CT Finanza I Italia 2020: Finanza e I Agenda Digitale · Finanza Italia 2020: ... rendendo la...

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Banche Assicurazioni Finanza Italia 2020: Finanza e ICT per l’Agenda Digitale Paolo Garonna, Stefano Parisi a cura di

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BancheAssicurazioni Finanza

Italia 2020: Finanza e ICT per l’Agenda Digitale

«Quella che definiamo ormai tutti «Agenda Digitale» è tema talmente centrale perlo sviluppo del Paese che va al di là degli interessi specifici della partnership che ab-biamo avviato tra industria dell’ICT e comparto finanziario. Tutti avremmo e avreb-bero un grande vantaggio se questo Paese fosse molto più «digitale». (…)

Dobbiamo far sì che la Pubblica amministrazione divenga sempre più digitale con unvantaggio straordinario sia in termini di costi, e quindi di efficienza, sia in termini dipenetrazione, rendendo la tecnologia digitale necessaria e indispensabile per tutte lefamiglie e le imprese italiane. (…)

Il secondo ambito di collaborazione che riteniamo fondamentale riguarda lo sviluppodei servizi, sempre in un’ottica pre-competitiva: spingere i modelli di innovazioneall’interno del mondo dei servizi. Più il sistema bancario, finanziario e assicurativospingono nella direzione di offrire servizi ai cittadini e alle imprese sul web, utiliz-zando le tecnologie digitali, come il «mobile», più si allarga la conoscenza e l’attitu-dine del nostro Paese a valersi di questi strumenti. (…)

C’è una terza area importante per la nostra partnership, che riguarda la finanza perl’Agenda Digitale. Essa rappresenta un’altra questione centrale perché l’industriabancaria e finanziaria nazionale può diventare interprete della natura dell’industriaICT nella sua evoluzione verso l’innovazione tecnologica, lo sviluppo, l’internazio-nalizzazione, a partire dalle imprese consolidate fino al venture capital e alle start-up. Se la collaborazione tra i due comparti si realizza appieno, essa può davverodiventare una delle leve principali in grado di generare crescita e sviluppo. (…)Perché l’Agenda Digitale non sia solo un libro di belle intenzioni e pii desideri. Perchéessa sappia approfittare e valorizzare le straordinarie risorse materiali e immaterialidi cui il nostro Paese continua ad essere ricco».

(dalla Introduzione di P. Garonna e S. Parisi)

978-88-449-0977-2

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Italia 2020:Finanza e ICT per

l’Agenda Digitale

Paolo Garonna, Stefano Parisia cura di

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Con il contributo di ABI Lab

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1. INTRODUZIONE

La partnership tra industria finanziaria e industria ICT

per la modernizzazione del Paese 9Paolo Garonna, FeBAF*

Stefano Parisi, CONFINDUSTRIA DIGITALE

2. IL QUADRO ANALITICO E DI POLICY

2.1 Banche e imprese: appuntamento tra le nuvole.Un “cloud di sistema” per rifondare i processifinanziari dell’economia italiana 17

Carlo Alberto Carnevale Maffè, SDA BOCCONI

2.2 La rivoluzione digitale e gli impatti sulle aziende del Finance 37

Giancarlo Capitani, NETCONSULTING

3. CONTRIBUTI

3.1 Le azioni necessarie per promuovere l’innovazione 57Luigi Cannari, BANCA D’ITALIA

3.2 Il contributo del sistema bancario alla digitalizzazione del Paese 65

Pierfrancesco Gaggi, ABI LAB

3.3 Il nuovo stile dell’Information Technology 69Stefano Venturi, HP ITALIA

Sommario

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* Federazione delle Banche, delle Assicurazioni e della Finanza.

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3.4 I presupposti per lo sviluppo di un mercato assicurativo digitale 73

Davide Passero, GENERTEL

3.5 Lo sviluppo dell’Information Technology nella Pubblica Amministrazione 77

Gian Bruno Mazzi, SIA SPA

3.6 Il venture capital e il finanziamento di iniziative tecnologiche 81

Alessandra Bechi, AIFI

3.7 Banche e imprese insieme per la crescita digitale 85Alberto Tripi, ALMAVIVA

3.8 Il ruolo dell’Agenzia per l’Italia Digitale: l’esperienza dei Fondi High Tech 87

Mario Dal Co, AGENZIA PER L’ITALIA DIGITALE

- PRESIDENZA DEL CONSIGLIO

4. IL PUNTO DI VISTA DI

4.1 L’industria bancaria 93Giovanni Sabatini, ABI

4.2 L’industria assicurativa 97Aldo Minucci, ANIA

4.3 L’industria del risparmio gestito 105Manuela Mazzoleni, ASSOGESTIONI

5. Quale Road Map?

La testimonianza di Giovanni Pirovano 113VICEPRESIDENTE ABI

Lista degli autori 119

Lista delle pubblicazioni FeBAF più recenti 123

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Italia 2020: Finanza e ICT per l’Agenda Digitale

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1. INTRODUZIONE

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Quella che definiamo ormai tutti “Agenda Digitale” è te-ma talmente centrale per lo sviluppo del Paese che va al di làdegli interessi specifici della partnership che abbiamo avviatotra industria dell’ICT e comparto finanziario. Tutti avremmo eavrebbero un grande vantaggio se questo Paese fosse moltopiù “digitale”. Vale anche qui quello che Henry Ford afferma-va in generale: c’è vero progresso solo quando i vantaggi diuna nuova tecnologia diventano per tutti. E siccome sia il set-tore dell’ICT – per definizione – che quello delle banche, delleassicurazioni e della finanza – per scelta oltre che necessità –sono dei top investors, i benefici impressi dal loro impegnosono tali se a coglierli sono la maggior quantità possibile deirispettivi clienti e stakeholder, che poi in buona parte coinci-dono.

Ciò è vero per le imprese della finanza, riunite sotto l’egi-da di FeBAF: per il ruolo che svolgono nella struttura del-l’economia dei servizi con le loro reti – la rete di finanzia-menti, la rete di pagamenti – queste imprese sono una infra-struttura fondamentale del sistema Paese. Il tema della digi-talizzazione della finanza assume quindi una rilevanza strate-gica poiché può e deve irradiarsi al resto dell’economia.

Ciò è vero per le imprese rappresentate da ConfindustriaDigitale, che fin dalla sua nascita ha lavorato per un’Italia più

La partnership tra industriafinanziaria e industria ICT

per la modernizzazione del Paese

Paolo Garonna, FeBAFStefano Parisi, CONFINDUSTRIA DIGITALE

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moderna, chiedendo e ottenendo che nell’agenda politica delPaese vi fosse posto, tra le priorità, per un’Agenda Digitale eper un’Agenzia con compiti e obiettivi specifici.

La partnership tra i nostri settori guarda quindi non soloai rispettivi interessi, ma anche e soprattutto agli interessi ge-nerali del Paese, e quindi alle istituzioni e alle politiche che lipresidiano e li promuovono.

Il settore pubblico è infatti protagonista, oltre che stake-holder di riferimento dei nostri settori, di ogni iniziativa tesaa modernizzare il Paese per adeguarlo a standard pienamen-te europei.

Dobbiamo far sì che la Pubblica Amministrazione divengasempre più digitale con un vantaggio straordinario sia in ter-mini di costi, e quindi di efficienza, sia in termini di penetra-zione, rendendo la tecnologia digitale necessaria e indispen-sabile per tutte le famiglie e le imprese italiane. Allo stessotempo è necessario che non sia solo la PA a realizzare questoprogresso, ma è fondamentale la creazione di un circolo vir-tuoso che, partendo dalla PA, non si esaurisca in essa: tutti glialtri pezzi dell’industria e dei servizi, della produzione e delconsumo, del risparmio e dell’investimento devono esserecoinvolti e andare nella stessa direzione. Nella misura in cuiesistono più servizi e più domanda di internet e di web, piùabitudine delle persone a usare l’e-commerce e l’e-web per in-terfacciarsi con i servizi pubblici e privati, più vantaggi ci sa-ranno per tutti. Confindustria Digitale e FeBAF intendonopertanto costituire un’alleanza aperta che lavori in questa di-rezione per essere partner importante nella spinta che pun-tiamo a imprimere alla PA. Attenzione: si tratta di una spintache non è di natura meramente normativa ma che ha la naturadi una collaborazione industriale, dovremmo cioè aiutare laPA a prendere decisioni che proseguano su questo tracciato.

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Come in generale nel settore pubblico, c’è un problema diqualità della spesa: oggi la PA spende oltre 5 miliardi di euroall’anno solo nell’acquisto di beni e servizi IT – che non è po-co –, ma spende male. Ogni regione, ogni comune ha il pro-prio sistema informatico, non c’è integrazione tra i sistemi equindi non c’è interoperabilità. Le PA fanno a gara tra loro eistituiscono anche dei premi per chi ha il sistema più accatti-vante, ma poi – per fare un esempio – il fascicolo sanitarioelettronico di una regione non può essere letto in un’altra percui quel fascicolo diventa spesso inutile. Potremmo citare icasi dell’istruzione e del sistema anagrafico. Il problema è chedeve ancora svilupparsi la cultura dei processi di informatiz-zazione end-to-end, cioè non i piccoli interventi di migliora-mento incrementale ma i processi di re-ingegnerizzazione ditutto un sistema – con importantissimi risvolti anche dal pun-to di vista strettamente operativo in termini di costi dellestrutture, di spazio, di ore lavoro/uomo –. Questa evoluzionestrategica della PA verso il digitale deve essere incoraggiatadalle imprese in una logica pre-competitiva. L’Agenzia perl’Italia Digitale sta lavorando in questa direzione, e l’atten-zione che il Governo sta riservando al tema pare vada nellagiusta direzione. Oggi la questione di fondo è riuscire a defi-nire uno strato di servizi comune a tutte le amministrazioni,interoperabile per tutte le amministrazioni, in modo che ci siaunicità e univocità per cittadini e imprese rispetto alla PA. Suquesto strato comune le amministrazioni sono quindi chia-mate a sviluppare verticalmente tutti i servizi e le varianti chesono specifiche alle loro esigenze; possono anche “compete-re” per chi realizza l’iniziativa più moderna, ma nell’ambitodi un sistema che parla una lingua sola, altrimenti si sprecanorisorse e non si ottiene alcun risultato. ICT, banche, assicura-zioni, il mondo della finanza – che hanno già fatto molto in

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questo senso, anche con recenti accordi – possono sostenerela PA a ragionare in questi termini.

Possiamo fare di più.Oggi serve l’aiuto di tutti perché la PA acceleri la transizio-

ne, uscendo dal “Medioevo” per entrare in una fase modernain cui possa operare in modo efficiente consentendo di libe-rare risorse anche per abbattere l’imposizione fiscale. Occor-re individuare quali possono essere le funzioni, che sono giàdigitalizzate all’interno del sistema bancario, finanziario e as-sicurativo, che possono essere utilizzate anche per il sistemapubblico. Pensiamo ai sistemi di pagamento digitali o ai siste-mi d’identità di firma elettronica che possono essere condivi-si dalla PA a partire da quelli già esistenti nel sistema finan-ziario, uno dei più avanzati dal punto di vista della sicurezza,della protezione dei dati e della riservatezza.

Il secondo ambito di collaborazione che riteniamo fonda-mentale riguarda lo sviluppo dei servizi, sempre in un’otticapre-competitiva: spingere i modelli di innovazione all’internodel mondo dei servizi. Più il sistema bancario, finanziario eassicurativo spingono nella direzione di offrire servizi ai cit-tadini e alle imprese sul web, utilizzando le tecnologie digita-li, come il mobile, più si allarga la conoscenza e l’attitudinedel nostro Paese a valersi di questi strumenti. L’abitudineall’utilizzo dei servizi digitali è molto indietro per i servizipubblici e presenta margini di miglioramento anche rispettoal web banking e ai servizi assicurativi on-line. Questo ali-menterebbe un circolo virtuoso che interessa tutti e aprireb-be un nuovo mercato digitale nel quale si possono ottimizza-re i costi, aumentare le possibilità di contatto verso la cliente-la, migliorare la qualità del servizio e rendere più trasparentetutto il sistema.

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C’è una terza area importante per la nostra partnership,che riguarda la finanza per l’Agenda Digitale. Essa rappre-senta un’altra questione centrale perché l’industria bancariae finanziaria nazionale può diventare interprete della naturadell’industria ICT nella sua evoluzione verso l’innovazionetecnologica, lo sviluppo, l’internazionalizzazione, a partiredalle imprese consolidate fino al venture capital e alle start-up. Se la collaborazione tra i due comparti si realizza appie-no, essa può davvero diventare una delle leve principali ingrado di generare crescita e sviluppo. Oggi molta innovazio-ne si fa all’interno delle imprese consolidate, ma molta inno-vazione si fa anche al di fuori, nelle start-up, nei politecnici, inquelle realtà vivaci di cui il nostro Paese, che vanta grande di-namismo nella nascita delle imprese, è ricco.

Con questa partnership tra industria digitale e industriadel risparmio, intendiamo fare “sistema” e, anche se in Italiaquesto è sempre un’impresa, dobbiamo esserne in grado. Ri-teniamo che l’Agenda Digitale sia così centrale che la sua de-clinazione e attuazione vadano “avocate” al massimo livellogovernativo, per evitare frammentazioni, sovrapposizioni dicompetenze e iniziative. Non è un caso che dopo la pubblica-zione del decreto “Crescita-bis”, per larga parte dedicatoall’Agenda Digitale, si è rivelato più difficoltoso del previstoemanare i decreti e i regolamenti attuativi. Solo dal lato dellenorme sulle start-up il bilancio delle realizzazioni può essereconsiderato finora discreto. Ma la gran parte dei provvedi-menti risulta ancora incagliata nella burocrazia. Sembra nelfrattempo essersi persa anche la visione d’insieme, la consa-pevolezza che la rivoluzione digitale deve avere una strategiachiara e univoca. Per questo concordiamo con il Governo sulfatto che la digitalizzazione del Paese debba essere presa incarico direttamente da Palazzo Chigi.

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Questo è lo spirito con cui FeBAF e Confindustria Digita-le hanno avviato un percorso comune. La partnership tra rap-presentanze di imprese è nel Dna delle due organizzazioni,alla costante ricerca di individuare nuove opportunità di svi-luppo non solo per le loro associate, ma per il Paese e i suoicittadini. È per questo che, anche con questo volume, inten-diamo sviluppare insieme idee e valutazioni che possano co-stituire una utile base di confronto con le istituzioni e i policymakers per verificare come su questi temi si possano fare pas-si avanti consistenti, anche con proposte concrete e condiviseda presentare ai tavoli istituzionali. Questo è il nostro obiet-tivo, molto pratico, molto pragmatico. Perché l’Agenda Digi-tale non sia solo un libro di belle intenzioni e pii desideri. Per-ché essa sappia approfittare e valorizzare le straordinarie ri-sorse materiali e immateriali di cui il nostro Paese continua aessere ricco.

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2. IL QUADRO ANALITICOE DI POLICY

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La vera innovazione non rende digitali i vecchi processi.Li rende inutili. L’Agenda Digitale non serve per rendere itradizionali processi finanziari di scambio documentale piùefficienti. Serve a renderli inutili. Inutili perché superati daun nuovo modello di scambi informativi tra banche e impre-se, e non semplicemente tramite la sostituzione di un formu-lario cartaceo con la sua versione elettronica. Altrimentil’Agenda Digitale si riduce a essere una versione Pdf dei vec-chi moduli da compilare. E il corporate banking di nuova ge-nerazione, invece di diventare piattaforma di relazioni infor-mative per la gestione del rischio, si arena sugli scogli dellesolite transazioni informative e dispositive che, per quantosiano divenute digitali, rimangono pur sempre asimmetrichee inefficienti.

L’Agenda Digitale non deve puntare a smaterializzare lacarta, ma a far materializzare nuovi processi organizzativi efinanziari più coerenti con l’attuale contesto economico.

Obiettivo dell’Agenda Digitale deve essere la costruzionedi un moderno “cloud di sistema”, che diventi istituzione eco-nomica, non solo infrastruttura tecnologica. In questo contri-buto si ipotizzerà quindi che, in logica supplente alla carenzadi progettualità pubblica, debbano essere banche e imprese amuoversi autonomamente, nel loro stesso interesse, per do-

2.1 Banche e imprese: appuntamentotra le nuvole. Un “cloud di sistema”

per rifondare i processi finanziaridell’economia italiana

Carlo Alberto Carnevale Maffè, SDA BOCCONI

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tarsi di un’Agenda Digitale dell’economia nazionale, che sialaboratorio di innovazione organizzativa, crocevia di scambiinformativi, piattaforma di relazioni di business. Puntare allacreazione di un “cloud di sistema” per gli scambi informativitra banche e imprese, quindi, è rifondare le basi per una nuo-va Unità Economica d’Italia.

Anche il pubblico dovrà fare la sua parte per l’Agenda Di-gitale, ma in logica di servizio all’economia, e non di mera tra-sformazione in modalità elettronica degli attuali processi del-la Pubblica Amministrazione, come invece sembra voler pro-spettare l’approccio finora emerso dai documenti del Gover-no.

La cosa più importante da chiedere allo Stato, oggi, non ènel merito degli interventi previsti, ma nel fatto che per la pri-ma volta s’includano negli impegni di Governo e Parlamentol’aggiornamento annuale dell’Agenda Digitale e il suo alli-neamento con le politiche europee. Questo perché l’AgendaDigitale non è una concessione alla moda tecnologica del

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momento, ma un impegno permanente nei processi di gover-no della cosa pubblica e una condizione essenziale di funzio-namento dell’economia.

La prima versione governativa dell’Agenda Digitale si èconfigurata come una specie di “versione scannerizzata” dimolte attività cartacee e analogiche della PA. Non ne cambiail flusso e la logica, e quindi non sfrutta il potenziale di effi-cienza introdotto dall’ICT. L’assunto dal quale si è mosso fi-nora il Governo è che il digitale è un nuovo “formato”, nonun nuovo modello di processi. Quindi si limita a prescrivereuna (addizionale) versione digitale delle stesse attività analo-giche già oggi previste. Ancor più gravemente, non è statotuttora previsto un chiaro principio di sostituzione, unoswitch-off come quello imposto con la transizione dalla Tvanalogica al DTT. Il digitale invece non solo deve essere il de-fault, ovvero l’opzione base, di ogni attività della pubblicaamministrazione, ma in molti casi può essere anche l’unicaopzione prevista come standard, lasciando a specifico titolooneroso il tradizionale processo analogico. Serve lo switch-offverso nuovi modelli di servizio, non vecchi moduli in formatoelettronico. Sono i processi analogici, e i loro strenui difenso-ri, ad avere l’onere della prova. Chi non usa Internet emette“CO2 organizzativo”, generando esternalità negative, e quin-di avvelena tutta l’economia con la propria inefficienza. Pe-raltro il principio “digital by default” è già recepito da moltebest practices internazionali, oltre che citato in ordini delgiorno approvati in modo bipartisan nelle competenti Com-missioni Parlamentari. È auspicabile che nelle prossime ver-sioni dell’Agenda Digitale esso non venga più ignorato.

In un’Agenda Digitale che viene redatta per la prima voltanel momento più acuto della crisi fiscale dello Stato, servel’esposizione di un semplice principio: l’ICT è la più importante

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leva, potenzialmente a costo zero, oggi disponibile a un Gover-no per l’aumento della produttività del lavoro e del capitale,siano essi pubblici o privati. L’adozione – se necessario forzosa– di processi digitali sostitutivi di quelli analogici è la maggiore“esternalità positiva” che possa essere oggi creata dalle leggi.E non richiede necessariamente investimenti pubblici, ma solouna lucida consapevolezza del potere immenso della regola-mentazione nel garantire il raggiungimento di masse critiche didomanda e/o l’adozione di criteri di standardizzazione e inte-roperabilità, tali da attirare investimenti privati.

Lo Stato deve creare le condizioni sul lato della domanda,rendendo contendibili e sostituibili tramite nuovi processi di-gitali centinaia di miliardi/anno di spesa pubblica: per la scuo-la, per il welfare e per i trasferimenti, per la sanità e per il la-voro. Solo così si faranno rapidamente avanti le imprese, sia-no esse start-up o grandi aziende internazionali, nel fare in-

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vestimenti e portare innovazione. E con esse lavoro e crescitasostenibile, non drogata da nuovo debito pubblico.

