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CALCESTRUZZI STRUTTURALI INNOVATIVI TRASFORMAZIONI ENERGETICHE RIPARAZIONI E RINFORZI PAVIMENTAZIONI FENOMENI DI FATICA I QUADERNI TEMA IV – INFRASTRUTTURE STRADALI STRADALI C: T. 4.3 – PONTI STRADALI ISBN 978-88-99161-06-4 ISBN-A 10.978.8899161/064

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CALCESTRUZZI STRUTTURALI INNOVATIVI

TRASFORMAZIONI ENERGETICHE

RIPARAZIONI E RINFORZI

PAVIMENTAZIONI

FENOMENI DI FATICA

I QUADERNI TEMA IV – INFRASTRUTTURE STRADALI

STRADALI C: T. 4.3 – PONTI STRADALI

ISBN 978-88-99161-06-4 ISBN-A 10.978.8899161/064

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NOTA INTRODUTTIVA

Il presente quaderno è frutto del lavoro svolto nell’ambito del Comitato Tecnico 4.3 - Ponti Stradali, così composto:

Prof. Ing. Michele Mele (Presidente) - mca s.r.l. - Università degli Studi di Roma “La Sapienza”

Dott. Arch. Amedeo Gambino (Segretario)

Dott. Leonardo Alfonsi - Università di Perugia

Dott. Ing. Roberto Andreoli – A.N.P.A.E. Associazione Nazionale Produttori Argilla Espansa

Dott. Ing. Valeria Corinaldesi – Università Politecnica delle Marche

Prof. Ing. Pietro Croce – Università di Pisa

Dott. Ing. Achille Devitofranceschi – ANAS S.p.A.

Dott. Ing. Paolo Formichi – Università di Pisa

Prof. Dott. Luca Gammaitoni – Università di Perugia

Dott. Ing. Giorgio Giacomin – G&P Intech s.r.l.

Dott. Ing. Valerio Mele – ANAS S.p.A.

Prof. Ing: Giacomo Moriconi – Università Politecnica delle Marche

Prof. Ing. Marco Pasetto – Università degli Studi di Padova

Dott. Ing. Eugenio Ricci – ANAS S.p.A.

Dott. Phd. Helios Vocca – Università di Perugia

Il quaderno è stato redatto da:

Dott. Valentina Bacchettini

Dott. Ing. Valeria Corinaldesi

Prof. Ing. Pietro Croce

Dott. Ing. Giorgio Giacomin Prof. Ing. Michele Mele

Prof. Ing. Giacomo Moriconi

Prof. Ing. Marco Pasetto Dott. Phd. Helios Vocca

con la collaborazione del Prof. Ing. Carlo Pellegrino, Dott. Ing. Tommaso D’Antino (Cap. 4) e Dott. Ing. Giovanni Giacomello (Cap. 5) ai quali vanno i ringraziamenti del gruppo di redazione

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SOMMARIO

1   PREMESSA .................................................................................................................................................................... 1  

2   I CALCESTRUZZI STRUTTURALI INNOVATIVI ........................................................................................................... 2  2.1   CALCESTRUZZO LEGGERO STRUTTURALE ................................................................................................................... 2  2.2   CALCESTRUZZO FIBRORINFORZATO ........................................................................................................................... 4  2.3   CALCESTRUZZO CON AGGREGATI DI RICICLO .............................................................................................................. 8  BIBLIOGRAFIA ................................................................................................................................................................. 13  

3   TRASFORMAZIONI ENERGETICHE ........................................................................................................................... 15  3.1   INTRODUZIONE E OBIETTIVI ...................................................................................................................................... 15  3.2   DESCRIZIONE DEL PROGETTO .................................................................................................................................. 15  

4   TECNICHE INNOVATIVE DI RINFORZO DI PONTI ESISTENTI BASATE SULL’USO DI COMPOSITI

FIBRORINFORZATI ..................................................................................................................................................... 32  4.1   INTRODUZIONE ....................................................................................................................................................... 32  4.2   MATERIALI FIBRORINFORZATI IN CARBONIO A MATRICE POLIMERICA (CFRP) ............................................................... 33  4.3   MATERIALI FIBRORINFORZATI IN CARBONIO E ACCIAIO UHTSS A MATRICE INORGANICA (FRCM – SRG) ...................... 53  4.4   PROTOCOLLI DI ACCETTAZIONE, ESECUZIONE E COLLAUDO ........................................................................................ 62  BIBLIOGRAFIA ................................................................................................................................................................. 65  

5   LE PAVIMENTAZIONI SU IMPALCATO DA PONTE .................................................................................................. 69  5.1   INTRODUZIONE ....................................................................................................................................................... 69  5.2   LE PAVIMENTAZIONI SU IMPALCATO DA PONTE E IL LORO DEGRADO ............................................................................ 69  5.3   LO STATO DELL’ARTE SULLE PAVIMENTAZIONI SU IMPALCATO DA PONTE ..................................................................... 72  5.4   RICERCHE RECENTI SULLE IMPERMEABILIZZAZIONI TRAFFICABILI PER IMPALCATO DA PONTE ......................................... 77  5.5   LA SPERIMENTAZIONE SULLE SOVRASTRUTTURE POLIMERICHE PER MANUFATTI STRADALI ............................................ 82  5.6   I RISULTATI ........................................................................................................................................................... 89  BIBLIOGRAFIA ............................................................................................................................................................... 100  

6   FATICA NEI PONTI STRADALI ................................................................................................................................. 102  6.1   INTRODUZIONE ..................................................................................................................................................... 102  6.2   REGISTRAZIONI DI TRAFFICO CON LHV ................................................................................................................. 102  6.3   LA VERIFICA A FATICA DEI PONTI ............................................................................................................................ 103  6.4   SPETTRI DI CARICO PER PONTI STRADALI ................................................................................................................ 104  6.5   IPOTESI DI CALCOLO ............................................................................................................................................ 106  6.6   ANALISI E DISCUSSIONI DEI RISULTATI PER PONTI IN ACCIAIO .................................................................................... 108  6.7   ANALISI E DISCUSSIONI DEI RISULTATI PER PONTI IN C.A. E C.A.P. ........................................................................... 109  6.8   DETERMINAZIONE DEI COEFFICIENTI λ .................................................................................................................... 113  6.9   I COEFFICIENTI PARZIALI γM .................................................................................................................................. 119  6.10   INFLUENZA DELLA POSIZIONE TRASVERSALE DEI CARICHI ....................................................................................... 120  BIBLIOGRAFIA ............................................................................................................................................................... 126  

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1 PREMESSA

Il lavoro svolto da questo Comitato per il quadriennio

2012-2015 ha voluto fortemente segnare un punto di

svolta rispetto al passato, vale a dire non più limitandosi

ad attività sostanzialmente compilativa sullo stato

dell’arte delle tematiche attinenti il campo dei ponti

stradali ma esplorando ambiti di studio e ricerca dal

carattere fortemente innovativo non solo sul piano

strettamente tecnologica ma anche, e soprattutto, su

quelli economico e della sostenibilità anche in relazione

a quella che è l’odierna situazione congiunturale a livello

mondiale.

In tale prospettiva sono stati attivati ben cinque canali di

attività riguardanti i calcestruzzi strutturali di tipo

innovativo, le trasformazioni energetiche, i metodi di

riparazione e rinforzo strutturale, le pavimentazioni

stradali e i fenomeni di fatica.

Nel caso dei calcestruzzi si sono considerate tutte le

tipologie più interessanti nell’attuale contesto, e cioè

quella degli alleggeriti, interessanti ai fini del recupero di

funzionalità di strutture esistente in virtù sia

dell’alleggerimento che delle migliori caratteristiche

prestazionali oggi conseguibili, dei riciclati,

estremamente interessanti sotto il profilo ambientale, e

dei fibrorinforzati introdotti per portare le caratteristiche

dei calcestruzzi a livelli prestazionali decisamente più alti

che in passato (capitolo 2).

L’interesse per le trasformazioni energetiche è nato

non solo per le possibilità legate alle infrastrutture ma

anche con il più ampio obiettivo di diffondere e

approfondire le conoscenze in questo campo anch’esso

vitale per la sostenibilità. Il tema specifico affrontato dal

Comitato in questo ambito è stato quello della

trasformazione di vibrazioni strutturali in energia elettrica

svolto sia a livello teorico che con sperimentazioni sul

campo (capitolo 3)

Per i metodi di riparazione e rinforzo strutturale

l’interesse si è concentrato su alcune tecnologie più

recenti fra le più promettenti sul piano prestazionale sia

per i materiali impiegati che per le tecniche applicative

(capitolo 4).

Il tema delle pavimentazioni stradali, trattato anche in

altri Comitati di questa Associazione, è stato perciò

limitato ad applicazione di stretto e specifico interesse

per i ponti stradali, in particolare per quelli metallici

(capitolo 5).

I problemi connessi all’insorgenza di fenomeni di fatica

nelle strutture metalliche sono stati infine oggetto di una

riflessione critica sia sui possibili sviluppi normativi che

sulle attuali metodologie di verifica (capitolo 6).

Ai successivi capitoli, come indicato, sono affidate le

sintesi di tutti gli studi condotti e ad essi si rimanda

quindi per ogni maggior dettaglio.

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2

2 I CALCESTRUZZI STRUTTURALI INNOVATIVI

2.1 CALCESTRUZZO LEGGERO STRUTTURALE

Il calcestruzzo leggero (LWAC, Light Weight Aggregate

Concrete) offre nuove opportunità progettuali. Una

elevata resistenza con bassi valori di densità possono

consentire soluzioni economicamente competitive, sia

per nuove costruzioni in zona sismica sia per la

riabilitazione strutturale di costruzioni esistenti.

Rispetto ad un calcestruzzo ordinario convenzionale il

calcestruzzo leggero consente:

- riduzione delle sezioni per i minori pesi;

- alleggerimento delle fondazioni;

- minore portanza richiesta ai terreni di fondazione;

- minore spinta sulle casseforme;

- minor costo per trasporto e sollevamento;

oltre a:

- maggiore isolamento termico;

- maggiore resistenza al fuoco;

- maggiore resistenza al gelo.

Cenni storici

Il primo esempio di calcestruzzo leggero strutturale nella

storia è costituito dagli anelli superiori della copertura del

Pantheon a Roma nel cui “calcestruzzo” è stata

impiegata pomice come aggregato allo scopo di ottenere

un’opportuna diminuzione del peso proprio.

Nell’era industriale moderna il calcestruzzo leggero

strutturale si è praticamente sviluppato all’inizio del XX

secolo, quando è stato messo a punto un processo in

forno rotativo per l’espansione termica di scisti e argille e

la produzione di un materiale duro e leggero utilizzato

come aggregato per il confezionamento di calcestruzzi di

pari resistenza (~ 35 MPa) e minor peso (< 1760 kg/m3)

rispetto a quelli ordinari.

Nei primi anni ‘30, il calcestruzzo leggero strutturale è

stato impiegato per il massetto stradale del Bay Bridge

da San Francisco ad Oakland consentendo una notevole

economia nel progetto del ponte.

Nei primi anni ’50 il calcestruzzo alleggerito è stato

impiegato per la prima volta nella costruzione di telai

portanti, nella realizzazione di solette da ponte ed in

prefabbricazione.

Il suo impiego ha consentito l’ampliamento di importanti

edifici senza la necessità di intervenire per modifiche in

fondazione, ed inoltre di ricostruire ampliandoli ponti

collassati (come, ad esempio, il Tacoma Narrows

Bridge) appoggiando il nuovo impalcato in calcestruzzo

leggero sulle pile originali.

Traendo vantaggio dalla riduzione di peso proprio, si

sono costruiti edifici multipiano con solai in calcestruzzo

leggero (42-story Prudential Life Building a Chicago), od

anche strutture intelaiate e solai in calcestruzzo leggero

(18-story Statler Hilton Hotel a Dallas).

Riferimenti normativi

I calcestruzzi leggeri strutturali sono conglomerati

cementizi nei quali tutto, o una parte, dell’aggregato

naturale è sostituito da aggregati leggeri in argilla

espansa con lo scopo principale di ridurne la densità (a

tutt’oggi infatti non sono ancora in commercio alternative

valide all’argilla espansa per questo tipo di

applicazione). La densità del calcestruzzo leggero

strutturale deve essere non inferiore a 1400 kg/m3

(D1,5) e non superiore a 2000 kg/m3 (D2,0).

Le Norme Tecniche per le Costruzioni (NTC - DM 14

gennaio 2008, § 4.1.12) e le relative Istruzioni contenute

nella Circolare del 2 febbraio 2009 n.617 C.S.LL.PP. (§

C4.1.12) consentono l’impiego di calcestruzzo leggero

nelle strutture e forniscono gli elementi essenziali per la

progettazione. Anche l’Eurocodice 2 - Progettazione

delle strutture di calcestruzzo - Parte 1-1: Regole

generali e regole per gli edifici (UNI EN 1992-1-1:2005)

contempla l’uso di calcestruzzi leggeri strutturali alla

Sezione 11 (Strutture di calcestruzzo con aggregati

leggeri).

Ampliando l’orizzonte oltre confine si può fare riferimento

alla “Guide for Structural Lightweight-Aggregate

Concrete” dell’American Concrete Institute (ACI 213R-

03).

Per quanto riguarda la resistenza a compressione

caratteristica cilindrica, flck, dei calcestruzzi leggeri

strutturali (valutata in conformità alla norma EN 12390-

3), essa non può risultare inferiore a 16 N/mm2 (classe

LC 16/18 secondo EN 206-1) né superiore a 55 N/mm2

(classe LC 55/60).

Affinché possa essere impiegata l’argilla espansa deve

essere conforme alla norma UNI EN 13055-1, e la

conformità deve essere attestata con sistema 2+.

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3

Sviluppi

Nonostante la ricerca svolta, il progetto di strutture in

calcestruzzo leggero appare ancora in una fase

embrionale. Ad esempio, le norme tecniche per la

progettazione ancora utilizzano coefficienti correttivi per

adattare le espressioni valide per il calcestruzzo

ordinario a quello alleggerito, in assenza di validazioni

sperimentali e numeriche. Inoltre, il comportamento in

opera degli elementi strutturali in calcestruzzo leggero

dovrebbe essere ulteriormente approfondito sia sul

piano della durabilità sia della sicurezza allo stato limite

ultimo, verificando l'applicabilità delle linee guida

esistenti soprattutto in relazione all'apertura di fessura

negli elementi inflessi ed alla sua propagazione anche

nello stato limite di servizio.

Proporzionamento della miscela

I maggiori problemi nel proporzionamento di un

calcestruzzo leggero sono:

- lavorabilità e segregabilità della miscela;

- assorbimento d’acqua dell’aggregato leggero;

- controllo della quantità d’acqua di impasto per la

lavorabilità;

- volume d’aria e diametro massimo dell’inerte;

- minimizzazione del contenuto di cemento.

La lavorabilità di un calcestruzzo fresco contenente

aggregati leggeri è generalmente significativamente

inferiore a quella dei calcestruzzi preparati con aggregati

ordinari. Per questo motivo la produzione di calcestruzzi

leggeri è in gran parte limitata alla prefabbricazione

industriale.

D’altra parte l’ottenimento di calcestruzzi leggeri molto

fluidi può provocare vistosi fenomeni di segregazione a

causa del galleggiamento degli inerti leggeri [1-2].

Per migliorare la lavorabilità e ridurre i fenomeni di

segregazione e bleeding indotti da dosaggi eccessivi di

additivo superfluidificante, si ingloba dal 4 all’8% in

volume di aria per un diametro massimo dell’inerte di

circa 20 mm, e dal 5 al 9% per un diametro massimo di

circa 10 mm. L’introduzione di questa aria penalizza la

resistenza meccanica ma incrementa la resistenza ai

cicli di gelo-disgelo.

L’aggregato leggero, in quanto poroso, assorbe una

certa quantità d’acqua durante le fasi di miscelazione,

per cui è consigliabile presaturare l’aggregato leggero

per evitare perdite di lavorabilità. Inoltre, tale acqua

assorbita può essere rilasciata durante l’essiccamento

del calcestruzzo alle brevi stagionature assicurando il

cosiddetto effetto “internal curing” [3], che contribuisce a

ridurre il ritiro igrometrico e migliorare la qualità della

zona di transizione fra pasta cementizia ed aggregato.

Generalmente vengono combinati in volume un

aggregato grosso leggero ed una sabbia naturale con

modulo di finezza compreso fra 2,2 e 2,7. Per

conseguire una lavorabilità adeguata (slump > 150 mm)

potrebbe essere necessario ridurre leggermente il

volume di aggregato grosso leggero, mentre per evitare

il conseguente rischio di segregazione inversa

(galleggiamento degli inerti) potrebbe essere utile

aggiungere alla miscela cenere volante in sostituzione

della frazione fine della sabbia, adottando un opportuno

dosaggio di superfluidificante.

Il rapporto acqua/cemento è, in genere, compreso

nell’intervallo 0,38-0,43, mentre è opportuno adottare un

dosaggio minimo di cemento pari a 335 kg/m3.

Posa in opera

In fase di posa in opera va limitato il ricorso alla

vibrazione del getto per evitare problemi di segregazione

e galleggiamento dell’inerte leggero.

Quando la lavorabilità del calcestruzzo leggero deve

essere tale da rendere la miscela pompabile, sono

necessari dosaggi di cemento compresi tra 450 e 480 kg

per metro cubo di calcestruzzo, inserendo ove possibile

aggiunte minerali fino a 100 kg per metro cubo.

Specifiche del calcestruzzo leggero strutturale

Dovranno essere indicati:

- Classe di resistenza a compressione;

- Dimensione massima e tipologia degli aggregati;

- Classe di massa volumica;

- Classe di esposizione ambientale;

- Classe di consistenza;

- Volume d’aria.

Qualora sia ritenuto necessario potranno essere

specificati anche i seguenti requisiti:

- Tipi o classi speciali di cemento (per esempio basso

calore di idratazione);

- Temperatura del calcestruzzo fresco; - Resistenza a trazione;

- Conduttività termica.

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4

I controlli di accettazione si conducono secondo i criteri

contenuti nelle NTC correntemente in uso per i

calcestruzzi ordinari, con l’integrazione dei controlli della

massa volumica.

Aspetti economici

Nonostante il costo unitario del calcestruzzo leggero

possa risultare superiore a quello del calcestruzzo

ordinario, il costo complessivo della struttura può

risultare inferiore, come conseguenza della maggiore

leggerezza, del minor peso proprio, dei minori costi in

fondazione, di dimensioni ridotte delle sezioni, di minor

quantità di acciaio di armatura, di minori costi di

trasporto e posa in opera.

Nella maggior parte dei casi questa è la ragione

fondamentale alla base dell’impiego del calcestruzzo

leggero strutturale. Pertanto il bilancio economico

dipende dall’equilibrio fra il costo unitario del

calcestruzzo, la massa volumica e le proprietà strutturali.

Il calcestruzzo ordinario può avere il minor costo

unitario, ma risulterà più pesante per il maggior peso

proprio, con dimensioni maggiori in molte sezioni,

richiedendo una maggior quantità di calcestruzzo e di

acciaio.

2.2 CALCESTRUZZO FIBRORINFORZATO

Il calcestruzzo fibrorinforzato (FRC, Fiber Reinforced

Concrete) è caratterizzato dalla presenza di fibre

discontinue nella matrice cementizia; tali fibre possono

essere realizzate in acciaio o materiale polimerico.

Generalmente le fibre vengono classificate in base al

loro modulo elastico rispetto a quello della matrice

cementizia (20-25 GPa): sono fibre ad elevato modulo

(100-300 GPa) quelle metalliche, in carbonio o vetro,

mentre sono fibre a basso modulo (0,5-3,0 GPa) quelle

polimeriche o cellulosiche.

L’aggiunta di fibre nel calcestruzzo ha lo scopo di ridurne

la fragilità, di contrastarne gli effetti del ritiro, di

migliorarne il comportamento post-fessurativo,

aumentandone la duttilità e la tenacità, e, in definitiva, di

aumentarne la durevolezza, generando fessurazioni

diffuse e di minor ampiezza, con conseguente minor

rischio di aggressione ambientale [4].

Rispetto ad un calcestruzzo armato convenzionale le

fibre consentono di:

- migliorare la resistenza a flessione, trazione e taglio;

- migliorare l’aderenza fra calcestruzzo e barre di

armatura (tension stiffening);

- migliorare la resistenza a fatica, urto, abrasione;

- eliminare l'armatura di pelle;

- ridurre le armature longitudinali ed a taglio;

- esplicare un'azione di cucitura delle fessure (crack-

bridging);

- aumentare l’energia di frattura e, quindi, la duttilità del

calcestruzzo [5].

Le fibre, tuttavia, non apportano alcun vantaggio

significativo in termini di resistenza a compressione del

calcestruzzo e non sono in grado di influenzare

apprezzabilmente il modulo elastico in compressione.

Inoltre, l’aggiunta di fibre non modifica apprezzabilmente

la tensione di innesco delle fessure, in quanto l'azione

delle fibre si manifesta solo dopo la fessurazione del

calcestruzzo. Risulta determinante per le prestazioni

attese il volume di fibre immesso nell’impasto

cementizio.

L’aggiunta di fibre all’impasto cementizio comporta

tuttavia una significativa riduzione della lavorabilità,

recuperabile mediante l’impiego di additivi

superfluidificanti.

Cenni storici

Nonostante l’impiego di fibre, vegetali o animali, per

ridurre la fragilità di prodotti a matrice argillosa come i

mattoni in terra cruda utilizzati nella tecnica costruttiva

dell’adobe, risalga ad ere e culture antichissime, i primi

progetti utilizzando calcestruzzo fibrorinforzato con

l’accezione attuale furono realizzati in USA solo alla fine

degli anni ‘40. Tali progetti prevedevano la costruzione

di opere quali pavimentazioni aeroportuali, barriere per

la protezione delle darsene portuali e rivestimenti

provvisionali di gallerie realizzati con la tecnica dello

“shotcrete”.

Il calcestruzzo fibrorinforzato venne lentamente

introdotto in Europa solo alla fine degli anni ‘70, ancora

in assenza di prescrizioni normative sull’impiego di tale

materiale; tuttavia, il settore della prefabbricazione, assai

diffuso in Europa ed in particolar modo in Italia, iniziò a

sfruttare il calcestruzzo rinforzato con fibre di acciaio

(SFRC) esclusivamente nella realizzazione di elementi

prefabbricati di piccole dimensioni (tubi per condotti

fognari, pannelli di cabine di trasformazione elettrica,

pozzetti d’ispezione, ecc.).

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5

La prima applicazione in Italia si può far risalire all’anno

1982, per l’esecuzione del rivestimento di un canale

Enel a Villadossola, con una malta cementizia

premiscelata fibrorinforzata, resa tixotropica mediante

l’aggiunta di fumo di silice.

Riferimenti normativi

Le Norme Tecniche per le Costruzioni (NTC - DM 14

gennaio 2008, § 4.6) consentono l’impiego di

calcestruzzo fibrorinforzato per la realizzazione di

elementi strutturali od opere, solo previa autorizzazione

del Servizio Tecnico Centrale su parere del Consiglio

Superiore dei Lavori Pubblici, autorizzazione che

riguarderà l’utilizzo del materiale nelle specifiche

tipologie strutturali proposte sulla base di procedure

definite dal Servizio Tecnico Centrale.

L’Eurocodice 2 - Progettazione delle strutture di

calcestruzzo - Parte 1-2: Regole generali –

Progettazione strutturale contro l’incendio (UNI EN

1992-1-2:2005) contempla l’uso nel calcestruzzo delle

sole fibre polipropileniche monofilamento alla Sezione 6

(High Strength Concrete (HSC)) paragrafo 6.2 (Spalling)

come Metodo D per prevenire il distacco del copriferro in

caso di incendio.

Utili riferimenti sono costituiti dal documento CNR-DT

204/2006 - Istruzioni per la Progettazione, l’Esecuzione

ed il Controllo di Strutture di Calcestruzzo Fibrorinforzato

e dal fib Model Code 2010 (Sezioni 5.6 Fibres/Fibre

Reinforced Concrete e 7.7 Verification of safety and

serviceability of FRC structures).

Ampliando l’orizzonte oltre confine si può fare riferimento

alla norma ASTM C1116 / C1116M - 10a (Standard

Specification for Fiber-Reinforced Concrete) ed al

“Report on Fiber Reinforced Concrete (Reapproved

2009)” dell’American Concrete Institute (ACI 544.1R-96).

Le fibre devono essere marcate CE (sistema di

attestazione di conformità di Livello 1) in accordo alle

norme europee armonizzate UNI EN 14889-1 (acciaio)

ed UNI EN 14889-2 (polimeri). È opportuno sottolineare

che la marcatura CE non rappresenta un marchio di

qualità del prodotto ma significa che il prodotto soddisfa i

requisiti essenziali previsti per il prodotto stesso ed il suo

impiego. Per il Livello 1 di attestazione di conformità CE

previsto per le fibre polimeriche e in acciaio è richiesta la

Dichiarazione di Conformità CE alla norma UNI EN

14889-1 (acciaio) o UNI EN 14889-2 (polimeri) rilasciata

dal Produttore, accompagnata dal Certificato di

Conformità del Prodotto alla norma UNI EN 14889 di

riferimento pubblicata da un organismo notificato.

Generalmente la marcatura CE avviene mediante

l'apposizione di un'etichetta direttamente sui prodotti, o

sull'imballaggio ovvero mediante stampa dell'etichetta

sul Documento di Trasporto (DDT).

Sviluppi

Nonostante il notevole contributo alla durabilità delle

strutture in calcestruzzo armato, il calcestruzzo

fibrorinforzato non è ancora accettato dalle Norme

Tecniche come un materiale di ordinario impiego,

probabilmente per il timore che i progettisti vengano

assaliti dalla tentazione, legittima secondo il fib Model

Code 2010, di considerare le fibre come parziale

sostituzione dell’armatura lenta tradizionale.

Sarebbe, tuttavia, auspicabile che il calcestruzzo

fibrorinforzato venisse quanto meno previsto dalle norme

come tipologia di calcestruzzo idoneo ad aumentare la

durabilità delle strutture in calcestruzzo armato.

Sui piano della ricerca sarebbe, invece, auspicabile

conseguire progressi tecnologici nell’impiego delle fibre

per la progettazione di calcestruzzi strutturali polivalenti,

come calcestruzzi leggeri fibrorinforzati autocompattanti,

ottenuti dalla combinazione di proprietà generalmente

antitetiche, come alta resistenza e basso peso unitario, o

l’autocompattabilità in presenza di fibre.

Proporzionamento della miscela

Le fibre metalliche vengono di solito inserite nei

calcestruzzi con dosaggi fra 25 e 60 kg/m3 per

migliorarne il comportamento a trazione e flessione.

È possibile definire un volume critico di fibre (Vcrit in

Figura 1), che rappresenta il volume di fibre che, dopo la

fessurazione della matrice cementizia, può sopportare

tutto il carico gravante sul calcestruzzo.

Quando il volume di fibre è superiore a quello critico il

comportamento post-fessurativo è di tipo incrudente, con

recupero di resistenza e notevole incremento di tenacità,

mentre per volumi di fibre inferiori a quello critico il

comportamento post-fessurativo è di tipo degradante,

senza sviluppo di resistenza residua e con modesto

incremento di tenacità.

Si definisce anche un rapporto d’aspetto delle fibre, pari

al rapporto fra la loro lunghezza ed il loro diametro

equivalente (d = 2 √ A / p, con A sezione delle fibre).

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All’aumentare del rapporto d’aspetto aumenta l’aderenza

tra fibra e matrice cementizia, ma peggiora la lavorabilità

del calcestruzzo.

Espedienti per migliorare l’aderenza fibra-matrice senza

aumentare il rapporto d’aspetto delle fibre sono l’impiego

di fibre con estremità piegate oppure di fibre ondulate o

dentellate.

La lunghezza delle fibre da adottare dipende dal

diametro massimo dell’inerte utilizzato: maggiore è il

diametro massimo degli aggregati minore è il volume

della pasta cementizia nel calcestruzzo e quindi minore il

quantitativo di fibre che si può inserire senza penalizzare

troppo la lavorabilità.

Figura 1 – Comportamento post-fessurativo in funzione del volume di fibre.

Le fibre polimeriche, nonostante ne esistano di tipo

strutturale (polivinilalcol) in grado di svolgere la stessa

funzione di quelle metalliche [6], sono generalmente

aggiunte ai conglomerati cementizi per contrastare la

formazione di cavillature dovute al ritiro plastico [7-9].

La prova a flessione secondo UNI EN 14651:2005

La prova standard per la determinazione delle proprietà

nominali del calcestruzzo fibrorinforzato si basa sulla

flessione a tre punti di una travetta intagliata in mezzeria

(per controllare la posizione della fessura) ricavando il

diagramma (Figura 2) della forza applicata al provino (F)

in funzione dell'apertura della fessura (CMOD, Crack

Mouth Opening Displacement).

I valori della tensione nominale, fRj, rappresentativa del

comportamento post-fessurativo, sono determinati dalla

curva F-CMOD nel modo seguente:

223

sp

jRj bh

lFf =

dove:

fRj [MPa] è la resistenza residua del composito

corrispondente ad un valore CMOD = CMODj;

Fj [N] è la forza residua corrispondente a CMOD =

CMODj;

l [mm] è la distanza tra gli appoggi della travetta;

b [mm] è la larghezza della sezione trasversale della

travetta;

hsp [mm] è la distanza tra l’apice dell’intaglio e la

superficie superiore del provino.

Nel calcestruzzo fibrorinforzato le fibre possono

sostituire l’armatura convenzionale, anche solo in parte,

se sono soddisfatti i requisiti prestazionali:

fR1k/fLk > 0.4 fR3k/fR1k > 0.5

dove fLk rappresenta il valore caratteristico della tensione

nominale, corrispondente al valore di picco della forza

nel diagramma F-CMOD nell'intervallo di apertura di

fessura 0 - 0,05 mm.

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7

Figura 2 – Diagramma forza applicata F in funzione dell'apertura della fessura CMOD in una prova di flessione su 3 punti.

Classificazione del calcestruzzo fibrorinforzato

La classificazione del calcestruzzo fibrorinforzato si basa

sui valori di tensione nominale, fR,j, determinati in

corrispondenza dei valori CMOD1 (0,5 mm per lo Stato

Limite di Esercizio, a cui corrisponde fR1k secondo UNI

EN 14651) e CMOD3 (2,5 mm per lo Stato Limite Ultimo,

a cui corrisponde fR3k).

Le classi prestazionali sono rappresentate con un

numero e una lettera: il numero rappresenta il valore

minimo dell’intervallo all’interno del quale si trova il

parametro fR1k mentre la lettera rappresenta il rapporto

tra i valori dei parametri fR3k e fR1k.

Gli intervalli di resistenza di fR1k sono rappresentati da

due numeri successivi della serie seguente:

1.0, 1.5, 2.0, 2.5, 3.0, 4.0, 5.0, 6.0, 7.0, 8.0, … [MPa]

mentre le lettere a, b, c, d, e corrispondono ai seguenti

intervalli del rapporto fR3k/fR1k:

a se 0.5 ≤ fR3k/fR1k < 0.7

b se 0.7 ≤ fR3k/fR1k < 0.9

c se 0.9 ≤ fR3k/fR1k < 1.1

d se 1.1 ≤ fR3k/fR1k < 1.3

e se 1.3 ≤ fR3k/fR1k

Per quanto riguarda le regole per la classificazione dei

calcestruzzi fibrorinforzati si potrà fare riferimento alla

norma UNI 11188:2007 - Elementi strutturali di

calcestruzzo rinforzato con fibre d'acciaio -

Progettazione, esecuzione e controllo o al fib Model

Code 2010 (5.6.3 Classification).

Specifiche del calcestruzzo fibrorinforzato

La prescrizione del calcestruzzo fibrorinforzato non

differisce sostanzialmente da quella del calcestruzzo

ordinario se non per l'aggiunta di fibre, che comporta:

- una dimensione massima dell'aggregato non superiore

a 0,5 volte la lunghezza delle fibre;

- una distribuzione granulometrica più continua;

- una lunghezza delle fibre correlata allo spessore

minimo dell'elemento strutturale;

- vibrazione adeguata per evitare la segregazione delle

fibre, che comprometterebbe la loro uniforme

distribuzione.

La miscela del calcestruzzo fibrorinforzato deve essere

sottoposta a valutazione preliminare secondo le

indicazioni riportate nel § 11.2.3 delle Norme Tecniche

con determinazione dei valori di resistenza a trazione

residua fR1k per lo Stato Limite di Esercizio e fR3k per lo

Stato Limite Ultimo determinati secondo UNI EN

14651:2007 (Figura 2).

Per le fibre in materiali polimerici, caratterizzati da

comportamento a lungo termine sensibilmente

influenzato da fenomeni di viscosità, i valori della

resistenza a trazione post-fessurazione devono essere

verificati con prove di lunga durata.

In fase di accettazione, oltre a quanto già indicato al

§11.2.5 delle Norme Tecniche, dovrà essere eseguita

dal Direttore dei Lavori la verifica della conformità dei

Page 11: Ct 4 3 mele

8

valori della tensione residua a trazione su miscele

omogenee.

Controllo di produzione del calcestruzzo fibrorinforzato

- Applicazioni di Tipo A: Controllo di qualità ordinario sul

materiale; resistenze ottenute con prove standard

nominali.

Tabella 1 - Prove durante la produzione [Tabella 8-1 delle Istruzioni CNR-DT 204]

Oggetto Proprietà Metodo Frequenza Registrazione

FRC fresco corretta miscelazione ispezione visiva (UNI EN 206)

ogni giorno di getto di miscela omogenea

apposito modulo

FRC fresco contenuto di fibre *peso dopo separazione

fibre-matrice (UNI EN 14721)

ogni 50 m3 di getto di miscela omogenea o almeno due controlli

al giorno

apposito modulo

FRC indurito resistenza prima

fessurazione Appendice A

(CNR-DT 204) Appendice B

(CNR-DT 204) apposito modulo

FRC indurito resistenze equivalenti Appendice A

(CNR-DT 204) Appendice B

(CNR-DT 204) apposito modulo

*valida solo per le fibre metalliche (per le fibre di altro tipo occorre mettere a punto modalità specifiche)

Oltre alle prove ed ai controlli previsti dalle norme di

riferimento per le strutture di calcestruzzo armato

ordinario, i controlli aggiuntivi di produzione, realizzati

sotto la responsabilità del direttore dei lavori, sono

riportati in Tabella 1.

- Applicazioni di Tipo B: Elevato controllo di qualità sul

materiale e su elementi strutturali; resistenze ottenute

con prove strutturali specifiche.

Per le applicazioni di tipo B, in aggiunta a quanto

specificato per quelle di tipo A, è richiesto che:

- le prove di carico previste per validare le ipotesi di

progetto debbano essere condotte preliminarmente su

almeno 2 manufatti fino alla rottura, per verificarne la

corrispondenza con le ipotesi progettuali;

- la produzione debba avvenire in un sistema di qualità

certificato da un ente terzo notificato.

2.3 CALCESTRUZZO CON AGGREGATI DI RICICLO

Il calcestruzzo con aggregati di riciclo (RAC, Recycled

Aggregate Concrete) viene prodotto sostituendo parte

degli aggregati naturali con prodotti di riciclo: ad

esempio riutilizzando calcestruzzo demolito proveniente

da impianti di riciclaggio dove il calcestruzzo riciclato

viene macinato, separato da eventuali barre di armatura

ed altre sostanze indesiderabili, vagliato secondo idonee

frazioni granulometriche.

Rispetto ad un calcestruzzo convenzionale di pari

resistenza a compressione, il calcestruzzo con

aggregato riciclato [10]:

- ha una resistenza a trazione inferiore (10% circa);

- ha un modulo elastico inferiore (20-30% circa);

- sviluppa la stessa tensione di aderenza con le barre in

acciaio;

- presenta lo stesso grado di vulnerabilità alla

fessurazione per ritiro igrometrico;

- presenta caratteristiche di durabilità almeno equivalenti

in termini di resistenza ai cicli di gelo e disgelo,

resistenza all’attacco solfatico, resistenza alla

penetrazione di agenti aggressivi per le armature

metalliche;

- presenta una interfaccia fra aggregato riciclato e pasta

cementizia più continua e compatta;

- nessun problema di cessione di sostanze

potenzialmente pericolose per l'ambiente [11].

Riferimenti normativi

Come per gli aggregati naturali, anche il calcestruzzo di

riciclo frantumato deve essere classificato.

Nelle “Norme Tecniche per le Costruzioni”, al paragrafo

11.2.9.2 “Aggregati”, vengono definiti idonei alla

produzione di calcestruzzo per uso strutturale gli

aggregati ottenuti dalla lavorazione di materiali naturali,

artificiali, ovvero provenienti da processi di riciclo

Page 12: Ct 4 3 mele

9

conformi alla norma europea armonizzata UNI EN

12620.

Il sistema di attestazione della conformità di tali

aggregati, ai sensi del DPR n.246/93, è quello 2+

(dichiarazione di conformità del produttore e

certificazione del controllo di produzione in fabbrica)

Nelle stesse Norme viene consentito l'uso di aggregati

grossi provenienti da riciclo, secondo i limiti riportati nella

Tabella 2 (Tabella 11.2.III delle Norme), a condizione

che la miscela di calcestruzzo confezionata con tali

aggregati, venga qualificata e documentata attraverso

idonee prove di laboratorio. Per gli aggregati riciclati, le

prove di controllo di produzione in fabbrica (prospetti H1,

H2 ed H3 dell'allegato ZA della norma UNI EN 12620)

devono essere effettuate, per le parti rilevanti, ogni 100

tonnellate di aggregato prodotto e, comunque, negli

impianti di riciclo, per ogni giorno di produzione.

