

progetti diversi. Ogni progetto potrebbe, infatti, generare effetti distributivi diversi, vedi D W Pearce, C A Nash, 1981, A

Text in Cost-Benefit Analysis, Macmillan, London. In generale, si può sostenere che in qualsiasi valutazione viene introdotto

un giudizio di valore sulla distribuzione. 98 Il tema dell’elisione non va affrontato in modo additivo, né ci si può limitare a contrapporre la valutazione, al netto di

tutte le tasse, all’impiego di modelli di equilibrio generale, ponderando in qualche modo la variazione degli effetti distorsivi

della tassazione. 99 L’introduzione di monete digitali (ancorate a o disancorate da panieri di valute) potrebbe introdurre fattori distorsivi.

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alternative. In presenza di costi elevati o benefici perduti, Dap potrebbe essere affiancata dalla stima

della disponibilità ad accettare compensazioni (Dac)100. Le procedure di stima sono complesse,

manipolabili e connotate da una certa aleatorietà nelle valutazioni ex-ante ove richiedono anche

articolati modelli di simulazione e di scenario writing.

Procedura a cinque fasi

In sintesi, la procedura di valutazione economica si articola in cinque fasi: analisi dei costi e dei

benefici, selezione dei costi e dei benefici economici opportunamente corretti, comparazione fra costi e

benefici economici scontati, stima dei benefici netti e attivazione dei criteri unici di sintesi, analisi di

sensitività e di robustezza, ‘cattura’ degli intangibili rispetto ai valori assunti dai criteri unici di sintesi.

La comparazione consente di stimare il flusso di cassa scontato e i benefici netti a prezzi costanti101 e di

calcolare il valore attuale netto (Van), il saggio di rendimento interno (Sri), il rapporto benefici/costi

(B/C), il tempo ottimo di apertura, il tempo di recovery, e così via. Queste stime sono considerate

‘criteri unici di sintesi’ in quanto aggregano le informazioni relative ai costi e ai benefici scontati in un

unico valore monetario, la cui stabilità e robustezza è sottoposta a test di sensitività rispetto a variazioni

interne e/o esterne al progetto. Eventuali esternalità sono recuperate alla valutazione monetaria, mentre

vengono soltanto segnalate voci intangibili assieme alla loro rilevanza rispetto alle componenti

monetarie.

L’analisi di sensitività (As) è parte integrante del disegno Acb. Potrebbe richiedere una modellazione

ad-hoc per diverse ragioni. Ad esempio, per operare (prendere decisioni) in condizioni di incertezza,

per simulare la robustezza di una decisione102 e, in particolare, la stabilità dei risultati al variare di

scenari, delle condizioni103 o dei domini di variazione104 dei valori dei parametri (compreso il Sss); per

identificare quali fattori influiscono maggiormente sui risultati finali e quindi meritano una attenzione

particolare in fase di design o di essere monitorati durante l’esecuzione del progetto; per attivare un

dialogo fra i soggetti interessati; per gestire eventuali feed-back sul disegno valutativo, sul progetto

(design e attuazione) ed eventualmente su piano, programma o politica a cui il progetto rinvia.

Per verificare l’affidabilità di un risultato operando in condizioni di incertezza, oltre ad As più o meno

estesa all’analisi di scenario, può essere utilizzato il metodo delle opzioni reali (Mor)105.

100 In generale Dac>Dap per una tendenza a sovrastimare i danni (e i relativi costi) rispetto ai benefici. Questo

‘atteggiamento’ (a più riprese riconosciuto da A O Hirschman) può influire sull’intero disegno di Acb, in particolare sulla

identificazione delle voci di beneficio, sui relativi fattori di correzione, sulla stima dei benefici netti aggregati, sul saggio

sociale di sconto (Sss) e sulla identificazione delle esternalità. Si tratta di effetti di grande momento difficilmente trattabili

con analisi di sensitività e di robustezza. 101 L’indice dei prezzi al consumo è comunemente utilizzato per trasformare i prezzi da correnti a costanti. In condizioni

deflattive (con variazione dei prezzi negativa) la domanda effettiva tende a ridursi, così come il tasso di crescita potenziale e

reale. Ciò non implica necessariamente una minore urgenza del progetto. Proprio in ragione delle condizioni deflattive,

l’urgenza del progetto potrebbe aumentare. 102 Una decisione è tanto più robusta quanto più rimane plausibile o valida al variare di condizioni, scenari o parametri. In

realtà, l’analisi di robustezza in senso stretto riguarderebbe la stabilità dei parametri stimabile con analisi probabilistiche,

simulazioni di Monte Carlo e così via. 103 In materia trasportistica, un quesito a cui As potrebbe rispondere è il seguente: di quanto può variare la domanda di

servizio collettivo all’aumentare dei tempi di attesa, delle tariffe o degli scenari commerciali 104 In assenza di misure o valori esatti ci si può riferire al valore o alla misura più probabile (caso base), alla situazione più

favorevole o alla meno favorevole. 105 G Pennisi, P L Scandizzo, 2003, Valutare l’incertezza. L’analisi costi benefici nel XXI secolo, G Giappichelli Editore, in

particolare cap. VII ‘Valore di opzione e valore attuale netto esteso: un’alternativa all’approccio tradizionale’, pp. 260-300.

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Metodo delle opzioni reali (Mor)

Questo metodo (nato negli anni ’70 e sviluppato negli anni ’90 del secolo scorso per ottimizzare le

strategie di impresa) contribuisce a dilatare il dominio di As fin dalla fase di costruzione del flusso di

cassa106. Propone, infatti, una reinterpretazione dei concetti di opportunità e di attesa in condizioni di

incertezza. Reinterpretazione che, in determinate condizioni di urgenza e di vincolo, può essere

proposta anche in sede di valutazione dell’investimento pubblico. Rimanendo in questa sede, l’opzione

reale è la possibilità di trarre vantaggio da condizioni di incertezza attribuendo un premio all’attesa,

ovvero al differimento di una decisione per l’acquisizione di informazioni aggiuntive ritenute

importanti (condizione necessaria). L’attesa potrebbe aiutare ad approssimare il cosiddetto ‘anno

ottimo di apertura’ di un progetto in corrispondenza di valori molto prossimi, se non coincidenti, di Sss

e Sri. Ciò pone in termini operativi la questione dell’ ‘inizio’ di un progetto di investimento, questione

rilevante in sé, e ancor più se il progetto appartiene ad un portfolio107, ad un programma o ad un piano

operativo (o di interventi).

L’incertezza si manifesta con opportunità, minacce e rischi108 che, una volta identificati, possono essere

considerati come asset e liabilities, componenti di una ricchezza ‘aleatoria’ del progetto che si intende

valutare. Spesso, al rischio di perdite potenziali possono corrispondere anche maggiori guadagni. Il

valore attribuibile ad un’opzione reale si concretizza quindi nel premio pagato per fruire del diritto di

opzione. Le opzioni sono di tipo call e put. Le prime (call) possono essere di espansione di un progetto

di investimento, di differimento del suo anno di apertura, di cambiamento di alcune sue componenti;

mentre le seconde (put) possono comportarne l’abbandono, il ridimensionamento, fino alla

sospensione. Esistono anche opzioni multiple interrelate (compound option).

Incertezza e opportunità sono trattate in modo semplificato dal modello tradizionale Acb, mentre Mor

le utilizza come risorsa. In Acb l’incertezza è tradotta in probabilità e, mediante spogli successivi, le

informazioni di progetto sono compresse in un unico scenario. In chiusura comparativa, le stesse

informazioni vengono riassunte in criteri unici di sintesi.

Con analisi di reattività o simulazioni, Mor apprezza l’incertezza nei suoi aspetti dinamici,

riconoscendo possibili deviazioni da questo scenario. Coglie soprattutto possibilità di creazione o

distruzione di opportunità di investimento. Il concetto di Van esteso (Vanes) introdotto da Mor

La teoria delle opzioni reali rinvia agli studi sul pricing delle opzioni finanziarie (F Black, M Scholes, R Merton, ecc.) e ai

tentativi di estendere i metodi dell’option pricing dai contratti finanziari ai real asset (ivi, p. 263). Alle opzioni viene

attribuito un valore calcolato sulla base di un parametro di mercato (il tasso di interesse) e di tre parametri pertinenti

all’opzione: il valore atteso sulla base della evidenza corrente, la volatilità e la scadenza dell’opzione stessa (ivi, p. 262).

Seguendo S Myers, l’opzione viene identificata considerando ‘la spesa iniziale dell’investimento come il prezzo di un

contratto aleatorio, che presenta tante opportunità di guadagno, quante sono le opzioni delle diverse alternative di sviluppo

del progetto’ (ivi, p. 263). Va ricordato che il tasso di interesse connota lo scenario a cui il progetto da valutare fa

riferimento. Se i target di occupazione e inflazione sono soddisfatti a livello macro, e quindi la politica monetaria non è né

espansiva né restrittiva, il tasso di interesse dovrebbe essere a livello ‘neutrale’. A questo livello, il tasso di interesse è

uguale alla somma fra la remunerazione reale del capitale al suo livello naturale e il tasso di equilibrio dell’inflazione. La

natura ‘politica’ soprattutto della seconda componente tende ad aumentare i gradi di libertà delle opzioni, anche mediante

effetti ‘annuncio’ attribuibili alle autorità monetarie. 106 As viene spesso intesa come ‘azione’ sulla stabilità dei risultati aggregati di Acb, assumendo così un carattere

conclusivo. In realtà, è una operazione ‘distribuita’ lungo tutto il percorso di Acb. 107 I progetti di un portfolio configurano corsi di azioni connesse, identificate a partire da opportune negoziazioni sugli

obiettivi (cooperativi o conflittuali) e sulle risorse attuative. Il corso di azioni assume i connotati di strategia input-output

finalizzata al raggiungimento di obiettivi in tempi definiti. 108 Una stima del rischio può essere effettuata attribuendo all’incertezza una funzione di probabilità.

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‘aggiunge al valore creato dal progetto in termini di cash flow atteso, il valore creato (o distrutto) in

termini di opportunità. Per esempio, la costruzione di una centrale elettrica fornisce l’opportunità, ma

non l’obbligo, di produrre un certo ammontare di elettricità a una data successiva. Il valore della

centrale è, quindi, uguale al beneficio netto attualizzato dell’ammontare di elettricità che si prevede di

produrre, più il valore dell’opzione di produrre di più o di meno, a seconda delle circostanze’109.

Considerazioni analoghe valgono per una infrastruttura in grado di funzionare a diversi livelli di

capacità. In altre parole, il valore dell’investimento dipende anche da una componente legata al valore

delle opzioni (elementari e composte), alla possibilità di esercitare su di esso delle opzioni: ciò che il

mercato tende a sottostimare sistematicamente. Il Vanes viene così calcolato: Vanes= E(Van) + Voc -

Vod, con E(Van) valore atteso del Van, Voc e Vod valore delle opzioni create e distrutte dal progetto,

rispettivamente. I tre addendi possono variare stocasticamente in funzione dei momenti in cui è

possibile esercitare l’opzione.

Con riferimento ai principi della economia istituzionale e della public choice, il metodo delle opzioni

reali potrebbe essere applicato alla costruzione e alla gestione di strategie di spesa pubblica (e quindi di

investimenti in opere pubbliche) per sistemi di agency. Il pagamento di un premio110 per fruire del

diritto di opzione richiede, infatti, una dettagliata e adattativa (responsive) programmazione della spesa

che tenderebbe a diventare un meccanismo di creazione e distruzione di opzioni attive e passive111

incidenti sul valore complessivo della spesa.

Limiti

Acb può assumere forma deterministica o stocastica e può essere disaggregata con procedura Cia/e

(Community impact evaluation/assessment, N Lichfield) tenendo conto di aspetti sociali, ambientali,

energetici, ecc. e dei soggetti interessati o interessabili. La disaggregazione consente di arricchire

l’analisi di efficienza con aspetti distributivi, con uno sguardo all’equità. La presenza di esternalità e/o

di intangibili e la disaggregazione del flusso di cassa possono consigliare il ricorso ad analisi

multicriteri, nel senso di multi-dominio, di intersezione semantica, e il superamento dell’approccio

utilitaristico tipico di Acb. Com’è noto, la società dominata dall’utilitarismo del capitale considera utili

solo beni e servizi capitalizzabili.

La versione ordinaria di Acb presenta limiti da tempo riconosciuti, oltre a quelli tipici dell’impianto

neoclassico, e stimola un acceso dibattito su diversi aspetti.

A Sen112 evidenzia un trade-off fra la facilità d’uso della tecnica, in parte attribuibile alla formulazione

matematico-finanziaria, e la sua più generale accettabilità per variazioni parametriche. Le varianti più

109 G Pennisi, P L Scandizzo, 2003, cit. p. 262. 110 In ambito pubblico il meccanismo semplificato del premio comporta trasferimenti reali o potenziali e funziona in questo

modo. Il soggetto A paga una somma di denaro (detta premio) al soggetto B per potersi riservare il diritto di acquistare

(opzione call) o vendere (opzione put) un certo asset (detto sottostante, il cui valore di mercato nel tempo è variabile) a un

prezzo pre-concordato (prezzo d’esercizio) a una scadenza prestabilita (o entro la scadenza). Un’opzione call su un asset

(con un certo valore corrente), dà il diritto ad acquisire l’ asset sottostante pagando un prezzo predeterminato (il prezzo di

esercizio) ad una scadenza prestabilita (o entro la scadenza). Similarmente un’opzione put dà il diritto a vendere un asset

sottostante e ricevere il prezzo di esercizio. L’asimmetria derivante dal possedere un diritto senza alcun obbligo

corrispondente è l’elemento cruciale della strategia delle opzioni binarie. 111 L’opzione reale é passiva quando il diritto di opzione è in mano a terzi (e si è in attesa di una loro decisione). Si potrebbe

trattare di una minaccia potenziale per il soggetto in attesa, poiché comporta l’obbligo di sopportare uno svantaggio

economico laddove il detentore (holder) scelga di esercitare il proprio diritto. 112 A Sen, 2000, ‘The discipline of cost-benefit analysis’, Journal of Legal Studies, vol. XXIX, June, pp. 931-952.

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in uso di Acb si propongono come analoghi ‘aggiustati’ o simulazioni del libero mercato, consentendo

il riconoscimento di una limitata classe di valori. Secondo Sen, nonostante l’utilizzo di un approccio

generale alla scelta sociale consenta una maggiore libertà valutativa e l’uso di più estese informazioni,

Acb presenta almeno tre classi di problemi ‘sostantivi’. La prima rinvia a domande strutturali

(structural demands): in particolare, sulla presunta completezza dell’esercizio valutativo113, sulla

conoscenza effettiva di ciò che si sta valutando o sulla sua comprensione probabilistica, oltre che su

valutazioni non iterative e non parametriche. La seconda classe tratta delle cosiddette ‘indifferenze

valutative’ (evaluative indifferences) rispetto ad azioni, motivazioni, diritti e all’intrinseco valore di

libertà, ma evidenzia anche i limiti di una visione strumentale dei valori comportamentali. L’ultima (la

terza) classe denuncia i limiti di una valutazione orientata al mercato (market-centered): in particolare,

critica la fiducia riposta su Dap e sulla compensazione potenziale (ritenuta condizione sufficiente

nell’impianto Acb). In aggiunta, Sen rileva un sostanziale disinteresse per le opzioni offerte dalla social

choice theory. Un dialogo fra Acb e teorie della scelta sociale potrebbe essere fruttuoso.

Veniamo al problema della completezza. Per essere completa in prospettiva consequenzialista Acb

dovrebbe riconoscere ogni conseguenza e i relativi pesi con precisione e unicità. Ogni stato (azione,

opzione, ecc.) dovrebbe essere comparabile secondo la specifica problematica valutativa (ordinamento,

scelta o attribuzione). Si tratta di condizioni non sempre plausibili. In particolare, l’approccio

consequenzialista non si affida a logiche di massimizzazione generalizzata, in quanto non richiede la

generazione di tutte le opzioni possibili, né che tutte le opzioni (o alternative) siano comparabili.

Neppure chiede sia identificabile la migliore. La massimizzazione evita la scelta di una opzione

peggiore di un’altra e se due opzioni non sono comparabili (e ordinabili), ma sono comunque migliori

di tutte le altre, la scelta di una delle due soddisfa comunque la condizione di massimizzazione114: una

sorta di massimizzazione relativa. Solo se l’ordinamento è completo la massimizzazione coincide con

l’ottimizzazione, ma è una situazione singolare. In generale, si può quindi ritenere che Acb consenta

operazioni di massimizzazione singola o plurima (set di ottimi) in condizioni di incompletezza e in

assenza di ottimizzazione. Si tratta di un normale modo di procedere che, ammettendo ambiguità e

incompletezza, motiva analisi di sensitività (As) sulla riduzione di eventuali intervalli di variazione

legittimando eventuali ordinamenti parziali (fuzzy valuation)115.

La presunzione di conoscenza completa delle conseguenze di un’azione si accompagna alla possibilità

di ponderazione, evidente ambiguità epistemica sia in termini procedurali che sostantivi. Per superare

l’ostacolo si ricorre alla ottimizzazione di valori attesi e a stime in termini probabilistici: un’operazione

utile di cui andrebbe comunque valutato il costo in termini di rinuncia a considerare questioni

decisionali più rilevanti.

113 Sulla parzialità di Acb insistono vari autori. Per un recente contributo vedi C R Sunstein, 2018, The Cost Benefit

Revolution, MIT Press, Cambridge, MA. 114 A Sen, 2000, cit. p. 940. 115 ‘The extent of imprecision can be reflected in the assessment, and the choices can be systematically linked to the

valuational ambiguities’, ivi, p. 941. ‘However, in the literature, completeness is sometimes insisted on, which tends to

produce arbitrary completion in terms of imperious valuational judgments or capricious epistemic assessments. The result

often enough is to ignore the less exactly measured consequences or less clearly agreed values, even though they may be

extremely important (…). The neglect of the so-called human costs relates partly to this despotic quest for complete

orderings. These are cases in which a little more sophistication in the technical exercise can allow us to include many

variables that some technocrats find too messy to incorporate’, ibidem.

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I giudizi valutativi possono assumere diverse forme. Sen distingue i basic dai nonbasic: i primi sono

indipendenti da assunti fattuali impliciti, mentre i secondi sono da questi dipendenti e soggetti a

possibile aggiustamento o revisione. Un giudizio sulle conseguenze di un’azione si può perfezionare

mettendo al lavoro criteri di valutazione e valori sottesi con procedure iterative (programmazione

parametrica e altro). Ciò consente di apprezzare la sensibilità degli ordinamenti o delle scelte al variare

dei criteri e delle ponderazioni relative, come accade, ad esempio con la valutazione contingente. Se

l’Acb mainstream opera lungo un’unica direzione aggregata ciò non toglie che possa ospitare, in modo

pragmatico, procedure iterative, interattive e parametriche, spesso aperte alla disaggregazione (vedi

Cia/e, Acb in domini economico-ambientali o la stessa teoria delle opzioni reali).

Non meno influenti sulla plausibilità di Acb sono le ‘indifferenze’ ad azioni, ragioni e diritti, ritenute

dalla logica mainstream estranee alla ricerca di efficienza economica. La loro omissione depotenzia la

dimensione etica delle decisioni pubbliche e può pregiudicare anche il raggiungimento di auspicabili

livelli di efficienza, specie se fra questa e l’equità si stabiliscono relazioni positive e non immotivati

trade-off116. Le valutazioni basate sui prezzi di mercato soffrono evidentemente di questa indifferenza.

Ma ancor più rilevante per Sen è l’indifferenza ai valori di libertà. Per ovviare a questo limite può

essere utile valutare set di opportunità, o opzioni, invece di alternative117.

Anche i valori comportamentali (e le loro variazioni in ragione dei progetti pubblici oggetto di

valutazione) assumono rilevanza. Acb tende a standardizzare/omologare questi valori, ad assumerli

costanti prima e dopo, mentre progetti che comportano sfide culturali e movimenti (ad esempio dal

rurale all’urbano, da un paese ad un altro, fra diversi comportamenti modali, da una dimensione

analogica ad una digitale, ecc.) tendono a modificare i valori118 e i loro contenuti, non soltanto le

componenti parametriche.

Acb è una valutazione orientata al mercato, a volte considerato con commiserazione. Lo confermano le

istanze di correzione che tendono a ridurre miopie e distorsioni cercando di interpretare e, se

necessario, andare oltre l’ambiguità dei segnali. Come sottolineato in precedenza, il ricorso al Dap non

sembra risolvere il problema anche quando utilizzato per la stima del surplus del consumatore e di

specifici fattori di correzione delle voci di costo e di beneficio. Vengono, infatti, ignorate le questioni

distributive (non riducibili agli effetti) nell’attribuire lo stesso peso sia all’unità monetaria disponibile,

a prescindere dal livello di povertà o opulenza del soggetto, sia agli effetti distributivi indotti dal

progetto. Gli effetti non sono comunque assimilabili a quelli rappresentabili da un bene privato in un

sistema di mercato, e le difficoltà aumentano in caso di interdipendenze ed esternalità.

Valutare un analogo, come per i beni pubblici, diventa difficile, quando non soggetto a comportamenti

free-riding, soprattutto se la richiesta di Dap non è accompagnata da una effettiva domanda di

pagamento. La stima di Dap diventa ancor più problematica in caso di valutazione contingente (Cv) dei

valori di esistenza di beni ambientali o storico-culturali, monetizzabili o supposti tali. Cv si fonda su

116 Vedi A M Okun, 1990, Eguaglianza ed efficienza. Il grande trade-off, Liguori Editore (ed. or. Brooking Institution, Wa,

1975). 117 L’alternativa tende a distruggere, mentre l’opzione crea. 118 Ricordando i seminali studi di G S Becker, Sen consiglia di distinguere fra variazioni effettive (sostantive) nel set di

valori e alterazioni dei pesi relativi da attribuirsi a mere variazioni parametriche, vedi Gary S. Becker, Economic Approach

to Human Behavior (1976), Gary S. Becker, Accounting for Tastes (1996). Un esempio: l’urbanizzazione attiva nuovi valori

e modifica anche radicalmente i comportamenti degli immigrati, così come induce variazioni parametriche nel loro basket di

consumo di beni e servizi. Il concetto di valore come ‘coefficiente tecnico’ contiene sia le variazioni sostantive che quelle

parametriche.

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ipotesi relative a Dap per prevenire danni, distruzioni o perdite, per riconoscere responsabilità

(liability) e stimare costi di ripristino. Ma queste ipotesi possono soffrire del cosiddetto embedding

effect, l’appartenenza a domini più ampi che condizionano fortemente Cv.

Un altro elemento critico è la compensazione. La compensazione può essere effettiva (effettivamente

pagata) o potenziale (promessa con garanzie). Nel primo caso non c’è bisogno di attivare il criterio

‘compensazione’ perché i risultati già la includono e un miglioramento connesso al pagamento può

essere identificato. Si tratterebbe, a tutti gli effetti, di una compensazione preventiva o contestuale. Nel

caso non sia pagata risulta difficile riconoscerla come miglioramento effettivo, rendendo i test di

compensazione ridondanti o poco convincenti per Acb119, a prescindere dalla utilità di Dap nel trattare

l’elasticità delle preferenze individuali.

Ma se la valutazione orientata al mercato (market-centered evaluation) presenta ambiguità

nell’interpretazione di quanto le persone sono disposte a pagare per un bene pubblico, può essere utile

chiedersi su che valori si fonda la procedura Cv120. Dietro la filosofia di Cv sembra nascondersi l’idea

che un bene pubblico possa essere trattato analogamente a qualsiasi altra merce privata che si acquista e

si consuma121. E, in particolare, che la Dap di un soggetto sia indipendente da quella degli altri, da uno

sforzo congiunto, o che la scelta fra opzioni rilevanti possa dipendere da opzioni irrilevanti122. Ciò che

fanno gli altri, o che pensiamo facciano, può avere tuttavia effetti diversi. Un soggetto potrebbe essere

disposto a dare il suo contributo se é certo che altri lo faranno prima di lui o entro tempi ragionevoli,

come accade negli assurance game123. Ma il soggetto potrebbe sentirsi al contempo esonerato, o meno

pressato, se altri danno o daranno il loro contributo convinto, come novello free-rider, della differenza

marginale (insignificante) del suo contributo. Per essere affidabile, Cv dovrebbe spiegare quali sono le

alternative reali e informare su ciò che fanno gli altri: un linguaggio molto diverso dalla valutazione di

mercato e della sua corrente epistemologia124. Una diversa trasparenza.

Un tema cruciale in Acb è il saggio sociale di sconto125 alla base della attualizzazione dei costi e dei

benefici di un progetto. L’attualizzazione è una operazione ‘politica’ più che tecnica126 in quanto si

ancora a scenari e a strategie di scelta intergenerazionali, a strutture e dinamiche macro-economiche,

oltre a richiedere uno sguardo ‘sostantivo’ al progetto, una attenzione al suo ‘tempo aperto’. Partiamo

da quest’ultimo aspetto per risalire rapidamente agli altri.

119 A Sen, 2000, cit., p. 947. 120 Ivi, pp.948-949. 121 ‘The very idea that I treat the prevention of an environmental damage just like buying a private good is itself quite

absurd. The amount I am ready to pay for my toothpaste is typically not affected by the amount you pay for yours. But it

would be amazing if the payment I am ready to make to save nature is totally independent of what others are ready to pay

for it, since it is specifically a social concern. The ‘‘lone ranger’’ model of environmental evaluation—central to the

interpretation of CV valuation—confounds the nature of the problem at hand. We have no escape from having to use

valuations derived from other methods of information gathering, such as questionnaires that describe the social states more

fully’, ivi, p.949. 122 La condizione di indipendenza delle alternative irrilevanti è stata formulata da K Arrow in Social Choice and Individual

Values, cit, ibidem. 123 Su assurance games, vedi A Sen, Isolation, Assurance and the Social Rate of Discount, Q. J. Econ. 112 (1967) e A

Deaton & J Muellbauer, Economics and Consumer Behaviour (1980). 124 ‘Valuation of social states is a part of a standard social choice exercise, but not of a market valuation exercise. The

market analogy is particularly deceptive in this case since it does not deal with social alternatives’, ivi, p. 950. 125 Karbowski, A., 2016, ‘Discussion on the Social Rate of Discount: from Sen to Behavioural Economics’, Economics and

Sociology, Vol. 9, No 2, pp. 46-60. 126 La difficoltà aumenta passando dal progetto al programma, dal programma al piano, dal piano alla politica.

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La progettazione, in prospettiva realistica ed esplorativa (vedi Theory of inquiry di Dewey), si rapporta

a prefigurazioni (strutturali, spaziali, ecc.) e a previsioni, e quindi alla circolarità fra le due dimensioni.

La previsione assume il significato di messa alla prova delle conseguenze possibili, per cui il tempo

futuro del progetto non può essere limitato ad un finale stato di cose, ma è da intendersi come azione

continua sugli effetti potenziali. Il processo di design e attuativo diventa così parte integrante del

progetto e influisce, oltre che sulle voci di costo e di beneficio, sugli stessi flussi di cassa e sul concetto

di ciclo di progetto. Il processo può assumere percorsi multipli e offrire, nel suo evolversi, 'spunti di

pertinenza', utili per connotare efficienza, efficacia ed equità. Seguire questo processo può quindi

diventare un esercizio valutativo e di design tout court. Una trattazione analitica e verificabile del

progetto così inteso va oltre i noti protocolli strumentali o sostantivi e richiede una ‘relativizzazione’

del concetto e dell’operazione di attualizzazione. Questi protocolli sono generalmente finalizzati alla

valutazione delle pratiche progettuali rispetto a teorie, sapere positivo, potere e significati del progetto,

sua rilevanza sociale e così via. Il tempo aperto del progetto opera invece con scenari intesi come

orizzonti di plausibilità e non necessariamente di verità.

Vale la pena ricordare che nelle pratiche di scenario writing si opera in domini (almeno)

tridimensionali in cui proiezione, previsione e auspicio (assimilabile a prefigurazione, per certuni)

configurano un unico spazio ontologico. Questo spazio ammette diverse semantiche dovute a possibili

concezioni e traiettorie di proiezione, previsione e auspicio (prefigurazione), ma anche alla circolarità

fra le tre dimensioni. Entrati da tempo in crisi gli approcci causali dei modelli previsionali, solo in parte

sostituiti da algoritmi associativi o classificatori di diverse tipologie di dati, gli scenari rinviano ad

orizzonti di plausibilità, possibilità evolutive, biforcazioni, paradossi e dilemmi. Non limitandosi a

configurazioni di stato, essi riconoscono una certa importanza alle pratiche abduttive e alle

sperimentazioni cognitive. In questa accezione pragmatista, l'operazione di scenario writing diventa

sperimentazione sociale e apertura all'evento, conversazione sociale e prefigurazione intenzionale. Le

implicazioni sui contenuti di scelta intergenerazionale, sul senso e sulle procedure di attualizzazione

sono di grande momento.

Sconto e attualizzazione

Nella letteratura economica la scelta intergenerazionale e lo sconto sono stati a centro dell’attenzione, a

partire dai seminali contributi della Scuola di Cambridge (Pigou e Ramsey)127. I principali campi di

ricerca in cui questi temi sono stati dibattuti sono: a) le teorie dello sviluppo e della crescita economica

ispirate all’economia del benessere (fra tutti, Sen, Marglin, Tullock, Lind, Harberger, Dasgupta,

Newbery, Arrow); b) l’economia ambientale e delle ricorse naturali (Philibert, Pearce, Hepburn, ecc.);

c) l’economia comportamentale (Jones, Rachlin, Osinki, ecc.). Più laterale è risultato il contributo della

public choice theory. Si tratta di campi in cui è stata molto applicata Acb e in cui si è in particolare

posta la questione della giustizia intergenerazionale.

Il raggiungimento di questo obiettivo di equità richiede un compromesso su misura e comparazione del

benessere attuale e futuro, e questo compromesso verrebbe rappresentato in modo sintetico dal saggio

sociale di sconto (Sss). Sss viene definito (in particolare da Marglin e Sen)128 come il tasso in

127 Vedi, ad esempio, F Ramsey, 1928, ‘A mathematical theory of saving’, Economic Journal, 38, pp. 543-549. 128 Marglin, S. A. (1963), The social rate of discount and the optimal rate of investment, Quarterly Journal of Economics,

77, pp. 95-111. Sen, A. K. (1961), On optimizing the rate of savings, Economic Journal, 71, pp. 479-496. Sen, A. K. (1967),

Isolation, Assurance and the Social Rate of Discount, Quarterly Journal of Economics, 81, pp. 112-124.Sen, A. K. (1982),

Approaches to the Choice of Discount Rates for Social Benefit-Cost Analysis, In: Lind, R. C., Arrow, K. J., Corey, G. R.,

Dasgupta, P., Sen, A. K., Stauffer, T., Stiglitz, J. E., Stockfisch, J. A. Wilson, R. (eds.), Discounting for Time and Risk in

Energy Policy, Baltimore: John Hopkins University Press for Resources for the Future.

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corrispondenza del quale una ‘società’ (non un singolo individuo o un gruppo limitato di individui)

sarebbe disponibile a posticipare una possibilità di consumo attuale per un maggiore consumo in un

vicino o lontano futuro. In altre parole, la società sarebbe disposta ad una rinuncia oggi per un

beneficio domani129. In generale, più elevato è il Sss e minore è la disponibilità alla rinuncia e più

elevato il suo costo (Ss1>Ss2).

disponibilità

alla rinuncia

Sss

alto basso

alta Sss2

bassa Sss1

Il problema è che la composizione della società oggi non potrà essere identica a quella di domani, e ciò

che consideriamo oggi beneficio o costo potrebbe cambiare parzialmente o significativamente di

significato. Se l’innovazione tecnologica e sociale è rapida, la composizione potrebbe essere anche

molto diversa e con essa aspettative, comportamenti, abitudini e così via. Diventa così problematica la

scelta di un Sss per la stima di benefici (costi) che verranno goduti (subìti) da società diverse da quelle

attuali.

In generale, la scelta di Sss dovrebbe avvenire sulla base di due fattori: il tempo, con riferimento al

quale si stimano i benefici netti futuri, intesi come differenza fra benefici e costi, e la distanza sociale

che dovrebbe consentire di riconoscere tipologia ed entità di ciò che gli altri intendono per beneficio

netto. Verrebbero così riconosciute due componenti di sconto: quella temporale (connessa ad un lag o

ritardo nella generazione dei benefici netti) e quella sociale (connessa alla diversità di profilo sociale

fra la società di oggi e quella di domani). La prima componente sconterebbe i benefici futuri sulla base

di una sorta di ‘capacità di controllo’ di chi valuta (oltre che dei potenziali beneficiari del progetto e

della valutazione stessa), mentre l’altra evidenzierebbe un orientamento. Un Sss elevato alluderebbe ad

un comportamento ‘egoista’ (anche motivato da incertezza o da una determinata percezione del

rischio), mentre un Sss ridotto implicherebbe un atteggiamento altruista130.

Assumere più elevati i costi di impiego di una risorsa o di un fattore scarso oggi, significa ipotizzare

che in futuro la stessa risorsa o lo stesso fattore siano più abbondanti (e quindi più a buon mercato),

oppure che siano sostituibili da succedanei. Assumere più elevati i benefici oggi significa dichiarare

esplicitamente che la generazione presente sarà premiata rispetto alle generazioni future. Ciò accade

indipendentemente dal fatto (anch’esso problematico) che con elevati Sss di sovrastimino i danni (cioè

i costi) rispetto ai benefici. Questa sovrastima potrebbe comunque aggravare l’atteggiamento egoista

della generazione presente.

In entrambi i casi (Sss elevato o ridotto), e al di là di eventuali riferimenti di statistica economica, Sss

sarebbe influenzato da fattori comportamentali, come la determinazione a cogliere certi aspetti del

futuro, la pazienza, la generosità o l’egoismo. Questi caratteri verrebbero attribuiti al decisore che

commissiona la valutazione e che dovrebbe rappresentare l’interesse pubblico, ma tenderebbero a

129 Ad esempio, si rinuncia ad un maggiore consumo di suolo oggi a favore delle generazioni future; si rinuncia ad un bacino

idroelettrico per consegnare alle generazioni future un ecosistema funzionale; si rinuncia ad una nuova asta autostradale per

irrobustire una rete ferroviaria e un sistema multimodale, ecc.