L’Agenzia per l’Italia Digitale ha il compito di aumentarein modo misurabile la produttività totale dei fattori utilizzatinella spesa pubblica, ridisegnando i relativi processi e se op-portuno sostituendo le risorse impiegate, ivi inclusi tutti i li-velli di personale. Il tema della “produttività totale dei fatto-ri”, tuttavia, non sembra sia mai stato considerato centraledal Governo nelle sue scelte sulle politiche ICT. L’odiernapriorità di un’Agenda Digitale, invece, è proprio sostituire la-vori poco efficienti con processi innovativi ad alta produttivi-tà. Senza questa logica, l’Agenda Digitale rischia di essereuna lista di costi aggiuntivi, senza generare costi cessanti si-gnificativi. E questo vale anche per strutture e personale at-tualmente allocato. Con l’avvento del digitale, quindi, unagran parte della Pubblica Amministrazione non va resa piùefficiente. Va di fatto sostituita e liberata per lo svolgimentodi altri compiti, rimpiazzandola con processi digitali standar-dizzati. È questa la vera, strutturale “spending review” che unGoverno responsabile deve impegnarsi a fare. Il vero proble-ma di oggi non è razionalizzare i 5 miliardi di spesa pubblicain Ict, bensì ripensare in modalità digitale tutti i 1.600 miliardidi Pil che gli attori della filiera finanziaria sono comunquechiamati a intermediare di necessità. Quello è il vero target dimercato del “cloud di sistema”.

Tra i cirri del credit crunch e i cumulonembi della reces-sione e delle sofferenze bancarie, la nuvola di tecnologia chesi configura all’orizzonte è gravida di novità per imprese eistituzioni finanziarie. Le banche devono portare i processi discambio informativo con le imprese sul cloud di sistema. Lebanche, da un lato, e le aziende, dall’altro, guardano tuttora leinnegabili opportunità delle tecnologie cloud con un certo

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scetticismo, per il timore di vedersi sottratto il controllo deipropri dati o di non poter più disporre di un interlocutore in-terno con la diretta responsabilità dei servizi ICT. Si sbaglia-no. Il cloud è il modo più sicuro e flessibile per gestire gliscambi informativi nei rapporti tra banche e imprese. Non so-lo fa risparmiare, ma contribuisce a crescere. Una volta ac-compagnate sul cloud dalle proprie banche, inoltre, le PMI viritroveranno anche le grandi imprese e la PA – colmando iltradizionale gap infrastrutturale – con applicazioni e infor-mazioni alle quali oggi non hanno accesso.

L’obiezione, da parte dei conservatori dello status quo, èscontata: le banche non sono nel business della tecnologia,perché mai dovrebbero offrire servizi cloud alle imprese?Questa critica si basa su due errori logici. In questa prospet-tiva sistemica, il cloud non va visto nella sua accezione di ar-chitettura tecnologica, ma un modello istituzionale di scambiinformativi. E il business della banca non è aspettare le im-prese agli sportelli, ma integrarsi nei loro processi per gestirei flussi informativi e quelli finanziari.

Quindi il “cloud di sistema” che le banche devono propor-re alle imprese non è un’offerta speciale per rottamare i vec-chi server. La nuvola non è un hosting del disordine applica-tivo, un monte dei pegni della bigiotteria informatica. Il“cloud di sistema” è un hub di processi economici e finanziariinteroperabili.

Le piattaforme cloud pubbliche di accesso autenticato –Google, Amazon, Facebook, Dropbox, Twitter, ecc. – sono unesempio di come la nuvola consenta già oggi sul mercato con-sumer l’interoperabilità tra processi e l’ottenimento di grandieffetti di esternalità positiva.

Per prima cosa sgombriamo il campo dalle diffuse ma in-fondate obiezioni sulla sicurezza dei dati. Il cloud è il modo

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più affidabile e sicuro per conservare e rendere disponibili inogni momento dati e applicazioni cruciali per le imprese. Lestatistiche parlano chiaro: il livello di ridondanza architettu-rale e di disponibilità reale che offrono i servizi cloud profes-sionali sono nettamente superiori a quelli accessibili a unapiccola e media impresa che tiene tutto sul proprio servernello scantinato. Basti una semplice metafora: le banche sononate come il “cloud dei soldi”. Nessuna azienda pensa che siapiù razionale tenerli nella propria cassaforte e rischiare scassie furti, invece di depositarli nei forzieri di un istituto di credi-to. Anche i dati sul cloud, come i soldi in banca, acquisisconoliquidità e valore. Vengono messi in circolo, e quindi produ-cono un effetto leva: esattamente come il denaro.

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Ma l’infrastruttura che serve per far migrare le piccole emedie imprese sul cloud richiede uno sforzo congiunto deglioperatori, della Pubblica Amministrazione e di tutto il Siste-ma Paese. In altre parole: c’è banda e banda. Un conto è la

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banda larga per le famiglie e un altro quella per le imprese.La banda che serve per il cloud professionale deve essere nonsolo larga, ma stabile, garantita, disponibile e sicura. Il clouda cosiddetto best effort, che non garantisce alcun livello diservizio, va bene al più per le applicazioni consumer. Alle im-prese serve un cloud garantito end-to-end che connetta affi-dabilmente i luoghi di lavoro ai data center.

I servizi cloud non sono solo un vantaggio economico perla singola impresa o istituzione pubblica, ma consentono diunire tra loro aziende, banche e PA, di collegare processi oraframmentati e incompatibili, di scambiare sia dati riservati intotale confidenzialità e sicurezza, sia – laddove appropriato –di scambiarsi dati aperti (i cosiddetti “Open Data”), in lineacon le direttive europee. Sulla nuvola tecnologica dei servizicloud, l’Italia dell’innovazione si può ritrovare più unita, sen-za tuttavia doversi uniformare a un unico modello, anzi con-servando tutte le sue specificità, ma guadagnando in imme-diatezza e interoperabilità. Con il cloud di sistema, imprese,banche e PA avrebbero accesso ai migliori servizi disponibilial mondo – ma alla giusta dimensione e con un modello di co-sti variabili per garantire la massima flessibilità d’uso.

Proviamo a capire quali ipotesi di lavoro possiamo fareper un cloud di sistema. Abbiamo visto che l’Agenda Digita-le, osservata dal mondo degli intermediari finanziari e delleimprese, deve essere intesa come un’istituzione economica enon solo come un’infrastruttura ingegneristica. Essa è un mo-do diverso di continuare la politica – cioè tenere insieme unaNazione – con nuove forme di “leggi” (gli standard) e in nuo-ve sedi (le “piattaforme tecnologiche”). Non solo mera ge-stione elettronica documentale ma, al contrario, laboratoriodi innovazione, crocevia di scambi informativi, piattaforma digestione del rischio.

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Essendo l’Agenda Digitale atto fondativo di un nuovomodello di convivenza economica tra banche e imprese, essaha valenza di codice di autoregolamentazione, di norma au-tonoma di comportamento collettivo. Qui banche e impresedevono operare in logica di sussidiarietà, in supplenza istitu-zionale: devono essere “domanda di legislazione” in modotale da poter poi diventare “offerta di servizi” al Paese. Per-ché a banche e imprese dunque serve un cloud di sistema?Perché un cloud di sistema è per i processi informativi quelloche è una banca centrale per i processi monetari – in un Pae-se che funziona bene. È quindi prestatore di ultima istanzadelle risorse computazionali, tecnologiche ed elaborative, ga-rantisce la liquidità e i processi, la circolarità regolamentatadei dati. È infine garante della comparabilità – e quindi dellamisurabilità – del concetto stesso di rischio. Quindi che cos’èun cloud di sistema? È il progetto di un hub, di un punto diincontro di processi economici interoperabili e certificati per-ché ha come base lo strato di garanzie e di proceduralizzazio-ne della Pubblica Amministrazione, e come strati applicativile piattaforme di scambio informativo tra banche e imprese.In questo senso è importante pensare all’Agenda Digitaleper l’intera economia, industriale e finanziaria, del Paese enon solo per la PA. Una PA modernizzata e digitale è invecemezzo essenziale per garantire al Paese condizioni operativepiù efficienti.

Si pensi all’adozione dei sistemi ERP (Enterprise ResourcePlanning) nelle aziende, avvenuto a partire da alcuni anni fa.Questi sistemi hanno progressivamente sostituito lavoro distaff semiqualificato con processi digitali, garantendo traspa-renza, efficienza e tempestività. Occorre applicare questostesso logico principio per lo switch-off dei servizi analogicitra banca e impresa. Il cloud di sistema è l’integrazione digi-

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tale dell’ERP e del corporate banking, su piattaforma cloud.Su di essa le banche possono offrire ospitalità sicura e garan-tita agli ERP aziendali, in cambio di piena trasparenza reci-proca sui processi informativi.

Nei processi bancari italiani abbiamo assistito a un veroparadosso economico: per trent’anni l’analogico è stato sussi-diato dal digitale. La moneta elettronica ha finora sussidiatoil contante, perché le commissioni totali applicate alle transa-zioni in cash sono inferiori a quelle applicate alle carte di cre-dito, pur essendo la gestione del cash, elemento che generauna quantità decisamente superiore di costi diretti e indiretti.Nelle banche il corporate banking digitale, fino a qualche an-no fa, sussidiava gli sportelli perché si pagava on top rispettoal servizio tradizionale. Anche lo Stato è solito finanziare ilvecchio prelevando dal nuovo. Basti pensare che nella logicaperversa dei sussidi all’editoria, l’Iva per un libro digitale è al22% mentre per quello cartaceo è al 4%. Questa logica va

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abbandonata se non addirittura invertita, perché semmai è ildigitale a dover essere sussidiato dall’analogico.

Uno degli altri paradossi correnti è l’obiezione che per latransizione al digitale sia indispensabile definire nuovi stan-dard e che questo quindi richieda molto tempo, molto lavoroe molti soldi. È la classica obiezione del burocrate-Bertoldo,che pretende di scegliere l’albero dove venire impiccato e na-turalmente non ne trova mai uno davvero adatto. Il principiologico che possono adottare banche e imprese in sede di sus-sidiarietà normativa è invece fare come i chierici nel medioe-vo: se mancava il pesce in un giorno di “magro”, prendevanouna fetta di carne e la ribattezzavano con la famosa formula“Ego te baptizo piscem”. Il concetto è semplice: “Use whatyou have”, ovvero meglio prendere gli standard de facto e no-minarli standard de iure. Va quindi utilizzata la logica di ado-zione e non di progettazione, quindi gli standard non diven-tano tali by design ma by adoption. Non occorre reinventareun modo diverso per qualcosa che già esiste.

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Facciamo un esempio. Sembra che l’Agenda Digitale ab-bia fatto il grande sforzo di promuovere la Posta ElettronicaCertificata. È una battaglia di retroguardia. La PEC non è chel’evoluzione del fax con mezzi tecnologici. Sotto quel cappel-lo passa di tutto: si scannerizzano i documenti cartacei in at-tachment, li si chiama PEC e si scaricano sul destinatario tuttii problemi di archiviazione, stampa, tracciabilità, unicità e ag-giornamento delle versioni. Non è così che deve avvenire unmoderno processo di document management nel mondo delcloud dove basta un’unica istanza dei record e tanti link chevi fanno riferimento in modo univoco piuttosto che una mes-saggistica che va e che viene, scimmiottando la vecchia “rac-comandata postale”. Tra l’altro la logica dello scambio dimessaggistica documentale, che è quella della PEC, è ineffi-ciente anche dal punto di vista tecnologico poiché richiede uneccesso di banda mentre far girare un link, un puntatore o undato sul cloud è più semplice perché serve molta meno capa-cità trasmissiva e di storage.

L’obiezione generale è che comunque manchino le risorseper finanziare i necessari investimenti. Ma è un’obiezionemiope. Una delle cose che banche e imprese devono chiedereallo Stato è di usare la Legge, al posto della Moneta. È fru-strante chiedere investimenti in queste condizioni di vincolidi bilancio; è quindi necessario sollecitare lo Stato affinchéusi il più grande strumento che possiede: la Legge, appunto,ovvero il “monopolio naturale locale della coercizione legit-tima” – come scriveva Max Weber. Lo Stato deve usare laLegge perché così si crea la domanda “forzosa” necessariaper far decollare un sostenibile mercato dell’ICT di sistema inItalia. Lo ha già fatto, in tempi passati, con l’adozione dei re-gistratori di cassa ai tempi di Bruno Visentini – Ministro delleFinanze e presidente della Olivetti. Lo ha fatto con la transi-

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zione della Tv al digitale terrestre per liberare le frequenzeper la telefonia mobile di nuova generazione. Ancora, lo hafatto con i protocolli per i pagamenti all’Erario o con l’iscri-zione obbligatoria via web alle scuole.

Il principio è che lo Stato non sempre deve metterci i sol-di, ma può invece sempre usare la leva della legge per farscattare il meccanismo di adozione di una massa critica di uti-lizzatori – sia lato domanda sia lato offerta.

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Banche e imprese non devono quindi andare alla ricerca difondi pubblici, bensì di un quadro normativo che favorisca oin certi casi “forzi” in modo chiaro, trasparente e non distor-sivo, l’adozione di standard digitali by default, ponendo costidifferenziali e onere della prova a chi pretende di utilizzare ivecchi processi analogici, che verrebbero così disincentivati.

Banche e imprese devono quindi farsi “domanda politi-

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ca”, proponendosi in modo trasparente di voler da un latocollaborare tra loro nella definizione degli standard e dall’al-tro competere sui servizi, senza far proliferare i protocolli e iformati praeter necessitatem come avrebbe detto Guglielmoda Ockham.

In Italia abbiamo aree di assoluta eccellenza: ad esempio,una delle più grandi infrastrutture europee di transazioni di-gitali finanziarie sicure, a livello di operator grade, ovveroSIA. Uno dei più grandi database di informazioni aziendalianalitiche in Europa: InfoCamere; una delle più grandi basedi dati sul lavoro: INPS. L’Agenzia delle Entrate in Italia è inrealtà una delle più digitalizzate d’Europa e ha al suo internocompetenze eccellenti. ABI, dal canto suo, ha un’importantestoria di coordinamento di standard di sistema, che ci invidia-no in mezza Europa e dei quali bisogna avere il coraggio diriprendere il filo.

Il cloud di sistema è quindi un’occasione per ripensare, dalpunto di vista di banche e imprese, il modello dei processi sulmercato del credito.

I criteri standard europei sono troppo rigidi e complessiper essere applicati con efficienza ed efficacia alla galassiadelle piccole e medie imprese italiane. Bisogna comprenderecosa serve a questo Paese che ha una miriade di aziende pic-cole e medie che sono la spina dorsale della competitività mala cui valutazione del merito di credito costa troppo per esse-re fatta con i criteri della grande impresa. Un contesto di si-stematico multiaffidamento bancario, poi, moltiplica ulterior-mente la complessità perché una singola banca non può giu-stificare un’adeguata e approfondita analisi di bilancio dellasingola impresa in base al solo volume d’affari a essa associa-to. Occorre quindi ripensare gli scambi informativi tra impre-se e intermediari finanziari.

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Un hub dei processi di credito non è strumento per la di-gitalizzazione “locale” di un vecchio documento di bilancio,ma per la reingegnerizzazione “centralizzata” del sottostanteprocesso di valutazione del rischio. L’Agenda Digitale dellafinanza italiana deve quindi partire da un ripensamento radi-cale del ruolo degli scambi informativi tra impresa e banca.Lo strumento del bilancio d’esercizio, inteso come documen-to conchiuso di rappresentazione dei risultati aziendali, va so-stituito con un modello basato sulla condivisione di flussi in-formativi in tempo reale, sul cloud – e non sull’invio di docu-menti ex post.

L’accesso al dato sorgente dell’accadimento economicoaziendale primario da parte della banca, inoltre, riduce l’az-zardo morale e gli effetti di agenzia caratteristici del modellodi rappresentazione informativa ex post. In questo quadro, labanca offre servizi a valore aggiunto in cambio di trasparenzainformativa, che a sua volta si ripaga sotto forma di minoricosti di valutazione e gestione del rischio.

Il digitale è piattaforma di riduzione di asimmetrie infor-mative, occasione per limitare drasticamente i costi di transa-zione e gli agency costs nei rapporti tra banca e impresa.L’ICT è stato usato finora come alternativa funzionale princi-palmente su transazioni informative e dispositive, quindi es-senzialmente relative al conto economico – inteso comestruttura di costi e ricavi – del servizio bancario. Poco è statofatto sui costi di transazione del risk management, quindi sul-la struttura di tipo patrimoniale. Ancor meno è stato fatto perla gestione finanziaria, in particolare per quanto riguarda lagestione del capitale circolante delle imprese, che è quasi to-talmente afferente a problemi di asimmetrie informative dibreve periodo – commesse, ordini, pagamenti, incassi – noncerto adeguatamente coperte dalla tradizionale reportistica

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di bilancio. Su questo punto sta emergendo una nuova gene-razione di “strumenti derivati”, ovvero di cartolarizzazionedegli impegni comportamentali di imprese e consumatori –come dimostra l’esplosione del mercato dei coupon digitali.Per cogliere questa nuova opportunità di business e gover-narne i potenziali rischi, la nascita di un hub informativo fi-nanziario è essenziale.

È quindi necessario progettare un cloud di sistema sottoforma di mercato multilaterale delle informazioni economi-che aziendali. Vediamo, a titolo di esempio, come potrebberocontribuire i vari attori dell’ecosistema. ABI può definire iprocessi di base di scambio informativo per consentire l’ana-lisi economica non solo dei bilanci annuali, ma dei dati eco-nomico-finanziari d’impresa durante il processo della loroprogressiva formazione.

SIA può mettere a disposizione la piattaforma di transazio-ni in modalità cloud definendo gli accordi con i diversi vendordi soluzioni applicative, per esempio identificando un insiemedi soluzioni Erp dal quale si possano estrarre, in modo siste-matico e progressivo – e non solo a scadenze annuali postici-pate come avviene oggi con il “deposito del bilancio ufficiale”– dati che le banche possono usare per fare analisi di settoree di filiera. Ciò mettendo a sistema ERP aziendali, sistema ca-merale, centrale rischi e nuovi modelli di business analytics ericerca secondo l’approccio dei cosiddetti “Big Data”.

InfoCamere e i service provider a esso collegati possonodefinire ulteriori strati di servizi SAAS/PAAS (Software as aService/Platform as a Service), come ponte per le comunica-zioni alla PA. L’Agenzia delle Entrate si è già detta disposta alavorare nella prospettiva della collaborazione fiscale antici-pata con le imprese e ha già gli strumenti normativi per venireincontro e facilitare le aziende che garantiscono trasparenza,

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sia nei processi di verifica fiscale sia nella gestione di eventualicontenziosi. Gli ordini professionali, come i commercialisti e iconsulenti d’impresa, possono e devono partecipare al proces-so supportando le imprese nella corretta rappresentazionedelle proprie metriche economico-finanziarie. Per mettere asistema la filiera informativa del credito e dell’analisi del ri-schio delle aziende italiane, l’Italia dispone di tutti gli ingre-dienti: ma nessuno ne ha ancora scritto la ricetta.

Anche il mondo delle assicurazioni ha la grandissima op-portunità di entrare nella sfida del risk assessment e del riskmanagement. I processi informativi digitali sono uno straordi-nario strumento di misurazione e di gestione del rischio, anchenell’area ibrida tra mercato corporate e mercato retail. Si pensiall’offerta sul ramo vita e sul ramo salute, la cui copertura è inItalia sproporzionatamente affidata alla mano pubblica, anchese è ormai chiaro che questa non avrà le risorse necessarie.Questo è particolarmente vero sul fronte della previdenzacomplementare e/o integrativa, che richiederebbe l’interope-rabilità con il dato aziendale e il dato ufficiale dell’INPS.

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Un hub digitale per favorire gli scambi informativi tra im-prese, intermediari finanziari e PA è quindi un’operazione daaffidare a un ecosistema esteso, promuovendo iniziative voltea favorire la standardizzazione tecnologica, come presuppo-sto fondamentale dell’adozione da parte della massa criticadegli attori.

Di certo passa anche attraverso la semplificazione del qua-dro regolamentare, la rimozione dei vincoli normativi cheostacolano la reingegnerizzazione completa dei processi, ladefinizione delle linee guida comuni per l’interpretazione el’adozione delle normative, l’incoraggiamento alla standardiz-zazione dell’accesso ai servizi on-line in modo da garantire lapiena interoperabilità, partendo da strumenti già presenti perassicurare i processi di autenticazione e non ripudiabilità.