Tabella 2 – Limiti di impiego dell’aggregato riciclato secondo NTC (Tabella 11.2.III)

Origine del materiale da riciclo Classe del calcestruzzo Percentuale di impiego

Demolizioni di edifici (macerie) = C 8/10 fino al 100%

Demolizioni di solo calcestruzzo e c.a. ≤ C30/37 ≤ 30%

≤ C20/25 fino al 60%

Riutilizzo di calcestruzzo interno negli stabilimenti di prefabbricazione qualificati - da qualsiasi classe - da calcestruzzi >C45/55

≤ C45/55

fino al 15%

Stessa classe del calcestruzzo

di origine fino al 5%

Secondo le Norme, nelle prescrizioni di progetto si potrà

fare riferimento alle norme UNI 8520 parti 1 e 2 al fine di

individuare i requisiti chimico-fisici, aggiuntivi rispetto a

quelli fissati per gli aggregati naturali, che gli aggregati

riciclati devono rispettare, in funzione della destinazione

finale del calcestruzzo e delle sue proprietà prestazionali

(meccaniche, di durabilità e pericolosità ambientale,

ecc.), nonché quantità percentuali massime di impiego

per gli aggregati di riciclo, o classi di resistenza del

calcestruzzo, ridotte rispetto a quanto previsto nella

tabella sopra esposta.

Sempre secondo le Norme, il progetto, nelle apposite

prescrizioni, potrà fare riferimento alle norme UNI 8520

parti 1 e 2 al fine di individuare i limiti di accettabilità

delle caratteristiche tecniche degli aggregati.

Nella norma armonizzata UNI EN 12620 “Aggregati per

calcestruzzo”, predisposta dal Comitato Tecnico

CEN/TC 154, che risponde ai requisiti essenziali della

Direttiva Europea 89/106/CEE sui prodotti da

costruzione, vengono specificate le proprietà che

devono essere possedute da aggregati e filler di origine

naturale, industriale o riciclati da utilizzare per la

produzione di calcestruzzo.

La norma specifica inoltre le caratteristiche del sistema

di gestione della produzione degli aggregati ed i requisiti

del sistema di valutazione della conformità dei prodotti

alla norma stessa.

Tuttavia, non fissa i requisiti finali che l’aggregato deve

avere per poter essere utilizzato nella produzione del

conglomerato, ma fornisce un sistema di classificazione

dei requisiti geometrici, fisici e chimici, attraverso i quali

effettuare la scelta dei diversi inerti. La definizione dei

requisiti, di cui in precedenza, è rimandata a standard

nazionali che, in Italia, sono stabiliti dalla UNI 8520.

Rimanendo in ambito europeo, già nell’Eurocodice 2 -

Progettazione delle strutture di calcestruzzo - Parte 1-1:

Regole generali e regole per gli edifici (UNI EN 1992-1-

1:2005) si fa riferimento alla possibilità di utilizzo di

aggregati riciclati, rimandando alla norma UNI EN 206-1,

in cui vengono precisati i requisiti generali ed in

particolare viene specificato che i materiali costituenti la

miscela del calcestruzzo non possono contenere

sostanze nocive e/o che possano pregiudicare la

durabilità del calcestruzzo.

In generale è possibile affermare che la qualità degli

aggregati riciclati che può essere ottenuta è strettamente

legata alle caratteristiche dei materiali di partenza.

Maggiore sarà il grado di omogeneità e selezione del

materiale da trattare maggiore risulterà la qualità del

prodotto finale.

Page 13: Ct 4 3 mele

10

La suddivisione principale degli aggregati, definiti dalla

norma UNI EN 12620 come “materiali granulari utilizzati

in edilizia”, avviene sulla base della loro origine ed in

particolare si definisce:

- aggregato naturale quello di origine minerale che è

stato sottoposto unicamente a lavorazione meccanica;

- aggregato industriale quello di origine minerale

derivante da un processo industriale che implica una

modificazione termica o di altro tipo;

- aggregato riciclato quello risultante dalla lavorazione di

materiale inorganico precedentemente utilizzato in

edilizia.

Sviluppi

Nonostante le NTC siano state emanate con l’intento di

adottare criteri prestazionali, le norme relative

all’impiego di aggregato riciclato per il confezionamento

di calcestruzzi strutturali mantengono un carattere

decisamente troppo prescrittivo, se non protezionistico,

per rendere effettivo l’impiego di tale materiale. In

particolare, sarebbe auspicabile che la normativa

recepisse le indicazioni provenienti da numerosi studi

scientifici a livello mondiale, che indicano come il minore

modulo elastico, e quindi la maggiore deformabilità del

calcestruzzo con aggregati riciclati, possa comportare

meccanismi di rottura diversi, con maggiore capacità di

dissipazione di energia ed inaspettati valori di duttilità e

tenacità, indotti da un diverso comportamento a taglio

che richiede opportuni accorgimenti di calcolo [12].

Questo aspetto può risultare vantaggioso in particolari

applicazioni, come il comportamento sotto carichi ciclici

(fatica o sisma).

Inoltre, la normativa limita le percentuali di impiego di

aggregati riciclati nella produzione di calcestruzzo

strutturale e la classe del calcestruzzo conseguibile,

nonostante risultati di ricerche scientifiche ed esperienze

pratiche sempre più frequenti abbiano ampiamente

riconfermato la fattibilità e l’efficacia dell’utilizzo di

materiali riciclati nel calcestruzzo, strutturale o meno, e

nei materiali da costruzione in generale. Pertanto, in

futuro sarà necessario superare tutti i pregiudizi legati

all’utilizzazione di questi materiali, nell’ottica di uno

sviluppo realmente sostenibile. Tuttavia, sarà anche

necessario che vengano adottati opportuni indirizzi

politici responsabili, come ad esempio l'obbligo della

demolizione selettiva, con l’obiettivo di preservare le  

risorse naturali e di incoraggiare la sostituzione dell’uso

di aggregati naturali con aggregati riciclati. In questo

senso, in molti stati membri della comunità europea, la

tassazione degli aggregati naturali, che ha un effetto

diretto sul rapporto di prezzo tra aggregati naturali e

riciclati, viene generalmente ritenuta più efficace rispetto

alla tassazione sullo smaltimento dei rifiuti, che

comporta il rischio di smaltimenti illegali [13].

Proporzionamento della miscela

Il proporzionamento della miscela del calcestruzzo con

aggregati riciclati è sostanzialmente condizionato dalla

minore massa volumica (e quindi dalle minori prestazioni

meccaniche) così come dal maggiore assorbimento di

acqua di tali aggregati.

Nel caso di utilizzo di aggregati riciclati ottenuti da

demolizione di solo calcestruzzo, la sostituzione della

frazione costituita da soli aggregati grossi in percentuali

contenute (fino al 20%) non causa decrementi

prestazionali significativi e risulta quella maggiormente

praticata per la produzione di conglomerato strutturale

con inerti riciclati.

Per impiegare elevate percentuali di sostituzione con

aggregato riciclato occorre adottare bassi rapporti

acqua/cemento, per compensare la minore prestazione

meccanica dell'aggregato, e quindi ricorrere ad elevati

dosaggi di cemento. Poiché è consigliabile evitare

dosaggi di cemento superiori a 400 kg/m3, l’impiego di

additivi riduttori d’acqua è fortemente consigliato se non

inevitabile.

La presenza della malta e della pasta di cemento

originali che avvolgono gli elementi lapidei

dell'aggregato riciclato con le loro porosità, di granuli di

cemento parzialmente idratati, e la tessitura ruvida della

superficie del materiale riciclato comportano una

interfaccia pasta-aggregato del calcestruzzo con

aggregati riciclati più omogenea e compatta, ma

determinano anche una maggiore richiesta d'acqua per

confezionare un calcestruzzo con pari consistenza

rispetto ad un conglomerato tradizionale.

Per ovviare alle possibili conseguenze negative di

questa maggiore richiesta d’acqua, è consigliabile pre-

saturare l’aggregato riciclato per varie ragioni:

- evitare errori grossolani nel dosaggio delle frazioni

granulometriche di aggregato, riferito alla condizione

s.s.a. (saturo a superficie asciutta);

- evitare l’assorbimento d’acqua dell’aggregato durante

la miscelazione, compromettendo il mantenimento

Page 14: Ct 4 3 mele

11

della lavorabilità per un tempo sufficiente alla posa in

opera;

- creare una riserva d’acqua interna al calcestruzzo,

favorendo l’effetto di "internal curing" [14-15].

Figura 3 - Confronto fra ritiro igrometrico di calcestruzzo con aggregati naturali e calcestruzzo con aggregati riciclati.

Il fenomeno "internal curing" ha effetti positivi sulla

qualità dell’interfaccia pasta–aggregato, sullo sviluppo

della resistenza meccanica alle brevi stagionature, sullo

sviluppo delle deformazioni da ritiro igrometrico, che

subiscono un ritardo temporale (Figura 3).

È opportuno ricordare che la riduzione del rapporto

acqua/cemento per compensare la penalizzazione della

prestazione meccanica causata dall’aggregato riciclato,

e quindi per ottenere un calcestruzzo di pari classe di

resistenza (R0 in Figura 4) rispetto a quello con

aggregati naturali, presenta un limite quando l’aggregato

risulta più debole della pasta cementizia, per cui la

rottura del calcestruzzo è innescata dal cedimento

dell’aggregato. In particolare, tale limite (a/c* in Figura 4)

dipende, nel caso più generale, dai seguenti fattori:

- classe del calcestruzzo da cui proviene l’aggregato;

- eventuale presenza di laterizi;

- diametro massimo dell’aggregato.

Figura 4 – Resistenza a compressione del calcestruzzo con aggregati riciclati in funzione del rapporto acqua/cemento.

L’impiego di cenere volante in parziale sostituzione

dell’aggregato fine è un espediente molto efficace per

migliorare le prestazioni meccaniche e la durabilità dei

calcestruzzi con aggregati riciclati.

Calcestruzzo con aggregati naturali

Calcestruzzo con aggregati riciclati

R0

Page 15: Ct 4 3 mele

12

Corrosione delle armature nel calcestruzzo con

aggregati riciclati

L’esperienza ha dimostrato che l’impiego di cenere

volante, anche a dosaggi elevati, e/o aggregati riciclati

non provoca alcun effetto negativo sul comportamento

alla corrosione delle barre di armatura a parità di classe

di resistenza [16]. In particolare, soprattutto la presenza

di cenere volante modifica la morfologia dell’attacco

corrosivo, rendendolo più generalizzato e meno

penetrante.

L’impiego di elevati dosaggi di cenere volante migliora,

invece, sensibilmente la resistenza alla corrosione delle

barre zincate annegate nel calcestruzzo, anche in

ambienti molto aggressivi per elevate concentrazioni di

cloruri ed in presenza di fessure nel calcestruzzo.

Questi comportamenti possono essere spiegati

considerando che, se da un lato l’aggiunta di cenere

volante riduce l’alcalinità generata dall’idratazione del

cemento rendendo instabile la condizione di passività

delle armature, dall’altro lato tale aggiunta migliora

significativamente la microstruttura del calcestruzzo,

rendendo sempre più difficile la penetrazione di agenti

aggressivi capaci di instaurare condizioni favorevoli alla

corrosione delle armature, che risulta persino impedita

quando vengono utilizzate barre zincate.

Specifiche per il calcestruzzo con aggregati riciclati

Tali specifiche non differiscono sostanzialmente da

quelle di un calcestruzzo ordinario.

Tuttavia, occorre ricordare che eventuali esigenze

progettuali in termini di modulo elastico e/o resistenza a

compressione richiedono un opportuno adeguamento

della resistenza a compressione.

Infine, poiché i conglomerati con aggregati riciclati sono

generalmente caratterizzati da una più rapida perdita di

lavorabilità, sarebbe consigliabile, se possibile, l’impiego

di additivi superfluidificanti con effetto ritardante.

Aspetti economici

Se, come nella maggior parte delle applicazioni

strutturali, è richiesta una classe di resistenza del

calcestruzzo di 30 MPa, il calcestruzzo con aggregati

riciclati senza alcuna aggiunta minerale potrebbe non

soddisfare l'esigenza (quanto meno sul piano economico

per l'elevato dosaggio di cemento richiesto), mentre il

calcestruzzo con aggregati riciclati ed elevato volume di

cenere volante potrebbe offrire prestazioni eccellenti

sotto tutti i punti di vista. Per questo motivo un confronto

economico dovrebbe essere effettuato a parità di

prestazioni [17] tra calcestruzzi, con aggregati naturali o

riciclati od anche cenere volante, della stessa classe di

resistenza.

Tabella 3 - Costi tradizionali (T) ed eco-bilanciati* (E-B) riferiti ad un m3 di calcestruzzo.

Componente Costo

unitario (€/kg)

NAC RAC HVFA-RAC

T E-B T E-B T E-B

Acqua 0,001 0,30 0,30 0,30 0,30 0,30 0,30 Cemento 0,121 45,98 45,98 91,96 91,96 45,98 45,98

Cenere volante 0,022 - - - - 8,36 8,36 Discarica cenere volante 0,250 - - - - - -95,00

Sabbia naturale 0,015 4,55 4,55 - - - -

Pietrisco 0,013 17,26 17,26 - - - -

Aggregato riciclato grosso 0,006 - - 7,54 7,54 6,82 6,82

Discarica macerie 0,050 - - - -58,45 - -52,85

Superfluidificante 1,435 - - - - 9,76 9,76

Totale 68,09 > 68,09* 99,80 41,35 71,22 -76,63

* Solo gli eco-costi negativi, derivanti dal conferimento in discarica dei materiali di risulta, sono stati valutati. I costi relativi all'impatto ambientale causato dall'estrazione degli aggregati naturali in cava dovrebbero essere aggiunti ai costi eco-bilanciati del calcestruzzo con aggregati naturali.

Page 16: Ct 4 3 mele

13

Sulla base di costi dei singoli componenti del

calcestruzzo non alterati da situazioni di mercato

contingenti, si può risalire ad un costo tradizionale del

calcestruzzo con aggregati riciclati e cenere volante

(HVFA-RAC in Tabella 3) leggermente superiore (meno

del 5%) di quello tradizionale del calcestruzzo con

aggregati naturali (NAC in Tabella 3), mentre quello del

calcestruzzo con soli aggregati riciclati (RAC in Tabella 3)

risulta nettamente superiore (quasi 50% in più) a causa

del molto maggior dosaggio di cemento.

Tuttavia, oltre ai costi tradizionali (T in Tabella 3) degli

aggregati, sembrerebbe importante e corretto prendere in

considerazione anche i loro costi ambientali (E-B, eco-

bilanciati, in Tabella 3). Gli eco-costi [17], che sono i costi

necessari ad eliminare l'impatto ambientale causato

dall'estrazione degli aggregati naturali in cava,

dovrebbero essere valutati così come gli eco-costi

negativi, che sono i costi per eliminare il danno

ambientale qualora le macerie da demolizione degli

edifici esistenti, ed anche la cenere volante sottoprodotto

delle centrali termoelettriche, non venissero riutilizzate

nella produzione di calcestruzzo. Prendendo in

considerazione anche i costi ambientali degli aggregati

[18], sebbene non facilmente determinabili e variabili con

fattori politici e sociali, si può facilmente prevedere che in

futuro il calcestruzzo con aggregati riciclati e cenere

volante possa risultare molto più economico del

calcestruzzo con aggregati naturali. Peraltro, è stato

dimostrato che, impiegando aggregato grosso costituito

da calcestruzzo riciclato a livelli di sostituzione del 30-

50% di quello naturale, i costi risultano ridotti di circa il

34-41% e le emissioni di CO2 di circa il 23-28%, pur

mantenendo la stessa qualità e gli stessi livelli di

sicurezza del calcestruzzo convenzionale [19].

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Page 17: Ct 4 3 mele

14

[14] Lura, P., Bisschop, J. (2004). “On the origin of

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[15] V. Corinaldesi, G. Moriconi (2010). “Recycling of

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[18] Tazawa, E. (1999). “Engineering scheme to

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[19] Dosho, Y. (2007). “Development of a sustainable

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Page 18: Ct 4 3 mele

15

3 TRASFORMAZIONI ENERGETICHE

3.1 INTRODUZIONE E OBIETTIVI

Il controllo costante dello stato di salute di ponti stradali

è un’attività che può avere importanti ripercussioni sui

costi di manutenzione e sulla sicurezza di tali opere

viarie. Uno dei parametri che possono essere tenuti

sotto controllo è sicuramente l’entità delle vibrazioni che

si propagano nei materiali al passaggio di autoveicoli e

mezzi pesanti. Studiando le caratteristiche di queste

vibrazioni e verificandone la costanza nel tempo, è

possibile avere informazioni su eventuali modifiche

strutturali. Inoltre le vibrazioni meccaniche possono

essere sfruttate per produrre energia elettrica utilizzando

degli opportuni generatori, chiamati Energy Harvester.

Per arrivare alla realizzazione di un Energy Harvester è

necessario conoscere l’intensità e la distribuzione in

frequenza delle vibrazioni, così da poter adattare il

generatore al particolare ambiente in cui dovrà lavorare.

A tale fine la fase di progettazione è generalmente

preceduta da una campagna di misurazione delle

vibrazioni su strutture campione. Per fare ciò servono

degli appositi strumenti di misura in grado di misurare le

vibrazioni: sono generalmente composti da un

accelerometro ad uno o più assi, una scheda di

acquisizione ed un sistema di archiviazione. Nel progetto

qui descritto l'archiviazione dei dati avviene via internet:

l'invio dei file delle misure è effettuato mediante email.

3.2 DESCRIZIONE DEL PROGETTO

Il lavoro è suddiviso principalmente in due sottoprogetti:

- Realizzazione di un sistema automatico di

misurazione delle vibrazioni ed acquisizione dati.

- Elaborazione dei dati misurati.

Misurazione delle vibrazioni

Per poter misurare l’intensità e la distribuzione in

frequenza delle vibrazioni a cui sono sottoposte le

strutture durante il transito di veicoli, si rende necessaria

l’installazione di uno o più registratori di accelerazioni, di

seguito denominati logger. Mediante l’utilizzo di

accelerometri digitali a tre assi, è possibile individuare su

quali direzioni, con quale intensità e distribuzione in

frequenza le accelerazioni mettono in vibrazione i ponti o

parti della loro struttura. L’obiettivo è campionare, ad

intervalli di tempo prefissati, le vibrazioni e raccoglierle in

un database così che possano poi essere analizzate

mediante calcolatore elettronico.

Generalmente la misura delle vibrazioni si effettua con

accelerometri collegati a schede di acquisizione per

computer. Nello scenario stradale in cui si dovrà

operare, ciò è impraticabile per via di costi, ingombri e

consumi energetici: si prevede di effettuare misure per

due settimane e sul luogo non è disponibile energia

elettrica per alimentare il sistema di misura. Perciò i

logger saranno appositamente progettati e realizzati per

meglio rispondere alle esigenze, ovvero inviare i dati in

tempo reale e funzionare con alimentazione a batteria.

Sistema di misurazione delle vibrazioni

Con riferimento alla Figura 5, ciascun sistema di

acquisizione si compone di:

• una scheda “master” di controllo con sistema

operativo Linux embedded;

• una scheda di supporto alla “master”, denominata

"main", con regolatore di alimentazione, porte di

comunicazione RS232 e RS485 opto isolate;

• una scheda remota di acquisizione con

accelerometro MEMS a 3 assi con 4 mg di

risoluzione, microcontrollore a 16 bit e porta di

comunicazione RS485;

• un modem wireless 3G per trasferimento dati via

internet;

• una scheda SD contenente il sistema operativo ed

utilizzabile per la memorizzazione temporanea locale

dei dati.

Page 19: Ct 4 3 mele

16

Figura 5 – Schema a blocchi del registratore di vibrazioni

Nelle seguenti Fig. 6, 7, 8 e 9 vengono riportati gli

schemi elettrici della scheda "Main": la "Master" viene

acquistata già assemblata e può essere perciò

considerata uno degli elementi costituenti la prima.

Alcuni componenti elettronici non sono realmente

montati, erano solo previsti a livello circuitale ma non si

sono resi necessari per lo scopo delle misure.

Il layout con la disposizione dei componenti elettronici è

mostrato in Figura 10.

Figura 6 – Schema elettrico della scheda Main 1/4

Page 20: Ct 4 3 mele

17

Figura 7 – Schema elettrico della scheda Main 2/4

Figura 8 – Schema elettrico della scheda Main 3/4

Page 21: Ct 4 3 mele

18

Figura 9 – Schema elettrico della scheda Main 4/4

Figura 10 – Layout della scheda Main.

(Su questa viene montata la scheda Master collegandola alla seria di contatti identificati dalla sigla X4)

Page 22: Ct 4 3 mele

19

Il software di controllo residente nella scheda "Master" è

basato sul sistema operativo Linux per processore

ARM11 ed una serie di script in linguaggio Python.

Questi si occupano della corretta ricezione delle

informazioni dall'accelerometro e della loro spedizione

via email in file in formato binario: successivamente

andrà riconvertito, per esempio, in csv.

La modalità di lavoro è la seguente:

• campionamento delle vibrazioni a 1600 Hz su

tre assi per un minuto;

• creazione di un file binario e successiva

compressione in gzip;

• invio del file via email.

Le misure vengono acquisite ogni 5 minuti, 24 ore al

giorno.

Le dimensioni della scheda master sono di 109 x 94 mm

l'aspetto complessivo è visibile in Figura 11.

Figura 11 – Scheda Main e Master

Per la scheda remota è prevista la tele alimentazione

tramite il cavo utilizzato per la comunicazione RS485. La

trasmissione dati avviene mediante collegamento

differenziale RS485 a due fili, quindi in totale il cavo

dovrà disporre di quattro conduttori elettrici. La scheda

remota e la master potranno essere poste ad una

distanza non superare a 50 metri. Per distanze superiori

potrebbe essere necessario ridurre la massima

frequenza di campionamento delle accelerazioni,

attualmente prevista a 1600 Hz.

Le vibrazioni sono digitalizzate mediante accelerometri

MEMS a 3 assi con risoluzione di 4 mg e dinamica di

±16g. Il formato dei dati è in virgola fissa a 16 bit "right

justified": l'informazione utile è rappresentata a 13 bit.

L'accelerometro usato è prodotto da Analog Devices,

modello ADXL345. La comunicazione verso il mondo

esterno avviene mediante una comunicazione seriale

sincrona su porta SPI a 4 fili. Perciò è richiesto l'utilizzo

di un microcontrollore. Questo si occupa del corretto

campionamento delle accelerazioni mediante

l'accelerometro, la loro elaborazione ed il loro invio alla

scheda di "Master".

Il software è residente nel microcontrollore è compilato

da dei sorgenti in linguaggio C.

Le seguenti Figure 12 e 13 mostrano lo schema elettrico

della scheda di acquisizione con l'accelerometro.

Page 23: Ct 4 3 mele

20

Figura 12 – Schema elettrico della scheda remota con accelerometro 1/2

Figura 13 – Schema elettrico della scheda remota con accelerometro 2/2

Page 24: Ct 4 3 mele

21

Il layout del circuito della scheda remota di acquisizione è visibile nella figura seguente:

Figura 14 –Layout del circuito remoto di acquisizione delle vibrazioni (L'accelerometro è piazzato al centro del lato corto, in alto nella figura)

Il piccolo circuito con l'accelerometro, di 43 x 58 mm, è

contenuto in un contenitore ermetico, come visibile in

Figura 15.

Il modem 3G sarà utilizzabile per la comunicazione verso

un server internet, per l'invio della email. In questo modo

è possibile ricevere le misure pochi minuti dopo la loro

acquisizione.

Figura 15 – Il circuito con l'accelerometro inserito nel suo contenitore ermetico

Page 25: Ct 4 3 mele

22

Elaborazione delle misure

L’elaborazione dei dati è una parte fondamentale del

progetto e porterà a definire i vincoli costruttivi per un

ipotetico energy harvester quali frequenza, o banda di

frequenze, operativa e dinamica.

Le registrazioni delle vibrazioni sono state effettuate

lungo due ponti del Grande Raccordo Anulare di Roma,

come mostrato dalla Figura 16 e 17.

Figura 16 – Installazioni sul ponte sul fiume Tevere nei pressi dell'uscita di Castel Giubileo, carreggiata interna

Figura 17 – Installazioni su di un ponte lungo il Grande Raccordo Anulare nei pressi dell'uscita per

la via Cassia, Lat. 41.982° N, Long. 12.447° E.

Logger  1

Logger  2

Logger  3

Logger

Page 26: Ct 4 3 mele

23

Mediante elaborazione dei dati è infatti possibile

determinare su quale porzione dello spettro di frequenza

le vibrazioni sono maggiormente concentrate. Da questa

prima informazione è possibile determinare se è più

opportuno utilizzare un Energy Harvester lineare o non

lineare, o una combinazione dei due. La prima tipologia è

più adatta in caso di vibrazioni a banda stretta, tipiche di

strutture risonanti eccitate, la seconda in caso di

vibrazione a largo spettro, tipiche di situazioni nelle quali

l’eccitazione della struttura non è sempre ben definita.

Dalla capacità del generatore di “rispondere” bene alle

sollecitazioni dipenderà la sua maggiore o minore

efficienza nella conversione di energia, dalle vibrazioni

meccaniche alla corrente elettrica.

Dall’analisi dei dati si otterrà anche un altro tipo di

informazioni, ovvero si potrà ricavare l’intensità delle

vibrazioni. In questo modo è possibile progettare un

generatore sufficientemente robusto ed in grado di

sopportare l’escursione dinamica delle accelerazioni.

Da notare, maggiori saranno le sollecitazioni

meccaniche, maggiore sarà l’energia elettrica ricavabile,

perciò tale dispositivo sarà progettato per lavorare dove

c’è più energia.

I dati, raccolti in singoli file, possono essere elaborati

singolarmente o a gruppi (per esempio tutti quelli di un

determinato giorno) per ricavare statistiche dettagliate o

mediate nel tempo.

Un frammento di un file, dopo conversione da binario in

csv, è mostrato qui di seguito. I valori riportati sono

espressi in g, dove 1 g corrisponde all'accelerazione di

9,71 m/s2.

x y z

-0.013 -0.015 0.012

-0.005 -0.007 0.036

-0.005 -0.007 -0.003

0.002 0.001 0.059

0.010 0.001 0.082

0.026 -0.007 -0.011

0.026 -0.007 -0.066

-0.013 0.024 -0.019

La mole di dati da elaborare è piuttosto grande. Sono

stati impiegati tre logger in tre postazioni differenti,

ognuno effettua 12 minuti di acquisizione ogni ora, 1600

campioni al secondo per ogni asse, ogni campione di

ogni asse è rappresentato a 16 bit. Il totale per un minuto

di registrazione è di 576000 campioni per logger.

Allo scopo perciò è stato scritto un apposito script in

ambiente Matlab. Questo si occupa di acquisire tutti i file

in una determinata directory (i dati da ciascun logger

sono stati separati in tre differenti directory) e di

processarli ricavando medie e valori di picco delle

accelerazioni di ogni asse e di ogni file.

Infine è stato ricavato anche lo spettro di densità di

potenza delle accelerazioni presenti in tutte le serie

temporali mediato nel tempo.

Ciò che emerge è riportato in oltre 1300 file il cui

contenuto è simile al seguente. I valori riportati sono

espressi in g, dove 1 g corrisponde all'accelerazione di

9,81 m/s2.

x_med y_med z_med x_max x_min y_max y_min z_max z_min x_rms y_rms z_rms

0.084 -0.056 0.886 0.252 -0.341 0.306 -0.304 0.840 -0.886 0.014 0.016 0.029

Il Logger 1, installato all'uscita dal ponte sul fiume Tevere

nei pressi di Castel Giubileo, ha prodotto i risultati visibili

nelle seguenti Figura 18, Figura 19 e Figura 20,

rispettivamente per l'asse X, l'asse Y e l'asse Z

(ortogonale alla direzione del traffico, parallelo alla

direzione del traffico e verticale rispettivamente)

Page 27: Ct 4 3 mele

24

Figura 18 – Spettro di densità di potenza delle accelerazioni, Logger 1, asse X

Figura 19 – Spettro di densità di potenza delle accelerazioni, Logger 1, asse Y

Figura 20 – Spettro di densità di potenza delle accelerazioni, Logger 1, asse Z

Page 28: Ct 4 3 mele

25

Come appare evidente, l'asse Z è quello più sollecitato,

con intensità di picco di circa 5x10-5 g2/Hz a circa 150 Hz.

Il Logger 2, installato al centro del ponte sul fiume Tevere

nei pressi di Castel Giubileo, ha prodotto i risultati visibili

nelle seguenti Figura 21, Figura 22 e Figura 23,

rispettivamente per l'asse X, l'asse Y e l'asse Z

(verticale).

Osservando gli spettri, si capisce facilmente che la parte

centrale del ponte oscilla praticamente solo intorno ad

una frequenza pari a circa 120 Hz. In questo caso sia

l'asse delle Y che delle X sono i più sollecitati, con

intensità di picco di circa 5x10-5 g2/Hz e 4x10-5 g2/Hz

rispettivamente.

Figura 21 – Spettro di densità di potenza delle accelerazioni, Logger 2, asse X

Figura 22 –Spettro di densità di potenza delle accelerazioni, Logger 2, asse Y

Page 29: Ct 4 3 mele

26

Figura 23 –Spettro di densità di potenza delle accelerazioni, Logger 2, asse Z

Il Logger 3, installato all'entrata del ponte sul fiume

Tevere nei pressi di Castel Giubileo, ha prodotto i risultati

visibili nelle seguenti, rispettivamente per l'asse X, l'asse

Y e l'asse Z.

In questo terzo punto le oscillazioni sono dovute

all'impatto degli pneumatici con il ponte: è presente il

giunto tecnico, si forma un piccolo scalino.

Gli assi Y e Z sono i più sollecitati. Il primo, Y, parallelo

alla direzione del traffico, indica che l'energia è

prevalentemente localizzata sotto i 100 Hz, con picchi di

intensità dell'ordine di 10-5 g2/Hz.

Sull'asse Z, invece, l'energia è dispersa fino a circa 500

Hz, con intensità di picco di circa 3 x 10-5 g2/Hz: ciò

indica una quantità totale di energia maggiore.

Figura 24 – Spettro di densità di potenza delle accelerazioni, Logger 3, asse X

Page 30: Ct 4 3 mele

27

Figura 25 – Spettro di densità di potenza delle accelerazioni, Logger 3, asse Y

Figura 26 – Spettro di densità di potenza delle accelerazioni, Logger 3, asse Z

Page 31: Ct 4 3 mele

28

Le misure sul secondo ponte sono state eseguite nel

punto indicato in Figura 17: l'accelerometro è stato

piazzato in prossimità del giunto tecnico tra il terreno e il

ponte, dal lato del secondo (Figura 27), e sulla barriera

New Jersey (Figura 28), sempre in prossimità del giunto.

Figura 27 – Misurazione delle vibrazioni lungo il secondo ponte

Figura 28 – Misurazione delle vibrazioni lungo il secondo ponte

Page 32: Ct 4 3 mele

29

L'elaborazione della prima serie temporale ha fornito i

dati rappresentati nelle seguenti Figura 29, Figura 30,

Figura 31.

Figura 29 – Spettro di densità di potenza delle accelerazioni, secondo ponte, asse X, al

livello della pavimentazione stradale.

Figura 30 – Spettro di densità di potenza delle accelerazioni, secondo ponte, asse Y, al

livello della pavimentazione stradale

Page 33: Ct 4 3 mele

30

Figura 31 – Spettro di densità di potenza delle accelerazioni, secondo ponte, asse Z, al

livello della pavimentazione stradale

Da queste emerge una dominante accelerazione diretta

verticalmente (asse Z), con una banda utile di circa 200 Hz.

L'elaborazione della prima serie temporale ha fornito i

dati rappresentati nelle seguenti:

Figura 32 – Spettro di densità di potenza delle accelerazioni, secondo ponte, asse X,

misurate come indicato in Figura 28

Page 34: Ct 4 3 mele

31

Figura 33 – Spettro di densità di potenza delle accelerazioni, secondo ponte, asse Y,

misurate come indicato in Figura 28

Figura 34 – Spettro di densità di potenza delle accelerazioni, secondo ponte, asse Z,

misurate come indicato in Figura 28

Da queste ultime immagini si evince ancora una

dominante delle accelerazioni verticale, ma con una

banda più stretta, circa 100 Hz.

Nella direzione del traffico, invece, l'accelerazione

sembra essere piuttosto a banda stretta, con una forte

componente intorno a 180 Hz.

Nella direzione ortogonale al senso di marcia, asse X, le

accelerazioni sono di intensità circa pari a quelle lungo

l'asse Y, ma hanno una banda un po' più estesa, con

energia distribuita fino a circa 500 Hz, anche se la parte

dominante è concentrata sotto i 100 Hz.

Page 35: Ct 4 3 mele

32

4 TECNICHE INNOVATIVE DI RINFORZO DI PONTI

ESISTENTI BASATE SULL’USO DI COMPOSITI

FIBRORINFORZATI

4.1 INTRODUZIONE

L’utilizzo di compositi fibrorinforzati per il rinforzo e

l’adeguamento di strutture esistenti in calcestruzzo

armato (c.a.) ha raggiunto una grande popolarità negli

ultimi decenni. Tra i materiali compositi, l’utilizzo dei

cosiddetti polimeri fibrorinforzati (fiber reinforced

polymer, FRP) rappresenta una soluzione efficace per

l’intervento su strutture esistenti in c.a. grazie all’elevata

resistenza meccanica ed al costo relativamente non

elevato del materiale. Gli FRP sono stati largamente

studiati negli ultimi anni e sono attualmente disponibili

diverse linee guida per la progettazione di questo tipo di

rinforzo in tutto il mondo (CEN 2004, ACI 2005, fib 2010).

Numerose campagne sperimentali hanno dimostrato

l’efficacia dei compositi FRP nel caso di rinforzo a

flessione (Pellegrino and Modena 2009a), taglio

(Pellegrino and Modena 2002, 2006, 2008), e per il

confinamento di elementi soggetti prevalentemente a

sforzo assiale (Pellegrino and Modena 2010). Uno dei

problemi di maggiore importanza nell’utilizzo di compositi

FRP è costituito dalla valutazione della resistenza al

distacco (debonding) del composito dal supporto su cui è

applicato; nonostante numerosi studi siano stati condotti

al fine di comprendere appieno il meccanismo di

trasferimento degli sforzi tra il supporto ed il composito

non si è ancora giunti ad un’analisi onnicomprensiva del

fenomeno che possa mettere d’accordo l’intera comunità

scientifica (Chen and Teng 2001, D’Antino and Pellegrino

2014). Inoltre, mentre le formulazioni per il progetto di

rinforzi a flessione sembrano essere in grado di fornire

risultati soddisfacenti, per quanto riguarda la

progettazione di rinforzi a taglio non si è ancora giunti

alla formulazione di modelli analitici in grado di fornire

un’adeguata accuratezza rispetto alle evidenze

sperimentali.

Alla luce di questi problemi, nel presente lavoro vengono

brevemente introdotti i più importanti modelli analitici per

il calcolo della resistenza al distacco del composito FRP

svolgendo un’analisi critica dei corrispondenti risultati alla

luce delle evidenze sperimentali disponibili in letteratura

(D’Antino and Pellegrino 2014). Analogamente, vengono

esposti ed analizzati i più importanti modelli analitici per

la valutazione della resistenza a taglio di elementi

rinforzati con compositi FRP, comparando i risultati

analitici ottenuti con i corrispondenti risultati sperimentali

(Pellegrino and Vasic 2013). A completamento della

trattazione riguardante i compositi fibrorinforzati a

matrice polimerica, viene illustrata una campagna

sperimentale condotta su travi in c.a. rinforzate a

flessione tramite laminati in FRP pretesi (Pellegrino and

Modena 2009a). I risultati ottenuti hanno dimostrato che

l’applicazione della pretensione ai laminati compositi è in

grado di assicurare un ulteriore margine di resistenza

all’elemento rinforzato nel suo complesso. Al fine di

illustrare la modalità di utilizzo del rinforzo FRP vengono

riportati nel presente documento alcuni casi di rinforzo a

flessione e taglio su viadotti italiani.

Una promettente alternativa all’utilizzo dei compositi FRP

è rappresentata dai cosiddetti materiali compositi a

matrice cementizia (fiber reinforced cementitious matrix,

FRCM e steel reinforced grout, SRG ), costituiti da fibre

lunghe in carbonio e trefoli in acciaio UHTSS ad alta

resistenza applicate a supporti in calcestruzzo per mezzo

di matrici cementizie. I compositi FRCM-SRG

rappresentano una novità nel mondo del rinforzo di

strutture esistenti in c.a. e la letteratura disponibile a

riguardo è ancora assai limitata. Il presente lavoro

presenta e discute una campagna sperimentale condotta

su provini di FRCM_SRG con diverse caratteristiche

geometriche e costituiti da differenti fibre e matrici

applicate su supporti in calcestruzzo (D’Antino et al.

2015). Infine, l’efficacia dei compositi FRCM-SRG per il

rinforzo a flessione di strutture esistenti in c.a. è

dimostrata dai risultati di una campagna sperimentale

condotta su travi esistenti in c.a. precompresso rinforzate

con differenti materiali FRCM-SRG e, in un caso, con un

laminato FRP in fibra di carbonio (Pellegrino and

D’Antino 2013).

Page 36: Ct 4 3 mele

33

4.2 MATERIALI FIBRORINFORZATI IN CARBONIO A MATRICE POLIMERICA (CFRP)

4.2.1 Analisi critica dei modelli analitici di aderenza di polimeri fibrorinforzati a matrice polimerica applicati a elementi in calcestruzzo armato

Introduzione

Il distacco (deleminazione) dei compositi fibrorinforzati a

matrice polimerica (FRP) dal supporto su cui sono

applicati rappresenta uno dei problemi fondamentali per

la progettazione del rinforzo. Esistono oggigiorno diversi

modelli analitici per la valutazione della resistenza al

distacco di compositi FRP applicati su elementi in c.a.;

alcuni di questi modelli sono stati inoltre adottati da codici

e linee guida di diversi paesi per la progettazione dei

rinforzi con FRP. In questo capitolo vengono presentati

20 differenti modelli analitici per la valutazione della

resistenza al distacco di compositi FRP; l’accuratezza di

ciascun modello è stata valutata tramite il confronto tra i

risultati analitici forniti e i risultati sperimentali presenti in

un ampio database costituito dagli studi presenti in

letteratura.