130 Gowdy, J. (2004), Altruism, evolution, and welfare economics, Journal of Economic Behavior & Organization, 53, pp.

69-73.

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riflettere impropriamente i comportamenti dell’intera società. In sintesi: il grado di preferenza per

benefici a breve contro la dilazione dei relativi costi131.

Secondo l’approccio utilitarista, l’utilità scontata rinvierebbe a valori scontati attribuibili nel tempo ai

beni utilizzati. Ciò consentirebbe di ridurre gli obblighi verso le decisioni future alla scelta di un valore

ottimale di Sss che potremmo definire r. Questo valore (r) sarebbe la somma di un tasso di preferenza

temporale ρ e del prodotto fra derivata della funzione di utilità θ (grado di curvatura della funzione) e

saggio di sviluppo economico atteso g: in sintesi, r = ρ+ θg. Al tasso di preferenza intertemporale

verrebbe quindi aggiunta una quota dovuta alla variazione di utilità attribuibile (o correlabile) alla

crescita economica.

Questa equazione solleva non pochi problemi. Considerare un unico r significa ipotizzare che l’intera

società (o economia di riferimento) sia un solo decisore. Infatti, la stima di ρ è così problematica che

Ramsey già nel 1928 suggeriva un valore nullo (ρ = 0), ritenendo miope la scelta di un valore diverso,

ivi compreso un valore ponderato. La definiva telescopic myopia. E ciò in contrasto con chi riteneva

(ritiene) che diversi valori di r siano associabili a livelli di reddito, alle caratteristiche dei beni e servizi

consumabili, all’intelligenza o alla prospettiva cognitiva. Ma il benessere di una società non può essere

valutato di meno solo perché si attiva in tempi diversi dal presente. Ciò porterebbe ad una sovrastima di

Sss, oltre ad essere una insopportabile presunzione.

Non è, inoltre, scontato che un saggio di crescita (g) elevato comporti una specifica variazione

dell’utilità e un miglioramento di benessere generale per le generazioni future. Il modo in cui questa

crescita avviene dimostra ben altro: disuguaglianze crescenti, aumento più che proporzionale dei costi

ambientali rispetto agli attuali, mobilità delle popolazioni e redistribuzione spazio-temporale dei

benefici o dei costi, e così via. Un problema non irrilevante è anche la possibile interazione fra le due

componenti. In generale, le difficoltà di controllo dell’orizzonte temporale del progetto tendono ad

assegnare maggiore importanza al futuro immediato, deprezzando gli eventi più lontani con sconti

iperbolici.

Ma la scelta di un appropriato Sss o r si complica ancor più quando si trattano questioni ambientali di

lungo periodo, come la perdita di biodiversità, gli effetti dei cambiamenti climatici o il degrado dell’

heritage. Utilizzare Sss pari al 5% o al 10% (saggi elevati) significa attribuire costi irrisori a probabili

danni o crisi ambientali future. D’altra parte, con Sss inferiore si sottolinea la necessità di limitare i

consumi correnti, risparmiando per il futuro, con l’obiettivo di migliorare le condizioni delle

generazioni future.

Come evidenzia A Sen132 quando sottolinea l’importanza della ‘interdipendenza sociale’, nel lungo

periodo le preoccupazioni ambientali, come altri tipi di preoccupazione relative al benessere, possono

essere afflitte dal cosiddetto ‘paradosso dell’isolamento’ (isolation paradox), una estensione del

dilemma del prigioniero: un gioco a n-giocatori, contro un gioco a due in cui si confrontano strategie

cooperative con strategie competitive133. Gli esiti del gioco evidenziano un conflitto fra interessi privati

e sociali dei giocatori. Se questi si comportano in modo razionale ed egoista (competono fra loro) i

benefici (payoff) saranno inferiori rispetto a quelli ottenibili con un atteggiamento cooperativo. Il

dilemma del prigioniero evidenzia che quanto è desiderabile per un soggetto (giocatore), può non

esserlo per una comunità di soggetti (community)134. Nello specifico, i decisori, attenti ai CC e

131 Gowdy, J., Rosser, J., Roy, L. (2013), The evolution of hyperbolic discounting: Implications For truly social valuation of

the future, Journal of Economic Behavior & Organization, 90S, S94-S104 132 A Sen, 1967, cit. 133 Karbowski, A., 2016, pp. 51-54. 134 La struttura dei payoff può orientare i soggetti (giocatori) alla competizione o alla cooperazione, evidenziando come le

strategie si costruiscano nella combinazione di comportamenti individuali, nelle modalità di interazione e nella struttura dei

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preoccupati per le generazioni future, possono ritenere plausibile una riduzione dei consumi per

contenere le emissioni. Ma possono anche dubitare della disponibilità degli altri a fare altrettanto. Nelle

negoziazioni sul clima nessuno dei partecipanti, o solo componenti poco rilevanti, potrebbero

contribuire a tal punto alle emissioni da ottenere benefici diretti con la loro riduzione. Ogni

partecipante eviterebbe così di ridurle sperando che altri lo facciano prima di loro e in loro vece.

Questo paradosso può essere superato da effetti emulativi se un paese con forti emissioni decide di

ridurle senza condizioni o se si attivano dispositivi incentivanti. L’incentivo porterebbe in questo caso a

risultati non ottimali, ma comunque apprezzabili. E’ a questo proposito che emerge l’importanza dell’

assurance game. Qui si preferisce la competizione se anche altri la adottano, mentre si preferisce la

cooperazione in caso contrario. La strategia cooperativa o competitiva viene scelta da un soggetto

anche sulla base delle assicurazioni fornite dagli altri.

Si riprende così la definizione di scelta intergenerazionale fornita da W Baumol nel 1952 secondo il

quale non è l’egoismo (l’interesse privato) o l’altruismo a guidare il decisore a investire per le

generazioni future ad un livello appropriato e secondo una prospettiva sociale (collettiva). Al decisore

basta avere la garanzia (assurance) che anche altri soggetti si comportino in modo tale da promuovere

(in modo effettivo o potenziale) il futuro benessere della comunità: nel nostro caso del pianeta tutto.

Sen (1967) e Marglin (1963) preferiscono tuttavia l’ isolation paradox nel dominio di scelta

intergenerazionale per tre ragioni almeno. In primo luogo, le offerte di altri che possono modificare il

comportamento di un decisore sono rare e quindi tende a prevalere la strategia individuale. Ma anche se

vi è disponibilità da parte di altri, l’offerta può non concretizzarsi per assenza di incentivi (enforcement

mechanism). E questa è la seconda ragione. Infine, un decisore potrebbe raggiungere il miglior risultato

consumando oggi il fattore o il bene di cui dispone, mentre altri preferiscono risparmiare a vantaggio

anche (e non solo) delle generazioni future.

In sintesi, il modello di utilità scontato sembra indifferente ai reali comportamenti dei soggetti e ai

contributi offerti da tempo dalle teorie dei giochi e delle decisioni: più in generale, dalle teorie della

scelta sociale. Questa colpevole indifferenza porta all’utilizzo di un unico e costante Sss; rende il

modello aggregativo per costruzione e non tiene in considerazione l’interdipendenza (interazione)

sociale nelle transazioni economiche. Adotta, inoltre, una concezione ‘astratta’ del tempo. Sono quindi

evidenti i suoi limiti e gli effetti sulle performance di Acb.

Diversamente, Sen ammette la possibilità di ricorrere a diversi Sss in quanto i decisori si connotano per

le loro opinioni al riguardo (rispetto al tempo, alla distanza sociale e alle generazioni future) e perché la

procedura di sconto ha senso in quanto processo sociale e non meramente contabile. Per Sen la

procedura di sconto va ‘socializzata’, evidenziando le controversie in materia di selezione di Sss e

quanto la selezione appartenga alla interdipendenza strategica.

Su questi indirizzi si innesta la behavioural economics (Thaler, Kirby, Gowdy e altri), attenta sia alla

inter-temporalità, sia alle scelte nelle interazioni sociali. Studi empirici portano nuove evidenze a

sostegno della differenziazione di Sss. Sss risultano, infatti, più elevati fra i giovani, fra i decisori meno

istruiti e più poveri, ma si rilevano differenze significative anche in contesti socio-culturali diversi

caratterizzati da mutevoli gradienti fra economia materiale e economia relazionale. Sss variano

notevolmente rispetto alla entità dei benefici attesi a diverse scadenze temporali, rispetto alla

percezione dei ritardi e così via. Ma possono essere influenzabili da incongruenze nella manifestazione

delle preferenze, come accade nei casi di inversione (preference reversal). Ciò avviene quando per lo

payoff. Se giocatori ‘razionali’ ed egoisti decidono di competere per massimizzare i loro benefici privati in un dato periodo,

il set di strategie competizione vs. cooperazione potrebbe essere l’unico a garantire l’equilibrio di Nash. Nell’ assurance

game, più cooperativo e privo di strategia dominante, si possono riconoscere due equilibri di Nash in corrispondenza della

cooperazione mutua (che è anche un equilibrio paretiano) e della competizione mutua.

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stesso decisore i valori di Sss sono più elevati per ritardi brevi (prossimi al tempo di avvio del progetto

o al suo anno di apertura) che per ritardi lunghi. Anche in questo caso la funzione di sconto assume una

forma iperbolica. Questa forma può essere l’esito di una sorta di ‘contratto sociale’ con cui le

generazioni presenti cercano di immaginare il benessere delle generazioni future.

Inoltre, soggetti con basso Sss sono più disponibili ad adottare strategie cooperative in giochi basati su

conflitti fra interessi privati e collettivi. Sss risulta anche negativamente correlato con la flessibilità

cognitiva del decisore, mentre lo è positivamente in condizioni di tensione o rischiose.

Non è raro il ricorso a strategie miste in cui la massimizzazione dei valori scontati dei benefici netti si

combina con ipotesi di sostenibilità. Si tratta di un tentativo di mediazione fra un atteggiamento

utilitarista e un atteggiamento consapevole dei limiti135. In genere, Sss del primo è maggiore rispetto a

quello del secondo. La forma iperbolica dello sconto dipende così dall’esistenza di diversi valori di Sss

nella società e da diversi pesi attribuibili ai due atteggiamenti nel processo valutativo e decisionale.

Questa ponderazione è problematica ed assume un decisivo valore politico anche rimanendo in ambito

utilitarista136.

Linearità

Uno dei limiti maggiori di Acb riguarda il fatto che la versione ordinaria affida i progetti ad un modello

economico lineare in cui gli input modificano gli stock, generando risultati, effetti diretti e indiretti,

esternalità positive o negative. Se il progetto opera in un modello economico circolare o ciclico137

finalizzato al ‘recupero’, alla valorizzazione e all’allungamento del ciclo di vita di fattori e prodotti,

mutano radicalmente i concetti di valore aggiunto, deprezzamento, attualizzazione, sconto, fattore di

correzione, esternalità e così via. Muta anche la definizione di prezzo se è vero che ‘i beni di oggi sono

le risorse per domani al prezzo di ieri’138. Nella logica circolare tipica dell’economia auto-rigenerativa,

le risorse non solo non perdono di valore, ma lo aumentano. In una economia auto-rigenerativa lo

scarto di un prodotto diventa l’input per creare un nuovo flusso di cassa e, quindi, nuova occupazione,

maggiore qualità ambientale e cultura di sistema. La valutazione di un progetto tende così ad aprirsi

all’interazione sistemica139, modificando radicalmente la geografia dei costi e dei benefici.

135 Ad esempio, N Stern propone un Sss pari a meno della metà (0.1%) di quello suggerito dal Regolamento di esecuzione

Ue n. 2017/2015, allegato III, 2.3.1. Vedi N Stern, 2009, Un piano per salvare il pianeta, Feltrinelli, Milano. 136 G Chichilnisky, P J Hammond, N Stern, 2018, ‘Should we discount the welfare of future generations? Ramsey and

Suppes versus Koopmans and Arrow’, Center for Research in Economic Theory and its Applications (Creta), Discussion

Paper n.43, University of Warwick. 137https://www.ellenmacarthurfoundation.org/circular-economy. Termini come ‘valore aggiunto’, ‘valore del

deprezzamento’ (minusvalenze) dei beni dopo la vendita, ‘rifiuto’, ‘sunk cost’, ‘esternalità’ e così via sono assunti canonici

di una economia lineare. I sistemi naturali (come il ciclo dell’acqua) offrono stimoli per immaginare sistemi progettuali e

produttivi autorigeneranti dove a prodotti si sostituiscono servizi e chi produce è responsabile durante un ciclo di vita esteso. 138 Secondo W Stahel è questo l’assunto alla base del calcolo economico per chi assume l’economia circolare come

modello, vedi W R Stahel e G Reday-Mulvey, 1976, Potential for substitution, manpower for energy, Rapporto predisposto

per la Commissione Europea e ripubblicato come testo nel 1982 (Jobs for tomorrow. The potential for substituting

manpower for energy). ‘Da un punto di vista econometrico l’economia circolare vede il mantenimento del valore e le

performance degli stock di materia sostituirsi con il valore aggiunto dei flussi e incrementare la potenziale spesa per il

lavoro, mentre il valore d’uso (legato al prodotto come servizio) sostituisce definitivamente, come nozione centrale di

valore economico, il valore di scambio. Se da un punto di vista umano il plus dell’economia circolare si esplica su una serie

di parametri positivi (benessere, occupazione, biodiversità, sicurezza, sviluppo), per il mercato rimane la domanda: quanto

vale?’, E Bompan, I N Brambilla, 2016, Che cos’è l’economia circolare, Edizioni Ambiente, Milano. 139 Vedi, ad esempio, G Pauli, 2010, Blue economy, Edizioni Ambiente, Milano.

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Marginalità

La letteratura evidenzia diversi problemi applicativo-concettuali di Acb: in particolare, l’ipotesi di

marginalità e l’utilizzo di Acb per la scelta degli investimenti a cui si accompagna l’interpretazione dei

prezzi-ombra come costi opportunità ‘duali’ ad una certa funzione di benessere sociale140.

Acb si basa sulla ipotesi che il progetto da valutare sia sufficientemente piccolo da non modificare i

prezzi-ombra che riflettono i costi-opportunità. Questo principio rinvia al ‘teorema fondamentale della

programmazione lineare (…) secondo cui, nella condizione di ottimo il valore primario del problema,

costituito dal valore dei prodotti a prezzi di mercato è uguale al valore delle risorse utilizzate a prezzi

ombra’141. Confrontando situazioni con/senza progetto con la condizione di progetto marginale/non

marginale si ottengono quattro possibilità:

con progetto senza progetto

marginale prezzi invariati (A) prezzi invariati (A)

non marginale ottimale (B)

non ottimale (D)

ottimale (C)

non ottimale (D)

Nel caso (A) che si realizzi o meno il progetto non si registrano effetti sui prezzi. Nel caso B il progetto

non è marginale e la sua realizzazione potrebbe condurre all’ottimo secondo il teorema sopra citato.

L’effetto netto del progetto corrisponderebbe alla riduzione dei costi opportunità. Anche in C si

potrebbe raggiungere l’ottimo, ma l’assenza di progetto potrebbe far aumentare i costi opportunità. Una

situazione di non-ottimalità è rappresentata dal caso D dove l’effetto del progetto è dato dalla

differenza fra valori del prodotto del progetto e costi opportunità dei fattori. Il ricorso al Van è, quindi,

corretto solo nel caso A, mentre genera errori negli altri casi, in particolare nel caso di non marginalità.

Un problema connesso riguarda l’accettazione o il rifiuto dei progetti marginali meno efficienti. Per

poterlo fare, l’amministrazione pubblica dovrebbe allocare le risorse di spesa (investimento) in modo

ottimale, massimizzando una funzione obiettivo vincolata (al bilancio). Ma questa funzione obiettivo è

difficile da determinare (e lo diventa anche Sri) a meno che il progetto non appartenga ad un

programma già riconosciuto come priorità di investimento entro una strategia economica e lo stesso

programma non si presenti come ‘portfolio’.

La stima dei prezzi-ombra risulta ardua per la indeterminatezza della funzione di benessere sociale,

oltre che per le note difficoltà a stimare le Dap relative a determinati prodotti o fattori in assenza dei

rispettivi mercati. Il ricorso a metodi diretti o indiretti di stima produce soltanto proxy.

Valutazione dei beni storico-culturali

I valori dei beni storico-culturali (analogamente a quelli ambientali) si relazionano sia alla dimensione

trascendentale che a quella contingente e assumono un connotato simbolico pervasivo. Questi valori si

formano in modo incrementale per stratificazione di beni e di significati che documentano e

accompagnano la storia dell’umanità in generale e in specifici contesti. L’inerzia della stratificazione è

così ‘potente’ da richiedere azioni di tutela e di conservazione condivise, ma anche azioni distruttive e

di cancellazione della memoria in occasione di capovolgimenti ideologici radicali. Un bene storico-

culturale evidenzia così il suo valore simbolico nella conservazione così come nella distruzione.

Il valore di un bene storico-culturale è in larga misura intrinseco e intangibile, oltre che simbolico, ma

può presentarsi anche in modo relazionale, nella forma di servizi e modalità d’uso. Insieme,

140 G Pennisi (a cura), 1985, cit., pp. 146-147. 141 Ivi, p. 146.

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dimensione intrinseca e relazionale contribuiscono a definire una sorta di ‘valore totale’, composto da

un ‘valore di non uso’ e da due valori d’uso, uno estrattivo e uno non estrattivo. I due valori d’uso sono

di tipo esperienziale e contingente.

Il valore d’uso estrattivo si riferisce a effetti d’uso direttamente quantificabili (informazione,

formazione, accesso, ma anche potenziale degrado dovuto a esposizioni di diverso tipo, ecc.) o

indirettamente quantificabili sulla base di succedanei. In questi casi l’uso è correlato a disponibilità a

pagare o a ottenere compensazioni.

Il valore d’uso non estrattivo può riguardare effetti estetici, percettivi, cognitivi, terapeutici, ricreativi.

Si tratta di valori esperienziali generalmente non-rivali, che possono diventarlo quando le condizioni

d’uso si presentano problematiche come nei casi di congestione, selezione, inquinamento e così via.

I valori di non uso esistono indipendentemente dall’esperienza. Possono riferirsi a beni la cui esistenza

è un valore intrinseco e la cui mancanza può essere percepita come perdita. Se l’esistenza di questi beni

è messa in discussione il valore tende ad assumere un valore asintotico. Raramente sono valori

trascendentali: più frequentemente assumono connotato di valori storico-culturali, riferiti cioè ad

evoluzioni culturali e scientifiche di lungo periodo in specifici contesti.

Al valore di esistenza si affiancano il valore di opzione o di quasi-opzione. Il primo è il valore che si

ottiene ritenendo che possano maturare benefici da un bene o da un progetto che lo riguarda in un

prossimo futuro. Oggi il bene/progetto potrebbe non essere ritenuto fonte di benefici, ma lo potrebbe

diventare domani. Una prospettiva del genere tende ad assumere un connotato assicurativo. Il valore di

quasi-opzione riguarda la possibilità che un bene ritenuto non importante oggi lo possa diventare

domani acquisendo valore. Non essendo osservabili, questi valori sono di difficile stima.

La difesa e la tutela di questi beni generano benefici netti solo in parte quantificabili e monetizzabili.

Per questa ragione si ricorre a tecniche diverse come l’analisi costi-efficacia (quando non vi sono

troppe opzioni), la tecnica dei costi di trasporto, i modelli edonici (o dei prezzi impliciti per caratteri

del bene), l’analisi di contingenza e di trasferimento dei benefici. Le tecniche di elicitazione

consentono di trasformare preferenze dichiarate o rivelate in valori monetari sulla base di funzioni di

utilità.

Metodo del costo delle risorse interne

In inglese, domestic resource cost analysis (Drc), anticipa in certa misura gli sviluppi di Acb e si

presenta come variante di Sri. Proposta da M Bruno in analisi settoriali e ripresa successivamente da

altri autori nell’ambito dell’economia dello sviluppo142, si può considerare una misura ex-ante del costo

opportunità di risorse reali e strategiche per un paese (come terra, foreste, acqua superficiale, di falda o

sotterranea, paesaggi, heritage e beni culturali, lavoro, risorse minerarie, ecc.) impiegate per generare o

risparmiare valuta estera: in sintesi, variazioni di valuta per unità di risorse reali con coefficienti di

produzione non necessariamente costanti. Se il rapporto è fra valuta interna e unità di valuta estera, Drc

si presenta come una sorta di saggio di cambio ombra.

La misura consente di stimare il vantaggio comparato di un progetto, programma o politica sia in

termini di espansione che di contrazione soprattutto in settori di esportazione o di sostituzione della

142 Vedi, in particolare, M Bruno, 1963. Interdependence, Resource Use and Structural Change in Israel, Jerusalem, Bank

of Israel e dello stesso autore ‘Domestic Resource Costs and Effective Protection: Clarification and Synthesis’, Journal of

Political Economy 80(1), (Jan-Feb1972), pp. 16-33. L’argomento è stato ripreso da D Greenaway e C Milner, 1993,

‘Domestic Resource Cost Analysis’, in Trade and Industrial Policy in Developing Countries, Palgrave Macmillan, London.

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stessa, in strategie orientate alla tutela di risorse naturali o antropiche, in politiche nazionali di chiusura

o apertura verso l’esterno. La stima del vantaggio comparato avviene stimando la convenienza ad

investire sulla base del rapporto fra valore delle risorse interne a prezzi ombra e valore aggiunto del

settore, del programma o del progetto a prezzi internazionali in un dato momento t (non serve

l’attualizzazione dei flussi di entrata e uscita). Nell’analisi economica di singoli progetti si introduce un

fattore di costo dei servizi di capitale relativo al gap temporale fra pagamento dei costi e maturazione

dei benefici. Per valutare l’economicità media in un dato settore (il suo vantaggio comparato) nel costo

dei servizi vengono considerati manutenzione e ammortamenti.

Come detto in apertura, Drc può essere inteso come variante di Sri: ‘anziché valutare il rendimento del

capitale e paragonarlo a un Sss per decidere della convenienza economica del progetto, il metodo Drc

propone una misura della produttività delle risorse interne impiegate in termini di valuta estera’143.

Questa misura viene confrontata con un rapporto di riferimento e può essere considerato come un

coefficiente di protezione o di tutela.

Metodo della protezione effettiva

Proposto negli anni ’50 da Barber, il metodo è stato sviluppato con meticolose valutazioni empiriche

soprattutto da B Balassa144, W M Corden145, H G Johnson146 e D M Schydlovsky147. Con questo

metodo si cerca di superare un limite intrinseco dei modelli di commercio internazionale e di

protezione (da cui strategie protezionistiche) che non considerano lo scambio di prodotti intermedi, ma

si limitano a quelli finali. Nella realtà, l’allocazione di risorse e la protezione di determinate attività

produttive è influenzabile non soltanto dal tasso nominale di produzione dei prodotti, ma anche da

quello sugli input commercializzati, oltre che dalla quota di valore aggiunto nei prezzi dei prodotti. Il

tasso di protezione effettiva cerca di ‘catturare’ queste ‘influenze’ stimando il margine di protezione sul

valore aggiunto148. La protezione effettiva corrisponde così al valore aggiunto interno per fattore di

produzione resa possibile da una struttura tariffaria149 attiva su prodotti e input. L’indice comparativo

misura la differenza di valore aggiunto con e senza protezione.

Per valutare i vantaggi comparati, il ricorso al tasso di protezione effettiva (diversamente da Drc)

consente di evidenziare il ruolo svolto dal processo di produzione. Esso misura, infatti, la protezione

connessa a questo processo, quantificando l’incremento della remunerazione ai fattori interni di

produzione (valore aggiunto interno) in ragione della protezione. In altre parole, il tasso è un rapporto

fra valore aggiunto a prezzi interni e valore aggiunto a prezzi internazionali.

Mentre il tasso o indice di protezione effettiva indica la performance di processo, Drc (costo in valuta

estera risparmiata) rappresenta una performance aggregata: l’efficienza relativa al processo di

produzione del progetto (prodotti) e l’efficienza relativa al processo di produzione dei suoi input150.

143 G Pennisi (a cura), 1985, cit., pp. 148-149. 144 B Balassa ‘Tariff proection in Industrial Countries: An Evaluation’, Journal of Political Economy, December 1965. 145 W M Corden ‘The Structure of a Tariff System and the Effective Protection rate’, Journal of Political Economy, June

1966. 146 H G Johnson 1965, ‘The Theory of Tariff Structure with Special Reference to World Trade and Development’, Trade

and Development, Institute Universitaire des Hautes Etudes Internationales, Geneve. 147 D M Schydlovsky, ‘Tariff and National Income: A Policy Model’, Ph.D. dissertation, Harvard University, January 1966. 148 B Balassa, D M. Schydlowsky , ‘Indicators of Protection and of Other Incentive Measures’ in N D Ruggles (ed), 1975,

The Role of the Computer in Economic and Social Research in Latin America, National Bureau of Economic Research,

http://www.nber.org/chapters/c3781,pp. 331 – 346. 149 La struttura tariffaria è comprensiva dei dazi doganali, delle misure protezionistiche tariffarie e para-tariffarie convertite

nel loro equivalente al medesimo tasso di cambio 150 G Pennisi (a cura), 1985, cit., pp.149-152.

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Se il tasso di protezione effettiva è utilizzato come criterio, vengono selezionati progetti con il tasso

inferiore rispetto ad un tasso di protezione socialmente accettabile (riferimento).

Il tasso non può essere utilizzato per ordinamento, ma si limita a posizionare il progetto in una regione

di accettazione o rifiuto.

Metodo degli effetti (méthode des effets - ME)

ME è un metodo descrittivo di tipo meso-economico messo a punto dalla scuola di programmazione

francese a partire dagli anni ’70151 e finalizzato alle politiche di sviluppo. Con ME si cerca di misurare

l’effetto che un progetto genera su un sistema economico nazionale o regionale (raramente a livelli

inferiori). Gli effetti si misurano in termini di contributo del progetto alla configurazione di un profilo

di domanda aggregata ed in particolare di valore aggiunto (VA). Il problema è riconoscere gli effetti in

modo incrementale, tenendo conto di eventuali sostituzioni, e disporre di un profilo di domanda

affidabile. Gli effetti possono essere di tipo primario e secondario, diretti e indiretti e, com’è noto,

contribuiscono a definire i dominio valutativo di un progetto. Gli effetti primari riguardano la creazione

di VA (definito in tutte le sue componenti e per tutti i soggetti coinvolti) da parte del progetto. Gli

effetti primari diretti catturano il VA creato nell’ambito del progetto e ripartito fra i soggetti, mentre

quelli indiretti risultano da acquisti di beni utili al progetto presso imprese e fornitori. Possono essere di

primo grado (come l’acquisto di energia) o di secondo grado (come l’acquisto di carburante per la

produzione di energia), o di grado superiore. Gli effetti secondari rinviano all’ uso e all’impiego

successivo di VA lungo ‘catene di valore’.

Le categorie di effetti citati si possono manifestare sia in fase di cantiere che di esercizio, e i progetti

vengono scelti sulla base del contributo che danno alla massimizzazione del vettore di domanda di

riferimento.

Al di là della utilità del metodo, ME presenta alcuni limiti. Il principale riguarda il carattere esogeno

del vettore di domanda. Fra i limiti tecnici si rileva il ricorso a prezzi di mercato interni e non a prezzi-

ombra, ma non va sottovalutato lo stesso ricorso al VA. Esso porta ad attribuire un costo-opportunità

nullo ai fattori primari di produzione, con il risultato di favorire i progetti che utilizzano in modo

intensivo questi fattori. A questi limiti si aggiunge la difficoltà di disporre di tavole I-O disaggregate

(soprattutto a livello regionale), oltre che di coefficienti tecnici marginali (e non solo medi) e di serie

temporali di matrici di contabilità sociale152.

Questi limiti allentano il nesso fra programmazione economica e scelta degli investimenti pubblici e

possono influire sul loro riparto settoriale.

Valutazione algoritmica (di borsa e altro)

Una quota rilevante degli scambi sui mercati azionari dipende da hedge fund153. Questi fondi attivano

strategie di investimento ricorrendo al cosiddetto trading automatico, ovvero ad algoritmi, formule di

investimento passivo e modelli che alimentano la operatività di potenti computer. Gli investimenti non

151 Prou, Chervel, Etablissement des programmes en économie sous-développée; Chervel, le Gal, Manuel d’évaluation

économique des projets 1976 Ministero Cooperazione francese…Commissariato al Piano… 152 G Pennisi (a cura), 1985, cit., pp.152-163. 153 Hedge fund è un fondo comune di investimento a regolazione limitata rispetto ad altri fondi o ad altri vettori finanziari,

accessibile ad investitori accreditati e amministrato da una società di gestione. Si tratta di un portfolio di fondi che può

comprendere anche derivati (hedge sta per siepe) la cui composizione dovrebbe ridurre rischio e volatilità e garantire elevati

rendimenti (in assoluto o rispetto a determinai benchmark) con strategie ad hoc. In un articolo apparso il 25/12/2018 sul

Wall Street Journal, ‘Behind the Market Swoon: The Herdlike Behavior of Computerized Trading’ G Zuckerman, R Levy,

N Timiraos e G Banerji stimano al 28,7% gli scambi sui mercati azionari dipendenti da questi fondi.

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vengono effettuati analizzando i fondamentali delle imprese, ma sono orientati dagli stessi algotrader,

facendo salire l’operatività non guidata a circa l’85%154.

Gli algoritmi tendono a sopra o sotto-valutare determinati andamenti o variabili, senza possibilità di

integrare valutazioni più analitiche dei fondamentali. Ribassi o rialzi possono essere enfatizzati da

algoritmi e strategie di investimento con soglie d’allarme pre-impostate: una sorta di ‘pilota

automatico’ che può generare effetti-valanga proprio in ragione del fatto che le strategie di

investimento utilizzano gli stessi parametri di stima dei rischi. Un esempio: quando il parametro del

rischio-volatilità (variazione temporale del prezzo di uno strumento finanziario) supera certe soglie,

l’algoritmo scatta in automatico. Se genera effetti cumulativi può minare la stessa stabilità dei mercati,

soprattutto in condizioni di illiquidità (difficoltà a trovare compratori quando si vuole vendere)

determinando la fuga dai fondi azionari a favore di quelli monetari. Situazioni del genere richiedono in

modo pressante interventi da parte di autorità di vigilanza e regolatori.

La valutazione algoritmica è presente anche in pratiche estranee ai mercati azionari. In tutti i casi sono

rilevanti le implicazioni etiche. Tende a svilupparsi una ‘giustizia algoritmica’ che può creare

discriminazioni.

Valutazione strategica (Vs)

La valutazione strategica si presenta in diverse forme. Può essere finalizzata alla costruzione di

strategie (in caso di assenza e in presenza di istanze che le richiedono), alla loro comparazione o al loro

miglioramento (se disponibili e in qualche misura definite)155. Il carattere ‘strategico’ può emergere dal

gioco ‘contro Natura’, fra soggetti con interpretazioni diverse del rischio di perdita o con interessi

contrapposti. Può rinviare a dimensioni economico-sociali, ecologiche, ambientali, trasportistiche,

logistiche, storico-culturali, paesaggistiche, urbanistiche e così via.

154 Stima di M Kolanovic di J P Morgan (2018). 155 In questo contesto è stato sviluppato il modello ‘ASA’ (‘attori-strategie-azioni’). Il modello fornisce una base

metodologica per la selezione di progetti prioritari all’interno di un piano strategico e si configura come DSS (strumento di

supporto alle decisioni pubbliche). Dato l’insieme di progetti proposti in un processo di pianificazione strategica, la strategia

di implementazione può essere definita come sottoinsieme ordinato (sequenza) di progetti, il cui ordinamento rappresenta la

sequenza temporale della loro implementazione. Il confronto tra sequenze di progetti è effettuato sulla base di tre criteri:

interesse degli attori, rilevanza del progetto, risorse necessarie. Il primo criterio rappresenta l’interesse che gli attori

mostrano nei confronti dei progetti. Questo criterio tiene conto sia della disponibilità degli attori ad “investire” risorse nei

progetti (ad es. risorse economiche-finanziare, di tempo, di consenso politico, di sforzo organizzativo, e così via), sia

dell’importanza che gli attori rivestono per la realizzazione dei progetti. Il tener conto di questo secondo aspetto ha il suo

fondamento nell’idea che, in presenza di due attori ugualmente interessati a un dato progetto (e dunque con uguale

disponibilità ad “investire”), l’attore in grado di esercitare una maggiore influenza per la sua realizzazione ha anche una

maggiore importanza (peso) nella valutazione dell’interesse complessivo del progetto rispetto alla totalità degli attori. Il

criterio di rilevanza del progetto rappresenta l’efficacia che i progetti hanno per il raggiungimento degli obiettivi strategici

generali. Questo criterio misura le performance dei progetti nei termini di efficacia per il perseguimento dell’insieme degli

obiettivi definiti dal piano strategico. Nel riconoscimento di sequenze rilevanti si considerano anche potenziali sinergie tra

progetti. Infine, il criterio di risorse intende fornire una misura delle risorse (ad es. risorse economico-finanziarie, forza

lavoro, attrezzature, strumenti, capacità organizzativa, ecc.) necessarie per l’implementazione dei progetti. L’output del

modello è gestito dal software in modo interattivo mediante finestra grafica. Ogni bolla rappresenta una sequenza di

progetti, la cui posizione nel grafico (coordinate x e y) è determinata rispettivamente dal valore del suo interesse e della sua

rilevanza. La dimensione (il diametro della bolla) è invece indicativa del “costo” della sequenza in termini di risorse

necessarie. Il modello ASA è stato sviluppato da Lamp, Laboratorio di Analisi e Modelli per la Pianificazione della Facoltà

di Architettura di Alghero (http://www.lampnet.org).

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Questo tipo di valutazione aiuta a rispondere a quesiti del tipo: si stanno effettuando le scelte

strategiche giuste? Cosa si impara mentre il progetto/programma cerca di attuare una strategia? Più in

generale, la valutazione strategica può migliorare sia i modelli di azione che di cambiamento alla base

di un progetto/programma, ma soprattutto di una piano o di una politica.