Ma la sfida di fondo è sviluppare un modello di intermedia-ri finanziari che condividono un “hub di filiera” per servizi a

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valore aggiunto a supporto delle imprese, sia per favorire unmigliore scambio informativo tra banche e imprese, sia per ac-celerare lo sviluppo dei rapporti commerciali a livello interna-zionale e l’ingresso sul mercato dell’economia digitale.

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Il mondo della finanza, nelle sue componenti principali(banche e assicurazioni), è oggi alle prese con una serie di sfi-de strutturali in un contesto economico difficile, compendiatedall’esigenza di combinare nel breve periodo una significati-va riduzione dei costi e un miglioramento nella qualità e nellacompetitività dei servizi offerti.

Il quesito a cui occorre rispondere è quanta parte abbianooggi le tecnologie digitali nel supportare la realizzazione diquesti obiettivi e quale sia il potenziale ancora da sfruttareper il futuro.

Il caso delle banche risulta in questo senso molto emble-matico.

Le banche italiane vivono oggi un momento difficile do-vendo recuperare produttività aumentando il loro grado diefficienza e migliorare la loro redditività comprimendo almassimo i costi che crescono a velocità maggiore rispetto airicavi.

Allo stesso tempo devono aumentare il presidio del mer-cato e il proprio grado di competitività spostando in manierapiù decisa l’attività dai canali distributivi tradizionali a quellipiù avanzati e virtuali (figura 1).

2.2 La rivoluzione digitalee gli impatti sulle aziende

del Finance

Giancarlo Capitani, NETCONSULTING

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La risposta che le banche italiane stanno dando a questesfide è basata su interventi a più livelli che, oltre al controlloe alla riduzione dei costi, prevedono una revisione del model-lo di relazione con il cliente, le strategie di marketing corre-late, il rafforzamento della solidità patrimoniale, la gestionedei rischi di credito e il change management.

Ma il punto che va sottolineato è che la tecnologia giocaun ruolo fondamentale non solo in quanto fattore che abilitail cambiamento nelle suddette aree ma, soprattutto, in quantocostituisce l’infrastruttura portante per un approccio di natu-ra sistemica all’innovazione.

Ma ci sono alcune aree in cui questi connubi tra innova-zione e tecnologia risultano particolarmente significativi estrutturali (figura 2).

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Giancarlo Capitani

Figura 1 – Le principali sfide per le banche italiane

Fonte: Banca d’Italia, Segnalazioni di vigilanza

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La prima di queste aree, su cui la tecnologia sta già con-sentendo il conseguimento di benefici misurabili, riguarda ladematerializzazione dei documenti che molte banche hannogià intrapreso e altre stanno iniziando a fare.

ABI stima che vengano prodotti 120.000 documenti ognianno presso gli sportelli bancari per un totale di oltre 5 mi-liardi di fogli e un costo stimato pari a circa 9.000 euro persportello all’anno per la gestione dell’intero ciclo di vita deldocumento.

All’interno di questo processo di dematerializzazione viè una killer applilcation potenziale rappresentata dalla fir-ma grafometrica/biometrica a supporto principalmente del-le disposizioni di incasso e pagamento e, in futuro, anche

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La rivoluzione digitale e gli impatti sulle aziende del Finance

Figura 2 – La risposta delle banche alle sfide della crisi

Fonte: NetConsulting, 2013

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della sigla di contratti, pur con le dovute cautele in ambitonormativo.

Contestualmente aumentano anche l’adozione della firmadigitale e la conservazione sostitutiva, con diverse caratteri-stiche a seconda dei molteplici documenti trattati, e la tra-smissione elettronica per aumentare la condivisione, la trac-ciabilità, la fruibilità e l’accessibilità dei documenti in sicurez-za tra le varie filiali.

I benefici sono evidenti e vanno dalla riduzione dei costisia diretti che indiretti legati all’incremento della produttivitàdel personale, alla riduzione delle risorse coinvolte nei pro-cessi documentali, alla maggiore efficacia commerciale; e allasostenibilità ambientale (figura 3).

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Giancarlo Capitani

Figura 3 – L’IT come leva per l’efficientamento: la gestione documentalein banca

Fonte: NetConsulting, 2013

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La seconda area paradigmatica è relativa al miglioramen-to della relazione con il cliente.

Le banche cominciano oggi a sviluppare strategie che ten-gono conto di come gli individui e le famiglie in Italia stianorapidamente diventando digitali e interattivi. L’Italia oggi èun Paese più digitale di quanto si pensi.

La penetrazione dei dispositivi mobile presso la popola-zione continua a crescere. Ormai ogni utente dispone di piùdi 2 sim, le vendite di smartphone hanno sfiorato i 9 milioninel 2012 con un tasso di crescita superiore al 62% e gli utentiInternet rappresentano oltre il 68% della popolazione e con-tinuano a crescere.

Un fenomeno ancora più dirompente è quello dei social net-work: sono complessivamente 17,8 milioni gli internauti nel2012, corrispondenti a un numero medio pari a circa 3 AccountSocial per utente, in riferimento ai principali network (figura 4).

La rapida diffusione delle nuove tecnologie mobili, l’ac-cesso a Internet in mobilità, che oggi ha una base di 13 milio-ni di utilizzatori, rappresentano una grande opportunità perle banche che possono progressivamente offrire ai propriclienti, oltre ai servizi di base sia dispositivi sia informativi,anche servizi nuovi, attraverso modalità innovative di rela-zione e di transazione, sfruttando le nuove opportunità deri-vanti dal mobile payment.

Le banche dovrebbero cominciare a spingere maggior-mente su questi servizi che consentono di ridurre la circola-zione di contante, su cui l’Italia vanta un primato negativo alivello europeo. Si pensi che nel 2012 il 90% dei pagamenti èstato realizzato in modalità cash, il 21% dei cittadini utilizzaesclusivamente contanti e la BCE ha stimato che a fronte di188 pagamenti elettronici pro-capite in Europa, il dato italia-no si attesta attorno a 68 unità.

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L’elevata propensione all’utilizzo dei dispositivi mobilicome strumento di pagamento, consentirebbe di rendereelettronici tutti quei pagamenti (in particolare i cosiddetti mi-cropagamenti) che oggi sono sotto la soglia dei 30 euro equindi eseguiti in contanti. I vantaggi che ne conseguirebberosono evidenti sia per il Sistema Paese, a supporto della lottaall’evasione, sia per il sistema bancario, abbattendo i costi digestione del contante che sono molto elevati (figura 5).

Il nuovo cliente digitale è dotato attualmente di determi-nate caratteristiche: è multicanale, ricerca prodotti e servizipersonalizzati e ha molteplici identificativi digitali.

In questo senso l’esplosione dei social network e l’aumen-to della navigazione on-line, impongono alle banche la ricer-ca di nuovi modelli per gestire un cliente che è più informato,

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Giancarlo Capitani

Figura 4 – Le velocità di crescita degli individui digitali in Italia

Fonte: NetConsulting, 2013

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L’evoluzione dei modelli di gestione della clientela nonpuò prescindere quindi da questa nuova tipologia di clienteche deve poter beneficiare di una customer experience dielevata qualità che ne accresca il grado di satisfaction e lo-yalty.

Questo deve tradursi da una parte nello sviluppo di unastrategia multicanale in grado di massimizzare la customerexperience attraverso tutti i canali con cui il cliente può en-trare in contatto con la banca, dall’altro nel ripensare il ruolo

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La rivoluzione digitale e gli impatti sulle aziende del Finance

Figura 5 – La rivoluzione del mobile e l’impatto sui servizi bancari

Fonte: NetConsulting, 2013

utilizza contemporaneamente più device e quindi più canali,ricerca prodotti sempre più personalizzati e spesso presentamolteplici identità.

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della filiale che deve divenire un luogo in grado di attrarre eaccogliere il cliente (figura 6).

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Giancarlo Capitani

Figura 6 – L’impatto del nuovo cliente digitale sul modello della banca

Fonte: NetConsulting, 2013

Contemporaneamente si assiste a un impiego delle nuovetecnologie social per innovare i modelli di relazione interni.

In particolare molto rilevante è la percentuale di bancheche hanno già creato community Internet al fine di consenti-re una maggiore condivisione della cultura aziendale ma an-che di rafforzare lo spirito di collaborazione.

Cominciano a essere adottate anche soluzioni per crearecommunity esterne per clienti e partner per rafforzare la co-municazione e la brand awareness, e tecnologie di social CRM

che consentano di capitalizzare il grande patrimonio infor-mativo rappresentato dal mondo dei blog e dei social net-work (figura 7).

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Anche il mondo delle assicurazioni è attraversato da gran-di sfide che richiedono altrettanto grandi cambiamenti. Leesigenze che le compagnie si trovano a indirizzare sono lega-te a un contesto di mercato notevolmente cambiato negli ul-timi anni e poco prevedibile nelle sue evoluzioni, e a un con-testo normativo particolarmente pressante.

Le dinamiche negative del mercato assicurativo, soprat-tutto nel comparto vita, già da alcuni anni hanno messo in di-scussione strategie e modelli di business consolidati.

Nell’area della compliance Solvency 2 è quasi in diritturadi arrivo, ma altre normative, soprattutto il decreto “Crescita2.0”, condizionano l’attività delle compagnie e ne regolamen-tano i percorsi evolutivi a livello di portafoglio d’offerta e digestione del cliente.

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Figura 7 – Banche e social media: nuove modalità per gestire e coinvolgere il cliente

Fonte: NetConsulting, 2013

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Le dinamiche di mercato non positive inducono l’adozio-ne di politiche commerciali molto più selettive e molto piùattente rispetto al passato, con l’obiettivo di migliorare laprofittabilità delle compagnie. Allo stesso tempo, cresce laconsapevolezza di quanto sia indispensabile cercare di per-sonalizzare il rapporto con il cliente per fare di questa rela-zione un fattore competitivo e differenziante. Questo portaa strategie marketing più focalizzate sui singoli target e astrategie di fidelizzazione delle agenzie che portano i mi-gliori risultati.

Una maggiore attenzione ai costi e al recupero di efficien-za porta, allo stesso tempo, a un attento monitoraggio deiprocessi interni ed esterni e a politiche di portafoglio seletti-ve (figura 8).

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Giancarlo Capitani

Figura 8 – Il contesto business nel settore assicurazioni

Fonte: NetConsulting, 2013

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Come si diceva, la compliance ha un impatto forte nell’in-dirizzare l’innovazione del settore assicurazioni e questo ri-sulta evidente nel decreto “Crescita 2.0” che introduce diver-se novità: a) la creazione di banche dati per la prevenzione delle frodi,

nota dolente per le compagnie e anche per gli assicurati,onesti che si trovano a pagare tariffe elevate in zone delPaese a elevato rischio frodi;

b) una maggiore trasparenza verso il cliente garantendogliaccesso ai propri dati online, attraverso la definizione delcontratto base e del relativo modello elettronico che lecompagnie devono obbligatoriamente offrire anche su In-ternet;

c) la regolamentazione della collaborazione tra intermediarie agenti assicurativi.Il decreto contiene, inoltre, una serie di provvedimenti che

forniscono nuovo impulso all’avvio di iniziative di digitalizza-zione e di una serie di servizi innovativi:a) servizi di home insurance attraverso cui sarà possibile da

casa o da remoto accedere al proprio dossier assicurativoon-line;

b) servizi di eCommerce che daranno la possibilità di acqui-stare on-line qualsiasi tipo di polizza;

c) sigla dei contratti in mobilità grazie all’uso della firma gra-fometrica;

d) una progressiva digitalizzazione dell’agenzia assicurativa.I benefici di questo percorso sono molteplici, in linea con

le priorità business prima citate.Anche nelle assicurazioni, come nelle banche, vi sono al-

cune aree dove il rapporto tra innovazione, cambiamento,tecnologia e benefici risulta particolarmente significativo (fi-gura 9).

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E anche nel caso delle assicurazioni la dematerializzazio-ne dei documenti gioca un ruolo importante.

La dematerializzazione trova la sua massima espressionenell’introduzione della firma grafometrica (o firma su tablet)a disposizione di agenti e broker nei processi assuntivi (oltreche nella gestione sinistri per tutti gli attori coinvolti nei pro-cessi liquidativi), che innesca un processo digitale ab origine.

Il processo semplificato, realizzabile con il ricorso alla fir-ma su tablet, è essenzialmente il seguente:– l’agente ha visibilità sul tablet del suo portafoglio clienti –

attuale e potenziale – può utilizzare eventualmente un to-ol che, a seconda degli input che ricava dalla storia delcliente, gli suggerisce i prodotti che più potrebbero inte-ressare il cliente;

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Giancarlo Capitani

Figura 9 – Gestione documentale e dematerializzazione nel settore assicurazioni: esigenze normative e impatto sui servizi

Fonte: NetConsulting, 2013

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– può costruire la proposta con il cliente;– cliente e agente firmano il contratto;– si innesca un processo assuntivo completamente elettronico;– i documenti elettronici che per legge vanno conservati per

un certo numero di anni vanno direttamente in conserva-zione a norma.I benefici si possono facilmente intuire: maggiore efficacia

commerciale, eliminazione di costi e rischi legati alla gestionedel cartaceo, miglioramento dell’integrazione tra front office eback office con conseguente recupero di efficienza (figura 10).

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La rivoluzione digitale e gli impatti sulle aziende del Finance

Figura 10 – Dematerializzazione: la firma grafometrica abilita processi diacquisizione più snelli e una maggiore efficacia commerciale

Fonte: NetConsulting, 2013

Altra innovazione che trova riscontro nei più recenti prov-vedimenti normativi riguarda la cosiddetta scatola nera a bor-do veicolo che viene vista dagli assicurati come un’opportuni-tà per vedersi ridotta la propria tariffa e dalle compagnie co-

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me uno strumento di miglioramento dei servizi al cliente incaso di incidenti o furti e un’opportunità per ridurre le frodiattraverso uno strumento tecnologico che consente di rico-struire la dinamica degli incidenti e quindi di stabilire se sitratti di incidente reale o simulazione finalizzata alla frode.

Certamente gli assicurati si aspettano una riduzione si-gnificativa della tariffa correlata per poter meglio accettarel’installazione della scatola nera e accollarsi eventuali pro-blematiche (di manutenzione, cosa fare nel caso di cambioveicolo, ecc.) che non sono state ancora del tutto chiarite.Oggi non è ancora così e infatti la scatola nera si presentacome una opportunità colta da un target limitato e con par-ticolari caratteristiche rappresentato da clienti più tecnolo-gici, con veicoli di più elevata cilindrata e più elevato red-dito disponibile.

Le compagnie già da tempo si stanno muovendo, dappri-ma con sperimentazioni, oggi con offerte più consolidate cheabilitano una elevata personalizzazione delle polizze sullabase delle reali abitudini degli assicurati con offerte che ga-rantiscono polizze a consumo.

Una maggiore chiarezza su chi debba sostenere determi-nati oneri e l’evoluzione tecnologica in corso delle stesse sca-tolette porteranno sicuramente l’RC auto in questa direzione(figura 11).

Anche nelle assicurazioni la diffusione e la disponibilità distrumenti mobili gioca un ruolo importante sia lato degliutenti sia nell’evoluzione dei modelli di business delle com-pagnie.

Da parte degli utenti cresce la tendenza ad affidarsi ai co-siddetti web aggregators (portali quali facile.it, 6sicuro.it) equesto ha portato le compagnie a interfacciarsi non solo coni propri agenti ma anche con queste realtà.

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Giancarlo Capitani

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Se l’on-line cresce, è inevitabile che crescerà anche il mo-bile insurance sia in termini di offerta di servizi accessibili daapps delle compagnie sia per la ricerca di prodotti assicurativinel caso di primo acquisto o cambio di compagnia da partedegli utenti.

L’Italia in questo senso non è indietro (figura 12).Tutte le evoluzioni che abbiamo visto ci dicono che la re-

lazione con il cliente e con gli agenti da parte delle compa-gnie sarà supportata sempre più da strumenti ICT attraverso3 tipologie di servizi: – servizi on-line (portali per la comunicazione agli utenti,

rapporto cliente-compagnia);– servizi di mobile insurance (una serie di servizi accessibili

da smartphone per la gestione dei sinistri e la comunica-

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La rivoluzione digitale e gli impatti sulle aziende del Finance

Figura 11 – La Scatola Nera… domanda e offerta

Fonte: NetConsulting su Iama Consulting e Osservatorio AIBA-IAMA, dati 2012

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zione con le compagnie in tempo reale e da remoto, non-ché per l’accesso ai propri dati);

– servizi di social insurance (attraverso la costituzione di co-munità esterne, anche per incrementare la collaborazionecon gli agenti).Queste azioni risultano propedeutiche a qualsiasi tipo di

strategia CRM e multicanalità, avviate spesso in integrazionecon tematiche di business intelligence (figura 13).

Volendo trarre qualche indicazione generale da questibrevi spunti si può considerare come le innovazioni suppor-tate dall’ICT possano far evolvere positivamente nei prossimianni il sistema bancario, il sistema assicurativo e il mondo fi-nance nel suo complesso attraverso un guadagno sensibile siadi efficienza che di competitività.

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Giancarlo Capitani

Figura 12 – Assicurazioni on-line in ambito RC auto e protezione casa inEuropa. Il ruolo dei web aggregators

Fonte: Ricerca Finaccord su 6.000 consumatori europei, 2013

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Va notato, tuttavia, che purtroppo banche e assicurazionistanno investendo poco in Italia in ICT come rileva anche ilRapporto ABILab secondo cui il 44.5% delle grandi bancheitaliane prevede per il 2013-2014 riduzioni consistenti delproprio budget IT. Questo non è di certo un bene se si consi-dera che il processo di digitalizzazione di banche e assicura-zioni può dare un impulso alla creazione di un sistema o det-taglio di un ecosistema virtuoso che potrebbe portare il no-stro Paese a un nuovo rilancio, a un nuovo percorso stabile dicrescita e di sviluppo.

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La rivoluzione digitale e gli impatti sulle aziende del Finance

Figura 13 – Cresce l’interazione on-line con clienti e agenti

Fonte: NetConsulting, 2013

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3. CONTRIBUTI

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Il tema trattato oggi è di grande rilievo per l’economia ita-liana. Un sistema produttivo permeato di tecnologie digitaligode di un’opportunità: che aumenti permanentemente l’abi-lità di aggiungere valore agli input di cui dispone. Le ICT pos-sono essere un potente motore di crescita della produttivitàdi un paese. Un aumento duraturo della produttività implicamaggiore sviluppo economico, occupazione, benessere. Tutta-via “si tratta di un’opportunità, non di manna dal cielo. Biso-gna guadagnarsela. Perché l’aumento di produttività si ottie-ne solo se le nuove tecnologie vengono calate in un contesto,d’impresa e di sistema, a loro benigno, cioè disposto a trasfor-marsi in funzione loro” (Rossi, 2003, p. 262)1. In Italia perrendere più produttivo l’uso delle tecnologie digitali occorreuna trasformazione del contesto, un terreno più favorevoleall’innovazione, al cambiamento, alla nascita e allo sviluppodi nuove intraprese. Per questo motivo l’accento deve essereposto non solo sull’ICT ma anche, più in generale, sulle azioniper promuovere l’innovazione

3.1 Le azioni necessarie per promuovere l’innovazione

Luigi Cannari, BANCA D’ITALIA

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Il presente commento è una versione rivista dell’intervento effettuatoall’incontro su Agenda digitale e industria del risparmio, tenutosi a Milanoil 28 marzo 2013. Le opinioni espresse sono dell’autore e non impegnanola responsabilità della Banca d’Italia.

1 ROSSI S. (2003), La Nuova Economia. I fatti dietro il mito, Bologna, ilMulino.

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(e in particolare quella sostenuta dalla spesa in ricerca e svi-luppo, da cui derivano benefici di maggiore portata). È suquesti aspetti che vorrei offrire qualche riflessione basata suun progetto di ricerca di recente condotto all’interno dellaBanca d’Italia2.