Esistono differenti configurazioni di prova per la

valutazione della resistenza al distacco di compositi FRP:

1) prova di taglio singolo, in cui una striscia di composito

viene applicata su di una faccia di un prisma in

calcestruzzo; il prisma viene vincolato mentre la forza

viene applicata alla striscia di composito. 2) prova di

taglio doppio, in cui generalmente due prismi in

calcestruzzo vengono vincolati tramite due strisce di

composito applicate sulle facce opposte dei prismi; la

forza viene quindi applicata ad uno o ad entrambi i prismi

in modo da separarli. 3) prova a flessione, in cui una

striscia di composito viene applicata all’intradosso di una

trave in calcestruzzo in cui, generalmente, sia presente

una cerniera od un intaglio per innescare la crisi per

flessione. La prova a flessione viene generalmente

condotta su provini a scala ridotta e presenta delle

criticità nell’interpretazione dei risultati, essendo la

resistenza al distacco influenzata da diversi meccanismi

legati alla configurazione di prova. Per questo motivo i

risultati relativi alle prove a flessione su provini a scala

ridotta non sono stati presi in considerazione nella

seguente trattazione.

L’analisi dell’accuratezza dei modelli analitici qui

presentati è stata condotta tenendo in conto sia

dell’influenza delle diverse configurazioni di prova sia

delle differenze tra i compositi utilizzati, siano essi in

forma di strisce impregnate in-situ o di laminati pre-

impregnati.

Modelli analitici per la valutazione della resistenza al

distacco di compositi FRP

Venti differenti modelli analitici per la valutazione della

resistenza al distacco di compositi FRP raccolti in

letteratura vengono qui di seguito brevemente richiamati,

con particolare attenzione ai modelli adottati dai codici e

dalle linee guida. La notazione adottata è analoga alla

notazione adottata dagli autori dei modelli stessi; il

modulo elastico, lo spessore e la larghezza della striscia

di compositi vengono indicate rispettivamente con fE ,

ft e fb .

fib Bulletin 14-T.G. 9.3 2001

La forza massima max,faN che può essere ancorata dal

composito FRP può essere calcolata secondo la

seguente equazione:

ctmffbcfa ftEbkkcN 1max, α= (1)

dove α è un coefficiente riduttivo che tiene in conto

dell’influenza di fessure inclinate; ctmf è la resistenza a

trazione media del calcestruzzo; 1c è un coefficiente

che può essere ottenuto tramite calibrazione

sperimentale e, nel caso di FRP in carbonio (CFRP) è

uguale a 0.64; ck è un coefficiente che tiene in

considerazione lo stato di compattazione del

calcestruzzo, mentre bk è un coefficiente geometrico:

14001

206.1 ≥

+

−=

f

fb b

bbk (2)

dove b è la larghezza della sezione dell’elemento

rinforzato. Se la lunghezza d’aderenza bl è minore della

lunghezza effettiva d’aderenza max,bl - cioè della

lunghezza necessaria perché il meccanismo di aderenza

si sviluppi completamente - la forza massima max,faN è

ridotta per mezzo della seguente equazione:

Page 37: Ct 4 3 mele

34

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛−=

max,max,max, 2

b

b

b

bfafa l

lll

NN (3)

CNR DT-200 2004

Le linee guida italiane CNR DT-200 2004 propongono

una formulazione simile a quella proposta dal fib Bulletin

14-T.G. 9.3 2001. La tensione massima fddf di una

striscia di composito FRP è funzione dell’energia di

frattura FkΓ secondo la seguente equazione:

f

Fkf

cdf

crfdd t

Ekf

Γ=

2

, γγ (4)

dove df ,γ e cγ sono i coefficienti di sicurezza relativi

al composito ed al calcestruzzo, rispettivamente. Se la

lunghezza di aderenza bl è minore della lunghezza

effettiva di aderenza el la tensione massima viene

ridotta secondo la seguente equazione:

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛−=

e

b

e

bfddridfdd l

lll

ff 2, (5)

La forza massima che può essere ancorata dall’FRP è

infine calcolata moltiplicando l’area della sezione di

composito per la tensione massima ottenuta. Il

coefficiente riduttivo crk permette di distinguere tra

delaminazione d’estremità ( crk = 1) e delaminazione

intermedia ( crk = 1). L’energia di frattura dell’interfaccia

calcestruzzo-FRP è calcolata come:

ctmckbFk ffk03.0=Γ (6)

dove ckf è la tensione caratteristica a compressione del

calcestruzzo mentre bk è un coefficiente geometrico

uguale a:

14001

206.1 ≥

+

−=

f

fb b

bbk (7)

CNR DT-200 R1/2013

Una nuova versione delle line guida italiane, la CNR DT-

200 R1/2013, è stata pubblicata recentemente; essa

fornisce nuove equazioni che migliorano l’accuratezza

dei risultati rispetto alla versione precedente,

distinguendo anche tra laminati pre-impregnati e strisce

impregnate in-situ. La tensione massima nell’FRP fddf

per distacco d’estremità viene calcolata come:

f

Fdf

df

crfdd t

Ekf

Γ=

2

,γ (8)

eb

e

b

e

bfddridfdd

llforll

ll

ff

<

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛−= 2, (9)

L’energia di frattura specifica FdΓ è fornita dalla

seguente equazione:

ctmcmGb

Fd ffFCkk

⋅⋅⋅

=Γ (10)

112

≥+

−=

bbbb

kf

fb (11)

dove 023.0=Gk in caso di laminati pre-impregnati,

mentre 037.0=Gk in caso di strisce impregnate in-situ.

FC è un fattore di sicurezza aggiuntivo. Al fine di evitare

la 34e laminazione intermedia la tensione nel composito

deve essere minore o uguale a 2,fddf :

ctmcmGb

f

f

df

qfdd

ffFCkk

tE

kf

⋅⋅⋅⋅

⋅⋅

⋅=

2,

,2,

2

γ (12)

dove 2,Gk è un coefficiente empirico uguale a 0.10,

25.1=qk in caso di carico distribuito e 0.1=qk in tutti gli

altri casi.

Page 38: Ct 4 3 mele

35

ACI 440.2R 2008

Il codice americano fornisce il valore della tensione

d’aderenza massima, in caso di rinforzo a flessione,

moltiplicando la deformazione massima nel composito

FRP feε con il corrispondente modulo elastico fE ,

assumendo comportamento perfettamente elastico. La

deformazione massima nel composito è limitata dalla

deformazione corrispondente al distacco, fdε . Infine, la

tensione massima ancorata dal composito FRP, fef , è

ottenuta in relazione ad una certa profondità dell’asse

neutro, come indicato nelle seguenti equazioni:

fuff

cfd tnE

fεε 9.0

'41.0 ≤= (13)

fdf

cufe ccd

εεε ≤⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛ −= (14)

feffe Ef ε= (15)

dove, in questo codice, n indica il numero di strati di FRP

applicati (tf è lo spessore del singolo strato), cf ' è la

resistenza a compressione del calcestruzzo, cuε è la

deformazione massima del calcestruzzo non confinato,

uguale a 0.003; fd e c sono rispettivamente la distanza

del composito FRP e dell’asse neutro dal lembo

superiore della sezione. La forza massima ancorata

dall’FRP è quindi calcolata moltiplicando la tensione fef

con l’area della sezione del composito FRP.

In aggiunta a questi modelli sono state prese in

considerazione altre 16 differenti formulazioni analitiche

proposte da Van Gemert (1980), Tnaka (1996), Hiroyuki

and Wu (1997), Maeda et al. (1997), Neubauer and

Rostàsy (1997), Khalifa et al. (1998), Adhikary and

Mutsuyoshi (2001), Chen and Teng (2001), De Lorenzis

et al. (2001), Yang et al. (2001), Izumo (2003), Iso

(2003), Sato (2003), Dai et al. (2005), Lu et al. (2005), e

Camli and Binici (2007). Ognuno dei modelli analitici

presi in considerazione è stato applicato senza l’utilizzo

di coefficienti di sicurezza.

Database sperimentale

L’accuratezza di ciascuno dei modelli analitici presentati

è stata valutata per mezzo di un vasto database

sperimentale formato dai risultati disponibili in letteratura.

Il database è costituito da 404 provini, 231 dei quali

testati utilizzando la prova di taglio singolo, 60 testati

utilizzando la prova di taglio doppio e 124 testati a

flessione (D'Antino and Pellegrino 2013). Venticinque dei

provini testati a taglio singolo e 74 dei provini testati a

flessione sono stati realizzati con compositi laminati pre-

impregnati. Tutti i provini testati a taglio doppio sono

stati realizzati con compositi impregnati in situ. Le

caratteristiche di ciascun provino sono riportate in

D’Antino and Pellegrino 2014.

Valutazione dell’accuratezza dei modelli analitici

L’accuratezza di ciascun modello analitico è stata

valutata comparando i risultati sperimentali inclusi nel

database con i corrispondenti risultati analitici. I risultati

sono riportati in termini di carico massimo applicato al

provino misurato sperimentalmente expP e

analiticamente thP . I risultati sperimentali sono stati

comparati con i risultati analitici per mezzo di appositi

diagrammi (Lu et al. 2005, Smith and Teng 2002).

L’accuratezza è stata misurata tramite il coefficiente di

variazione CoV, di seguito definito. Oltre al coefficiente di

variazione CoV sono stati calcolati anche la media Avg e

la corrispondente deviazione standard StD.

Figura 1 mostra, a titolo di esempio, i diagrammi

corrispondenti alla CNR DT-200 2004, fib Bulletin 14

T.G. 9.3 2001, ACI 440.2R 2008, e alla CNR DT-200

R1/2013. I valori che si trovano sopra la linea

1/exp =thPP sono conservativi poiché il valore della

resistenza di aderenza misurato sperimentalmente è

superiore al corrispondente valore analitico; viceversa i

valori che si trovano sotto la linea 1/exp =thPP non sono

conservativi. L’analisi dell’accuratezza di ciascun modello

è stata portata a termine distinguendo tra le diverse

configurazioni di prova (prova di taglio singolo = Single,

prova di taglio doppio = Double, prova a flessione =

Page 39: Ct 4 3 mele

36

Bending). È stata inoltre analizzata l’accuratezza di

ciascun modello al variare della tipologia di composito

utilizzato (strisce impregnate in situ = Sheet, laminati pre-

impregnati = Laminate). In Tabella 1 sono elencati tutti i

risultati ottenuti dall’analisi in termini di CoV e Avg.

Analizzando i risultati ottenuti nel caso dei codici e delle

linee guida più importanti (CNR DT-200 2004, fib Bulletin

14 T.G. 9.3 2001, ACI 440.2R 2008, CNR DT-200

R1/2013) è possibile notare che le stime analitiche sono

a volte non conservative (Figura 35). Il codice americano

ACI 440.2R 2008 fornisce risultati più conservativi

rispetto agli altri modelli ma la sua accuratezza, misurata

in termini di coefficiente di variazione, è piuttosto limitata.

Questo risultato può essere attribuito al fatto che il codice

americano è basato sulle osservazioni sperimentali di un

numero ridotto di provini.

I risultati riportati in Tabella 4 mostrano che alcuni

modelli sono più accurati nel caso di prove di taglio

doppio mentre altri ottengono risultati migliori nel caso di

prove di taglio singolo. I modelli che hanno ottenuto il

miglior risultato in termini di coefficiente di variazione

sono Lu et al. 2005 (CoV=0.18) nel caso di prove di

taglio singolo e Neubauer and Rostàsy 1997 (CoV=0.22)

nel caso di prove di taglio doppio.

ithii PPx ,exp,= (16)

n

xAvg

n

ii∑

== 1 (17)

( )

n

AvgxStD

n

ii∑

=

−= 1

2

(18)

( )n

AvgxCoV

n

irefi∑

=

−= 1

2

(19)

Si può inoltre notare che, ad eccezione della CNR DT-

200 2004 (CoV=0.33), i risultati ottenuti nel caso di prove

a flessione sono molto inaccurati.

Quest’ultimo risultato si può attribuire al fatto che la

maggior parte dei modelli analitici disponibili in letteratura

sono stati elaborati e calibrati basandosi sui risultati delle

prove di taglio singolo e doppio grazie alla loro rapidità

d’esecuzione e basso costo. Nelle prove a flessione,

inoltre, la resistenza di aderenza del composito non

viene misurata direttamente come avviene nelle prove di

taglio ma viene calcolata in base al momento flettente

massimo misurato. Per questo motivo il risultato ottenuto

nel caso delle prove a flessione risente delle ipotesi di

calcolo adottate, prima fra tutte l’ipotesi che le sezioni si

mantengano piane durante il processo di carico e

distacco del composito.

Non si è notata una chiara influenza del tipo di composito

adottato (fogli impregnati in situ o laminati pre-

impregnati), tuttavia bisogna notare che i laminati pre-

impregnati vengono utilizzati in maggior parte nel caso di

prove a flessione, mentre i fogli impregnati in situ

vengono utilizzati per lo più per le prove di taglio. Non è

stato inoltre possibile reperire risultati di prove di taglio

doppio condotte utilizzando laminati pre-impregnati, fatto

questo che ha impedito di ottenere risultati per questo

particolare tipo di accoppiamento prova-composito.

Infine, considerando i valori dei coefficienti di variazione

ottenuti senza distinguere in base alla tipologia di prova

ed al tipo di composito utilizzato si può notare che il

modello Camli and Binici 2006 fornisce l’accuratezza

maggiore, avendo un coefficiente di variazione uguale a

0.40.

Page 40: Ct 4 3 mele

37

Figura 35 – Comparazione tra risultati analitici e sperimentali distinguendo tra diverse configurazioni di prova (Single,

Double, Bending).

0

10

20

30

40

0 10 20 30 40

P exp

[kN

]

Pth [kN]

ACI 440.2R 2008 Single

Double

Bending

Single

Double

Bending

0

20

40

60

80

100

120

140

0 20 40 60 80 100 120 140

P exp

[kN

]

Pth [kN]

ACI 440.2R 2008 Single

Double

Bending

Single

Double

Bending

0

10

20

30

40

0 10 20 30 40

P exp

[kN

]

Pth [kN]

CNR-DT 200 R1/2013Single

Double

Bending

Single

Double

Bending

0

20

40

60

80

100

120

140

0 20 40 60 80 100 120 140

P exp

[kN

]

Pth [kN]

CNR-DT 200 R1/2013Single

Double

Bending

Single

Double

Bending

0

10

20

30

40

0 10 20 30 40

P exp

[kN

]

Pth [kN]

fib Bulletin 14-T.G. 9.3 2001Single

Double

Bending

Single

Double

Bending

0

20

40

60

80

100

120

140

0 20 40 60 80 100 120 140

P exp

[kN

]

Pth [kN]

fib Bulletin 14-T.G. 9.3 2001Single

Double

Bending

Single

Double

Bending

Single

Double

Bending

0

10

20

30

40

0 10 20 30 40

P exp

[kN

]

Pth [kN]

CNR-DT 200/2004 Single

Double

Bending

Single

Double

Bending

0

20

40

60

80

100

120

140

0 20 40 60 80 100 120 140

P exp

[kN

]

Pth [kN]

CNR-DT 200/2004Single

Double

Bending

Single

Double

Bending

Single

Double

Bending

Page 41: Ct 4 3 mele

38

Tabella 4 - Risultati ottenuti dai diversi modelli analitici in termini di coefficiente di variazione CoV e valore medio Avg.

Modelli analitici Single Double Bending Sheet Laminate

Sheet +

Laminate Avg CoV Avg CoV Avg CoV Avg CoV Avg CoV Avg CoV

Van Gemert 1980 1.51 0.84 0.94 0.54 0.79 3.07 1.21 0.66 0.76 1.02 1.10 0.76

Tanaka 1996 1.75 1.20 1.40 0.70 - - 1.88 1.00 1.96 2.54 1.77 1.21

Hiroyuki and Wu 1.91 1.15 1.82 1.25 1.90 1.38 1.88 1.37 1.96 1.40 1.90 1.38

Maeda et al. 1997 0.97 0.24 1.05 0.32 1.34 0.91 1.09 0.56 1.07 0.44 1.09 0.53

Neubauer and Rostasy 1997 0.87 1.38 0.99 0.22 1.31 0.91 1.02 0.51 0.99 0.53 1.02 0.51

Khalifa et al. 1998 1.24 0.41 1.05 0.38 1.25 0.88 1.28 0.62 1.01 0.42 1.22 0.58

fib Bulletin 14-T.G. 9.3 2001 0.84 0.23 0.85 0.26 1.10 0.72 0.93 0.44 0.87 0.41 0.91 0.43

Adhikary and Mutsuyoshi

2001 0.90 0.41 0.55 0.55 0.20 0.81 0.72 0.47 0.45 0.81 0.65 0.57

Chen and Teng 2001 1.47 1.38 1.66 0.75 2.21 1.88 1.71 1.11 1.72 1.13 1.71 1.12

De Lorenzis et al. 2001 0.67 0.36 0.72 0.34 0.88 0.60 0.75 0.45 0.70 0.42 0.74 0.44

Izumo 2003 0.85 0.39 0.69 0.62 0.10 0.98 0.74 0.52 0.07 0.93 0.62 0.61

Iso 2003 1.06 0.26 0.96 0.31 1.06 0.77 1.10 0.49 0.87 0.41 1.04 0.47

Sato 2003 0.73 0.36 0.85 0.53 0.50 0.81 0.76 0.47 0.44 0.73 0.68 0.54

Yang et al. 2003 1.14 0.30 1.04 0.35 1.34 0.91 1.22 0.58 1.09 0.43 1.18 0.55

CNR DT-200 2004 1.42 0.52 1.34 0.52 0.94 0.33 1.34 0.50 1.03 0.39 1.26 0.47

Dai et al. 2005 0.61 0.41 0.67 0.38 0.86 0.59 0.70 0.47 0.66 0.45 0.69 0.46

Lu et al. 2005 1.00 0.18 1.17 0.32 1.55 1.14 1.18 0.64 1.18 0.62 1.18 0.63

Camli and Binici 2006 1.01 0.31 0.84 0.37 0.60 0.56 0.93 0.35 0.68 0.52 0.87 0.40

ACI 440.2R 2008 1.45 0.59 1.78 0.94 2.23 1.50 1.54 0.72 2.12 1.40 1.68 0.93

CNR DT-200 R1/2013 1.30 0.44 1.22 0.42 1.26 0.77 1.23 0.36 1.41 0.91 1.28 0.55

Conclusioni

Nel presente lavoro è stata analizzata l’accuratezza di 20

differenti modelli analitici per la valutazione della

resistenza di aderenza di compositi FRP applicati su

supporti in calcestruzzo. La valutazione dell’accuratezza

di ciascun modello è stata condotta comparando le

previsioni analitiche con i risultati sperimentali contenuti

in un database sperimentale costituito da 404 provini. È

stata analizzata l’influenza di diverse configurazioni di

prova e di diverse tipologie di compositi sulle previsioni

analitiche. I risultati ottenuti hanno mostrato che i più

importanti codici e linee guida fornisco, a volte, previsioni

non conservative. I modelli considerati forniscono buoni

risultati nel caso di prove di taglio singolo e doppio,

mentre risultano molto poco accurate nel caso di prove di

flessione.

Alla luce di questo risultato si ritiene quindi necessario

approfondire lo studio dell’aderenza nel caso di prove a

flessione partendo dai risultati delle prove di taglio diretto

in cui la valutazione della resistenza di aderenza risulta

più agevole.

In generale, i risultati ottenuti forniscono indicazioni sulla

necessità di approfondire alcuni aspetti della

modellazione analitica anche tramite ulteriori indagini

sperimentali volte alla piena comprensione del

meccanismo di trasferimento degli sforzi tra FRP e

calcestruzzo. Appare inoltre chiara la necessità di

individuare, se possibile, una configurazione di prova

univoca e condivisa che permetta di caratterizzare

l’aderenza di compositi FRP applicati su supporti in

calcestruzzo.

Page 42: Ct 4 3 mele

39

4.2.2 Analisi critica dei modelli analitici per la valutazione della resistenza a taglio di elementi in calcestruzzo armato rinforzati con compositi FRP

Introduzione

Il problema del progetto di rinforzi a taglio di elementi in

calcestruzzo armato (c.a.) tramite l’utilizzo di compositi

fibrorinforzati applicati esternamente rappresenta una

sfida molto complessa ed importante. I modelli analitici

per il calcolo del contributo a taglio fornito dal composito

FRP, infatti, fornisco a volte risultati non conservati e

necessitano di essere validati tramite un elevato numero

di risultati sperimentali.

Scopo del presente studio è la valutazione

dell’accuratezza dei più importanti modelli analitici per la

valutazione della resistenza a taglio di elementi in c.a.

rinforzati con compositi FRP. Mentre in letteratura sono

disponibili studi volti alla stima del solo contributo di

resistenza a taglio fornito dal rinforzo FRP, questo studio

prende in considerazione la resistenza globale

dell’elemento rinforzato combinando i modelli analitici

riguardanti i compositi con i modelli di calcolo riguardanti

gli elementi in c.a. Particolare attenzione è stata posta

sull’utilizzo dell’Eurocodice 2 (CEN 2004) associato al

modello di Pellegrino and Modena (2008) in quanto

questi due modelli permettono di tenere in conto sia

dell’inclinazione delle fessure di taglio che della mutua

influenza tra FRP e armatura trasversale in acciaio

eventualmente presente nell’elemento da rinforzare.

Ciascun modello analitico considerato è stato associato

al corrispondente modello di calcolo per elementi in c.a.

ed il risultato è stato confrontato con le evidenze

sperimentali contenute in un ampio database costituito

dai risultati presenti in letteratura.

La maggior parte dei modelli analitici per la valutazione

della resistenza a taglio di elementi in c.a. rinforzati con

compositi FRP quantifica la resistenza globale

dell’elemento rinforzato come la somma dei contributi di

resistenza forniti da calcestruzzo, acciaio e composito,

assumendo quindi che i diversi contributi siano tra loro

indipendenti:

fscn VVVV ++= (20)

dove V!, V!, V!, e V! sono rispettivamente la resistenza

a taglio (globale) dell’elemento rinforzato ed i contributi di

resistenza a taglio fornita dal calcestruzzo, dall’acciaio

trasversale e dal composito. Molti autori hanno

concentrato i loro studi sull’individuazione del contributo

fV suggerendo l’utilizzo dei codici per elementi in c.a.

per il calcolo dei contributi V! e V!. Questa modalità di calcolo non prende però in

considerazione il problema globalmente in quanto si

assume che i diversi componenti resistenti non

interagiscano tra loro.

I codici di calcolo per elementi in c.a. come Eurocodice 2

(CEN 2004), ACI 318 (ACI 2005) and fib Model Code (fib

2010) si basano sul ben noto modello di traliccio di

Morsch pur proponendo approcci differenti e valori

differenti dell’inclinazione delle fessure di taglio.

L’inclinazione delle fessure riveste un importanza

cruciale, così come sottolineato da molti autori. Modifi

and Chaallal (2011), ad esempio, hanno osservato che

l’inclinazione della fessura di taglio deve essere presa in

considerazione nel calcolo di fV . Inoltre Lima and

Barros (2011) hanno analizzato l’influenza

dell’inclinazione della fessura di taglio critica, crθ ,

concludendo che tale valore è strettamente legato alla

presenza dell’armatura a taglio e possa essere anche

molto differente dal valore ottenuto tramite i codici di

calcolo. Per queste ragioni la valutazione

dell’accuratezza dei modelli di seguito riportata tiene in

conto dell’inclinazione della fessura di taglio. Al fine

dell’analisi si definiscono le seguenti quantità:

screfR VVV +=,exp

(21)

,exp,exp fscstrR VVVV ++=

(22)

refR

strRf VVV ,exp,exp,exp −=

(23)

dove refRV exp, è la resistenza a taglio sperimentale

dell’elemento non rinforzato, strRV exp, è la resistenza a

taglio sperimentale dell’elemento rinforzato, mentre

exp,fV è la resistenza a taglio sperimentale del rinforzo

FRP.

Di seguito vengono brevemente illustrati i modelli analitici

proposti nei codici europeo, italiano e americano per il

calcolo della resistenza a taglio di compositi FRP.

Ognuna delle equazioni è riportata utilizzando la

nomenclatura originale utilizzata nei documenti.

Page 43: Ct 4 3 mele

40

fib – TG 9.3 2001

Le formulazioni analitiche proposte nel fib - TG 9.3

(2001) sono basate sulla regressione di alcuni dati

sperimentali (Triantafillou and Antonopoulos 2000). La

resistenza a taglio dell’elemento rinforzato viene

calcolata come:

),min( 2,RdfdwdcdRd VVVVV ++= (24)

ααθ

ρε

sin)cot(cot

9.0 ,

⋅+⋅

⋅⋅⋅⋅⋅⋅= dbEV wffuefdfd

(25)

FRP in completo avvolgimento attorno all’elemento in

c.a.:

fuffu

cmefd E

ρε ⋅⎟

⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⋅⋅=

30.03/2

, 17.0

(26)

FRP applicato ai lati o ad U:

⎥⎥⎥⎥⎥⎥

⎢⎢⎢⎢⎢⎢

⋅⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⋅⋅

⋅⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⋅⋅

=

fuffu

cm

ffu

cm

efd

Ef

Ef

ερ

ρε

30.03/2

3

56.03/2

,

17.0

;1065.0

min

(27)

Nel caso di rinforzo a taglio continuo con spessore 𝑡!:

wff bt /sin2 αρ ⋅⋅= (28)

Nel caso di rinforzo a taglio in forma di strisce di

larghezza 𝑏! e spessore 𝑠!:

)/()/2( ffwff sbbt ⋅⋅=ρ (29)

dove cdV e wdV sono rispettivamente i valori di progetto

della resistenza a taglio fornita dal calcestruzzo e

dall’acciaio; fdV è il contributo a taglio dell’FRP, efd,ε è

la deformazione effettiva di progetto dell’FRP, fuε è la

deformazione ultima dell’FRP, fuE è il modulo elastico

dell’FRP nella direzione principale delle fibre espresso in

GPa; cmf è la resistenza a compressione cilindrica del

calcestruzzo espressa in MPa; fρ è il rapporto

d’armatura, d è l’altezza effettiva della sezione; α è

l’angolo tra la direzione principale delle fibre di FRP e

l’asse longitudinale dell’elemento rinforzato; θ è l’angolo

di inclinazione delle fessure di taglio rispetto all’asse

longitudinale dell’elemento rinforzato.

CNR-DT 200 2004

Il modello analitico fornito dalle linee guida italiane CNR-

DT 200 2004 è basato principalmente sul lavoro di Monti

and Liotta 2007:

{ }max,,,, ;min RdfRdsRdcdRdRd VVVVV ++= (30)

FRP applicato sui lati dell’elemento:

{ }

f

fffed

wRd

fRd

pw

tf

hdV

⋅⋅⋅⋅⋅⋅

⋅⋅⋅=

θβ

γ

sinsin2

;9.0min1,

(31)

{ }2

,

,

6.01

;9.0min

⎟⎟

⎜⎜

⎛⋅−⋅

⋅⋅=

eqrid

eq

w

eqridfddfed

zl

hdz

ff

 

(32)

eqrideqrid lzz +=,

(33)

{ } βsin;9.0min ⋅−⋅= eqwrid lhdz

(34)

βsin/

⋅=ffdd

feq Ef

sl

(35)

FRP in completo avvolgimento o in avvolgimento ad U:

f

fffed

RdfRd

pw

tf

dV

⋅+⋅⋅⋅⋅

⋅⋅⋅=

)cot(cot2

9.01,

βθ

γ

(36)

Configurazione in avvolgimento ad U:

{ }⎥⎦⎤

⎢⎣

⋅⋅−⋅=

w

efddfed hd

lff;9.0min

sin311 β

(37)

Configurazione in completo avvolgimento:

{ }

( )

{ }⎥⎦⎤

⎢⎣

⋅−⋅

⋅−⋅⋅+

+⎥⎦

⎤⎢⎣

⋅⋅−⋅=

w

e

fddfdR

w

efddfed

hdl

ff

hdl

ff

;9.0minsin

1

21

;9.0minsin

611

β

φ

β

(38)

Page 44: Ct 4 3 mele

41

w

cR b

r⋅+= 6.12.0φ

(39)

5.00 ≤≤w

c

br

(40)

ctm

ffe f

tEl

⋅=

2

(41)

ctmckbFk ffk ⋅⋅⋅=Γ 03.0

(42)

4001

2

f

f

b bbb

k+

−=

(43)

f

Fkf

cdffdd t

Ef

Γ⋅⋅

⋅=

21

, γγ

(44)

dove ctRdV , e sRdV , sono rispettivamente i contributi a

taglio del calcestruzzo e dell’acciaio, fRdV , è il

contributo a taglio dell’FRP, wh è l’altezza della sezione,

wb è la larghezza della sezione, fedf è la resistenza di

progetto dell’FRP, β è l’angolo tra le fibre e l’asse

longitudinale dell’elemento, θ è l’angolo di inclinazione

delle fessure di taglio (da assumersi uguale a 45° in

assenza di un calcolo più dettagliato), fw e fp sono

rispettivamente la larghezza e il passo delle strisce di

FRP misurati ortogonalmente alla direzione delle fibre (il

rapporto ff pw / va assunto uguale a 1 nel caso di

strisce applicate in adiacenza), cr è il raggio di

curvatura degli spigoli della sezione, le è la lunghezza di

aderenza ottimale, fE e ft sono rispettivamente il

modulo elastico e lo spessore dell’FRP, ctmf è la

resistenza media a trazione del calcestruzzo.

FkΓ è l’energia di frattura specifica dell’interfaccia FRP-

calcestruzzo, ckf è la resistenza a compressione

cilindrica caratteristica del calcestruzzo, bk è un

coefficiente geometrico che dipende dalla larghezza della

sezione b e del rinforzo fb ; fddf è la tensione ultima di

progetto dell’FRP.

ACI 440.2R 2008

Le indicazioni americane ACI 440 2008 sono basate

sugli studi di Khalifa et al. 1998:

ffscn VVVV ψ++= (45)

f

ffefvf s

dfAV

⋅+⋅⋅=

)cos(sin αα

(46)

fffv wtnA ⋅⋅⋅= 2 (47)

f

ffefv

fffefe

sdfA

VEf⋅+⋅⋅

=

=⋅=

)cos(sin αα

ε

 

(48)

FRP in completo avvolgimento:

frpfe εε ⋅≤= 75.0004.0 (49)

fv

efv

dLd

k−

=2

(50)

FRP applicato sui lati o in avvolgimento ad U:

004.0≤⋅= frpvfe k εε (51)

75.011900

21 ≤⋅

⋅⋅=

frp

ev

Lkkkε

(52)

75.0)(

2330058.0 ≤

⋅⋅=

ffe EtnL

(53)

3/2'

1 27 ⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛= cfk

(54)

fv

efv

dLd

k2

2

−=

(55)

dove fψ è un fattore riduttivo uguale a 0.95 nel caso di

completo avvolgimento e 0.85 nel rimanenti casi; fvA è

l’area del rinforzo FRP, fs è la spaziature tra le strisce

di FRP, fef è la tensione effettiva nell’FRP; α è l’angolo

di inclinazione delle fibre del composito rispetto all’asse

longitudinale dell’elemento, fd è l’altezza effettiva, fE il

modulo di elasticità delle fibre, feε è la deformazione

effettiva a rottura nell’FRP, vk è un fattore riduttivo. Il

modello proposto utilizza un unico valore dell’inclinazione

delle fessure di taglio uguale a 45°.

Page 45: Ct 4 3 mele

42

Pellegrino and Modena 2008

Il modello proposto da Pellegrino and Modena 2008 è

basato sull’osservazione sperimentale della rottura per

peeling di una porzione triangolare a lato dell’elemento

rinforzato con FRP applicato a lato o in avvolgimento ad

U. Il modello tiene inoltre in considerazione l’interazione

tra il rinforzo FRP e l’armatura a taglio eventualmente

presente, assumendo la deformazione nell’FRP uguale

alla deformazione dell’armatura a taglio. Il contributo di

resistenza a taglio dell’FRP fV è ottenuto tramite

l’equilibrio alla rotazione delle forze fF e cF agenti

rispettivamente nell’FRP e nel calcestruzzo, a rottura

(Figura 36 e 37):

f

fffefffff s

hEwLtnV

⋅⋅⋅⋅⋅⋅⋅=

ε2

(56)

dove fn è il numero di strati di FRP, ft è lo spessore

di un singolo strato di FRP, fw è la larghezza di una

striscia di FRP, fE è il modulo elastico dell’FRP, fh è la

distanza verticale tra il lembo superiore dell’FRP e il

lembo inferiore della sezione, fs è il passo delle strisce

di FRP e feε è la deformazione effettiva dell’FRP:

ff

efffff

vccctfe

bhlh

ELtn

bAf

⋅−

⋅⋅⋅⋅

⋅⋅⋅⋅= ,

2cos2 φε

(57)

dove ctf è la resistenza a trazione del calcestruzzo, cA

è l’area della sezione dell’elemento, fL è la lunghezza

della superficie di rottura, el è la lunghezza di aderenza

effettiva, bc,v e bf sono indicati in Figura 36 e 37, Φ è

l’angolo che caratterizza la rugosità dell’interfaccia,

assunto uguale a 79° in accordo coi risultati sperimentali

ottenuti dagli autori.

Figura 36 - Forze agenti nella sezione di un

elemento rinforzato in avvolgimento ad U e lateralmente, secondo Pellegrino and Modena 2008

Figura 37 - Forma della superficie di rottura di un elemento rinforzato in avvolgimento ad U e lateralmente, secondo Pellegrino and Modena 2008

Il modello Pellegrino and Modena 2008 propone inoltre

una formulazione in grado di tenere in conto

dell’influenza tra acciaio trasversale e FRP. Assumendo

che l’ampiezza delle fessure di taglio possa variare, la

deformazione nell’armatura trasversale viene assunta

pari alla deformazione di snervamento solo se la

deformazione nell’FRP è maggiore della deformazione di

snervamento. In questo modo si tiene in considerazione,

in via semplificata, della mutua influenza tra rinforzo

FRP e acciaio d’armatura. La deformazione nell’acciaio

d’armatura in presenza di rinforzo FRP viene quindi

espressa come:

Page 46: Ct 4 3 mele

43

⎥⎥⎥

⎢⎢⎢

⋅⋅

⋅⋅⎟⎠

⎞⎜⎝

⎛ −⋅

⋅⋅=

);min(

cot1

ysfe

v

ws

fEdc

dbV

ε

θρα

(58)

dove α è assunto pari a 0.75 per tenere in

considerazione il fatto che la tensione nell’acciaio

d’armatura varia col variare dell’ampiezza delle fessure

di taglio; vρ è il rapporto d’armatura trasversale, yf è la

tensione di snervamento dell’armatura trasversale, c è la

profondità dell’asse neutro, wb è la larghezza della

sezione dell’elemento, e d è l’altezza effettiva.

Oltre a questi sono stati considerati i modelli analitici

proposti da Chen and Teng (2003a, b), Carolin and

Taljsten (2005), Bukhari et al. (2010), e Modifi and

Chaallal (2011).

Valutazione dell’accuratezza dei modelli analitici per la

stima del contributo a taglio di rinforzi FRP

L’accuratezza di ciascuno dei modelli analitici presentati

è stata valutata comparando i risultati analitici con i

risultati di un ampio database sperimentale. Tale

database contiene i risultati di 215 travi in c.a. di cui 29

con sezione a T e 186 con sezione rettangolare.

Unitamente ai risultati sperimentali sono state raccolte

nel database tutte le caratteristiche geometriche e

meccaniche necessarie all’utilizzo dei modelli analitici.

La valutazione dell’accuratezza dei diversi modelli è

stata fatta distinguendo le diverse configurazioni di

rinforzo degli elementi contenuti nel database:

- 65 travi di controllo non rinforzate;

- 36 travi rinforzate ad U con armatura

trasversale;

- 27 travi rinforzate ad U senza armatura

trasversale;

- 16 travi rinforzate sui lati con armatura

trasversale;

- 49 travi rinforzate sui lati senza armatura

trasversale;

- 22 travi rinforzate in completo avvolgimento.

Le caratteristiche di ciascun provino contenuto nel

database sono riportate in Pellegrino and Vasic 2013. Al

fine di valutare l’accuratezza di ciascun modello non solo

nella valutazione del contributo a taglio del rinforzo ma

nella stima della resistenza a taglio dell’elemento

rinforzato nel suo complesso sono stati considerati i

modelli analitici in accoppiamento con i corrispondenti

codici per c.a. Tale scelta è giustificata dall’osservazione

che il contributo resistente di ogni singolo componente,

calcestruzzo, acciaio e FRP, non è indipendente dagli

altri e non può quindi essere considerato singolarmente

(Pellegrino and Modena 2008). La resistenza globale

dell’elemento rinforzato è stata ottenuta direttamente

dalle misurazioni sperimentali, mentre la stima analitica

è il risultato della combinazione dei modelli analitici con i

corrispondenti codici per c.a., nello specifico Eurocodice

2 (CEN 2004), ACI 318 (ACI 2005) and fib Model Code

(fib 2010). Come si può notare dalle formulazioni

analitiche precedentemente esposte, l’angolo di

inclinazione delle fessure di taglio, θ, ha una grande

influenza sul risultato finale e, per questo motivo, sono

stati considerati diversi valori di θ secondo le indicazioni

fornite nei codici/linee guida di riferimento. L’ACI 318

suggerisce un angolo θ=45°, l’Eurocodice 2 raccomanda

l’utilizzo di un angolo 21.8°≤ θ ≤ 45° (in questo caso è

stato utilizzato il valore di θ che massimizza la

resistenza globale dell’elemento – indicato in Tabella 5

con θ=var – cioè quell’angolo che fornisce

contemporaneamente il valore massimo della resistenza

a taglio nell’armatura trasversale in acciaio e nelle bielle

compresse di calcestruzzo), mentre il fib Model Code

raccomanda l’utilizzo di θ=36°. Come raccomandato in

ognuno dei codici, la resistenza a compressione della

biella in calcestruzzo è stata considerata come limite

superiore di resistenza.