Un campo frequentato da questo tipo di valutazione é la pianificazione strategica, con l’obiettivo di

fornire un aiuto alla selezione di progetti prioritari in risposta a problemi e ad istanze di policy

making156.

In contesto europeo e con riferimento all’ambiente, la valutazione ambientale strategica (Vas) è

obbligatoria per piani e programmi (con l’esclusione di pochi casi) e viene svolta nella fase di design.

Con indagini specifiche di tipo matriciale o olistico (bionomico) essa verifica la sostenibilità

ambientale (declinazione di equità distributiva intertemporale e di efficacia esterna) di scenari e di

azioni come piani, programmi o politiche secondo le due ottiche indicate in apertura. In sintesi, la Vas

si presenta come azione interna alla costruzione di un piano, di un programma o di una politica; è di

tipo formative in quanto accompagna il design e può modificare anche sostanzialmente un processo

pianificatorio/programmatico, i suoi modelli di azione, implementazione e cambiamento; ha carattere

anticipatorio, in ragione del suo contenuto strategico; è integrata, in rapporto alla complessa definizione

di sostenibilità ambientale che deriva da relazioni fra economia, società, ambiente e istituzioni; è

deliberativa per le modalità di costruzione della decisione. La Vas attiva forme di institutional design,

come i dispositivi di monitoraggio157, e consiglia l’uso di tecniche di scenario writing158.

La Vas può integrare concetti di sostenibilità e di sicurezza alimentare, confrontandosi con l’antico

conflitto fra ‘maghi’ e ‘profeti’159.

156 La modellistica in proposito è molto sviluppata e articolata per forme riconosciute: dal seminale STRAD di Friend e

Jessops (orientato alla costruzione di strategie) all’interattivo ASA (attori-strategie-azioni) finalizzato alla costruzione di

sequenze attuative di progetti sulla base di tre criteri: interesse degli attori (chiave, indispensabile, condizionante, marginale,

ininfluente) nei confronti dei progetti in termini di ruolo e di disponibilità ad investire proprie risorse (in senso lato);

rilevanza del progetto (dei progetti e delle eventuali sinergie) nel raggiungimento di obiettivi strategici generali (efficacia

strategica); disponibilità di risorse. Per ASA vedi A Cecchini, I Blecic, C Pusceddu, ‘Il software ASA’, in F Martufi, E

Primavera (a cura), 2008, E-democracy e pianificazione strategica: il progetto e_demps. Pratiche partecipative per

decisioni condivise, ReCS rete delle città strategiche, pp. 49-54. 157 Il monitoraggio è una routine diagnostica di un piano in corso di attuazione, spesso denominata performance

measurement o performance monitoring. La routine può riguardare il processo, le realizzazioni (output) o i risultati

(outcome). Il rapporto con la valutazione è molto stretto in quanto il monitoraggio fornisce elementi utili per apprezzare il

valore di ciò che si è ottenuto o perduto, vedi tabella 2 in T A Schwandt, 2015, p. 21. 158 Lo scenario è qui inteso come compromesso fra proiezioni, previsioni e attese (auspici) e la sua costruzione può

richiedere tecniche qualitative o quantitative. 159 I riferimenti principali di questo conflitto sono W Vogt e N Borlaug: il primo, fondatore del movimento ambientalista

moderno, da certuni definito anche ‘ambientalismo apocalittico’, ritiene che la ricchezza sia un problema in quanto tende a

distruggere gli ecosistemi del pianeta; per il secondo, tecno-ottimista, scienza e tecnologia possono aiutare a trovare la

soluzione, se usate nel modo giusto. In Road to survival (1948, William Sloane Associates, New York) Vogt espone la tesi

della ‘capacità portante’, alla base della teoria dei ‘limiti ecologici’ o dei ‘confini planetari’, condivisa da R Carson

(Primavera silenziosa) e P Ehrlich (The population bomb). Questa teoria ha orientato il successivo rapporto sui ‘Limiti dello

sviluppo’ commissionato al Mit dal Club di Roma a metà anni ’70 del secolo scorso. N Borlaug, premio Nobel per la pace

nel 1970, è ritenuto padre della ‘rivoluzione verde’. Ma al di là delle calorie per ettaro e della conservazione degli

ecosistemi, il disaccordo fra ‘maghi’ e ‘profeti’ alla base del dibattito stimolato da Vogt e Borlaug riguarda più in generale

la natura dell’agricoltura e della società. Si tratta di due scuole di pensiero che si scontrano sulle strategie sostenibili per

sfamare il pianeta lungo la curva demografica. Per una sintesi del dibattito vedi C C Mann, ‘Come sfamare il pianeta’,

Internazionale 6-12 Arile 2018, pp. 38-46.

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Scenario writing

Il tempo aperto e non lineare del progetto, assieme alla sterilità o autoreferenzialità del concetto di ciclo

di progetto, consigliano di operare con scenari concepiti come orizzonti di plausibilità e non di verità.

Nelle pratiche di scenario writing si opera in domini (almeno) tridimensionali in cui proiezione,

previsione e auspicio (prefigurazione) definiscono un unico spazio ontologico. Questo spazio ammette

diverse semantiche dovute a possibili concezioni e traiettorie di proiezione, previsione e auspicio, ma

anche alla circolarità fra le tre dimensioni: circolarità alimentata dall’immaginazione del progetto.

Quanto più questo è immaginativo, tanto più realistica e particolareggiata dovrebbe essere la sua

esecuzione. Entrati in crisi gli approcci causali dei modelli previsionali, solo in parte sostituiti da

algoritmi associativi o classificatori di diverse tipologie di dati, gli scenari rinviano ad orizzonti di

plausibilità, possibilità evolutive, biforcazioni, paradossi e dilemmi. Non limitandosi a configurazioni

di stato, essi riconoscono una certa importanza alle pratiche abduttive e alle sperimentazioni

cognitive160. In questa accezione pragmatista, l’operazione di scenario writing diventa sperimentazione

sociale e apertura all’evento, ‘ricerca dell’anello che non tiene’, conversazione sociale e prefigurazione

intenzionale.

Valutazione avversariale

In inglese viene chiamata adversarial evaluation o judicial model of evaluation e si contrappone alla

valutazione collaborativa, partecipativa o orientata alla conciliazione. Analogamente ai contenziosi

legali, questo tipo di valutazione utilizza le audizioni (hearing) come dispositivo informativo e di

confronto. Le audizioni possono assumere la forma di chiarificazioni, verifiche, revisioni o di veri e

propri confronti, con l’obiettivo di generare un quadro dei pro e contro sulla causa in oggetto, di

rappresentare la complessità delle questioni in discussione, sottolineare se e dove l’evidenza è più o

meno robusta, giungere a conclusioni più convincenti rispetto ad evidenze incomplete o errate. L’esito

non è scontato e può accadere che l’audizione contribuisca ad aprire piuttosto che chiudere le questioni

in discussione. Durante l’audizione ogni questione viene trattata da due o più parti contrapposte, si

ascoltano le motivazioni, si procede a confronti con casi analoghi. La procedura è molto simile ad un

dibattimento in tribunale. Le applicazioni vengono, a volte, erroneamente assimilate a studi di caso o a

valutazioni con metodo misto. Esperienze interessanti sono state effettuate in materia di valutazione dei

danni ambientali, in particolare in occasioni di disastri, come l’inquinamento dovuto a naufragi di

petroliere o incidenti in piattaforme di estrazione, le emissioni liquide o gassose da impianti industriali,

oleodotti o gasdotti per incidenti o inefficiente organizzazione dei cicli di produzione, l’inquinamento

da fracking mining o l’inquinamento delle acque o dei suoli con idrocarburi policiclici aromatici (Ipa),

metalli pesanti e così via. In Italia costituiscono riferimento importante la stima dei danni ambientali

generati dall’insediamento industriale di Porto Marghera (Venezia) e la richiesta di risarcimento

effettuata da P Leon negli anni ’90. La richiesta di risarcimento è stata effettuata rispetto ad uno

scenario di ripristino della naturalità dei luoghi contaminati nell’intero sito di interesse nazionale.

Secondo questo approccio il programma o il progetto (i loro esiti effettivi o attesi) vengono ‘condotti a

giudizio’ (al κϱιτεϱιον, tribunale). In tribunale il giudice soppesa le motivazioni dell’accusa e della

difesa, sente i testimoni e invita la giuria ad esprimersi. Simulando quanto accade in tribunale, per

160 Su questa concezione di scenario in chiave pragmatista, con riferimento esplicito al progetto urbanistico, vedi G Pasqui,

2018, La città, i saperi, le pratiche, Donzelli Editore, Roma, pp. 99-101.

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attivare questa procedura valutativa vengono selezionati un giudice e una giuria, identificati i criteri su

cui accusa e difesa concordano, selezionate le questioni più rilevanti. Il caso viene preparato indicando

evidenze e testimoni, effettuando una prova generale, raccogliendo accuse, dichiarazioni e

testimonianze, effettuando un vero e proprio dibattimento con valutazione incrociata (cross-

examination). Come prova possono essere portati risultati di analisi o di valutazioni su oggetti o

contesti analoghi, stime di costi/benefici, analisi di contingenza o esiti meta-valutativi161.

Riconoscimento del caso di successo (success case)

‘Looking for something good or bad’ può essere lo slogan dell’approccio success case, attento agli

‘estremi’ (outlier). L’analisi degli estremi (in certi casi punti di forza o di debolezza) è molto diversa

dalla analisi ‘in media’, esito di interpolazioni, compensazioni o discutibili aggregazioni ponderate.

Anzi: si allontana decisamente dalla sua presunta evidenza. In un sistema cartesiano, con x consumo di

suolo a fini edificatori e y dotazione/ funzionamento di servizi ecologici, potremmo registrare un

cluster di punti con trend decrescente: all’aumentare di consumo di suolo dotazioni e performance dei

servizi ecologici tendono a diminuire. Ma vi possono essere due ‘punti strani’, detti outlier: uno in alto

a destra e uno in basso a sinistra, nei pressi dell’origine delle coordinate. Il primo punto evidenzia una

situazione in cui i servizi ecologici sono performativi nonostante l’elevato consumo di suolo. Ciò può

accadere in presenza di ‘riserve’ ambientali, di reti ecologiche diffuse e dove la diffusione insediativa

può consentire integrazione degli usi, degli spazi aperti e dei suoli non consumati. Il secondo punto

potrebbe rappresentare situazioni caratterizzate da una agricoltura industriale, specializzata e a forte

carico di contaminanti. Il basso consumo di suolo a fini edificatori è correlato ad un uso agricolo

distruttivo di paesaggio rurale ed ecosistemi naturali.

Questo tipo di approccio cerca di rispondere al quesito: con quali azioni si può giungere a risultati

prevedibili o inaspettati, ad esempio collocandosi in uno dei due punti citati? Si potrebbero evidenziare

istanze di successo in contrapposizione a quelle che frenano il progetto o il programma.

Valutazione artistica

In prospettiva EV questo tipo di valutazione si sviluppa secondo tre percorsi principali. Il primo,

orientato alla ‘valutazione educativa’, ricorre alla ‘critica d’arte’ come modello. Il modello si fonda su

teorie estetiche, utilizza eventi, forme letterarie e artistiche del discorso per descrivere l’oggetto

(evaluando), ha un approccio eclettico. Si tratta di un’operazione culturale e non di decifrazione

specialistica. Uno dei temi centrali in questo percorso è l’attribuzione e il conseguente valore che

un’opera può acquisire nel mercato, anche se i valori possono essere altri, fuori-mercato. Se il valore di

un’opera d’arte non è separabile dal suo valore di mercato la sua ‘aura’ tende a dissolversi con il

feticcio della merce, come ricordava W Benjamin. Ma una certa ‘rarità’ dell’oggetto-opera potrebbe

essere ‘costitutiv(a) della sua desiderabilità e dell’apprezzamento estetico che ne diamo’162. Replica

dell’oggetto o affollamento eccessivo sull’oggetto potrebbero comportare una sua svalutazione,

evidenziando come l’esperienza di valore non possa essere univoca. Essa è ‘l’esperienza del costituirsi

di comunità intorno ad un modello, che non si può definire “scientificamente” nei suoi tratti, ma si dà

161 L Datta, ‘Judicial model of evaluation’, in S Mathison (ed), 2005, Encyclopedia of Evaluation, Sage, London, pp. 214-

217. 162 G Vattimo, 2018, Essere e dintorni, La nave di Teseo, Milano, p. 248.

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di fatto, di volta in volta, come una novità imprevedibile’163. Poiché l’apprezzamento muta con il suo

formarsi (può essere ‘appaesante’, ma anche ‘spaesante’), l’attribuzione di valore diventa problematica.

Per evitare di entrare nella prospettiva PV che questa problematica accoglie in modo costitutivo, si

ricorre così a semplificazioni che sostanzialmente evitano di porsi il problema dei confini.

L’attribuzione viene così affidata ad uno o più esperti, oppure viene sottoposta a dibattito critico in

mostre comparative164. Si tratta, a ben vedere, di giudizi estetici ‘interessati’ alle modalità di ricezione

dell’opera, decisamente agli antipodi dei giudizi estetici disinteressati nel valutarne, ad esempio, la

bellezza. La contrapposizione fra i due tipi di giudizio sta nell’intendere l’interesse come sinonimo di

egoismo. ‘L’azione disinteressata è quella che ha saputo superarlo’165 andando oltre l’apprezzamento di

sé per un apprezzamento dell’altro, del mondo, non solo umano. ‘Il vero artista non piega il mondo ai

propri gusti, ma gli si sottomette’166. In questa prospettiva la valutazione educativa che ricorre alla

critica d’arte cerca di premiare lo sforzo di apprezzamento dell’altro, di dialogo con l’altro. Il valore

dell’opera sta principalmente qui.

Nel secondo percorso si ricorre a forme d’arte e a tecniche artistiche per mostrare gli esiti della

valutazione. E’ un percorso a forte valenza comunicativa. Il terzo rinvia alla serendipity e alla

cosiddetta ‘valutazione creativa’. Quest’ultima può maturare nell’interazione sociale e favorire la

complementarietà di valori ‘artistici’ e ‘scientifici’ in un processo valutativo. La sensibilità artistica può

aiutare a distaccarsi da ‘premesse implicite’, da frame routinari; può creare discontinuità, cambiare

abitudini percettive e valutative, avvicinandosi con pertinenza a significati di contesto o a contesti di

significato.

Le pratiche di ascolto attivo fanno sì che la pratica artistica diventi strumento di conoscenza ad uso non

solo contemplativo, ma progettuale (può essere inteso come quarto percorso)167. Il gradiente PV tende

ad aumentare se si va oltre la logica dell’‘ avvicinamento’ a favore dell’interpretazione.

Valutazione indiziaria

La micro-analisi consente di cogliere dettagli ‘rivelatori’, ovvero elementi e connessioni irriducibili (o

non riconducibili) a livello macro. Essi vengono colti ad una scala ridotta, non come riflessi di

generalità. Questi dettagli affioranti da interstizi non contribuiscono alla realizzazione del quadro

generale, ma possono ‘metterlo in discussione rivelando un’altra realtà, o anche semplicemente

ampliandola o complessificandola. Non una realtà alternativa, ma una realtà differente, più articolata e

dalle sfaccettature insospettate e ben più complesse di quanto si supponeva’168. L’abilità indiziaria non

163 Ivi, pp. 248-249. 164 Una recente mostra con questo tipo di approccio è stata ‘Attorno a Caravaggio. Una questione di attribuzione’ (ottobre

2016, Brera, Milano). L’uso di uno spazio pubblico per un dibattito critico del genere può sollevare qualche perplessità per

diversi effetti collaterali (com’è di fatto accaduto, vedi D Pappalardo, ‘Brera e le ombre sul presunto Caravaggio’, La

Repubblica, 27/10/2016). Nonostante il museo non si assuma alcuna responsabilità in merito alla attribuzione (offre soltanto

una opportunità valutativa), per certuni agevolerebbe comunque il mercato dell’arte, influendo sul valore di un’opera

appartenente ad una collezione privata e che potrebbe essere destinata alla vendita. 165 T Todorov, ‘Perché l’arte può salvare il mondo’, la Repubblica, 8/2/2017, p. 31. 166 Ibidem. 167 M Sclavi, 2003, Arte di ascoltare e mondi possibili. Come si esce dalle cornici di cui siamo parte, Bruno Mondadori

Editore, Milano. 168 E Castelli Gattinara, 2017, La forza dei dettagli. Estetica, filosofia, storia, epistemologia da Warburg a Deleuze,

Mimesis/Epistemologia, Milano/Udine, p. 86. Sono numerosi gli esempi in proposito, alcuni assimilabili a forme di

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sta soltanto nel riconoscimento dell’eccezione, ma nella comprensione del modo in cui eccezione e

normalità interagiscono, senza che l’una faccia tacere l’altra. Più punti di vista e sistemi di riferimento,

quindi, come nelle ‘costellazioni’ di presente, passato e futuro di W Benjamin169.

Il ‘metodo indiziario’170 è sostanzialmente analitico e viene impiegato in campo giudiziario,

archeologico, artistico, statistico, ambientale e così via. Si tratta di un dispositivo di decodifica e di

interpretazione di frammenti, dettagli, particolari apparentemente marginali, a volte di scarti sulla base

dei quali si potrebbe scoprire l’invisibile, riconoscere una ‘figura’, una logica coerente o un senso

compiuto. In una sorta di ricomposizione potrebbero emergere nuovi valori e logiche di attribuzione.

Questo approccio ‘apre alla consapevolezza critica dell’insufficienza fondamentale delle varie forme

del sapere, e dell’inadeguatezza di una loro opposizione reciproca (solo che non è un “paradigma”,

piuttosto una “pratica”)’171. Il connotato pratico emerge dal fatto che ‘nel dettaglio si esprime un

aspetto della realtà capace di aprire nuove prospettive conoscitive per le quali occorre un’altra

epistemologia e un altro metodo di indagine’172. E’ un modo per recuperare il resto, l’assente, ciò che è

muto e senza parola, volutamente dimenticato o trascurato da una spiegazione, in un ‘gioco di

resistenze, sopravvivenze, ritardi’ che lo ripropone ai margini del discorso o in alcune sue

increspature173.

Il dettaglio può emergere all’improvviso, come esplosione, atto creativo, introducendo ‘un silenzio

nella proliferazione ermeneutica’. Nella scrittura della storia o nell’invenzione del quotidiano di M de

Certeau il dettaglio ‘presenta il conto all’interpretazione perché lascia vedere la frattura, la lacuna e il

silenzio di cui è gravida l’assenza, indica che l’insensato cui appartiene apre a una realtà la cui

ampiezza e la cui complessità non possono esaurirsi nei limiti della sola ragione, o meglio nei discorsi

istituzionalmente circostanziati e storicamente determinati. Lo storico dovrebbe diventare allora “un

poeta del dettaglio”, attento soprattutto a quei particolari che fanno eccezione, perché sono quelli dove

“la realtà emerge” non solo come la punta di un iceberg, ma anche nel senso dell’emergenza e

dell’eccezionalità, vale a dire della differenza’174. Ciò fa dire a M de Certeau che ‘il fatto è la

differenza’, un informazione utile al valutatore come segugio o detective175.

Se la valutazione è anche scoperta e attribuzione di valori, il metodo indiziario indica una strada che

potrebbe portare ai valori, piuttosto che essere da questi condizionata fin dall’inizio. Questo metodo

(ma non è il solo) ‘richiama alla responsabilità del posto da dove parliamo, giudichiamo e pensiamo’,

aiuta a riconoscere la propria parzialità e ad ammettere l’alterità176.

Valutazione basata sulla (guidata dalla) teoria (theory-driven)

In questo approccio si percepisce un ritorno al razionalismo di chi deduce il mondo dai principi della

ragione o di una teoria conoscibile, se non ancora nota. E ciò in antitesi all’empirismo che induce il

mondo dall’osservazione empirica resa rigorosa ed affidabile dall’esperimento. Che l’evaluando si

resistenza locale (interstiziale) ad istanze di progresso più generale su tematiche ambientali, agricole, architettoniche,

urbanistiche, economico-finanziarie e così via. 169 Cit. a p. 90, ivi. 170 C Ginzburg, 1979, Spie. Radici di un paradigma indiziario, Einaudi, Torino. Utili i riferimenti a S Freud, C Doyle, G

Morelli e ad altri. 171 E Castelli Gattinara, 2017, cit., p. 92. 172 Ibidem. 173 Ivi, p. 93, citando M de Certeau. 174 Ivi, pp. 94-95. 175 Vedi, in proposito, M Bertozzi, 2008, Il detective melanconico e altri saggi filosofici, Feltrinelli, Milano. 176 Ivi, p. 97.

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offra con la sua teoria o la valutazione con un modello di cattura plausibile non cambia molto. In

entrambi i casi si ‘cerca’ un adattamento per offrire generalizzazione o generalizzabilità.

Generalizzabilità e causalità177 sono alla base della valutazione basata sulla teoria (theory-driven)

appartenente, forse, più di ogni altra al dominio EV. Essa cerca di assicurare evidenza valutativa

all’azione dell’ evaluando e sull’evaluando, riconoscendo ad essa una sorta di credibilità scientifica e di

utilità pratica. In questa prospettiva riprende con forza i concetti di validità interna ed esterna, il primo

orientato alla credibilità, il secondo all’utilità178. In questo sforzo cerca anche di superare i limiti

dell’approccio black box (che cela le relazioni fra intervento e risultato) rincorrendo note o presunte

teorie del programma (piano, progetto o politica). Queste teorie opererebbero come framework

concettuali in grado di accogliere, e in certa misura spiegare, le relazioni intervento-risultato. Sarebbero

questi framework, o teorie, a dare senso alla loro causalità lineare o mutua.

Il problema è cosa si intenda per teoria del programma o del progetto, da dove derivi questa teoria,

come possa emergere dall’interazione sociale, se e come possa adottare teorie del cambiamento più o

meno plausibili. Non si può escludere l’assenza di teorie di riferimento o la coesistenza di diverse

teorie e modalità di ‘emersione’.

Per i sostenitori di questo tipo di valutazione la teoria del programma è una configurazione sistematica

degli assunti prescrittivi e descrittivi degli stakeholder: assunti che stanno alla base del programma in

modo esplicito o implicito e che vincolerebbero la teoria del programma alle teorie degli stakeholder.

Gli assunti descrittivi aiuterebbero a configurare il ‘modello di cambiamento’ a cui il programma

allude, ovvero i processi causali che potrebbero consentire il raggiungimento degli obiettivi del

programma. Gli assunti prescrittivi plasmerebbero il ‘modello di azione’ cui il programma allude per

generare i cambiamenti attesi sulla base delle risorse disponibili. Nonostante la combinazione dei due

modelli (cambiamento e azione) non sia scontata, i due modelli sarebbero in grado di esplicitare la

teoria del programma così come intesa dagli stakeholder (o da esperienze analoghe documentate) e

consentire alla valutazione basata sulla (guidata dalla) teoria di incorporare meccanismi causali e fattori

contestuali179.

Lo snodo fra i due modelli è costituito dalla attuazione (implementation) del programma, ispirata al

modello di azione e generatrice del modello di cambiamento o di conservazione180. L’attuazione

diventa così un processo che, motivato da un modello di azione, attiva un cambiamento in un

determinato contesto, utilizzando risorse disponibili. Non è difficile riconoscere come la teoria

dell’attuazione (implementation theory) rinvii alla teoria del progetto e si affianchi alla valutazione

orientata alla (o guidata dalla) teoria.

Il modello di cambiamento descrive il processo causale generato dal programma, ovvero le relazioni fra

intervento (trattamento), determinanti e risultati. Si suppone, infatti, che l’intervento generi risultati

ancorati a obiettivi definiti attivando uno o più determinanti. Un determinante (detto anche mediatore o

variabile ‘che attiva’) è un meccanismo, un leverage o dispositivo che riconosce e attiva una relazione

177 Secondo D Campbell ogni test di connessione causale comporta forme di generalizzazione in relazione a cinque domini:

causa, effetto, popolazione, esposizione ai trattamenti (setting), tempo. 178 H T Chen enfatizza questa prospettiva quando dice: ‘while Campbell prioritized internal validity and Crombach

prioritized external validity, theory-driven evaluation views both types of validity as essential; both need to be

systematically addressed in evaluation for producing useful results’, in M C Alkin(ed), 2013, cit. p. 114. 179 H T Chen, in M C Alkin(ed), 2013, cit. pp. 114-115. 180 Per uno schema concettuale della teoria del programma vedi H T Chen, idem, p.117.

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causale. Il determinante è l’elemento strategico del programma, nel senso etimologico di ‘guida’, e ad

ogni programma si richiede l’identificazione dei determinanti181 in grado di consentire all’intervento di

raggiungere i risultati, di rispondere a domande potenziali (fabbisogni) o effettive. Il modello di azione

prende forma nella interazione sociale/ambientale che diventa, di fatto, il supporto micro e macro-

ecologico (ecological context). A livello micro sono i profili sociali, psicologici e materiali dei soggetti

che decidono di istituire forme di collaborazione o partnership ad attivare azioni e strumenti attuativi

finalizzati a determinati target. Fra i target vi sono gli utenti del programma (beneficiari o vittime) e la

loro identificazione è significativamente correlata al determinante. A livello macro sono le dinamiche

culturali, giuridiche, socio-economiche di contesto che favoriscono o contrastano il programma. Se non

sono adeguate, le capacità del dispositivo attuativo vanno create, identificati gli attuatori del

programma (competenza, qualifica, impegno, entusiasmo e altro) e definiti i protocolli procedurali. Per

l’attuazione possono essere partnership182 organizzative o comunitarie.

In questo approccio è prevista la costruzione di una teoria del programma da utilizzare come guida alla

valutazione. La teoria descrive in modo plausibile e difendibile come il programma dovrebbe operare

in determinate circostanze. Un programma prevede (inter-)azioni per il cambiamento. Di conseguenza,

la teoria del programma riguarda i modelli di (inter-)azione e i modelli di cambiamento. Il rapporto fra i

due tipi di modelli non è necessariamente lineare: possono infatti interagire e influenzarsi a vicenda. Un

piano urbanistico strutturale può attivare diversi modelli di (inter-)azione come la perequazione, la

compensazione ecologica, l’uso (o l’abuso) di diritti edificatori, il disegno di armature ambientali o

storico-culturali e così via. Ad ognuno di questi modelli può essere associato uno o più modelli di

cambiamento relativi alle morfologie insediative, alle performance eco-sistemiche, a dispositivi di

garanzia o di tutela, ad impronte, schemi di urbanizzazione o di uso del suolo. E questi modelli di

cambiamento hanno implicazioni economiche e sociali molto evidenti.

Obiettivo della valutazione basata sulla teoria è fornire informazioni non soltanto su valori o

performance di un progetto/programma/piano, ma su come e perché emergono determinati valori o si

raggiungono determinate performance. Un progetto, in quanto azione routinaria o di rottura e ipotesi di

trasformazione della realtà, può essere dotato di teoria. Questa teoria può essere più o meno condivisa e

testata nell’esperienza. Può appartenere ad una classe di progetti di cui si sa come, in condizioni simili,

vengano proposti obiettivi e prodotti risultati. Esiste, quindi, il progetto con la sua teoria che potrebbe

non essere molto diversa dalla teoria di una classe di progetti simili. Ciò consente di verificare la

validità interna sulla base della teoria del progetto e la validità esterna (spesso implicita) mediante

l’analisi dei modi in cui il progetto si comporta in modo simile a o diverso da un futuro progetto a cui si

intende applicare il disegno valutativo.

181 Il determinante può essere un meccanismo, ma nell’accezione di Chen e di altri autori è un leverage identificato dal

programma, in assenza del quale il programma non sarebbe plausibile. Il modello valutativo realista considera il

meccanismo come un dispositivo esterno, non sempre identificabile ex-ante, che influisce sul programma e sulla sua teoria.

Infatti, uno dei compiti della valutazione realista è scoprire i meccanismi e non darli per acquisiti. 182 Partnership possono nascere ed esaurirsi già in fase di design, oppure proseguire nell’attuazione e sopravvivere alla

stessa conclusione del progetto. Alcuni tipi di partnership si sviluppano anche dopo che il progetto è stato ultimato

rafforzandone la sostenibilità. Si ricorda che la partnership può essere oggetto di valutazione specifica, vedi in proposito gli

studi effettuati da Operation Evaluation Department (OED) sotto la direzione di R Picciotto e il più recente guest blog post

di Tiina Pasanen in Betterevaluation.org/newsletter, ‘How can we assess the value of working in partnership’, 21/6/2016

2016 'M&E on the Cutting Edge' Conference Partnering for Success.

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La teoria può essere assunta anche in modalità esplorativa nella azione valutativa e riguardare in modo

lineare sia il processo (input, attività, risultato) che la generazione degli effetti (iniziali, intermedi o di

lungo periodo). Diventa non lineare quando in un contesto valutativo si evidenziano le relazioni fra

modello di azione e modello di cambiamento. Quando il progetto è esito possibile (o non

completamente determinabile) di una interazione, potrebbe presentarsi senza teoria, con una teoria

implicita o con una teoria molto debole, tutta da costruire.

Abbiamo visto come la valutazione basata sulla teoria costruisca un proprio modello interpretativo a

partire dall’esperienza (del progetto e della valutazione stessa). Il modello può essere di tipo causale

(O-I-E), reticolare, esplorativo {O, I, E} o di altro genere. Questo tipo di valutazione è particolarmente

utile quando i soggetti che partecipano al progetto e alla valutazione cercano di identificare quali

componenti di progetto operano in modo plausibile e quali no. E’ orientata più che alla rendicontazione

alla riduzione dei gap fra assunti (alla base della teoria) e pratiche.

Esistono diversi ‘modelli’ applicati a diverse componenti della struttura concettuale del progetto o del

programma, in genere riferiti al cosiddetto life cycle assessment (Lca): processo (modello di azione vs.

attuazione), meccanismi o mezzi (che permettono a determinati interventi di generare risultati), fattori

(moderatori) che agiscono sulla relazione interventi-risultati. Il modello integrato processo-risultato

valuta il successo/insuccesso dell’attuazione (implementation success) assumendo l’attuazione

(implementation) come raccordo fra logica del programma e interventi. Per ottenere i risultati

l’intervento attiva (o richiede) alcuni determinanti (meccanismi, mezzi, fattori) secondo una o più

teorie dell’azione. I determinanti, a loro volta, generano i risultati secondo logiche che la valutazione

evidenzia.

CIPP (context, input, process, product)183

Un progetto opera in un contesto (C) e si presume risponda a bisogni e a domande ritenuti prioritari:

l’urgenza e la gravità di bisogni e domande vengono riconosciute sulla base di valori. A bisogni e

domande il progetto cerca di rispondere ponendosi alcune finalità (goal). Queste finalità sono quindi

declinabili in obiettivi operativi raggiungibili con azioni specifiche. I corsi di azione compongono le

strategie, intese come input (I). Le azioni vengono a loro volta effettuate secondo processi più o meno

adattabili (P) per generare risultati o prodotti (P). Nelle quattro dimensioni valutative (C, I, P, P) sono

riconoscibili diversi tipi di valore (o disvalore): i valori che il contesto attribuisce a bisogni e domande;

i valori delle strategie intese come input, ovvero come risorse di progetto; i valori di processo

imputabili alle sue caratteristiche di rigidità o adattabilità e, infine, i valori attribuibili ai risultati o ai

prodotti dai diversi soggetti.

Per il suo carattere ‘aggregativo’ e sistemico può essere inteso come ‘modello di modelli’ o, più

semplicemente, come ‘logica di connessione valutativa’. Propone, infatti, un frame utile a svolgere

valutazioni di tipo formative e summative sfruttando la relazione fra contesto, strategie (input),

attuazione (implementation o processo) e risultati. Il frame viene costruito a partire dall’insieme dei

valori principali (core value) identificando quattro ‘dimensioni’ valutative. La prima riguarda la

relazione valori-goal. Essa consente di valutare il contesto (interno/esterno) e le sue istanze; consente

183 CIPP viene considerato dall’autore ‘an improvement and accountability-oriented approach’, vedi D L Stufflebeam, C L S

Coryn, 2014, Evaluation Theory, Models & Applications, Jossey Bass, A Wiley Brand, San Francisco, CA (second edition),

pp. 309-340.

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di apprezzare problemi, risorse e possibilità fra cui i suoi ‘progetti impliciti’ (non riducibili a mere

‘vocazioni’); consente, infine, di riconoscere potenziali beneficiari. Il contesto può essere sociale,

politico, ecologico, economico, ma anche di progetto e quindi valutativo. La seconda dimensione rinvia

alla relazione valori-strategie e attiva la valutazione degli input necessari al raggiungimento dei goal.

La relazione valori-azioni attuative caratterizza la terza dimensione che orienta la valutazione di

processo (implementation) attenta al modo in cui le azioni mobilitano gli input. Vi è, infine, la

relazione valori-prodotto/risultato che consente la valutazione del prodotto finale nelle componenti

attese e inattese.

In termini semplificati184, la valutazione di contesto evidenzia l’urgenza di eventuali cambiamenti

sociali, economici, ambientali, istituzionali che il progetto ipotizza. Si identificano gli ostacoli al

cambiamento e gli obiettivi per favorirlo. Se già si dispone di soluzioni, si attivano senza procedere

oltre, altrimenti si verifica l’opportunità di ricorrere a strategie diverse. La loro plausibilità viene testata

nel contesto e utilizzata per avviare azioni specifiche. L’attuazione può generare buoni risultati

(performance), e se processo ed esiti sono ritenuti validi, la strategia viene proposta come dispositivo di

cambiamento, altrimenti viene sottoposta ad ulteriori test o definitivamente abbandonata.

Si tratta quindi di una analisi sistematica dei valori di un oggetto con formulazione di giudizi sulla base

di criteri di qualità, valore per sé, correttezza, equità, fattibilità, costo, efficienza, sicurezza e

significatività. Com’è evidente, il modello ha pretese di oggettività e può accompagnare un processo di

design (dall’urgenza di un cambiamento alla valutazione di performance) o un itinerario inverso, dalla

performance alle domande di contesto.

Per ciascuna delle quattro dimensioni il modello specifica obiettivi, tecniche e modalità d’uso. Ma

l’aspetto più rilevante è la connessione fra le quattro dimensioni. Obiettivi, tecniche e modalità d’uso

possono essere esplicitati in una matrice 4x4 le cui relazioni interne sono esemplificate dal flow chart.