Nel nostro Paese R&S e innovazione sono fenomeni rela-tivamente meno diffusi che in altri paesi occidentali. I motivisono vari e non possono essere qui trattati in dettaglio. Mi li-mito a ricordarne alcuni, attinenti al settore privato (sul set-tore pubblico tornerò in seguito): la struttura del sistema pro-duttivo italiano, specializzato in attività tradizionali e caratte-rizzato da una piccola dimensione d’impresa (che rende dif-ficile sostenere i costi elevati insiti nell’attività di ricerca e in-novazione e assumersene i rischi), una governance familiarenon di rado orientata a comportamenti che non incentivanol’innovazione, un’età del management relativamente avanza-ta, un capitale umano delle forze di lavoro non sempre ade-guato ad affrontare le sfide di una competizione fondata sullaconoscenza3.

Si avverte la necessità che il sistema produttivo muovaverso settori a più alto contenuto tecnologico e di capitaleumano, dimensioni d’impresa più elevate e il superamentodella visione restrittiva del controllo familiare. Non sonoobiettivi facili da raggiungere. Sia perché toccano attitudiniradicate e la stessa cultura imprenditoriale prevalente nelPaese, sia perché queste caratteristiche del sistema produtti-vo sono il riflesso di un contesto che non favorisce l’attivitàdi impresa e le relazioni tra le persone e le istituzioni. D’altra

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Luigi Cannari

2 Cfr. Banca d’Italia (2013), Relazione annuale sul 2012, cap. 11.3 Si vedano Bugamelli M., Cannari L., Lotti F. e Magri S. (2012), Il gap

innovativo del sistema produttivo italiano: radici e possibili rimedi, Bancad’Italia, Temi di discussione, n. 121.

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parte il contenimento di un eccessivo “familismo” e il sostan-ziale ispessimento della componente medio-grande dellastruttura dimensionale delle imprese appaiono condizioni es-senziali per la competitività del sistema produttivo italiano.

Il sistema finanziario può svolgere un ruolo importante perfavorire l’innovazione e un più intenso utilizzo delle nuovetecnologie. Bisogna però tenere presente che i progetti inno-vativi non sono semplici da finanziare, sia perché sono spessocaratterizzati da rischio elevato, sia perché le imprese preferi-scono mantenere la riservatezza, per evitare che i concorrentisi approprino delle loro idee. Le limitate informazioni chel’impresa fornisce all’esterno sono difficili da valutare da par-te dei potenziali investitori. Per questi motivi le risorse finan-ziarie generate all’interno dell’impresa rappresentano la prin-cipale fonte di finanziamento dell’innovazione. Quando le ri-sorse interne all’impresa sono insufficienti, non sempre lebanche sono disposte a finanziare progetti rischiosi e difficilida valutare, soprattutto se le garanzie che l’impresa può offri-re sono basate su attività immateriali e capitale umano. Le re-lazioni di lungo periodo tra banca e cliente aiutano4, ma nonbastano. Sono soprattutto le nuove imprese (piccole e giova-ni) che incontrano maggiori difficoltà; sono quelle che conmaggiore probabilità possono essere caratterizzate da impor-tanti funding gap e quindi investire in attività innovativa unaquantità di fondi inferiore a quanto potrebbero fare in pre-senza di adeguati strumenti finanziari. Queste imprese risen-tono negativamente del modesto sviluppo del venture capital,la cui dimensione è contenuta rispetto ad altri paesi. La per-centuale di spesa in R&S finanziata con venture capital in Ita-

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Le azioni necessarie per promuovere l’innovazione

4 Si stima che un aumento della durata della relazione banca-impresada tre a sei anni si associ a un incremento della probabilità di svolgere R&Sdi oltre il 10%.

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lia è pari allo 0,1%, contro lo 0,3 in Francia e in Germania elo 0,4 nel Regno Unito5. Il comparto dei business angels, purcresciuto a tassi elevati negli anni passati, sconta ritardi; se-condo uno studio dell’OCSE, in Italia il numero dei network diquesti operatori è modesto nel confronto internazionale. Nelnostro Paese le operazioni di venture capital riguardano spes-so imprese che hanno già superato una certa soglia dimensio-nale; le aziende coinvolte non sempre sono orientate a settoriinnovativi6. Il finanziamento tramite venture capital sembrainfine rappresentare un segnale debole per il sistema bancarionel suo complesso7.

Sotto il profilo della struttura finanziaria delle imprese,serve un cambio di passo, che accresca il capitale azionario esospinga alla crescita dimensionale le aziende che ne hannol’opportunità8. In primo luogo occorre rimuovere gli ostacolinormativi, amministrativi e fiscali che frenano l’espansionedelle imprese e facilitare la diffusione e l’operatività di inter-mediari di private equity che apportano non solo capitale dirischio, ma anche conoscenze manageriali e tecniche. Va in

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Luigi Cannari

5 Cfr. la Relazione annuale della Banca d’Italia sul 2012 e in particolareil capitolo 14: “La condizione finanziaria delle famiglie e delle imprese”.

6 Analisi basate sulle segnalazioni di vigilanza evidenziano che in Italianel periodo 2003-2012 gli investimenti in società di recente costituzione(attive da meno di cinque anni) sono stati realizzati per circa il 40% da fon-di di venture capital, la parte restante da altri fondi di private equity. I fondidi venture capital sono poco numerosi e detengono un portafoglio comples-sivamente ridotto (pari a circa 190 milioni nel 2012, il 5% del totale dei fon-di di private equity e di venture capital). Nel periodo 2003-2012 essi hannoindirizzato più di un terzo dei loro investimenti verso imprese operanti insettori tecnologicamente meno avanzati e solo un quarto verso operazionidi early stage.

7 Vacca V. (2013) Venture capital and banks. Financing innovation in Ita-ly, Banca d’Italia, mimeo.

8 Rossi S. (2013), “Crescita, innovazione e finanza in Italia. Il ruolo dellebanche popolari”, Intervento del Vice Direttore Generale della Bancad’Italia all’Istituto Centrale delle Banche Popolari, Bergamo, 22 febbraio.

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questa direzione la recente istituzione del Fondo Italiano diInvestimento, finalizzato a favorire il rafforzamento patrimo-niale e i processi di aggregazione tra le piccole e medie im-prese, anche attraverso il coinvolgimento di operatori privatispecializzati. Un orizzonte temporale dell’investimento rela-tivamente lungo può andare incontro alle esigenze di impre-se meno disposte ad aprirsi al capitale azionario esterno. Lapatrimonializzazione delle imprese, necessaria per migliorareil finanziamento dell’innovazione, può beneficiare anche diun’attenuazione del carico fiscale sul capitale di rischio.

Soprattutto per le imprese giovani e piccole, l’accesso al ca-pitale di rischio, particolarmente adatto a finanziare l’innova-zione, dovrebbe essere favorito anche attraverso la crescita delventure capital. In diversi paesi, tra cui in particolare la Germa-nia, il settore pubblico ha svolto un ruolo di rilievo, agendoquale catalizzatore per la crescita di questo segmento del mer-cato. L’esperienza internazionale indica che il successo dell’in-tervento pubblico non è automatico, ma scaturisce da un insie-me di regole e prassi virtuose. È importante in particolare chela selezione degli investimenti sia lasciata agli intermediarispecializzati, ai quali deve essere richiesta una diretta parteci-pazione ai rischi. Alle giovani imprese innovative potrebberoessere destinati incentivi pubblici di natura selettiva, con unaselezione dei progetti affidata a meccanismi di mercato cheprevedano il coinvolgimento di intermediari privati specializ-zati. Iniziative recenti muovono nella direzione di favorire il ri-corso al capitale azionario e lo sviluppo del venture capital, av-

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Le azioni necessarie per promuovere l’innovazione

9 Dal 2011 è consentita la deduzione dal reddito di impresa di un im-porto pari al rendimento del nuovo capitale proprio, fissato attualmente al3% (decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla legge 22 dicem-bre 2011, n. 214). Tra il 2011 e il 2012 sono stati introdotti incentivi fiscalianche per chi investe in fondi di venture capital e nel capitale di rischio diimprese in fase di avvio (start-up) innovative; la normativa italiana si è cosìavvicinata a quella degli altri paesi europei.

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vicinando la normativa italiana a quella di altri paesi europei9.Il settore pubblico può svolgere un ruolo importante nel

creare condizioni di contesto più favorevoli all’innovazione eall’impiego delle nuove tecnologie. Autorevoli studi mostra-no che la crescita dimensionale delle imprese più innovativerisulta inferiore nei paesi dove la regolamentazione nel setto-re dei servizi alle imprese è più restrittiva, il sistema giudizia-rio è meno efficiente e la normativa fallimentare più penaliz-zante per le imprese. Sotto questi profili l’Italia presentasvantaggi rispetto ad altri paesi avanzati. Vi sono dunque spa-zi per migliorare la regolamentazione, rendendola più favo-revole all’attività d’impresa e all’innovazione.

Va inoltre ricordato che nella strategia Europa 2020 gli ac-quisti pubblici di prodotti innovativi e di servizi di ricerca esviluppo sono un pilastro delle politiche in tema di innovazio-ne. Un comportamento di acquisto orientato all’innovazionepuò facilitare l’identificazione di soluzioni appropriate per lafornitura di servizi pubblici e infrastrutture innovative, su cuil’Italia sconta un ritardo rispetto ad altri paesi. Iniziative intale direzione sono state intraprese di recente. Il decreto “svi-luppo bis” ha inteso valorizzare l’appalto pubblico pre-com-merciale per favorire la ricerca industriale. Un numero limi-tato di progetti pilota è stato varato in alcune regioni.

In termini di servizi di e-government, la posizione dell’Italianelle graduatorie internazionali è inferiore alla media dei pae-si dell’OCSE10. Gli indicatori esaminati in alcuni studi condottiin Banca d’Italia11 offrono un quadro in chiaro e scuro; nel

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Luigi Cannari

10 OECD (2010), Measuring innovation. A new perspective, Paris, OECD,pp. 88-89.

11 Ferro P., Arpaia C.M. e Doronzo R. (2013), Innovazione e pagamentipubblici nell’agenda digitale italiana, Banca d’Italia, Questioni di economiae finanza, n. 169.

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complesso l’Italia sembra posizionarsi su livelli inferiori aquelli di altri paesi avanzati sotto il profilo dell’offerta di ser-vizi di e-government, ma ancor più dal lato della domanda,mostrando un ritardo ancora maggiore in termini di utilizzodei servizi da parte dell’utenza, in particolare dei cittadini.

Questi risultati sono probabilmente determinati dalla mo-desta diffusione della conoscenza delle tecnologie ICT tra lapopolazione, ma possono risentire anche di dotazioni infra-strutturali non del tutto adeguate. Le informazioni ricavabilidalla Tesoreria dello Stato riguardanti le procedure d’incassoe i dati dell’indagine sull’informatizzazione degli enti localievidenziano un livello di sofisticazione dei servizi offerti on–line complessivamente non elevato, con la presenza sia di am-ministrazioni che hanno utilizzato al meglio le tecnologie siadi altre che mostrano ancora un relativo grado di arretratez-za. Come affermano Ferro et al. (2013)12, il sistema dei paga-menti pubblici può rappresentare una leva per lo sviluppodell’e-government: rivedendo i meccanismi d’incasso, sia delleamministrazioni centrali sia locali, ponendo al centro del pro-cesso “richiesta-pagamento-erogazione del servizio” l’esi-genza di una immediata riconciliazione dei flussi finanziari einformativi, una gestione delle informazioni completamentedematerializzata, la definizione di standard e la condivisionedi infrastrutture che facilitino attraverso le procedure di pa-gamento lo scambio di informazioni in condizioni di sicurez-za e affidabilità tra l’Amministrazione pubblica e l’utenza.

I dati sull’effettivo utilizzo da parte degli utenti evidenzia-no un ritardo del nostro Paese. Solo il 22% circa dei cittadiniitaliani ha utilizzato i servizi di e-government nel 2011, a fron-te di una media europea pari al 41%. È plausibile che la scar-

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Le azioni necessarie per promuovere l’innovazione

12 Ferro P., Arpaia C.M. e Doronzo R. (2013), op. cit.

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sa fruizione di questi servizi da parte dei cittadini dipenda, ol-tre che da caratteristiche dell’offerta, anche dal basso livellodi alfabetizzazione informatica e dai timori di frode. Su questiaspetti si può intervenire sotto i profili della comunicazione edella semplificazione (anche nella direzione di una standar-dizzazione delle piattaforme).

Uno stimolo all’utilizzo dei servizi ICT da parte dei cittadi-ni può provenire anche dal sistema bancario, nel suo stessointeresse. Fino all’avvio della crisi finanziaria l’espansione deicanali distributivi virtuali si è associata all’aumento del nu-mero di sportelli; quest’ultimo è quasi raddoppiato nel passa-to ventennio e risulta sovradimensionato rispetto al comples-so dell’Area dell’euro, in rapporto sia al totale delle attivitàbancarie sia al volume dei prestiti. Il ricorso alla tecnologia eai canali distributivi a distanza pare essersi in larga misura so-vrapposto alla tradizionale rete di sportelli. I diversi canali di-stributivi possono essere utilizzati in maniera più sinergica,riducendo la capillarità della rete distributiva tradizionale.Ne potrebbe derivare una riduzione dei costi nel medio ter-mine fino al 30%13.

Cambiamenti lungo queste linee non sono semplici darealizzare. Ma è un percorso che merita di essere intrapreso,per i benefici che ne possono derivare in termini di produtti-vità e sviluppo.

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Luigi Cannari

13 Cfr. Panetta F. (2013), “Banche, Finanza, Crescita”, Intervento del Vi-ce Direttore Generale della Banca d’Italia all’Associazione per lo Sviluppodegli Studi di Banca e Borsa, Perugia, 23 marzo.

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3.2 Il contributo del sistema bancarioalla digitalizzazione del Paese

Pierfrancesco Gaggi, ABI LAB

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Molto è stato detto e sono lieto che il Forum ABI Lab sia lacornice di questa discussione. Si è già fatto un ampio riferimen-to alle evoluzioni che stanno interessando le banche nel mondodella digitalizzazione. Crediamo che ci sia anche una storia re-cente di ABI in questo settore e che si stia facendo molto. Nonmi addentro sul tema del finanziamento dell’innovazione tec-nologica da parte delle banche – che pure è un tema sul qualemolto è già stato fatto, ma altri passi possono ancora esserecompiuti – ma mi soffermo sul supporto che il sistema bancariopuò offrire al sistema Paese nella digitalizzazione. È indubbioche serva ancora qualche supporto da un punto di vista norma-tivo, ma credo che anche qui si stiano facendo progressi. Forseil vero problema è quello della velocità con la quale questi pro-gressi vengono compiuti. Sono stati prodotti testi di legge di al-to livello, ma spesso manca il dettaglio delle regole tecniche.Questo, purtroppo, non è secondario perché parlando di stan-dardizzazione e di interoperabilità sono implicati aspetti appli-cativi molto concreti e di dettaglio che occorre risolvere. Forsecome associazioni di impresa di questo settore, di più, come si-stema Paese, possiamo contribuire a dare una spinta su questoversante. Per noi banche sono sul tavolo delle questioni estre-mamente rilevanti: quelle della firma digitale, della conserva-zione dei documenti e dei pagamenti elettronici verso la PA.

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Dal punto di vista della domanda c’è ancora una forte ar-retratezza o comunque ancora molto spazio da guadagnare.Dal punto di vista dell’offerta, abbiamo circa 80 milioni dicarte di pagamento in giro per l’Italia, più di 2 milioni di Posdisponibili e cosi via; direi quindi che, pur potendo sempremigliorare, l’infrastruttura esiste. Un tema che attiene certa-mente all’Agenda Digitale è quello dell’education, sul qualele banche a livello individuale e anche a livello associativostanno muovendo passi importanti; speriamo solo di non do-ver aspettare la generazione dei nativi digitali. Numerica-mente sono ancora pochi coloro che usano le procedure digi-tali e per motivi di efficientamento è necessario spostare laclientela sull’utilizzo del digitale.

Questo è un tema che l’Associazione Bancaria Italiana se-gue attentamente, anche perché l’Italia ha vissuto uno sfasa-mento rispetto al resto dell’Europa nella crescita della rete fi-sica degli sportelli, poiché la liberalizzazione dell’aperturadegli sportelli bancari è avvenuta in Italia solo all’inizio deglianni Novanta. Le banche hanno quindi cominciato a crescereliberamente nella propria infrastruttura, quando dieci annidopo in Europa già si cominciava a ridurre la rete di sportelli.È chiaro che nel tempo dovrà avvenire una calibrazione, nonnecessariamente con chiusure e grandi sacrifici quanto piut-tosto una concentrazione, già in corso, delle professionalitàbancarie sul fronte della consulenza, del supporto nei servizia maggior valore aggiunto piuttosto che sul fronte dei servizitradizionali. È chiaro che queste attività comportano ancheuna buona organizzazione, nel senso che sarebbe opportunoagire in modo coordinato a livello di sistema Paese. La sensi-bilità dell’ABI al tema della digitalizzazione è provata dal fat-to che l’Agenda Digitale del settore bancario era già in lavo-razione, ancor prima che venisse fuori il progetto dell’Agen-

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Piefrancesco Gaggi

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da Nazionale; tanto che abbiamo fatto volentieri confluirel’Agenda del settore bancario all’interno di quest’ultima.L’Agenda Digitale del Paese, infatti, deve poter includere leesigenze dell’Agenda Digitale bancaria, parte fondamentaledi un percorso di digitalizzazione di tutti i settore produttivi.Per cui o costruiamo insieme questo obiettivo e guadagnia-mo terreno tutti insieme, oppure è difficile che vadano avantisolo le banche o solo le assicurazioni. Prima e meglio ci orga-nizziamo a livello di Paese e siamo pronti a collaborare gliuni con gli altri e meglio sarà per tutti, compatibilmente coni tempi che il Governo ci potrà dare. Bisogna comunque giàoggi interagire con le strutture presenti – pensiamo all’Agen-zia per l’Italia digitale; le strutture ci sono e contiamo su diesse. Ritengo che un’interazione forte tra noi associazioni diimpresa e le istituzioni che nel Paese sono a presidio di que-ste attività debba già essere sviluppata oggi. Sono ottimistasul fatto che se abbiamo la volontà di definire insieme il pro-getto, riusciremo a portare a casa dei risultati in tempi ragio-nevoli.

Sostanzialmente possiamo affermare che l’AssociazioneBancaria Italiana, raccogliendo gli stimoli provenienti dal-l’Europa, nel marzo 2012 ha prodotto una propria AgendaDigitale per accelerare il processo di digitalizzazione in attonell’industria bancaria, con importanti ricadute anche su altrisettori dell’economia.

Partendo da uno stato di fatto che attesta come nelle ban-che sia già presente un’infrastruttura di rete e di servizi di pa-gamento a supporto della digitalizzazione, sono stati indivi-duati diversi obiettivi da raggiungere. Importante è sicura-mente puntare sull’educazione della clientela e sullo stimolodei comportamenti digitali, anche rafforzando la percezionedell’elevato livello di sicurezza degli strumenti di pagamento

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Il contributo del sistema bancario alla digitalizzazione del Paese

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via Internet messi a disposizione dalle banche. Ad oggi, infat-ti, solo il 10% dei clienti bancari usa esclusivamente i canalivirtuali, per cui esistono notevoli margini di miglioramento intale ambito.

Un altro obiettivo chiave è l’abilitazione di una normativadigitale amichevole, ossia una semplificazione del frameworknormativo, affinché supporti e favorisca la digitalizzazionenon solo della PA ma anche dell’interazione tra cittadini, im-prese e soggetti privati.

Inoltre, investire per costruire un ecosistema digitale traPubblica Amministrazione-banche e altri settori produttivi,porterebbe benefici rilevanti, non solo rispetto alla gestionedegli incassi e pagamenti, ma anche come recupero di effi-cienza del comparto pubblico.

Nel complesso percorso di digitalizzazione che le banchestanno affrontando, si inseriscono anche le iniziative di ripen-samento del modello di filiale, che puntano a una razionaliz-zazione della rete degli sportelli basata soprattutto su una ri-visitazione della logica di filiale: se da un lato, infatti, la com-ponente transazionale viene snellita ed efficientata, anchegrazie alle novità provenienti dal comparto ICT, e si assiste auna riduzione del numero delle filiali, dall’altro si rafforzasempre più la componente relazionale, a favore di una filialeconcepita sempre più come un luogo di interazione e comu-nicazione con il cliente (modello hub and spoke).