La misura dell’accuratezza di ciascun modello è stata

effettuata confrontando il valore della resistenza teorica

(analitica) theonV , dell’elemento rinforzato con la

corrispondente resistenza misurata sperimentalmente

exp,nV . I parametri utilizzati per tale misura sono la

percentuale di risultati conservativi, il rapporto medio tra

risultato teorico e sperimentale (Avg), la deviazione

standard corrispondente a tale rapporto (StD), ed il

corrispondente coefficiente di variazione (CoV). Il

coefficiente di variazione CoV è il rapporto tra la

deviazione standard Std e il valor medio Avg. Maggiore

è il valore di CoV minore è l’accuratezza del modelli.

L’analisi è stata suddivisa in 5 parti (travi rinforzate ad U

con armatura trasversale, travi rinforzate ad U senza

armatura trasversale, travi rinforzate sui lati con

armatura trasversale, travi rinforzate sui lati senza

Page 47: Ct 4 3 mele

44

armatura trasversale, e travi rinforzate in completo

avvolgimento) al fine di studiare l’accuratezza di ciascun

modello nelle diverse configurazioni di rinforzo ed in

presenza o meno di armatura trasversale. Il numero

limitato di provini rinforzati in completo avvolgimento,

dovuto probabilmente alla ridotta applicabilità pratica,

non ha permesso di valutare l’influenza dell’armatura

trasversale ma solamente di fornire un risultato globale.

Tabella 5 riporta i valori dei coefficienti di variazione

(CoV) e dei valori medi (Avg) ottenuti per i diversi

modelli analitici e per diversi valori dell’angolo θ.

In generale la normativa italiana CNR-DT 200 2004 ed il

modelli Pellegrino and Modena 2008 forniscono buoni

risultati nella maggior parte dei casi. In particolare il

modello Pellegrino and Modena 2008 fornisce buoni

risultati in termini di CoV e Avg poiché tiene in

considerazione la mutua influenza del rinforzo FRP e

dell’armatura trasversale. Tale modello fornisce buone

stime sia accoppiato con l’Eurocodice 2 che con il fib

Model Code 2010. Pellegrino and Vasic (2013) hanno

inoltre proposto una migliore calibrazione del modello

Pellegrino and Modena 2008 modificando la stima

dell’angolo di scabrezza da Φ=79° a Φ=75°; i risultati

ottenuti sono riportati in Tabella 5.

La combinazione del modello Pellegrino and Modena

2008 (sia con Φ=79° che con Φ=75°) in accoppiamento

all’Eurocodice 2 nel caso di elementi senza armatura a

taglio fornisce il risultato migliore nel caso di θ=var, cioè

nel caso in cui il valore di θ massimizzi

contemporaneamente il contributo dell’armatura

trasversale e della biella in calcestruzzo. Tale risultato,

insieme ai risultati ottenuti dagli altri modelli, mostra

come la somma semplice dei diversi contributi di

calcestruzzo, acciaio e FRP fornisca delle stime poco

accurate. Molti autori hanno messo in discussione tale

modalità di calcolo osservando che i contributi massimi

forniti dal rinforzo FRP e dall’armatura trasversale non

sempre vengono raggiunti nello stesso istante e che

quindi il valore di resistenza globale stimato può, in

questi casi, essere maggiore della resistenza reale

dell’elemento (Chen et al. 2010, 2013, Pellegrino and

Modena 2002, 2006, D’Antino et al. 2012). Bousselham

and Chaallal 2006, 2008, Pellegrino and Modena 2002,

2006, 2008 e Pellegrino and Vasic 2013 hanno

osservato che la quantità di acciaio trasversale ha un

effetto significativo sulla resistenza globale dell’elemento

rinforzato con FRP. In particolare, l’efficacia dei rinforzi a

taglio con FRP sembra decrescere nel caso di elementi

con elevata quantità di acciaio trasversale (cioè con

elevato valore del rapporto tra la rigidezza assiale

dell’acciaio trasversale e del rinforzo FRP). Questa

osservazione è probabilmente dovuta al fatto che

l’acciaio trasversale, in presenza di rinforzo FRP, in

alcune circostanze non è in grado di raggiungere la

tensione di snervamento prima che si verifichi il distacco

del composito FRP, non riuscendo quindi a fornire

completamente il suo contributo di resistenza.

Conclusioni

In questo studio sono stati esposti i risultati di un’analisi

dell’accuratezza di alcuni importanti modelli analitici per

la valutazione della resistenza a taglio di elementi in c.a.

rinforzati con compositi FRP. Ciascuno dei modelli

analitici considerato è stato accoppiato al corrispondente

codice di calcolo di elementi in c.a. al fine di individuare

la resistenza globale dell’elemento rinforzato. I risultati

ottenuti globalmente mostrano come la modalità di

calcolo proposta dai più importanti e diffusi codici/linee

guida – che consiste nella somma semplice dei

contributi di resistenza a taglio di calcestruzzo, acciaio e

rinforzo FRP – fornisca in alcuni casi delle stime non

conservative. Tale risultato viene attributo alla mutua

influenza tra armatura trasversale e rinforzo FRP che

non viene presa in considerazione in tali modelli analitici.

In alcuni casi, infatti, il distacco dell’FRP non permette

all’armatura trasversale di sviluppare completamente il

proprio contributo di resistenza a taglio che viene invece

preso interamente in considerazione durante il calcolo. Il

modello italiano CNR DT-200 2004 ed il modello

Pellegrino and Modena 2008 hanno fornito risultati

accurati; il modello Pellegrino and Modena 2008, in

particolare, ha ottenuto risultati accurati in quanto in

grado di tener conto dell’influenza dell’armatura

trasversale sul rinforzo FRP.

Page 48: Ct 4 3 mele

45

Tabella 5 - Coefficienti di variazione (CoV) e valori medi (Avg) del rapporti tra risultati teorici e sperimentali per diversi modelli analitici e diversi valori dell’angolo θ.

Codici di calcolo per c.a. EC2 2004 fib MC10 2010 ACI318

θ=45° θ=36° θ=var (45- 21.8)

θ=45° θ=36° θ=45°

Parametri statistici CoV Avg CoV Avg CoV Avg CoV Avg CoV Avg CoV Avg

Rinforzo ad U senza armatura trasversale

fib TG 9.3 2001 0.23 1.14 0.20 0.96 0.56 0.66 0.61 2.32 0.54 1.99

CNR-DT 200 2004 0.29 1.28 0.22 1.10 0.37 0.78 0.45 1.65 0.35 1.36

ACI440 2008 0.48 1.67

Chen and Teng 2003a,b 0.61 2.35 0.61 2.35 0.61 2.35 0.79 2.97 0.79 3.97

Carolin and Täljsten 2005 0.21 1.01 0.30 0.83 0.75 0.58 0.32 1.25 0.26 1.00

Pellegrino and Modena 2008

0.37 1.39 0.37 1.39 0.37 1.39 0.57 1.92 0.57 1.92

Pellegrino and Modena φ=75°

0.34 1.08 0.34 1.08 0.34 1.09 0.51 1.40 0.51 1.40

Bukhari et al.2010 0.47 1.76 0.44 1.63 0.37 1.34 0.67 2.67 0.65 2.39

Modifi and Chaallal 2011 0.49 1.82 0.45 1.69 0.35 1.39 0.68 2.79 0.65 2.50

Rinforzo ad U con armatura trasversale

fib TG 9.3 2001 0.59 1.78 0.45 1.30 0.39 0.83 0.47 1.64 0.35 1.29

CNR-DT 200 2004 0.62 1.82 0.49 1.33 0.38 0.84 0.37 1.35 0.28 1.05

ACI440 2008 0.37 1.28

Chen and Teng 2003a,b 0.78 3.31 0.68 2.40 0.41 1.35 0.59 2.07 0.49 1.67

Carolin and Täljsten 2005 0.46 1.48 0.32 1.09 0.41 0.75 0.33 1.21 0.30 0.93

Pellegrino and Modena 2008

0.45 1.54 0.41 1.40 0.31 1.13 0.43 1.50 0.36 1.26

Pellegrino and Modena φ=75°

0.33 1.18 0.29 1.08 0.26 0.95 0.35 1.26 0.31 1.09

Bukhari et al. 2010 0.76 2.99 0.65 2.17 0.37 1.23 0.55 1.93 0.44 1.54

Modifi and Chaallal 2011 0.74 2.64 0.63 1.92 0.37 1.09 0.52 1.77 0.41 1.41

Rinforzo sui lati senza armatura trasversale

fib TG 9.3 2001 0.27 0.94 0.37 0.81 0.76 0.59 0.60 1.93 0.58 1.70

CNR-DT 200 2004 0.39 1.44 0.36 1.35 0.29 1.12 0.54 1.93 0.51 1.78

ACI440 2008 0.46 1.42

Chen and Teng 2003a 0.46 1.04 0.50 0.94 0.61 0.77 0.60 1.36 0.60 1.21

Carolin and Täljsten 2005 0.47 1.00 0.53 0.89 0.70 0.71 0.55 1.28 0.58 1.10

Pellegrino and Modena 2008

0.26 1.16 0.26 1.16 0.26 1.16 0.45 1.53 0.45 1.53

Pellegrino and Modena φ=75°

0.33 0.87 0.33 0.87 0.33 0.87 0.40 1.09 0.40 1.09

Bukhari et al. 2010 0.50 1.62 0.48 1.51 0.46 1.30 0.69 2.42 0.68 2.22

Modifi and Chaallal 2011 0.44 1.49 0.41 1.37 0.39 1.13 0.61 2.12 0.58 1.90

Rinforzo sui lati con armatura trasversale

fib TG 9.3 2001 0.38 1.26 0.30 0.95 0.49 0.72 0.44 1.41 0.34 1.11

CNR-DT 200 2004 0.62 2.14 0.50 1.63 0.26 1.02 0.45 1.47 0.35 1.20

ACI440 2008 0.23 1.07

Chen and Teng 2003a 0.55 1.68 0.41 1.24 0.33 0.86 0.30 1.24 0.24 0.97

Carolin and Täljsten 2005 0.74 1.23 0.67 0.94 0.48 0.84 0.49 1.07 0.57 0.81

Pellegrino and Modena 2008

0.41 1.47 0.37 1.38 0.29 1.18 0.32 1.32 0.24 1.13

Pellegrino and Modena φ=75°

0.22 1.05 0.22 0.98 0.30 1.10 0.23 1.09 0.20 0.94

Bukhari et al. 2010 0.66 2.02 0.52 1.48 0.24 0.99 0.37 1.39 0.28 1.09

Modifi and Chaallal 2011 0.68 1.98 0.55 1.45 0.36 0.95 0.44 1.40 0.36 1.12

Page 49: Ct 4 3 mele

46

Rinforzo in completo avvolgimento

fib TG 9.3 2001 0.92 2.54 0.83 1.90 0.44 1.09 0.61 1.79 0.54 1.43

CNR-DT 200 2004 0.84 2.57 0.74 1.90 0.48 1.18 0.54 1.05 0.52 0.99

ACI440 2008 0.51 1.05

Chen and Teng 2003b 1.05 2.48 0.95 1.83 0.65 1.18 0.70 1.70 0.66 1.36

Page 50: Ct 4 3 mele

47

4.2.3 Rinforzo di ponti esistenti in calcestruzzo armato con rinforzi frp pretesi: studio sperimentale e applicazione ad un caso reale

Introduzione

Come illustrato in precedenza, i compositi FRP sono stati

diffusamente utilizzati negli ultimi decenni per il rinforzo

di elementi in calcestruzzo armato (c.a.) e calcestruzzo

armato precompresso (c.a.p.) nei confronti della

flessione (Pellegrino and Modena 2009a), taglio

(Pellegrino and Modena 2002, 2006, 2008), e per il

confinamento di elementi soggetti prevalentemente a

sforzo assiale (Pellegrino and Modena 2010). La

capacità di rinforzo dei compositi FRP può essere

sfruttata al massimo applicando una pretensione al

composito prima che questo venga applicato all’elemento

da rinforzare. Secondo questa tecnica il rinforzo FRP

viene prima preteso e successivamente applicato alla

faccia in tensione dell’elemento da rinforzare: il rinforzo

viene infine completato con l’applicazione di ancoraggi

alle estremità (Triantafillou et al. 1992). La letteratura

riguardante l’utilizzo di rinforzi FRP pretesi è molto

limitata (El-Hacha et al. 2003, 2004, Tan et al. 2003,

Triantafillou et al. 1992, Wight et al. 2001) e la maggior

parte delle sperimentazioni a riguardo sono state

condotte su provini a scala ridotta. Inoltre la letteratura

riguardante lo studio dei dispositivi d’ancoraggio, utili ad

evitare il distacco del composito alle estremità così da

poter garantire il corretto funzionamento del rinforzo, è

molto limitata (Brena et al. 2003).

In questo lavoro vengono esposti i risultati di una

campagna sperimentale condotta presso l’Università di

Padova su elementi in c.a. e c.a.p. rinforzati con laminati

FRP ordinari e pretesi (Pellegrino and Modena 2009a).

Viene inoltre illustrata l’applicazione reale di compositi

FRP pretesi per il rinforzo delle travi del viadotto

Battiferro – Navile (Autostrada A14 Bologna – Taranto,

Italia). Al fin di illustrare ulteriormente l'applicazione del

rinforzo CFRP, vengono infine riportati gli interventi di

rinforzo a flessione sulle travi di alcuni viadotti

dell'autostrada A14, tratto Cattolica-Fano, per i lavori di

costruzione della terza corsia, e di riqualificazione del

viadotto Anas Vernalde sulla S.S.V. 17 a Castel di

Sangro, Isernia.

Programma sperimentale

Al fine di valutare l’efficacia del rinforzo FRP preteso

pima della sua applicazione ad un caso reale è stata

sviluppata una serie di prove sperimentali presso

l’Università di Padova. Sono state testate 5 travi di

lunghezza 1000 cm e sezione 30x50 cm, 4 delle quali

realizzate in c.a. ed una un c.a.p. Lo schema di carico ed

i dettagli relativi all’armatura longitudinale delle travi sono

illustrati in Figura 38 e 39. L’armatura a taglio è costituita

da staffe con diametro 8 mm e passo 200 mm, progettata

in modo da avere la rottura a flessione prima della rottura

a taglio. I trefoli d’acciaio, ove presenti, sono stati

pretensionati fino ad una tensione di 1400 MPa.

Un minimo di tre strain gauges sono stati applicati in

corrispondenza della mezzeria della trave sulla faccia

superiore, inferiore e laterale (all’altezza dell’armatura

longitudinale), mentre altri strain gauges sono stati

applicati sulla faccia in tensione lungo l’asse

longitudinale della trave per monitorare l’andamento delle

tensioni. Tre trasduttori di spostamento (LVDT) sono stati

applicati in mezzeria ed in corrispondenza degli appoggi.

Il carico è stato applicato manualmente tramite un

martinetto idraulico di capacità 500 kN.

Sono state condotte prove di caratterizzazione sul

calcestruzzo costituente le travi, l’acciaio d’armatura ed il

composito utilizzato per il rinforzo. Al fine della

terminazione della resistenza a compressione del

calcestruzzo sono stati confezionati dei provini cubici di

dimensioni 150x150x150 mm, mentre dei provini cilindrici

di diametro 150 mm e altezza 300 mm sono stati utilizzati

per la determinazione del modulo elastico e della

resistenza a trazione del calcestruzzo. Sono stati ottenuti

i seguenti risultati medi: resistenza a compressione (19

provini) fcʹ = 71 MPa; resistenza a trazione (prova

brasiliana su 9 provini) fct = 5.2 MPa; modulo elastico (3

provini) Ec = 38060 MPa.

Page 51: Ct 4 3 mele

48

Figura 38 - Schema di carico e sezioni delle travi in c.a. (sinistra) e c.a.p. (destra). Dimensioni in mm.

Figura 39 - Trave di controllo non rinforzata prima

dell’esecuzione del test

La resistenza a trazione dell’acciaio è stata ottenuta

tramite prove di trazione su provini di barre e trefoli. I

risultati medi ottenuti sono: tensione di snervamento

dell’acciaio (12 provini) fy = 536 MPa; tensione a rottura

dell’acciaio (12 provini) fu = 633 MPa; tensione di

snervamento dei trefoli (2 provini) fpy = 1693 MPa;

tensione a rottura dei trefoli (2 provini) fpu = 1895 MPa.

Le prove sono state svolte secondo le indicazioni della

normativa europea (EN 12390 2003, EN 10002 2004, EN

15630 2004).

Al fine del rinforzo sono stati utilizzati dei laminati in

carbonio pultrusi di sezione 1.2x100 mm (rinforzo

ordinario) e 1.2X80 mm (rinforzo preteso). Sono state

condotte delle prove a trazione su provini di laminato

secondo le indicazioni della ASTM-D3039 (Figura 40). I

valori della tensione ultima, del modulo elastico e della

deformazione ultima ottenuti sono rispettivamente ffu =

2780 MPa, Ef = 166000, e εfu = 1.8%.

Figura 40 - Rottura di un provino CFRP a seguito di un

test a trazione.

Una delle travi (indicata con RC-C) non è stata rinforzata

in modo da poter confrontare i risultati ottenuti con i

risultati delle travi rinforzate. Ognuna delle superfici delle

travi su cui è stato applicato il rinforzo è stata trattata con

un disco abrasivo al fine di rimuovere lo sporco e

promuovere l’aderenza del rinforzo. Il rinforzo CFRP è

stato applicato lungo l’intera lunghezza delle travi

utilizzando una resina epossidica bicomponente e

garantendo uno spessore uniforme di 2 mm. Nel caso

della trave rinforzata con CFRP non preteso, denominata

RC-N, ad una delle estremità è stata applicata una

striscia di FRP ad U di modo da avere delaminazione

all’estremità opposta che è stata invece strumentata con

una serie di strain gauges. La trave RC-EA è stata

rinforzata con un laminato CFRP non preteso posto

all’intradosso ed ancorato a ciascuna estremità tramite

dei piatti in acciaio imbullonati alla trave (Figura 41).

La trave RC-PrEA è stata rinforzata con un laminato

CFRP preteso con una deformazione dello 0.6%. La

trave PRC-PrEA, l’unica in c.a.p. (Figura 38), è stata

rinforzata con un laminato in CFRP preteso con una

deformazione dello 0.4%.

Page 52: Ct 4 3 mele

49

Figura 41 - Piatto in acciaio imbullonato alla trave RC-

EA per ancorare il laminato CFRP.

Risultati sperimentali

Figura 42 mostra i diagrammi carico-abbassamento in

mezzeria di ciascuna delle 5 travi testate (la parte finale

delle curve in cui la delaminazione è già avvenuta e la

resistenza è fornita dagli ancoraggi non è stata inclusa).

La trave RC-C mostra il tipico comportamento a flessione

delle travi in c.a. (fase non fessurata, fase fessurata, fase

acciaio snervato). La trave RC-N mostra un

comportamento fragile dovuto all’improvvisa

delaminazione del rinforzo CFRP iniziata all’estremo

libero e propagatasi verso l’estremo ancorato con la

striscia FRP applicata ad U. La trave RC-EA mostra un

comportamento simile ma con un valore del carico

massimo superiore grazie alla presenza degli ancoraggi

alle estremità. In questo caso la rottura è avvenuta per

cedimento di uno degli ancoraggi d’estremità seguito alla

delaminazione intermedia del composito (Figura 43).

Figura 42 - Diagramma carico-abbassamento in

mezzeria per ciascuna trave testata.

Figura 43 - Cedimento dell’ancoraggio di estremità nella

trave RC-EA.

La rottura delle travi RC-PrEA e PRC-PrEA è avvenuta

per delaminazione del composito ma la presenza della

pretensione e degli ancoraggi ha ritardato molto la

completa rottura. Le travi RC-PrEA ed PRC-Pr hanno

mostrato un incremento rilevante del carico ultimo e del

carico a cui è apparsa la prima fessura per effetto della

forza assiale trasmessa dalla pretensione nel laminato e,

nel caso della trave PRC-PrEA, anche dai trefoli in

acciaio. Figura 44 mostra il rinforzo della trave PRC-

PrEA a seguito della delaminazione.

Le curve carico-deformazione in mezzeria di ciascuna

trave sono riportate in Figura 45-48. Sono riportate la

deformazione al lembo superiore ed inferiore della

sezione ed ai lati, in corrispondenza dell’armatura in

acciaio longitudinale, della trave RC-C (Figura 45), RC-N

(Figura 46), RC-EA (Figura 47), e RC-PrEA (Figura 48).

Figura 44 - Rottura della trave PRC-PrEA

0

50

100

150

200

0 50 100 150 200 250Deflection (mm)

Load

(kN

)

RC-CRC-NRC-EARC-PrEAPRC-PrEA

Page 53: Ct 4 3 mele

50

La deformazione nel composito CFRP è riportata in Figura

49 per la trave PRC-PrEA. La deformazione dovuta alla

pretensione non è inclusa in Figura 48 e 49. La

deformazione totale nel composito CFRP (inclusa la

pretensione, ove presente), è di 0.0043 (24% della

deformazione ultima misurata durante le prove a trazione

sul laminato) per la trave RC-N, di 0.0058 (32% della

deformazione ultima) per la trave RC-EA, 0.0117 (65% della

deformazione ultima) per la trave RC-PrEA e 0.0135 (75%

della deformazione ultima) per la trave PRC-PrEa.

Come si può osservare, quindi, la pretensione ha permesso

di sfruttare maggiormente il contributo di resistenza del

composito CFRP rispetto alle configurazioni senza

pretensione.

Figura 45 - Diagramma carico-deformazione in mezzeria della trave RC-C. sup. concrete = deformazione al lembo

superiore della sezione; lat. concrete = deformazione laterale in corrispondenza dell’armatura in acciaio longitudinale; inf. concrete deformazione al lembo

inferiore della sezione

Figura 46 - Diagramma carico-deformazione in mezzeria della trave RC-N. sup. concrete = deformazione al lembo

superiore della sezione; lat. concrete = deformazione laterale in corrispondenza dell’armatura in acciaio longitudinale; inf. concrete deformazione al lembo

inferiore della sezione.; inf. CFRP = deformazione nel CFRP.

Figura 47 - Diagramma carico-deformazione in mezzeria

della trave RC-EA. sup. concrete = deformazione al lembo superiore della sezione; lat. concrete =

deformazione laterale in corrispondenza dell’armatura in acciaio longitudinale; inf. concrete deformazione al lembo

inferiore della sezione.; inf. CFRP = deformazione nel CFRP.

Figura 48 - Diagramma carico-deformazione in mezzeria

della trave RC-PrEA. sup. concrete = deformazione al lembo superiore della sezione; lat. concrete =

deformazione laterale in corrispondenza dell’armatura in acciaio longitudinale; inf. concrete deformazione al lembo

inferiore della sezione.; inf. CFRP = deformazione nel CFRP.

Figura 49 - Diagramma carico-deformazione in mezzeria

della trave PRC-PrEA; inf. CFRP = CFRP strain.

0

20

40

60

80

-4 0 4 8 12 16 20Strain (%o)

Load

(kN

)

sup. concrete

lat. concrete

inf. concrete

0

20

40

60

80

100

120

-2 0 2 4 6 8Strain (%o)

Lo

ad

(kN

)

sup. concretelat. concreteinf. concreteinf. CFRP

0

20

40

60

80

100

120

-2 0 2 4 6Strain (%o)

Load

(kN

)

sup. concretelat. concreteinf. concreteinf. CFRP

0

40

80

120

160

-2 2 6 10 14 18Strain (%o)

Load

(K

N)

sup. concretelat. concreteinf. concreteinf. CFRP

0

50

100

150

200

250

0.0 2.0 4.0 6.0 8.0 10.0Strain (%o)

Loa

d (

kN)

inf. CFRP

Page 54: Ct 4 3 mele

51

Un caso di studio: viadotto Battiferro - Navile

La metodologia di rinforzo tramite compositi FRP pretesi

descritta è stata oggetto di diverse applicazioni, delle

quali viene di seguito illustrata a titolo esemplificativo

quella sulle travi del viadotto Battiferro – Navile

(Autostrada A14 Bologna – Taranto, Italia).

Il ponte in oggetto, edificato circa 40 anni prima

dell’intervento di rinforzo, aveva manifestato problemi di

deterioramento del calcestruzzo e di incremento del

carico derivante dal traffico. L’intervento di rinforzo ha

riguardato sia le travi longitudinali in c.a.p. che le travi

trasversali in c.a. Le travi trasversali in c.a. sono state

rinforzate a flessione tramite un laminato in carbonio

applicato all’intradosso ed ancorato alle estremità tramite

un foglio in CFRP applicato ad U che fornisce anche un

incremento di resistenza a taglio all’elemento (Figura 50).

Le travi longitudinali in PRC sono state rinforzate con

laminati in carbonio pretesi ed ancorati alle estremità

tramite piatti in acciaio imbullonati alla trave. Ciascun

laminato è stato preteso con una forza di 120 kN,

misurata valutando l’allungamento del laminato durante il

processo di pretensione. La forza di pretensione

applicata corrisponde ad una deformazione dello 0.6%. Il

processo di pretensione, analogo a quello utilizzato

durante la sperimentazione in laboratorio, può essere

riassunto come segue:

1. Preparazione della superficie di calcestruzzo tramite

un disco abrasivo.

2. Foratura del calcestruzzo per l’applicazione dei

bulloni (Figura 51).

3. Applicazione di resina epossidica bicomponente con

spessore 2 mm (Figura 52).

4. Applicazione del laminato in carbonio.

5. Estremo fisso: inserimento del laminato all’interno

dell’ancoraggio in acciaio provvisorio collegato al

piatto in acciaio imbullonato alla trave (Figura 53)

6. Estremo mobile: il laminato in carbonio è inserito

all’interno dell’ancoraggio in acciaio provvisorio,

simile a quello utilizzato all’estremità fissa;

l’ancoraggio è posto ad una distanza di circa 5 mm

dalla superficie del calcestruzzo per permettere il

movimento del laminato durante la pretensione; un

martinetto idraulico preme contro l’ancoraggio

provvisorio in acciaio applicando la pretensione al

laminato che risulta vincolato all’estremità fissa

(Figura 54).

Il martinetto idraulico e gli ancoraggi provvisori sono

rimossi 48 ore dopo l’applicazione della pretensione

(Figura 55). Figura 56 mostra una visione generale del

viadotto a seguito dell’intervento di rinforzo.

Figura 50 - Rinforzo delle travi trasversali in c.a.

Figura 51 - Foratura del calcestruzzo per l’applicazione

dei bulloni.

Figura 52 -. Applicazione della resina epossidica

bicomponente.

Page 55: Ct 4 3 mele

52

Figura 53 - Inserimento del laminato nell’ancoraggio in

acciaio all’estremo fisso.

Figura 54- Applicazione della pretensione tramite

martinetto idraulico.

Figura 55 - Rimozione del martinetto idraulico e di tutti gli ancoraggi provvisori 48 ore dopo l’applicazione della

pretensione.

Figura 56 - Visone globale del viadotto a seguito

dell’intervento di rinforzo.

Conclusioni

In questo lavoro sono stati presentati i risultati di una

campagna sperimentale condotta su travi in c.a. e in

c.a.p. rinforzate con laminati CFRP applicati con

differenti tecniche. Si è osservato come alcuni parametri

influenzino l’incremento della resistenza ultima delle travi

rinforzate. In particolare, l’utilizzo di ancoraggi meccanici

accresce la capacità ultima degli elementi strutturali

ritardando la delaminazione del composito. Il sistema di

rinforzo con laminati CFRP pretesi si è dimostrato in

grado di fornire un ottimo contributo di resistenza

all’elemento aumentando il valore del carico ultimo e del

carico a cui appaiono le prime fessure. Tale sistema ha

permesso inoltre di limitare l’ampiezza delle fessure e di

raggiungere valori di deformazione nel composito vicini al

valore di deformazione ultima.

Alla luce dei buoni risultati ottenuti, la tecnica di rinforzo

con laminati CFRP pretesi è stata utilizzata nel caso del

viadotto Battiferro – Navile (Autostrada A14 Bologna –

Taranto, Italia). Il rinforzo, analogo ai rinforzi testati in

laboratorio, ha permesso di risolvere i problemi strutturali

del ponte, dovuti soprattutto al deterioramento del

calcestruzzo ed all’accresciuto carico da traffico. Sono

state rinforzate sia le travi longitudinali, sulle quali sono

stati applicati laminati CFRP pretesi ed ancorati alle

estremità con piastre in acciaio imbullonate, che le travi

trasversali, sulle quali sono stati applicati laminati CFRP

ancorati all’estremità con fogli FRP applicati ad U che

hanno permesso di ottenere anche un ulteriore contributo

di resistenza a taglio.

Page 56: Ct 4 3 mele

53

4.3 MATERIALI FIBRORINFORZATI IN CARBONIO E ACCIAIO UHTSS A MATRICE INORGANICA (FRCM – SRG)

4.3.1 Analisi sperimentale del comportamento di aderenza di compositi FRCM in fibra di vetro, carbonio e acciaio

Introduzione

Da qualche decennio a questa parte i compositi

fibrorinforzati a matrice polimerica (FRP) sono stati

studiati e largamente utilizzati per il rinforzo di strutture

esistenti in calcestruzzo armato. Essi offrono elevate

resistenze associate a ingombri molto ridotti e a costi

relativamente non elevati. Nonostante gli FRP siano stati

oggetto di studi approfonditi esistono ancora dei problemi

risolti, come ad esempio la valutazione dell’aderenza

FRP-supporto in presenza di elevate temperature e/o a

seguito dell’esposizione a raggi UV (Salomoni et al.

2011). Al fine di superare queste difficoltà le matrici

organiche (generalmente resine epossidiche) possono

essere sostituite da matrici inorganiche. Nonostante in

letteratura siano stati utilizzati diversi nomi per indicare

questi compositi costituiti da fibre ad alta resistenza

applicate per mezzo di matrici inorganiche, essi sono

generalmente conosciuti col nome di fiber reinforced

cementitious matrix (FRCM).

Il rinforzo con compositi FRCM rappresenta una tecnica

piuttosto recente e gli studi disponibili in letteratura sono

ancora molto limitati; in particolare esiste solo una guida

(ACI 549.4R-13) con indicazioni all’utilizzo di questi

compositi. La letteratura disponibile riguardo ai compositi

FRCM indica che la rottura tipica di questi compositi

avviene all’interfaccio fibra-matrice (D’Ambrisi et al.

2012, D’Ambrisi et al. 2013, Hashemi and Al-Mahaidi

2012, Carloni et al. 2013, D’Antino et al. 2013, Pellegrino

and D’Antino 2013, Sneed et al. 2014, D’Antino et al.

2014) e non all’interno del substrato, come invece

accade nel caso dei compositi FRP (Wu et al. 2002, Yao

et al. 2005, Subramaniam et al. 2007, Ferracuti et al.

2007, Pellegrino et al. 2008, Subramaniam et al. 2011,

Pellegrino and Modena 2009b, Valluzzi et al. 2009,

Achintha and Burgoyne 2011, Carrara et al. 2011). La

rottura all’interfaccia dei compositi FRCM è caratterizzata

da un distacco progressivo delle fibre dalla matrice

caratterizzato da grandi scorrimenti.

La rottura è inoltre complicata dal cosiddetto effetto

telescopico, un meccanismo per cui i filamenti all’interno

di ciascun fascio di fibre si comportano in modo

differente, principalmente a causa della differente

impregnazione dei filamenti esterni rispetto a quelli

interni (Banholzer 2004). Se i risultati presenti in

letteratura verranno confermati, e quindi verrà

confermata la rottura dell’FRCM all’interno della matrice,

il substrato non rappresenterà più l’elemento debole del

rinforzo, così come accade nel caso dei compositi FRP.

In questo lavoro vengono esposti i risultati di 24 prove di

taglio singolo (single-lap direct-shear test) condotte su

giunti FRCM-calcestruzzo. Vengono esposti i risultati di

prove condotte utilizzando fibra di vetro, carbonio e

acciaio, ciascuna utilizzata con diverse tipologie di

matrice. Sono state prese in considerazione due diverse

lunghezze incollate del composito, entrambe associate

alla medesima larghezza. Questo lavoro contribuisce alla

comprensione dei complessi meccanismi di trasferimento

degli sforzi dal composito al substrato in calcestruzzo

che sono di fondamentale importanza per il corretto

funzionamento dei rinforzi FRCM.

Configurazione di prova

Il composito FRCM è stato applicato alla superficie di un

prisma in calcestruzzo con sezione 125x125 mm e

lunghezza 500 mm. Ciascuna faccia del prisma è stata

utilizzata per l’applicazione di una striscia di composito,

ad eccezione della faccia rivolta verso l’alto del cassero

la cui superficie era irregolare. Le facce sono state

semplicemente pulite da residui e polvere prima

dell’applicazione del composito. Il composito FRCM ha

una larghezza incollata 601 =b mm ed una larghezza

330=ℓ mm o 450=ℓ mm. La matrice è stata applicata

ad una distanza di 30 mm dal bordo del supporto per una

lunghezza ℓ ; le fibre sono state impregnate dalla matrice

per una lunghezza ℓ e sono state lasciate non

impregnate al di fuori della lunghezza incollata. Due piatti

di alluminio di larghezza 1b e lunghezza 60 mm sono

stati incollati all’estremità delle fibre non impregnate per

mezzo di una resina epossidica. Tali piatti in alluminio

vengono poi chiusi tra due piastre in acciaio imbullonate

e collegate alla macchina di prova tramite un giunto

cilindrico (Figura 57).

Le prove sono state condotte imponendo lo spostamento

della traversa della macchina di prova ad una velocità di

0.005 mm/s. Due trasduttori di spostamento (LVDT) sono

stati applicati alla superficie del calcestruzzo, ai lati del

composito, in prossimità dell’estremità caricata della

Page 57: Ct 4 3 mele

54

matrice. Tali LVDT reagiscono contro un piatto in

alluminio ad L incollato alle fibre non impregnate

immediatamente fuori dall’estremità caricata della

matrice (Figura 57). La media delle letture dei due LVDT

viene denominata global slip g, mentre il carico applicato

è denominato applied load P.

Figura 57 - a) Configurazione di prova. b) Provino DS_CW_330_60_2 prima dell’inizio della prova

Proprieta’ dei materiali

Al fine di caratterizzare il calcestruzzo, lo stesso getto

utilizzato per i prismi è stato impiegato per la

realizzazione di 6 cubi di lato 150 mm, successivamente

testati secondo le indicazioni della UNI EN 12390-3. La

resistenza cubica media ottenuta è 3.59R =cm MPa

(CoV=0.150). I compositi FRCM sono stati realizzati con

due matrici con differenti caratteristiche. Ognuna delle

due matrici è stata caratterizzata per mezzo di 3 prismi

40x40x160 mm, testati secondo le indicazioni della UNI

EN 1015-11. Il valor medio della resistenza a

compressione cmr e della resistenza a flessione mflexf , di

ciascuna matrice sono riportate in Tabella 6.

Tabella 6 - Proprietà meccaniche delle matrici utilizzate

Matrice cmr [MPa] (CoV) mflexf , [MPa] (CoV)

W 47.6 (0.040) 6.4 (0.009)

S 35.5 (0.011) 6.1 (0.077)

I compositi sono stati realizzati con 3 diverse fibre: fibra

di carbonio, fibra di vetro e fibra d’acciaio. Le fibre di

carbonio e vetro sono organizzate in fasci sia in direzione

longitudinale che in direzione trasversale. Le fibre

d’acciaio sono invece organizzate in trefoli a 5 fili disposti

solo in direzione longitudinale. L’area nominale della fibra

in acciaio è di 24 mm2/m. Ciascun tipo di fibra è stato

testato a trazione per determinare la tensione massima

( )****σ tnbP= , dove *P è il carico massimo misurato,

n è il numero di fasci di fibra longitudinali presenti, *b e

*t sono la larghezza e lo spessore di un singolo fascio.

Le prove di trazione sono state condotte imponendo lo

spostamento della traversa della macchina ad una

velocità di 2 mm/min secondo le indicazioni della ASTM

D3039. Sono state effettuate un minimo di due ripetizioni

per ogni larghezza dei provini 2b .

Alle estremità dei provini sono stati incollati due piatti di

alluminio per promuovere l’aderenza con le ganasce

della macchina di prova. I risultati ottenuti in termini di

tensione media *σ sono riportati in Tabella 7.

Page 58: Ct 4 3 mele

55

Tabella 7 - Caratteristiche geometriche e meccaniche

delle fibre utilizzate.

Fibra *b

[mm]

*t

[mm] 2b [mm] ( n )

*σ [MPa]

(CoV)

C 3.5 0.05 4(1), 20(3),

40(5), 60(8)

4330

(0.083)

S - - 60(33) 3700

(0.054)

G221 4.0 0.05 5(1), 20(3),

60(5)

1300

(0.142)

In Tabella 7 C=carbonio, S=acciaio, and G221=vetro con

densità per unità di spessore 220ρ = g/m2.

Risultati sperimentali

I provini testati sono stati indicati con la notazione

DS_FM_X_Y_Z, dove F=fibra impiegata (C=carbonio,

S=acciaio, G221=vetro con densità per unità di spessore

220ρ = g/m2), M=matrice impiegata (vedi Tabella 6),

X=lunghezza incollata ( ℓ ) in mm, Y=larghezza incollata (

1b ) in mm, Z=numero del provino. Il carico massimo

*P e la corrispondente tensione massima *σ per

ciascun provino sono riportati in Tabella 8.

I provini DS_CW_450_60_2 e DS_CW_450_60_3,

costituiti da fibre di carbonio e malta W (Tabella 6) si

sono rotti prematuramente a causa della rottura di uno

dei fasci di fibra esterni immediatamente fuori dai piatti di

alluminio incollati all’estremità delle fibre non impregnate.

Questa tipologia di rottura suggerisce una distribuzione

non uniforme del carico applicato ai diversi fasci

longitudinali, tale per cui la forza si concentra su di un

fascio portandolo a rottura.

Al fine di promuovere una distribuzione del carico più

uniforme, le fibre non impregnate dalla malta dei

rimanenti provini di carbonio, sia con matrice W che con

matrice S, sono state impregnate con resina epossidica.