Ad esempio, i risultati di un progetto possono essere apprezzati non solo per ciò che rappresentano, ma

anche rispetto al profilo di contesto, alle strategie e all’insieme delle azioni attuative. Ex-ante, un

approccio del genere dilata il dominio valutativo del progetto; in itinere consente interventi ‘correttivi’

su tutti e quattro i domini, mentre ex-post può arricchire la comprensione di quanto realmente accaduto.

In sintesi, si tratta di un modello valutativo che contestualizza la relazione O-I-E, relativizzandola. Il

processo non è semplice modalità d’uso di I per generare E, ma una pratica contestuale. Per questo, può

essere utile nella valutazione di programmi predisposti nella forma di portfoli-progetti (program

evaluation).

Valutazione realista (configurazione C-M-R)

‘C’è chi pensa sia vano interrogarsi sulla natura di “ciò che esiste”, perché l’oggetto di questo

interrogativo non rientra nelle nostre competenze: possiamo (al più) percepirne gli effetti, ma non

possiamo sapere di “cosa” si tratti. Per contro, altri sostengono che il fatto di intuire qualcosa e di

tentarne qualche forma di descrizione ci impegna sull’esistente di quel certo qualcosa; ci impone anzi

di considerarlo come esistente, per il fatto stesso che iniziamo a descriverlo. Del resto, la nostra

esposizione all’imprevisto (a ciò che non avevamo intuito, o descritto) rende arduo dubitare del fatto

che “c’è qualcosa, ‘lì fuori’ (o “qui dentro”), indipendentemente dalle attese, dalle previsioni e dalle

184 Vedi flow chart di fig. 13.2, p, 333 in D L Stufflebeam, C L S Coryn, 2014, Evaluation Theory, cit.

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competenze che ognuno può farsene’. Nella vita ordinaria ‘siamo, in qualche misura, “realisti ingenui”

e anche “empiristi spontanei”185. G I Giannoli legittima così le possibilità del realismo.

Ricordando Josifov Pešev, il ‘giusto’ che con una lettera al premier bulgaro salvò decine di migliaia di

ebrei durante la seconda guerra mondiale, M Ferraris fa presente come questo caso sia

‘l’esemplificazione del principio secondo cui lo statuto morale di una persona è determinato dal suo

rapporto con norme che non sono morali ma pragmatiche e storiche, ed è in relazione a queste che

bisogna impegnarsi moralmente’. J Pešev non è stato un eroe, ma una persona normale che ha scelto, e

questo comportamento introduce ‘la giustizia come responsabilità di fronte al mostrarsi del reale’. ‘

“Realismo” non significa semplicemente sostenere che esistono tavoli e sedie: questo lo sanno anche

gli antirealisti, sebbene poi si ostinino a sostenere che non sono tavoli né sedie in sé, ma tavoli e sedie

per noi. Meno che mai vuol dire che accertare la realtà significhi accettarla, rinunciando alla

trasformazione. E’ vero il contrario. La trasformazione o la rivoluzione, è possibile e doverosa, ma

richiede azioni reali, e non semplici pensieri’. Con la sua azione J Pešev ‘ha provato il discontinuo: che

la libertà esiste, e ha mostrato la possibilità dell’impossibile, la fattibilità reale di qualcosa che non ha

ancora avuto luogo. Qualcosa che è “fuori dagli schemi”. E’ importante che l’azione esemplare sia

individuale. Non c’è bisogno di sviluppare un culto degli eroi…Basta che l’azione sia espressione di un

individuo prima che di un’idea e di un imperativo categorico – presentandosi come una infrazione delle

regole, come una sorpresa affine al motto di spirito piuttosto che come l’attuazione di un

programma…Dopo aver pensato e ragionato, si prende comunque una decisione, che si rivela

indipendente da tutti i calcoli che l’hanno preceduta, perché, d’accordo con Kierkegaard, “l’istante

della decisione è una follia”: è per l’appunto la sospensione del continuum dei ragionamenti,

l’introduzione di un discontinuo…’186.

Questa chiara introduzione di M Ferraris al significato della parola ‘realista’ può essere d’aiuto alla

comprensione della valutazione omonima, in quanto allerta su possibili fraintendimenti e usi.

Secondo la valutazione realista (realist/realistic187) i progetti (assieme a piani, programmi o politiche)

sono teorie (congetture che possono diventare diagnosi e rimedi); appartengono a specifici sistemi

sociali, sono inter-attivi (coinvolgono i beneficiari, non li considerano ‘passivi’ e tantomeno ‘target’) e

sono aperti (non isolati) alle influenze esterne. Un programma opera in un determinato contesto C (o in

più contesti simultaneamente), si presume generi dei risultati R, ma attivi soprattutto meccanismi (M)

che possono favorire o impedire R. Obiettivo generale di questo tipo di valutazione è sviluppare e

testare empiricamente la configurazione C-M-R, una configurazione che ‘motiva’ il programma, che,

se plausibile, dovrebbe lasciare tracce (footprint) su R. R non sarebbe solo l’esito di azioni attuative,

ma di configurazioni C-M-R.

La valutazione realista è una forma di valutazione ‘esperta’ basata su una particolare teoria esplicativa

che intende smarcarsi sia rispetto al positivismo logico che al costruttivismo sociale. E’ intesa come

logic inquiry, un tipo di valutazione basato sulla teoria (theory-driven) che si collega al realismo

filosofico e alla esperienza pratica. Può essere usata in accezione formative (ex-ante), summative o

retrospettiva.

Questo tipo di valutazione si chiede ‘che cosa funziona meglio, dove, in quali circostanze, a favore di

chi, in che misura e perchè?’; non si limita al quesito ‘funziona? ’. Per rispondere al quesito il

valutatore realista utilizza quattro concetti-chiave: attribuzione (embeddedness), meccanismo o

185 G I Giannoli, ‘La mente di fronte a numeri, verità e divini costrutti’, Alias Domenica, 18/12/2016. 186 M Ferraris, ‘Cambiare il mondo è un gesto individuale’, La Repubblica, 10/5/2016. 187 Doppia dizione in S Mathison (ed), 2005, Encyclopedia of Evaluation, Sage, London, pp. 359-367.

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mediatore (M), contesto (C), risultato o outcome (R). Egli parte dall’ipotesi che la varietà di effetti

attesi e inattesi di un progetto (R, outcome pattern) siano influenzati da specifici (‘circostanziati’ e

spesso nascosti) meccanismi (M) attivati dalla relazione progetto- contesto (C) o comunque presenti. R

può apparire come perturbazione di precedenti regolarità. I meccanismi possono non far parte,

inizialmente, della ‘teoria’ del progetto, ma essere da questa acquisiti durante la valutazione o in un

nuovo esercizio.

Il contesto (C) è importante per questo tipo di valutazione perché rappresenta le condizioni in cui opera

il programma, ne ‘confina’ in certa misura l’efficacia attesa e qualifica la configurazione C-M-R. C può

essere favorevole o sfavorevole al programma e alla sua teoria, e non va confuso con (o ridotto a)

luoghi fisici in quanto è interazione. In questa accezione diversi C possono coesistere assieme a diversi

M e nella matrice C*M possono maturare diversi R. E’ utile rappresentarne i caratteri prima del

progetto (Co) e dopo che si è consumata la relazione progetto-contesto (Ct). L’analisi della differenza

contribuisce a fornire base empirica ad una possibile spiegazione delle variazioni.

Facciamo un esempio. Supponiamo che un piano urbanistico (o un programma di opere pubbliche)

venga progettato in un contesto caratterizzato da forte rischio idrogeologico (C) e che il suo obiettivo

principale sia la messa in sicurezza del territorio e la riduzione del rischio nelle due componenti

principali: pericolosità ed esposizione. Per raggiungere l’obiettivo il piano adotta un modello di uso del

suolo sostenibile e di mitigazione dei danni probabili calcolati sui tempi di ritorno di determinate

calamità (R). Adottando questo modello il piano interroga e attiva diversi meccanismi (M). Uno di

questi potrebbe riguardare procedure di compensazione nel consumo di suolo, come la compensazione

ecologica preventiva (M1); un altro, il completamento della rete ecologica territoriale (M2); un terzo, i

premi assicurativi calcolati sulla base di R e di altri fattori rilevanti.

Nella valutazione orientata alla teoria i meccanismi si limiterebbero a spiegare la teoria del progetto.

Con la valutazione realista si identificano, interrogano e testano i meccanismi (M) che spiegano come

vengono generati/impediti i risultati e come il contesto eserciti la propria influenza. M contribuisce a

spiegare la logica di un intervento, a tracciare il destino di una teoria.

Un intervento funziona o non funziona in ragione di come reagiscono (o non reagiscono) i soggetti alla

disponibilità di risorse e alle opportunità fornite dall’intervento stesso. La reazione (o la mancata

reazione) dei soggetti, il loro modo di ragionare e di comportarsi sono considerati una delle principali

cause dei risultati. I meccanismi generativi (e di cattura) possono essere intesi come ‘cause implicite’

del cambiamento (underlying cause), non facilmente osservabili o solo ipotizzabili. I meccanismi

dipendono dal contesto (dalle circostanze più o meno favorevoli), ma rinviano anche ai driver sociali e

psicologici che influiscono sul modo di ragionare e di comportarsi dei soggetti coinvolti. Ad esempio,

la realizzazione di un programma di mobilità dolce in contesto urbano può sortire effetti diversi per

genere, in ragione dei diversi modelli cognitivi, del modo in cui essi influiscono sugli itinerari di

viaggio di uomini e donne, adulti o giovani, e delle diverse pratiche che gli itinerari evidenziano. I

meccanismi generativi (e di cattura) possono variare a seconda si operi con popolazioni giovani o

anziane, in condizioni mono o multi-culturali, in contesti ad urbanizzazione diffusa o compatta.

Sono questi meccanismi (e non semplicemente i risultati, come invece accade nella valutazione

sperimentale) l’oggetto di analisi privilegiata della valutazione realista. Quando operano meccanismi

che rinviano a strutture sociali o a sovrastrutture politico-culturali la valutazione realista si avvicina al

costruttivismo. In altre parole, essa combina principi post-positivisti con le sensibilità ai valori della

tradizione costruttivista. Per questa ragione viene considerata una terza opzione fra

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(post)positivismo/sperimentalismo e nominalismo (costruttivismo), contribuendo a rilanciare

l’approccio EV negli anni ‘90188.

Ad integrazione, va rilevato che la configurazione C-M-R (o CMO in versione inglese) proprio perché

utilizza il linguaggio dei meccanismi generativi si contrappone alla logica della meta-analisi sviluppata

dallo statistico Gene V Glass in campo psicoterapeutico a metà degli anni ’70 del secolo scorso. La

meta-analisi si fonda sull’accumulazione e l’utilizzo di risultati provenienti da studi che si presumono

‘robusti’ e appartenenti a ‘classi’ simili se non omogenee. Per i realisti si possono comparare soltanto

famiglie di meccanismi, a date condizioni, rivalutando quella epistemologia evolutiva che consentiva a

Campbell di eliminare le spiegazioni rivali189.

Questa concezione di realismo viene criticata da più parti. In economia, ad esempio, M Friedman

sosteneva che ’una descrizione dovrebbe essere considerata ‘realistica’ non perché fedele alla realtà,

ma ‘perché dà luogo a una teoria che funziona, perché crea previsioni sufficientemente accurate’.

Questa concezione è stata criticata da P Samuelson con la dizione ‘the F-twist’ (la distorsione F)190,

sostenendo che soltanto l’evidenza, non la plausibilità degli assunti, può validare una teoria. In The

Methodology of Positive Economics (1953) M Friedman sostiene che ipotesi interessanti si basano su

assunti che descrivono in modo non accurato la realtà. In questa prospettiva si può ritenere che la teoria

sia tanto più significativa quanto più irrealistici sono gli assunti. Un’ipotesi è significativa se ‘spiega

molto con poco’, ovvero se riesce ad estrarre elementi critici e comuni dalla complessità e dai dettagli

che connotano i fenomeni allo studio, consentendo di validare previsioni sulla base di questi. Ne deriva

che una ipotesi acquista interesse quanto più é descrittivamente falsa nei suoi assunti. Non considera

altre circostanze, ritenute irrilevanti nella spiegazione dei fenomeni.

188 N Stame, ‘A European evaluation theory tree’, in M C Alkin (ed), 2013, pp. 361-362. Con questo contributo Stame

aggiorna l’albero di Alkin sulla base dei contributi della ‘valutazione europea’ sia in prospettiva PV che EV. Dal punto di

vista ontologico, l’autrice considera la valutazione realista come versione europea della valutazione basata sulla teoria

almeno per due ragioni: perché rivaluta la causalità generativa nella scoperta dei meccanismi nascosti (lo svelamento del

black box) e perché si oppone alla contingenza nominalista. All’inesistenza di regolarità il realismo contrapporrebbe

l’esistenza di quasi-regolarità introdotte dal sociologo R K Merton negli anni ’60 del XX secolo. Con la middle-range

theory Merton cercava di integrare teoria e ricerca empirica, riconoscendo priorità al fenomeno empirico e al suo potenziale

induttivo. Questo riconoscimento consentiva di apprezzare gli effetti ‘inattesi’, ripresi in seguito da A O Hirschman, ma

entrava in rotta di collisione con le teorie sociali del conflitto o di tipo funzionalista. I valutatori realisti, in particolare P

Pawson, si chiedono se progetti, programmi, piani o politiche possono essere considerati particolari forme di middle-range

theory e in che misura la valutazione possa diventare un possibile test (o eventuale sviluppo) di queste teorie. Ovviamente la

loro risposta è positiva e la ritengono un contributo alla valutazione basata sulla teoria, vedi in particolare R Pawson, ‘

Middle Range Theory and Programme Theory Evaluation: From Provenance to Practice’ nel dibattito ‘Whatever happened

to middle-range theory? ’, ospitato nel 2005 dall’ International Sociology Congress di Stoccolma. 189 N Stame, idem, p. 362. 190 A Sen, 2010, L’idea di giustizia, Mondadori, Milano, pp. 188-189. A Sen ha discusso l’argomento in ‘The Discipline of

Economics’, Economica, 75, November 2008.

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Valutazione a grappolo (cluster evaluation)191

E’ una tipica valutazione tematica e in itinere non sostitutiva della valutazione di singoli progetti.

Viene effettuata su insiemi di progetti in analoga fase attuativa (vedi ciclo), simili per motivazioni

strategiche e tipo di beneficiari. La numerosità varia con le domande valutative e non contribuisce ad

una particolare significatività statistica192. I progetti condividono lo stesso disegno valutativo su

argomenti comuni ritenuti cruciali. Essi vengono trattati trasversalmente da un gruppo di valutatori

informati sui contenuti dei progetti selezionati mediante network meeting con gli attori di progetto. Si

identificano così caratteri comuni che possono portare a conferme o a confutazioni di eventuali

obiettivi o azioni progettuali; si evidenziano le ragioni e i fattori di successo e insuccesso; si facilita

l’approccio collaborativo fra partecipanti ai progetti; si generano informazioni con valore aggiunto

rispetto ai data base dei singoli progetti. I risultati possono essere utilizzati per correggere i percorsi

attuativi e orientare il design. Ad esempio, i progetti di una ‘misura’ programmatica europea potrebbero

essere valutati a grappolo (cluster) in fase di attuazione per verificarne la pertinenza rispetto ai contesti

e alla strategia della misura (riduzione delle diseguaglianze sociali, raggiungimento della parità di

genere, risparmio energetico, diffusione della innovazione, sviluppo della occupazione, ecc.). In campo

urbanistico o pianificatorio può essere valutato il contributo di diversi schemi d’uso del suolo al

raggiungimento di obiettivi di qualificazione delle ‘figure paesaggistiche’, di sostenibilità economica,

fiscale o ambientale. Diversi piani potrebbero formare un cluster finalizzato alla valutazione

dell’efficacia degli strumenti attuativi nel contenimento del consumo di suolo, per evidenziare la

plausibilità di ‘funzioni di interesse collettivo’ oppure l’efficacia di diverse forme di partenariato.

Un dominio molto fertile in proposito è costituito dall’innovazione urbana, com’è noto connessa alle

dinamiche di milieu e a processi selettivi extra-milieu. Le cosiddette smart city potrebbero costituire un

campione di unità dotate di profilo specifico su Ict, trasporti, energia, ambiente, alimentazione, socialità

e così via. Ogni città può contribuire in modo particolare alla costruzione di un profilo smart. Ad

esempio, la prima città combina soprattutto Ict ed energia; la seconda Ict e trasporti; la terza energia,

ambiente e socialità, ecc. La domanda valutativa potrebbe essere la seguente: quale profilo smart

contribuisce di più alla innovazione urbana? E di che tipo di innovazione si può parlare? Negli esempi

trattati la comparazione svolge un ruolo determinante non in termini di scelta, ordinamento o

attribuzione, ma in termini esplorativi.

Questi argomenti potrebbero essere trattati con sistematicità da un osservatorio regionale sulla

pianificazione e le dinamiche urbano-rurali.

191 Introdotta e sviluppata dalla Kellog Foundation nella valutazione multi-site. W K Kellog (magnate dei cornflake) durante

la Grande Depressione (1930) decise di introdurre nello stabilimento di Battle Creek (Michigan) la giornata di sei ore.

L’esito fu positivo in quanto aumentò significativamente le assunzioni, diminuirono gli incidenti sul lavoro e aumentò la

produttività. Non meno rilevanti furono gli effetti positivi a livello comunitario. Una strategia analoga era stata seguita da

Ford ed entrambi ritenevano che la ‘settimana lavorativa più corta era solo questione di saper fare bene i conti’, R Bregman

2017, Utopia per realisti. Come costruire davvero il mondo ideale, Feltrinelli, Milano, p. 53 (ed. or. Utopia for realists,

2016), p. 117. Oltre una certa soglia, abbastanza bassa per la verità, la correlazione fra monte ore lavorate e produttività

diventa negativa, rendendo meno netti la distinzione fra lavoro e tempo libero e il significato attribuito ad entrambi. Di

analogo interesse sono state le esperienze di welfare ibrido e di fabbrica sociale in Italia, Uk, Francia, Germania e in altri

paesi a partire dal XIX secolo. 192 Con insiemi a numerosità ridotta si può ricorrere a statistiche non parametriche. Nella costruzione dei cluster si può

ricorrere al maximum variation sampling o campionamento a variazione massima.

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Analisi orientata alla responsabilità/trasparenza decisionale (decision accountability)

Con E Chelimsky si potrebbe dire che l’obiettivo principale di questo tipo di valutazione è ‘dire la

verità al potere’193, parlargli in modo franco, eliminando disinformazione e luoghi comuni. Qui il

nocciolo valutativo sta nella possibilità di rendicontare un processo, per trasparenza e/o trasferimento

d’esperienza, riconoscendo le responsabilità. La valutazione, in questo caso, può essere utilizzata in

modo pro-attivo per migliorare un programma o un progetto in corso di attuazione, ma anche in modo

retro-attivo per apprezzarne i significati, la loro intensità e i relativi valori.

La prospettiva di raggiungere accettabili livelli di trasparenza/responsabilità in ciò che si fa

(accountability) può affiancarsi o entrare in collisione con altre prospettive, come quella orientata ad

acquisire nuova conoscenza, oppure quella volta a migliorare un programma o le capacità di gestirlo. In

certe occasioni, l’interesse per la trasparenza/responsabilità può ridimensionare altre prospettive, così

come l’attenzione alle capacità potrebbe diventare una condizione per declinarle opportunamente.

Valutazione orientata al consumatore (consumer oriented)

In questo caso il valutatore si pone nei panni del consumatore e riconosce merit e worth significativi.

Evidenzia il benessere del consumatore rispetto alle sue preferenze e soddisfazioni (consumer

satisfaction) con riferimento ad un determinato bene o servizio o ad un ‘paniere’. L’oggetto e la

ragione della valutazione rinviano al benessere del consumatore definito in termini di utilità,

soddisfazione, qualità della vita e così via.

Peer review e citation analysis

Applicata nella valutazione di performance professionali e scientifiche (pubblicazioni, profili

curriculari, concorsi, ecc.), peer review attiva il cosiddetto ‘giudizio dei pari’. Il suo obiettivo non è

l’affidabilità, ma l’enunciazione di valutazioni difendibili nel mondo dei pari. Può essere vittima di

comportamenti autoreferenziali, ad esempio in ambienti accademici o a forte connotato corporativo.

La disponibilità di big data e di Google data consente di effettuare conteggi e analisi delle citazioni

calcolando citation index individuali o aggregati da sottoporre comunque a validazione194. Un citation

index può contraddire gli esiti di una peer review consentendo una discussione più aperta

sull’argomento.

Auditing

L’auditing verifica la correttezza di procedure e processi, evidenziando eventuali scostamenti da

percorsi o protocolli definiti (gap) in termini finanziari, di conformità (compliance) e di gestione. Per

questo si riconoscono almeno tre tipi di auditing: l’audit finanziario, l’audit di conformità e il controllo

di gestione. L’auditing può servirsi di dispositivi di monitoraggio, fornire utili input alla valutazione e

aumentare i livelli di confidenza e legittimazione delle operazioni oggetto di controllo (contratti,

accordi sul debito delle città, appalti, consulenze, partnership pubblico/private, fondi di gestione,

operazioni di project financing, e così via).

193 E Chelimsky, ‘Evaluation purposes, perspectives, and practices’, in Alkin M (ed.) 2013 Evaluation Roots: A Wider

Perspective of Theorists’ Views and Influences, Sage, Thousand Oaks, CA, p. 273. 194 Con riferimento al planning vedi T W Sanchez, ‘Faculty performance evaluation using citation analysis: an update’,

Journal of Planning Education and Research, 2017, vol. 37 (1), pp. 83-94.

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Questa attività interessa in modo particolare la pubblica amministrazione (compreso il settore

educativo) e le politiche pubbliche e viene svolta dalle Corti dei Conti, da General Accounting Office e

istituzioni analoghe195. A livello internazionale gli standard professionali relativi all’audit finanziario

sono definiti da ISA (International Standards on Auditing) e pubblicati da IFAC (International

Federation of Accountants) che si avvale di IAASB (International Auditing and Assurance Standards

Board). Da tempo si sono sviluppate forme di auditing for citizenship o citizen audit, con il duplice

obiettivo di responsabilizzare maggiormente contabili e auditor nel controllo e nella messa a

conoscenza di atti illegali e di ridurre l’analfabetismo finanziario dei cittadini (complessità, trasparenza,

ecc.)196.

Accreditamento, certificazione, iscrizione

L’accreditamento può assumere tre configurazioni. In primo luogo può essere effettuato da una

istituzione sulla base di crediti accademici o di formazione. L’istituzione di accreditamento (ad

esempio, Università o istituzione riconosciuta) valuta la qualità di un programma rispetto a standard

definiti. Nella seconda configurazione l’istituzione richiede un riconoscimento a panel esterni o ad

istituzioni di riferimento specializzate e riconosciute. Ad esempio, il Royal Town Planning Institute

(Uk) accredita nuovi corsi di pianificazione urbana e territoriale o ne conferma periodicamente la

qualità. L’accreditamento può avvenire anche per auto-valutazione, come nel caso dei corsi di

aggiornamento organizzati da Ordini professionali o da istituzioni di ricerca.

Specifica è la procedura di iscrizione alla Lista del patrimonio mondiale dell’Unesco. L’ ‘oggetto’

(materiale o immateriale) oltre a presentare un eccezionale valore universale deve soddisfare almeno

uno dei dieci criteri di selezione illustrati nelle Linee Guida per l’applicazione della Convenzione del

patrimonio mondiale del 1972197. I criteri sono regolarmente aggiornati dal Comitato in modo da

195 In merito all’attività della Corte dei Conti italiana vedi V Papa, 2017, Effettività dei controlli gestionali della Corte dei

conti. Esame delle misure consequenziali, Aracne. Il volume affronta il tema dell’attività di controllo esercitata dalla Corte e

degli effetti prodotti sul comportamento delle Pubbliche Amministrazioni (il c.d. follow–up). L’indagine utilizza dati

raccolti con i monitoraggi eseguiti dalla Corte dal 2009 al 2017 su efficacia, efficienza ed economicità dell’azione

amministrativa. 196 R Abreu, ‘From Legitimacy to Accounting and Auditing for Citizenship’, Procedia Economics and Finance, vol. 23,

2015, pp. 665-670. 197 Nel 2003, a Parigi, è stata adottata una apposita Convenzione Unesco per la salvaguardia del patrimonio culturale. Essa

fornisce una precisa definizione di patrimonio culturale immateriale. Fa seguito la legge n.77 del 2006, che introduce misure

speciali di tutela dei siti. Recenti disegni di legge (vedi la proposta di R M Di Giorgi) propongono una maggiore

integrazione dei piani di gestione nei sistemi di pianificazione ordinaria e tra le azioni da perseguire all'interno dei piani di

gestione annoverano l'obbligatorietà di specifiche valutazioni di impatto patrimoniale per progetti su larga scala e per

progetti infrastrutturali. Una interessante sperimentazione a proposito di gestione-pianificazione è stata effettuata dal Corila

per il sito Unesco ‘Venezia e la sua laguna’ nel 2014. Il Piano di gestione del sito è stato integrato al sistema di

pianificazione locale e d’area vasta con il sistema informativo geografico Siplan. Secondo i criteri culturali riconosciuti

dalla Convenzione, ogni bene nominato deve (1) rappresentare un capolavoro del genio relativo umano, (2) mostrare un

importante interscambio di valori umani in un lasso di tempo o in un'area culturale del mondo, relativamente agli sviluppi

dell'architettura o della tecnologia, delle arti monumentali, dell'urbanistica o della progettazione paesaggistica. Ma deve

anche (3) rappresentare una testimonianza unica o eccezionale di una tradizione culturale o di una civiltà vivente o

scomparsa, oppure (4) essere un eccezionale esempio di edificio o ensemble architettonico o tecnologico o paesaggistico che

illustri uno stadio significativo o stadi significativi nella storia umana. Un ulteriore requisito (5) è rappresentare un esempio

eccezionale di insediamento umano tradizionale o di utilizzo del territorio rappresentativo di una o più culture, specialmente

se divenuto vulnerabile per l'impatto di cambiamenti irreversibili, oppure (6) essere direttamente o tangibilmente associate

ad eventi o tradizioni viventi, a idee e credenze, a opere artistiche o letterarie di valore universale. Il comitato ritiene che

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riflettere l’evoluzione del concetto stesso di Patrimonio Mondiale. Dei dieci criteri, sei sono culturali e

quattro naturali. Perché un bene sia considerato di eccezionale valore universale, deve anche soddisfare

le condizioni di integrità e/o autenticità e deve essere dotato di un adeguato sistema di tutela, di

gestione, di monitoraggio e pianificazione che ne garantisca la salvaguardia. Al patrimonio come

certificazione si affianca la patrimonializzazione come azione continua finalizzata al riconoscimento

del mutare dei significati e dei valori. In tutti i casi si tratta di ‘dichiarazioni valutative’ di ‘operatori

rituali’ dotati di elevata ‘discrezionalità tecnica’.

Valutazione interna

Ogni organizzazione può attivare un processo di valutazione interna secondo i propri ritmi,

innestandolo in pratiche programmatorie, pianificatorie o di design e, più in generale, di attuazione

della propria missione. Un processo del genere crea opportunità per lo sviluppo di una riflessione

critica continua, evitando la discrezionalità della valutazione esterna198. Metodi e tecniche di

valutazione interna variano con i contesti organizzativi, le loro missioni, i modelli gestionali e le

istanze che esprimono.

Auto-valutazione istituzionale (institutional self-evaluation)

E’ una valutazione interna all’organizzazione, da questa stimolata e gestita. Rispetto alla valutazione

interna si caratterizza perché praticata in organizzazioni i cui membri sono disposti a discutere

analiticamente attività e comportamenti, assumendosi le proprie responsabilità ed esponendosi al

giudizio di istituzioni di accreditamento, valutatori esterni o finanziatori. Si tratta di analisi che soltanto

i membri dell’organizzazione conoscono a fondo e, senza le quali, potrebbero mancare importanti

chiavi di lettura. Fornendo dettagli, spiegando le ragioni alla base di determinate scelte potrebbe

tuttavia aumentare la vulnerabilità di chi si espone al gioco. Il valutatore (spesso interno) può sfruttare

questa vulnerabilità per migliorare le performance dell’organizzazione e le capacità/disponibilità

riflessive dei suoi membri.

L’auto-valutazione viene effettuata in diversi campi. E’ particolarmente diffusa in campo pedagogico

per lo sviluppo delle competenze e il superamento del riduzionismo e dei ‘paradossi’ dei test199. Le

competenze rinviano alle risorse costitutive (conoscenze o abilità), alle modalità di mobilizzazione e

coordinamento delle risorse, a componenti cognitive e non-cognitive. Nel mondo della formazione, del

lavoro e delle professioni, negli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, le proprietà cognitive, caratteriali e

sociali degli individui venivano intese come risorse utili ad accrescere la produttività di lavoratori,

quest’ultimo criterio debba giustificare l'inclusione nell'elenco solo in casi eccezionali ed unitamente ad altri criteri culturali

o naturali. Secondo i criteri naturali i siti nominati devono (7) rappresentare esempi eccezionali degli stadi principali della

storia della terra, compresa la presenza di vita, processi geologici significativi in atto per lo sviluppo della forma del

territorio o caratteristiche geomorfiche o fisiografiche significative, oppure (8) essere un esempio eccezionale di processi

ecologici e biologici in essere nello sviluppo e nell'evoluzione degli ecosistemi terrestri, delle acque dolci, costali e marini e

delle comunità di piante ed animali. I siti possono, inoltre, (9) ospitare fenomeni naturali superlativi o aree di bellezza

naturale eccezionale e di importanza estetica, oppure (10) contenere gli habitat più importanti e significativi per la

conservazione in sito delle diversità biologiche, comprese quelle contenenti specie minacciate di eccezionale valore

universale dal punto di vista scientifico o della conservazione. 198 Vedi, ad esempio, Y Wadsworth, 2011, Everyday evaluation on the run (3rd edition), Allen& Unwin, St Leonards, New

South Wales, AUS. 199 Vedi, ad esempio, L Benadusi e S Molina, 2018, Le competenze. Una mappa per orientarsi, il Mulino, Bologna. Il testo

presenta alcuni risultati di una ricerca condotta presso la Fondazione Agnelli.

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aziende, istituzioni e famiglie, specie in contesti in cui convivevano produzione e consumo e la

famiglia svolgeva un ruolo ancillare al welfare statale. In questa prospettiva, il comportamentismo

riconosceva alle competenze una matrice motivazionale, mentre per il cognitivismo erano decisive le

funzioni cognitive e le loro misurazioni. I test cognitivi sono stati (e sono ancora) utilizzati come

strumento di autovalutazione, per migliorare o correggere syllabus e pratiche di studio. Nonostante le

resistenze, questi test si sono imposti per la semplicità e il basso costo di somministrazione, ma anche

per comportamenti al limite della ‘irresponsabilità’ di istituzioni e imprese. Poiché questo tipo di test ha

spesso dimostrato scarsa capacità previsiva, si è affermata la tendenza ad apprezzare anche le

competenze non-cognitive, come i tratti di personalità, le abitudini, ecc. . Con il socio-costruttivismo le

competenze hanno cercato di superare i confini della individualità a favore di una prospettiva socio-

relazionale. In ogni caso, questi approcci alla auto-valutazione delle competenze possono subire istanze

utilitaristiche quando l’educazione e l’addestramento sono finalizzati alla produzione di ‘capitale

umano’ sfruttabile. La visione classista che ne deriva può essere superata se lo sviluppo di competenze

promuove la democrazia (o sue forme plausibili), lo sviluppo umano nella sua multidimensionalità e le

relazioni sociali (competenze di cittadinanza). Recenti sperimentazioni Anvur (Agenzia nazionale di

valutazione del sistema universitario e della ricerca) confermerebbero che le competenze disciplinari

acquisite da studenti in ambito sanitario dipenderebbero dalla didattica per competenze impartita e non

da caratteristiche iniziali di contesto (titolo di studio dei genitori, status socio-economico, scuola

frequentata o altro). Ovviamente, l’applicazione del costrutto per competenze alle humanities e alle

discipline scientifiche non è standardizzabile e può essere limitativo, se ci si accontenta di considerare

‘competenze trasversali’ ignorando ambiti quali problem solving, civic, lingue, forme dialogiche e

comunicative200. Al di là dei problemi operativi che tendono a ridurre la valenza innovativa di questo

approccio (formazione degli insegnanti, relazione insegnanti-studenti, forme e dispositivi didattici,

esperienze interne ed esterne, feedback, dotazione di strumenti, ecc.) un tema rilevante per la

valutazione è il rapporto fra acquisizione di competenze, sviluppo di capacità e diritti.

Nella valutazione della ricerca in sede universitaria, la valutazione bibliometrica basata su citazioni si

presenta come un esercizio economico di scambio, un esercizio transattivo: ‘io cito te e tu citi me ed

entrambi saremo premiati’.

Valutazione di qualità (quality control and assurance - QCA)

‘Quality is an elusive term which gets fuzzier the closer you look at it’201. Il controllo di qualità

accompagna l’auditing, l’accreditamento, la produzione di beni e servizi, la realizzazione di progetti o

programmi e viene effettuato con specifiche azioni ispettive. Questo tipo di valutazione (più

propriamente, controllo) combina due dimensioni: una tecnica ed una percettiva (emotiva). La prima è

performativa e rappresenta il modo in cui determinati prodotti, servizi o azioni rispondono a domande,

requisiti o standard. La seconda evidenzia come specifici significati culturali possano emergere

considerando aspetti tecnici. La qualità può, infatti, associarsi a caratteri come perfezione,

specificazione, identificazione, miglioramento, difficilmente riducibili a questioni tecniche. In generale,

la ricerca e il controllo di qualità comprendono tecniche e strumenti che consentono di apprezzare il

200 Una recensione al testo di L Benadusi e S Molina è offerta da R I Rumiati, ‘Verso una educazione fondata sulle

competenze’, lavoce.info, 30/8/2018. 201 ‘Qualità è un concetto elusivo che diventa sempre più sfocato man mano che ci si avvicina’, B Williams, ‘Quality’ in S

Mathison (ed.), 2005, Encyclopedia of Evaluation, Sage Publications, Thousand Oaks, p. 350.