In questo percorso per la realizzazione dell’Agenda Digi-tale Italiana, l’ABI auspica e promuove una fattiva collabora-zione tra banche e assicurazioni e, più in generale, fra il com-parto finanziario e tutte le altre componenti interessate allarealizzazione di un’Agenda Digitale nel nostro Paese.

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Piefrancesco Gaggi

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3.3 Il nuovo stile dell’Information Technology

Stefano Venturi, HP ITALIA

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Volevo spendere qualche parola per cercare di chiarire ilsenso di urgenza del momento. C’è un’ulteriore accelerazio-ne che sta avvenendo verso la digitalizzazione. Le banche so-no quelle che più di tutte hanno usato da sempre l’Informa-tion Technology, perché se andiamo a vedere il core businessdella banca, in realtà è Information Technology, Software epersone. Tuttavia l’apertura a Internet del sistema bancario èstata inizialmente molto prudente, molto limitata e trascinatadall’erosione di alcuni competitor esteri che hanno comincia-to a entrare sul mercato e a coprire clienti e servizi. Poi si so-no fatti dei passi avanti; oggi ogni banca ha un portale checollega imprese e famiglie (chi meglio chi peggio), ma rimaneil fatto che questo Paese usa in modo abbastanza limitato In-ternet e le risorse digitali per ragioni soprattutto culturali. Daun lato il sistema bancario deve risparmiare quindi deve de-materializzare l’agenzia, dall’altro c’è sempre la convinzioneche in fondo l’italiano medio tenda a usare poco gli strumentinuovi. È avvenuto però un fatto epocale – grazie ai colleghiin Confindustria, in particolare grazie a Stefano Parisi che hadato un grandissimo contributo – l’Italia, per la prima volta etrent’anni dopo la Francia, ha varato un’Agenda Digitale. Dicerto mancano dei pezzi e, come ha evidenziato CarnevaleMaffé, c’è qualche correzione importante da dare nell’impo-

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stazione, ma si delinea un cambiamento e non si tornerà in-dietro; anzi per la composizione attuale del Parlamento si an-drà avanti e si accelererà in questa direzione. Cosa vuol direquesto per i cittadini? Anche quelli più recalcitranti nell’usodelle nuove tecnologie saranno sempre di più obbligati dalloStato a utilizzarle – come ad esempio è avvenuto per l’iscri-zione digitale alle scuole. C’è stato il crash del sistema il pri-mo giorno, ma non importa, è un passo importante verso lamodernizzazione. C’è stata questa vicenda un po’ infelice deiCud dei pensionati, con errori nella spedizione dei pin e unsistema troppo complicato, ma il punto importante è che siportano milioni di persone a interagire con l’amministrazio-ne su questioni importanti e obbligatorie, in maniera digitale.Questo vuol dire che i nostri clienti, anche le fasce meno in-novative, stanno capendo l’utilità delle nuove tecnologie.Dobbiamo indirizzare questi mutamenti anticipando il mon-do pubblico, che comunque farà grandi passi e dovrà federaremolti servizi.

Oggi siamo a una svolta epocale in cui il settore dell’ICT

può contribuire all’efficienza e allo sviluppo del Paese. Inparticolare possiamo mettere a disposizione tre competenze.Primo: dobbiamo aiutare le amministrazioni, il sistema priva-to che interagisce con l’amministrazione e i cittadini, a mette-re in piedi delle architetture convergenti, direi di più: federa-te, cioè dei data center connessi che si scambiano informazio-ni in maniera standardizzata. Come diceva Carnevale Maffé,dobbiamo aderire a standard già esistenti a livello europeo,mondiale senza inventarci protocolli nuovi (use what you ha-ve) e noi come aziende del settore possiamo trasferire tantis-sima di questa competenza per accelerare le cose. Secondo: iprocessi devono essere collaborativi, basati su standard repli-cabili e automatizzati perché i processi vanno cambiati. A me

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Stefano Venturi

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piace usare la metafora di fine ’800 quando è stato inventatoil motore elettrico; le fabbriche con utensili si muovevano at-torno a un grande motore a vapore al centro della fabbricacon un po’di pulegge e cinghie, ma in un’area limitata facevamuovere un sacco di pezzi e la fabbrica ruotava attorno aquesto motore. Quando è stato inventato il motore elettrico,quelli che si pensavano più moderni hanno sostituito il moto-re a vapore, grande, rumoroso, puzzolente, con un bel motoreelettrico, ritenendo così di aver creato una fabbrica moderna.Risultato? Hanno aggiunto dei costi perché il motore elettri-co costava molto sia in termini di energia sia perché era piùinaffidabile; ma per il resto non è cambiato molto. Qualcunopiù smart, più intelligente, invece ha pensato che grazie al-l’energia elettrica, la forza motrice poteva essere distribuitaper la fabbrica, e ha inventato la catena di montaggio stravol-gendo il modo stesso con cui il sistema capitalistico ridistri-buiva la ricchezza, per cui lo stesso operaio è diventato con-sumatore perché guadagnava di più. Oggi i nuovi trend – IT

consumerization, cloud, big data – stanno cambiando il modoin cui la tecnologia viene fruita e di conseguenza gestita, de-lineando di fatto un nuovo stile dell’IT. Nello scenario attualele tecnologie, utilizzando gli standard e cambiando i processi,possono dare una spinta produttiva a tutto il sistema. Il terzopunto su cui possiamo dare un contributo importante è la ge-stione delle informazioni che devono anche queste essere fe-derate e interoperabili oltre che interagire attraverso le variepiattaforme di cloud. L’accesso deve essere rapido e possibileda qualsiasi device, con qualsiasi applicazione, perché l’acces-so dei cittadini e delle imprese a qualsiasi informazione deveessere garantito. Siamo quindi alle soglie di un’accelerazioneimportante; è il momento di seguire con attenzione la digita-lizzazione della PA, ma noi del settore privato, dobbiamo es-

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Il nuovo stile dell’Information Technology

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sere preparati perché troveremo dei cittadini molto più at-tenti all’uso di questi strumenti e dobbiamo essere pronti pernon subire un’accelerazione che potrebbe sfuggirci di mano.

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Stefano Venturi

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3.4 I presupposti per lo sviluppo di un mercato assicurativo digitale

Davide Passero, GENERTEL

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Partirò da una piccola considerazione di fondo. Spessosuccede che quando ci troviamo a parlare di digitale si sia tut-ti d’accordo, il punto è capire cosa poi succede quando uscia-mo da queste stanze. Il problema è capire quanto il mindsetsia in realtà analogico all’interno delle imprese. Osservo soloche è recente una bozza di regolamento che discende dal de-creto “Crescita” su come le compagnie debbano avereun’operatività via web. Per il settore assicurativo si segnalaun ritardo di sistema rispetto all’home banking, che sarà ma-gari poco utilizzato, ma è almeno un decennio che si sta svi-luppando. Per il settore assicurativo è venuta invece prima laspinta normativa. Anche se io rappresento un’assicurazioneche è stata antesignana in questo, posso segnalare che il min-dset dominante è certamente analogico. Quello che farà ladifferenza sarà proprio il consumatore e credo che il digitaldivide verrà abbattuto con smartphone e tablet. Questo cree-rà il mercato del digitale perché creerà la domanda del digi-tale; quindi, anche se non siamo tutti nativi digitali, se non sa-premo rispondere a queste istanze saremo digital dead per-ché i consumatori richiederanno nuovi servizi e opererannocon chi è in grado di offrirli.

C’è anche un tema di risorse ed è importante fare due os-servazioni. Un primo ambito è che il settore spenderà maga-

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ri prospetticamente meno, ma attualmente spende unaquantità di risorse significativa nei sistemi informativi. Unadelle osservazioni è che forse dovremmo avere una maggio-re collaborazione con le industrie dell’ICT perché la mia sen-sazione è che in alcuni casi, una parte di ciò che viene sussi-diato riguarda anche i sistemi legacy. Le sfide per l’assicura-tore partono dalle cose più semplici, gli elementi di demate-rializzazione nei processi di cui si è già discusso. Partiamodell’assicurazione auto che è un po’ come il conto corrente,tutti ce l’hanno, quindi tutti sappiamo di cosa stiamoparlando. Si tratta ancora di un sistema in cui c’è un attestatodi rischio che viene inviato quando invece sembrerebbesemplice accedere a un data set dove vedere in ogni momen-to qual è l’attestato di rischio, però ci arriveremo. Siamo unodei pochi Paesi al mondo in cui c’è ancora il contrassegnocartaceo che si espone sul vetro dell’auto. Inutile dire che iltema della dematerializzazione è un tema indirizzato, sem-brerebbe la parte facile, ci stiamo lavorando e speriamo diarrivare al dunque. Occorre che tutti gli stakeholder faccianola propria parte, sempre a proposito di quanto siamo analo-gici o digitali nell’atteggiamento. Nella mia Compagnia fac-ciamo assicurazioni senza firmare il contratto, l’assicurazio-ne dell’auto si conclude col pagamento del premio. Abbiamoa suo tempo a lungo discusso con l’organo di vigilanza, alloraISVAP, su questo aspetto e abbiamo evitato complicazioniprocedurali grazie all’analogico cioè con il codice civile chestabilisce che l’assicurazione del contratto si regolarizza conil pagamento del premio. Siamo quindi riusciti a mantenereun’impostazione che evita completamente lo scambio e l’in-vio di carta, certo, con tutta una serie di caveat per evitareche questo dia luogo a comportamenti di carattere elusivo ospeculativo. Alcuni strumenti per far le cose ci sono, siamo

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Davide Passero

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tutti convinti che la carta non sia sempre la migliore delle so-luzioni possibili.

Venendo invece agli aspetti che presentano delle opportu-nità, per le banche, per le assicurazioni e in generale per la di-gitalizzazione, ricordo le risorse che verranno dalle attività dimarketing. Il marketing si sta sviluppando e digitalizzando; sitratta di miliardi di euro che si spostano e continueranno aspostarsi da applicazioni analogiche ad applicazioni digitali.Anche in questa area le assicurazioni, che sono investitori si-gnificativi, stanno investendo risorse per accompagnarel’evoluzione tecnologica. Il secondo aspetto – quello secondome principale per quel che riguarda le assicurazioni – è quel-lo dei big data. Le imprese di assicurazione vivono di gestio-ne dei dati e di algoritmi, quindi la nuova, arricchita disponi-bilità di dati fa sì che si aprano ulteriori possibilità e chi primae meglio saprà utilizzare queste informazioni avrà un vantag-gio competitivo evidente. Ci sono invece due elementi di at-tenzione che vanno analizzati: uno è quello della privacy chenon deve essere troppo restrittiva – anche se non credo nellavisione iperliberista che si era ventilata per la quale ormai sa-remmo tutti nudi di fronte al pubblico. Ci vuole un giustoequilibrio che permetta di fare business in maniera deontolo-gicamente impeccabile. È altrettanto importante da questopunto di vista che non si creino posizioni dominanti nella ge-stione dei dati. Questo è un tema che, seppur rilevante, è me-no considerato nonostante vi siano già oggi operatori in pos-sesso di dati che, se applicati al mondo delle assicurazioni –ma forse non solo a questo – potrebbero creare posizioni do-minanti. C’è infine la questione dell’accessibilità delle piatta-forme e della possibilità di rendere le piattaforme aperte e idati in qualche modo trasportabili. L’altro tema è quello deiservizi a valore aggiunto che possono essere abilitati su tali

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I presupposti per lo sviluppo di un mercato assicurativo digitale

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piattaforme: abbiamo parlato di black box, quindi di telemo-bilità, ma c’è anche il tema della telemedicina piuttosto chedei servizi in remoto per le assicurazioni di viaggio e molti al-tri ancora. Queste sono applicazioni, in particolare la blackbox per autovetture, di cui gli assicuratori sono potenzialiutenti; come tali sono molto interessati a come si configural’intera catena del valore che parte dai device: da chi producei device a chi trasporta i dati – l’operatore telefonico tipica-mente – al gestore delle piattaforme e ai gestori dei servizi diassistenza, e gli assicuratori sono molto interessati a che, inquesta catena del valore, siano evitati elementi di rigidità. Peresempio siamo stati consultati sulla definizione delle regole edei protocolli per quanto riguarda il tema delle black box, deiTsp e in merito alla portabilità tra unboundled devices e allagestione della piattaforma. Certamente il settore assicurativopuò dare un contributo in questo, credo però che sia oppor-tuno che delle configurazioni tecniche se ne occupi chi poiquesti strumenti li va concretamente a realizzare. Anche per-ché le applicazioni non sono prospetticamente solo per le as-sicurazioni, pensiamo alla mobilità sostenibile, alle smart ci-ties, ecc. Gli ambiti di possibile applicazione sono quindi ampie a questi tavoli non si dovrebbe ragionare come se l’assicu-ratore fosse l’unico dei possibili clienti da un lato e dei finan-ziatori dell’iniziativa dall’altro, perché si restringerebbe inu-tilmente il campo.

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Davide Passero

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3.5 Lo sviluppo dell’Information Technology

nella Pubblica Amministrazione

Gian Bruno Mazzi, SIA SPA

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Siamo in un momento di passaggio importante e unico:per la prima volta lo Stato italiano ha costruito un meccani-smo di governo dell’innovazione tecnologica e della diffusio-ne della tecnologia. Ha definito le priorità, ha individuato glistrumenti con cui avviare questo processo: l’Agenda Digitaleprima e l’Agenzia per l’Italia Digitale dopo. Non appena avràpiena operatività, il prossimo Governo dovrà definire un pia-no di massima che, come tutti i piani che si rispettino, dovràbilanciare obiettivi di medio e lungo periodo, facendo leva sulrafforzamento delle infrastrutture di base, l’uso degli stan-dard e la creazione di componenti comuni,con la capacità difornire a cittadini e imprese dei risultati apprezzabili nel bre-ve periodo, sfruttando il più possibile ciò che già esiste pernon trasformare questo programma di digitalizzazione in unprogramma misterioso che finisce nel dimenticatoio per anniprima che si raggiungano risultati concreti.

Concentro le mie osservazioni prevalentemente sulla PA.La spesa ICT della PA in Italia è la metà di quella tedesca,mentre la spesa ICT complessiva sul Pil è la metà di quellafrancese. Il lavoro che ha accompagnato la nascita dell’Agen-da Digitale ha rilevato nella PA l’esistenza di 1.500 database,4.000 data center, di cui solo 1.000 nella PA centrale. Questedebolezze, che si sono protratte nel tempo, limitati investi-

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menti e dispersione di risorse hanno comportato che il gover-no e lo sviluppo dell’automazione della PA siano stati ampia-mente carenti.

Una recente indagine della Commissione europea – checostruisce annualmente una digital score chart – ha evidenzia-to che dal 2010 al 2011 l’uso dei servizi di e-government daparte di cittadini e imprese è calato del 22%. Nonostante losforzo di automazione sia cresciuto, evidentemente il cittadi-no e le imprese si sono disamorati quando hanno visto chequesto processo di automazione non risponde realmente ailoro bisogni e spesso non funziona.

In questo contesto in cui le infrastrutture sono ancora for-temente carenti, ma rappresentano un presupposto fonda-mentale, mi vorrei soffermare su un aspetto specifico, quellodei pagamenti elettronici. Qualunque servizio la PA offra alcittadino e alle imprese o qualunque incasso debba gestire, adesempio un tributo o una multa, alla fine deve tradursi in unoscambio di denaro tra il cittadino o l’impresa e la PA, con il si-stema bancario come intermediario. Se guardiamo i pagamen-ti on-line per motivi commerciali attraverso siti italiani, questistanno continuando ad avere crescite esponenziali e hannoraggiunto nel 2011 complessivamente gli 8 miliardi; se guar-diamo i pagamenti effettuati on-line verso la PA sono soloqualche milione. Una dimensione ancora irrilevante, immate-riale rispetto all’enormità dei flussi di pagamento della PA.

L’integrazione tra il processo di erogazione del servizio equello di pagamento è vitale. È paradossale ad esempio chel’Agenzia delle Entrate non sia in grado di accettare un’entrataper alcuni tributi o bolli e che chieda ad altri canali – Poste e ta-baccai – di effettuare l’incasso in sua vece. Quindi, se prendia-mo atto che l’integrazione tra servizio e pagamento è una com-ponente fondamentale, che i cittadini che interagiscono on-line

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Gian Bruno Mazzi

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con la PA rappresentano ancora una porzione minima (solol’8%), probabilmente vale la pena – proprio per combinare ilmedio-lungo periodo con il breve – sfruttare al meglio quelloche già esiste per ottenere risultati tangibili nel breve periodo.

L’Agenzia Digitale ha sviluppato nel tempo un nodo per isistemi di pagamento, un Nodo di Pagamenti Spc che è l’in-termediario tecnologico tra tutta la PA centrale e locale e i si-stemi di pagamento, banche e istituti di pagamento. Si trattadi uno strumento importantissimo che può essere rapida-mente riempito di contenuti aggiuntivi, inducendo il cittadinoe le imprese a usare di più l’online anche nei rapporti con laPA. Questo presuppone che tale metodo risulti effettivamen-te più conveniente, perché è poco utile erogare servizi di pa-gamento che poi si dimostrano più complicati o meno effi-cienti del tradizionale ufficio postale.

La conclusione che si può trarre è quindi di proseguire, omeglio avviare in alcuni casi, la costruzione di infrastrutture dibase, la creazione di standard, il consolidamento della miriadedi entità che all’interno della PA gestiscono la componente di-gitale, cercando nel contempo di riempirle in tempi brevi diservizi on-line utili al cittadino e alle imprese e che risultinorealmente più convenienti e attraenti di quelli attualmente di-sponibili nel mondo reale. Bisogna quindi identificare in que-sto auspicato matrimonio, imprese/ICT/finanza, ambiti concre-ti, specifici che possano essere in tempi brevi di immediata uti-lità per il cittadino come il pagamento delle tasse scolastiche,i voucher INPS, la virtualizzazione dei bolli, ecc.

Il mio auspicio è che i due piani, il medio-lungo che co-struisce le fondamenta per il futuro, e il breve che sfruttal’esistente per dare primi risultati utili ed efficaci, possano es-sere affrontati in parallelo nel nuovo piano che l’Agenzia Di-gitale dovrà sviluppare.

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Lo sviluppo dell’Information Technology nella Pubblica Amministrazione

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3.6 Il venture capitale il finanziamento

di iniziative tecnologiche

Alessandra Bechi, AIFI

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Farò innanzitutto una panoramica sul ruolo del venture ca-pital in Italia per poi passare a descrivere le proposte di AIFI

per promuoverlo. Il settore complessivo del private equity eventure capital è costituito da 160 operatori che realizzano, inmedia, investimenti per un valore totale pari a circa 3 miliardidi euro all’anno, su 300 imprese obiettivo. Il numero non èvariato molto negli anni e da questo si capisce che – nono-stante il potenziale che potrebbe essere enorme, visto il no-stro tessuto produttivo – l’offerta di capitali di rischio non èancora sufficientemente sviluppata e diversificata per rispon-dere a tutte le esigenze. La nota dolente riguarda proprio ilsegmento più interessante per la discussione di oggi, che èquello del finanziamento delle start-up e delle nuove impreseinnovative, come evidenziato nella citata ricerca della Bancad’Italia. Il venture capital, attualmente, finanzia iniziative tec-nologiche e si sta muovendo anche verso ambiti in passatomeno esplorati, dalle telecomunicazioni al comparto biome-dicale. I numeri, tuttavia, sono ancora bassi, basti pensare chelo scorso anno sono stati effettuati solo 136 interventi da par-te di una decina di operatori. La buona notizia, rispetto alpassato, è che comunque c’è un network più stretto tra i varisoggetti; si citava prima il mondo – antecedente al finanzia-mento del venture capital – degli incubatori universitari, dei

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business angels e dei parchi scientifici, il mondo che in qual-che modo funge da primo anello della catena del finanzia-mento con capitale di rischio. Perché comunque anche neglialtri Paesi non sempre l’azienda nasce e si sviluppa solo gra-zie al venture capital, ma segue uno sviluppo graduale per ilquale entrano in gioco diversi attori del sistema. Se il networkcomincia a esserci, l’obiettivo seguente è: come svilupparlo ecome andare avanti? Noi ci siamo inseriti piuttosto benenell’ambito del programma dell’Agenda Digitale perché conl’ultimo Governo ci si è confrontati molto e si sono realizzatiinterventi concreti dal punto di vista legislativo. Nel decreto“Crescita-bis” ci sono molti elementi interessanti. AIFI, inparticolare, ha appoggiato gli incentivi agli investitori in start-up e in fondi di venture capital che investono in start-up. Que-sto è un buon punto di inizio, anche perché è mutuato dallepratiche di successo a livello internazionale. Aspettiamo i de-creti applicativi.