I diagrammi carico – global slip così ottenuti dai provini di

carbonio con matrice S sono riportati in Figura 58. La

rottura osservata è caratterizzata dal distacco delle fibre

dalla matrice, così come accade in compositi FRCM

costituiti da fibre PBO e malta cementizia descritti in

letteratura (Carloni et al. 2013, D’Antino et al. 2013,

Sneed et al. 2014, D’Antino et al. 2014).

Il diagramma carico - global slip presenta un tratto

lineare iniziale seguito da un tratto non lineare;

assumendo che una lunghezza effettiva effl esista in

questi compositi (D’Antino et al. 2014) e che in questo

caso sia minore della lunghezza incollata ℓ , tale tratto

non lineare prosegue fino all’inizio del distacco della fibra

che avviene ad un carico corrispondente alla tensione di

aderenza tra fibra e matrice. Dopo tale distacco il carico

applicato continua a crescere a causa della presenza

dell’attrito tra fibra e matrice e tra filamenti di fibra

all’interno dei fasci.

Tabella 8 - Risultati delle prove di taglio singolo su giunti

FRCM-calcestruzzo.

Provino *P

[kN] *σ [MPa]

DS_CW_330_60_1 4.77 3400 DS_CW_330_60_2 3.60 2570 DS_CW_330_60_3 4.26 3040 DS_CW_450_60_1 3.82 2730 DS_CW_450_60_2 - - DS_CW_450_60_3 - - DS_CS_330_60_1 4.26 3040 DS_CS_330_60_2 4.51 3220 DS_CS_330_60_3 4.90 3500 DS_CS_450_60_1 5.82 4160 DS_CS_450_60_2 5.72 4080 DS_CS_450_60_3 5.51 3940 DS_G221S_330_60_1 - - DS_G221S_330_60_2 1.35 1410 DS_G221S_330_60_3 1.56 1630 DS_G221S_450_60_1 - - DS_G221S_450_60_2 1.43 1490 DS_G221S_450_60_3 - - DS_SW_330_60_1 9.92 6890 DS_SW_330_60_2 5.84 4060 DS_SW_330_60_3 3.92 2730 DS_SW_450_60_1 7.27 5050 DS_SW_450_60_2 4.50 3120 DS_SW_450_60_3 6.27 4350

Al raggiungimento del carico massimo P* il meccanismo

di aderenza è ancora pienamente sviluppato e l’attrito

agisce sulla porzione di fibra già distaccata dalla matrice.

Dopo tale punto la lunghezza di aderenza risulta

maggiore della lunghezza ancora incollata e per questo

motivo il meccanismo di aderenza non può più essere

completamente sviluppato. Essendo il contributo

dell’attrito molto ridotto rispetto al contributo

dell’aderenza, il carico applicato diminuisce col

progressivo aumentare del global slip fino ad arrivare ad

un carico costante che corrisponde al solo contributo

dell’attrito.

Confrontando i risultati di provini con lunghezza incollate

diverse si può osservare che il carico massimo è

maggiore nel caso di lunghezza incollate maggiori.

Page 59: Ct 4 3 mele

56

Assumendo che la lunghezza effettiva di questi compositi

sia minore della lunghezza incollata, la differenza tra i

carichi massimi corrispondenti a ℓ diverse si può

attribuire al differente contributo dell’attrito, mentre il

contributo dell’aderenza rimane costante.

I diagrammi carico – global slip ottenuti dai provini di

carbonio con matrice W sono riportati in Figura 59. Il

comportamento dei provini DS_CW_330_60_2,

DS_CW_330_60_3 e DS_CW_450_60_1 è coerente col

comportamento dei provini in carbonio con matrice S; la

rottura è avvenuta per distacco della fibra dalla matrice

(Figura 60). Il provino DS_CW_330_60_1 si è rotto per

cedimento delle fibre immediatamente fuori dalla

lunghezza incollata all’estremo caricato (Figura 61). I

valori dei carichi massimi ottenuti dai provini di carbonio

con matrice S sono generalmente maggiori dei valori

ottenuti con matrice W, il che indica una migliore

aderenza fibra-matrice nel caso della matrice S.

Figura 58 - Diagrammi P – g dei provini in carbonio con

matrice S.

Figura 59 - Diagrammi P – g dei provini in carbonio con

matrice W.

Figura 60 - Scorrimento delle fibre all’estremo caricato

del provino DS_CW_330_60_3.

Le fibre di vetro non impregnate dalla malta sono state

impregnate con resina epossidica per promuovere una

distribuzione del carico uniforme, ad eccezione dei

provini DS_G221S_330_60_1 e DS_G221S_450_60_1

che infatti si sono rotti per cedimento delle fibre non

impregnate. I diagrammi carico – global slip dei provini

DS_G221S_330_60_2, DS_G221S_330_60_3 e

DS_G221S_450_60_2 sono riportati in Figura 62.

Figura 61 - Cedimento delle fibre all’estremo caricato del provino DS_CW_330_60_1.

Figura 62 - Diagrammi P – g dei provini con fibra di

vetro.

Page 60: Ct 4 3 mele

57

Ad eccezione del provino DS_G221S_450_60_3, che si

è rotto prematuramente a livelli di carico molto bassi a

causa della non corretta preparazione del provino, tutti i

provini di vetro si sono rotti per cedimento delle fibre

all’interno della lunghezza impregnata (Figura 62). La

rottura è inizialmente caratterizzata dallo scorrimento

delle fibre all’interno della matrice, così come accade nel

caso del carbonio. Figura 62 mostra come il carico risulti

inizialmente lineare per poi diventare non lineare fino al

raggiungimento del valore massimo *P , simile al valore

ottenuto nelle prove a trazione delle fibre. Non risulta

però chiaro se il meccanismo di aderenza riesca a

svilupparsi pienamente oppure se la rottura avvenga

prima. La rottura delle fibre è caratterizzata dall’effetto

telescopico (Banholzer 2004) che porta a rottura alcuni

filamenti prima di altri. Dopo il raggiungimento di *P il

carico si riduce con l’aumentare del global slip fino alla

rottura di tutti i filamenti che costituiscono i fasci. Dopo la

rottura di tutti i filamenti il carico applicato è fornito dal

solo contributo dell’attrito, il quale diminuisce con

l’aumentare del global slip e col conseguente diminuire

dell’area di contatto fibra-matrice (Figura 62).

Figura 63 - Cedimento delle fibre di vetro all’interno della

lunghezza incollata. I diagrammi carico – global slip ottenuti dai provini con

fibra in acciaio sono riportati in Figura 64. I salti visibili

nel global slip del provino DS_SW_450_60_1 sono stati

causati da problemi col sensore LVDT. I provini con fibra

in acciaio hanno mostrato una rottura fragile

caratterizzata dal distacco dell’intero composito dal

supporto (Figura 65a), ad eccezione del provino

DS_SW_330_60_1 che si è rotto per splitting della

matrice (Figura 65b). Il distacco è avvenuto all’interfaccia

FRCM-calcestruzzo senza l’asportazione di materiale dal

supporto, come generalmente accade nel caso di

compositi FRP (Salomoni et al. 2011, Carloni and

Subramaniam 2012, Chen and Teng 2001). La rottura

per splitting, precedentemente osservata nello stesso

composito testato con modalità diverse (Pellegrino and

D’Antino 2013), è dovuta all’alta densità delle fibre che

impedisce alla matrice di penetrare adeguatamente nella

rete in acciaio.

Conclusioni

In questo lavoro sono stati presentati i risultati

sperimentali di 24 prove di taglio singolo condotte su

giunti FRCM-calcestruzzo costituiti da diverse fibre e

matrici. Il comportamento e le modalità di rottura

osservate sono differenti per ogni composito FRCM

considerato. Il composito costituito da fibra di carbonio e

matrice S giunge a rottura per distacco delle fibre dalla

matrice, così come riportato in letteratura per altri tipi di

composito. La rottura è stata caratterizzata dal

progressivo scorrimento delle fibre all’interno della

matrice ed dalla presenza di attrito tra fibre e matrice e

tra i filamenti di fibra che compongono i singoli fasci. I

compositi in carbonio e matrice W sono giunti a rottura in

un caso per cedimento delle fibre immediatamente fuori

dalla lunghezza incollata, mentre nei rimanenti casi per

distacco delle fibre dalla matrice. I carichi massimi

ottenuti per i compositi in carbonio sono in generale

maggiori con la matrice S piuttosto che con la matrice W,

il che indica una migliore aderenza fibra-matrice nel

primo caso.

Il composito con fibra di vetro ha mostrato un

comportamento simile a quello dei compositi con fibra di

carbonio; la rottura è avvenuta per cedimento delle fibre

all’interno della lunghezza incollata ed è stato possibile

osservare la cosiddetta rottura telescopica. I carichi

massimi ottenuti sono simili a quelli ottenuti nel caso di

prove a trazione sulle sole fibre.

Il composito con fibre di acciaio è giunto a rottura in un

caso per splitting della matrice e nei rimanenti casi per

distacco dell’intero composito dal substrato. L’elevata

densità dei trefoli d’acciaio impedisce alla matrice di

penetrarvi adeguatamente attraverso e provoca quindi la

rottura per splitting.

Page 61: Ct 4 3 mele

58

Figura 64 - Diagrammi P – g dei provini con fibra di acciaio.

Figura 65 -. a) Distacco del composito FRCM nel provino DS_SW_450_60_2. b) Rottura per splitting nel provino

DS_SW_330_60_1.

4.3.2 Analisi sperimentale del comportamento di aderenza di compositi FRCM in fibra di vetro, carbonio e acciaio

Introduzione

Un grande numero di strutture esistenti in c.a. necessita

di riabilitazione o rinforzo a causa di progettazione o

costruzione impropria, modifica nei carichi di esercizio,

danni causati da fattori ambientali o ancora danni

derivanti da eventi sismici. Le tecniche di intervento

tramite polimeri fibrorinforzati (FRP) sono state

largamente studiate a partire dagli ultimi decenni del

secolo scorso e molti di questi lavori hanno posto le basi

per la pubblicazione di linee guida per la progettazione

ed il calcolo di questo tipo di rinforzi (CNR DT-200 2004

e CNR DT-200 R1/2013, fib Bulletin 14 T.G. 9.3 2001,

ACI 440.2R 2008). Il rinforzo per mezzo di compositi a

matrice cementizia è una tecnica di recente introduzione

e la letteratura tecnica ne riporta solamente pochi esempi

ed in particolare per quanto riguarda l’utilizzo di fibre in

acciaio. Inoltre le sperimentazioni su elementi pre-

esistenti a scala reale sono molto poche limitate

(Pellegrino and Modena 2009). Alcuni studi di elementi

rinforzati con compositi a matrice cementizia possono

essere trovati in (Jesse et al. 2005, Jesse et al. 2009,

Häußler-Combe and Hartig 2007, Bruckner et al. 2006,

Hegger et al. 2006) mentre recenti sperimentazioni di

elementi in c.a. rinforzati con malte svolte presso

l’Università di Padova possono essere trovati in

(Pellegrino et al. 2009, Pellegrino et al. 2011).

Il presente lavoro descrive l’indagine sperimentale di

quattro travi di copertura in c.a.p. con sezione a π

ricavate da un edificio industriale. Una di esse è stata

utilizzata come trave di controllo non rinforzata, mentre le

altre sono state rinforzate tramite diverse tecniche,

specificamente: (1) con uno strato di laminato CFRP

incollato con resina epossidica al lembo inferiore delle

anime della trave, (2) con fibre di carbonio e matrice

cementizia, (3) con fibre d’acciaio e matrice cementizia.

Ognuna delle prove è stata svolta utilizzando una

configurazione di flessione su quattro punti (Figura 66).

Ognuno dei materiali coinvolti è stato inoltre

caratterizzato meccanicamente. In particolare sono stati

ricavati dei campioni cilindrici di calcestruzzo e dei tratti

di armatura dalle travi in c.a.p.

a. b.

Page 62: Ct 4 3 mele

59

Figura 66 - Schema di carico (dimensioni in mm)

Figura 67 - Sezione trasversale delle travi π (dimensioni in mm).

Programma sperimentale

Geometria delle travi

Quattro travi in c.a.p. con sezione a π, ricavate da un

edificio industriale risalente ai primi anni settanta, sono

state investigate. Tali travi hanno una lunghezza di 1167

cm, una larghezza di 128.5 cm ed un’altezza di 40 cm

(con uno spessore dell’ala di 5 cm). Ognuna delle anime

ha uno spessore di 9.5 cm ed il suo asse è posto ad una

distanza di 510 mm dalla mezzeria della sezione.

Ognuna delle anime è armata con staffe φ5/200 mm,

armature lente longitudinali consistenti in 2φ5 in zona

compressa e 2φ5 in zona tesa, due trefoli con diametro di

1/2” e due con diametro di 3/8” posizionati come riportato

in Figura 67.

Modalità di rinforzo

Una delle travi π in c.a.p., di seguito indicata con TT00, è

stata utilizzata come trave di controllo non rinforzata al

fine di confrontare il suo comportamento con quello delle

travi rinforzate.

La trave indicata con TTcl è stata rinforzata tramite un

laminato in carbonio incollato al lembo inferiore di

entrambe le anime. Tale laminato ha uno spessore di 1.4

mm ed una larghezza di 50 mm; è stato applicato lungo

tutta la lunghezza dell’asse longitudinale delle anime fino

ad una distanza di 10 cm dagli appoggi.

La superficie di calcestruzzo è stata preparata prima

dell’applicazione del rinforzo tramite levigatura

meccanica e rimuovendo sporco e polveri presenti;

successivamente è stato applicato uno strato di resina

epossidica per poi procedere al posizionamento del

laminato accuratamente pulito e premuto sul supporto

per mezzo di un martello di gomma.

La terza trave π in c.a.p., di seguito indicata con TTcf, è

stata rinforzata con due fogli sovrapposti di rete in fibra di

carbonio (spessore singola rete 0.117 mm) applicati al

lembo inferiore delle anime e risvoltati sulle facce laterali

delle stesse per un’altezza di circa 95 mm. La scelta di

due strati di fibre di carbonio è giustificata dalla volontà di

raggiungere una resistenza teorica della trave TTcf vicina

alla resistenza teorica della trave TTcl. La malta utilizzata

per l’applicazione, è composta da aggregati selezionati,

leganti inorganici e fibre polimeriche, oltre ad un

componente reattivo che sviluppa un forte legame con le

fibre di rinforzo. Al fine di migliorare l’adesione, la

superficie di calcestruzzo è stata levigata

Page 63: Ct 4 3 mele

60

meccanicamente e sono stati rimossi sporco e polveri

presenti. Il secondo strato di fibre è stato applicato sopra

lo strato di malta che ricopriva il primo strato di fibre;

infine è stato applicato un ultimo strato di malta a

protezione dei rinforzi. La quarta trave π in c.a.p., di

seguito indicata con TTsf, è stata rinforzata per mezzo di

uno strato di fibre d’acciaio (area nominale 24 mm2/m),

applicate al lembo inferiore delle anime e risvoltate per

un altezza di circa 98 mm. La malta utilizzata e la

procedura di applicazione del rinforzo sono state

analoghe a quelle utilizzate nel caso della trave TTcf.

In Figura 68 sono rappresentati i tre differenti rinforzi.

Figura 68 - Configurazioni di rinforzo (dimensioni in mm).

Caratterizzazione dei materiali

Ognuno dei materiali coinvolti nella presente

sperimentazione è stato testato al fine di ottenerne le

principali proprietà meccaniche. Provini cilindrici di

calcestruzzo sono stati prelevati dalle travi e, dopo aver

rettificato meccanicamente le teste, sono stati

strumentati e testati a compressione al fine di ottenerne

la resistenza a compressione, fc , ed il modulo elastico,

Ec, seguendo le indicazioni dell’ASTM C42/C42M e

dell’Eurocodice 2 (CEN 2004). I valori medi ottenuti sono:

fc = 59.9 MPa e Ec = 41809 MPa.

Provini di acciaio d’armatura lenta, prelevati sia dalle ali

che dalle anime delle travi, sono stati testati a trazione

ottenendo i seguenti valori medi di tensione di

snervamento e tensione ultima: fy = 612 MPa e fu = 647

MPa. Non essendo stato possibile prelevare campioni

dei trefoli sono stati assunti i valori dichiarati dal

prefabbricatore.

I laminati in carbonio sono stati testati a trazione al fine di

ottenere il valore medio della resistenza ultima, della

deformazione ultima e del modulo elastico. Sono stati

ottenuti i seguenti risultati: tensione ultima ff = 2539 MPa,

deformazione ultima εf = 0.0165, modulo elastico Ef =

168000 MPa.

Per quanto riguarda le fibre di carbonio, sono state

assunte le caratteristiche meccaniche dichiarate dal

produttore. Le fibre d’acciaio sono state invece

caratterizzate tramite test di trazione su singoli filamenti,

ottenendo il valor medio della resistenza ultima del

singolo filamento fu,sf = 3156 MPa.

La malta utilizzata per le sperimentazioni è la stessa sia

nel caso di rinforzo con fibre di carbonio che nel caso

con fibre d’acciaio. Tale malta è stata testata in

compressione e flessione in accordo con la UNI EN

1015-11 2007. I campioni prismatici utilizzati a tal fine

hanno sezione quadrata di lato 40 mm e sono lunghi 160

mm. I risultati hanno fornito il valor medio della forza a

rottura per flessione, fflex,m = 8437 N ed il valor medio

della resistenza a compressione rcm = 39.3 MPa.

Risultati sperimentali

Il carico è stato applicato utilizzando una configurazione

di flessione su quattro punti ed applicando le forze in

corrispondenza delle due anime. I supporti sono stati

realizzati tramite due cavalletti in acciaio; uno strato di

neoprene è stato interposto tra i supporti e i punti

d’appoggio delle travi al fine di evitare fenomeni di

danneggiamento localizzati.

Le travi π in c.a.p. sono state strumentate per mezzo di

trasduttori di spostamento (LVDT) che ne misurassero

l’abbassamento in mezzeria; sensori induttivi (DD1) sono

stati applicati al calcestruzzo al fine di misurare

l’ampiezza delle fessure. Infine, solo nel caso della trave

TTcl, sono state misurate le deformazioni in alcuni punti

della lamina di carbonio per mezzo di strain gauges.

In Figura 69 è riportato il diagramma carico-

abbassamento in mezzeria per ognuna delle travi testate.

La trave di controllo non rinforzata (TT00), ha mostrato la

Page 64: Ct 4 3 mele

61

tipica rottura per flessione sviluppando un abbassamento

molto elevato. Il carico ultimo corrispondente è stato di

140 kN. In Figura 70 è riportata un’immagine della trave

TT00 a rottura.

Figura 69 - Curva carico-abbassamento in mezzeria per

le travi π in c.a.p.

Figura 70 - Rottura della trave di controllo non rinforzata

TT00.

La trave π in c.a.p. TTcl, rinforzata con una lamina di

carbonio applicata al lembo inferiore delle anime, è stata

strumentata tramite dieci strain gauges applicati al

rinforzo CFRP lungo tutta la sua lunghezza.

L’abbassamento in mezzeria è stato misurato tramite due

sensori LVDT, mentre quattro DD1 sono stati utilizzati

per misurare le deformazioni del calcestruzzo in

corrispondenza della mezzeria. Due di essi sono stati

posizionati sopra l’ala mentre gli altri sono stati

posizionati sulle facce laterali dell’ala stessa.

La rottura si è verificata improvvisamente al

raggiungimento di un carico di 189 kN, corrispondente ad

un abbassamento di 214.5 mm. Il collasso è stato

causato dal distacco improvviso di una delle due lamine

applicate alle anime, la quale è rimasta incollata al

supporto solo per un breve tratto della sua lunghezza. La

superficie di calcestruzzo è risultata particolarmente

deteriorata in corrispondenza della mezzeria della trave

(Figura 71).

Figura 71 - Dettaglio della trave TTcl a prova conclusa.

La terza trave π in c.a.p. (TTcf), rinforzata per mezzo di

due strati di fibra di carbonio e matrice cementizia, è

stata strumentata tramite sensori LVDT che ne

misurassero l’abbassamento e tramite sensori induttivi

DD1 che misurassero la deformazione a compressione

del calcestruzzo nonché l’ampiezza delle fessure.

Il collasso della trave TTcf è stato causato dal distacco

del composito in corrispondenza della mezzeria. Si è

osservato un quadro fessurativo diffuso a gran parte

della lunghezza ed alcune porzioni di malta sono state

completamente espulse dal supporto, in particolare in

corrispondenza della mezzeria. In alcune sezioni le fibre

di carbonio sono risultate completamente tranciate

(Figura 72). Il carico ultimo registrato è stato di 169.2 kN,

mentre l’abbassamento corrispondente è stato di 200.9

mm.

La quarta trave π in c.a.p. (TTsf), rinforzata per mezzo di

uno strato di fibra d’acciaio e matrice cementizia, è stata

strumentata per mezzo di sensori LVDT che ne

misurassero l’abbassamento e tramite sensori induttivi

DD1 che misurassero la deformazione a compressione

del calcestruzzo nonché l’ampiezza delle fessure.

Il collasso della trave TTsf è stato causato dal distacco

della fibra in acciaio partito dall’estremità e propagatosi

lungo l’asse longitudinale della trave. La rete in fibra

d’acciaio è risultata particolarmente danneggiata ai bordi

delle anime (Figura 73). Il carico ultimo registrato è stato

di 173.6 kN, mentre l’abbassamento corrispondente è

stato di 196.3 mm.

Page 65: Ct 4 3 mele

62

Figura 72 -Dettaglio delle fibre di carbonio dopo la

rimozione della malta.

Figura 73 - Rottura del rinforzo a matrice cementizia

della trave TTsf.

Conclusioni

Il presente studio descrive i risultati preliminari di

un’indagine sperimentale condotta su quattro travi con

sezione a π in c.a.p. ricavate da un edificio industriale

pre-esistente. Una di esse è stata utilizzata come trave di

controllo non rinforzata, mentre le altre sono state

rinforzate tramite diverse tecniche, nello specifico con

uno strato di laminato CFRP incollato con resina

epossidica, con due strati di fibra di carbonio e matrice

cementizia e con due strati di fibra d’acciaio e matrice

cementizia. Ognuno dei test è stato condotto utilizzando

una configurazione di flessione su quattro punti. I risultati

hanno mostrato come la modalità di rottura nella trave

rinforzata con laminati sia completamente differente

rispetto alle travi rinforzate con compositi a matrice

cementizia. Quest’ultima tecnica si è inoltre rivelata in

grado di fornire un contributo significativo alla resistenza

a flessione delle travi sia nel caso di utilizzo di fibra di

carbonio che di fibra d’acciaio. In particolare i provini

rinforzati hanno mostrato una crescita nel carico ultimo,

rispetto alla trave di controllo non rinforzata, del 35% per

la trave TTcl (rinforzo con laminati CFRP applicati con

resina epossidica), del 20% per la trave TTcf (rinforzo

con fibra di carbonio e matrice cementizia), e del 24%

per la trave TTsf (rinforzo con fibra d’acciaio e matrice

cementizia).

4.4 PROTOCOLLI DI ACCETTAZIONE, ESECUZIONE E COLLAUDO

4.4.1 Generalità e disposizioni normative

I materiali fibrorinforzati a matrice polimerica (FRP) a

fibre continue, cui fa riferimento il presente documento,

sono materiali compositi costituiti da fibre in carbonio di

rinforzo immerse in una matrice polimerica.

Questi sono disponibili in diverse geometrie quali le

lamelle pultruse, utilizzate per il rinforzo di elementi dotati

di superfici regolari, barre pultruse e tessuti (uniassiali o

multiassiali) che si adattano ad applicazioni su elementi

strutturali con forme geometriche più complesse. I tessuti

vengono applicati sull’elemento da rinforzare mediante

adesivi che svolgono la funzione sia di elemento

impregnante che di adesivo al substrato interessato.

La Normativa vigente già richiamata nel presente

documento prevede la possibilità di utilizzare, per gli

interventi sulle strutture esistenti, anche materiali non

tradizionali purchè nel rispetto di normative e documenti

di comprovata validità tra i quali vengono esplicitamente

citate le Istruzioni ed i Documenti Tecnici del Consiglio

Nazionale delle Ricerche. Il documento tecnico di

riferimento è stato approvato il 24 luglio 2009

dall’assemblea Generale Consiglio Superiore LL PP di

cui si riportano alcuni passaggi allo scopo di definire i

protocolli tecnici applicativi.

Inoltre vengono inclusi il documento CNR-DT200/2004

“Istruzioni per la Istruzioni per la Progettazione,

l’Esecuzione ed il Controllo di Interventi di

Consolidamento Statico mediante l’utilizzo di compositi

fibrorinforzati”, il CNR-DT 200 R1/2013 documento

aggiornato e in fase di approvazione al MIT assieme alle

Linea Guida per la Qualificazione ed il Controllo di

Page 66: Ct 4 3 mele

63

accettazione di compositi fibrorinforzati da utilizzarsi per

il consolidamento strutturale di costruzioni esistenti.

Sistemi di rinforzo

I sistemi CFRP idonei per il rinforzo esterno di strutture

esistenti possono essere classificati in due categorie

principali.

- Sistemi preformati (precured systems)

Sono costituiti da componenti di varia forma preparati

in stabilimento mediante pultrusione o laminazione. I

compositi preformati tipo lamelle sono utilizzabili per il

rinforzo esterno incollati all’elemento strutturale da

rinforzare. Rientrano tra i sistemi preformati qui trattati

anche le barre pultruse utilizzate per inserimento nella

membratura da consolidare e rese ad essa solidali

mediante adesivi polimerici.

Questi materiali compositi sono caratterizzati da una

disposizione unidirezionale delle fibre presenti in frazioni

volumetriche > 65%. Per i laminati pultrusi lo spessore

varia da 1,2 a 1,4 mm. e la larghezza sulla base delle

schede tecniche del fornitore.

- Sistemi impregnati in situ (ad esempio wet lay-up

systems)

Sono costituiti da tessuti di fibre unidirezionali o

multidirezionali che sono impregnati con una resina , la

quale funge anche da adesivo con il substrato

interessato (es. calcestruzzo).

Nel caso di sistemi impregnati in situ non è possibile

stimare a priori, con sufficiente accuratezza, lo spessore

finale del laminato, ed è perciò consigliabile fare

riferimento alle proprietà meccaniche ed all’area

resistente del tessuto secco, basandosi sui dati forniti

nelle schede tecniche del fornitore. In generale i tessuti

CFRP sono disponibili in grammature di 200-600 g/m2.

Principali dati tecnici dei sistemi di rinforzo preformati e

impregnati in sito per c.a. e c.a.p.

- Sistemi preformati

Nell’ambito del presente documento i sistemi di rinforzo

preformati in carbonio sono distinti in base ai valori delle

seguenti due caratteristiche meccaniche: modulo elastico

e tensione di rottura. Tali caratteristiche, valutate in

regime di trazione uniassiale, devono essere riferite

all’unità di superficie complessiva del composito FRP

(fibre e matrice), sollecitato nella direzione delle fibre. La

successiva Tabella riporta le classi di rinforzi preformati

contemplate dalla Linea Guida per le prove di

qualificazione ed i competenti valori delle due

caratteristiche meccaniche. La Linea Guida è in

approvazione al MIT.

Tabella 9.

Classe Natura della fibra

Modulo elastico a trazione nella direzione delle fibre [GPa]

Resistenza a trazione nella direzione delle fibre [MPa]

C120 Carbonio 120 1800 C150/1800 Carbonio 150 1800 C150/2300 Carbonio 150 2300 C190/1800 Carbonio 190 1800 C200/1800 Carbonio 200 1800

I valori esposti sono nominali: la condizione che i valori

del modulo elastico medio e della resistenza a trazione

caratteristica di un sistema preformato, calcolati come

sopra indicato, siano maggiori o uguali a quelli nominali,

ne legittima l’appartenenza alla corrispondente classe. Il

valore caratteristico della resistenza a trazione è

calcolato sottraendo al valore medio il prodotto della

deviazione standard per 2,33 su almeno 5 provini per

test. Nel caso di un materiale che, nella fase di

qualificazione, presenti valori del modulo elastico e della

resistenza a trazione ricadenti in classi differenti, la

denominazione è fatta con riferimento alla classe con

caratteristiche inferiori. I valori del modulo elastico e della

resistenza a trazione devono risultare opportunamente

stabili nei confronti del degrado indotto sul composito

FRP da azioni ambientali.

Per la determinazione del modulo elastico e della

resistenza a trazione dei provini ricavati da lamelle

preformate si deve far riferimento alla metodologia

indicata nella norma UNI EN 2561. Nel caso di barre

pultruse la norma di riferimento è ISO 10406. Gli adesivi

utilizzati per solidarizzare i sistemi di rinforzo preformati

alla struttura da consolidare devono essere conformi alla

norma UNI EN 1504-4.

- Sistemi impregnati in situ

Nell’ambito del presente documento i sistemi di rinforzo

in carbonio realizzati in situ sono distinti in base ai valori

del modulo elastico e della tensione di rottura. Le

suddette caratteristiche meccaniche devono essere

riferite all’area delle fibre secche, in assenza cioè di

impregnatura. Con riferimento al valore del modulo

elastico ed a quello della tensione di rottura a trazione,

Page 67: Ct 4 3 mele

64

nella direzione delle fibre i sistemi di rinforzo realizzati in

situ sono riconducibili alle classi specificate nella

successiva Tabella 10 per le prove di qualificazione.

Tabella 10.

Classe Natura della fibra

Modulo elastico a trazione nella direzione delle fibre [GPa]

Resistenza a trazione nella direzione delle fibre [MPa]

210C Carbonio 210 2700 350/1750C Carbonio 350 1750 350/2800C Carbonio 350 2800 500C Carbonio 500 2000

I valori esposti sono nominali: la condizione che i valori

del modulo elastico medio e della resistenza

caratteristica a trazione di un sistema di rinforzo

realizzato in situ, calcolati come sopra indicato, siano

maggiori o uguali a quelli nominali, ne legittima

l’appartenenza alla corrispondente classe. Il valore

caratteristico della resistenza a trazione è calcolato

sottraendo al valore medio il prodotto della deviazione

standard per 2,33 su almeno 5 provini per test.

Nel caso di un materiale che, nella fase di qualificazione,

presenti valori del modulo elastico e della resistenza a

trazione ricadenti in classi differenti, la denominazione è

fatta con riferimento alla classe con caratteristiche

inferiori.

Per tessuti pluriassiali, con fibre disposte in più direzioni,

i valori della Tabella 7 si intendono riferiti alla direzione

longitudinale.

Sempre nel caso di tessuti pluriassiali, i valori minimi

esposti in Tabella 7 devono essere ridotti del 10%.

I valori del modulo elastico e della resistenza a trazione

esibiti dal materiale devono risultare opportunamente

stabili nei confronti del degrado indotto da azioni

ambientali. Per la determinazione del modulo elastico e

della resistenza a trazione dei provini realizzati in situ si

deve far riferimento alla metodologia indicata nella norma

UNI EN 2561. Gli adesivi utilizzati per impregnare e

solidarizzare i sistemi di rinforzo realizzati in situ alla

struttura da consolidare devono essere conformi alla

norma UNI EN 1504-4.

Laboratori di prova

Le prove previste nella Linea Guida devono essere

eseguite da parte di laboratori di cui all’art.59 del DPR n.

380/2001, con comprovata esperienza e dotati di

strumentazione adeguata per prove su FRP.

4.4.2 Controlli di accettazione del materiale

Si richiamano le attuali disposizioni vigenti sopra riportate

che andranno comunque integrate con i documenti e

Linee Guida come già riportato in precedenza e

attualmente all’approvazione del MIT.

4.4.3 Collaudo dell’intervento

Il collaudatore deve verificare le ipotesi progettuali, i

modelli di calcolo, l’attendibilità dei livelli di conoscenza

dichiarati in progetto e la puntuale corrispondenza di

quanto eseguito agli elaborati progettuali.

Il collaudatore deve inoltre verificare l’avvenuta

accettazione dei materiali da parte del direttore dei lavori.

Per gli interventi di maggiore importanza o considerevole

estensione, è possibile anche prevedere un congruo

numero di prove non distruttive e semidistruttive. Quando

possibile saranno effettuate prove sino a collasso su

elementi, travi e pilastri rinforzati, tratti dalla struttura.

Nella versione CNR DT 200 R1/2013 sono riportati

specifici set up di prova con indicati i criteri di

accettazione in rapporto alla forza di progetto massima

prevista.

4.4.4 Tecnologia di pretensione dei laminati in carbonio

Un particolare settore d’intervento di rinforzo con i

laminati pultrusi in CFRP riguarda la possibilità di

realizzare una pretensione in opera dei laminati stessi

realizzando così una parziale compressione del

calcestruzzo in area tesa e migliorando pertanto la

rigidezza della trave e dell’impalcato con conseguenti

benefici di resistenza, durabilità e comportamento in

esercizio, senza interruzione del traffico. La tecnica si

applica in particolare per ponti e viadotti esistenti soggetti

a fatica e a carichi ciclici là dove la pretensione in opera

e in asse con la trave consente un netto miglioramento

del comportamento strutturale dell’elemento.

La tecnica è stata sperimentata in scala reale presso

l’Università di Padova e i risultati sono stati riportati nei

capitoli precedenti. Inoltre è stato realizzato un

importante intervento sul viadotto della A14/Tangenziale

di Bologna il cui rapporto è stato presentato in

precedenza.

In questa sezione si intende solamente mettere in

evidenza i vantaggi del sistema rimandando alla parte

sperimentale i principali aspetti tecnici della tecnologia.

Page 68: Ct 4 3 mele

65

I principali vantaggi della pretensione CFRP di elementi

pultrusi in carbonio su travi in c.a. sono:

-incremento del momento di rottura dell’ 85% della trave

rinforzata con pretensione rispetto alla trave non

rinforzata

- decremento della freccia di mezzeria con un aumento

della rigidezza flessionale

- incremento del momento di prima fessurazione del

52%

- migliore distribuzione delle fessurazioni (di numero ed

ampiezza inferiore) con un contributo importante di

resistenza dalle aree di luce al taglio a quelle a

momento costante

- migliore efficienza dell’utilizzo del carbonio in termini

di deformazione ultima

- ottimizzazione della sezione di carbonio impiegato

- elevata durabilità della struttura dopo intervento

- impiego della tecnologia senza interruzione del

traffico e minimo impatto sulla viabilità.

4.4.5 I sistemi SRP e SRG in tessuto in acciaio UHTSS

Analogamente a quanto riportato ai paragrafi precedenti

in materia di CFRP per il rinforzo di strutture in c.a. e

c.a.p., si presentano alcune tecnologie che sono state

oggetto di ricerca e sperimentazione nell’ambito

dell’attività svolta da codesto Comitato tecnico TC 4.3

GdL3 nel periodo 2012-2014.

Le tecnologie si riferiscono a tecniche avanzate di

rinforzo dei c.a. e c.a.p. con l’impiego di materiali

compositi in fibra di acciaio UHTSS e matrici organiche

(SRP) e inorganiche (SRG) il cui sviluppo tecnico in

Italia, ma anche in altri Paesi del mondo, ha consentito di

mettere a punto tali tecnologie particolarmente

interessanti nel rinforzo strutturale di ponti e viadotti e di

strutture in cemento armato in generale anche per

l’importante miglioramento tecnologico della sostenibilità

ambientale nell’ambito degli FRCM-SRG. Nei precedenti

capitoli del presente quaderno sono state illustrate

alcune sperimentazioni già presentate in recenti

congressi internazionali (IABMAS, CICE).

L’importanza di tali tecnologie sono state anche

riconosciute dal MIT che ha istituito nel 2012 un’apposita

commissione ministeriale per la definizione delle Linee

Guida per l’impiego di materiali di rinforzo alternativi. La

commissione è tuttora al lavoro.

Va anche precisato che ai sensi delle NTC8 cap. 12

l’impiego di tali fibre diverse dal carbonio sono ammesse,

purché regolamentate da apposite norme di prodotto ed

inoltre siano disponibili per i suddetti materiali compositi

specifiche tecniche e documenti sperimentali di

comprovata validità.

Si auspica altresì che in tale campo di intervento ci possa

essere un proseguo dell’attività di sviluppo da parte dei

futuri comitati tecnici AIPCR.

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Page 72: Ct 4 3 mele

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5 LE PAVIMENTAZIONI SU IMPALCATO DA PONTE

5.1 INTRODUZIONE

In Italia, il consolidamento più consistente del patrimonio

infrastrutturale può essere fatto risalire al periodo

successivo alla II Guerra Mondiale, quando è stata

effettuata la costruzione (talora il rifacimento) di

numerose arterie stradali e si sono gettate le basi per

una moderna rete autostradale. Tuttavia, i manufatti a tal

fine richiesti, quali ponti, viadotti, sovrappassi, opere di

scavalco in genere, sono stati concepiti, in sede di

progettazione e costruzione, considerando una troppo

elevata durabilità dei materiali componenti (calcestruzzo

armato o meno, calcestruzzo precompresso, acciaio).

Questo approccio non è mutato significativamente negli

anni a seguire, anche se la consapevolezza dei limiti di

tale impostazione è aumentata nel tempo. E così, negli

ultimi venti/trenta anni, il manifestarsi di forme sempre

più evidenti di degrado nei manufatti ha determinato un

frequente impegno degli Enti gestori di strade e dei

progettisti verso la riparazione ed il ripristino di opere

“prematuramente” deteriorate. Il degrado naturale dei

materiali in esame (calcestruzzo, acciaio) è dovuto

fondamentalmente a processi di decadimento della

struttura che essi costituiscono, principalmente

riconducibili a cause di tipo fisico e chimico che

compromettono la durabilità delle opere. Queste, di

conseguenza, non riescono più a conservare le

caratteristiche meccaniche richieste a garantire adeguati

livelli prestazionali e di sicurezza.