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rispetto di determinati requisiti. Quality assurance (QA) e quality control (QC) sono spesso utilizzati in

modo intercambiabile, anche se quality control è termine con significato più generale202. QA rinvia a

verifiche sistematiche finalizzate al raggiungimento di un certo grado di confidenza sul rispetto di

requisiti in processi, prodotti o servizi. Il grado di confidenza può essere stimato statisticamente o

ricorrendo a matematiche ‘fuzzy’. QA viene spesso confuso con la gestione della ‘qualità totale’ che si

basa sull’assunto che un luogo di produzione o di servizio generi processi, prodotti o servizi di qualità.

Tuttavia, QA rinvia a sistemi manageriali e standard203. In diversi paesi QCA corrisponde a standard

che ogni organizzazione impegnata in auditing deve dimostrare di rispettare per garantire la qualità di

ciò che fa, anche ricorrendo a periodiche peer review. QCA può essere richiesta nella valutazione di

programmi, come nel caso di Linkvit (piattaforma e-learning per l’attuazione della Direttiva Inspire),

dove tutti i deliverable sono stati sottoposti a valutazione interna ed esterna.

La valutazione di qualità è spesso connessa alla certificazione. Sono da tempo disponibili protocolli per

la valutazione della qualità energetica ed ambientale di edifici, manufatti e strutture urbane con

l’utilizzo di aggiornati strumenti di osservazione della terra e di sensoristica specifica, come, ad

esempio, il Sustainable Building Challenge (SBC) con semplificazioni operative UNI (vedi UNI/PdR

13.0:2015).

A questa classe appartengono anche le valutazione di qualità di aria, acqua, suolo in contesti specifici

rispetto a parametri e/o standard definiti dal punto di vista ecologico o sanitario. Di un certo interesse

sono le combinazioni quality assurance e Bim (building information modelling) in campo

architettonico ed edilizio.

Le certificazioni ambientali a livello d’impresa (di filiera o di cluster) mutano con gli oggetti, i quadri

normativi e i contesti. Al 2018, sono circa 200.000 in Italia, e circa 1,5 milioni in tutto il mondo, le

imprese certificate per la qualità e l’ambiente. In generale, per ottenere la certificazione, l’impresa è

tenuta a svolgere una doppia analisi su rischio e contesto. Con la prima si identificano i fattori

pregiudizievoli per l’attività imprenditoriale. Con la seconda si individuano i punti di forza e di

debolezza dell’eco-sistema di appartenenza (una Swot leggera). Ma l’impresa potrebbe essere tenuta a

rispondere anche in merito alle sue specifiche capacità di ottenere quanto stabilito dalle norme

(condizioni ambientali, CC e capacità di mitigazione/adattamento, contesto tecnologico, finanziario,

politico, sociale, ecc.). Nel contesto rientrano anche le parti interessate e le loro aspettative, mentre fra i

risultati del sistema di gestione vanno considerate le variazioni delle prestazioni ambientali

dell’impresa. In Italia, per guidare le imprese verso migliori performance il sistema Emas su eco-

gestione e audit è stato allineato alla normativa Iso 14001:2015 mediante il regolamento

2017/1505/Ue204.

Più sperimentale e orientata ad approcci cognitivi risulta la valutazione della creatività in ambiente

progettuale. L’ambiente progettuale è connotato in termini parametrici e geometrici e lo studio

valutativo correla gli esiti delle valutazioni dei risultati (performance) del design e l’analisi del

processo di design. La comparazione è resa possibile combinando giudizi di giuria (jury evaluation205)

con analisi di protocollo. La procedura viene attivata chiedendo ad un certo numero di architetti

professionisti di predisporre due progetti architettonici di simile complessità, il primo in ambiente

progettuale parametrico (parametric design environment), il secondo in un ambiente di modellizzazine

202 B Williams, ‘Quality control’, in S Mathison, cit., p. 351. 203 B Williams, Quality assurance’, in S Mathison, cit. p. 350. 204 Il nuovo regolamento ha sostituito gli allegati I, II e III al regolamento ‘madre’ 1221/2009/Ce sull’adesione volontaria

delle organizzazioni ad un sistema comunitario di eco-gestione e audit. 205 Il metodo può interessare anche ‘giurie di cittadini’ su questioni di contatto, emancipazione, marginalità e così via.

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geometrica. Ad un certo numero di esperti viene quindi richiesta la valutazione dei prodotti dei

progettisti utilizzando criteri pre-definiti relativi alla creatività con particolare riferimento a gtre domini

semantici: innovazione, utilità e imprevedibilità. I risultati delle valutazioni e delle comparazioni sono

quindi correlate agli esiti di una serie di studi ‘protocollari’ sui processi di design parametrico. In

generale, emerge come il design parametrico tenda a rafforzare la creatività complessiva da diversi

punti di vista206.

Simulazione valutativa

Dai dialoghi fra tecnologie differenti possono emergere inediti problemi con implicazioni più serie di

quelle che siamo abituati ad affrontare. Questi dialoghi avvengono sulla base di sistemi semi-

automatici che consentono l’interoperabilità fra fonti e generatori di dati207 e, su questa base,

l’interazione e l’interconnessione fra le parti. Da queste interazioni possono emergere comportamenti

imprevisti e diventa difficile avere una visione chiara del loro funzionamento o delle conseguenze di

ogni azione. L’interoperabilità può trasformare un piccolo malfunzionamento in effetti a cascata non

lineari. La valutazione degli effetti risulta così difficile che l’unica procedura efficace è di tipo

simulativo. Nel mondo dell’aeronautica, ad esempio, i sistemi che evitano le collisioni tra aerei sono

così sofisticati che per capire se sono efficaci li si può solo sottoporre a ripetute simulazioni. Nemmeno

un esperto può valutarne in anticipo l’efficacia soltanto guardando il codice in cui sono scritti208.

Ricerca valutativa (RV)

E’ difficile non vi sia una componente valutativa in ciò che si fa, che non sia presente alcun elemento di

comparazione o giudizio. E’, semmai, una questione di intensità. Con una certa semplificazione si può

momentaneamente distinguere il comportamento analitico da quello valutativo. Il primo risponde a

quesiti del tipo: che effetti/esiti genera l’azione a? Vi è correlazione fra esiti? E’ riconoscibile una

sequenza? E così via. Se il comportamento è valutativo i quesiti possono assumere forma diversa: come

gli effetti contribuiscono a definire significati e valori dell’azione a? Da chi vengono riconosciuti e

perché? RV aiuta a costruire domande valutative sulla base di indagini ad ampio spettro. E’ una

particolare modalità di ricerca sociale applicata con test su forme di conoscenza orientate al giudizio.

Diversamente dalla ricerca di base, RV non è orientata alla scoperta di conoscenza. Può essere

organizzata in tre fasi principali: a) definizione degli obiettivi ancorati a goal finali (di medio-lungo

periodo), intermedi e a breve; b) esplicitazione degli assunti su ‘valori’ e ‘validità’ di ciò che si valuta e

di come si valuta; c) riconoscimento degli ‘effetti’ (sforzi, attività, performance, efficienza, processo, e

così via). E’ contigua alla evaluative inquiry. Nella ricerca-azione possono essere attivati processi

valutativi di tipo interattivo e dialogico con caratterizzazione di parte (advocacy, personalizzante, ecc.)

o deliberativa. A RV possono fare riferimento diversi approcci: dipende dal modo in cui maturano le

domande valutative nell’interazione sociale.

206 Rongrong Yu, Ning Gu, M Ostwald, ‘Evaluating creativity in parametric design environments and geometric modelling

environments’, Architectural Science Review, online: 23/8/2018. 207 La Direttiva UE Inspire sviluppa protocolli di interoperabilità fra diverse fonti di dati e fra temi rilevanti per la gestione

di dati spaziali. 208 S Arbesman, 2016, Overcomplicated: technology at the limits of comprehension, Current, Penguin Random House, New

York.

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Responsive evaluation (valutazione ‘reattiva’)

Ogni valutazione è in certa misura responsive, e per diverse ragioni: per il solo fatto di essere

interazione sociale, perché i problemi si configurano strada facendo, perchè l’evaluando, la funzione

valutativa, gli stessi standard si aggiornano nel continuo. Ma lo è anche per altri motivi: ad esempio,

perché intende essere tempestiva, utile, sensibile alle istanze, disinteressata a generalizzazioni

nomotetiche, guida pratica, e così via. Più propriamente, la valutazione responsive (o reattiva) è un

processo di conoscenza approfondita (dialogica) dell’evaluando da parte di chi intende valutarlo.

Questo processo non ha connotato formale, non adotta procedure o modelli pre-definiti: osserva quanto

accade, cerca di comprendere cosa fanno e pensano le persone coinvolte direttamente e indirettamente,

raccoglie documentazione su quanto è accaduto prima (da dove viene il progetto) o su quanto sta

accadendo altrove, ne rileva qualità e limiti, cerca di capirne il senso. Il linguaggio della valutazione

responsive è il linguaggio del presente, degli eventi, degli episodi, dell’esperienza riferiti a domini

spazio-temporali definiti. Con questi connotati la valutazione responsive (reattiva) si avvicina

all’approccio PV. Essa parte dall’assunto che problemi, ‘poste in gioco’ e diversità culturali in uno

specifico disegno valutativo, e in particolare nella valutazione come pratica di interazione, richiedano

una certa ‘sensibilità’ da parte del valutatore. Diversità culturali e poste in gioco (spesso forti e

contrapposte) consigliano un atteggiamento relativistico che si può tradurre in mapping delle poste, in

matrici di gioco e così via. Problemi, poste e diversità sono considerati veri e propri ‘dispositivi

concettuali’ (conceptual organizer) della valutazione intesa come pratica interattiva.

In certi casi l’obiettivo può essere costruire una ‘agenda’ in grado di motivare il progetto e di verificare

gli esiti di eventuali pratiche collaborative o di advocacy. Il valutatore interagisce con gli stakeholder

(stkh) singoli o in formazione, evidenziando come le poste in gioco influenzino il programma, la sua

teoria, processi ed esiti209. Per svolgere questa attività il valutatore deve essere in grado di confrontare

le logiche degli stkh (non necessariamente i più rilevanti) sia in fase di strutturazione che di soluzione

di eventuali funzioni valutative. Il loro dominio semantico deriva dal modo in cui si riconoscono gli

stkh. Per queste ragioni, la responsive evaluation è value-engaged (J C Green), viene anche denominata

stakeholder-centered evaluation (Stake210) e si avvicina, per certi aspetti, alla valutazione costruttivista.

Una declinazione specifica è la culturally responsive evaluation, utilizzata soprattutto in campo

educativo per affrontare i temi posti dalla religione211, dalla multiculturalità, dall’integrazione, da

forme di ibridazione linguistica e da questioni di genere.

Valutazione costruttivista o di quarta generazione212

Considerata la difficoltà ad applicare i concetti di causalità lineare alle non lineari interazioni umane, si

ricorre alla ‘causalità mutua’. Il costruttivismo fa proprio questo concetto quando rileva come le cose

209 In un contesto pluralista (multiattoriale o multiagente) è possibile il ricorso a tecniche Delphi, organizzazione delle idee,

assistenza alle decisioni, gestione delle interazioni, brainstorming, cross impact analysis, gestione dei gruppi come Meeting

works, scenario writing e così via. Queste tecniche (la cui efficacia aumenta con la riduzione della dissipazione informativa

e con il controllo della ‘esplosione combinatoria’) sono utili alla costruzione del disegno valutativo e, in particolare, per

l’identificazione delle funzioni valutative e la loro elaborazione. 210 R E Stake, ‘Responsive evaluation IV’ in M C Alkin (ed), 2013, Evaluation Roots. A Wider perspective of Theorists’

Views and Influences, Sage, LA (second edition), pp. 189-197. 211 K Dinh, H Worth, B Haire, ‘Buddhist evaluation: Applying a Buddhist world view to the Most Significant Change

Technique’, Evaluation, May, 2019, pp. 477-495. 212 E Guba, Y Lincoln, 1989, Fourth Generation Evaluation, Sage, Newbury Park, CA.

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accadano ‘in presenza’ e non necessariamente a causa di certi eventi. Eventi e soggetti non sono

connessi in sequenza, ma relazionati in (ad) un complesso mutevole e dinamico che può cambiare con i

soggetti che si pongono ‘intenzionalmente’ in un modo o nell’altro.

I soggetti che partecipano all’interazione sociale e alla sua valutazione vengono riconosciuti come

importanti fonti di attribuzione di valore. Ci si trova, quindi, di fronte a diverse ‘realtà’ costruite dai

modi in cui vengono percepite e rappresentate. Questo tipo di valutazione combina l’approccio

responsive, in cui attese, preoccupazioni e problemi degli stkh sono elementi organizzativi, con la

metodologia costruttivista che cerca di favorire un giudizio condiviso partendo da situazioni anche

conflittuali, dovute a frame e costruzioni emiche specifiche213. Per catturare attese, preoccupazioni e

problemi degli stkh nel modo più pertinente, si ricorre a campioni/gruppi a massima variazione

(maximum-variation sampling) in cui gli stkh sono intervistati in sequenza connettendo, mappando ed

interpretando le costruzioni di ciascuno. Da questo lavoro riflessivo sulla interazione sociale possono

emergere ‘costruzioni’ comuni. Il valutatore può testare e dilatare le ‘costruzioni’ interne al

campione/gruppo introducendo informazioni aggiuntive, identificando le costruzioni condivise (CCI -

claims, concerns, issues), segnalando quelle ancora incerte e raccogliendo, eventualmente, ulteriori

informazioni. Su questa base può essere messa a punto una agenda per la negoziazione e può essere

attivata la negoziazione stessa, riportandone i risultati. Un approccio del genere rinvia al cosiddetto

‘circuito ermeneutico’ in cui fatti e valori interagiscono. Circuito ermeneutico e abduzione sono alla

base della valutazione come pratica ermeneutica, interna alla prospettiva PV.

Detta di ‘quarta generazione’, questa valutazione tende a differenziarsi dagli approcci precedenti, in

particolare da quelli orientati agli obiettivi (prima generazione), alla descrizione (seconda generazione)

e al giudizio (terza generazione), a favore di un coinvolgimento dei soggetti dell’interazione sia in fase

valutativa che di utilizzo dei risultati. E’ decisamente anti-realista e si avvicina alla valutazione

costruttivista, caratterizzandosi per tre ragioni principali: ontologica (quale realtà?), epistemologica

(quale verità?) e metodologica (come avvicinarsi a realtà e a verità?). La ragione ontologica rinvia alla

negazione dell’esistenza di una realtà esterna e obiettiva indipendente da ecologie mentali non

necessariamente convergenti. Non esistendo verità oggettiva, le verità di un progetto non possono che

emergere dalle prospettive dei soggetti che lo promuovono e lo realizzano, oltre che da quelle dei

beneficiari/vittime e degli utenti dei risultati. Ciò caratterizza epistemologicamente l’azione valutativa,

in quanto la realtà è frutto dell’interazione fra osservatore e osservato. Il rinvio al pensiero pragmatico

è esplicito, così come il rifiuto dell’approccio positivista o neo-positivista. Agli antipodi della

valutazione sperimentale o quasi-sperimentale, sul piano metodologico la valutazione costruttivista

propone un processo interpretativo (quasi-ermeneutico, perché ancorato alla intenzionalità) e dialettico

(interazione), cercando di collocare le prospettive di soggetti e utenti nei rispettivi quadri di

riferimento. E’ di supporto al cosiddetto framing in circostanze formative. Per le tre ragioni indicate il

disegno di questo tipo di valutazione parte da una ipotesi quasi banale: il valutatore costruttivista non

sa tutto quello che non sa214. Occorre, quindi, ‘lasciare spazio’ ad una fase esplorativa molto aperta e

libera per riconoscere la varietà di costrutti dei soggetti che possono partecipare allo sforzo valutativo

213 Emico e etico derivano in questo caso dalle desinenze delle parole fonemica (fonologia) e fonetica. In antropologia,

sociologia e psicologia il termine emico si riferisce al punto di vista degli attori sociali, alle loro credenze e ai loro valori

(tipica è l’ottica del ‘nativo’, di soggetti appartenenti a condizioni e culture particolari). Si tratta di un punto di vista

plausibile e pertinente che merita di essere considerato. Etico si riferisce invece alla rappresentazione dei medesimi

fenomeni secondo l’ottica del ricercatore. Diventa così importante il modo in cui si rappresentano le prospettive dei

soggetti. 214 ‘Constructivist evaluators assume that they do not know everything that they do not know’, in Y S Lincoln, E G Guba,

2013, cit. p. 224.

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di un progetto, di un piano, di un programma o di una politica. L’efficacia potenziale di questa fase

esplorativa tende ad aumentare con il protrarsi della interazione sociale. Certo, l’interazione sociale può

essere stimolata da una istanza valutativa, ma in questo caso è evidentemente condizionata da un esito

precedente, da routine o obblighi normativi o programmatici.

L’approccio costruttivista propone l’operazione inversa: guarda alla fertilità dell’interazione in termini

di generazione dell’istanza o dello sforzo valutativo. E l’istanza sarà tanto più ricca quanto maggiore è

la eterogeneità dei costrutti. Per catturare questa eterogeneità si può ricorrere a varie tecniche. Una

delle più utilizzate è il maximum variation sampling o campionamento a variazione massima (MVS)215.

Invece di cercare la rappresentatività sulla base di distribuzioni equiprobabili, MVS la cerca sulla base

di ‘variazioni estreme’. Il principio è semplice: se si intervista un campione di persone molto diverse, le

loro risposte aggregate possono approssimare quelle dell’universo, o comunque della popolazione di

riferimento. Un approccio del genere può essere seguito nei casi in cui non sia possibile costruire un

campione casuale. Si tratta di una estensione del principio di regressione sulla media, secondo il quale

se un gruppo di persone si trova in posizioni estreme per determinati caratteri (opinioni, attese,

preferenze e così via), conterrà persone in posizioni ‘centrali’ (media) per altri. Se si costruisce un

campione a variazione minima (minimum variation sampling) con riferimento a tipi di persone che si

ritengono in posizione media (in gergo, ‘eliminando le code’ o gli outlier), si rischiano di perdere altri

tipi significativi per profilo e presenza. Con MVS le persone in posizione media sono necessariamente

incluse. MVS può essere aggiornato nell’interazione: la variabilità può crescere, stabilizzarsi o

diminuire in un determinato periodo. Se cresce va colta nei suoi elementi di novità; ma se si stabilizza o

diminuisce ci si trova di fronte ad una sorta di ‘saturazione’ con aumento della ridondanza

(informazione che si ripete o non aggiunge nulla di nuovo). La saturazione può essere un segnale

interessante, anche se vincolato al tempo e ad un giudizio su ciò che l’interazione ha detto o potrebbe

ancora dire. Se la saturazione viene intesa come una sorta di stabilizzazione della variabilità, si

potrebbe procedere alla mappatura di attese, pretese e problemi espressi dai soggetti, riconoscere

eventuali conflitti e attivare un processo dialogico o dialettico. Questo processo può essere di tipo

ermeneutico (recuperando l’ermeneutica in seconda istanza) o epistemologico, ma in entrambi i casi ciò

che importa è identificare le questioni più critiche e non necessariamente derivabili dagli obiettivi del

programma o del progetto in esame. Gli effetti inattesi possono emergere proprio da qui.

In sintesi, nella identificazione di costrutti sociali è utile capire come un fenomeno è percepito da

soggetti diversi, in situazioni e tempi diversi. Le costruzioni sociali sono meccanismi generatori di

senso (sense-making) prodotti e utilizzati per dare ordine all’esistenza. E non è agevole conoscere ciò

che le persone (e le loro protesi) pensano, come e perché attribuiscono senso ad una determinata

azione, se non ponendosi in ascolto. E’ una condizione necessaria per il framing e quindi per analisi più

‘locali’, in cui la distinzione fra qualitativo e quantitativo non ha molto senso se non in termini di

attribuzione tecnica.

215 MVS è un campione finalizzato (purposive sample), detto anche maximum diversity sample o maximum heterogeneity

sample. Di norma, questo tipo di campione non è rappresentativo, ma se disegnato con attenzione può diventare

rappresentativo come un campione casuale. Si ricorda che un campione casuale non è necessariamente il più rappresentativo

soprattutto se di dimensioni ridotte. Questo approccio può essere utilizzato nella cluster evaluation (valutazione a grappolo)

sulla base di criteri-chiave che riconoscono la differenza. Ad esempio, nella valutazione dei programmi agricoli con

un’ampia varietà di progetti, i criteri di variazione possono includere clima, caratteristiche del suolo, modi di conduzione,

sostegno pubblico, condizioni fiscali, amministrazione dei prezzi, e così via. Vedi Audience Dialog, Maximum variation

sampling for surveys and consensus groups, http://www.audiencedialogue.net/maxvar.html (sito consultato il 26/6/2016).

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Inizialmente si è detto che eventi e soggetti non sono connessi in sequenza, ma relazionati in (ad) un

complesso mutevole e dinamico che può cambiare con i soggetti che si pongono ‘intenzionalmente’.

Intenzionalmente, appunto216. Qui si ferma il costruttivismo: e sulla presunta intenzionalità viene

superato dall’ermeneutica che considera l’interazione possibile e non necessariamente intenzionale.

Valutazione naturalistica

Almeno nella denominazione, la valutazione naturalistica si basa su un equivoco ben rilevato dalla

seguente citazione. ‘Ironically, naturalistic evaluation is based philosophically on antinaturalism.

Naturalism is a philosophy that equates the aims and methods of the social and human sciences with

those of the natural sciences – prediction and control through the discovery of physical law

explanations of matter in motion, including human behavior. Antinaturalists rejects this view of science

and the efforts to achieve physical law explanations of human actions. Therefore, antinaturalists seek to

understand human action by exploring the meaningful ways in which people experience their world.

Thus, to the philosopher, naturalistic evaluation is actually antinaturalistic in its assumptions’, D D

Williams, ‘Naturalistic evaluation’ in Encyclopedia of Evaluation (S Mathison ed.), Sage Publications,

London, pp. 271-274.

Va rilevato che in valutazione le dizioni naturalistico, costruttivista e interpretativo (interpretivist)

rappresentano una visione antinaturalistica dell’indagine sociale. La logica della ricerca naturalistica

(the logic of naturalistic inquiry), in quanto applicazione di leggi di natura ai comportamenti sociali,

scoraggerebbe il valutatore e il ricercatore sociale a semplificare la complessità. E Guba e L Lincoln

legittimano l’approccio costruttivista nelle scienze sociali e la relativa teoria della valutazione

responsive. In altre parole, assimilano il paradigma naturalista sia sul piano ontologico che su quello

epistemologico a quello costruttivista e interpretativo. Quest’ultimo riconosce, infatti, l’esistenza di

diverse realtà, la reciproca influenza fra soggetto conoscente e oggetto conosciuto, l’impossibilità di

distinguere le cause dagli effetti e di giungere a credibili generalizzazioni. In particolare, nella

interazione fra soggetto e oggetto si attivano frame che rendono la valutazione value-bound e

responsive (R Stake), e quindi molto lontana dalla valutazione value-free.

Più recentemente, Guba e Lincoln hanno preso le distanze dal naturalismo a favore di approcci

costruttivisti e interpretativi introducendo i concetti di ‘ontologia relativista’, ‘epistemologia

soggettivista’ ed ‘ermeneutica’. In uno schema ‘costruttivista radicale’ (cit. M Freeman in S Mathison,

2005, p. 81) i due autori adottano il metodo comparativo costante (constant comparative method – Ccm

di B Glaser e A Strauss, 1965). Ma è soprattutto l’avvicinamento all’ermeneutica che marca la distanza

dal naturalismo e dalle sue ambigue ibridazioni, come ben evidenziano gli approfondimenti di T

Schwandt.

Una conferma viene dal fatto che Guba e Lincoln adattano Ccm al processo ermeneutico dialettico.

Ccm diviene così uno strumento dinamico per raccogliere e generare informazioni da parte dei soggetti

interessati e interessabili. Un primo soggetto è intervistato sulla percezione dell’evaluando (sui suoi

significati e valori) e i risultati vengono analizzati ed elaborati per una successiva intervista. Il secondo

soggetto viene intervistato sui propri punti di vista e per commentare il punto di vista del primo

intervistato. Il processo prosegue finché nuove prospettive entrano nel processo dialogico. L’obiettivo

216 L’affermazione di Y S Lincoln e di E G Guba è molto chiara in proposito: ‘mutual causation suggests that events or

persons are not linked sequentially, but rather are interpenetrating and arrayed in a dynamic, changing complex that may be

altered via any number of actors exhibiting intentionalities (corsivo mio) of one sort or another’, Y S Lincoln, E G Guba,

2013, cit. p. 221. Ma poiché l’interazione può non essere intenzionale, sono praticamente infiniti i gradi di libertà

attribuibili ad una possibile proposizione valutativa che matura nell’interazione stessa.

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non è sviluppare nuove teorie esplicative o del cambiamento, ma offrire a soggetti con opinioni diverse

o divergenti un sempre più approfondito livello di conoscenza/comprensione della pratica o dell’azione

da valutare. L’interruzione del processo avviene per esaurimento di informazione aggiuntiva, per

l’annullamento di valore aggiunto, si potrebbe dire. Questo approccio contingente e provvisorio, spesso

lontano da possibili convergenze.

Valutazione democratica deliberativa

Nelle democrazie rappresentative i meccanismi del consenso portano alla gerarchizzazione del potere e

impongono forme valutative di tipo manageriale. Ove il cittadino non delega o ne limita gli effetti, per

prendere egli stesso parte attiva nel processo decisionale, viene ogni volta riscritto il contratto morale

con la vita pubblica e sociale. Ciò accade in contesti cooperativi e in situazioni analoghe217, ove la

valutazione tende ad assumere carattere deliberativo.

Con questo tipo di valutazione si cerca di riconoscere e attribuire significati e valori a fatti e ad azioni,

a partire da processi di discussione pubblica e di confronto, nella convinzione che il coinvolgimento

intenzionale dei soggetti possa far mutare credenze e valori o possa aiutare ad approfondire temi e

argomenti scontati o ritenuti marginali dalle strutture rappresentative ed dai relativi meccanismi di

consenso218.

E R House e K Howe219 sono fra gli autori (un filosofo e un valutatore in campo educativo) che più

hanno cercato di sviluppare questo approccio riconoscendo al valutatore un ruolo specifico: dare voce a

prospettive e valori marginali o negletti assieme a quelli dei soggetti partecipanti; mettere a punto

procedure utili al dialogo e alla deliberazione; cercare di risolvere conflitti dovuti ad asimmetrie

informative o a discutibili interpretazioni dei dati disponibili. Il giudizio di sintesi nell’approccio

deliberativo è ‘pubblico’ non solo per il carattere imprevedibile dell’interazione sociale, ma anche per

ragioni di ‘mutuo ingaggio’. In questa prospettiva, la valutazione democratico-deliberativa può favorire

la giustizia sociale assumendo un connotato prescrittivo.

217 Riferimenti interessanti sono la cooperativa John Lewis & Partners gestita da operai/proprietari in Uk, il Participatory

Budgeting attivo a Porto Alegre dagli anni ’80, ma anche i movimenti ‘acefali’ che, privi di leader-interlocutori da

demonizzare, disorientano le classi dirigenti. 218 Esempi recenti sono la Convenzione civica per il clima, istituita da M Macron in Francia nel 2019 come parziale risposta

alle rivolte dei gilet gialli esplose nel 2018, e la Uk Citizen’s Climate Assembly. La Convenzione civica francese è costituita

da un panel di 150 persone selezionate sotto controllo giudiziario da un ‘universo’ di 255.000 numeri di telefono. Il panel è

istituito a partire da un campione rappresentativo della popolazione francese e comprende persone con età compresa fra 16 e

80 anni, provenienti da tutte le regioni del paese. Il 26% sono operai e impiegati, mentre il 9% sono quadri superiori o

svolgono professioni liberali. Alcuni ‘squilibri’ sono intenzionali. Ad esempio, vi sono più donne che uomini, più persone in

età compresa fra i 50 e i 64 anni che fra i 18 e i 24; la maggioranza non dispone di diploma di studi superiori. Il 30% dei

componenti il panel ha accettato subito, il 35% ha chiesto tempo e il 30% ha rifiutato senza indugio per varie ragioni. Il

panel ha l’incarico di discutere e trovare le misure adatte per ridurre almeno del 40% le emissioni di gas ad effetto serra

entro il 2030, in una logica di giustizia sociale. Il Governo francese concluderà l’iter legislativo senza ulteriori ‘filtri’ e le

proposte potranno essere trasformate in legge senza emendamenti o sottoposte ad un referendum popolare con domande

multiple. Il panel lavora per atelier tematici (casa, trasporti, produrre-lavorare, alimentazione, consumo) e si impegna a

scegliere il programma da presentare al governo. I lavori si svolgono sotto la supervisione di tre garanti: T Pech, del think

tank ‘Terra Nova’ ed ex collaboratore del sociologo P Rosanvallon; L Tubiana, ambasciatrice per i negoziati della Cop21 di

Parigi e presidente dell’European Climate Foundation; C Dion, poeta, regista e militante ecologista. L’operazione costa 4.5

milioni di euro. 219 E R House, K Howe, 2000, ‘Deliberative democratic evaluation’, in K E Ryan, L De Stefano (eds), Evaluation as a

democratic process: promoting inclusion, dialogue and deliberation. New Directions for Evaluation 85, pp.3-12, Jossey-

Bass, San Francisco.

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Nello specifico, si tratta di una valutazione value-engaged che ritiene illusorio pretendere di valutare in

modo neutrale o indipendente dai valori220. Considera l’inclusione come un valore democratico, una

sorta di ingaggio auspicato per ragioni pragmatiche (apprendimento e uso della pratica valutativa),

emancipative (azione sociale) e deliberative (chi ottiene cosa?). Per evitare che l’inclusione porti a

forme di pluralismo populista, invece che alla rivitalizzazione dei ‘margini’, l’ingaggio dei principali

soggetti avviene con dispositivi aperti alle interazioni, con feedback fra azioni di soggetti diversi e

riduzione di possibili asimmetrie informative. Queste derivano, in genere, dai ruoli sociali assunti (o

attribuiti) nell’azione progettuale specifica. Generalmente i feedback amplificano gli effetti di una

interazione e ne possono modificare la natura. Questa apertura è condizione necessaria, ma non

sufficiente, per attivare una valutazione democratica. Per essere sufficiente essa deve assumere

connotato deliberativo, sostitutivo del criterio della rappresentanza come delega di funzioni non (o

parzialmente) delegabili. Una valutazione di questo genere non viene delegata, né si affida a

simulazioni o a giochi di ruolo. Si differenzia sia dalla valutazione manageriale (top down), con

frequenti connotati burocratici e autocratici, sia da quella pluralista di tipo responsive o costruttivista.

A Sen, trattando il tema ‘giustizia, democrazia e riflessione globale’, connette in modo esplicito questo

tipo di valutazione al concetto e al processo di ‘riflessione pubblica’, distinguendolo dall’imparzialità

aperta, ovvero dalla aperture a prospettive non necessariamente contigue. Dice: ‘Il processo

partecipativo attraverso il quale vengono esaminati i più svariati argomenti nonché analisi di diversa

provenienza ha molti punti di contatto con il processo democratico di riflessione pubblica…I due

processi, ovviamente, non sono identici: mentre la democrazia ha a che fare con una verifica di

carattere politico che (…) conduce al ‘governo per mezzo del dibattito’, la conduzione di un esame

aperto a prospettive lontane e libero dai limiti di un punto di vista ristretto e provinciale è determinata

essenzialmente dalla ricerca dell’oggettività. Gli elementi comuni tuttavia non mancano, e anzi le

procedure democratiche possono essere viste (…) come modi per incrementare l’oggettività

nell’ambito del processo politico…La pluralità delle fonti accresce la portata della democrazia

globale…’221. In altre parole, l’imparzialità aperta offre una pluralità di fonti che, oltre essere d’aiuto

nella ricerca dell’oggettività (o di una sua accettabile approssimazione), porta a forme di governo ‘per

mezzo del dibattito’.

Valutazione trasformativa (transformative evaluation)222

Se la valutazione pone al centro dell’attenzione la giustizia sociale e i diritti umani, acquistano

rilevanza approcci finalizzati al cambiamento con il coinvolgimento di comunità, gruppi o singoli. La

logica del paradigma trasformativo, che informa la ricerca e la valutazione trasformativa (VT),

apprezza le sfide, è consapevole che solo affrontando questioni di potere, discriminazione, marginalità

ed oppressione si possano ridurre le diseguaglianze. Ritiene, inoltre, che significative evidenze circa le

possibilità di cambiamento siano offerte da pratiche valutative e di ricerca convinte da questo

paradigma. E’ a tutti gli effetti una valutazione a forte contenuto deliberativo.

220 Uno dei principali riferimenti al riguardo è E R House di cui vale la pena ricordare i seguenti contributi: E R House,

1980, Evaluating with validity, Sage, Beverly Hills, CA; E R House, 1993, Professional evaluation: social impact and

political consequences, Sage, Newbury Park, CA; E R House, K R Howe, 1999, Values in evaluation and social research,

Sage, Thousand Oaks, CA. 221 A Sen, 2010, L’idea di giustizia, Mondadori, Milano, p. 412. 222 D M Mertens, 2009, Transformative Research and Evaluation, The Guilford Press, London.

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VT propone un cambiamento paradigmatico relativamente a quattro assunti basilari223. Il primo assunto

è assiologico ed esplicita la connessione al modello etico, riconoscendo valore esplicito alla giustizia

sociale e alla difesa dei diritti umani. Questo assunto richiede un impegno deciso nella identificazione

di norme e credenze che influenzano la vita di tutti i giorni, norme e credenze che spesso connotano

non soltanto persone, ma formazioni e gruppi sociali. Il team valutativo dovrebbe essere in grado di

rappresentare questa eterogeneità e far interagire i principali community gatekeeper. Ciò potrebbe

consentire di riconoscere problemi e risorse, punti di forza, fattori di sostenibilità e resilienza.