Quello che ci sarebbe piaciuto e che poteva aiutare ulte-riormente il settore, attraverso la crescita del numero di ope-ratori e la nascita di nuovi operatori focalizzati sulle start-upinnovative, sarebbe stata la creazione di un Fondo dei Fondi,come proposto anche nel Rapporto Restart Italia! del Mini-stro dello Sviluppo Economico. Non c’erano i capitali perrealizzarlo e non si è fatto più nulla. Dobbiamo però citarel’esempio virtuoso – pur con tutte le problematicità legate alsuo avvio – del Fondo High Tech per il Mezzogiorno, un fon-do di fondi che prevede la partecipazione del Governo con 86milioni di euro a quattro fondi privati di venture capital. Sco-po del fondo è quello di investire in start-up dedite a progettidi innovazione digitale per rispondere alla sfida di un Sud di-gitalizzato. Se tra il 2005 e il 2008 in tutto il Sud sono stati rea-lizzati solo 5 investimenti di tipo early stage, con le risorse del

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Alessandra Bechi

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Fondo HT siamo già passati a 21 investimenti, un risultatomolto positivo per queste Regioni. Possiamo quindi conclu-dere che pur con la necessità di rivedere alcune caratteristichedi questo modello – trattandosi di un primo esperimento – pernoi rimane valida la proposta di allargare a tutto il territorioNazionale il concetto del Fondo dei Fondi. Rimane nei nostridesideri, nel nostro manifesto, promuovere il finanziamentodelle start-up attraverso questo strumento che negli altri Paesiha dato esiti positivi. Le statistiche ci dicono che, anche in que-sto, il ritardo dell’Italia è notevole. Cito qualche dato sul 2011a livello europeo: mentre noi abbiamo avuto 78 imprese finan-ziate, la Germania ne ha avute 980, la Spagna 336 e la Francia371; hanno semplicemente fatto qualcosa di più a livello go-vernativo e pubblico.

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Il venture capital e il finanziamento di iniziative tecnologiche

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3.7 Banche e imprese insieme per la crescita digitale

Alberto Tripi, ALMAVIVA

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Vorrei ripartire dalla definizione di “industria del rispar-mio”. È ciò che Abete – nella sua duplice veste di Presidentedi BNL e di ex Presidente di Confindustria – ripete ogni volta,affermando che le nostre sono industrie quindi abbiamo lestesse esigenze, gli stessi obiettivi, gli stessi vincoli. Che benene venga. Parliamo di start-up, di aziende ma anche di proget-ti. Purtroppo, per avviare progetti ambiziosi oggi mancano lerisorse; la PA non è in grado di coprire tutte le necessità. Viracconto cosa mi è accaduto alla fine degli anni Ottanta: in-ventai l’automazione del gioco del lotto, che dal punto di vi-sta tecnologico era affascinante. Andai dal Capo di Gabinettodel Ministro delle Finanze che mi disse: “Caro Ingegnere, nonabbiamo una lira”. Allora andai dal Presidente di BNL, NerioNesi, e convinsi lui e altri due signori a fare un consorzio: ilConsorzio Lottomatica. Io investii 50 milioni di lire e ancheBNL investì 50 milioni e quando aderì all’Opa vendette la suapartecipazione a 120 milioni di euro. Ergo, se una banca agi-sce come industria qualcosa si smuove, infatti BNL non si fer-mò a finanziare ma seguì accuratamente questo progetto. Al-lora – qui riprendo il concetto che bisogna mettere insieme iPresidenti e gli Amministratori delle banche – è dal mondodella finanza, oltre che dalla Banca d’Italia, che deve ripartireil sistema. Le banche hanno perso la voglia di essere indu-

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stria. Le banche, dando la colpa a Basilea 2, a Basilea 3, allaBanca d’Italia, al Governo, al Ministro Grilli – la colpa è sem-pre di qualcun altro – hanno perso il gusto di fare industria.Il sistema bancario deve diventare un’altra volta industria eaffrontare con noi questi grandi progetti.

Quindi se il sistema bancario si riappropria del concetto diindustria e insieme alle imprese di questo settore sviluppagrandi progetti, il sistema fa un salto incredibile e non c’è bi-sogno di un Governo o di qualcuno che stanzi soldi, di un Mi-nistro che abbia il portafoglio. Servono solo soldi ben investitidalle banche per avere un pay back, non solo per avere inte-ressi. Riprendendo la mia diretta esperienza imprenditorialedel lotto, anch’io vendetti quando fu fatta l’Opa e investii isoldi nella mia azienda; adesso quest’azienda ha 30 mila di-pendenti. Quindi come vedete da questo connubio tra unabanca e altri partner c’è stato un vantaggio per 30 mila fami-glie. Allora se dal finanziamento delle start-up, si passa al fi-nanziamento di grandi progetti, a un finanziamento industria-le, a questo punto le banche possono cominciare a fare utile.Cominciamo a pensare che le banche possano diventare attoridi primo piano e che possano incassare da progetti nel campodella digitalizzazione come facciamo noi imprenditori.

Dunque, abbiamo l’Agenda Digitale che ci ha detto quan-te cose dobbiamo fare, abbiamo tante idee anche al di fuoridell’Agenda Digitale, abbiamo questa bella unione tra la Fe-derazione e Confindustria digitale, abbiamo quindi tutto unoscenario affinché questa cosa possa avvenire. Facciamo que-sta riunione con i Presidenti delle banche. Quindi se inqua-driamo normativamente – anche se credo che non ci sia biso-gno di tante norme – il project financing, potremmo portareavanti grandi progetti. Agiamo presto. Il sistema bancario de-ve essere il cardine di questa nostra nuova avventura.

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Alberto Tripi

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3.8 Il ruolo dell’Agenzia perl’Italia Digitale: l’esperienza

dei Fondi High Tech

Mario Dal Co, AGENZIA PER L’ITALIA DIGITALE -PRESIDENZA DEL CONSIGLIO

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Molti argomenti interessanti sono stati proposti che pos-sono essere raggruppati in due filoni riguardanti il rapportotra Finanza e Agenda Digitale.

Un primo filone investe il ruolo delle tecnologie ICT per losviluppo di un mercato più fluido ed efficiente, più competi-tivo e innovativo. I temi sono quelli della dematerializzazionedei flussi di pagamento, della digitalizzazione delle identità edello sviluppo dell’e-commerce. In quest’area l’Agenda Digi-tale fornisce i prerequisiti infrastrutturali e tecnologici per losviluppo di questi nuovi servizi e per assicurare competitivitàe sicurezza. Da questo punto di vista, Agostino Ragosa – ilDirettore Generale dell’Agenzia – ha delineato fin dal mo-mento della sua nomina, l’approccio strategico dell’Agenziabasato sulla costruzione di una infrastruttura digitale che co-pra gli strati tecnologici (technology stack) che devono assi-curare la standardizzazione, l’economicità e la sicurezza delsistema pubblico di rete di connessione e di erogazione deiservizi.

Intendo soffermarmi sul secondo filone che investe l’impor-tante ruolo che il sistema finanziario può svolgere per la cresci-ta del settore ICT e quindi per favorire la realizzazione del-l’Agenda Digitale. Si tratta del finanziamento dell’innovazione,in particolare attraverso il venture capital, di cui molto si parla.

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I Fondi High Tech per il Mezzogiorno

Prendiamo un esempio poco noto, ma assai avanzato, dipolitica per lo sviluppo delle imprese innovative nel Mezzo-giorno: i Fondi HT. Si tratta di un bando innovativo per pro-muovere il cofinanziamento pubblico-privato degli investi-menti delle Pmi innovative. L’iniziativa, che ho seguito diret-tamente come Comitato di Pilotaggio e Controllo, ha avutosuccesso, nonostante il difficile momento economico, le diffi-coltà dell’area interessata, e soprattutto l‘inesperienza dellaPA a gestire strumenti innovativi. Uno dei motivi del successodell’iniziativa consiste nella scelta di attribuire alle Sgr aggiu-dicatarie la gestione degli investimenti (tutte le fasi, dalloscouting alla valutazione al finanziamento all’eventuale fol-low on). Il ruolo dell’amministrazione pubblica, oltre a ren-dere disponibile un ammontare di fondi da gestire pari aquelli raccolti da ciascuna Sgr sul mercato, è limitato alla ve-rifica della coerenza degli investimenti decisi dalle Sgr e almonitoraggio dell’andamento della misura. Quest’ultima at-tività si è rivelata come la più critica: le 4 Sgr aggiudicatariedella selezione in due casi hanno manifestato problemi diconvivenza tra i soci privati e i sottoscrittori privati dei fondi.In un caso, tali difficoltà sono state superate, con un cambia-mento di management, ma ciò ha portato a una perdita diquasi due anni di attività. Nell’altro caso il funzionamentodella Sgr si è bloccato senza riuscire a realizzare investimenti.La capacità di intervento della Pubblica Amministrazione inquesti frangenti si è rivelata assai scarsa per due ordini di mo-tivi: lentezza delle decisioni burocratiche per eccessivi impac-ci dei controlli formali e inadeguata disponibilità di compe-tenze professionali.

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Mario Dal Co

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I risultati

Quali sono i risultati dei Fondi High Tech valutati al mo-mento in cui si chiude il periodo di investimento?

Vediamoli in modo sintetico:1. Su quattro Sgr aggiudicatarie, hanno operato solo tre, men-

tre una si è paralizzata e non ha utilizzato i fondi. Ma il mo-dello è abbastanza solido da non trasformare questo insuc-cesso in una perdita dei relativi fondi che possono essererecuperati per diversa destinazione. Questo richiede unagestione e un controllo attento dell’attività delle Sgr, senzainterferire con la politica di investimento delle stesse.

2. Sono stati effettuati investimenti per oltre 80 milioni dieuro, lasciando quindi una parte dei fondi non utilizzata(circa il 40%, sia perché una delle Sgr non li ha investiti,sia per i ritardi iniziali di una seconda Sgr, come si è det-to). Anche qui i fondi non investiti non sono persi, mapossono rientrare in un nuovo bando con caratteristicheanaloghe e semplificate nella gestione e nel controllo.

3. Gli investimenti effettuati hanno creato oltre 700 nuoviposti di lavoro, con un rapporto investimento per addettodi circa 110 mila euro.

Conclusioni

Quali insegnamenti possono trarsi dall’esempio dei FondiHigh Tech per il Sud?1. Lo strumento presenta il grande vantaggio di essere ge-

stito con criteri di mercato e di non comportare perditenel caso di insuccesso nell’avvio da parte di una Sgr affi-dataria. Questo non significa che gli investimenti sianotutti di successo, ma il loro bilanciamento tra successi einsuccessi sarà quello medio di mercato.

2. Lo strumento va semplificato nella parte del controllo,

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Il ruolo dell’Agenzia per l’Italia Digitale: l’esperienza dei Fondi High Tech

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Mario Dal Co

sia con riferimento ai settori e alle tipologie di imprese,sia riconoscendo i costi di scouting come percentuale fis-sa delle spese di gestione. Senza dover controllare pun-tualmente i rendiconti delle diverse Sgr (che si compor-tano ovviamente in modo diverso l’una dall’altra, ponen-do insolubili problemi di equità di trattamento), si ottie-ne che vengono premiate le Sgr più efficienti e penalizza-te quelle meno efficienti.

3. Vanno mantenute alcune caratteristiche finanziarie dellostrumento: la quota del 50% del fondo a carico pubblico,a fronte della raccolta realizzata dai privati e il cap sulrendimento dell’investimento pubblico: in tal modo gliincentivi alla raccolta di fondi privati sono mantenuti, no-nostante il settore ad alto rischio in cui verranno realiz-zati gli investimenti. Per dirla in altro modo: se un fondopensione, che normalmente è avverso al rischio, aderiscea uno schema di venture capital, ciò avviene (ed è effetti-vamente avvenuto) solo perché vi sono queste clausoleche il fondo stesso legge come “riduzione di rischio” do-vuta all’intervento dell’operatore pubblico.

4. Va semplificata la gestione della fase finale del periododi investimento, nella quale le Sgr non deliberano più, mapossono effettuare il follow on, che andrebbe legato allapossibilità del pubblico di uscire dall’investimento, libe-rando in tal modo i fondi non utilizzati. In questo modo,la disponibilità dei fondi non impegnati consentirebbe dilanciare un nuovo bando, con una nuova sottoscrizioneda parte privata e con nuove Sgr da impegnare per il suc-cessivo periodo di investimento. Si tratta, in sostanza, ditrasformare lo strumento in un fondo rotativo, che si au-toalimenta nel tempo.

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4. IL PUNTO DI VISTA DI

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L’Agenda Digitale è un cantiere aperto: qualcosa si stamuovendo, molto resta da fare; sarà fondamentale dare rapi-do impulso alle attività in autunno per rispettare le scadenzee i piani ipotizzati.

Dotarsi di una “to do list digitale” è un’indicazione forteche viene direttamente dall’Europa: la Commissione europeanel maggio 2010 ha infatti indicato l’Agenda Digitale comeuna delle sette iniziative faro della strategia Europa 2020.L’idea di fondo è sfruttare al meglio il potenziale delle tecno-logie dell’informazione e della comunicazione per favorirel’innovazione, la crescita economica e il progresso.

A livello nazionale, la riduzione del gap competitivo delPaese richiede un’azione forte, immediata e concertata daparte di tutti i principali attori interessati, sia pubblici che pri-vati, in modo da allineare gli interessi in gioco e sfruttare tut-te le leve in maniera sinergica.

In un simile scenario, il settore bancario è naturalmentechiamato a svolgere un ruolo importante e ad assumersi re-sponsabilità rilevanti nel contribuire alla digitalizzazione delSistema Paese.

In linea con questo orientamento, l’ABI ha quindi predi-sposto nel marzo 2012 l’Agenda Digitale per l’industria ban-caria.

4.1 L’industria bancaria

Giovanni Sabatini, ABI

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Le indicazioni e i suggerimenti che vi sono contenuti han-no l’obiettivo di accelerare il processo di digitalizzazione inatto, con importanti ricadute anche su altri settori dell’econo-mia. In particolare, all’interno dell’Agenda, sono state indivi-duate tre iniziative sulle quali risulta prioritario intervenire eche si caratterizzano per la loro interconnessione reciproca:normativa digitale “amichevole”, ecosistema digitale pubbli-co, stimolo verso comportamenti digitali.

Si ritiene, invero, che queste macro aree di intervento pos-sano agire positivamente sui principali vincoli alla digitalizza-zione che ancora adesso rimangono principalmente focaliz-zati su temi di carattere normativo, comportamentale e tec-nologico.

Le banche dimostrano una grande attenzione verso il raf-forzamento dei comportamenti digitali della clientela, comeemerge da una indagine di inizio 2013 in cui ABI Lab, attra-verso il suo Consiglio Direttivo, ha analizzato il “sentiment”sui temi dell’Agenda Digitale.

Contestualmente è emersa, come dicevamo, una qualchedisaffezione per queste tematiche a seguito delle aspettativenon raggiunte negli anni passati che potrebbe però, ora, fun-gere da stimolo per portare avanti le attività in maniera piùadeguata con tempistiche rapide e più efficienti.

La priorità più avvertita è la rimozione degli ostacoli nor-mativi che rappresentano, ad oggi, un freno al pieno sviluppodella digitalizzazione nei rapporti banca-cliente. In tale dire-zione si iscrive ad esempio il forte interesse per i nuovi stru-menti di identificazione remota del cittadino e su un più am-pio uso di apparati di pagamento elettronici.

Qualcosa si muove, si è accennato in apertura. E il settorebancario intende cogliere a pieno tutte le iniziative normati-ve già sviluppate. In particolare, la legge “Crescita 2.0” e il

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Giovanni Sabatini

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decreto del Fare hanno creato numerose opportunità chepossono ora concretizzarsi anche grazie al diretto coinvolgi-mento operativo delle banche.

L’ABI, in rappresentanza del comparto finanziario, ritienequindi prioritaria la collaborazione con la cabina di regia del-l’Agenda Digitale per costruire un dialogo strutturato in me-rito ai punti aperti e ai prossimi passi riguardanti il tema delladigitalizzazione. Tale opportunità potrà integrare l’interazio-ne progettuale già attiva con l’Agenzia per l’Italia Digitaleper lo sviluppo e la realizzazione dei temi previsti negli ultimidecreti.

Come prossimi passi sarà importante, oltre a monitorarele fasi attuative e progettuali delle norme connesse all’Agen-da Digitale, comprendere cosa il settore bancario potrà anco-ra fare per dare impulso alla digitalizzazione a “regole co-stanti” ovvero con la legislazione vigente.

Infine, in termini più generali, un ultimo aspetto che rive-ste un carattere di concretezza operativa, e che quindi puòrappresentare la “chiave per accendere il motore dell’Agen-da Digitale”, consiste nell’affrontare gli aspetti legati al fi-nanziamento degli investimenti in infrastrutture tecnologicheper le PA e le possibili agevolazioni per investimenti ICT in ri-cerca e sviluppo da parte delle aziende.

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L’industria bancaria

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L’industria assicurativa vuole fornire un contributo signi-ficativo al processo di diffusione della tecnologia digitale,promuovendo l’innovazione sia sul fronte della gestione in-terna sia su quello delle relazioni con gli assicurati.

L’importanza della tecnologia nel settore assicurativo ètestimoniata dal fatto che le principali innovazioni negli ulti-mi due decenni, sia di prodotto sia di processo, sono state de-terminate dallo sviluppo tecnologico. Basti pensare alla cre-scente diffusione dei canali di vendita diretta, che ha avutoun impulso decisivo in tutta Europa grazie all’utilizzo semprepiù ampio di Internet. Oppure al lancio di nuovi prodotti, piùarticolati e meglio calibrati sui profili di rischio e sui bisogniassicurativi dei clienti, grazie alla maggiore disponibilità didati resa possibile dalle nuove tecnologie.

È facile prevedere che l’evoluzione tecnologica continue-rà, anche in futuro, a esercitare un notevole influsso sull’indu-stria assicurativa.

La tecnologia digitale, in particolare, è destinata a influen-zare l’operatività delle imprese assicuratrici, consentendouna gestione più efficace delle diverse aree di business e unmigliore rapporto con la clientela.

Sotto il primo profilo, ormai, l’enorme massa di dati dispo-nibili richiede un approccio unitario alla gestione dei dati, su-

4.2 L’industria assicurativa

Aldo Minucci, ANIA

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perando le logiche basate su una segmentazione secondo lediverse funzioni aziendali. Serve un approccio globale, checonsideri i dati – e gli strumenti per elaborarli – come ele-mento fondamentale della catena del valore e permetta mi-glioramenti significativi nell’intera gestione aziendale. Sottoil secondo profilo, la tecnica digitale offre l’opportunità ditrasformare la relazione con una clientela sempre più evolutada una semplice transazione a un’interazione personalizzata,a forte contenuto informativo e formativo.

Anche gli sviluppi regolamentari avranno un impatto rile-vante: basti pensare a Solvency II, la futura normativa euro-pea in materia di solvibilità e di vigilanza prudenziale, la cuiportata innovativa sta provocando un profondo ripensamen-to sia delle basi di dati necessarie per una gestione efficacedei rischi sia dei sistemi informativi da utilizzare per le rela-tive elaborazioni.

Ma, in attesa di Solvency II, progetto destinato a occuparel’agenda delle nostre imprese nei prossimi due/tre anni, vor-rei ora soffermarmi su alcuni dossier più urgenti, su cui l’in-dustria assicurativa italiana è fortemente impegnata e chestanno richiedendo cospicui investimenti.

Mi riferisco ad alcuni aspetti centrali per l’operatività del-le imprese, che hanno costituito, di recente, oggetto di inter-vento normativo e/o regolamentare: web insurance, blackbox, dematerializzazione dei documenti assicurativi, poten-ziamento dell’attività antifrode.

Per quanto concerne la web insurance, la legge n.221/2012, di conversione del decreto “Crescita-bis”, ha stabi-lito l’obbligo di predisporre apposite aree sui siti internet del-le imprese, per rendere accessibile ai contraenti la consulta-zione delle polizze sottoscritte, la verifica dello stato dei pa-gamenti e delle relative scadenze, nonché il controllo dei va-

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Aldo Minucci

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lori di riscatto e delle valorizzazioni aggiornate nell’ambitodelle polizze vita.