Il degrado naturale dei materiali in un’infrastruttura

stradale, oltre ad essere determinato dall’ambiente in cui

essi operano, è accentuato dalle sollecitazioni indotte dal

traffico (in particolare, da quello commerciale),

fortemente aumentate alla fine del secolo scorso e nei

primi anni di quello corrente. L’esperienza maturata

nell’ultimo ventennio ha dimostrato che i manufatti

interessati da elevato passaggio di traffico veicolare e

sottoposti all’azione climatica, specialmente di tipo

aggressivo, devono essere, oltre che opportunamente

dimensionati, anche protetti mediante efficaci sistemi di

impermeabilizzazione. Molti Autori hanno studiato le

tecniche più opportune di previsione del degrado dei

manufatti, la loro durabilità, i meccanismi di affaticamento

degli impalcati da ponte. Minore attenzione è stata,

normalmente, dedicata alla composizione ed alla

protezione delle sovrastrutture, il cui degrado, tuttavia, è

spesso all’origine del decadimento strutturale dei ponti e

viadotti. In tal senso, giocano un ruolo importante alcuni

dettagli costruttivi talora non sufficientemente valutati,

come: la scelta dell’impermeabilizzazione

dell’impalcato/soletta e la sua interazione con i materiali

sottostanti e sovrastanti; la pavimentazione stradale

costituente finitura carrabile; l’aderenza e la regolarità

dello strato superficiale; le tecniche costruttive e

manutentive della sovrastruttura.

Il presente rapporto intende approfondire questi ultimi

aspetti, fissando l’attenzione su materiali e tecnologie

costruttive innovativi, che possono contribuire a risolvere

efficacemente la finitura superficiale del ponte o viadotto,

aumentandone al contempo la durata e minimizzandone

la manutenzione. Fra le soluzioni di seguito analizzate, si

darà rilievo ai leganti polimerici che recenti

sperimentazioni hanno dimostrato poter sostituire

materiali convenzionali, semplificando la realizzazione

della sovrastruttura, impermeabilizzandola ed al

contempo dotandola di una superficie trafficabile ad

elevate prestazioni funzionali e strutturali.

5.2 LE PAVIMENTAZIONI SU IMPALCATO DA PONTE E IL LORO DEGRADO

Le pavimentazioni

La pavimentazione stradale, in genere, è costituita da

vari strati di materiali di diverso spessore, il cui insieme

forma una struttura che ha il compito di distribuire e

trasferire al supporto (terreno o impalcato o soletta di

appoggio) le sollecitazioni impresse dal traffico veicolare,

garantendo agli utenti condizioni di confort e sicurezza

per la circolazione. Le pavimentazioni vengono suddivise

in alcune categorie fondamentali, in funzione del

materiale impiegato per la loro costruzione: sono

denominate “rigide” quando lo strato superiore è formato

da lastre in calcestruzzo; sono definite “flessibili”, quando

gli strati superiori sono bituminosi; sono dette

“semirigide” quando il pacchetto bituminoso è rinforzato

con uno o più strati cementizi in profondità. La scelta di

una specifica tipologia è connessa con le prestazioni e la

durabilità richieste, i costi d’opera, i costi di

manutenzione.

Le pavimentazioni costruite sugli impalcati da ponte

poggiano, in genere, su una soletta di calcestruzzo, che

collabora assieme alla pavimentazione alla distribuzione

Page 73: Ct 4 3 mele

70

del carico e ad assorbire le dilatazioni climatiche e le

tensioni interne. Poiché la soletta è un elemento che

possiede una certa rigidezza, la pavimentazione e gli

strati che la compongono hanno uno spessore contenuto

rispetto a quello richiesto alle sovrastrutture poggianti sul

terreno, che è un sottofondo a limitata portanza. In

questo caso, dunque, le soluzioni costruttive si

restringono a due casi principalmente: pavimentazioni

rigide e semirigide. Le pavimentazioni rigide in

calcestruzzo, in Italia poco diffuse, sono caratterizzate da

un comportamento meccanico di tipo elastico, con

elevata resistenza al taglio e flessione; vengono adottate

in strade con elevata intensità di traffico. Per ragioni di

peso, costo, accuratezza di costruzione, non si prestano

ad un impiego nei manufatti stradali, dove si preferisce la

soluzione semirigida, qui costituita da uno strato

cementizio (la soletta, rigida) sormontato da uno o più

strati bituminosi (flessibili). Questa scelta consente di

contenere la deformabilità della pavimentazione,

conferendo un beneficio in termini di resistenza a fatica,

di deformazioni permanenti localizzate (ormaie) e

incrementando quindi la durabilità.

Le diverse tipologie di pavimentazioni su impalcati da

ponte possiedono una vita utile diversa al variare dei

carichi e non consentono, molte volte, una manutenzione

continua a causa degli alti costi di ripristino determinati

dal luogo in cui sono realizzate. Al fine di trovare la

migliore soluzione al degrado di tali sovrastrutture è

importante capire quali siano i possibili danni che esse

possono subire.

Il degrado delle pavimentazioni

Il degrado di una pavimentazione su ponte o viadotto può

dipendere sia dagli ammaloramenti che essa può subire

in funzione delle condizioni di esercizio, sia dai danni

che, sofferti dall’impalcato o – più in generale - dal

manufatto, si possono riflettere sulla sovrastruttura.

L’impalcato (in calcestruzzo o in acciaio) di un ponte,

come la struttura stessa del ponte e la pavimentazione

sovrastante, possono subire danni a causa di: degrado

fisico-meccanico-chimico determinato dall’ambiente, che

modifica la struttura dei materiali costituenti l’opera (si

pensi all’effetto dei sali disgelanti utilizzati nella stagione

invernale sulla pavimentazione stradale o delle acque

piovane che corrodono l’acciaio); sollecitazioni strutturali

non previste o eccessive (ad esempio, cicli termici,

affaticamento dei materiali, sollecitazione per carichi

continui o eccezionali, nascita di forze tangenziali tra

strati e quindi distacco di parti dell’opera); carenze

meccanico-strutturali dell’opera (ad esempio, per

spessori degli strati di pavimentazione insufficienti

rispetto ai carichi esterni, barre d’acciaio

sottodimensionate, ecc.).

Dall’impalcato o dalla struttura del ponte i danni si

propagano alla pavimentazione o viceversa. Il degrado

delle pavimentazioni stradali si manifesta attraverso

l’insorgere di fessure, avvallamenti, deformazioni

permanenti, buche, sgranamenti superficiali, che

determinano una perdita delle caratteristiche

prestazionali e di funzionalità dell’opera intera. Questi

fenomeni sono di seguito descritti, per meglio

comprendere i motivi del loro insorgere, evidenziando

separatamente i danni che si possono manifestare su

una pavimentazione stradale e quelli che si possono

formare sull’impalcato di ponte.

L’ormaiamento è uno dei più importanti tipi di danno che

si possono riscontrare su una pavimentazione di tipo

flessibile: la deformazione permanente del conglomerato

nel punto di passaggio delle ruote aumenta

gradualmente con l’accumulo dei numero di passaggi dei

carichi veicolari (Rodezno, 2005). Per ormaie si

intendono le depressioni longitudinali sul piano viabile,

normalmente accompagnate da rifluimento laterale. Le

principali cause del fenomeno di ormaiamento sono

imputabili al passaggio di mezzi commerciali, di elevato

peso, canalizzati, prevalentemente a bassa velocità,

specialmente se in presenza di elevate temperature di

esercizio. Il fenomeno si manifesta progressivamente: in

una prima fase, dopo l’apertura al traffico della strada, si

verifica un addensamento del materiale bituminoso

(processo volumetrico con saturazione dei vuoti) da parte

dei carichi concentrati veicolari; in una seconda fase, si

ha scorrimento del materiale all’interno degli strati

(processo deviatorico con riorganizzazione dello

scheletro litico). L’ormaiamento è un fenomeno da

contrastare, in quanto le depressioni ed ondulazioni del

piano viabile conferiscono alla sovrastruttura una

irregolarità superficiale, che fa progressivamente

diminuire la sicurezza di circolazione e favorisce altresì il

ristagno delle acque piovane.

La fessurazione a fatica è una delle più frequenti

tipologie di danno che si verifica nelle pavimentazioni

flessibili: l’azione ripetuta dei carichi di traffico induce

delle tensioni di taglio e di trazione negli strati legati, che

Page 74: Ct 4 3 mele

71

possono portare anche alla perdita dell’integrità

strutturale dello strato. I carichi ripetuti e la fatica danno

luogo a fessure nei punti dove si verificano tensioni e

deformazioni a trazione incompatibili con le risorse di

resistenza del materiale (Rodezno, 2005). La fatica si

manifesta con fessure localizzate che, nel tempo, si

accrescono e diffondono nello spessore dello strato e

nella superficie della pavimentazione, provocandone un

decadimento delle proprietà meccaniche e una seria

perdita di funzionalità (irregolarità, sdrucciolevolezza,

rumorosità, ecc.). Il danneggiamento per fatica si

manifesta nel medio-lungo periodo, in seguito

all’applicazione ripetuta di carichi derivanti

principalmente dal passaggio di traffico veicolare.

La fessurazione dell’impalcato è generalmente causata

dalle sollecitazioni trasmesse dal traffico e da variazioni

climatiche (di temperatura e umidità). La presenza

diventa particolarmente nociva quando gli sforzi di

trazione all’interfaccia fra strato in conglomerato

bituminoso e impalcato di calcestruzzo diventano elevati

e si creano distacchi tra i due strati (inizialmente nelle

regioni vicine ai giunti, per poi estendersi lungo tutta la

pavimentazione). Queste fessure sono la via principale

per l’infiltrazione dei cloruri (usati nei sali disgelanti o per

sciogliere la neve) e dell’acqua, che provocano la

corrosione delle armature in acciaio. La presenza di

cloro, acqua e ossigeno provoca la formazione di un

ambiente con pH elevato, che neutralizza l’equilibrio

chimico tra calcestruzzo e acciaio e causa l’ossidazione

di quest’ultimo (O’Connor e Saiidi, 1993; Xu et al.,

2009). Il prodotto della corrosione occupa un volume

maggiore rispetto a quello dell’acciaio, determinando

stati di coazione che possono portare a rotture

superficiali e alla formazione di fessurazioni nel

calcestruzzo (e poi sulla pavimentazione). Alcuni studiosi

(French et al., 1999) suggeriscono che la causa

principale della formazione di fessure sulla

pavimentazione sia da imputare alla fessurazione

trasversale dell’impalcato del ponte (per ritiro del

calcestruzzo e stress termici).

I cicli termici costituiscono un ulteriore problema per i

manufatti, a causa della dilatazione dei materiali e dei

singoli strati che compongono la pavimentazione,

essendo essi geometricamente vincolati sul manufatto;

gli stato tensionali che si ingenerano favoriscono la

formazione di fessure e la perdita di aderenza tra strati

della pavimentazione o tra la pavimentazione e

l’impalcato del ponte. La temperatura di esercizio gioca

un ruolo fondamentale, poiché al suo variare cambiano le

risposte meccaniche dei materiali. Alle basse

temperature, ad esempio, il conglomerato bituminoso

risulta maggiormente rigido e con un comportamento più

fragile, mentre alle alte temperature risulta avere un

comportamento maggiormente deformabile. L’escursione

termica giornaliera e stagionale sollecita il materiale,

portandolo a possibili fratture e contribuendo al degrado

complessivo della sovrastruttura. Un ulteriore aspetto

correlato con i cicli termici è il degrado delle strutture in

calcestruzzo provocato dal ripetersi del fenomeno di

congelamento dell’acqua che permea il calcestruzzo. Per

temperature inferiori a 0°C, infatti, l’acqua gela e

aumenta volume. Poiché la formazione di ghiaccio

avviene in modo progressivo dalla superficie verso

l’interno del calcestruzzo, si genera una pressione, che è

in grado di danneggiare la pasta cementizia

disgregandola in modo progressivo.

Ulteriore danneggiamento che interessa le strutture dei

manufatti e della pavimentazione è il degrado fisico-

chimico dovuto ad agenti esterni. I materiali porosi (come

il calcestruzzo) sono caratterizzati da un sistema di vuoti

di varie dimensioni e tra loro connessi e comunicanti con

la superficie: un materiale poroso, tramite processi di

assorbimento capillare è esposto all’attacco di agenti

chimici che possono penetrarvi. L’ingresso di umidità nel

calcestruzzo o nella pavimentazione attraverso i pori e i

successivi cicli di gelo/disgelo provocano il

danneggiamento progressivo del materiale (Nabar and

Mendis, 1997; Silfwerbrand and Paulasson, 1998).

L’attacco dei cloruri contribuisce alla corrosione delle

barre d’armatura d’acciaio e al danneggiamento del

calcestruzzo. Esso consiste in una reazione alcali-

aggregati molto dannosa, in quanto si ha un aumento di

volume del calcestruzzo con la formazione di fessure “a

ragnatela” che ne conducono alla disintegrazione

nell’arco di qualche anno, senza alcuna possibilità di

intervento. Generalmente, tale problema si verifica

quando si utilizzano inerti (come silice) che reagiscono

con gli alcali, sempre presenti nella pasta cementizia. I

sali disgelanti comunemente adottati per lo scioglimento

del ghiaccio o della neve di una pavimentazione stradale

(prevalentemente cloruro di sodio e di calcio) possono

avere effetti anche sulla pasta cementizia o sull’acciaio.

Nel primo caso, il contatto dei sali con il calcestruzzo

comporta un repentino raffreddamento della pasta

Page 75: Ct 4 3 mele

72

cementizia creando forti contrazioni e danneggiamenti

del materiale, il quale si distacca a scaglie. Per quanto

riguarda l’acciaio, invece, il contatto con i sali comporta

un’azione acceleratrice di corrosione, ammesso che ci

sia già un processo corrosivo in atto.

L’attacco solfatico avviene con la formazione di ettringite

e thaumasite, che comportando un aumento di volume,

provocano la fessurazione e il distacco del calcestruzzo.

L’attacco dell’anidride carbonica (CO2) al calcestruzzo

può avvenire secondo due tipologie: il dilavamento e la

carbonatazione. Il dilavamento si presenta come una

rimozione parziale della pasta cementizia superficiale in

seguito al passaggio di acqua. Il fenomeno è rilevante

quando il calcestruzzo di trova a contatto con acque

caratterizzate da bassa durezza o in caso di clima umido

a contatto con l’atmosfera. La carbonatazione è un

fenomeno dovuto alla diffusione dell’anidride carbonica

attraverso i pori e le fessure ed è fortemente accentuato

in zone ad alto inquinamento atmosferico. Conseguenza

a livello chimico è la formazione di carbonato di calcio

(CaCO3), il quale neutralizza la calce presente nel

calcestruzzo abbassandone il pH. L’abbassamento del

pH della pasta cementizia elimina le condizioni di

passività delle barre d’armatura dell’acciaio, con

conseguente possibilità di innesco dei fenomeni di

corrosione.

Nelle strutture in acciaio, il processo di corrosione indica

una lenta, ma progressiva consumazione del materiale, e

ha come conseguenza la riduzione della sua sezione

resistente e quindi un peggioramento delle caratteristiche

meccaniche. Affinché venga innescato un processo

corrosivo devono essere presenti contemporaneamente

ferro, ossigeno e acqua. È evidente che la condizione

peggiore per l’innesco e la propagazione della corrosione

si ha quando la struttura è soggetta ad una situazione

caratterizzata da asciutto-bagnato (o ad alti tenori di

umidità) poiché favorisce, seppur in tempi diversi, sia

l’ingresso dell’acqua che dell’ossigeno. La principale

conseguenza strutturale della corrosione nelle strutture in

calcestruzzo armato è la riduzione della sezione

resistente delle barre di armatura d’acciaio, con

conseguente riduzione della resistenza complessiva

della struttura. Altre conseguenze, non meno importanti

sono: riduzione di aderenza tra armature e calcestruzzo

fino ad arrivare alla perdita di ancoraggio, fessurazione

del copriferro con distacchi di pasta cementizia,

cedimenti improvvisi per corrosione sotto sforzo.

5.3 LO STATO DELL’ARTE SULLE PAVIMENTAZIONI SU IMPALCATO DA PONTE

La ricerca sulle pavimentazioni polimeriche

Note le modalità con cui si danneggiano pavimentazione

e impalcato, i problemi da affrontare sono

essenzialmente due: garantire la durabilità delle opere

d’arte (impalcato, struttura del ponte e pavimentazione) e

poter effettuare idonea manutenzione su strutture

costruite in anni passati. Infatti, i ponti stradali in Italia

sono stati costruiti, per la maggior parte, durante gli anni

‘50 e ‘60, spesso con modalità ben diverse dalle tecniche

odierne. I problemi connessi con la durabilità dei ponti e

con la previsione del degrado fisico rivestono, quindi, un

ruolo centrale nella ricerca del settore. In Italia, queste

tematiche sono state ampiamente studiate, come si

evince dall’ampia letteratura (Modena e Siviero, 1992;

Mancino e Pardi, 1994; Mitelli et al., 1994; Ascenzi et al.,

1995; Migliacci, 1999). Negli studi eseguiti si è cercato di

distinguere tra problemi di inadeguatezza strutturale

inficianti la “vita utile” dell’opera e situazioni di

inadeguatezza funzionale in opere strutturalmente sane,

ma non rispondenti alle esigenze di utilizzo, sempre

analizzando i fattori che ne influenzano e favoriscono il

deterioramento (vita trascorsa, ambiente e traffico).

La pavimentazione, come parte integrante della struttura

del ponte, ha bisogno anch’essa di svolgere una

funzione durevole nel tempo, senza richiedere

significativa manutenzione durante la sua vita utile.

Poiché le pavimentazioni su impalcati da ponte devono

mantenere buone proprietà meccaniche, in termini di

portanza, resistenza alle deformazioni ed ai carichi

ripetuti, ed elevate caratteristiche superficiali, è

necessario studiare soluzioni che ottimizzino tali

proprietà, conferendo una vita utile prolungata. E’ altresì

necessario studiare materiali che si prestino a svolgere

una funzione manutentiva per le pavimentazioni in

esercizio.

In letteratura (e nella pratica costruttiva) si riscontrano

molteplici alternative studiate per offrire un rivestimento

carrabile e impermeabilizzante su un impalcato di ponte

o viadotto:

- strato/i in conglomerato bituminoso (con bitume

tradizionale o modificato) sovrapposti a guaine,

geotessuti o geomembrane;

Page 76: Ct 4 3 mele

73

- strato/i in conglomerato bituminoso stesi su mano

d’attacco in malta bituminosa o emulsione

bituminosa;

- strato in calcestruzzo armato;

- strato/i in conglomerato cementizio a base polimerica;

- strato/i in malta sintetica a base polimerica.

Come indicato, sugli impalcati da ponte sono state

sperimentate molte tipologie di pavimentazioni:

conglomerati bituminosi con gomma (Rodezno, 2005),

conglomerati bituminosi modificati con polimeri, calcestruzzi,

calcestruzzi modificati con polimeri, pavimentazioni

polimeriche (Pasetto e Giacomello, 2014).

I polimeri utilizzati come leganti al posto del cemento

apportano non solo un miglioramento alla resistenza

della miscela, ma anche un aumento della durabilità,

della resistenza alla fessurazione e agli attacchi chimici

(Chang, 1975).

Le soluzioni “tradizionali” utilizzate in passato si sono

basate principalmente sull’applicazione di una guaina

bituminosa sulla sottostante soletta, in modo da

assolvere la funzione di impermeabilizzazione

dell’impalcato. Secondo alcuni Autori, la posa di una

membrana impermeabilizzante tra l’estradosso della

soletta in calcestruzzo e lo strato di conglomerato

bituminoso della pavimentazione è necessaria per

aumentare la resistenza all’acqua della struttura e

apportare un’adeguata adesione all’interfaccia tra gli

strati (Zhou and Xu, 2009). Al di sopra della guaina sono

posati due o tre strati di conglomerato bituminoso per

ridurre lo stato tensionale indotto dai carichi del traffico e

le sollecitazioni trasmesse al calcestruzzo. Il

conglomerato bituminoso è caratterizzato da un

comportamento meccanico di tipo visco-elasto-plastico

dettato dalle temperature e dalle modalità di

sollecitazione. I benefici correlati col suo impiego sono

diversi: facilità di stesa, facilità di rimozione in sede di

manutenzione, riduzione della permeabilità (il bitume non

è un materiale idrofilo), peso relativamente ridotto,

conferimento di eccellente resistenza allo scivolamento,

buona macrotesssitura della pavimentazione, possibilità

di manutenzione con un ulteriore strato di conglomerato

bituminoso di modesta entità (Cooley, 2001; Hanson,

2001). Spesso si utilizzano spessori contenuti per la

costruzione di pavimentazioni in conglomerato

bituminoso, ciò che oramai è consolidato nella tecnica

comune (Hanson, 2001).

Altri Autori suggeriscono di usare conglomerati

bituminosi il cui bitume sia stato modificato con l’aggiunta

di SBS (copolimero stirene-butadiene-stirene): le prove di

ormaiamento condotte hanno indicato che conglomerati

bituminosi tradizionali subiscono una deformazioni

maggiore di quelli modificati con SBS (Park et al., 2009).

L’utilizzo di pavimentazioni in conglomerato bituminoso

presenta però anche alcuni svantaggi: il frequente

distacco della pavimentazione dall’estradosso della

soletta del ponte o viadotto, la scarsa

impermeabilizzazione del supporto in calcestruzzo

(favorendo il passaggio di acqua e sali disgelanti).

Inoltre, è verificato che la pavimentazione in

conglomerato bituminoso tende a perdere in una decina

di anni le sue caratteristiche superficiali (soprattutto in

termini di aderenza), ed è soggetta a distaccarsi

dall’impalcato. Per questo motivo, taluni Autori

suggeriscono, per la finitura carrabile dei manufatti

stradali, l’uso di materiali meno costosi e che possano

durare maggiormente nel tempo: resine epossidiche,

calcestruzzo, calcestruzzo modificato con latex (Babaei

and Hawkins, 1988). Esperienze nordamericane

(Tennessee, USA) riferiscono di (Knight et al., 2004):

1) strati in conglomerato bituminoso (80 mm circa) posti

sopra ad una membrana (in gomma, in fibra di vetro,

in bitume o in poliestere);

2) uno strato in calcestruzzo Portland in cui vengono

inserite barre longitudinali e trasversali d’acciaio di

rinforzo (114 mm circa);

3) uno strato in calcestruzzo non rinforzato modificato

con una miscela di polimeri (38 mm circa);

4) uno strato sottile di legante polimerico (a base

epossidica o cementizia) soggetto ad applicazione

meccanica superficiale degli aggregati (6 mm circa).

Alcuni ricercatori (Sprinkel, 1984; O’Connor and Saiidi,

1993; Pasetto et al., 2000; Sprinkel, 2001; Stenko, 2001)

consigliano la stesa di una miscela di polimeri (leganti

epossidici o di altra natura chimica) e di aggregati (la cui

tipologia varia a seconda dell’Autore). Altri ricercatori

suggeriscono che la buona tenuta di una pavimentazione

su impalcati in calcestruzzo sia da imputare alla rugosità

del supporto, con ciò concentrando la ricerca su tecniche

di finitura superficiale di quest’ultimo (Silfwerbrand e

Paulasson, 1998). In qualche caso, la tenuta dello strato

superficiale, sia esso una miscela polimerica o un

conglomerato, è fatta dipendere essenzialmente dalla

Page 77: Ct 4 3 mele

74

presenza di un sottile strato che impermeabilizzi il

supporto (in resina epossidica o metacrilato) (Gillum et

al., 2001). Rimane di largo utilizzo (Donovan, 2000) la

stesa sul calcestruzzo di una mano d’attacco a matrice

bituminosa su cui viene posata una membrana

geocomposita, e, successivamente, sono posati uno o

più strati in conglomerato bituminoso. Anche in Italia è

stata studiata la posa, su pavimentazioni in conglomerato

bituminoso o cementizio, di un sottile strato di malte

polimeriche per irruvidire la superficie e ottenere una

buona aderenza tra pavimentazione e pneumatico con

buoni risultati (Pasetto e Zanutto, 1999).

Le realizzazioni di pavimentazioni polimeriche

Svariate sono le applicazioni di rivestimenti polimerici

sottili per impalcati da ponte avvenute sino ad oggi,

soprattutto nel Nord America. Un’indagine del 2011,

realizzata dal National Cooperative Highway Research

Program (NCHRP) su 40 stati degli USA e diverse

province del Canada, ha quantificato in 2.400 il numero

di applicazioni. Solo una minima parte è stata però

oggetto di indagine circostanziata. Si citano alcune

applicazioni note, di cui sono conosciuti i risultati.

Nel 1977, il ripristino delle corsie di accesso ai caselli

dell’Aeroporto di Newark ha consentito di mettere a

confronto rivestimenti polimerici sottili applicati a lastre di

calcestruzzo per pavimentazioni rigide. Pur non

trattandosi di interventi su ponti o viadotti, si è potuta

accertare la compatibilità fra calcestruzzo delle

pavimentazioni e il rivestimento polimerico. L’indagine ha

riguardato corsie adiacenti, soggette alla stessa tipologia

di traffico (veicoli pesanti ed autobus). In un caso è stata

ricostruita una pavimentazione rigida di ottima qualità

(resistenza a compressione 41 MPa); per la vicina corsia,

la pavimentazione esistente non è stata rimossa,

nonostante fosse particolarmente degradata e segnata

dalle ruote veicolari. In quest’ultima, soggetta a

preventiva sabbiatura, è stato applicato un rivestimento

polimerico sottile, costituito da resina epossidica, in

quantità pari al 14% in peso, e aggregati silicei. Sul

supporto è stato spruzzato preventivamente un primer,

per uno spessore di 0,25 mm. Lo spessore complessivo

medio del rivestimento ha raggiunto i 16 mm. Il tempo

necessario a rendere transitabile la corsia con la

pavimentazione rigida è stato di circa 7 giorni, mentre il

rivestimento polimerico era già utilizzabile dopo 4 ore,

ma è stato reso carrabile per motivi precauzionali solo

dopo 24 ore. Dopo 6 anni (97 milioni di passaggi

veicolari) si è verificato che il rivestimento polimerico

sottile risultava assolutamente indenne da degradi,

mentre la pavimentazione rigida presentava segni di

danno, fra cui ormaie fino a 19 mm e scivolosità. Dopo

15 anni (243 milioni di veicoli), il rivestimento polimerico

sottile era ancora in buone condizioni e in grado di

proteggere il supporto, nonché di fornire la richiesta

antisdrucciolevolezza, sia in caso di asciutto che in

presenza d’acqua. L’entità del degrado superficiale in

corrispondenza delle traiettorie degli pneumatici risultava

al più di 3 mm.

Il Donner Pass è una superstrada a 4 corsie, realizzata in

California ad un’altitudine di circa 1900 m, con pendenze

variabili dal 5% all’8%, soggetta a fortissime

precipitazioni piovose e nevose nell’arco dell’anno,

nonché ad un traffico giornaliero medio di 9.750 veicoli

(10% pesanti). La pavimentazione realizzata nel 1962, in

calcestruzzo non armato, a distanza di 20 anni appariva

fortemente danneggiata. Il California DoT stabilì allora di

sperimentare materiali diversi per il suo rifacimento,

utilizzando calcestruzzi ad elevata densità e basso

slump, calcestruzzi modificati con lattici o resine,

conglomerati polimerici epossidici, metacrilici, di

poliestere. Fra questi, la scelta ricadde infine su due

miscele polimeriche basate su due diverse resine di

poliestere, una con resistenza a trazione di 17 MPa ed

un allungamento del 35%, l’altra con resistenza a

trazione di 55 MPa ed un allungamento del 5%. Gli

aggregati, di frantumazione solo per il 25%, avevano

dimensione massima di 12 mm. La superficie fu

preparata con shotblasting e successiva applicazione di

un primer di metacrilato ad alto peso molecolare. I

rivestimenti sono stati quindi completati nel 1986, con

uno spessore medio di 19 mm per una lunghezza di circa

6 km. Pur in assenza di indagini successive ad hoc, dieci

anni più tardi l’intervento veniva dichiarato “molto

riuscito”, presentando una eccellente resistenza nei

confronti degli agenti atmosferici, dei cicli termici, delle

azioni di catene da neve, sali disgelanti e lame

spazzaneve.

Nel 1987, in Virginia (USA), è stato effettuato uno studio

su 18 rivestimenti realizzati con il metodo “multistrato” e

un rivestimento monostrato. Le resine utilizzate erano del

tipo poliestere, metacriliche, epossidiche. Sono stati

analizzati l’adesione dei rivestimenti agli impalcati, la

permeabilità ai cloruri e il degrado superficiale. Quanto

Page 78: Ct 4 3 mele

75

all’adesione, dalle prove effettuate si è evidenziata una

diminuzione della tenacità del legame tra il conglomerato

polimerico ed il calcestruzzo con il passare del tempo. Le

prove di adesione a rivestimento appena posato hanno

portato alla rottura del sottostrato di calcestruzzo. Le

stesse prove, svolte con il passare del tempo, hanno

dimostrato, invece, come la superficie di rottura tenda ad

avvicinarsi all’interfaccia tra i due materiali e talvolta ad

interessarla. Va però osservato che, in tutte le

applicazioni nelle quali il traffico veicolare è stato

consentito sull’impalcato dopo la sua preparazione e

prima della posa del rivestimento, la capacità di

quest’ultimo di aderire al supporto è stata sempre molto

bassa.

I rivestimenti basati su resine epossidiche hanno

mostrato una permeabilità trascurabile immediatamente

dopo l’indurimento, ed essa si è mantenuta anche per

gran parte della vita utile. Resine diverse come quelle di

poliestere o metacriliche hanno invece mostrato con il

tempo incrementi moderati di permeabilità, pur di lieve

entità. I rivestimenti hanno anche mostrato un’ottima

resistenza al consumo superficiale, indipendentemente

dalla resina adoperata.

Nel 1990 è stato effettuato uno studio in Giappone sui

rivestimenti polimerici sottili, dopo aver accertato che i

conglomerati bituminosi modificati o le malte sintetiche

flessibili a base epossidica risultavano inadeguati a far

fronte ai problemi delle pavimentazioni sottoposte a climi

rigidi e fenomeni di degrado. Si è adoperata, quindi, una

malta sintetica a base di resina metacrilica che, rispetto

al calcestruzzo ordinario, ha superiore peso specifico,

resistenza a compressione pressoché doppia, ridotta

attitudine alla formazione di fessure, modulo elastico

minore e superiore lavorabilità. Due siti sono stati scelti

per l’applicazione, aventi caratteristiche particolarmente

aggressive nei confronti delle pavimentazioni: la strada

Nagano-Gunma, in area montuosa tra 600 e 900 m di

altitudine; il collegamento Tokyo- Aichi, che si sviluppa

ad una altitudine media di 900 m. Nel primo caso, la

pavimentazione di calcestruzzo esistente si presentava

molto degradata (ormaie di 40 mm) a causa dell’azione

di pneumatici chiodati o catene da neve, specialmente

nelle zone sottoposte a frenatura dei veicoli. Nel 1988 il

rivestimento di malta sintetica è stato posato previa

preparazione della superficie ed utilizzo di un primer. Nel

1990 il primo sopralluogo ha rivelato l’assenza di degradi

significativi o di distacchi del rivestimento dal sottostrato.

La massima profondità del degrado riscontrata è stata di

21 mm. Il secondo sopralluogo, avvenuto nel 1995, ha

poi mostrato che non vi erano stati significativi

cambiamenti nello stato di conservazione del

rivestimento rispetto a 5 anni prima.

Nel secondo caso, l’entità del degrado della

pavimentazione esistente era leggermente inferiore

rispetto al precedente, ma vi era comunque la necessità

di realizzare un rivestimento durevole, posato nel 1991

con modalità analoghe a quelle già descritte. Una prima

ispezione nel 1993 ha certificato come la malta

polimerica non mostrasse praticamente segni di

logoramento, essendo la massima profondità di degrado

superficiale di 1 mm. Anche la seconda ispezione,

avvenuta nel 1995, ha portato a concludere che non vi

erano state significative variazioni nei due anni trascorsi.

A partire dal 1990, in Italia, alcuni tratti particolari della

rete autostradale sono stati trattati con un nuovo

materiale, allo scopo di incrementare le prestazioni e la

sicurezza di marcia delle pavimentazioni rigide e

flessibili. Si è adoperata una resina epossidica abbinata

ad aggregati sintetici (cromite), di pezzatura 3-4 mm,

fortemente spigolosi, con alta resistenza all’abrasione e

un basso indice di frantumazione. Il metodo di

applicazione è risultato monostrato, con spessore

complessivo della resina di 0,9 mm ed aggregati immersi

in esso per un terzo della loro altezza.

Relativamente alla tessitura, le misurazioni effettuate

hanno mostrato una iniziale diminuzione del BPN verso

valori comunque molto buoni (65-70), che si sono

successivamente mantenuti anche oltre la vita utile del

prodotto. Altra caratteristica positiva del rivestimento è

risultata la sostanziale insensibilità ai più diffusi agenti

chimici (inclusi solventi e carburanti), l’ottima capacità di

proteggere i sottostrati, la grande capacità drenante.

Quest’ultima, dovuta al fatto che la superficie finita

presentava un elevato numero di microcanalicoli che

permettevano un velocissimo deflusso dell’acqua tra

superficie e battistrada degli pneumatici (la capacità

drenante di questi rivestimenti risultava 4-8 volte

superiore a quella delle superfici bituminose tradizionali).

Il Poplar Street Bridge di St. Louis nel Missouri è un

ponte di 660 m, a cinque campate, con 4 corsie per

direzione di marcia, che attraversa il fiume Mississippi ed

è percorso da un traffico giornaliero medio di circa

120.000 veicoli. La struttura è del tipo “a lastra ortotropa”,

con impalcato in acciaio. Costruito nel 1967, ha sempre

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76

avuto come rivestimento carrabile bituminoso additivato

con gomma, che però è stato continuamente ricostruito,

mediamente ogni 6 anni. Nel 1992, dopo test di

laboratorio su 6 materiali diversi, un rivestimento basato

su resina epossidica è stato posato su circa 21.000 m2

con metodo “slurry”. Successivamente alla posa,

annualmente, è stato realizzato un programma di

ispezione, volto ad analizzare l’evolvere dello stato

superficiale del rivestimento, della presenza di fessure,

dell’adesione del rivestimento al sottostrato. Dopo 8 anni,

di servizio il rivestimento si è dimostrato essere ancora in

ottime condizioni, con poche fessure (localizzate in zone

di saldatura) coprenti un’area pari allo 0,5% del totale.

Nella provincia canadese di Alberta, fino al 1985, i

rivestimenti per impalcati da ponte erano realizzati con

calcestruzzo ad elevata densità. Questi rivestimenti,

tuttavia, non proteggevano adeguatamente gli impalcati

(per lo più in acciaio), che in taluni casi si degradavano

molto rapidamente nonostante la ridotta età. Nel 1985 è

avvenuta la sperimentazione di rivestimenti polimerici

sottili. In dieci anni ne sono stati posati più di cento,

molto spesso al di sopra dei rivestimenti precedenti. Le

maggiori problematiche riscontrate hanno riguardato il

costo delle resine, la difficoltà di realizzare le miscele e le

applicazioni, e la loro compatibilità con il calcestruzzo.

Nel 1990, della superficie totale di 22.000 m2 interessata

da rivestimenti polimerici sottili, solo lo 0,6% presentava

distacchi. Nel 1995 questa percentuale giungeva al 2%,

quando l’età media dei rivestimenti era di 9 anni. Dati

ricavati da un gruppo di trattamenti di età compresa tra 5

e 7 anni hanno permesso di constatare come il

deterioramento per corrosione del sottostrato sia assai

ridotto. Dall’esperienza maturata, è emersa la

convenienza delle riparazioni delle fessure presenti

sull’impalcato prima della posa del rivestimento

polimerico sottile. Un’ulteriore indicazione emersa è

quella di realizzare i rivestimenti polimerici il più possibile

sottili: il fallimento delle applicazioni è risultato molto

superiore, frequente e rapido per i rivestimenti spessi,

perché le sollecitazioni indotte dalle variazioni di

temperatura all’interfaccia tra i due materiali, nonché nei

materiali stessi, sono proporzionali allo spessore del

rivestimento. Infine, da questa esperienza è emerso

anche il fatto che l’uso di uno strato isolante posto al di

sopra dei rivestimenti polimerici permette di aumentare la

vita utile degli stessi con una spesa molto bassa.

M. Sprinkel nel 1997 ha pubblicato un articolo nel quale è

riassunta l’esperienza accumulata con l’analisi

prolungata nel tempo di 14 rivestimenti polimerici sottili

realizzati in California, Michigan, Ohio, Virginia e

Washington. Valutazioni sono state effettuate in merito al

legame tra rivestimento e sottostrato, alla permeabilità

dei materiali ai cloruri, alla tessitura, con il passare del

tempo. Quanto all’adesione tra resina ed impalcato, non

è stata individuata una significativa riduzione nel tempo

per i multistrato di resina epossidica o per le malte con

resine poliestere. I multistrato con resina di poliestere

hanno mostrato peggioramenti evidenti di prestazioni in

10 anni.

Lo studio identifica come miglior prodotto, in termini di

permeabilità, la malta con resina metacrilica, ma valori

positivi sono associati anche agli altri rivestimenti. Solo il

multistrato di resina di poliestere ha mostrato un

aumento di permeabilità nel tempo.

Per quanto riguarda la tessitura superficiale, invece, tutti i

rivestimenti, eccetto quello basato su resina metacrilica,

hanno mostrato buone prestazioni e una discreta

attitudine a mantenere le caratteristiche funzionali nel

tempo.

La durabilità, infine, è risultata paragonabile, quando non

superiore, a quella di una pavimentazione in calcestruzzo

ordinario (vita utile di 20 anni).