Il valutatore (collettivo, come d’auspicio) dovrebbe essere in grado di identificare norme e credenze

favorevoli o deleterie per la giustizia, saper utilizzare le risorse della comunità, definire azioni congrue,

dimostrare che la pratica valutativa lascia tracce positive in termini di conoscenza, capacità e

cambiamento e che queste tracce sono soprattutto sostenibili e durature. In certi contesti

particolarmente diseguali la scelta di un modello etico e di una prospettiva operativa può essere

agevole, in altri più complessa. Ma vi è anche chi ritiene, come in contesto realista, che non sia

necessario riferirsi ad un modello etico particolare per ‘fare del bene’.

Il secondo assunto è ontologico ed è connesso al primo. Se vi sono norme e credenze che favoriscono

od ostacolano la giustizia sarà compito del valutatore rivelare le diverse versioni della realtà

(comprendere ciò che si intende per reale), riconoscere le diversità che possono favorire o ostacolare la

giustizia, identificarne i meccanismi, ed evidenziare, infine, come la valutazione possa aiutare a

comprendere ciò che è reale. I primi due assunti indicano come la diseguaglianza richieda

un’attenzione positiva e normativa, con dirette implicazioni epistemologiche.

Il terzo assunto riguarda la conoscenza. E non si tratta soltanto della natura della relazione fra

valutatore e stakeholder, della fiducia reciproca o della capacità di dare voce a chi non ce l’ha224, ma

del modo in cui il processo di conoscenza e di formulazione di proposizioni valutative riesce a cogliere

la dimensione positiva e normativa nell’interazione sociale. Sono frequenti i casi in cui evidenze

positive non trovano sponde normative. I tre assunti influiscono in modo evidente sulla metodologia. E

non si tratta tanto della possibile e reciproca fertilizzazione di approcci quantitativi e qualitativi225,

quanto della costruzione di un modo di pensare l’intersezione fra giustizia sociale e valutazione

riconoscendo l’opportunità di affrontare questioni di potere.

VT si àncora ad istanze critiche, a volte interpretabili con approcci di personalizing evaluation, social

agenda o advocacy, ma generalmente omesse nei mandati ufficiali, disinteressati alle forme minoritarie

dell’agire politico, condizionati da regole, dispositivi di comando e riproduzione del potere. I mandati

ufficiali spesso mitigano la criticità delle istanze o ne rinviano l’apprezzamento alla conclusione della

valutazione caricandola di un onere improprio. In certi casi VT può assumere carattere giudiziario

(adversarial).

223 Sul cambio di paradigma favorito da VT vedi D M Mertens, ‘Social trasformation and evaluation’, in M C Alkin (ed),

2013, Evaluation Roots. A Wider perspective of Theorists’ Views and Influences, Sage, LA (second edition), pp. 232-240.

Le novità paradigmatiche introducono ad una questione strategica: le influenze della valutazione. Non è un caso che il

capitolo specifico di D M Mertens abbia come titolo ‘Evaluation influences’. 224 Su questi aspetti si concentra l’interpretazione di D M Mertens quando tratta dell’assunto epistemologico trasformativo,

vedi D M Mertens, 2013, pp. 236-237. 225 ‘The transformative methodological assumption does not mandate the use of any particular method’, D M Mertens, 2013,

p. 237.

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Porre concretamente al centro dell’attenzione criticità e questioni di giustizia significa dare voce a

persone, formazioni sociali o situazioni svantaggiate. Le voci non vengono considerate come mere

‘fonti’ di dati o informazioni, né come semplici opportunità di emancipazione, ma come istanze

legittimate o legittimabili da diritti. Si vedano, ad esempio, le istanze femministe, di ‘altro’ genere, di

contatto fra culture, tradizioni, religioni, le disabilità, la povertà, le discriminazioni di casta, lo status

politico e così via. Esempi di VT (attenta alle diseguaglianze) sono forniti dall’approccio ‘diritti-

capacità-funzionamenti’ di A Sen discusso in ‘Sviluppo è libertà’ e in altri suoi lavori sulla

diseguaglianza. Linguaggi, cultura e valori possono influenzare il disegno di ricerca, e quello valutativo

in particolare, come emerge chiaramente negli studi su popolazioni indigene nei diversi continenti226.

In questi casi, linguaggi, cultura e valori sono incorporati nel disegno e non potrebbe essere altrimenti.

In sintesi, vi sono almeno tre azioni caratterizzanti un processo VT. Nella prima si ribadiscono le

istanze assiologiche, ontologiche, epistemologiche e metodologiche. Le istanze assiologiche

evidenziano l’importanza della dimensione etica dell’inclusione, della sfida a dispositivi oppressivi,

della promozione dei diritti umani e della giustizia. Gli assunti ontologici riguardano la natura di ciò

che esiste, di che cos’è la realtà. Viene rifiutato il relativismo culturale, riconoscendo come il privilegio

condizioni le ‘versioni’ delle realtà, multiple proprio in ragioni dei connotati di differenza. Gli assunti

epistemologici riguardano la natura della conoscenza e la relazione fra ricercatore/valutatore e

stakeholder. Le metodologie sono generalmente dialogiche (e miste) nella identificazione dei problemi

e degli argomenti, nel trattare la complessità culturale, i fattori storici e contestuali che generano

discriminazione. Con la seconda azione si ‘entra’ nella comunità o nell’ambiente per guadagnare

credibilità e definire strategie trasparenti; infine si diffondono i risultati incoraggiandone l’uso

finalizzato al cambiamento.

In conclusione, si evidenzia come il connotato trasformativo possa essere anche un ‘effetto collaterale’

di VT. Ad esempio, nel ribadire l’importanza della contrattazione collettiva nazionale i gruppi più forti

e sindacalmente organizzati non contribuiscono solo a rafforzare un dispositivo di sostegno alla

domanda aggregata, ma consentono a gruppi e aree più deboli e marginali di godere di questi benefici.

Se alcune formazioni sociali o aree marginali non precipitano nella miseria lo si deve anche al

funzionamento di istituti di solidarietà collettiva e di valore costituzionale227.

VT si presenta con connotato ‘critico’, ma prende le distanze sia dal pensiero critico, sia dal critical

appraisal. Un pensiero critico combina elementi tangibili e intangibili per la formulazione di un

giudizio in grado di conciliare l’evidenza empirica con il senso comune. Questa ‘apertura’ rischia di

squalificarlo a priori perché sospetto di complicità con il nemico228. Il critical appraisal punta alla

trasparenza, al riconoscimento della validità interna di una azione, all’analisi sistematica, oltre che alla

aderenza a standard e alla generalizzabilità dei risultati.

Valutazione ‘personalizzata’ (personalizing evaluation)

Questo tipo di valutazione appartiene alla tradizione democratica e responsive. Nasce da possibili

distorsioni dovute alla attribuzione dei comportamenti dei soggetti al programma/progetto, come se

226 Per contributi di valutatori ‘indigeni’ vedi L T Smith, 1999, Decolonizing methodologies: research and indigenous

people, Zed Books, London. 227 Sul tema del divario civile vedi D Cersosimo, R Nisticò, ‘Un paese diseguale. Il divario civile in Italia’, Stato e mercato,

n. 98, 2013. 228 Da una intervista al regista Sylvain George, il Manifesto 9/5/2017.

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questo fosse il loro unico ed esclusivo contesto di vita. Per evitare l’inconveniente (abbastanza

frequente) si propone un capovolgimento dell’approccio riconoscendo i comportamenti dei soggetti

come contesti di programma e non il programma come contesto dei soggetti. Contestualizzare il

programma nei soggetti (nella loro vita o in eventi) significa apprezzarne frame, capacità o aspettative,

ma anche riconoscere il significato di un programma indipendentemente dal suo significato tecnico-

politico. Con questa operazione di contestualizzazione inversa, il valutatore può diventare ‘portatore’ di

valori altrimenti ignorati ed esplicitare le ragioni dell’adattamento di un programma ai comportamenti

dei soggetti. Lo spunto valutativo sta proprio qui.

Valutazione inclusiva

Può essere una risposta alle istanze del pluralismo culturale e, al contempo, un riposizionamento del

valutatore e del programma rispetto alle teorie e alle pratiche di cambiamento sociale.

Il valutatore è fortemente orientato al cambiamento e questo orientamento denota (condiziona) la sua

obiettività. Il paradigma trasformativo (vedi sopra) fornisce il background filosofico a questo tipo di

valutazione. Metodologicamente simile alla valutazione democratica deliberativa per l’enfasi data alla

deliberazione collettiva, all’inclusione degli stakeholder contigui e lontani, alla raccolta e all’utilizzo di

dati di tipo dialogico, la valutazione inclusiva combatte l’ingiustizia sociale, critica lo status quo, si

caratterizza per l’attenzione al margine, al limine, all’oppressione e alla discriminazione per genere,

cultura, economia, razza o etnia, capacità, lingua o religione. Si differenzia dalla valutazione di parte

per il suo carattere inclusivo, orientato alla riduzione di differenze, squilibri di potere, corruzione e

soprusi. Il disegno valutativo è fortemente condizionato dall’approccio e può essere così sintetizzato:

identificazione del problema, committenza sociale, selezione dei criteri e degli indicatori di successo,

eventuale campionamento, raccolta e analisi dei dati, risposta ai differenziali di potere, rispetto degli

standard soprattutto etico-morali.

Valutazione basata sulla teoria critica (critical theory evaluation)

Svelamento, denuncia, ricerca di trasparenza: queste potrebbero essere le parole-chiave. Si tratta di una

valutazione a contenuto trasformativo e quindi connessa alla valutazione trasformativa. Il suo scopo

principale è evidenziare come i valori di un’azione (progetto, piano o programma) derivino da diversi

tipi di retorica o di ‘narrazione’ emergenti dalla interazione sociale, dal modo in cui si rafforzano o si

annullano, da come si formano gerarchie narrative.

Il dominio di una narrazione rispetto ad altre può spostare l’attenzione su determinati valori, far credere

che siano gli unici da perseguire, generare una sorta di ‘cultura dominante’: può ‘inquinare’ linguaggi e

ambienti. Favorire la consapevolezza del vissuto in costrutti sociali, politici ed economici non sempre

(anzi, quasi mai) trasparenti diventa così un possibile compito della valutazione, assieme alla denuncia

dei discorsi dominanti. Questo compito viene svolto coinvolgendo i soggetti interessati (e interessabili)

in un processo dialettico per comprendere come le idee si formino in narrative specifiche, di potere,

condizionanti i giudizi di valore. E’ uno ‘svelamento’ delle relazioni di potere e di come queste usino il

linguaggio per descrivere ciò che si valuta e la stessa azione valutativa. La valutazione effettuata in

prospettiva femminista, democratico-deliberativa, emancipativa, attenta alle diseguaglianze rappresenta

diversi tipi di valutazione basata sulla teoria critica. Qui l’attribuzione di valore a determinate

prospettive (o narrazioni) non è da intendersi come ostacolo alla mediazione e alla negoziazione, ma

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come responsabilità, un modo per avvicinarsi al senso di ciò che si fa. Una emancipazione da narrative

dominanti. Il valutatore è al contempo educatore e agente di trasformazione che facilita un processo

deliberativo, anti-retorico, di critica pubblica e la costruzione di una ‘comunità narrativa’. E’ come se

fosse una nuova storia organizzativa, a valenza ‘pubblica’, inaugurata da un disegno valutativo che

punta a costruire un processo dialettico-ermeneutico e una diversa ‘autorità’/responsabilità su ciò che si

valuta. Un processo che non disdegna l’utilizzo di eventi e di diverse forme di comunicazione, incluse

quelle artistiche. Le retoriche della pianificazione offrono un vasto repertorio analitico.

Valutazione dialettica229

Questo approccio intende superare le antinomie fra valutazione quantitativa (nel dominio della

misurabilità) e qualitativa (nel dominio della significazione), ma anche fra valutazione interna ed

esterna. Le antinomie possono generare situazioni patologiche o circoli viziosi, mettendo a repentaglio

il dialogo fra soggetti, la costruzione e la soluzione di eventuali funzioni valutative.

Il paradigma dialettico (analisi, antitesi e sintesi) riconosce il processo valutativo come scoperta della

natura e dei valori di un oggetto, soggetto o inter (azione), scoperta mediante la quale si impara a

conoscere se stessi, le relazioni con l’altro e l’ambiente in cui si opera. L’apprendimento (percezione,

comprensione e azione) può far crescere autostima, autenticità e responsabilità.

Un percorso dialettico può essere avviato identificando una questione, ad esempio le condizioni e le

possibilità del trasporto collettivo in un determinato contesto. Sul tema si esprimono almeno due punti

di vista A e B (value claim). Supponiamo che A ritenga il trasporto collettivo migliorabile potenziando

la componente ‘pubblica’ ed in particolare l’intervento dell’amministrazione statale sul versante della

erogazione dei servizi, della tariffazione e così via. B, al contrario, sostiene che il trasporto collettivo

possa migliorare soltanto scoraggiando la mobilità privata, attivando dispositivi smart e penalizzando

le esternalità negative che genera (ztl, tassazione, sviluppo di Ict, ecc.).

Le due visioni vengono difese sulla base di evidenze (pratiche, motivazioni, precedenti, fatti, ecc.)

organizzate per argomenti comuni: ad esempio, la soddisfazione della domanda effettiva e potenziale,

la riduzione della congestione e dell’inquinamento, l’accessibilità e la possibilità di rigenerare diversi

luoghi. Gli argomenti si presentano come articolazioni del tema generale e richiedono un robusto

dialogo esplorativo, anche se la condivisione dei temi non è scontata.

La difesa delle due visioni, articolata per temi, consente di testarne la ‘plausibilità’ e fornire una prima

sintesi. La visione A potrebbe essere avvalorata da una risposta efficace alla domanda effettiva, da un

contenimento della congestione e dell’inquinamento, da una migliore copertura spaziale del servizio

con possibilità inedite di rigenerazione. La visione B, meno disposta al compromesso fra trasporto

collettivo e individuale, pubblico e privato, potrebbe essere avvalorata da una cattura della domanda

potenziale (sia in termini di attrazione che di generazione), da una riduzione di congestione e

inquinamento nel medio-lungo periodo, ma con qualche problema di accessibilità solo in parte

compensabile dall’attivazione di mobilità dolce (slow mobility) e di dispositivi smart. Entrambe le

visioni possono evidenziare aspetti positivi e negativi.

229 Vedi O J Proppe, 1979, Dialectical evaluation, Centre for Instructional Research and Curriculum Evaluation, Urbana, IL

e, dello stesso autore, A Dialectical Perspective on Evaluation as Evolution: A Critical View of Assessment in Icelandic

Schools, http://hdl.handle.net/2142/68914.

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Le evidenze a supporto delle istanze proposte dalle due visioni vengono quindi testate (per merito e

validità) con criteri simili rispetto alla ‘realtà’, consentendo così la formulazione di giudizi preliminari.

Le conseguenze dei giudizi vengono valutate rispetto a situazioni reali, probabili o possibili. I test

possono riguardare situazioni analoghe (new case test) e si possono considerare gli effetti del giudizio

su altri soggetti (role exchange test) interessati ai temi in oggetto. Infine, si considerano le conseguenze

nel caso in cui tutti si comportassero in modo consistente con il giudizio preliminare (universal

consequences test). La procedura si conclude verificando se l’istanza A è migliore dell’istanza B, se a

certe condizioni entrambe sono valide ed efficaci o se non via sia una terza istanza plausibile.

Valutazione orientata all’utente (user/utilization focused, M Patton)

Secondo questo approccio, la valutazione viene apprezzata per la sua utilità (strumentale, concettuale e

simbolica) e per l’uso che se ne fa (actual use) lungo tutto il processo. Sono gli utenti, non il prodotto

o il processo, a giocare un ruolo critico durante l’azione valutativa, dilatandone l’ambito prima e dopo.

Patton pone al centro dell’attenzione l’uso intenzionale dell’azione valutativa e parla di intended use by

primary intended users. Ne parla perché ritiene non esista valutazione value-free e perché è convinto

che solo l’uso da parte di una utenza motivata possa aiutare ad apprezzarne i valori: di più, può aiutare

a strutturarli, framing the values.

E qui si intendono, ovviamente, i valori attribuibili alla valutazione piuttosto che all’oggetto della

valutazione. Gli utenti saranno più propensi ad utilizzare la valutazione se si sentono in qualche modo

‘responsabili’ (owner) del processo e dei suoi esiti. In altre parole, se partecipano attivamente. Il

valutatore facilita le relazioni con gli utenti, evidenziando le domande valutative e il tipo di valutazione

plausibile, senza preferenze a priori. Si tratta di un ‘modello d’uso’, un ambito di lavoro in cui si

possono accogliere diversi scopi valutativi, oggetti (evaluandi), disegni, dati e modalità di

elaborazione230.

Le tre declinazioni dell’utilità (strumentale, concettuale e simbolica) sono connesse e la distinzione non

può che essere convenzionale. L’utilità strumentale è per fare; quella concettuale per comprendere e

ipotizzare, per ‘illuminare’ e conoscere; quella simbolica per ribadire e rafforzare convincimenti e

azioni, per ragioni persuasive o politiche. Secondo M Patton l’utilità è connessa al potere della

valutazione: questo aumenterebbe con la riduzione dell’incertezza delle azioni di specifici stakeholder.

Gli usi effettivi e potenziali vengono esplicitati a partire dal mandato e nelle fasi costruttive

(formative), nella scelta di metodologie o tecniche (che possono influenzare significativamente gli usi),

nella raccolta e nella elaborazione dei dati, nella diffusione e nell’utilizzo dei risultati anche oltre il

dominio specifico della valutazione (utenti esterni). Gli utenti (interni ed esterni, effettivi e potenziali)

possono avere aspettative ed esperienza valutativa diverse, diverse percezioni del rischio connesso ai

risultati della valutazione. Ma può cambiare anche il contesto in cui la valutazione avviene. La figura

dello stesso valutatore può diventare un importante fattore di condizionamento. Uno degli obiettivi

strumentali è ridurre il gap fra usi/utenti effettivi e potenziali.

230 ‘A utilization-focused evaluation can include any evaluative purpose (formative, summative, developmental), any kind

of data (quantitative, qualitative, mixed), any kind of design (e.g., naturalistic, experimental), and any kind of focus

(processes, outcomes, impacts, costs, and cost-benefit, among many possibilities). Utilization- focused evaluation is a

process for making decisions about these issues in collaboration with an identified group of primary users focused on their

intended uses of the evaluation’, in M Patton, ‘The roots of utilization-focused evaluation’, in M C Alkin (ed), 2013, cit. pp.

293-294.

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La possibilità che una valutazione venga utilizzata dipende dall’identificazione dei soggetti che hanno

interessi specifici o che sono interessati in diversa misura ai risultati della valutazione stessa. ‘Le

persone dedicano tempo alle cose che le interessano’. E’ su queste ‘componenti personali’ (personal

factor lo definisce M Patton231) che si identificano e coinvolgono gli utenti principali.

In realtà, l’interesse per i risultati non si limita agli esiti della valutazione, ma al processo che li genera,

al suo utilizzo (process use)232. E il processo insegna a pensare in modo valutativo (thinking

evaluatively). Pensare così significa attribuire valore alla chiarezza, allo specifico e alla intenzionalità;

essere sistematici ed esplicitare gli assunti; rendere operativi gli obiettivi del programma; distinguere

input e processi dai risultati; apprezzare le evidenze empiriche; separare gli stati di fatto dalle

interpretazioni e dai giudizi; saper raccontare l’azione valutativa come uno storyteller. Così si impara a

valutare, e l’uso del processo, distinto dall’utilizzo dei risultati sostantivi della valutazione, può attivare

l’apprendimento individuale e organizzativo233. Imparare a pensare in modo valutativo sopravvive alla

conclusione di un’azione valutativa.

Impropriamente denominato ‘eclettico’, questo tipo di valutazione rinvia al modello pragmatista o del

pluralismo dei valori. Esso si legittima nell’uso del processo e nella generazione di un esito

(economico, sociale, ambientale, ecc.) significativo. Dal alcuni critici viene considerata una sorta di

meta-valutazione, di tipo situazionale e a forte caratterizzazione personale. Si potrebbe, tuttavia,

ipotizzare che il suo limite (o pregio) principale sia l’intenzionalità che, com’è noto, caratterizza in

minima parte l’interazione sociale e che assume significato quando si formulano proposizioni

valutative. Si tratta di un limite (in certa misura) se si opera in PV, di un pregio se si opera in EV.

Poiché l’uso (e soprattutto gli utenti) variano con l’interazione (elevato turnover), la valutazione

orientata all’utenza non propone alcuna teoria e ciò potrebbe essere ritenuto un limite in prospettiva

PV, ma di nuovo un pregio in EV. In questo caso, àncora il suo disegno ad un insieme di priorità d’uso

e si limita a legittimarlo su di esse.

Come evidenzia E Chelimsky234, il fatto che una valutazione non venga utilizzata da intended user non

significa che sia inutile. Potrebbe non esserlo per ragioni contingenti, come potrebbe essere ben accolta

da non-intended user. Anzi, vincolare l’azione valutativa a questi, potrebbe addirittura inficiare

obiettivi di accountability, conoscenza, management o sviluppo del progetto. E’ evidente che l’uso

intenzionale può prendere varie direzioni.

L’approccio viene tuttavia criticato soprattutto da chi ritiene che la valutazione contribuisca al

progresso, al miglioramento o al più radicale cambiamento sociale e che abbia, quindi, un intrinseco

valore politico. Merita attenzione la critica di M M Mark e G T Henry (in M C Alkin (ed), 2013, cit. p.

147) secondo i quali è più utile ‘consider the risk-reward ratio of alternative approaches to evaluation’,

una sorta di trade-off fra rischio e ricompensa/efficacia. A dimostrazione, i due autori ipotizzano le

opzioni valutative A e B: l’opzione A ha una elevata probabilità d’uso, ma se utilizzata comporta solo

231 ‘People, not organizations, use information…. The personal factor is the presence of and identifiable individual or group

of people who personally care about the evaluation and the findings it generates…Thus, the challenge of increasing use

consists of two parts: (1) finding and involving those who are, by inclination, information users and (2) training those not so

inclined’, idem, p. 298. 232 M Q Patton, 1998, ‘Discovering process use’, Evaluation, 4(2), pp. 225-233 e M Q Patton, 2007, ‘Process use as

usefulism’, New Directions for Evaluation, n. 116, pp. 99-112. 233 M Q Patton, in M C Alkin (ed), 2013, cit. p. 301. 234 In M C Alkin (ed), 2013, cit. pp. 271-272.

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marginali cambiamenti; l’opzione B si presenta con una ridotta probabilità d’uso, ma se utilizzata può

generare una significativa differenza. Se il miglioramento sociale è l’obiettivo primario (guiding star)

occorre prestare molta attenzione nella scelta dell’opzione. In generale, l’uso muta con la prospettiva

valutativa (responsabilità/accountability, conoscenza e gestione/sviluppo). Esso é dovuto nel caso

gestionale (miglioramento del programma e delle capacità), ma potrebbe essere difficile garantirlo

secondo le altre due prospettive in assenza di condizioni politiche favorevoli235.

Un altro esempio riguarda i rischi e le conseguenze negative connessi a ciò che J A Winston chiama

aggiustamento dell’obiettivo (goal displacement) e gioco (gaming)236. L’aggiustamento può avvenire

quando si intende raggiungere un risultato senza variazione dei costi, semplificando processi e risultati

attesi. Anche in assenza di scorrettezze e forme di corruzione, ciò accade di frequente nel settore delle

opere pubbliche dove si allineano performance di servizio a minore qualità costruttiva dell’opera.

L’aggiustamento può essere un espediente contabile, ma anche una strategia di gestione di un progetto

o di una pratica valutativa conflittuale. Con forme di gaming si definiscono target più facili da

raggiungere, modificando tempistiche e procedure. E’ ovvio che limitarsi ad una valutazione con

indicatori di performance potrebbe consentire il ricorso a questo tipo di escamotage o strategia. Se,

invece, si lavora sulla loro ‘semantica’ progettuale (design e attuazione) può esserne modificato l’uso.

L’approccio di Patton può essere comunque utile per valutare il cattivo uso (misuse), il non uso o l’uso

fittizio della valutazione, ma soprattutto per riflettere sui significati attribuibili alla parola ‘uso’.

Modello di rappresentazione della influenza valutativa (influence pathway - M M Mark e G T Henry)

Diverse sono le conseguenze della pratica valutativa237, tutte in qualche modo incidenti sulla utilità

(strumentale, concettuale e simbolica) e sulla stessa ‘cultura della valutazione’.

Lo sviluppo della cultura della valutazione può essere colto a partire da queste tre dimensioni e dalle

connessioni reciproche, anche se non si limita ad esse. Infatti, la pratica valutativa può influire sui

comportamenti, anche in modo inconsapevole, sui processi cognitivi e affettivi con significativi

cambiamenti percettivi (feeling) e attitudinali dei singoli; sui processi motivazionali, correlabili a

incentivi o disincentivi, premi o punizioni; ma, soprattutto, sulle relazioni sociali e i relativi aspetti

organizzativi, deliberativi, di apprendimento e capacitazione. Quando si apprezzano queste

conseguenze l’attenzione alla valutazione muta e si sposta dall’evaluando specifico (progetto,

programma, piano o politica) alle ‘influenze’ sociali, culturali o politiche che queste conseguenze

possono generare. Non si considerano le conseguenze dell’azione valutata, ma le conseguenze della

pratica valutativa.

La relazione conseguenza-influenza può essere considerata come problema specifico, alimentando

esercizi meta-valutativi, oppure come problema dell’evaluando dilatando le ‘possibilità’ del dominio,

della ‘funzione’ e del disegno valutativo. In entrambi i casi occorre formulare ipotesi sugli itinerari

235 Sull’importanza della prospettiva valutativa in relazione all’uso dei risultati della valutazione vedi E Chelimsky,

‘Evaluation purposes, perspectives, and practices’, in Alkin M (ed.) 2013 Evaluation Roots: A Wider Perspective of

Theorists’ Views and Influences, Sage, Thousand Oaks, CA, p. 274. 236 J Winston, 2010, ‘Reflecting on goal displacement and gaming’, Conference of the Australasian Evaluation Society,

Wellington, New Zealand, http://www.aes.asn.au/conferences/2010/Presentations/Winston,%20Jerome.pdf. 237 G T Henry, M M Mark, 2003, ‘Beyond use: Understanding evaluation’s influence on attitudes and actions’ American

Journal of Evaluation, n. 24, pp. 294-314; M M Mark, G T Henry, 2004, ‘The mechanisms and outcomes of evaluation

influence’, Evaluation, n. 10 (1), pp. 35-57 e M M Mark, 2006, ‘The consequences of evaluation: Theory, research, and

practice’, Presidential address at the annual meeting of the American Evaluation Association, Portland, ON.

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conseguenza-influenza (influence pathway). Gli autori assumono che gli stati finali (end states)

dell’uso strumentale e concettuale non siano in grado di catturare il potenziale dell’influenza, e quindi

possano inibire il ruolo del valutatore o ridimensionarne l’importanza. Ad esempio, un valutatore

impegnato in processi di pianificazione, educativi o di advocacy può essere coinvolto in diverse

occasioni lungo itinerari di influenza diversi e non facilmente prevedibili, mentre un valutatore

richiesto di una valutazione di incidenza o di impatto ambientale potrebbe limitare la propria

consulenza in poche occasioni, spesso definite da specifici protocolli che configurano un determinato

itinerario. Emergono, ovviamente, alcune domande in proposito: in quali condizioni una conseguenza

valutativa assume rilevanza? Mediante quale processo analitico e di giudizio? Una volta riconosciuta

una conseguenza valutativa, come può essere ‘raggiunta’?238

Kirkhart239 introduce il concetto di influenza della valutazione (evaluation influence) che cattura effetti

indiretti e inattesi in relazione a diversi processi240, questioni lontane dal dominio valutativo specifico,

contenuti di pratiche e abitudini, diversi gradi di consapevolezza. Questa dilatazione contiene

ovviamente l’uso che si fa della valutazione, ma va ben oltre. Ad esempio, i meri adempimenti

valutativi possono indebolire lo sviluppo della cultura della valutazione e relegare la valutazione ad atto

dovuto e ‘sopportato’, mentre l’identificazione e la misura dei benefici netti di pratiche di mitigazione,

adattamento o compensazione potrebbero arricchire una strategia sostenibile di uso del suolo e

ribadirne il suo valore intrinseco.

Questo approccio viene riferito sia a forme di ‘realismo critico’ (l’avvicinamento al mondo è

imperfetto, mediato e soggetto a bias) che al costruttivismo.

Developmental evaluation (DE - valutazione ‘progettuale’)

DE può essere considerato un approccio valutativo in real-time a supporto dell’innovazione sociale in

ambienti complessi (interconnessi, privi di core, non gestibili in modo centralizzato), conflittuali e

incerti. Il carattere developmental è associabile al fatto che la valutazione è sensibile al contesto

organizzativo, é di tipo interattivo e iterativo con feedback che generano azioni circolari e cumulative

(continuous development loop). In queste azioni è coinvolto lo staff di programma o di progetto. Con la

sua capacità di strutturare concetti operativi e di iterare rapidi test DE è utile in programmi innovativi,

per la ridefinizione di programmi, soluzione di problemi complessi e uscita da situazioni di stallo o di

crisi.

Per M Patton questo tipo di valutazione è una ‘nicchia’ nella valutazione orientata all’utente241 e può

essere considerata una risposta alle critiche di M M Mark e G T Henry242. Dovrebbe facilitare

238 M M Mark, G T Henry, ‘Multiple routes. Evaluation, assisted sensemaking, and pathways to betterment’, in M C Alkin

(ed), 2013, Evaluation Roots. A Wider perspective of Theorists’ Views and Influences, Sage, LA (second edition), pp. 150-

155. 239 K Kirkhart, 2000, ‘Reconceptualizing evaluation use: an integrated theory of influence’, in V Caracelli, H Preskill (eds),

New Directions for evaluation: vol. 94. The expanding scope of evaluation use, Jossey-Bass, San Francisco, pp. 5-23. 240 In matrici che incrociano effetti e processi valutativi individuali, interpersonali e collettivi emergono elementi utili a

significare l’influenza della valutazione. 241 M Patton, 2010, Developmental evaluation: applying complexity concepts to enhance innovation and use, Guilford

Press, New York. Il testo è connesso al precedente F Westley, B Zimmerman, M Q Patton, 2006, Getting to maybe: how the

world is changed, Random House, Toronto.

Vedi anche https: //www.betterevaluation.org/en/plan/approach/developmental_evaluation. 242 In M C Alkin (ed), 2013, cit. p. 147.

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l’innovazione sociale, il management adattativo (adaptive management) e l’auto-organizzazione dei

comportamenti valutativi alle dinamiche degli ambienti complessi.

Si contrappone alla valutazione esterna o indipendente. Il valutatore fa parte del team di progetto (è un

partner), porta la sua esperienza, contribuisce ad evidenziare le questioni valutative rilevanti, a

costruire una logica valutativa con l’aiuto di dispositivi di generazione di conoscenza in tempo reale,

anche nella forma di sistemi di supporto alle decisioni (Dss). L’interazione con gli altri soggetti

partecipanti al progetto è fondamentale in quanto può migliorarne la configurazione sia in fase di

design che di attuazione. La sua indipendenza di giudizio diventa un ‘falso problema’ se l’esperienza

può aiutare a migliorare il progetto e l’uso dello stesso processo valutativo. In questa accezione DE si

connette alla valutazione orientata all’utente. In un mondo sempre più digitale DE può orientare

l’utilizzo di big data, rendendo possibili pratiche valutative in tempo reale.

M Q Patton evidenzia le differenze fra DE e una non meglio definita ‘valutazione tradizionale’.

Valutazione partecipativa

La partecipazione è scontata nella valutazione democratica e pluralista (anche se si presenta in forme

diverse), mentre non lo è in quella manageriale. E’, forse, una delle definizioni meno rigorose e abusate

sia in prospettiva EV che PV per la varietà delle interpretazioni e dei modi in cui si pone rispetto

all’uso243.

La valutazione partecipativa dipende almeno da tre componenti che, insieme, potrebbero definire un

dominio semantico. In primo luogo essa rappresenta l’interazione sociale per opportunità di riflessione

243 Per una mappa degli approcci nella fase di maggiore sviluppo metodologico-concettuale vedi E Whitmore (ed), 1998,

‘Participatory evaluation approaches’, New Directions in Evaluation, n.80, Jossey-Bass, San Francisco, Ca.

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e giudizio. In secondo luogo, può riguardare diverse componenti della proposizione/funzione valutativa

e le modalità con cui si relazionano nel tempo: il riconoscimento di valori può influire sugli obiettivi;

l’emergere di nuove opzioni sul set di criteri; l’uso dei risultati sul processo di valutazione e così via. Si

può definire questa seconda componente come ‘operatività’. La terza riguarda il modo in cui la

partecipazione viene organizzata. Considerando che l’uso della valutazione può avvenire in tempi e

forme diverse (formali e informali), per varie ragioni e da parte di soggetti singoli o organizzati, la

partecipazione può generare cultura, apprendimento, ma anche innovazione organizzativa e nuove

consapevolezze.

Diversamente da M Patton, J B Cousins ritiene che la valutazione partecipativa possa contribuire

operativamente allo sviluppo organizzativo (practical participatory evaluation) e non soltanto alla

crescita di capacità valutative. Cousins assegna alla valutazione partecipativa dignità di ricerca

valutativa effettuata in partnership da stakeholder e componenti la ‘comunità di valutazione’244. In

questo modo può diventare una forma di institutional design, in quanto aiuta a creare le condizioni

perché la valutazione possa svilupparsi in modo efficace. Una di queste condizioni è la ‘comunità di

valutazione’ (evaluation community) che tende a formarsi in certi processi partecipativi.