La finalità della norma è quella, naturalmente, di favorireuna più efficace gestione dei rapporti assicurativi, valorizzan-do il canale di comunicazione telematico quale strumento peraccrescere la trasparenza e rendere più diretti i contatti fraimprese e assicurati.

Si tratta di un’innovazione importante, su cui peraltro leimprese assicuratrici stavano già lavorando, attraverso il pro-gressivo arricchimento dei propri siti Internet in favore diuna maggiore interazione con la clientela. L’intervento dellegislatore, comunque, ha impresso una forte accelerazionealle varie iniziative già avviate dal mercato.

Anche per quanto riguarda l’utilizzo della scatola nera(black box) gli sviluppi del mercato si intrecciano con le ini-ziative del legislatore.

Già da diversi anni, infatti, alcune imprese hanno promos-so coperture assicurative RC auto che prevedono l’utilizzodelle scatole nere al fine di favorire comportamenti più pru-denti alla guida e disporre, nel contempo, di maggiori flussiinformativi utili per la ricostruzione della dinamica del sini-stro e per la personalizzazione del profilo di rischio (polizzelegate allo stile di guida e alla percorrenza).

Il tema ha assunto grande attualità dopo la conversione inlegge del cosiddetto decreto “Liberalizzazioni” del 24 gennaio2012, che ha previsto, al fine di incentivarne l’utilizzo, il dirittodegli assicurati a una significativa riduzione del premio qualo-ra acconsentano all’installazione di scatole nere. È stato altre-sì stabilito che tutti i costi di impianto e di gestione di tali di-spositivi siano a carico delle imprese di assicurazione.

La posizione dell’industria assicurativa è che l’utilizzo diquesti strumenti debba essere incentivato, per i benefici che

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L’industria assicurativa

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deriverebbero all’intero sistema assicurativo e non solo, sen-za però l’imposizione di limiti alla libertà contrattuale delleparti. Occorre, in particolare, evitare l’introduzione di obbli-ghi che potrebbero, in ultima istanza, ostacolare – anzichépromuovere – la diffusione delle scatole nere.

Una prospettiva percorribile – da coordinare in sede eu-ropea – potrebbe essere quella di dotare tutte le nuove auto-vetture del dispositivo in questione. Già oggi, come ho accen-nato, l’utilizzo delle scatole nere permette a tanti cittadini diottenere prezzi migliori, in quanto riduce la possibilità dicomportamenti illeciti. Un utilizzo ampio e diffuso comporte-rebbe minori costi per l’intero sistema.

Considerata l’importanza del tema (pensiamo anche aiprofili di tutela della privacy), ANIA ha chiesto la riaperturadi un tavolo tecnico al fine di riconsiderare tutta la relativadisciplina attuativa. Tra gli obiettivi vi è quello di arrivareall’approvazione di un modello di black box omogeneo, risol-vendo le problematiche tecniche che oggi ne frenano, adesempio, la portabilità.

Un’ulteriore area in cui la tecnologia svolge un ruolo cru-ciale e in cui – ancora – l’intervento del legislatore si affiancaalle iniziative già intraprese dal mercato è quella della dema-terializzazione dei documenti assicurativi, in primis il con-trassegno e l’attestato di rischio.

La dematerializzazione, infatti, è stata prevista dalla leg-ge di conversione del citato decreto “Liberalizzazioni”. Perquanto concerne più nello specifico il contrassegno, è statopredisposto uno schema di decreto ministeriale che prevedela progressiva, totale sostituzione dei documenti cartaceicon sistemi elettronici e telematici, che dovranno consentirela verifica della regolarità della copertura assicurativa tra-mite la consultazione di banche dati, utilizzando anche i di-

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spositivi di controllo a distanza dei veicoli previsti dal codi-ce della strada. Occorre sottolineare che la realizzazione ditale progetto eliminerebbe alla radice un problema che stadiventando di portata sempre più ampia, ossia quello dellamancata assicurazione di milioni di veicoli in circolazione.

ANIA aveva avviato già più di due anni fa, in via volonta-ria, un progetto di dematerializzazione della documentazioneRC auto. Dopo il varo del decreto “Liberalizzazioni”, l’Asso-ciazione ha intensificato le attività di sensibilizzazione neiconfronti delle imprese per la messa in opera degli interventistrategici e operativi necessari a completare il processo di im-plementazione delle banche dati SITA (coperture assicurativer.c. auto) e SITA-ATRC (attestati di rischio).

È opportuno che venga al più presto completato il quadronormativo, in modo da introdurre senza indugio un’innova-zione che, oltre a consentire un risparmio di costi, rappresen-ta un importante strumento nella lotta alla contraffazione.

Infine, più in generale, è il complessivo tema della attivitàantifrode che presenta strette relazioni con lo sviluppo dellatecnologia.

La disponibilità in tempo reale di dati aggiornati, la crea-zione di archivi integrati, l’installazione di dispositivi di mo-nitoraggio dei comportamenti alla guida sono tutte iniziativerese possibili dallo sviluppo tecnologico e in grado di dare uncontributo significativo alla prevenzione di fenomeni crimi-nosi che, purtroppo, incidono pesantemente sul funziona-mento del “sistema RC auto” in Italia.

Anche in questo campo si sono registrati recenti sviluppisul fronte normativo: il decreto “Crescita-bis”, infatti, ha at-tribuito all’IVASS le competenze per la prevenzione delle fro-di nel settore dell’assicurazione RC auto.

Per lo svolgimento dell’attività antifrode, l’IVASS si avvarrà,

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oltre che della propria banca dati sinistri r.c. auto, di un archivioinformatico integrato, connesso con una serie di banche datipubbliche e private, che dovrebbe evidenziare alle imprese as-sicuratrici che si connetteranno al servizio l’esistenza di even-tuali indicatori di anomalie (ad esempio, il fatto che certi nomi-nativi o certi autoveicoli ricorrano con particolare frequenzanei casi di sinistro), utili nella prevenzione delle frodi in fase siadi assunzione del rischio sia di liquidazione del sinistro.

L’integrazione delle fonti informative, come ho accenna-to, è un passo fondamentale ed era atteso da tempo. Per for-nire un contributo utile alla definizione della disciplina rego-lamentare riguardante la prevenzione delle frodi, ANIA hacondotto un’analisi di benchmarking internazionale sullestrutture antifrode e un’analisi a livello nazionale sul sistemadi prevenzione adottato in materia di antiriciclaggio.

È stato inoltre definito un possibile modello organizzativoda utilizzare per ottimizzare i rapporti di collaborazione traimprese assicuratrici, Autorità di Vigilanza e Forze di poliziae rendere quindi realmente efficace l’azione antifrode nonsolo in sede di prevenzione, ma anche di repressione dei com-portamenti criminosi.

Ho cercato, in queste poche pagine, di mettere in evidenzal’importanza che la tecnologia riveste per il settore assicura-tivo e le iniziative che sono state intraprese in alcune aree digrande rilevanza.

Gli investimenti delle imprese assicuratrici in questo cam-po sono stati cospicui in passato e continueranno a esserlo infuturo, essendo lo sviluppo tecnologico alla base dell’efficien-za e del successo sul mercato.

Anche l’industria assicurativa, dunque, intende svolgere ilproprio ruolo nel processo di modernizzazione del Paese.

L’auspicio è che si proceda in tempi ragionevoli all’attua-

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Aldo Minucci

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zione delle misure previste dall’Agenda Digitale: ne derive-rebbero enormi benefici per le famiglie e per il sistema pro-duttivo. Sarebbe un passo decisivo per rafforzare la competi-tività dell’Italia.

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4.3 L’industria del risparmio gestito

Manuela Mazzoleni, ASSOGESTIONI

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L’industria del risparmio gestito è un’industria fortementecaratterizzata dall’utilizzo dell’Information Technology siaper quanto riguarda la gestione dei processi interni sia perquanto riguarda i flussi informativi tra gli attori chiave.

Il maggior sforzo di automazione è stato compiuto al-l’inizio dello scorso decennio con investimenti che nel girodi pochi anni hanno visto aumentare di oltre il 50% il pesodell’IT sui bilanci delle Sgr italiane e hanno portato la spesatotale IT del settore stabilmente intorno ai 100 milioni di eu-ro annui con un’incidenza dell’oltre 11% sul totale dei costioperativi.

Questo quadro è dovuto alla storia del settore ma anchealle forze che ne hanno influenzato l’evoluzione. La naturadel business in sé, la relativa giovane età dell’industria natasenza il gravame di consolidati processi manuali, uno staffmediamente giovane e altamente qualificato sono tutti fatto-ri che hanno sicuramente contribuito a definire un’industriain cui i sistemi informativi svolgono un ruolo fondamentale.

Due fattori hanno poi contribuito a stimolare ulterior-mente l’investimento in IT in questi anni: il frequente adegua-mento normativo da una parte e l’apertura del mercato e lasfida competitiva proveniente anche dai concorrenti esteridell’altra.

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I carichi informativi imposti dalla normativa antiriciclag-gio o la modifica del regime fiscale sui fondi – per citare solodue casi – hanno senz’altro imposto al settore forti investi-menti nel settore IT; i crescenti requisiti di reporting, traspa-renza e mitigazione del rischio generati dalle due normativeEmir e MiFid/Mifir attualmente in via di applicazione spin-gono anch’essi nella medesima direzione.

Accanto a quegli investimenti “reattivi”, derivanti cioèdall’implementazione del dettato normativo, ci sono stati econtinuano a esserci investimenti che scaturiscono dall’esi-genza di rispondere ai bisogni del mercato. La concorrenzaha infatti costituito un driver all’investimento IT tramite laspinta da una parte all’innovazione di prodotto e alla modifi-ca delle modalità di offerta, dall’altra alla riorganizzazione eall’efficientamento dei processi per una riduzione dei costi edei rischi operativi.

Il successo dell’industria del risparmio gestito, non diver-samente da molti altri settori, dipende anche dalla capacità diinnovare e di adeguarsi alle richieste di una clientela checambia. In una fase in cui il processo di consulenza diventasempre più rilevante è importante per chi si interfaccia con ilcliente poter utilizzare strumenti agili e in linea con le abitu-dine del cliente. Pc, tablet, smartphone si stanno configuran-do come veicoli fondamentali per rapportarsi con un investi-tore sempre più abituato all’utilizzo di questi strumenti. Si staassistendo infatti allo sviluppo di un’ampia offerta di applica-zioni che supportano e arricchiscono l’interazione con l’inve-stitore. Ad esempio, grazie a queste applicazioni, tablets concontenuti interattivi possono essere utilizzati durante gli in-contri con l’investitore e anche successivamente per offrireinformazioni e assistenza.

Ma non è solo il punto di contatto tra offerta e cliente – sia

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Manuela Mazzoleni

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esso sportello bancario, promotore finanziario o sito Internet– che deve essere all’altezza e al passo con la domanda chearriva da un cliente sempre più “informatizzato”; è l’interacatena del valore che deve diventare sempre più dinamicamantenendo però sotto controllo costi e rischi operativi, uti-lizzando in modo efficace quanto offerto dagli strumenti in-formatici e dalle reti.

In questo contesto si inserisce il processo di standardizza-zione dell’operativa dell’industria che vede impegnati societàdi gestione del risparmio, collocatori e banche depositarie. Èun tipo di processo che non tanto, o non solo per i contenuti,ma piuttosto per i problemi e le sfide che ha posto e sta po-nendo e per gli strumenti adottati, può essere letto, in piccolo,come un laboratorio della migrazione verso il digitale di si-stemi più grandi e più complessi.

Si tratta di un’iniziativa nata nel 2010 su sollecitazionedell’Autorità di Vigilanza per rendere più facile la creazionedi nuovi rapporti distributivi per i prodotti del risparmio ge-stito e rendere così più dinamica l’industria. Lo strumentoper raggiungere questo obiettivo è stato individuato da Auto-rità di Vigilanza e rappresentati dell’industria nella standar-dizzazione dei processi e della modalità automatizzata discambio dei flussi informativi tra gestore, distributore e servi-ce provider. Il progetto è partito dall’individuazione di bestpractice condivise nella gestione dei processi e dall’elabora-zione di linee guida per la standardizzazione dell’operatività.

Una volta definiti gli standard, l’industria ha intrapreso –dapprima con l’aiuto di un manipolo di operatori cosiddettipilot e poi con il coinvolgimento progressivo di tutti i maggio-ri player del mercato italiano – un percorso di migrazione, ov-vero di implentazione degli standard. Le aree inizialmente in-vestite da questo processo sono state relative ai processi or-

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Manuela Mazzoleni

ganizzativi, ai flussi informativi e alla messaggistica ISO ri-guardante l’apertura dei rapporti con l’investitore, l’invio de-gli ordini di sottoscrizione e rimborso, i trasferimenti e ilFund Processing Passport. Successivamente il perimetro èstato esteso – su iniziativa esclusiva degli operatori e senzabisogno di ulteriore sollecitazione da parte delle Autorità diVigilanza – anche all’area relativa ai movimenti di iniziativa,alle riconciliazioni e, più di recente, di adeguamento alla nor-mativa Fatca.

È interessante notare come il processo non sia stato facilesoprattutto all’inizio quando negli operatori, che pur condivi-devano per linee generali gli obiettivi dell’iniziativa – effi-cientamento dei costi, apertura di mercati, riduzioni dei rischioperativi –, prevalevano la preoccupazione per gli ingenti in-vestimenti necessari e l’impegno di risorse IT già a pieno re-gime. A ciò si accompagnava la preoccupazione di essere iprimi a partire – sopportando i costi e i rischi tipici degli earlyadopter senza godere dei benefici che si manifestano soloquando il tasso di adozione delle nuove pratiche consente diraggiungere una massa critica. La natura sistemica dei pro-cessi operativi in questione rendeva necessario infatti un ap-proccio coordinato e simmetrico di più operatori.

A queste difficoltà si affiancavano le resistenze non tantolegate a un’ostilità culturale verso l’automazione quantopiuttosto a un disallineamento tra il tipo di automatizzazionegià raggiunto pochi anni or sono – grazie a pesanti investi-menti – e quanto richiesto dai nuovi standard in elaborazio-ne. Per quanto riguarda il settore del risparmio gestito ci tro-viamo infatti di fronte a una sorta di seconda digitalizzazione,dopo quella dei primi anni 2000: già prima dell’elaborazionedelle Linee Guida, il settore e i processi oggetto della stan-dardizzazione avevano infatti raggiunto un elevato livello di

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automazione dei processi interni e di comunicazione tra Sgre banche dello stesso gruppo (prossimo al 100%) ma un livel-lo di standardizzazione assai basso e conseguente bassa “in-teroperabilità” tra società appartenenti a diversi gruppi. Se laprima ondata di investimenti IT era scaturita dall’industriagrazie alla spinta competitiva, la seconda ha avuto un’etero-genesi ed è stato necessario lo stimolo delle Autorità di Vigi-lanza. Superare queste difficoltà – ovvero superare la resi-stenza a muoversi quando, per lo meno nella fase iniziale, nonè evidente e immediato il ritorno per il singolo – è un ostaco-lo che non riguarda solo la standardizzazione dell’operativi-tà, ma è senz’altro una sfida che anche il sistema paese deveaffrontare nel cammino verso la digitalizzazione.

Nelle esperienze dell’industria del risparmio gestito, è sta-ta ed è ancora necessaria l’azione di una molteplicità di fatto-ri e la collaborazione di tutti gli agenti coinvolti perché la sfi-da sia vinta e gli ostacoli siano superati. La combinazione dimoral suasion da parte delle autorità – perseveranti e coeren-ti nel continuare a indicare la strada da percorrere – insiemeall’azione di facilitazione e di coordinamento svolta da partedelle associazioni di categoria è stata fondamentale non soloper avviare il processo ma anche per continuare a spingerlosui binari intrapresi e rimuovere gli ostacoli che di volta involta si sono incontrati; d’altro canto tali sforzi sarebbero sta-ti vani senza l’impegno e la buona volontà degli operatori piùlungimiranti che hanno saputo cogliere le opportunità che lenuove modalità di gestione dei processi potevano offrire.

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5. QUALE ROAD MAP?

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La testimonianza diGiovanni Pirovano

MEMBRO DEL COMITATO DI PRESIDENZA ABI

CON DELEGA ALL’INNOVAZIONE TECNOLOGICA

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Dott. Pirovano, per superare la crisi si parla molto di innovaree di innovazione. Cosa ci può dire sul tema?

In questi anni di difficoltà sia a livello istituzionale che a li-vello produttivo, il tema dell’innovazione rappresenta una le-va importante per realizzare cambiamenti che consentano direcuperare competitività e spingere le imprese verso una nuo-va crescita. Il progresso tecnologico, da un lato, e i nuovi mo-delli organizzativi dall’altro, hanno reso possibile negli ultimidecenni lo sviluppo di efficienza e la flessibilità nell’economiadei servizi. Tuttavia è importante continuare a promuovere ea sostenere forme di innovazione trasversali che vedano coin-volti diversi settori economici (dalla finanza all’industria ICT),centri di ricerca, enti, università e Pubblica Amministrazioneanche attraverso la partecipazione a network e communityper la condivisione di esperienze e competenze.

Lei è membro del Comitato di Presidenza dell’ABI con dele-ghe per l’innovazione. Cosa può dirci sull’attenzione verso iltema da parte del settore bancario?

In questa testimonianza, posta a chiusura del volume, il dr. Giovanni Pi-rovano, rispondendo ad alcune domande poste dalla FeBAF, fa il puntosulle nuove frontiere dell’innovazione bancaria, sui suoi principali ambitidi sviluppo e sul ruolo delle banche italiane e dell’ABI.

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In un contesto di mercato in continua evoluzione, anche leesigenze della utenti si stanno modificando: si sta assistendoa un rapido incremento delle loro competenze e all’evoluzio-ne del panorama che li circonda. A titolo esemplificativo, ne-gli ultimi anni la diffusione di smartphone e tablet ha permes-so alla clientela di usufruire dei servizi bancari ovunque essasi trovi: risulta strategico quindi soddisfare ogni richiesta at-traverso la diversificazione delle modalità di offerta di pro-dotti e servizi, in modo da essere sempre competitivi. L’inno-vazione, pertanto, rappresenta per le banche un driver rile-vante per definire nuove strategie interne e anticipare le esi-genze di una clientela in trasformazione, sempre più compe-tente e orientata a riconoscere nuovi prodotti e servizi inte-grati con i distretti territoriali e la comunità di appartenenza.Ma l’innovazione in ambito bancario non è solo tecnologica:la relazione con le imprese, lo sviluppo del territorio e l’im-pegno per il sociale sono i punti di forza sui quali le banchefanno leva per i propri progetti innovativi, così come la foca-lizzazione verso il miglioramento dei processi interni e l’in-cremento della multicanalità.

Se dovesse quindi identificare le nuove frontiere dell’innova-zione bancaria, questi ultimi aspetti potrebbero rappresentarei principali ambiti di sviluppo?

In parte sì. Al pari degli altri settori industriali, il progres-so tecnologico ha enormi risvolti sull’attività bancaria, in tuttii suoi ambiti: consapevole di tale evidenza, il settore bancarioinveste più di 4 miliardi di euro in tecnologie ogni anno. Ciòa cui si sta assistendo è un progresso tecnologico tout-court:si colgono, come dicevamo, sempre più proposte di prodotti eservizi innovativi, iniziative all’avanguardia volte a snellire iprocessi interni delle banche, nuove modalità di comunica-

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zione con i diversi attori operanti nel mondo bancario. In particolare, sul versante dei canali si evidenzia un impe-

gno in termini di potenziamento dei servizi on-line verso laclientela e di miglioramento del grado di integrazione con unnumero rilevante di iniziative dedicate al mobile banking.

Per quanto riguarda invece il miglioramento e l’adegua-mento dei sistemi IT e TLC, si denota un impegno rilevantenelle iniziative di consolidamento e virtualizzazione, nelle at-tività di sostituzione anche parziale dei sistemi di core ban-king e nell’evoluzione degli strumenti di business intelligen-ce. Possiamo inoltre riscontrare un interesse notevole per leopportunità che potrebbero derivare dall’adozione di model-li di cloud computing.