Nello stato del Missouri più di trecento rivestimenti

polimerici sottili sono stati posati dal 1989. Alcuni di

questi hanno superato senza problemi la prevista vita

utile anche di 10-15 anni, mentre altri hanno dovuto

essere sostituiti dopo appena qualche anno. Lo studio

pubblicato nel 2007 dal Missouri DoT ha riassunto gli

esiti dell’indagine eseguita, col fine di appurare i

fenomeni di degrado dei rivestimenti polimerici e di

individuarne le cause. Tra i più diffusi fenomeni di

ammaloramento registrati, si sono avuti il degrado

superficiale, le fessurazioni, i distacchi dall’impalcato di

porzioni più o meno estese di rivestimento. Fra le cause

più importanti di danno individuate, la presenza d’aria

nella miscela, causata da una errata tecnica di

miscelazione della resina con l’induritore o della resina

con l’aggregato. Fondamentale il buono stato di

conservazione dell’impalcato, dato che il rivestimento

non è una tecnica di manutenzione, quanto piuttosto una

tecnica di protezione. Lo studio ha anche evidenziato

una relazione tra la fessurazione dei rivestimenti e la

dimensione della luce dei ponti. Una luce di dimensioni

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77

maggiori infatti, portando con sé maggiore flessibilità

rispetto ad una più piccola, può creare problemi

soprattutto alle resine più rigide. Per questi motivi, lo

studio ha concluso che un rivestimento polimerico sottile

può avere successo solo se l’impalcato, prima della

posa, richiede riparazioni per non oltre il 5% della sua

superficie.

Sette stati americani (Vermont, Wisconsin, Idaho, New

York, Mississippi, Minnesota, North Dakota, Kentucky)

hanno introdotto, a partire dal 2009, l’uso di rivestimenti

polimerici sottili per la difesa dal ghiaccio nei climi rigidi.

La particolarità dell’applicazione consiste nel brevetto di

un prodotto a base di resina epossidica, in grado di

accumulare sostanze anti-ghiaccio negli aggregati per

poi rilasciarle quando necessario; in tal modo, la

distribuzione di sali disgelanti sulla superficie non è più

necessaria. Il trattamento sostituisce una tipologia di

rivestimento precedente, a base epossi-uretanica con

aggregati quarziferi. Due ponti, con similari

caratteristiche di traffico e sottoposti alle medesime

condizioni ambientali, sono stati scelti in Colorado per

svolgere un test comparativo dei due rivestimenti (traffico

giornaliero medio di 125.000 veicoli). Sull’impalcato

rivestito con resina epossi-uretanica è stato realizzato un

sistema automatico di distribuzione di sostanze

disgelanti.

Quanto alla macrotessitura, il test dell’altezza di sabbia

ha mostrato per il primo prodotto un decadimento di

caratteristiche nei primi 8 mesi di vita, che poi si

stabilizza su un valore di 25 mm, superiore a quello di un

analogo rivestimento in calcestruzzo; nel secondo

trattamento sono stati raccolti solo dati parziali,

comunque con evidenza di tessitura grossa. Per quanto

riguarda l’antisdrucciolevolezza, misurata attraverso lo

skid number, i risultati sono stati molto buoni per

entrambi i rivestimenti, sempre superiori a 35, limite

considerato accettabile dai gestori stradali.

I test di adesione fra rivestimento e supporto, effettuati

dopo due anni dalla posa dei rivestimenti, hanno fornito

risultati positivi nel primo caso, talora negativi nel

secondo (ma forse per errori di realizzazione). I due

sistemi sono apparsi sostanzialmente equivalenti in

termini di permeabilità, denotando di essere ugualmente

validi per proteggere il calcestruzzo d’impalcato e le

barre d’armatura.

Le proprietà anti-ghiaccio si sono dimostrate molto valide

per entrambi i rivestimenti, con la distinzione che il primo

trattamento non necessita di applicazione di sali

disgelanti da parte dell’ente gestore; il secondo materiale

non ha particolari proprietà anti-ghiaccio, per cui la

necessaria contestuale installazione di un sistema

automatico di distribuzione di sostanze disgelanti si rivela

provvedimento valido, ma anche molto costoso (incide

per una quantità pari a due volte il costo del primo

prodotto). Entrambi i rivestimenti hanno comunque

incrementato la sicurezza di circolazione stradale, con il

drastico calo del numero di incidenti.

5.4 RICERCHE RECENTI SULLE IMPERMEABILIZZAZIONI TRAFFICABILI PER IMPALCATO DA PONTE

Introduzione

In tempi recenti, l’attenzione dei costruttori di manufatti

stradali e dei ricercatori del settore si è concentrata sulla

possibilità di realizzare pavimentazioni per ponti e

viadotti con materiali polimerici. Questi materiali, già

utilizzati in campo stradale per impermeabilizzare le

superfici, non sono ancora molto usati per creare

pavimentazioni carrabili. Pertanto, si è valutata la

possibilità di realizzare la pavimentazione con un unico

strato di “usura” in materiale polimerico, di limitato

spessore, al quale viene affidata la funzione di offrire una

superficie con adeguate caratteristiche di aderenza e

regolarità, essenziali per il moto in condizioni di sicurezza

e confortevolezza, assolvendo, al contempo, il ruolo di

sistema impermeabilizzante per l’impalcato.

Il conglomerato polimerico consiste in un miscela di

elementi lapidei e di legante polimerico. A seconda della

tipologia di polimero di base e del metodo di

polimerizzazione, degli altri elementi introdotti in miscela,

della tipologia di aggregato e della relativa distribuzione

granulometrica, nonché del rapporto quantitativo

legante/aggregato, si possono ottenere un’infinità di

combinazioni di miscele, caratterizzate da proprietà

estremamente diversificate. Il risultato di un mirato mix-

design è l’ottenimento di un materiale che possa

adattarsi in modo efficace alla specifica applicazione per

la quale è stato pensato. Col mix-design, attraverso

prove sperimentali, si effettua una caratterizzazione

fisico-meccanica delle miscele più diverse.

Il quadro normativo per la progettazione e il

confezionamento dei materiali, e per l’esecuzione delle

prove sperimentali è assente, in quanto i materiali a base

polimerica risultano essere scarsamente impiegati in

Page 81: Ct 4 3 mele

78

ambito stradale italiano. Pertanto, il primo passo per una

caratterizzazione di laboratorio del materiale è lo studio

di un protocollo per la realizzazione e il confezionamento

dei campioni, che possa risultare il più affidabile possibile

e che garantisca il confezionamento di materiali

omogenei dal punto di vista chimico, fisico e meccanico.

Le attività di ricerca sono naturalmente indirizzate verso

la definizione di parametri rappresentativi del

comportamento meccanico complessivo dei materiali: la

resistenza a sollecitazioni statiche e dinamiche, la

risposta ai carichi ripetuti, l’attitudine alle deformazioni

permanenti, la tessitura, le caratteristiche di aderenza,

l’adesione del materiale al supporto in calcestruzzo, la

dilatazione termica del materiale. L’attività sperimentale è

finalizzata a simulare i meccanismi di danneggiamento

del materiale in opera, confrontandone le prestazioni con

quelle di un conglomerato bituminoso tradizionalmente

impiegato. In un’epoca in cui il riutilizzo dei materiali di

scarto assume rilevante importanza, appare altresì

orientare le applicazioni verso l’impiego di inerti

succedanei, sottoprodotti di lavorazioni industriali, quali

scorie di acciaieria, materiale da costruzione e

demolizione, ecc., con cui sostituire l’aggregato naturale,

a parità di prestazioni accertate.

I polimeri e il conglomerato polimerico

Le applicazioni effettuate e la letteratura raccontano di

studi in cui sono state utilizzate diverse tipologie di

polimeri o resine sintetiche, quali le resine metacriliche,

epossidiche, poliuretaniche e poliestere, in sostituzione

del legante bituminoso, per la realizzazione della

pavimentazione su impalcati di manufatti stradali. La

maggior parte di questi leganti ha un comportamento

termoindurente: all’aumentare della temperatura il

reticolo di molecole che si crea durante l’indurimento si

perfeziona, formando ulteriori reticoli. In questo risiede la

principale differenza di tali leganti rispetto al bitume che

tende, invece, a rammollire al crescere della

temperatura. Questa proprietà è stata ottimizzata negli

impieghi e negli studi alle temperature più elevate, in

corrispondenza delle quali si correrebbero rischi di

scorrimento e trasudazione del legante.

I polimeri sono sostanze formate da molecole organiche

molto grandi (macromolecole) derivanti dall’unione,

mediante legami chimici, di piccole unità, chiamate

monomeri, dotate di un più basso peso molecolare. Il

comportamento del sistema, la cui struttura ricorda un

aggrovigliamento di “fili”, sotto una sollecitazione esterna

è caratterizzato dall’impedimento, causato

dall’aggrovigliamento dei “fili”, di far seguire alla massa le

deformazioni imposte senza opporre resistenza.

La classificazione dei polimeri richiede, per essere

descritta in modo non dispersivo, a causa dell’enorme

quantità di polimeri attualmente conosciuti, una qualche

forma di sistematizzazione. La vasta eterogeneità degli

interessi applicativi legati ai polimeri porta però a

classificazioni differenziate a seconda dello scopo di

analisi. Ad esempio, i chimici sono maggiormente

interessati ad una classificazione dei polimeri in base alle

loro proprietà chimiche, mentre gli ingegneri sono

maggiormente interessati ad una classificazione in base

alle loro proprietà fisico-meccaniche. In linea generale, i

polimeri possono essere classificati a seconda delle

materie prima dalle quali provengono o a seconda di una

loro propria caratteristica.

I polimeri possono essere suddivisi in naturali organici,

artificiali e sintetici. I polimeri naturali organici (o

biopolimeri) sono prodotti da esseri viventi o si trovano

semplicemente in natura (cellulosa, caucciù, amido,

ecc.); i polimeri artificiali sono ottenuti da una modifica di

polimeri naturali (acetato di cellulosa, ecc.); i polimeri

sintetici sono ottenuti industrialmente attraverso una

polimerizzazione artificiale (nylon, gomma vulcanizzata,

Kevlar, resine epossidiche, PVC, …).

Esiste anche una classificazione secondo il processo di

polimerizzazione con il quale avviene la produzione:

polimeri in addizione e polimeri in condensazione. I primi

presentano l’unità strutturale (o un suo multiplo)

coincidente con il monomero di partenza e il peso

molecolare è semplicemente la somma dei pesi

molecolari dei monomeri presenti in catena. I polimeri in

condensazione presentano l’unità strutturale con qualche

atomo in meno rispetto al monomero (o monomeri) di

partenza, in quanto la concatenazione dei monomeri di

partenza è una reazione chimica che porta, come

inevitabile sottoprodotto, alla formazione di una molecola

piccola che viene poi eliminata.

Una classificazione secondo la struttura suddivide i

polimeri in lineari, ramificati o reticolati. I polimeri lineari

sono formati da lunghe catene più o meno raggomitolate;

i polimeri ramificati sono dotati di catena principale dalla

quale partono ramificazioni laterali; i polimeri reticolati

sono dotati di più catene connesse chimicamente

attraverso le ramificazioni laterali. Le diverse strutture

Page 82: Ct 4 3 mele

79

influenzano le proprietà dei materiali (i polimeri lineari, ad

esempio, sono solubili e rammolliscono all’aumentare

della temperatura fino ad arrivare allo stato liquido,

mentre quelli reticolati sono insolubili e infusibili), inoltre

la diversa struttura molecolare implica differenti proprietà

macroscopiche (la mobilità molecolare, e quindi

l’elasticità del materiale, si riduce drasticamente

passando da polimeri lineari a polimeri reticolati).

Classificando le caratteristiche dei materiali che hanno

origine dai polimeri si hanno: gomme, materie plastiche e

fibre. Le gomme sono caratterizzate da bassi moduli di

rigidezza e grandi deformazioni anche sotto l’azione di

modeste sollecitazioni. Le materie plastiche hanno

modulo di rigidezza e carico di rottura più alto delle

gomme; alcune sono dure, rigide, stabili mentre altre

sono più tenere e flessibili. Le fibre sono le più forti tra i

materiali polimerici. Tra i polimeri naturali troviamo fibre

di origine animale (lana, seta, …) e vegetale (cotone, …).

Le fibre sintetiche vengono preparate mediante un

processo di estrusione accoppiato ad uno di trazione.

Seguendo il comportamento dei polimeri al variare della

temperatura si può eseguire una classificazione fra

termoplastici o termoindurenti. I polimeri termoplastici

(struttura molecolare lineare) rispondono ad un aumento

di temperatura con una diminuzione di viscosità, mentre

la diminuzione di temperatura consente il “congelamento”

della situazione molecolare garantendo al materiale di

mantenere l’ultima forma assunta per un tempo

indefinito. Entro certi limiti, il ciclo riscaldamento-

raffreddamento può essere ripetuto più volte, in quanto la

transizione tra lo stato plastico e quello rigido (transizione

vetrosa) è di carattere fisico e non chimico e quindi

reversibile. I polimeri termoindurenti (struttura molecolare

tridimensionale) hanno un comportamento diverso: il

riscaldamento produce un indurimento del materiale

dando origine a polimeri reticolati. La reticolazione blocca

irreversibilmente la mobilità molecolare e quindi questi

materiali, una volta sagomati, non sono più suscettibili di

modifiche e diventano praticamente insensibili alle

variazioni termiche. Iniziano però a decomporsi, senza

passare per alcuna fase di rammollimento o fusione se

viene somministrata una quantità di calore molto elevata.

Esistono anche polimeri termoindurenti a freddo, i quali

sono caratterizzati da una reticolazione per reazione

chimica che avviene a temperatura ambiente: questa

tipologia presenta il medesimo comportamento chimico e

meccanico dei polimeri termoindurenti che necessitano di

calore per innescare la polimerizzazione.

Nel caso specifico di realizzazione di una

pavimentazione stradale con materiali a matrice

polimerica, le resine termoindurenti maggiormente

utilizzate sono: resine epossidiche, resine poliesteri

insature, resine metacriliche e resine poliuretaniche.

1) Le resine epossidiche sono un’importante classe di

materiali polimerici, caratterizzati dalla presenza di

due o più gruppi epossidi. Il principale utilizzo delle

resine epossidiche risiede nel campo dei rivestimenti,

per le elevate doti di flessibilità, adesione, resistenza

chimica e meccanica del materiale. Le resine

epossidiche sono costituite da due componenti (A e

B) che miscelati tra loro producono un polimero

chiamato sistema epossidico. A rigore, il componente

A è la vera resina epossidica e può essere modificato

con molti tipi di additivi, a seconda delle proprietà

meccaniche che si vogliono ottenere (fluidità,

rigidezza, flessibilità, …). Il componente B è chiamato

induritore o catalizzatore (generalmente ammine,

anidridi e aldeidi) e può essere modificato con un

additivo accelerante di indurimento. Le proprietà

principali sono: elevate caratteristiche di adesione

alla maggior parte dei materiali da costruzione,

eccellente resistenza a sforzi meccanici, ottima

resistenza alla corrosione e all’umidità e buona

resistenza al calore. Difetti: la resina epossidica

durante la reticolazione sviluppa un calore di reazione

molto elevato e quando il sistema è ancora fluido la

resina epossidica subisce un rilevante ritiro.

2) Le resine poliesteri si ottengono per condensazione di

polialcoli con poliacidi e si dividono in poliesteri saturi,

insaturi e modificati (o alchidici). Sono leganti

polimerici bi-componenti ottenuti dal mescolamento di

resina poliestere con un agente induritore

(catalizzatore). Le principali caratteristiche di una

resina poliestere sono: buona resistenza all’acqua,

resistenza alle più comuni sostanze aggressive; la

presenza di ambienti alcalini ha effetti negativi sul

polimero; è inoltre necessario l’utilizzo di un primer

per garantire una migliore adesione al supporto.

3) I leganti metacrilici sono sistemi bi-componenti

costituiti dal mescolamento di resine con un agente

induritore (catalizzatore); il catalizzatore appartiene

alla famiglia dei perossidi organici. Le principali

caratteristiche di una resina metacrilica sono: basso

Page 83: Ct 4 3 mele

80

modulo di rigidezza, buona resistenza all’acqua,

resistenza agli agenti aggressivi con eccezione dei

solventi; è necessario l’utilizzo di un primer e di avere

un supporto asciutto per garantire una migliore

adesione.

4) Le resine poliuretaniche sono materiali polimerici

molto utilizzati in diversi campi dell’ingegneria grazie

alle loro elevate caratteristiche meccaniche e

chimiche e alla facilità con cui è possibile modificare

tali caratteristiche a seconda dell’uso; tuttavia, essi

rivestono un ruolo marginale per il confezionamento

di pavimentazioni per ponti stradali. Le resine

poliuretaniche sono più flessibili delle epossidiche e

risultano essere termicamente più stabili (fino a

150°C). Il nome poliuretano deriva dalla presenza

nella sua molecola del gruppo funzionale uretanico.

Alcuni dei polimeri più utilizzati nella realizzazione di

miscele per pavimentazioni di ponti e viadotti stradali

sono le resine poliesteri insature e le resine metacriliche.

Tuttavia, il polimero che viene maggiormente impiegato

in queste applicazioni è, di norma, la resina epossidica. I

criteri generali, di cui si deve tenere conto nella scelta

della tipologia di polimero base da adottare per la

miscela, sono legati principalmente a costi e a durabilità

del materiale, al grado di adesione all’aggregato e alla

capacità di polimerizzare a temperatura ambiente

mediante agente catalizzatore. Per quanto concerne gli

aggregati da utilizzare in miscela, si dovrebbe scegliere

materiale di pregio quale quarzo, silicio, granito o calcare

di ottima qualità; l’aggregato deve presentarsi asciutto (in

quanto l’umidità riduce l’adesione alle resine), e libero da

qualsiasi residuo organico.

Le tecniche di posa

Diversi studi di settore ed applicazioni sperimentali sono

stati dedicati alle tipologie di posa di queste miscele

polimeriche, anche con prove in situ (Sprinkel, 1997;

Knight et al., 2004; Pasetto e Giacomello, 2014).

Il metodo “slurry” (o “premixed”) consiste nel mescolare

resina e aggregati nelle opportune quantità a formare

una malta, che poi viene stesa sull’impalcato (Calvo and

Meyers, 1991; Maass, 2003).

La soluzione chiamata “multiple-layers”, consiste nella

realizzazione di un multi-strato, costituito dall’alternanza

di resina e inerte. Le pavimentazioni multistrato

prevedono:

1) la stesa di uno strato di legante (solitamente alcuni

millimetri di spessore);

2) lo spolvero di aggregato sulla superficie del legante

fino a saturazione;

3) l’eliminazione dell’aggregato in eccesso a presa

avvenuta;

4) la stesa di un nuovo strato di legante (come in 1), con

ripetizione delle fasi successivamente indicate (2, 3).

Usualmente si stendono due soli strati di legante e di

aggregato per formare una pavimentazione dalle

caratteristiche superficiali ottimizzate. Lo spessore finale

solitamente raggiunge gli 8-10 millimetri (Sprinkel 2001;

Stenko, 2001).

Alcuni Autori hanno dimostrato, con prove in situ, che

l’uso di rivestimenti polimerici a base di resine

epossidiche presenta molti benefici: rapidità

dell’intervento, bassa permeabilità della sovrastruttura,

miglioramento dell’antisdrucciolevolezza, migliore

rapporto costo/vita utile dell’impalcato, eccellente

adesione al supporto in calcestruzzo (non influenzato

dalla presenza di alcalinità). Gli Autori indicano che il

sistema è adatto anche alla riparazione e alla

manutenzione di vecchi impalcati di ponti. Seppure il

legante epossidico abbia un basso modulo di elasticità,

la pavimentazione ha una buona resistenza e flessibilità

(Mendis, 1987; Dimmick, 1997; Nabar and Mendis, 1997,

Zalatimo and Fowler 1997).

Il metodo “slurry” (Figura 74, sinistra) è stato usato molto,

in passato, negli Stati Uniti, ed è adoperato per ritardare

il processo di corrosione nel calcestruzzo (prevenendo la

penetrazione degli ioni di cloro e dell’umidità). Un

rivestimento impermeabile costituito da una malta di

natura epossidica ha dimostrato, anche dopo 15 anni di

posa, una resistenza elevata all’usura e un buon

mantenimento delle caratteristiche superficiali,

estendendo la vita utile della pavimentazione e

dell’impalcato (Dimmick, 1996).

Nella tecnica di posa “multistrato” (Figura 74, destra)

l’aggregato viene applicato sulla superficie attraverso un

apposito macchinario, che provvede a spargere il giusto

quantitativo di aggregato facendolo cadere verticalmente

dalla minima altezza possibile, in modo da ridurre al

massimo l’eventuale inclusione di aria nella miscela. La

tecnica di posa “multistrato” non richiede l’utilizzo di

operai specializzati ed è quindi tecnicamente ed

economicamente vantaggiosa; per contro, la tempistica

Page 84: Ct 4 3 mele

81

per la realizzazione di un rivestimento mediante tale

tecnica è maggiore rispetto ad altre soluzioni, il che

compensa il risparmio economico dovuto all’impiego di

operai non specializzati. Quest’ultimo aspetto è cruciale,

perché il cantiere deve rimanere aperto per un periodo

più lungo, comportando maggiori disagi alla viabilità.

Figura 74 - Esempi di pavimentazione realizzata con “malta di resina” (a sinistra) e multistrato (a destra).

Numerose prove sperimentali testimoniano che la

tipologia di aggregato non è significativamente influente

sulle proprietà di resistenza della miscela, ma ha solo

effetto sulla durabilità; la distribuzione granulometrica

dell’aggregato, invece, determina le proprietà

meccaniche della miscela.

L’impermeabilizzazione degli impalcati di ponti

Una buona impermeabilizzazione per impalcati di ponte e

viadotto deve conferire al supporto un’assoluta

protezione nei confronti dell’acqua proveniente dalle

precipitazioni meteoriche, assolvendo questa funzione in

modo efficace nel tempo, al fine di garantire funzionalità

e sicurezza all’intera struttura. Per assicurare ciò, i

materiali adottati nella composizione delle

impermeabilizzazioni devono possedere caratteristiche

fisiche, chimiche e meccaniche adeguate, quali:

impermeabilità, ottima adesione al supporto cementizio o

ferroso dell’impalcato e ai cordoli di contenimento, inerzia

chimica nei confronti dell’aggressività degli agenti

atmosferici, resistenza a fenomeni gelivi e modulo

elastico contenuto per evitare forti stress termici.

Al fine di garantire le migliori prestazioni, in tempi

relativamente recenti si è studiato l’utilizzo di un

conglomerato polimerico, che sia in grado di svolgere la

duplice funzione di impermeabilizzazione e di

pavimentazione su un ponte stradale.

L’impermeabilizzazione così realizzata, con

caratteristiche di assoluta durabilità, viene a costituire la

definitiva pavimentazione del ponte, eliminando la

problematica del degrado della sovrastruttura e delle

sottostrutture per ristagno delle acque meteoriche. Con

tale tecnologia tutte le acque restano in superficie e, con

opportune pendenze e con l’ausilio di caditoie,

defluiscono velocemente dalla sede stradale, garantendo

massima sicurezza alla circolazione dei mezzi e

protezione durevole all’intera struttura.

Allo stato attuale, le soluzioni di impermeabilizzazione

carrabile in materiale polimerico trovano applicazione sia

su opere realizzate ex-novo sia su opere già esistenti

che necessitano di rinnovamento della protezione e della

pavimentazione. Le più comuni applicazioni appaiono

essere: protezione di impalcati in calcestruzzo e in

acciaio realizzati ex-novo; protezione di impalcati in

calcestruzzo esistenti, caratterizzati da problemi di

permeabilità e degrado delle pavimentazioni; protezione

di impalcati esistenti che necessitano di rinnovo della

protezione e della pavimentazione, ma devono convivere

con il problema del contenimento dei pesi; manutenzione

di impalcati e manti stradali di ponti esistenti e aventi

ruolo strategico nella viabilità urbana o extraurbana, e

che necessitano di ridotta interruzione del loro esercizio;

protezione di impalcati immersi in un contesto ambientale

aggressivo o soggetti a frequente trattamento con sali

disgelanti.

Page 85: Ct 4 3 mele

82

Preparazione del piano di posa

Per garantire una buona impermeabilizzazione del

supporto, è necessario prevedere una perfetta adesione

tra pavimentazione ed impalcato. La perdita di adesione

nel tempo può essere dovuta a diversi fattori come:

variazioni dimensionali differenziali tra impalcato e

rivestimento causate da variazioni termiche giornaliere e

stagionali (tali variazioni producono stati tensionali che

portano alla formazione di fessure e/o distacchi);

trasudamento dell’umidità che si forma nel supporto,

portando a distacchi localizzati della membrana, con

conseguente formazione di punti suscettibili all’attacco di

sostanze aggressive; carichi da traffico e sforzi di taglio

indotti da veicoli in movimento; superficie di posa non

idonea alla stesura del rivestimento.

Particolare cura deve essere posta nella preparazione

delle superfici su cui vengono applicate le

impermeabilizzazioni. Le più comuni tecniche di

rimozione dello strato di impermeabilizzazione degradato

e preparazione del nuovo piano di posa per il nuovo

rivestimento sono:

-­‐ shotblasting (pallinatura): procedura di irruvidimento

del supporto e di rimozione di tutti i contaminanti

presenti sulla superficie con particelle metalliche;

-­‐ gritblasting (sabbiatura): procedimento analogo al

precedente, che utilizza sabbia in sostituzione delle

particelle metalliche; tra i limiti della tecnica, il difetto

di non riuscire a rimuovere precedenti strati di

impermeabilizzante; tra i pregi, il vantaggio di

arrivare laddove la pallinatura non arriva;

-­‐ idroscarifica: procedura di rimozione dei

contaminanti tramite getti d’acqua ad altissima

pressione; l’uso di questa tecnica implica la

necessità di lasciar asciugare il supporto prima della

successiva stesa del conglomerato;

-­‐ scarifica: fresatura delle superfici per rimuovere le

precedenti impermeabilizzazioni e poi procedere alla

stesura del nuovo rivestimento.

Se il supporto è di nuova realizzazione, la superficie si

presenta omogenea e liscia, priva di residui di precedenti

impermeabilizzazioni.

Nel caso di un supporto esistente, la superficie si

presenta invece scalinata, con porzioni di calcestruzzo

distaccate o frantumate, porzione di ferri d’armatura in

vista, eventuali avvallamenti. La preparazione del

supporto può essere ottenuta eseguendo una pallinatura,

ripristinando la planarità e una sufficiente rugosità

dell’intera superficie.

In generale, quando si lavora con impalcati in

calcestruzzo già esistenti, degradati e da ripristinare, al

fine di realizzare un’ottima impermeabilizzazione si deve

procedere all’eliminazione di tutte le fessure, le quali

possono essere causa di infiltrazione da parte degli

agenti aggressivi esterni. Le indicazioni dell’American

Concrete Institute (A.C.I.) consigliano di riparare tutte le

fessure con ampiezza superiore a 1 mm. Inoltre, è

opportuno verificare la resistenza del calcestruzzo e

l’umidità in esso contenuta.

Risulta necessario rilevare il quantitativo di umidità

presente nella pasta cementizia che costituisce il

supporto. Il tenore di umidità deve, infatti, essere

inferiore al 4%. Un metodo di prova per valutarlo è il

metodo del carburo di calcio.

5.5 LA SPERIMENTAZIONE SULLE SOVRASTRUTTURE POLIMERICHE PER MANUFATTI STRADALI

Ricerche sono in corso per l’ottimizzazione delle

prestazioni dei materiali da utilizzare come strato di

usura impermeabilizzante e carrabile sull’estradosso di

impalcati di ponti e viadotti. Alcune risultanze della

sperimentazione sono di seguito illustrate e possono

fungere da spunto per ulteriori approfondimenti.

I materiali

Per confezionare prodotti idonei all’utilizzo nella

impermeabilizzazione e pavimentazione di manufatti

stradali, sono stati studiati leganti e inerti di varia origine.

Fra i primi, sono stati impiegati: resine, primer e bitumi.

Per i secondi si è rivolta l’attenzione a materiali

“marginali” o succedanei (sottoprodotti di lavorazioni

industriali, materiali residuali, ecc.), oltre che ai

convenzionali inerti naturali.

I leganti adoperati sono: 2 tipologie di resine, 2 tipi di

primer e un bitume.

Il primo legante (Tabella 1), indicato “A”, è un prodotto

bicomponente (composto da un monomero e da un

catalizzatore) di natura epossi-poliuretanica, che

indurisce a temperatura ambiente. Può essere steso da

solo a formare uno strato impermeabilizzante (1-2 mm

circa, secondo la soluzione “multistrato”), o mescolato

con aggregati a formare una malta (soluzione “premixed”

o “slurry”). Le sue caratteristiche principali sono: duttilità,

Page 86: Ct 4 3 mele

83

impermeabilità, tenacità e inerzia chimica. La malta

possiede una resistenza a flessione maggiore di 16 MPa

e una resistenza a compressione maggiore di 10 MPa

(UNI EN 196-1:2005).

Il secondo legante (Tabella 2), indicato “B”, è una resina

poliuretanica modificata, anch’esso bicomponente

(composto da un monomero e da un catalizzatore).

Questo legante è utilizzato nel metodo “multistrato”.

Prima di applicare il legante o la malta, per entrambe le

tipologie di materiale e applicazione, si richiedono delle

operazioni preliminari. In primis, la superficie del

supporto deve essere pulita e sabbiata per eliminare

eventuali parti fragili o che potrebbero distaccarsi.

Successivamente viene steso uno strato di primer, che

aiuta a far aderire il legante, o la malta. Il primer A

(Tabella 11) è un materiale sintetico di natura epossidica

e possiede un’ottima resistenza all’acqua e alle soluzioni

saline. Il primer B (Tabella 12) è una resina metacrilica

composta da due componenti; possiede una bassa

viscosità ed è incolore.

Per valutare il materiale polimerico servono miscele

bituminose di raffronto. Nel caso di seguito illustrato, si

tratta di conglomerato bituminoso (CB) confezionato con

un bitume di penetrazione 50/70 mm/10 (Tabella 13). Per

ottenere una migliore adesione al calcestruzzo, tra il

supporto e il conglomerato bituminoso viene interposta

una guaina bituminosa, costituita da poliestere ricoperto

di bitume e graniglia, con funzione impermeabilizzante.

Nelle tabelle 11 e 12 sono riassunte le principali proprietà

dei leganti sintetici e dei primer considerati. La tabella 13

contiene invece le proprietà fisico meccaniche della

guaina bituminosa e del bitume.

Tabella 11 - Proprietà del legante sintetico A e del primer A

Proprietà Norma Legante sintetico A Proprietà Norma Primer A

Densità [kg/m3] ASTM D792 1,15 Resistenza al taglio [MPa] UNI EN 12615 > 12

Durezza superficiale [Shore A] ASTM D2240 60 Resistenza a

compressione [MPa] ASTM D695 > 60

Resistenza a trazione[MPa] ASTM D638 ≥ 2 Modulo elastic a compressione [MPa] ASTM D695 > 2950

Allungamento a trazione [%] ASTM D638 ≥ 100 Resistenza a flessione [MPa] ASTM D695 > 30

Resistenza allo strappo [MPa] ASTM D4541 ≥ 1,85 Aderenza per trazione

diretta (pull-off) [MPa] UNI EN 1542 > 5

Tabella 12 - Proprietà del legante sintetico B e del primer B.

Proprietà Norma Legante sintetico B Proprietà Norma Primer

B

Densità a 25°C [kg/ml] ISO 2811 0,99 Resistenza a trazione [MPa] ISO 527 13,8

Tempo di presa a 20°C [sec] ISO 527 3600 - 7200 Allungamento a rottura

[%] ISO 527 1,3

Resistenza a trazione a 20°C [MPa] ISO 527 11 Modulo di elasticità [MPa] ISO 527 1500

Allungamento a rottura a 20°C [%] ISO 527 250 Densità a 20°C [g/cm3] ISO 1183 1,16

Modulo di elasticità a 20°C [MPa] ISO 527 82,4

Tabella 13 - Proprietà della membrana bituminosa e del bitume.

Proprietà Norma Membrana bituminosa Proprietà Norma Bitume

Spessore [mm] - 4 Penetrazione a 25°C [dmm] EN 1426 65

Allungamento [%] ASTM D638 > 105 Punto di rammollimento [°C] EN 1427 45

Resistenza a trazione [MPa] ASTM D638 > 2,5 Punto di rottura Fraaas [°C] EN 12593 ≤ -8

Aderenza per trazione diretta (pull-off) [MPa] UNI EN 1542 2,5 Viscosità dinamica a 60°C

[Pa·s] EN 12596 ≥ 145

Modulo a trazione [MPa] ASTM D638 > 9 Duttilità a 25°C [mm] ASTM D 113 ≥ 800

Page 87: Ct 4 3 mele

84

Gli aggregati utilizzati sono: sabbia di quarzo (SQ),

calcare naturale (C), scoria di acciaieria da forno ad arco

elettrico (SA), inerte da costruzione e demolizione (CD) e

bauxite (B). Nella tabella 14 sono riassunte le proprietà

fisco-meccaniche degli aggregati.

La sabbia di quarzo e la bauxite sono aggregati molto

simili: possiedono una bassa quantità di fini e un peso

specifico intermedio tra le scorie d’acciaieria e il

materiale di riciclo. Per il calcare naturale e l’aggregato di

riciclo sono state usate due frazioni granulometriche: 0/5

e 5/10 mm. Anche per la scoria di acciaieria sono state

impiegate due frazioni granulometriche: 0/4 e 4/8 mm. Le

scorie di acciaieria sono il materiale con più elevato peso

specifico, hanno un basso tenore di fini e una elevata

resistenza all’abrasione e all’urto (basso valore del

coefficiente Los Angeles). Un basso valore dell’indice di

appiattimento e di forma, come nel caso del calcare e

della scoria di acciaieria, indica una bassa presenza di

aggregati di forma lenticolare e allungata, qualità molto

richieste per ottenere un buon conglomerato per strato di

usura. Il materiale di riciclo, una miscela di vetro e

materiale da costruzione e demolizione, ha proprietà i cui

valori evidenziano minor pregio: bassa resistenza all’urto

e all’abrasione e forma degli aggregati più allungata

rispetto agli altri materiali utilizzati.

Tabella 14 - Proprietà fisico-meccaniche degli aggregati.

Proprietà fisico-meccaniche Norma Sabbia di

quarzo (SQ)

Scoria di acciaieria

(SA)

Calcare (C)

Inerte da Costruzione e

Demolizione (CD)

Bauxite (B)

Pezzature [mm] - 0/4 4/8 0/5 5/10 0/5 5/10 -

Coefficiente Los Angeles [%]

UNI EN 1097-2 - - 11,5 - 16 - 23,6 -

Equivalente in Sabbia [%] UNI EN 933-8 95 87 - 70 - 98 - 98

Indice di Forma [%]

UNI EN 933-4 - 19 15 - 5 15 22 -

Indice di appiattimento [%]

UNI EN 933-3 - 29 8 - 8 16 32 -

Massa volumica reale [g/cm3] CNR 64/78 2,78 3,9 3,92 2,76 2,72 2,6 2,64 2,81

Massa volumica apparente [g/cm3] CNR 63/78 2,57 3,9 3,87 2,55 2,64 2,5 2,48 2,55

Massa volumica apparente non addensata

[g/cm3] CNR 62/78 1,48 2,1 2,13 1,48 1,36 1,3 1,32 1,52

Le miscele

Le soluzioni costruttive qui analizzate riguardano sia la

posa di malta polimerica (soluzione “premixed/slurry” -

PR) sia il “multistrato” (ML).

Le miscele preparate secondo il metodo PR sono

suddivise in due famiglie a seconda del fuso

granulometrico utilizzato per il mix design: Tipo 1 (T1),

fuso già utilizzato in letteratura (Pasetto e Giacomello,

2013 e 2014) per la posa di malte polimeriche, e Tipo

(T2), fuso usato per un conglomerato (bituminoso) per

strato di usura (SITEB).

Con il primo tipo di fuso (T1) sono state confezionate

miscele polimeriche con: sabbia di quarzo (PR-T1-SQ),

scoria di acciaieria (PR-T1-SA) e aggregato di riciclo

(PR-T1-CD). Con il secondo tipo di fuso (T2) sono state

invece prodotti conglomerati polimerici con: calcare (PR-

T2-C) e scoria di acciaieria (PR-T2-SA). Per la

preparazione di entrambi le tipologie è stata impiegata

solo la resina di tipo A.

Per il confezionamento del conglomerato bituminoso

sono state adottate due soluzioni che tradizionalmente

vengono impiegate nel nord Italia: una con calcare (BM-

T2-C) e una con scorie di acciaieria (BM-T2-SA).

Page 88: Ct 4 3 mele

85

Per la tipologia di posa ML è stato usato un fuso

granulometrico ricavato dalla letteratura (Pasetto e

Giacomello, 2013 - 2014) e sono state confezionate

miscele polimeriche con: sabbia di quarzo (ML-SQ),

scoria di acciaieria (ML-SA), aggregato da riciclo (ML-

CD) e bauxite (ML-B). Il legante di tipo B è stato usato

solo per confezionare provini ML-B.

Le proporzioni tra le frazioni granulometriche impiegate

sono indicate nella tabella 15. Le granulometrie delle

miscele e i fusi granulometrici sono riportati nelle figure

75, 76 e 77.

Tabella 15 - Proporzioni tra le frazioni granulometriche impiegate.

Composizione della miscela

Pezzatura [mm] Quantità [%]

CB-T2-C& PR-

T2-C

CB-T2-SA & PR-T2-

SA

PR-T1-CD

PR-T1-SQ

PR-T1-SA

ML-SQ

ML-SA

ML-CD ML-B

Calcare 0/5 48 - 40 - - - - - -

5/10 45 - - - - - - - -

Scorie di acciaieria 0/4 - 70 - - 100 - 100 - -

4/8 - 22 - - - - - - -

Inerte da Costruzione e Demolizione

0/5 - - 45 - - - - 100 -

5/10 - - 15 - - - - - -

Sabbia di quarzo 1 - - - - 100 - - - - -

Sabbia di quarzo 2 - - - - - - 100 - - -

Bauxite - - - - - - - - - 100

Filler - 7 8 - - - - - - -

Figura 75 - Fusi granulometrici e curve granulometriche adottati per: CB-T2-SA, CB-T2-C, PR-T2-C e PR-T2-SA.

Page 89: Ct 4 3 mele

86

Figura 76 - Fusi granulometrici e curve granulometriche adottati per: PR-T1-SQ, PR-T1-SA e PR-T1-CD.