Per la creazione della comunità J A King245 consiglia di operare in tre domini. Il primo è il contesto

organizzativo, la sua ‘atmosfera’ interna ed esterna in cui la valutazione respira. Se vi sono fiducia e

rispetto, se i soggetti sono open-minded, se vi è la possibilità di contrastare forme di potere con il

supporto di leadership responsabili e se gli utenti acquisiscono autonomia operativa e capacità di fare

(empowered) il contesto può mutare radicalmente. Si tratta di condizioni che influiscono sulla

atmosfera in cui opera l’organizzazione, ma anche sul senso della pratica valutativa. Per creare queste

condizioni (dove mancano) occorre mettere a punto strutture finalizzate alla costruzione di capacità

valutative. E’ il secondo dominio in cui, secondo King, si prevede la messa a punto e l’attuazione di un

piano di capacity building a lungo termine, di supporti valutativi e comunicativi specifici, di dispositivi

di socializzazione e di strutture di peer learning. Il terzo dominio riguarda l’accesso alle risorse e il

supporto al processo valutativo246. Come si vede, la creazione della comunità di valutazione può

diventare una forma di istituzionalizzazione per quanto limitata ad un contesto organizzativo specifico.

La valutazione partecipativa viene anche detta collaborativa, inclusiva, orientata alla comunità

(community based), considerata spunto utile per processi di ricerca-azione.

La valutazione collaborativa abbandona ogni istanza avversariale, tipica della adversarial evaluation e,

in certa misura, della valutazione di parte (advocacy). Cerca di evitare il conflitto e la contrapposizione

di interessi pre-definiti o presunti tali, proponendo risoluzioni alternative del/al conflitto (alternative

244 Rinviando all’approccio P-PE, Cousins ricorda come ‘evaluators bring to the partnership their knowledge of an expertise

in evaluation logic, methods, and standards of practice; stakeholders contribute their knowledge of program logic and

context’, J B Cousins, ‘Privileging empiricism in our profession. Understanding use through systematic inquiry’, in M C

Alkin(ed), 2013, cit., p. 348. Un utile riferimento alle pratiche partecipative è J B Cousins, E Whitmore, 1998, ‘Framing

participatory evaluation’, in E Whitmore (ed), Understanding and practicing participatory evaluation (special issue), New

Directions in Evaluation, n. 80, pp. 5-23. In italiano, vedi M Palumbo, ‘La partecipazione che cambia la valutazione (e forse

anche i valutatori)’, in Rivista Trimestrale di Scienza dell’Amministrazione, n. 4/2010 e, dello stesso autore, ‘La valutazione

partecipata e i suoi esiti’, Riv-Rassegna Italiana di Valutazione, n.25, 2003. 245 J A King, ‘Getting people involved. The origin of interactive evaluation practice’, in M C Alkin(ed), 2013, pp. 334-343. 246 J A King, idem, pp. 341-342.

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dispute resolution)247. Depotenziando il criterio come strumento di giudizio, contribuisce a creare un

dominio dialogico che non si limita a confrontare alternative, ma a creare nuove opzioni. Un approccio

del genere potrebbe qualificare la valutazione pluralista che, in caso di conflitto, spesso precipita in

situazioni di stallo.

Se nel dominio dialogico maturano opzioni o alternative confrontabili si può ricorrere a modalità di

negoziazione utilizzando diversi metodi, tecniche o procedure: uno di questi è il metodo del consenso

attivabile nel e dal dominio dialogico (sarebbe contraddittorio il contrario). Si tratta di un processo

finalizzato ad una decisione consensuale, non solo espressione di maggioranza, ma sensibile alle

istanze di minoranza. Il consenso è inteso come accordo e processo costruito per raggiungerlo.

Generalmente viene utilizzato da diversi gruppi (non soltanto minoritari): confessioni religiose,

istituzioni economiche come i polder olandesi o le comunità titolari di terre di comunanza (usi civici)

in diversi paesi europei, organizzazioni anarchiche, infoshop, organizzazioni non governative, nazioni

di nativi e, in certe situazioni, anche il Consiglio Europeo.

Il processo consensuale si basa su principi di inclusione, partecipazione (contributo di chi partecipa),

cooperazione, egualitarismo (in termini propositivi e di veto), orientamento alla soluzione (attenzione

alle affinità e diffidenza nei confronti del concetto di alternativa). E’ un metodo antitetico alla regola di

maggioranza e ad ogni dispositivo premiale. Regola di maggioranza e relativi dispositivi premiali sono

considerati giochi a somma zero, competitivi piuttosto che cooperativi; dispositivi alienanti e

deresponsabilizzanti che costringono alla adesione e sottraggono potere, aggravando il problema della

‘partigianeria’, distruggendo possibilità di coesione e riducendo l’efficacia delle decisioni. Gli

oppositori a questo metodo sostengono che la regola della maggioranza favorisca migliori prassi

deliberative, perché impegnerebbe ogni persona a proporre argomentazioni rivolte ad almeno la metà

dei partecipanti, incoraggiando così la creazione di coalizioni. Anche se questo tipo di pratica varia da

gruppo a gruppo, la procedura è comune e prevede una sequenza di azioni: la discussione del tema

(pareri, informazioni, direzione, potenziali proposte, e così via), la formazione di una proposta, verifica

247 A partire dalla fine degli anni ’90 in questa direzione opera il diritto collaborativo con il seminale lavoro dell’avvocato

Stuart Webb in Usa e la pubblicazione di Nancy J Cameron, 2004, Collaborative process: deepening the dialogue, British

Columbia Continuing Legal Education, oggi tradotto in Pratica collaborativa, approfondiamo il dialogo. Un percorso

innovativo nei conflitti familiari a cura di C Mordiglia, edito da Bruno Mondadori, Milano-Torino. ‘La pratica collaborativa

è un metodo non contenzioso di risoluzione dei conflitti che si svolge lontano dalle aule dei tribunali e fondato su diversi

principi tra cui il fondamentale impegno delle parti e dei loro legali ad affrontare il conflitto senza andare in giudizio’, cit. p.

xiii. I clienti vengono assistiti in un modello di autodeterminazione, con ascolto empatico, riformulando le questioni e

cercando di passare dalla disputa al dialogo. Sviluppatasi nell’ambito del diritto familiare, questa pratica si sta diffondendo

in altre branche del diritto civile. La principale associazione internazionale è International Academy of Collaborative

Professionals (Iacp– www.collaborativepractice.com) con sede a Phoenix in Arizona. L’ Associazione italiana professionisti

collaborativi - Aiadc si è costituita nel 2010 con sede principale a Milano (www.praticacollaborativa.it). In questa

prospettiva possono essere considerate anche le pratiche di composizione extragiudiziale in merito a controversie fra utenti

e fornitori di servizi pubblici come luce, gas, acqua, Ict, raccolta di rifiuti, tele-calore e così via. In Italia, ad esempio, le

conciliazioni in materia di energia elettrica e gas possono essere effettuate presso organismi di negoziazione paritetica che

prevedono la partecipazione delle associazioni dei consumatori, iscritti in apposito elenco tenuto dall’Autorità di

regolazione per Energia Reti e Ambiente (Arera) (delibera 620/2015/E/com), o dinnanzi ad organismi deputati a gestire il

contenzioso di consumo ai sensi della direttiva Ue11/2013. Operativa dal 1997, Arera è una autorità amministrativa

indipendente con funzione regolativa e di controllo nei settori dell’energia elettrica, del gas naturale, dei servizi idrici, del

ciclo dei rifiuti e del tele-calore. Con la liberalizzazione dei servizi a partire dal 1999, Arera ha assunto il ruolo di soggetto

regolatore dei mercati. L’obiettivo è promuovere la concorrenza e l’efficienza dei servizi, assicurandone qualità, fruibilità e

diffusione nel territorio nazionale con attenzione alla equità e alla trasparenza tariffaria.

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del consenso, identificazione e definizione delle obiezioni, modifica della proposta ed eventuale riavvio

del processo. Non è da escludere che in certe condizioni si formi il cosiddetto ‘consenso di blocco’ su

un tema comune, ma strumentalizzabile (il pericolo dell’immigrazione, il pericolo di perdere il diritto

di edificare, il diritto alla vita, e così via) con effetti a volte persecutori.

In termini più generali, il metodo del consenso è uno strumento di costruzione delle decisioni

finalizzato alla condivisione di concetti-chiave da parte di soggetti disposti o costretti a negoziare in

determinate interazioni sociali. Il metodo considera le mappe cognitive con cui gli attori rappresentano

la questione come uno strumento utile per stabilire la riuscita o meno dei processi partecipativi: la non

sovrapponibilità delle mappe cognitive con cui gli attori rappresentano la questione, se stessi, e gli altri

attori, non permette una reale comunicabilità e, pertanto, una reale ed efficace collaborazione. Si

apprezza così la negoziazione come processo di sense making collettivo, attraverso il quale confrontare

le conoscenze degli attori per costruire strutture semantiche condivise, stimolo per un’azione

collaborativa. Tale processo non può essere una forzatura o una mediazione, ma partire dal presupposto

di una costruzione effettivamente collettiva, che trova nel prodotto un elemento superiore e differente

alle parti iniziali. Questo metodo può essere utile nelle pratiche di gestione del rischio (vedi in Italia il

metodo Augustus). Ad esempio, nella predisposizione di piani di emergenza gli attori chiamati a

negoziare la missione collettiva descrivono la loro personale visione del rischio territoriale, degli

elementi più sensibili, delle risorse più utili a fronteggiare i rischi, del proprio ruolo nella riduzione del

rischio. La visione dei singoli potrà essere fatta propria dagli altri attori, e il processo di negoziazione

potrebbe portare i soggetti a riconoscere una visione sempre più comune del rischio e delle strategie per

il suo contenimento, modificando le proprie mappe cognitive, e orientando quelle degli altri.

In sintesi, nella accezione di empowerment evaluation e capacity building la partecipazione potrebbe

assumere un carattere selettivo in quanto legittima l’autorità dei soggetti (con diverse poste in gioco) su

teoria, processo e risultati. L’empowerment, in particolare, considera la partecipazione una sintesi fra

mediazione e negoziazione, ma anche un modo di essere nella dinamica dei processi valutativi (D M

Fetterman, vedi più avanti). E’ pratica corrente nelle politiche di comunità, nei processi di

pianificazione locale e negli studi urbani, dove può integrarsi con esperienze di ricerca-azione.

Interessanti sono alcune attività di engagement della società civile in forme di governance248 e di

miglioramento delle policy. In esse ci si confronta con nuove frontiere della partecipazione come

248 Il termine governance ha origine nella teoria dell’organizzazione produttiva e rinvia a tecniche di gestione dei rapporti

fra management e salariati al fine di attivare pratiche di cooptazione dei sindacati e contenere i costi di transazione delle

imprese. Si è quindi esteso ai rapporti con consumatori, azionisti, indotto produttivo e altri soggetti con l’obiettivo di

contenere e utilizzare ciò che potrebbe essere potenzialmente conflittuale rispetto alle strategie imprenditoriali. Lasciando il

ristretto dominio dell’impresa, la governance ha fatto il suo ingresso nelle istituzioni pubbliche venendo spesso deformata

alla mera costruzione del consenso. Vi è chi denuncia con forza questa deviazione che ha portato la governance a sostenere

l’egemonia di forme statali post-democratiche o decisamente oppressive e del ‘capitalismo neoliberista attraverso un

feticismo del Politico inteso come astratta e oggettiva pratica amministrativa che naturalizza i rapporto sociali dominanti’, B

Vecchi, ‘Il prezzo senza volto di un ingranaggio. Un percorso di letture sul concetto di governance e la sua evoluzione’, il

Manifesto, 29/4/2018. Sulla migrazione della governance dall’economia al politico, la riqualificazione della funzione

regolativa dello Stato imprenditore e il rilancio dei diritti sociali di cittadinanza si soffermano A Deneault, 2018,

Governance. Il management totalitario, Neri Pozza, Venezia e C Crouch, 2018, Salviamo il capitalismo da se stesso, Il

Mulino, Bologna. Entrambi criticano lo ‘svuotamento della democrazia’ che tende a passare attraverso il ‘governo dei

mediocri’, ma soprattutto con forme di partenariato fra pubblico e privato che tendono a favorire quest’ultimo. La

governance diventa così ‘istituzionalizzazione di meccanismi di esclusione…attraverso una continua valutazione

dell’operato e lo sviluppo di una vera e propria antropologia della leadership che trae la sua legittimità nell’amplificare

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l’ingaggio diretto dei cittadini per lo sviluppo di nuove policy, la deep deliberation (organizzazione di

processi deliberativi su temi complessi), l’inclusione soprattutto di chi non ha (o non vuole avere)

accesso a strumenti digitali249.

Non è, tuttavia, da escludere che, in determinate circostanze, la partecipazione si trasformi in una

sofisticata o banale forma di legittimazione di procedure di mediazione, negoziazione e consenso.

Imparare a valutare. Valutazione orientata alla responsabilizzazione, allo sviluppo di capacità e alla

autodeterminazione (empowerment evaluation)

Può sembrare improprio considerare questo tipo di valutazione un ‘approccio’ valutativo. Ma lo si può

ritenere tale perché fonda lo sviluppo di capacità discutendo (a partire da) una differenza: la differenza

fra una possibile teoria dell’azione e il comportamento reale. Ogni progetto, in quanto ipotesi di

trasformazione della realtà, adotta una teoria del cambiamento e ad essa cerca di adeguare una teoria

dell’azione. La valutazione considera le azioni come processi ed esiti, attribuendo ad essi significati e

valori. Per imparare a valutare occorre partecipare a questo processo di riconoscimento e attribuzione,

mettendo in gioco se stessi, confrontandosi con altri e con eventuali consuetudini, teorie comprese. In

questo modo, nel processo si acquisiscono gli strumenti utili per valutare, se ne comprendono le

logiche.

L’ipotesi alla base di questo tipo di valutazione è che migliorando la capacità di design e di valutazione

degli stakeholder aumenti la probabilità di successo di un piano, di un programma o di una politica. Si

tratta di un’ipotesi che proviene dalle ‘culture dell’evidenza’, ad orientamento problem solving e

decision making, ma che dialoga proficuamente con i concetti di ‘comunità di apprendimento’ e di

‘professionista riflessivo’. Infatti, i valutatori aiutano a coltivare la cultura dell’evidenza chiedendo agli

stakeholder perché credono a ciò che credono. E lo fanno di continuo, in modo dinamico e circolare

aiutandoli a definire la propria missione su valori condivisi, identificando e organizzando le attività

(taking stock), arrivando a finalizzare l’attività futura e il monitoraggio delle strategie.

Empowerment significa testualmente responsabilizzazione, capacitazione ed empowerment evaluation

valutazione che contribuisce a responsabilizzare, a sviluppare autodeterminazione e capacità valutative,

a pensare in modo valutativo. Considerate la fonte e l’articolazione del concetto, useremo il termine

inglese.

Anche se appartenenti al campo EV, forma, ruolo e disegno di questo tipo di valutazione potrebbero

adattarsi a PV in ragione degli oggetti e dei soggetti della capacitazione, ma soprattutto del momento e

del modo in cui dall’interazione prendono forma istanze e proposizioni valutative.

Quattro sono le teorie alla base di questa valutazione ispirata alla psicologia sociale e all’etnografia.

Esse riguardano nello specifico l’empowerment, l’autodeterminazione, l’utilizzo di processo (process

use, nell’accezione di M Patton), l’uso e l’azione. I processi di empowerment sviluppano le capacità di

controllo, di lettura di relazioni causali, di scoperta e raccolta di risorse, ma soprattutto di comprensione

l’imperativo della performance e della trasparenza…’, B Vecchi, ibidem. Così la post-democrazia vanifica ogni spunto di

democrazia partecipativa, relegandola all’insignificanza nella gestione della cosa pubblica. Si comprende come la

governamentalità di M Foucault non si possa considerare ‘l’apologia della governance bensì la radiografia critica, cioè

sovversiva, delle forme di biopotere’, ivi. Numerose sono le varianti continentali del modello di governance e del suo

adattamento ai contesti dalla Cina, all’India, all’Africa oltre al vecchio Occidente. 249 Vedi Open Government Partnership, iniziativa lanciata nel 2011 da B Obama per favorire lo sviluppo di modelli di

governo più trasparenti e aperti.

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critica di un contesto sociale. Su questa base si possono creare anche le capacità di risoluzione dei

problemi e di decisione. Poiché questi processi si realizzano a livelli diversi (singoli, organizzazioni,

comunità) si sviluppano capacità diverse. L’autodeterminazione è condizionata dal contesto e viene

generalmente garantita da una rete di capacità essenziali. La rottura di alcune connessioni (strappi nella

rete) o condizionamenti esogeni possono mettere in pericolo le possibilità di autodeterminazione o

renderne più difficoltoso il raggiungimento.

L’utilizzo di quanto emerge nel processo valutativo può essere più utile dei risultati e se questo accade

può essere inteso come processo di apprendimento, come un avvicinamento al pensare valutativo. Nel

processo si formano relazioni (non sempre pacifiche) fra teorie dell’azione e teorie in uso; fra una

situazione ideale, o ipotizzata, e una situazione reale, vissuta dai soggetti coinvolti nella pratica

valutativa. Queste differenze identificano pattern di allineamento/dis-allineamento fra le due teorie in

cui possono maturare spunti di apprendimento. I pattern potrebbero essere considerati come ‘materiali

didattici’. Le teorie dell’azione possono spiegare come un progetto opera, se interpreta coerentemente

teorie del cambiamento, mentre le teorie in uso riguardano la realtà del progetto e della valutazione che

l’accompagna, il comportamento osservabile dei soggetti che vi partecipano.

La ‘cultura dell’evidenza’ emerge con forza dalla giustapposizione fra teorie in uso e teorie dell’azione.

D M Fetterman si esprime così: ‘People engaged in empowerment evaluations create a theory of action

at one stage and test it against the existing theory of use at a later stage. Similarly, they create a new

theory of action as they plan for the future. Because empowerment evaluation is an ongoing and

iterative process, stakeholders test their theories of action against theories in use during various

microcycles to determine whether their strategies are being implemented as recommended or designed.

The theories go hand in hand in empowerment evaluation’250.

Poiché l’empowerment considera la partecipazione una sintesi fra mediazione e negoziazione, ma

anche un modo di essere nella dinamica dei processi valutativi, si può ritenere abbia una sua

dimensione politica.

Valutazione ‘illuminativa/illuminante’ (illuminative evaluation)

In opposizione a qualsiasi ‘metodolatria’ ed in particolare al positivismo logico, questo approccio

ritiene che spunti e nuove idee possano maturare in modo sinaptico, per accostamento ad eventi e a

volte per ‘visione’251. La visione è intesa come ‘esplosione sinaptica’ o come ‘apparizione’. Il

procedere sinaptico (per stimoli) attiva ciò che si sa o che si crede di sapere, ma gli accostamenti

possono mettere in contatto termini, linguaggi, rappresentazioni e significati diversi in una logica non

causale. Aiutano a porsi nuove domande e a fornire nuove risposte. Il contatto fra termini, linguaggi e

250 D M Fetterman, ‘Empowerment evaluation. Learning to think like an evaluator’, in M C Alkin (ed), 2013, cit. p. 308.

Vedi, a complemento, i dieci principi discussi a p. 310 (improvement, community ownership, inclusion, democratic

participation, social justice, community knowledge, evidence-based strategies, capacity building, organizational learning,

accountability). 251 Questo approccio viene da certuni ancorato alla antropologia sociale, alla psichiatria o all’osservazione partecipante in

sociologia, soprattutto quando descrizione e interpretazione sembrano più utili della misura o della predizione. La

valutazione illuminativa/illuminante sarebbe favorita da learning milieu, ovvero da contesti orientati all’apprendimento. Si

tratta della visione oramai datata di M Parlett, D Hamilton, 1977, ‘Evaluation as illumination: a new approach to the study

of innovatory programs’, in D Hamilton, D Jenkins, C King, B Mac Donald, M Parlett (eds), Beyond the numbers game: a

reader in educational evaluation, Mac Millan, London, pp. 6-22. Oggi sembrano più fertili visioni orientate ai knowledge-

creating milieu. Sunti sinaptici possono essere creati anche dal ricorso a ‘figure retoriche’.

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significati può essere anche favorito da precedenti acquisizioni. Di un oggetto/soggetto valutativo si

possono proporre rappresentazioni multidimensionali. Ad esempio, la solidarietà civica in una periferia

potrebbe essere favorita da una serie di eventi rappresentabili come flash sulla mappa del luogo, da un

filmato al suo interno, da opere d’arte, da basi sonore, statistiche, interviste e così via. L’interpretazione

di queste rappresentazioni può avvenire per connessione individuale, ma anche per dialogo e contatto

con altri. Si potrebbe arricchire con visite in situ, ascoltando, annusando, toccando e osservando gli

stimoli del contesto e aggregandoli in un possibile concetto di solidarietà civica.

Questo modo di procedere è apparentemente individuale in quanto opera come sistema aperto. Ma si

può arricchire (o impoverire) nella interazione sociale configurando una sorta di social brain del tutto

contingente. Operando su spunti e scoperte, questo approccio potrebbe contribuire a superare situazioni

di stallo, misurarsi con nuovi orizzonti, ma anche proporre itinerari discutibili.

Un concetto interessante ai fini della illuminative evaluation è il ‘possibile adiacente’ introdotto negli

studi sulla creatività. Nel progetto Kreyon, finanziato dalla John Templeton Foundation252, si è

costruito un modello che cerca di spiegare le dinamiche della innovazione e di comprendere come

emerge il nuovo. Il quesito è: qual è la probabilità che si verifichi un evento mai accaduto prima? E’

noto che l’ urna di Polya (con palline bianche e nere) viene utilizzata per studiare i modelli di contagio.

Il modello classico procede per pescaggio casuale: a seconda del colore della pallina se ne inseriscono

altre dello stesso colore in un meccanismo di rinforzo per cui il colore pescato più spesso lo è sempre di

più (legge di potenza). Il processo è così privo di novità e di innovazione. Tuttavia, ogni evento

innovativo, frutto di creatività, modifica il contesto precedente, aprendo a possibilità impensabili. Nel

progetto Kreyon si è quindi effettuato un esperimento con urna di Polya a più colori (triggering): a ogni

nuovo evento (estrazione) si inseriscono nell’urna palline di colori prima assenti, aumentando così il

numero totale di possibilità. ‘Se ne pescherà, e quindi attualizzerà, solo una parte, ma il possibile è

sempre più ricco del reale (…). L’innovazione si può rappresentare quindi come l’esplorazione dello

spazio reale e l’allargamento dello spazio del possibile. L’ispirazione al modello a più colori non è

arrivata dal demone di Laplace della fisica deterministica, ma dagli studi di biofisica sistemica di Stuart

Kauffman, che negli anni Settanta ha dimostrato come l’evoluzione non sia causata solo dalla

evoluzione darwiniana, ma anche dalla autorganizzazione dei sistemi viventi lontani dall’equilibrio e

dai loro scambi esplorativi con l’ambiente’. Una visione che ha portato al concetto di ‘possibile

adiacente’, formato da eventi che dipendono da un contesto, ma se ne differenziano. La differenza

segnala (e consente di misurare in modo statistico) il cambiamento dovuto a ‘modifiche incrementali e

ricombinazioni del materiale esistente’. Ovviamente non esiste un algoritmo che possa predire gli

indefiniti usi di un cacciavite o di una parola, ma è l’evoluzione che ci spinge continuamente a trovarne

di nuovi. Esempi interessanti sono costituiti dai sistemi catalitici di Kauffman, in cui le molecole dello

stesso organismo catalizzano reazioni per trasformarsi reciprocamente. Essi hanno portato ai sistemi

autopoietici studiati da Maturana e Varela, sistemi che si riparano e si ridefiniscono di continuo per

mantenere un equilibrio in relazione all’ambiente. Questa visione é cara alla epistemologia della

complessità che analizza i modi di conoscere riferendosi ai sistemi della vita, situati a metà fra ‘ordine

e disordine’. Ne emerge un concetto di creatività che cerca di motivare, anche se con una certa

approssimazione, l’illuminazione. ‘La creatività si configura così come un gioco per lo più

ricombinatorio che sa adattare la risposta efficace a un bisogno emerso: maggiore sarà l’efficacia,

maggiore sarà l’innovazione e la riconfigurazione dello spazio reale che farà crescere lo spazio del

252 J Condemi, ‘Come ti misuro l’innovazione’, Il Sole 24 Ore, nòva, n. 636, 18/2/2018, passim. Il team di ricerca é diretto

da V Loreto, docente di Fisica sistemi complessi all’ Università ‘La Sapienza’ di Roma.

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“possibile adiacente”. In psicologia, l’insight creativo, o illuminazione improvvisa, contribuisce a

ristrutturare il campo percettivo-cognitivo, allargando il ‘possibile adiacente’ il cui modello statistico è

solo all’inizio253.

Valutare per immagini o figure

Ne I segni dell’anima Carlo Sini indica come l’immagine abbia un’origine filosofica ‘perché da sempre

la filosofia pensa in assenza, e l’assenza dell’oggetto è il tratto peculiare dell’immagine’254.

Contrariamente a quanto suggerisce l’economia dell’informazione che monopolizza l’uso dei segni,

riducendo l’immagine a documento, a realtà ed evidenza, le immagini o le figure possono essere un

generatore di possibilità. L’immagine non è né testo né opera: ‘è quel che può essere ricordato e

scambiato dell’esperienza costruita al livello dell’apparenza materiale del testo e dell’opera.

L’immagine è il prodotto dell’immaginare. E con l’immagine si entra…in un mondo virtuale o

semplicemente possibile nel quale l’esperienza diventa cultura e dove, per esempio, ci si scambia la

memoria del nostro operare e testare’255.

Le immagini possono arricchire contenuti e forme dell’interazione sociale, superando i limiti del

linguaggio scritto o parlato. Nel fissare un’immagine, per quanto precaria ed errabonda, si sospende

l’incessante fluidità del mondo, esprimendo il processo del mutamento in altro e il risultato, a volte

sottolineando spunti di invarianza. Su questo potenziale si sono soffermati diversi autori256.

Con il suo atlante Mnemosyne, ‘un vero e proprio dispositivo che inaugura un inconsueto pensiero del

dettaglio’257, A Warburg cercava di ‘portare la parola all’immagine’258. ‘Portare la parola all’immagine

non doveva essere inteso come un dotare le immagini di parole, tramite una qualche ermeneutica, ma al

contrario riconoscere l’intrinseca potenza delle immagini che le parole inseguono, ma non possono

esaurire (per esempio nella pubblicità)’259. Ciò fa emergere quello che G Didi-Huberman chiama

253 ‘L’evoluzione avviene con la massima velocità compatibile con la sopravvivenza…se il cambiamento è troppo lento non

vi è adattamento, se troppo veloce, il rischio è di perdere l’identità’ (ibidem). Poiché la tendenza è guardare al passato e a

coglierne le influenze, è stata sperimentata la ‘freccia del tempo’. La freccia è stata ricreata inserendo parametri di

correlazione fra le palline, evidenziandone la traccia: ‘se l’evento nuovo ristruttura lo spazio circostante, allora gli eventi

successivi porteranno traccia di quel legame’. Come si dice: ’da cosa nasce cosa’. 254 U Galimberti, 2009, Idee: il catalogo è questo, Opere IX, Universale Economica Feltrinelli (VI edizione), Milano, p.

104. Ma ‘se l’assenza è il luogo dell’immagine, il silenzio è il luogo della parola’, ivi. 255 F Scrivano, ‘Entrare nel merito dell’esperienza visuale’, il Manifesto, 18/10/2018, recensione al testo di T Migliore,

2018, I sensi del visibile. Immagine, Testo, Opera, Mimesis. 256 Fra tutti W Benjamin, pioniere degli studi intermediali, M McLuhan, filosofo della cultura dei media, G Didi-Huberman

sul terreno della culturizzazione dell’immagine, ma anche W J T Mitchell con la revisione del termine icon e H Belting di

scienza dell’immagine. Un contributo importante viene anche dalla fotografia, soprattutto quando riesce ad offrire elementi

utili a comprendere il rapporto fra ignoranza (non conoscenza), innocenza e intuito. Secondo J Meyerowitz, il rapporto ‘è

molto ravvicinato. Quando si è innocenti, si deve sviluppare la propria pratica del mezzo. E si usa l’istinto per motivare il

‘fotografare’. L’ignoranza significa non avere il senso della storia. Se l’intuizione porta alla volontà del fare, l’innocenza

indirizza verso il desiderio di imparare’, intervista di M De Leonardis, ‘Le immagini che danzano’, il Manifesto 22/5/2018.

Questa azione genera possibilità soprattutto quando coglie il movimento come forma dell’interazione sociale. Lo può fare il

fotografo professionista, ma anche una persona qualsiasi nel flash della percezione, senza lasciare traccia. 257 E Castelli Gattinara, 2017, La forza dei dettagli. Estetica, filosofia, storia, epistemologia da Warburg a Deleuze,

Mimesis/Epistemologia, Milano/Udine, p. 35. L’atlante ‘è un luogo di passaggio e uno spazio di passaggi…non è neppure

un libro, non solo perché incompiuto, ma perché strutturalmente ed essenzialmente non completabile’, ibidem. 258 Ivi, p. 30. 259 Ibidem.

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‘pensiero per immagini’260 e che ben si accompagna alle ‘pratiche per immagini’ di tipo progettuale,

artistico e artigianale. Questo tipo di pensiero va ‘molto oltre la rappresentazione iconografica di un

contenuto particolare, o la sua illustrazione visiva’261. Come in un’ ‘opera aperta’, gli accostamenti e,

più in generale, il gioco del montaggio generano trame, forme, saperi e modi di pensare di tipo

connettivo: documenti, non monumenti, che riscattano il dettaglio da una improbabile appartenenza. In

J Bosch i dettagli hanno una loro autonomia e la loro ‘proliferazione spinge l’immagine fuori di sé’262.

Analogo spunto connessionista affiora dai Passages di W Benjamin, dove il dettaglio è ‘arresto del

tempo’: non è tempo perduto, consumato o inutilizzato, ma tempo non mercificabile. Qui ‘la città viene

letta nei suoi punti d’incrocio nascosti, nei suoi snodi sorprendenti che solo lo sguardo disincantato del

flaneur riesce a riconoscere (e fino ad un certo punto), oppure quello della critica storica che sa

ritrovare, rovesciata, l’eternità nel dettaglio, l’istanza salvifica nella rovina e nello scarto’.263 Almeno

finché il flaneur non si riduce all’ ‘uomo-sandwich’ nei panni della merce standardizzata.

Nella sua critica delle immagini dialettiche che si trasformano in merci, W Benjamin rileva come ‘fra

dettaglio e insieme (ci sia) un legame che non è risolvibile da una formula specifica (un algoritmo, e

quindi un calcolo) e rappresenta la profondità stratificata della cosa stessa, sia essa definita un’opera

d’arte o meno’264. Va comunque rilevato come nel ‘gioco di scala’ fra macro e micro si crei

l’imbarazzante ‘spazio intermedio’, uno ‘spazio di approssimazione’ in cui si devono usare scale

diverse e in cui non è ammessa una fuorviante inter-scalarità. Il dettaglio consegna, quindi, l’immagine

alla cultura anche se per certuni non sembra così. Si dice: ‘l’immagine non sembra appartenere alla

cultura. O è immagine naturale (visione, cosa visibile, tipo l’occhio o il panorama) o è arte (sguardo e

quadro). Eppure si è sempre dentro le immagini, anche quando non fanno certo arte e neppure ci

provano’265. Il problema è saperle riconoscere e usare e, come ricordava R Arnheim, è fondamentale

l’educazione all’immagine, non per vedere ‘da intenditori’ (vedi valutazione artistica o da expertise),

ma per acquisire autonomia nello sguardo. Per imparare a valutare per immagini o per figure occorre,

quindi, acquisire autonomia nello sguardo e saper riconoscere e/o stimolare quella altrui. Due sono i

passaggi cruciali in proposito. Il primo riguarda gli oggetti della cultura visuale; il secondo come si

possa fare cultura (e valutazione) con qualsiasi tipo di immagine o di sguardo.

‘Gli oggetti della cultura visuale sono sempre immagini imbevute della propria ragion d’essere storica,

fatta tanto di ideologia quanto di sensitività, e che in quanto tali sono indistinguibili dall’esperienza

fisiologica dell’immagine…Quel che conta è comprendere il sistema (anche i sistemi paralleli) entro

cui l’immagine è fruita e acquista significato, e come tale, cioè immagine significativa, riesce a

funzionare e a mediare fra diversi soggetti. Possedere una cultura visuale, in altri termini, è possibile se

ci si convince che lo sguardo (…) non è solo un recettore naturale, ma è anche uno strumento con una

propria memoria culturale, che usa una propria lingua…’266.

260 G Didi-Huberman, 2006, L’immagine insepolta, Bollati Boringhieri, Torino (ed. or. Minuit, Paris, 2002). 261 E Castelli Gattinara, cit., p. 31. 262 Ivi, p. 34. 263 Ivi, p. 38. 264 Ivi, p. 51. 265 F Scrivano, ‘Il mordente dell’immagine’, in Il Manifesto, 27/7/2016, recensione al testo di A Pinotti e A Somaini, 2016,

Cultura visuale. Immagini sguardi media dispositivi, Einaudi, Torino. 266 F Scrivano, cit.

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Che si possa fare cultura con qualsiasi tipo di immagine o sguardo significa che è possibile ‘prescindere

da ogni intenzionalità produttiva e da ogni ragione d’uso delle immagini. In questo modo l’agibilità

degli studi di cultura visuale è molto ampia: non è storia dell’arte ma può includere oggetti d’arte; non

è semiotica ma può occuparsi di comunicazione e di struttura dei dispositivi formali; non è fisiologia né

neurologia ma può inglobare teorie dell’esperienza; non è storia della tecnica ma riesce ad integrarsi

con l’analisi degli usi tecnologici; non è filosofia ma non recede davanti all’ontologia né

all’epistemologia. Gli studi di cultura visuale sono multidisciplinari, usano strumenti di analisi e metodi

di indagine complementari e non omogenei, perché il loro compito è quello di dar conto dei discorsi e

degli usi che si fanno sulle immagini e con le immagini, quello cioè di spiegare o descrivere le pulsioni

emozionali come le tensioni ideologiche’267.

Interessanti spunti per la valutazione possono venire dal cosiddetto ‘potere dell’immagine’, un ‘potere

impersonale che prescinda dall’intenzionalità autoriale e che respinga qualsiasi malinconia romantica e

in genere moderna della possibilità di un rapporto esclusivo e originario col significato di

immagine’268. Operativamente, significa comprendere come i ‘contesti di usabilità delle immagini’ si

relazionino ai ‘valori di fiducia e credibilità’.