Anche per le attività relative ai processi interni, si confer-ma il costante e forte impegno per le iniziative di demateria-lizzazione, accompagnato da un livello di attenzione per leiniziative di ristrutturazione dei processi e di efficientamentodei back office.

A completamento del quadro globale, si rileva la presenzadi molte iniziative legate alle problematiche di sicurezza, inparticolare con riferimento alla sicurezza dei canali remoti,alla business continuity, e alla sicurezza dei dati e delle appli-cazioni.

L’Associazione Bancaria Italiana come si sta muovendo persupportare le banche in tale ambito?

L’Associazione Bancaria si pone come punto di riferimen-to per incentivare l’innovazione all’interno del settore. Nelquadro delle iniziative in atto per promuovere tale aspetto,l’Associazione ha istituito il “Premio ABI per l’Innovazionenei Servizi Bancari”, un’iniziativa che, arrivata alla terza edi-zione, rappresenta un’opportunità per tenere viva l’attenzio-

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ne sul tema, grazie anche al contributo di ABI Lab (il Centrodi Ricerca e Innovazione per la Banca promosso dall’Asso-ciazione), con l’obiettivo di inserire il mondo bancario nelpercorso per la valorizzazione dell’’innovazione tecnologicae organizzativa, lo sviluppo dell’interazione e del coinvolgi-mento evoluto dei diversi utenti per ottimizzare sistemi, pro-cessi, operazioni e rispondere alla crescente velocità e com-plessità dei mercati. Il Premio ABI assegna un riconoscimen-to simbolico ai progetti che si sono distinti nelle diverse cate-gorie, “La banca al servizio dei clienti”, “La nuova banca: di-gitale e per processi” e “La banca solidale e sostenibile”.

In tal senso l’iniziativa ha riscosso, nei primi tre anni di vi-ta, particolare successo a dimostrazione della consapevolezzaall’interno del settore bancario dell’importanza di mantenereun presidio attivo verso l’innovazione, considerata con sem-pre maggior vigore una leva imprescindibile per lo sviluppoeconomico e sociale del sistema Paese.

Alla luce di quanto ha raccontato, su quali progetti si stannoconcentrando gli sforzi delle banche in questi anni?

Come le avevo anticipato, le banche hanno partecipato al-le edizioni del Premio con entusiasmo e dedizione accoglien-do l’iniziativa con grande favore in relazione a tutti gli ambitiproposti. Abbiamo raccolto e analizzato circa 150 progettidedicati all’innovazione tecnologica verso la clientela, inizia-tive volte alla digitalizzazione e all’innovazione applicate ainuovi canali e ai processi interni e molti progetti dedicati allabanca solidale e sostenibile.

Tra questi vorrei sottolineare alcuni progetti interessantiquali la nuova modalità di pagamento dei bollettini con foto-camera dello smartphone, la realizzazione di Reti d’impresache forniscano integrazioni di alcuni processi tra aziende pur

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mantenendo la propria identità e fisionomia al fine di ottene-re il miglioramento della loro competitività nel mercato na-zionale e internazionale e la emissione di social bond comestrumenti finanziari a sostegno di iniziative di rilevante valo-re sociale

Lo sviluppo di tali iniziative, e di molte altre, confermanocome il settore bancario sia particolarmente attento alle te-matiche innovative riservando risorse e sforzi economici peroffrire tutti quei servizi che il mercato richiede e soddisfare lenuove esigenze.

Vorrei evidenziare come, alla luce del consolidato successodell’iniziativa, l’Associazione coinvolgerà periodicamente lebanche partecipanti con l’obiettivo di costituire un “Club degliinnovatori”, al fine di confrontarsi e di valutare ulteriori inizia-tive di promozione dell’innovazione nel settore bancario.

Potrei concludere affermando quindi che le banche sem-pre impegnate in molti fronti sono pronte a fornire il proprioproattivo contributo alla digitalizzazione e allo sviluppo del-l’innovazione, non solo tecnologica, all’interno del settore edell’intero sistema Paese.

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Lista degli autori

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Alessandra Bechi, dirige l’UfficioTax & Legal e Affari Istituzionali di AIFI

(Associazione Italiana del Private Equitye Venture Capital). Dal 2012 è Ammini-stratore Delegato di AIFI Ricerca e Forma-zione. Dal 2011 è membro del Consigliodi Amministrazione di Incipit Campania,incubatore per la creazione e lo sviluppodi imprese ad alta tecnologia finanziatodal Ministero dello Sviluppo Economico.

Luigi Cannari, è economista nell’areaRicerca economica e relazioni internazionalidella Banca d’Italia. Tra i suoi principalilavori si ricordano: Imprese o interme-diari? Aspetti finanziari e commercialidel credito tra imprese in Italia (conSalvatore Chiro e Massimo Omiccioli), IlMulino, Bologna, 2005; Il sistema fi-nanziario e il Mezzogiorno. Squilibristrutturali e divari finanziari (con FabioPanetta), Cacucci, Bari, 2006; La ricchezzadegli italiani (2006) e Le famiglie ita-liane (2010), con Giovanni D’Alessio, ilMulino, Bologna; Critica della ragionemeridionale: il Sud e le politichepubbliche (con Marco Magnani e GuidoPellegrini), Laterza, Bari, 2010.

Giancarlo Capitani, è Professorepresso il Politecnico di Milano dove svolgeattività didattica e di ricerca sull’impattodelle innovazioni tecnologiche sui distrettiindustriali e le aree metropolitane. È statofondatore e Presidente di Nomos Ricerca,società specializzata in analisi di mercatoe consulenza nel settore dell’informaticae delle telecomunicazioni, dal 1975 al1995, anno in cui questa è passata sottoil controllo di Gartner Group. Dal 1995al 1998 è stato Presidente di GartnerItalia e Vice President Worlwide di Gar-tnerConsulting. Dal 1999 è AmministratoreDelegato e partner di NetConsulting,società leader in Italia nella consulenza enelle analisi di mercato nei settori delletelecomunicazioni dell’informatica e del-l’e-business. È membro del Comitato Scien-tifico di Prospera.

Carlo Alberto Carnevale Maffè,è Docente Senior della Scuola di DirezioneAziendale dell’Università Bocconi. Ha in-segnato in corsi internazionali per ColumbiaGraduate School of Business, WhartonSchool, Stern School - NYU, IMI - IndianManagement Institute, HEC Lyon, SteinbeisUniversity - Berlin, University of Malta,

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Italia 2020: Finanza e ICT per l’Agenda Digitale

Scuola Superiore S. Anna - Pisa. È membrodel comitato scientifico di riviste di ma-nagement ed editorialista presso testateeconomiche nazionali, e coordinatore delComitato Scientifico del premio ABI perl’innovazione bancaria. Svolge il ruolo diconsigliere indipendente presso societàquotate.

Mario Dal Co, economista, ha svoltoricerche sul mercato del lavoro e la politicafiscale, curando il primo Rapporto sulloStato dell’industria di CER-IRS per il Mulino.Dirigente dell’Olivetti ha delineato il primocontratto aziendale con premio legato aimargini operativi e contribuito allo sviluppodei contratti di servizi informatici in projectfinance e fleet management. In Enel haseguito la comunicazione dell’IPO e l’avviodel portale internet. È stato Direttoregenerale dell’Agenzia per l’innovazionedella Presidenza del Consiglio sviluppandola promozione delle PMI innovative, in par-ticolare in Cina. Attualmente è dirigentedell’Agenzia per l’Italia Digitale.

Pierfrancesco Gaggi, lavora pressol’Associazione Bancaria Italiana dove dalNovembre del 2010 è Responsabile delServizio Relazioni Internazionali. In pre-cedenza aveva ricoperto ruoli di responsabiledi settore e di area in ambito Pagamenti/In-frastrutture. Attualmente ricopre ancheresponsabilità in alcuni dei Consorzi edelle associazioni satelliti di ABI (ConsorzioBancomat, ABI Lab e ABI Energia). È De-legato ABI nell’Executive Committee dellaFederazione Bancaria Europea nonchémembro della Plenary dell’European Ban-king Industry Committee e dell’InternationalBanking Federation.

Paolo Garonna, è Professore ordinariodi Economia Politica (Dipartimento ScienzePolitiche) dell’Università Luiss GuidoCarli. È Segretario Generale della Fede-razione delle Banche delle Assicurazioni edella Finanza (FeBAF) e Presidente dell’IRSA,l’Istituto di Ricerca e Sviluppo delle Assi-curazioni. Da maggio 2013 è Vice PresidenteVicario della Società Cattolica di Assicu-razione. È stato Direttore Generale dell’ANIA

e Vice-Segretario Esecutivo dell’ECE diGinevra. Entrato all’ONU come Direttoredella Divisione Statistica, ha ricoperto lacarica di Vice-Segretario Esecutivo e Se-gretario Esecutivo ad interim della stessaorganizzazione. Ha diretto il Centro Studidi Confindustria, è stato Vice-Presidentedel Comitato ECOFIN dell’UNICE, DirettoreGenerale dell’ISTAT e Presidente della Con-ferenza degli Statistici Europei. Prima diallora, ha avuto la Vice-direzione Generaledell’OCSE di Parigi per il settore Lavoro,Affari Sociali e Istruzione.

Gian Bruno Mazzi, laureato in ScienzePolitiche presso l’Università di Bologna,inizia la propria attività professionale inSIP. Passa poi nella divisione FinancialServices di Andersen Consulting di cuidiviene Partner nel 1989. Nel 1996 entrain Cassa di Risparmio di Bologna inqualità di Responsabile Area Risorse comeDirettore Centrale per poi assumere analogoruolo a livello di Gruppo Bancario Cardine.Nel 2003 entra in SSB di cui diviene Am-ministratore Delegato e successivamentenel 2007, Direttore Generale di SIA, dopola fusione tra SSB e SIA.

Manuela Mazzoleni, dal 2004 inAssogestioni, Manuela Mazzoleni è dal

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Lista degli autori

2011 Direttore Area Operations e Mercatie responsabile dell’Italian Fund Hub. Lau-reata in Economia Politica presso l’UniversitàBocconi di Milano, ottiene un MSc of De-velopment Studies nel Regno Unito. Halavorato come analista per la Commissioneeuropea a Lussemburgo e a Londra e comeconsulente strategico presso Bain & Companyin Italia. Dal 2011 è membro del Consigliodel Forum per la Finanza Sostenibile.

Aldo Minucci, nato nel 1946 a ReggioCalabria, lavora nel settore assicurativoda più di 40 anni. Nel 2011 è statoeletto Presidente dell’ANIA, di cui è statoVicepresidente nel biennio precedente.Presiede anche la Fondazione ANIA per lasicurezza stradale. Laureato in giurispru-denza, ha iniziato la sua attività profes-sionale nel 1972, lavorando nella consulenzafiscale per le Assicurazioni Generali; qui ilsuo percorso di carriera lo ha portato aessere nominato Direttore Centrale nel1993 e, nel 1995, Vicedirettore Generale.Aldo Minucci ha rappresentato il gruppoGenerali nei consigli di amministrazionedi numerose imprese assicuratrici, bancariee industriali. Attualmente è Presidente diGenertel e Vicepresidente di Telecom Italia.

Stefano Parisi, nato a Roma nel 1956,si è laureato in economia. Nel 1992 vienenominato a Capo del Dipartimento AffariEconomici della Presidenza del Consiglio.Dal 1997 al 2000 è “City Manager” alComune di Milano. Dal 2000 al 2004 èDirettore Generale di Confindustria. Dal2004 al 2010 è Amministratore Delegatodi Fastweb e nel biennio 2009-2011ricopre l’incarico di Presidente di Assote-lecomunicazioni-ASSTEL. Dal 2011 è Pre-

sidente di Confindustria Digitale. Nel2012 fonda CHILI-TV SpA, di cui è prin-cipale azionista e Presidente.

Davide Passero, nato nel 1960, si èlaureato in economia politica all’UniversitàBocconi. Nel Gruppo Generali dal 2001,attualmente è Amministratore Delegato eDirettore Generale di Genertel e di Ge-nertellife e Chief Marketing Officer inGenerali Italia. Ha lavorato nel gruppoClass Editori come Direttore Generale delcanale televisivo CFN/CNBC e AmministratoreDelegato di Radio Classica. Nel 2000 èstato Amministratore Delegato di Rainet,società capofila per i new media del GruppoRAI. Dal 1996 al 1999 è stato Ammini-stratore Delegato di Finanza & FuturoConsulenza, società di distribuzione diservizi finanziari e assicurativi del GruppoDeutsche Bank. Ha partecipato alla nascitadi Omnitel (oggi Vodafone Italia) comeDirettore Marketing e Amministratore De-legato del canale negozi in franchising.

Giovanni Pirovano, oltre alla caricadi Vice Presidente di Banca Mediolanum emembro del Comitato di Presidenza ABI

(Associazione Bancaria Italiana), rivesteil ruolo di Vice Presidente dell’AssociazioneSviluppo Studi Banca e Borsa (ASSBB) econsigliere dell’Associazione Banche Private(Assbank). È Presidente di MediolanumFiduciaria SpA, nonché Consigliere diAmministrazione di Banco Mediolanum(Spagna) e di Banklenz (Germania). Pre-cedentemente ha ricoperto la carica diDirettore Generale di Banca Mediolanum,Direttore Centrale Finanza della BancaPopolare di Novara e Responsabile Finanzadel Banco Ambrosiano Veneto.

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Italia 2020: Finanza e ICT per l’Agenda Digitale

Giovanni Sabatini, direttore Generaledell’ABI dal luglio 2009, ricopre anche lacariche di Presidente dei Consorzi Bancomate CBI e del Comitato di Consultazione diBorsa Italiana. Presso Consob è stato Con-direttore Centrale e Responsabile della Di-visione emittenti e, in precedenza, Respon-sabile della Divisione intermediari e del-l’Ufficio organizzazione mercati. È statoDirigente generale della Direzione SistemaBancario e Finanziario presso il MEF erappresentante del Ministero nel ConsiglioSuperiore della Banca d’Italia. È stato,inoltre, Ad di Monte Titoli SpA e Presidentedell’ECSDA. Laureato in Economia e Com-mercio presso la Luiss Guido Carli, hasvolto attività di docenza presso la stessaLuiss e l’Università La Sapienza di Roma.

Alberto Tripi , nato a Roma nel 1940,è laureato in Ingegneria. È azionista dimaggioranza e Presidente di AlmavivASpA - The Italian Innovation Company,operativa nel campo dell’informatica edelle telecomunicazioni. A luglio 2013 èstato eletto Vice Presidente Vicario di As-sinform. È componente del Consiglio diAsphi Onlus - Fondazione per lo Sviluppodi Progetti per ridurre l’Handicap mediantel’informatica e del Consiglio per le relazionifra l’Italia e gli Stati Uniti. Attualmentefa parte del Consiglio Direttivo e dellaGiunta di Confindustria. Nel sistema Con-findustria è stato presente con incarichirappresentativi dal 1977, ove è stato Pre-sidente di Anasin, Federcomin e Confin-dustria Servizi Innovativi e Tecnologici. Nel

1983 lascia IBM Europa – dove era re-sponsabile delle attività per lo sviluppodel mercato dei servizi nelle aree Europa,Africa e Medio Oriente – e fonda la COS

SpA (ora AlmavivA) per realizzare servizidi informatica e telecomunicazioni. Halavorato per 17 anni in IBM, dove ha rico-perto importanti ruoli manageriali. AlbertoTripi è stato per cinque anni Consiglieredi Amministrazione dell’IRI.

Stefano Venturi , amministratore De-legato del gruppo HP in Italia e CorporateVP Hewlett-Packard Inc. In questa posizione,che ricopre da dicembre 2011, Venturi hala responsabilità di guidare le attivitàdel gruppo e di indirizzarne la crescitanel mercato italiano. Formatosi in Olivettidal 1979 al 1984, cresce in HP dal 1984al 1991. In seguito, Venturi ha ricopertoil ruolo di Country Manager di Wyse Te-chnology Italy, Managing Director EMEA

South in Sun Microsystems, AmministratoreDelegato di Cisco in Italia per 15 anni esuccessivamente VP Europe per il PublicSector. Dal 2008 al 2011 è stato VicePresidente di Assolombarda Terziario In-novativo, dal 2009 al 2013 è membrodel Consiglio direttivo e della Giunta conla responsabilità del progetto “Semplifi-cazione”. Nel 2013 è stato riconfermatonel Consiglio direttivo e nella Giunta conla responsabilità del progetto “AttrazioneInvestitori Esteri e Semplificazione”. Dal2013 è anche tornato a ricoprire l’incaricodi VP della Camera di Commercio Ame-ricana in Italia.

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ACCADEMIA DELLA CRUSCA in collaborazione con FEBAF,Italiano per il mondo. Banca, commerci, cultura, arti, tradi-zioni, 2013.

ANGELONI I. (Banca Centrale Europea), “Verso un’Autoritàdi vigilanza per l’area dell’euro”, in Incontri, n. 1, 2013.

COTTARELLI C. (Fondo Monetario Internazionale), “Towardsa European Financial Transaction Tax?”, in Incontri, n. 4,2013.

ENRIA A. (Autorità Bancaria Europea), “L’Unione bancariaeuropea vista da Londra”, in Incontri, n. 3, 2013.

FEBAF, Il risparmio degli italiani: tendenze e nuove sfide,Bancaria Editrice, 2011.

– Assicurazioni e sviluppo: lezioni dalla storia, BancariaEditrice, 2012.

– “The Long-Term Financing of the European Economy:the views of the Italian Banking, Insurance and FinanceCommunity”, in Quaderni, n. 6, 2013.

GARONNA P. (Luiss e FeBAF), “L’assicurazione della respon-sabilità professionale: un punto di svolta”, in Interventi, n.5, 2013.

GILIBERT P. (Banca Europea per gli Investimenti), “Strumen-ti finanziari previsti dalla BEI per il rilancio dell’economiaeuropea”, in Incontri, n. 2, 2013.

Lista delle pubblicazioniFeBAF più recenti

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Finito di stampare nel mese di novembre 2013presso Varigrafica Alto Lazio S.r.l. Via Cassia bis km 36,300 – Zona Ind.le Settevene 01036 – Nepi (VT)

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BancheAssicurazioni Finanza

Italia 2020: Finanza e ICT per l’Agenda Digitale

«Quella che definiamo ormai tutti «Agenda Digitale» è tema talmente centrale perlo sviluppo del Paese che va al di là degli interessi specifici della partnership che ab-biamo avviato tra industria dell’ICT e comparto finanziario. Tutti avremmo e avreb-bero un grande vantaggio se questo Paese fosse molto più «digitale». (…)

Dobbiamo far sì che la Pubblica amministrazione divenga sempre più digitale con unvantaggio straordinario sia in termini di costi, e quindi di efficienza, sia in termini dipenetrazione, rendendo la tecnologia digitale necessaria e indispensabile per tutte lefamiglie e le imprese italiane. (…)

Il secondo ambito di collaborazione che riteniamo fondamentale riguarda lo sviluppodei servizi, sempre in un’ottica pre-competitiva: spingere i modelli di innovazioneall’interno del mondo dei servizi. Più il sistema bancario, finanziario e assicurativospingono nella direzione di offrire servizi ai cittadini e alle imprese sul web, utiliz-zando le tecnologie digitali, come il «mobile», più si allarga la conoscenza e l’attitu-dine del nostro Paese a valersi di questi strumenti. (…)

C’è una terza area importante per la nostra partnership, che riguarda la finanza perl’Agenda Digitale. Essa rappresenta un’altra questione centrale perché l’industriabancaria e finanziaria nazionale può diventare interprete della natura dell’industriaICT nella sua evoluzione verso l’innovazione tecnologica, lo sviluppo, l’internazio-nalizzazione, a partire dalle imprese consolidate fino al venture capital e alle start-up. Se la collaborazione tra i due comparti si realizza appieno, essa può davverodiventare una delle leve principali in grado di generare crescita e sviluppo. (…)Perché l’Agenda Digitale non sia solo un libro di belle intenzioni e pii desideri. Perchéessa sappia approfittare e valorizzare le straordinarie risorse materiali e immaterialidi cui il nostro Paese continua ad essere ricco».

(dalla Introduzione di P. Garonna e S. Parisi)

978-88-449-0977-2

€ 20,00 200007881

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Italia 2020:Finanza e ICT per

l’Agenda Digitale

Paolo Garonna, Stefano Parisia cura di

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