Un utilizzo pratico delle figure è proposto in diverse esperienze di pianificazione e gestione del

paesaggio, in particolare dall’ Osservatorio della pianificazione urbanistica e della qualità del

paesaggio della Regione Sardegna. L’Osservatorio269 propone una condivisibile declinazione di ‘figura

paesaggistica’ o ‘territoriale’, tipica della scuola territorialista, basata su due mosse: ‘ragionare per

scenari’ e ‘progettare per sistemi di relazioni’. Il concetto di scenario è operativo e attivato su quattro

‘motivi’ sperimentali: paesaggi fluviali, zone umide, strade e margini localizzati in contesti agrari e

urbani. I motivi potrebbero essere molti di più, ma i quattro considerati offrono spunti metodologici

sufficienti. Per ciascun motivo si riconoscono il sistema relazionale e le dimensioni relazionali

prevalenti, giungendo alla individuazione di un abaco e alla costruzione di una matrice meta-

progettuale per la qualità paesaggistica. La qualità non è riconosciuta da un paesaggio atteso (come

accade in molti strumenti di pianificazione d’area vasta), ma da un paesaggio sperimentale (si potrebbe

dire combinatorio) in cui si provano, appunto, combinazioni di componenti ecologiche, storico-culturali

e socio-economiche in modo controfattuale. Si tratta di una modalità ricorrente nelle pratiche valutative

che, in questo caso, legittima gli scenari di lettura e di progetto rispetto al rischio di perdere il

paesaggio per l’azione di stressor naturali e antropici. La procedura analitica proposta è un dispositivo

di lettura e progetto che alterna la scomposizione alla ricomposizione e conduce al riconoscimento di

affidabili criteri guida per la progettazione paesistica. I principali criteri riconosciuti sono separazione,

unione, connotazione, protezione, inserimento, valorizzazione, ma potrebbero essere molti altri.

L’esercizio trasforma i motivi sperimentali in categorie progettuali e il testo offre interessanti esempi di

‘produzione paesaggistica’ in cui l’identità del luogo non si affida ad un irraggiungibile genius loci, ma

alla capacità del luogo di metabolizzare le ibridazioni generate dalle relazioni. Questa capacità aggiorna

il profilo paesaggistico e tende a spiazzare gli stessi concetti di sostenibilità e resilienza. La matrice

267 Ibidem. 268 Ibidem. 269 Regione Autonoma della Sardegna, 2011, Progettare il paesaggio per sistemi di relazioni, Osservatorio della

pianificazione urbanistica e della qualità del paesaggio, Taphros, Olbia.

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progettuale per la qualità paesaggistica si fonda su tre concetti-chiave (rilevanza, criticità e opportunità)

ed é testata nell’ ambito di paesaggio del golfo di Oristano (Sardegna).

Un argomento valutativo rilevante riguarda la qualità e l’incongruo270. I due temi sono concettualmente

connessi e, proprio perché definiscono una sorta di antinomia, richiedono un coerente approccio

analitico. L’incongruità è riferibile a realizzazioni legittime o illegittime e risulta dalla triangolazione

fra soggetto, opera e contesto interpretato, quest’ultimo, in termini di figura. Il riconoscimento avviene

in due fasi. Nella prima, con due schede di segnalazione su qualità e incongruo compilata on-line nel

portale web della Regione Sardegna, viene effettuata la ricognizione. La prima scheda consente di

riconoscere la qualità di un’opera in termini di esigenze della comunità (locale), di percezione e di

senso di appartenenza, mentre la seconda scheda segnala l’opera incongrua dal punto di vista

percettivo, di contesto e di condizioni d’uso. Con la prima scheda si produce una sorta di ‘comunità di

paesaggio’ che si rafforza con gli ‘scarti’ evidenziati dalla seconda.

Nella seconda fase si propone un sistema di misurazione multicriteriale delle alterazioni con indicatori

di qualità e di incongruità riferiti a principi di landscape ecology (McHarg), di semiologia del

paesaggio (Turri) e di visual design (Lynch). Si tratta di tre domini semantici alla cui interazione viene

chiesto come in un oggetto o in un luogo si possano percepire e misurare le mutevoli relazioni fra

ambiente e storia, fra spazio e tempo. Gli indicatori operano a scala globale e di prossimità e possono

essere influenzati da moltiplicatori, ovvero da fattori che accentuano o ridimensionano il giudizio di

incongruità. Con una funzione lineare di tipo additivo sui tre domini si stima il cosiddetto ‘valore di

incongruità’. Questi valori alimentano un Registro regionale di rilevante valore cognitivo, in quanto

attiva diverse forme di conoscenza. ‘Figura’ e ‘incogruo’ sono due strumenti che aiutano ad uscire dalla

sterile contrapposizione definitoria e che possono ancorare il frequente contenzioso giuridico a

motivazioni più pertinenti. Nella costruzione di figure e nelle analisi di qualità possono essere adottate

‘mappe concettuali’ e dispositivi di city sensing. L’interoperabilità fra fonti è un tema relazionale tipico

che richiede adeguate tecniche di elaborazione.

Nella rappresentazione di sintesi è, in genere, consigliabile abbandonare l’approccio parametrico e la

fiducia nell’aggregazione totale: non importa se si tratti del profilo di una figura o del valore di

incongruità. Questo approccio valutativo indica un percorso che aiuta a riconoscere operativamente i

paesaggi e i loro valori, ma che affida all’ azione sociale la costruzione e l’uso di carte di paesaggio

(charte paysagère e atlas de paysages in Francia271), cataloghi di paesaggio (in Catalogna), mappe di

comunità o piani di interpretazione272. Molto simile è l’esperienza OPS (observation du paysage suisse)

e la historic landscape characterization273.

Su questi temi insistono da tempo alcune scuole di geografi che si occupano della ‘metrica dei

luoghi’274 con particolare riferimento al riconoscimento della creatività, dei fattori e delle condizioni

270 Regione Autonoma della Sardegna, 2013, Qualità del paesaggio e opere incongrue, Osservatorio della pianificazione

urbanistica e della qualità del paesaggio, Taphros, Olbia. 271 Gli atlanti identificano in modalità gerarchica le unità di paesaggio, le strutture paesaggistiche e gli elementi di

paesaggio. Sono interessanti gli esiti del riconoscimento, a volte significativamente diversi a seconda si operi in modalità

top-down (dalle unità agli elementi) o bottom-up (dagli elementi alle unità), vedi S Curioni, 2017, Paesaggi e

trasformazioni. Metodi e strumenti per la valutazione di nuovi modelli organizzativi del territorio, FrancoAngeli, Milano, in

particolare il cap. 2 ‘La valutazione dei processi di trasformazione del paesaggio’ e la scheda valutativa in pp. 92-106. 272 La parte del testo sull’esperienza sarda è tratto dalla mia recensione ‘Spunti per contenere il contenzioso paesaggistico’,

in ASUR. 273 Per un confronto internazionale vedi L Scazzosi (a cura), 2002, Leggere il paesaggio. Confronti internazionali,

Gangemi, Roma. 274 AAG 2017 CfP, ‘Metrics of place: measuring and evaluating place making’, American Association of Geographers

annual conference, 5th to 9th April 2017, Boston.

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che la generano. Potrebbe sembrare un esercizio analitico, ma in realtà contiene interessanti

componenti valutative. Il concetto di creatività rinvia a vitalità e vibrazione, ai modi in cui arti e cultura

mutano la qualità dei luoghi e generano innovazione. Si ricorre a diverse famiglie di indicatori o

indici275 che cercano di evidenziare come vitalità e vibrazione, generando atti ed eventi creativi,

derivino da interazioni dinamiche e instabili, differenti valori culturali, resistenze o interazioni fra

formazioni sociali. Per riconoscere queste evidenze (e visualizzarle in modo appropriato) occorre

spesso un cambio di paradigma negli studi urbani e territoriali, in grado di cogliere le localizzazioni

come un derivato dei flussi e delle reti, contrariamente a quanto finora ipotizzato dalle location theory.

Un approccio del genere richiede una sostanziale correzione di tiro nelle valutazioni di impatto.

La considerazione del paesaggio nelle procedure di valutazione (strategiche e di impatto) presenta

ancor oggi qualche difficoltà. Poco più di trent’anni fa, la Direttiva 337, 1985/CEE separava il

paesaggio dai beni storico-culturali, accettando di fatto la contrapposizione fra landscape ecology e

riconoscimento del patrimonio a valenza storico-artistica. Solo con la Convenzione Europea del

Paesaggio del 2000 e con la Direttiva 97, 2011 CE si è favorita l’integrazione fra i due domini, anche

se con impostazioni diverse nei recepimenti nazionali e, soprattutto, nelle legislazioni regionali

(NUT2). La Direttiva 2014/52/Ue sulla Via (con termine di recepimento entro il 2017) riafferma

l’integrazione fra componenti ambientali, culturali e paesaggistiche, ribadite in diverse esperienze di

pianificazione paesaggistica, di landscape character assessment (Lca in Scozia)276 o di landscape

opportunities for territorial organization. Le Vas di supporto ai processi di pianificazione

generalmente predispongono (anche se non sempre attivano) dispositivi di monitoraggio basati su set di

indicatori relativi alla diversità agropaesistica, alla frammentazione del paesaggio, al consumo di suolo

e all’uso del suolo agro-forestale, alla vitalità del paesaggio rurale e alla sua artificializzazione, alla

densità e configurazione reticolare/areale dei beni storico-culturali277. In alcuni casi si ricorre a

parametri di definizione della qualità paesaggistica come diversità, integrità, qualità visiva, rarità e

degrado. Questi parametri diventano a tutti gli effetti criteri valutativi se dotati di soglie, profili o

orizzonti di riferimento.

Un ulteriore rafforzamento della valutazione paesistica integrata viene dall’utilizzo delle teorie

dell’informazione (vedi, ad esempio, i ‘paesaggi cognitivi’ di A Farina), della percezione (therapeutic

landscape o ‘paesaggi curativi’) o delle teorie relative ai metabolismi (flussi di materia, energia, ecc.).

Valutazione iconografica

La valutazione iconografica si può ispirare a diverse letture epistemologiche. La linguistica strutturale è

una di queste in quanto consente di valutare sia la globalità del messaggio (o della testimonianza) sia i

singoli elementi. Se assimilabili a parole, questi si possono comporre in unità strutturate o frasi

iconiche. Catalogando le unità per fasi stilistiche si costruisce un sistema simile ad un dizionario e un

frasario simile ad un formulario. Sequenziando le frasi si può cogliere il senso del racconto. I significati

possibili possono essere testati (in positivo o negativo), selezionando i diversi valori di un segno,

escludendo i non pertinenti e confermando l’interpretazione278.

275 Vedi, ad esempio, i vitality indices in US e UK, le metriche proposte da Arts Council England e la Vital Signs Evaluative

Matrix. 276 Un utile riferimento è C Tudor, 2014, An approach to land character assessment, Natural England, London. 277 M R Vittadini, ‘Il paesaggio nella Vas’, in M Reho, E Lancerini, F Magni (a cura), 2016, Paesaggi delle acque. Un

percorso formativo, Il Poligrafo, pp. 96-100. 278 Un recente riferimento è L Zaghetto, 2017, La situla Benvenuti di Este. Il poema figurato degli antichi Veneti, Ante

Quem.

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Valutazione come pratica ermeneutica

Molti esercizi valutativi falliscono perché eccessivamente (quando non esclusivamente) preoccupati di

conseguenze279 e logiche processuali, o perché troppo fiduciosi in teorie dell’azione. I difetti del

consequenzialismo sono noti e molteplici. Un’azione viene ridotta alle sue presunte conseguenze sulla

base di ipotesi causali di tipo deterministico o stocastico. L’atteggiamento più spinto in questo senso è

quello della valutazione sperimentale o quasi-sperimentale il cui obiettivo principale è riconoscere se

un input o un’azione sovrastano l’ ‘effetto placebo’. Dei sistemi di valore che informano l’azione

progettuale e la pratica valutativa si riconoscono soltanto quelli coerenti con l’ipotesi causale e alle

conseguenze si tende ad attribuire valori derivati. Ma uno dei difetti maggiori del consequenzialismo è

considerare l’effetto inatteso (di un progetto e della stessa pratica valutativa) come eccezione, non

come esito inevitabile e, quindi, come risorsa280. Le logiche processuali possono essere, a loro volta,

manageriali, democratiche (partecipate) o pluraliste; possono essere ‘chiuse’ o ‘aperte’, più o meno

attente agli ‘spunti di pertinenza’ che i processi propongono. Le teorie, infine, riprendono ipotesi di

causalità in modo esplicito o ancorandole a contesti e meccanismi, come avviene con la valutazione

realista che è, nei fatti, una valutazione theory-driven. Questi fallimenti accompagnano la discussione

sulla plausibilità di approcci neo-positivisti e costruttivisti, e portano a ritenere che la valutazione sia

un’ ‘arte’ piuttosto che un metodo. Diverso è intendere la valutazione come pratica ermeneutica.

Più di ogni altro ‘approccio’, la pratica ermeneutica, già menzionata nella valutazione di quarta

generazione, riconosce la valutazione come ‘processo mentale’ che opera su significati e valori. Essa

parte dall’assunto che i processi mentali non siano comprensibili se il soggetto viene visto come entità

indipendente, autonoma, disconnessa. La mente e la soggettività non vengono intese come proprietà o

caratteri del singolo individuo, ma come fenomeni relazionali che si formano e si evolvono

nell’interazione sociale. Dell’interazione vengono colte struttura e interdipendenza fra soggetti, anziché

i loro attributi. Come ricorda J M R Delgado281, ‘gli altri sono considerati fonti extra-cerebrali della

mente’ e ciò viene rafforzato in un mondo reticolare e digitale. Ogni comportamento viene compreso in

funzione della rete di relazioni in cui è immerso, spostando l’attenzione sui pattern di collegamento tra

gli individui: i processi mentali sono correlati ai processi comunicativi. Per questo si parla di etica della

comunicazione.

Va rilevato che l’ermeneutica si presenta in modi diversi condizionando significativamente la pratica

valutativa. Ad esempio, l’ermeneutica di H S Gadamer vira verso il relativismo, quella di altri autori si

orienta verso il pensiero debole, mentre altri privilegiano l’etica del discorso. K O Apel, assieme a J

Habermas, è uno di questi. Egli cerca nel linguaggio ‘i principi irrinunciabili della razionalità critica e

discorsiva, dotati di una valenza non solo teoretica, ma anche etica…Nello stesso atto del discorrere,

sosteneva, è immanente una pretesa di verità…pur nella consapevolezza che la verità non si possiede

qui e ora, ma è piuttosto da intendersi come un punto limite, al quale potrebbe pervenire…una

comunità ideale della comunicazione’. Cercando nel linguaggio i fondamenti dell’etica, Apel critica il

‘sapere senza fondamenti’ e demistifica, al contempo, la ‘volontà di verità come volontà di potenza’282.

Si discosta, quindi, sia dal relativismo che dal pensiero debole, ma anche da posizioni post-moderniste.

279 In questo caso la valutazione viene ridotta a ‘scienza delle conseguenze’. 280 Vedi, al riguardo, i contributi di A O Hirschman e di J Tendler ripresi recentemente dal Colorni-Hirschman Institute con

il coordinamento di L Meldolesi. 281 J M R Delgado,1969, Physical control of the mind: Toward a psychocivilized society, Harper & Row, New York. 282 Evidenziando i limiti delle democrazie occidentali, K O Apel riconosce in giustizia, co-responsabilità e solidarietà i

principi cardine di una nuova etica planetaria, vedi S Petrucciani, ‘Karl-Otto Apel, il maestro dell’etica del discorso’, Il

Manifesto, 17/5/2017. I due riferimenti principali sono Etica della comunicazione (trad. it. Jaca Book, Milano, 1992) e

Discorso, verità, responsabilità (trad. it. Guerrini, Milano, 1997).

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Per introdurre operativamente questo tipo di valutazione occorre fare riferimento al circolo ermeneutico

e alle forme di inferenza. Il circolo ermeneutico sta alla base della valutazione come pratica

ermeneutica. Si tratta di un’azione continua di riflessione sulla interazione, ma anche di controllo e

correzione delle ipotesi relative a una data proposizione e ai rapporti che essa intrattiene con le istanze

che la generano. Se le ipotesi (Ip) vanno controllate e corrette, i rapporti (Ri) vanno interpretati ed

entrambe le operazioni rientrano in una forma di abduzione. Oltre ad essere vissute, Ip e Ri vengono

lette e descritte per ricavarne congetture. Queste congetture sono inferenze elaborate da chi legge,

descrive e interpreta e variano da persona a persona, e dai rapporti che si sviluppano nella interazione.

Lettura, descrizione e interpretazione sono processi parzialmente soggettivi, connessi all'esperienza

personale: il senso di una parola viene identificato sulla base del repertorio mentale individuale. Ma in

una interazione sociale l’esperienza personale di lettura, descrizione e interpretazione è sempre

influenzata. Per questo l’esperienza è, anche non intenzionalmente, interattiva.

All'inizio della ‘lettura’ il lettore (come soggetto di esperienza interattiva e non soltanto come

valutatore) prova a ipotizzare quale sia il senso generale di Ip e Ri e, procedendo, le congetture possono

essere smentite o confermate. Se confermate, il lettore parte da quelle ipotesi per elaborarne una

successiva; se invece vengono smentite, ne elabora di nuove sulla base delle informazioni che

l’interazione offre. In tal modo la lettura prosegue lungo una catena di inferenze e il ragionamento

logico può assumere i caratteri della abduzione. Ma vediamo quali sono i principali tipi di inferenza e

perché l’abduzione sia rilevante nella valutazione come pratica ermeneutica.

Il pensiero umano crea inferenze in tre modi: con il ragionamento deduttivo, induttivo e abduttivo.

Nella logica formale, l’abduzione è un sillogismo che consente di sviluppare una ipotesi esplicativa. In

questo sillogismo la premessa maggiore è certa, mentre la premessa minore è probabile, per cui anche

la conclusione è solo probabile283. Già Aristotele distingueva l’abduzione dalla induzione e dalla

deduzione, connettendo regola, caso e risultato, ovvero certezza, dubbio e probabilità. Vediamone una

esemplificazione su ciascuna delle tre modalità inferenziali.

Deduzione

Regola Tutti i soggetti di questa classe (ad esempio un quartiere urbano) vivono in condizioni abitative pessime

Caso Questi soggetti appartengono a questa classe

Risultato Questi soggetti vivono in condizioni abitative pessime

Induzione

Caso Questi soggetti appartengono a questa classe

Risultato Questi soggetti vivono in condizioni abitative pessime

Regola Tutti i soggetti appartenenti a questa classe vivono in condizioni abitative pessime

Abduzione

Risultato Questi soggetti vivono in condizioni abitative pessime

Regola Tutti i soggetti appartenenti a questa classe vivono in condizioni abitative pessime

Caso Questi soggetti appartengono a questa classe.

La deduzione genera un risultato, l’induzione una regola e l’abduzione un caso. Nella deduzione la

conclusione (risultato) scaturisce in modo diretto dalle premesse: date la regola e il caso, il risultato

esplicita ciò che è già implicito nelle premesse. L'induzione consente invece di ipotizzare una regola a

partire da un caso e da un risultato: essa si basa sull'assunto che le regolarità osservate in un fenomeno

continueranno a manifestarsi nella stessa forma. A sua volta, l’abduzione ipotizza un caso a partire da

un risultato e da una regola. Vediamo che alcuni soggetti vivono in condizioni abitative pessime

(potrebbe essere un fenomeno scoperto mediante indagine urbana ad hoc) e avendo a disposizione una

283 Enciclopedia Treccani, passim.

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regola in grado di spiegarlo (sappiamo che tutti i soggetti della classe sono in queste condizioni)

possiamo ipotizzare che si dia il caso che questi soggetti vengano da questa classe. Accresciamo così la

nostra conoscenza in quanto sappiamo qualcosa di più sui soggetti: prima sapevamo solo che vivevano

in cattive condizioni abitative, ora possiamo anche supporre che provengano da questa classe. A

differenza della deduzione e della stessa abduzione, l'induzione non è logicamente valida senza

conferme esterne (nell'esempio di cui sopra, basterebbe un solo soggetto in condizioni abitative buone

nella classe a invalidare la regola).

L'abduzione, secondo C S Peirce, è l'unica forma di ragionamento in grado di accrescere il nostro

sapere, permettendo di ipotizzare nuove idee, di indovinare, di prevedere. In realtà tutte e tre le

inferenze permettono un accrescimento della conoscenza, anche se in ordine e misura differente. Va

rilevato che l'abduzione è l’inferenza più soggetta a rischio di errore. L'abduzione, come l'induzione,

non contiene in sé la sua validità logica e deve essere confermata per via empirica. E la conferma può

avvenire solo in termini probabilistici. Si potrà dire di avere svolto un'abduzione corretta se la regola

scelta per spiegare il risultato riceve tali e tante conferme che la probabilità che sia quella giusta

equivalga ad una ragionevole certezza. Inoltre, non dovrebbero esserci altre regole capaci di spiegare

altrettanto bene i fatti osservati284.

A titolo esemplificativo, e per inciso, alcune azioni progettuali possono essere intese come pratica

abduttiva o come sperimentazione cognitiva: ’attraverso la prefigurazione di possibilità alternative

vengono immaginate biforcazioni, alternative plurime, ma anche i possibili effetti di inciampi e

incidenti di percorso, che il progetto anticipa mettendo alla prova insieme lo spazio e l’intenzione

progettuale, i vincoli e le possibilità dei luoghi e dei processi’285. Ciò porta ad una diversa concezione

di azione progettuale come evento.

Con il circolo ermeneutico la lettura, la descrizione e l'interpretazione di Ip e Ri (il ‘testo’) si

arricchiscono continuamente: ogni volta che si incontra una parola nuova, la mente la interpreta e le

attribuisce un dato senso, escludendone automaticamente altri. Durante la lettura nessuna congettura è

definitiva, ma può cambiare in ogni momento. Le ipotesi diventano, quindi, definitive solo alla luce del

‘testo’ e dell’interazione nel loro insieme. Ma le ipotesi non possono mai essere definitive, perché la

lettura, la descrizione e la interpretazione come processo mentale non possono avere mai fine,

nemmeno con il completamento della lettura come atto fisico.

Inoltre una sola lettura del testo può anche non produrre un'interpretazione decisiva. In alcuni casi una

seconda, o anche una terza, lettura possono suggerire nuove e diverse inferenze rispetto a quelle

elaborate inizialmente. Questo avviene perché la mente del lettore ha già conoscenza del testo nel suo

insieme e a questo punto può concentrarsi su aspetti più precisi e nascosti che non erano emersi prima.

Quindi quanto più un testo si caratterizza per connotazione e intertestualità, tanto meno definitiva è la

sua interpretazione.

Nel circolo ermeneutico il valutatore adotta strategie utili per lavorare sull'ambiguità, sulla polisemia,

sulla connotazione e sull'apertura del testo. Se partecipa all’interazione in cui maturano Ip e Ri, il

valutatore dovrebbe essere in grado di intervenire sul ‘testo’ in un determinato momento, perché lo

conosce e, con l’esperienza, può elaborare nella sua mente una interazione-tipo (o interazione-modello)

cercando di prevederne forma, densità, contenuti, ovvero apertura, ambiguità, polisemia. Se non

partecipa all’interazione, e la osserva da fuori, difficilmente potrà coglierne apertura, ambiguità,

polisemia e non potrà che alterare lo spettro semantico creato dalla interazione. Da qui la differenza fra

284 Wikipedia, passim. 285 G Pasqui, 2018, La città, i saperi, le pratiche, Donzelli Editore, Roma, p. 97.

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valutatore interno ed esterno alla interazione286: se esterno, il valutatore è responsabile del suo circolo

ermeneutico, ossia delle sue inferenze interpretative, solo di fronte a sé stesso (non è una responsabilità

procedurale, ma sostantiva); se interno, è invece responsabile delle sue scelte interpretative davanti a

tutti i soggetti, senza inibirne le possibilità interpretative, ma cercando di lasciare aperte quante più

interpretazioni possibili, come l’interazione suggerisce.

Uno degli strumenti operativi a supporto di questo tipo di valutazione è l’intervista ermeneutica287, utile

a svolgere ricerche empiriche sul ‘mondo della vita’, su ciò che i soggetti conoscono meglio288. Si tratta

di uno strumento tipico della ‘sociologia comprendente’ che supera con disinvoltura la bipartizione

‘comprensione/spiegazione’. Questa distinzione rinvia a quella fra ‘scienze della natura’ e ‘scienze

dello spirito’: le prime orientate alla costruzione di leggi utili alla spiegazione di regolarità o evidenze

empiriche; le seconde attente al senso della storia, all’interazione sociale e alle relative connotazioni

culturali. La distinzione si è esaurita negli anni ’60 del secolo scorso con la conclusione del dibattito fra

l’approccio unificato neo-positivista e l’approccio differenziale che riconosceva differenze fra i due tipi

di conoscenza.

L’intervista va predisposta con una operazione preliminare. Il valutatore inizia tematizzando ciò che dà

per scontato e racconta il suo mondo, come parte di una ‘ricerca di sfondo’ finalizzata a cogliere gli

aspetti salienti dell’interazione sociale in cui maturano istanze e proposizioni valutative (linguaggi,

luoghi, conoscenze specifiche, abitudini e comportamenti, culture, ecc.). Per cogliere questi aspetti in

modo efficace e significativo sono decisive le modalità di contatto (l’ingaggio, la presentazione della

propria immagine) e può essere utile identificare, oltre a riferimenti utili, una dimensione diversa da

quella individuale: la famiglia, il gruppo, la comunità, dimensioni intermedie fra micro e macro. E’ un

tentativo di ‘fusione degli orizzonti’289. Prosegue, quindi, con l’intervista che adotta la centralità

286 Non si tratta, ovviamente, di valutazione interna o esterna nell’accezione comune (interna o esterna ad una

organizzazione o ad un progetto), ma di presenza o assenza nell’interazione che genera Ip e Ri. 287 P Montesperelli, 1998, L’intervista ermeneutica, FrancoAngeli, Milano. 288 ‘Più il soggetto è diverso dal (valutatore), più quest’ultimo deve riconoscergli il ruolo di esperto del proprio mondo’, Ivi,

p.71. La parola ‘valutatore’ sostituisce senza evidente problema quella di ‘ricercatore’. L’autore sottolinea opportunamente

la differenza fra ‘intervista per riempire una matrice di dati’ (I-dat) e ‘intervista per esplorare il mondo della vita’ (I-mond).

Nella messa a punto dello strumento di rilevazione I-dat richiede la redazione anticipata delle domande, mentre I-mond si

limita ad una traccia. L’ampiezza del campione è variabile, ma ritenuta statisticamente significativa, nel primo caso, mentre

nel secondo è ridotta. Ragioni pratiche impediscono di effettuare molte interviste ermeneutiche. La ridotta dimensione del

campione può consigliare il ricorso a statistiche non parametriche oltre all’uso di tecniche discorsive. La pressione

sull’intervistato può essere continua e forte in I-mat, mentre è generalmente intermittente e lieve in I-mond. Nel primo caso

vi sono scarse possibilità di superare eventuali resistenze dell’intervistato, mentre nel secondo sono notevoli. Inoltre, in I-

mat il livello di qualificazione richiesto all’intervistatore è discreto, ma non troppo eccessivo soprattutto in termini di

creatività e capacità adattative, mentre in I-mond è strategica la capacità di cogliere gli spunti di pertinenza che affiorano dal

dialogo. Infine, mentre nel primo caso la ‘standardizzazione’ dell’intervista riduce i costi unitari (per intervistato), nel

secondo il costo unitario tende ad aumentare all’aumentare del campione. A ciò contribuiscono anche le trascrizioni, le

decodifiche e l’elaborazione delle informazioni e dei dati raccolti, ivi. p. 74. Le trascrizioni pongono a volte problemi

interpretativi dovuti a diverse ragioni: l’ ‘effetto alone’ può estendere impropriamente rilievi ottenuti da un intervista;

preconcetti possono agire con inerzia; interazioni ‘emotive’ possono favorire processi di identificazione fra intervistatore e

intervistato, e così via. Ma la differenza più significativa fra I-mat e I-mond emerge in modo ancor più evidente se si guarda

alla ricerca come sequenza di fasi. ‘I fautori della grounded theory (…) tendono a superare una successione rigida fra

raccolta, osservazione, codifica, categorizzazione dei dati, elaborazione delle teorie; tutti questi elementi tendono a

procedere di pari passo, a influenzarsi reciprocamente, a retroagire costantemente l’uno sull’altro e quindi a convalidarsi e

ad amplificarsi a vicenda (…)’, ivi, p.110. In questa pratica il ricercatore (nella veste di analista o valutatore) dovrebbe

essere in grado di costruire ipotesi sull’intera sequenza di operazioni, capacità derivante principalmente dall’esperienza. 289 Le interviste di gruppo presentano problemi di vario genere, così come le tecniche snow ball afflitte da forme di auto-

svalutazione, dall’effetto rete e dalla difficoltà di attivare in modo plausibile il criterio di saturazione (concetto diverso dalla

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dell’intervistato come principio regolatore e si presenta con caratteri peculiari: non è direttiva, è

flessibile ed adattabile all’interlocutore e al modo in cui il dialogo procede: ‘per il suo carattere non

strutturato e per la conseguente complessità, richiede l’apporto dell’ermeneutica tanto come sensibilità

(…), quanto come rigore esegetico (…)’290. Un atteggiamento di apertura all’imprevisto rende

l’atteggiamento valutativo ‘veramente empirico’ e l’immaginazione sociologica una possibilità di

cambio di prospettiva, di oscillazione fra osservazione e concettualizzazione. Tutto ciò che

l’intervistato dice e fa è prezioso e va registrato; non vanno trascurati l’espressione, le forme

linguistiche, lo stesso linguaggio non verbale, in uno sforzo molto simile a quello “maieutico”291.

L’intervista non direttiva può alludere ad una successiva fase di interviste non strutturate. D’altro canto,

una rilevazione più strutturata (o focalizzata) può preparare il terreno per una fase non direttiva.

L’oscillazione è frequente nella ‘triangolazione’ e, in generale, quando la ricerca empirica viene intesa

come ‘successione di operazioni per produrre risposte a domande sulla realtà’292. Questa concezione di

ricerca, secondo alcuni autori tipica dell’anti-realismo weberiano293, può influire in modo significativo

sulla valutazione in quanto ripropone ‘la verità come evento e la dialettica dialogica’294. L’approccio

dipende dalla rilevanza o delicatezza degli argomenti trattati, dalla complessità delle ‘storie di vita’,

dallo status degli interlocutori e dai loro mondi di vita.

A conclusione di una indagine o di una valutazione ermeneutica ci si chiede se il materiale raccolto sia

euristicamente produttivo e sottoponibile a controllo pubblico. Possono affiorare problemi di veridicità

o conformità con le narrazioni; di ispezionabilità delle basi empiriche e di arbitrarietà inferenziale

dell’analista o del valutatore295. Poiché l’ermeneutica opera con il sapere tacito, nel mondo della vita

quotidiana e con le credenze più ordinarie può trovarsi di fronte a menzogne consapevoli. Esse

richiedono comunque l’interpretazione per evitare una ‘variante mascherata dell’oggettivismo’296:

‘l’assenza di un’esplicita interpretazione del materiale raccolto rappresenterebbe, più che una

manifestazione di “umiltà ermeneutica”, una forma di opportunismo metodologico che scaricherebbe

sul lettore il compito proprio del ricercatore’297. Va, inoltre, ribadito il ‘criterio della pubblicità’, ovvero

la ‘possibilità pubblica di convenire su un certo argomento’298, tralasciando i ‘miti alimentati dalle

filosofie post-empiriste e dalle sociologie neo-comprendenti’299; evitando sia il ‘feticismo del

metodo’300 sia lo ‘psicologismo romantico’ a cui può condurre il rapporto empatico tipico dell’indagine

ermeneutica. Per queste ragioni è utile riprodurre il percorso che conduce alla scoperta, sottoponendolo

a giudizio di comunità estese, tenendo presente che uno dei vantaggi dell’intervista ermeneutica (e

rappresentatività statistica). Il ricorso al theoretical sampling, interessante dal punto di vista euristico, sembra riproporre il

problema: le teorie possono indicare i gruppi da campionare, lasciando comunque aperta la questione della rappresentatività. 290 Ivi, p. 66. 291 Ivi, p. 72. 292 Ivi, p. 70. 293 L Ricolfi, ‘La ricerca empirica nelle scienze sociali’, Rassegna Italiana di Sociologia, XXXVI, 3, luglio-settembre 1995,

pp. 389-418. 294 P Montesperelli, 1998, cit. p. 70. La dialettica dialogica e le ‘forme del raccontare’ possono modificare l’auto-

comprensione degli interlocutori, porre problemi di identità e generare conflitti. Ciò consente di riesaminare i risultati via

via raccolti e consolidare lo ‘stile ermeneutico’ nella forma di auto-comprensione, revisione delle proprie pre-comprensioni,

messa in discussione di pregiudizi e convinzioni, ivi, p. 78. Se è importante cogliere i possibili nessi fra identità soggettive e

contesti, non lo sono da meno le ragioni che stanno alla base delle difficoltà di comprendere e interpretare. 295 Ivi, pp. 132-158. Gli argomenti vengono trattati come controllo delle interferenze e generalizzabilità dei risultati. 296 Ivi, p. 135. 297 Ibidem. 298 Ivi, p. 136. 299 Ivi, 138. 300 Ivi, p. 139.

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della stessa valutazione) ‘risiede proprio nell’opportunità che essa offre al particolare di segnalare il

suo scarto rispetto al generale’301; nel potenziale di cooperazione e coproduzione e negli sforzi di

applicazione302. Questo potenziale è presente in diversi approcci valutativi, come nella user focused

evaluation di M Patton.

301 Ivi, p. 155. 302 Un rapporto valutativo è un testo che chiede di essere applicato alla realtà dell’interazione sociale che l’ha richiesto. In

Ev presenta una significativa autonomia e quand’anche inneschi un dialogo, i feedback possono essere limitati. In Pv i

feedback possono essere più numerosi e disponibili a diverse forme di controllo non necessariamente esaustive.