Figura 77 - Fusi granulometrici e curve granulometriche adottati per: ML-SQ, ML-SA, ML-CD e ML-B.

Page 90: Ct 4 3 mele

87

Le miscele del tipo premiscelato (malta) sono state

applicate secondo le seguenti modalità. Dopo aver pulito

la superficie del supporto in calcestruzzo da impurità,

sono stati preparati il primer (mescolando il monomero e

il catalizzatore) e la malta (inizialmente mescolando solo

il legante con un adeguato quantitativo di catalizzatore e

successivamente anche con l’aggregato). Steso il primer,

si è applicato ad un intervallo di qualche minuto il

rivestimento polimerico. Il provino è stato poi lasciato per

un giorno a riposo per consentire l’indurimento della

malta.

Nel caso di miscele “multistrato” il procedimento seguito

è risultato diverso. Pulita la superficie del supporto,

preparato e steso il primer, è stato posato un sottile

strato di legante (ottenuto mescolando resina e

catalizzatore). Prima che il legante indurisse, è stato

spolverato l’aggregato fino a saturare la superficie del

provino. A presa avvenuta (un giorno a riposo),

l’aggregato in eccesso è stato tolto con getto d’aria. Sugli

aggregati rimasti incollati al supporto, è stato steso un

secondo strato di legante, ed è stata effettuata una

nuova semina di aggregato, fino a saturare la superficie.

Dopo un ulteriore giorno di riposo, la pavimentazione

polimerica è risultata pronta.

Solo nel caso della resina di tipo B è stata fatta la semina

di un unico strato di aggregato, poiché al di sotto del

legante non vi è solo il primer, ma anche un altro strato di

resina impermeabilizzante.

Per le prove di ormaiamento e per la verifica delle

proprietà superficiali della pavimentazione, sono stati

usati dei supporti in calcestruzzo fibrorinforzati che

possiedono una lunghezza di 300 mm, una larghezza di

400 mm e uno spessore di 30 mm.

Per le prove di fatica sono stati usati invece dei supporti

in calcestruzzo fibrorinforzati che possiedono una

lunghezza di 400 mm, una larghezza di 60 mm e uno

spessore di 40 mm.

Il calcestruzzo (classe 30 MPa) dei travetti e delle lastre

è stato confezionato con cemento 32,5R, con rapporto

w/c pari a 0,45. Gli aggregati impiegati sono una sabbia

calcarea naturale di pezzatura 0/4 mm e un ghiaino

calcareo naturale di pezzatura 4/8 mm. Le fibre di

rinforzo (dosaggio pari a 40 kg/m3) sono elementi in

acciaio, uncinati all’estremità, di lunghezza 50 mm e di

diametro 1,05 mm (Figura 78).

Lo spessore finale della pavimentazione varia però a

seconda del tipo di rivestimento: nel caso del

“multistrato” si può arrivare ad uno spessore di 15 mm,

mentre nel caso della malta “premiscelata” si possono

raggiungere i 20 mm circa (come per la pavimentazione

in conglomerato bituminoso).

Per effettuare un confronto delle due metodologie sopra

descritte (PR e ML), è stato confezionato un

conglomerato bituminoso, con bitume 50/70 mm/10, con

calcare (CB-C) e con scoria d’acciaieria (CB-SA). La

curva granulometrica del conglomerato e il fuso di

riferimento utilizzato sono riportati in Figura 74. Il

conglomerato bituminoso è stato poi steso su due

tipologie di impermeabilizzazioni: la membrana

bituminosa (MB) e la membrana polimerica (MP).

Figura 78 - Fibre per Il rinforzo del calcestruzzo (a sinistra) e supporto per le prove a fatica (a destra).

Le prove

Le prime prove effettuate sui campioni sono state quelle

per misurare le caratteristiche superficiali. Esse

rivestono, infatti, un’importanza elevata per le

pavimentazioni su ponti e viadotti, che devono offrire

ottimali condizioni di aderenza tra pneumatico e

superficie. Sono state quindi misurate la macrotessitura,

mediante prova dell’altezza in sabbia (UNI EN 13036-

1:2010), l’aderenza (indice PTV - Pendulum Test Value)

mediante il PendulumTest (UNI EN 13036-4:2011), e la

permeabilità (UNI EN 13036-3:2006).

La misurazione della macrotessitura della

pavimentazione viene effettuata seguendo il protocollo

indicato dalla normativa. Si rovescia un quantitativo noto

di microsfere sulla pavimentazione e lo si stende a

Page 91: Ct 4 3 mele

88

formare un area circolare, finché tutti gli elementi hanno

riempito le gole tra aggregato e aggregato. Si misurano

quindi due diametri dell’area circolare e, noto il volume

delle sfere, si calcola la macrorugosità della

pavimentazione in termini di altezza in sabbia.

Lo strumento che consente di misurare la resistenza allo

scivolamento è invece costituito da un pattino in gomma

di determinate caratteristiche, collegato ad un pendolo

che oscilla senza attrito intorno ad un perno. Il pattino,

fatto cadere da una precisa altezza, striscia contro la

superficie della pavimentazione e perde una certa

quantità di energia cinetica. La misura effettuata con lo

strumento è indice della quantità di energia persa dopo lo

strisciamento del pattino sulla pavimentazione: più una

pavimentazione è liscia più il valore della resistenza allo

scivolamento sarà basso.

La permeabilità è misurata in termini di tempo (in

secondi) che impiega una quantità nota di acqua a

defluire da un provettone forato inferiormente, nei limiti di

una guarnizione in gomma premuta da una massa (di

peso noto).

La funzionalità e la resistenza dei materiali in esame può

essere valutata mediante una prova di ormaiamento (UNI

EN 12697-22:2007). La prova intende simulare il

passaggio ripetuto di veicoli pesanti sulla

pavimentazione, per registrare la deformazione

permanente nel tempo. Il numero di passaggi (104 cicli) è

tale da simulare un traffico mediamente presente su

strade italiane. Il carico è applicato con una ruota

gommata (assimilabile ad uno pneumatico di

autoveicolo). Il protocollo, valido per i conglomerati

bituminosi, richiede di eseguire le prove ad una

temperatura di 60°C. Sono state comunque eseguite

prove ad altre temperature (0°C, 20°C e 40°C) per

valutare il comportamento termoindurente delle resine

epossidiche.

In tutti i casi è stata testata, inoltre, l’adesione della

pavimentazione al supporto in calcestruzzo. La

normativa UNI EN 1542:2000 richiede la realizzazione di

provini cilindrici di circa 50 mm di diametro fresando il

materiale con punta a tazza, fino ad una profondità di

circa 15 mm all’interno dello strato sottostante in

calcestruzzo. Su ciascun provino è incollato un tassello

circolare con adesivo epossidico (prescritto dalla

normativa), sul quale è esercitata una sollecitazione di

trazione fino alla rottura del provino. Il protocollo

prescrive che l’’aumento della tensione debba essere

progressivo e non superiore a 0,05 MPa/s.

E’ stata, inoltre, valutata la dilatazione termica dei

materiali e calcolato il coefficiente di dilatazione termica.

Sono stati analizzati, insieme ai campioni la cui

dilatazione non era nota, anche provini di materiale la cui

dilatazione era nota ed utile a fornire un

riferimento/controllo. Come provini sono stati utilizzati dei

travetti prismatici, forati ad una estremità per permettere

l’inserimento di una sonda-termometro, in grado di

rilevarne la temperatura interna. Ai campioni di prova

sono stati applicati dei trasduttori di spostamento per

permettere di misurare la dilatazione o contrazione del

provino al variare delle condizioni termiche. I campioni di

prova sono stati riposti all’interno di una cella termica,

soggetta a variazione lineare di temperatura tra 0 e 35°C.

Il coefficiente di dilatazione termica dipende

esclusivamente dalla differenza di allungamento del

campione Δl [mm] e dalla differenza di temperatura ΔT

[°C] e non dalla velocità di variazione della temperatura

nel tempo (dT/dt). Si è cercato di evitare variazioni di

temperatura troppo repentine, in modo da evitare

differenti contrazioni o espansioni volumetriche (per

evitare l’insorgere di tensioni interne). Poiché il

coefficiente di dilatazione termica di un materiale è

possibile che non sia costante, è stato deciso di

effettuare una procedura step by step nella rilevazione

della lunghezza del provino, con intervalli di

osservazione Δt di 30 s. Tramite una procedura grafica è

stato poi possibile risalire al coefficiente di dilatazione

termica lineare λ, correlando le variabili Δl [mm] e ΔT

[°C].

Prove di fatica sono state utilizzate per analizzare

diverse problematiche. Inizialmente, si è provveduto a

capire quale fosse la capacità di adesione tra la

pavimentazione e l’impalcato (simulato tramite il travetto

in calcestruzzo). Successivamente, si è invece studiato il

comportamento a fatica del materiale costituente la

pavimentazione. Nel primo caso, per tenere conto delle

reali condizioni in cui viene posto un rivestimento per

impalcati di ponte, si è deciso di riprodurre in laboratorio

diverse tipologie di superfici in calcestruzzo a simulare

l’estradosso dell’impalcato del ponte:

1. superficie nuova o preparata con sistemi irruvidenti,

2. superficie umida o non preparata con sistemi

irruvidenti,

3. superficie fessurata o danneggiata.

Page 92: Ct 4 3 mele

89

La superficie dei travetti è stata quindi preparata come

appena indicato: nel primo caso è stata pulita con una

spazzola d’acciaio, nel secondo caso è stata bagnata, e,

infine, nel terzo caso è stata sottoposta preventivamente

a prove di fatica su apparecchiatura a 4 punti a flessione

(con gli stessi parametri a cui sono stati sottoposti i

travetti nella fase sperimentale).

Le prove di fatica sono state eseguite con

un’apparecchiatura conforme alle norme europee UNI

EN 12697-24:2012 e UNI EN 12697-26:2012. Seppure le

norme siano specifiche per i conglomerati bituminosi, è

stato mantenuto un approccio simile, per caratterizzare a

fatica i rivestimenti innovativi per impalcati di ponte. Le

prove sono state condotte in controllo di deformazione

(150 µstrain), con curva ad onda di tipo sinusoidale e 10

Hz di frequenza per un totale di 1,5·105 cicli. I provini

sono composti dai supporti di calcestruzzo su cui sono

state stese diverse tipologie di rivestimenti: con metodo

PR (20 mm circa di spessore), con metodo ML (15 mm

circa di spessore) e con le due soluzioni tradizionali (una

con membrana bituminosa e conglomerato bituminoso e

una con membrana polimerica e conglomerato

bituminoso, entrambe 25-30 mm circa di spessore).

Prima e dopo le prove di fatica, sono state condotte

prove con ultrasuoni, già adottate in altri studi con validi

risultati (Pasetto et al., 2000). Le prove con ultrasuoni

consistono in un’apparecchiatura con due trasduttori (un

emettitore e un ricevitore), che registra tra due punti il

tempo di passaggio degli ultrasuoni all’interno del

materiale da testare. Il tempo di passaggio è

proporzionale al tipo di materiale, alla sua composizione

e alla presenza di discontinuità interne. L’aumento del

tempo di passaggio degli ultrasuoni sull’intera lunghezza

del supporto in calcestruzzo permette, quindi, di capire

se siano presenti fessure o danni dovuti alle prove di

fatica eseguite.

Sono state eseguite ulteriori prove con lo scopo di

indagare il comportamento a fatica di provini cilindrici

realizzati in materiale polimerico (confezionati con malta

premiscelata) al variare dell’aggregato, confrontando i

risultati con provini cilindrici in conglomerato bituminoso.

I provini cilindrici sono stati sottoposti ad una prova di

fatica a trazione indiretta secondo la norma UNI EN

12697-24. La prova è stata eseguita in modalità di

controllo di tensione, utilizzando i valori: 200 KPa, 350

KPa, 500 KPa.

5.6 I RISULTATI

Le caratteristiche superficiali Le prove per rilevare le proprietà superficiali delle

pavimentazioni sono state condotte su ciascun

rivestimento, eseguendo tre misurazioni di permeabilità e

macrotessitura (con il metodo dell’altezza in sabbia) e

cinque di microtessitura (resistenza allo scivolamento

con Pendulum Test).

I risultati di queste prove sono riproposti nella Tabella 16.

Tabella 16 - Valori medi dell’altezza in sabbia, dell’aderenza (PTV) e della permeabilità.

Tipo di rivestimento PR-T1-SQ

PR-T1-SA

PR-T1-CD

PR-T2-SA

PR-T2-C

CB-T2-C

CB-T2-SA

ML-B

ML-SQ

ML-SA

ML-CD

Altezza in sabbia [mm] 0,32 0,60 0,58 0,28 0,36 0,72 0,52 0,46 1,54 2,11 2,31

PTV medio [-] 21 71 86 31 36 116 95 76 104 114 99

Permeabilità [s] > 180 > 180 585 > 180 > 180 163 184 742 21 18 14

E’ possibile notare che le caratteristiche superficiali delle

pavimentazioni studiate variano a seconda del tipo di

aggregato impiegato e del metodo di posa.

I rivestimenti prodotti con metodo “multistrato”,

confrontati con quelli del “premiscelato” (malta), danno

dei risultati molto più soddisfacenti in fatto di

caratteristiche superficiali: la macrotessitura e la

resistenza allo scivolamento sono di gran lunga migliori.

Quasi tutte le tipologie di pavimentazione esprimono una

macrotessitura di tipo “medio” (valori compresi tra 0,40 e

0,80 mm in termini di altezza in sabbia) e solo i

rivestimenti di tipo multistrato arrivano a macrotessiture

di tipo “molto grossa” (valori superiori a 1,20 mm in

termini di altezza in sabbia). Tali valori si spiegano

osservando che gli aggregati creano molte più asperità

Page 93: Ct 4 3 mele

90

quando si utilizza il secondo metodo, non essendo

inglobati nella malta e da essa avvolti (Figura 79).

In termini di resistenza allo scivolamento, quasi tutti i tipi

di rivestimento hanno una superficie “antisdrucciolevole

per eccellenza” (valori superiori a 65). Come per la

macrorugosità, esprimono una migliore resistenza allo

scivolamento i rivestimenti multistrato e il conglomerato

bituminoso (Figura 80).

Il materiale da costruzione e demolizione (CD) conferisce

buona rugosità in entrambi i casi (PR e ML) e porta ad un

manto antisdrucciolevole per eccellenza (in termini di

resistenza allo scivolamento). La scoria d’acciaieria (SA)

porta, invece, a discreti risultati. I rivestimenti con

scheletro litico di tipo 2 hanno buone caratteristiche

superficiali se viene impiegato il bitume come legante;

viceversa accade con il legante polimerico. Ciò viene

confermato visivamente (Figura 81): la resina tende a

riempire i vuoti tra gli aggregati creando una superficie

tendenzialmente liscia, mentre il bitume avvolgendo i

singoli grani di aggregato, consente loro di conservare la

loro forma. In questo modo le proprietà globali della

pavimentazione bituminosa sono migliori di quella con

legante polimerico.

Figura 79 - Valori medi dell’altezza in sabbia per ciascuna tipologia di rivestimento.

Figura 80 - Valori medi di microtessitura (PTV) per ciascuna tipologia di rivestimento.

Page 94: Ct 4 3 mele

91

Visivamente, già nella fase di realizzazione, è stato

possibile avere un’idea delle differenze superficiali

esistenti nei diversi rivestimenti per impalcato di ponte

preparati. Infatti, le caratteristiche superficiali variano con

il metodo di posa e il tipo di aggregato (Figura 79).

Figura 81 - Superficie delle diverse miscele. In ordine orario, a partire dall’alto a sinistra: sabbia di quarzo,

inerte da costruzione e demolizione, scoria di acciaieria premiscelati; scoria di acciaieria, inerte da costruzione e demolizione, sabbia di quarzo multistrato.

Riguardo i risultati delle prove di permeabilità, i

rivestimenti con superfici più lisce impediscono all’acqua

di fuoriuscire e hanno quindi valori di permeabilità minori.

Viceversa, pavimentazioni di tipo multistrato, che

mantengono maggiori asperità degli aggregati,

consentono un miglior drenaggio dell’acqua. Il

rivestimento ML-B ha valori intermedi tra quelli del

conglomerato bituminoso e quelli riscontrati sulle

pavimentazioni di tipo premiscelato (Tabella 16).

Le deformazioni permanenti

Dai test effettuati con la wheeltracking machine

(macchina ormaiatrice) sono stati ricavati i risultati

riportati nelle figure 9 e 10. Per ciascuna prova effettuata

si è ricavato (come riportato nella normativa) il parametro

WTSAIR, che è la pendenza della curva di deformazione

in millimetri per 103 cicli di carico. Il calcolo consiste nella

sottrazione tra i valori dell’altezza della deformazione a

5000 e 10000 cicli, e nella divisione del risultato per 5.

È stato possibile constatare, immediatamente, che i

leganti polimerici possiedono un comportamento

termoindurente, a causa della loro composizione

chimica. Infatti, il reticolo di molecole si completa,

irrigidendo la matrice polimerica, all’aumentare della

temperatura.

I rivestimenti polimerici con scheletro litico di Tipo 2 si

comportano in modo migliore alle deformazioni

permanenti rispetto a quelli bituminosi. Da notare inoltre

che il conglomerato bituminoso con scorie ha un migliore

comportamento rispetto a quello con calcare, come già

indicato in letteratura (Pasetto e Baldo, 2012).

I rivestimenti polimerici di tipo multistrato soffrono

maggiormente l’accumulo di deformazioni permanenti

rispetto agli stessi rivestimenti di tipo premiscelato

(Figura 82).

La soluzione in conglomerato bituminoso ha dimostrato

di avere delle carenze evidenti, soprattutto alle alte

temperature (40°C e 60°C): il conglomerato ha subito

profonde deformazioni permanenti (come si può vedere

in Figura 84) e ha avuto delle perdite parziali , in alcuni

casi anche totali, di adesione con il supporto sottostante

in calcestruzzo, dimostrando che uno spessore molto

sottile di conglomerato non è adatto per ricoprire

l’impalcato di ponte. Infatti, l’adesione tra conglomerato

bituminoso e calcestruzzo diminuisce al diminuire dello

spessore dello strato di conglomerato bituminoso, a

causa dell’esiguo peso della pavimentazione. Ulteriore

svantaggio è la presenza della guaina bituminosa, che

crea una superficie preferenziale per le tensioni

tangenziali, responsabili dello slittamento della

pavimentazione sull’impalcato del manufatto.

Page 95: Ct 4 3 mele

92

Figura 82 - WTSAIR a 20°C e a 60°C per ciascuna tipologia di rivestimento.

In tutti i casi analizzati, il comportamento dei rivestimenti

polimerici (malte e multistrato) ha evidenziato una minore

predisposizione alla deformazione permanente a

temperature alte (60°C - 40°C) e, viceversa, un’alta

predisposizione a temperature minori (0°C - 20°C)

(Figura 83).

Figura 83 - WTSAIR a 0°C, 20°C, 40°C e 60°C per alcune tipologie di rivestimento.

Page 96: Ct 4 3 mele

93

Figura 84 - Fotografia dell’ormaia formatasi sulla pavimentazione in conglomerato bituminoso.

L’adesione del rivestimento all’impalcato del ponte.

L’adesione del rivestimento, polimerico e non, al

supporto in calcestruzzo è stata testata con prove di

adesione multiple per ogni tipo di pavimentazione. I

risultati, riassunti nella tabella 17, sono stati diversi di

volta in volta anche all’interno dello stesso campione di

miscela. Ciò è accaduto, soprattutto, perché la superficie

del rivestimento presentava discontinuità, che hanno

impedito all’adesivo di ancorarsi perfettamente. Inoltre,

anche una pur lieve inclinazione del tassello o dello

strumento di prova ha portato ad avere forze di trazione

non omogenee sul provino da testare.

È stato deciso di classificare con un codice alfabetico il

punto in cui è avvenuto il distacco per trazione della

carota:

A) all’interno del supporto in calcestruzzo,

B) all’interfaccia tra il supporto in calcestruzzo e lo

strato di primer,

C) all’interno dello strato di primer,

D) all’interfaccia tra lo strato di primer e lo strato di

rivestimento,

E) all’interno dello strato di rivestimento,

F) all’interno dello strato di adesivo del tassello.

Tipo di rivestimento

Tensione a trazione media

[MPa] Tipo di rottura

PR-T2-C 1,44 F

PR-T2-SA 1,39 A

CB-T2-C 0,70 B (tra calcestruzzo e membrana)

CB-T2-SA 0,76 E

PR-T1-SQ 1,59 B

PR-T1-SA 1,31 C

PR-T1-CD 0,91 C

ML-SQ 1,53 D

ML-SA 1,48 C

ML-CD 0,97 E

ML-B 1,20 B

Tabella 17 - Valori della resistenza a trazione e tipo di rottura per ciascun tipo di rivestimento. Solo nel caso della miscela PR-T2-SA, la rottura del

provino è avvenuta all’interno del supporto in

calcestruzzo, evidenziando che lo scheletro di Tipo 2 con

scorie ha una buona coesione interna. Infatti, seppur le

tensioni sviluppate siano elevate, ha ceduto quasi

sempre il primer o l’interfaccia tra primer e rivestimento.

I conglomerati bituminosi hanno evidenziato prestazioni

peggiori rispetto agli altri rivestimenti: la guaina

Page 97: Ct 4 3 mele

94

bituminosa ha dimostrato di avere infatti un minore

grado di adesione al supporto in calcestruzzo rispetto ai

primer utilizzati per le altre soluzioni. In due casi, durante

l’esecuzione del carotaggio, la sola rotazione della punta

a tazza ha fatto in modo che la guaina e il conglomerato

bituminoso si staccassero dal supporto.

I valori di tensione sono globalmente maggiori per le

soluzioni stese con metodo multistrato, che con la malta,

seppure le soluzioni con sabbia di quarzo abbiano

ottenuto sempre alti valori della resistenza a trazione.

Sono state, inoltre, condotte ulteriori sperimentazioni

riguardanti l’adesione dei rivestimenti sull’impalcato da

ponte. Su alcuni provini, simili a quelli già testati, sono

state eseguite prove di fatica: i provini sono stati ripartiti

secondo che si avesse “supporto nuovo o superficie

irruvidita” e “supporto bagnato o pre-fessurato”. Dopo la

prova è stata misurata nuovamente la resistenza a

trazione (Tabella 18).

Tipo di rivestimento PR-T1-SQ

PR-T1-SA

PR-T1-CD ML-SQ ML-SA ML-CD CB-T2-SA

Supporto nuovo o superficie irruvidita Resistenza media a

trazione [MPa] 1,59 1,31 0,91 1,53 1,48 0,97 0,76

Posizione B C C D C E E Supporto nuovo o superficie irruvidita, dopo la prova di fatica

Resistenza media a trazione [MPa] 1,38 1,29 0,91 1,52 1,49 0,95 -

Posizione D C C D E E E Supporto in calcestruzzo bagnato o pre-fessurato, dopo la prova di fatica

Resistenza media a trazione [MPa] 1,33 1,29 0,82 1,46 1,45 0,92 -

Posizione C C C D C E E

Tabella 18 - Pull-off test: tensione media a trazione [MPa]. Molte delle prove (su supporto nuovo o preparato con

sistemi irruvidenti) effettuate dopo le prove di fatica

hanno dato dei risultati che sottolineano l’indebolimento

dell’interfaccia tra il supporto in calcestruzzo e il

rivestimento (o tra il primer e il rivestimento). La prova di

fatica ha, quindi, portato ad un degrado dell’adesione tra

i due materiali. Su supporto umido (o non preparato con

sistemi irruvidenti), le prove di fatica hanno indebolito

ulteriormente il legame all’interfaccia dei materiali,

portando le rotture delle carote decisamente ad un livello

più basso (tra il primer e il rivestimento) rispetto a quanto

osservato su supporto nuovo.

Per quanto riguarda le soluzioni tradizionali, durante le

prove a fatica si sono avuti dei distacchi localizzati dello

strato in conglomerato bituminoso rispetto alla

membrana bituminosa (Figura 85). Ciò ha portato a non

eseguire prove di adesione su tale rivestimento, essendo

impossibile dare seguito alla prova.

Figura 85 - A sinistra: distacco dello strato di conglomerato bituminoso dal supporto in calcestruzzo durante il test a fatica. A destra: fessurazione del travetto in calcestruzzo e suo successivo sviluppo attraverso la membrana, fino alla superficie

della pavimentazione, durante il test a fatica. Le prestazioni ottenute con sabbia di quarzo (SQ) e

scoria d’acciaieria (SA) sono migliori rispetto a quelle

ottenute con il materiale da costruzione e demolizione

(CD). Infatti quest’ultimo tipo di aggregato sviluppa una

minor adesione alla resina epossidica. Minima è

Page 98: Ct 4 3 mele

95

l’influenza sull’adesione al supporto del metodo di stesa

(PR o ML).

Le prove con il test di flessione a 4 punti (4PB test)

hanno evidenziato che il supporto di calcestruzzo,

essendo un materiale fragile, dà luogo, in quasi tutti i

casi, a fessurazioni più o meno distribuite. Tali danni

però non si propagano ai rivestimenti, seppure la forza di

adesione al supporto diminuisca dopo le prove di fatica

(con variazioni diverse a seconda del tipo di supporto).

Ciò suggerisce che questi rivestimenti innovativi abbiano

una buona resistenza alla fessurazione e una buona

adesione al supporto, nonostante quest’ultimo si possa

fessurare durante la sua vita utile.

Durante le prove di fatica è stato possibile notare che il

valore del modulo di rigidezza dei provini sia lentamente

diminuito all’aumentare del numero di cicli: ciò conferma

che i campioni si siano danneggiati durante le prove.

Infatti, se da un lato il calcestruzzo del supporto si è

fessurato, dall’altro la resina epossidica (nelle due

soluzioni proposte) ha mantenuto il livello di tensione,

dimostrando di essere un buon materiale per le

applicazioni previste.

La conferma della fessurazione dei supporti in

calcestruzzo è stata ottenuta impiegando uno strumento

ad ultrasuoni. I valori ottenuti misurando il tempo di

passaggio delle onde attraverso il calcestruzzo, prima e

dopo le prove di fatica, suggeriscono che i provini si

siano fessurati o danneggiati. Nelle tabelle 19 e 20 sono

riportati i valori del tempi di passaggio degli ultrasuoni

(Ts), prima e dopo le prove di fatica (preF, postF), al

variare del tipo di supporto, della tipologia di posa e del

tipo di aggregati.

Tipo di supporto Nuovo o preparato con sistemi irruvidenti

Metodo di stesa Malta polimerica Multistrato

Tipo di aggregato SQ SA CD SQ SA CD

TspreF [µs] 102,5 107,5 104,6 106,1 107,0 103,4

TspostF [µs] 112,2 119,4 114,2 116,8 120,0 115,4

Differenza + 9,7 + 11,9 + 9,6 + 10,7 + 13,0 + 12,0

Tabella 19 - Valori medi del tempo di passaggio degli ultrasuoni.

Tipo di supporto Umido o mal preparato

Metodo di stesa Malta polimerica Multistrato

Tipo di aggregato SQ SA CD SQ SA CD

TspreF [µs] 95,2 96,7 98,4 96,6 96,7 97,2

TspostF [µs] 102,3 105,6 107,1 104,4 109,5 114,0

Differenza + 7,1 + 8,9 + 8,7 + 7,8 + 12,8 + 16,8

Tabella 20 - Valori medi del tempo di passaggio degli ultrasuoni. Le prove di fatica

I dati sperimentali ottenuti dalle prove di fatica sui

campioni cilindrici sono stati rappresentati attraverso i

classici diagrammi di Whöler, dove in ascissa è stato

posto il logaritmo del numero di cicli a rottura, mentre in

ordinata è stato posto il logaritmo della tensione [kPa]

(Figura 86). Le prove di fatica condotte su provini

cilindrici dimostrano come il conglomerato bituminoso sia

caratterizzato da una maggior resistenza alla fatica per

ripetuti cicli di carico. Le miscele con legante polimerico

(calcare e sabbia di quarzo) hanno una resistenza a

fatica minore, rispetto alla soluzione in conglomerato

bituminoso. Le soluzioni con aggregato calcareo, anche

presentando pezzature di maggiori dimensioni rispetto a

quelle con aggregato di quarzo, garantiscono una vita a

fatica superiore.

Page 99: Ct 4 3 mele

96

Figura 86 - Curve di fatica

Lo studio della dilatazione termica

Figura 87 - Rappresentazione della dilatazione termica del provino PR-T2-C.

Page 100: Ct 4 3 mele

97

Figura 88 - Rappresentazione della dilatazione termica del provino PR-T1-SQ.

Figura 89 - Rappresentazione della dilatazione termica del provino PR-T2-SA.

Materiale   λ  sperimentale  [°C-­‐1]   λ  letteratura  [°C-­‐1]  

PR-­‐T2-­‐C   120·∙10-­‐6   Non  presente  

PR-­‐T1-­‐SQ   56·∙10-­‐6   Non  presente  

PR-­‐T2-­‐SA   85·∙10-­‐6   Non  presente  

CB-­‐T2-­‐C   27·∙10-­‐6   25·∙10-­‐6  

Calcestruzzo   12·∙10-­‐6   12·∙10-­‐6  

Tabella 21 - Risultati sperimentali e dei valori indicati in letteratura per il coefficiente di dilatazione.

Page 101: Ct 4 3 mele

98

Per la determinazione del coefficiente di dilatazione

termica dei rivestimenti per impalcati da ponte o viadotto,

è stato elaborato un protocollo di esecuzione, studiato

appositamente per ridurre al minimo l’influenza della

strumentazione adoperata, facendo riferimento alle

prescrizioni indicate da normative redatte per i medesimi

scopi, ma con altre tipologie di materiale. I risultati

ottenuti dalle prove di laboratorio mettono in luce la bontà

del protocollo, in quanto i valori di coefficiente di

dilatazione termica ottenuti per il conglomerato

bituminoso e per il calcestruzzo sono coincidenti o

sufficientemente simili ai valori riportati nella letteratura.

Si suppone che la procedura che ha portato ai valori dei

coefficienti di dilatazione termica per le miscele studiate

sia quindi attendibile.

Comparando le miscele, al variare della tipologia di

aggregato, i coefficienti di dilatazione termica lineare

crescono a partire dalla sabbia di quarzo, passando per

la scoria di acciaieria, fino ad arrivare al calcare. Il

calcare comporta maggiori dilatazioni del rivestimento

all’aumentare della temperatura. In linea generale, è

possibile ipotizzare che le miscele realizzate con legate

polimerico subiscano una maggiore dilatazione rispetto

ad analoghe miscele con bitume.

I coefficienti di dilatazione termica delle miscele

polimeriche sono diversi da quelli calcolati per il bitume e

per il calcestruzzo.

Uno studio sperimentale per la valutazione della

compatibilità termica tra un rivestimento carrabile in

materiale polimerico e l’impalcato da ponte in

calcestruzzo è stato condotto dall’American Concrete

Institute: la diversa natura del rivestimento polimerico,

caratterizzato da coefficienti di dilatazione termica

superiori a quello dei conglomerati cementizi, porta alla

formazione di tensioni interne, le quali si traducono, con il

tempo, in distacchi del rivestimento dal supporto e in

altre problematiche ad essi correlate. Come nel caso in

questione, è opportuno utilizzare pavimentazioni di

piccolo spessore e a basso modulo di rigidezza elastica,

in quanto nascono stati tensionali più lievi (Hoi, Fowler e

Wheat, 1996).

Un ulteriore studio (Islam e Tarefder, 2013) dimostra che

esistono differenti valori tra coefficienti di dilatazione

termica lineare e coefficienti di contrazione termica

lineare di un materiale. Inoltre, lo stesso studio si

propone di verificare che i risultati ottenuti dalle prove di

laboratorio siano simili a quelli che si otterrebbero nella

realtà di esercizio della pavimentazione. Il motivo della

grande variabilità dei risultati delle prove condotte in

laboratorio risiede nell’influenza che hanno, nelle varie

sperimentazioni, la tipologia di strumenti adottati, il

testing mode, il mix design (tipologia di aggregato e

distribuzione granulometrica, tipologia e quantità di

bitume), la geometria e il confezionamento dei provini.

I risultati dimostrano, comunque, che i coefficienti di

dilatazione/contrazione termica ottenuti per via

sperimentale sul campo e quelli ottenuti per via

sperimentale in laboratorio possono differire tra loro a

causa delle differenti condizioni al contorno che

caratterizzano le differenti prove. Il coefficiente di

dilatazione termica di un sistema epossidico puro (circa

) è in genere circa il doppio di quello di

un calcestruzzo. Questa caratteristica insieme al minor

modulo di rigidezza dei sistemi epossidici, può creare

problemi nel caso di rivestimenti di strutture in

calcestruzzo con sistemi epossidici.

Conclusioni

La scelta di integrare in un unico materiale per manto

stradale la funzione di impermeabilizzazione e quella di

carrabilità, si caratterizza certamente per la semplicità ed

efficacia del sistema costruttivo. L’impermeabilizzazione

si realizza contemporaneamente alla pavimentazione del

manufatto, eliminando così la problematica del degrado

di sovrastrutture e sottostrutture per ristagno delle acque

meteoriche. Attraverso questa tecnologia, infatti, tutte le

acque risultano, di fatto, acque superficiali ed esse, con

opportune pendenze e con l’ausilio di caditoie e cunette,

potranno defluire velocemente dalla sede stradale,

garantendo massima sicurezza alla circolazione dei

mezzi e protezione durevole all’intera struttura. Le

conclusioni cui si è giunti dopo sperimentazione in

laboratorio confermano l’interesse della tecnologia delle

impermeabilizzazioni carrabili di materiale polimerico,

anche se ovviamente ulteriori studi e applicazioni sono

richiesti. E, in ogni caso, la proposta di nuove soluzioni

non convenzionali per impalcati di ponte deve prevedere

un confronto comparativo con le pavimentazioni

tradizionali.

Sino ad oggi sono state indagate le caratteristiche

strutturali e funzionali delle pavimentazioni polimeriche,

al variare del tipo e della curva granulometrica

dell’aggregato, del tipo di legante e del rapporto tra le

Page 102: Ct 4 3 mele

99

quantità di legante e inerte, prendendo in esame due

diverse tecniche di applicazione: multistrato e malta

premiscelata. Come precisato, i rivestimenti polimerici

hanno il pregio di realizzare una superficie direttamente

carrabile e, nel contempo, un’impermeabilizzazione della

soletta sottostante. Ciò, a svantaggio dei conglomerati

bituminosi, ai quali va sempre associata una membrana

per rivestire l’estradosso ed evitare le infiltrazioni di

acqua e di agenti chimici (sali) che possano danneggiare

il calcestruzzo e le barre d’armatura o l’acciaio. Le malte

sintetiche adoperate e i due metodi di posa si sono

rivelati essere molto adatti allo scopo: i campioni,

sottoposti a prove di fatica e di ormaiamento, hanno

dimostrato di essere flessibili, tenaci e poco deformabili

sotto carichi ciclici. Le malte premiscelate hanno

dimostrato di avere una buona capacità di resistere alle

deformazioni permanenti. Seppur il metodo di posa

multistrato abbia permesso di ottenere ottimi valori degli

indici che caratterizzano le superfici stradali

(macrotessitura HS e microtessitura PTV), esso si è

rivelato meno adatto della malta polimerica a sopperire a

problemi di affaticamento e di ormaiamento del

materiale.

Tra gli aggregati, la sabbia di quarzo fa acquisire alla

malta sintetica una struttura più coesa e più adatta a

sopportare i carichi ciclici. Infatti, la miscela con sabbia di

quarzo presenta il comportamento migliore, perché tende

ad essere più rigida per la presenza di una maggior

quantità di frazione fine. Il materiale di riciclo ha invece

dimostrato di essere il peggiore tra tutti, essendo, per le

sue caratteristiche intrinseche, più fragile e con un

coefficiente di appiattimento più elevato degli altri. A

metà tra queste due soluzioni si pone invece la scoria di

acciaieria, che permette alla malta di acquisire una

struttura monolitica; il minor quantitativo di fine conduce

ad una maggior propensione per le deformazioni

permanenti.

Le prove di adesione hanno suggerito che i rivestimenti

innovativi testati siano migliori di quelli tradizionali: i

materiali sottoposti a fatica hanno dimostrato di essere

tenaci e di formare un buon legame all’interfaccia con il

supporto in calcestruzzo. Anche con supporto umido o

pre-fessurato, il comportamento delle malte sintetiche ha

dato le migliori risposte, rispetto alle soluzioni tradizionali.

Gli studi effettuati hanno permesso di comprendere

anche il legame tra conglomerato bituminoso e

membrana sottostante: quella bituminosa è migliore

rispetto a quella polimerica, nonostante quest’ultima

abbia una migliore adesione al supporto in calcestruzzo

(anche se umido o pre-fessurato). Tra le due soluzioni

tradizionali, la membrana polimerica introduce una

migliore impermeabilizzazione dell’estradosso

dell’impalcato del ponte rispetto alla membrana

bituminosa, ma non ha la capacità di instaurare un buon

legame di adesione con il conglomerato bituminoso.

Le prestazioni ottenute con sabbia di quarzo (SQ) e

scoria d’acciaieria (SA) sono migliori rispetto a quelle

ottenute con il materiale da costruzione e demolizione

(CD). Infatti, quest’ultimo aggregato sviluppa una minor

adesione alla resina epossidica, avendo un coefficiente

di appiattimento più elevato rispetto alle altre tipologie di

aggregato.

Si è visto, inoltre, che l’impiego con leganti polimerici di

uno scheletro litico di Tipo 2, simile a quello usato per un

conglomerato bituminoso, ottiene caratteristiche peggiori

delle soluzioni premiscelate. Per queste ultime, viene

usato uno scheletro litico di Tipo 1, il cui fuso

granulometrico comprende solo materiale fino. L’unione

di polimeri e aggregato fine nella malta porta a

caratteristiche superficiali meno elevate, ma anche ad un

minore accumulo di deformazioni permanenti.

I risultati delle prove di adesione suggeriscono la

necessità di ulteriori studi. Successivi sviluppi della

sperimentazione potrebbero essere quelli di ottimizzare il

protocollo di realizzazione delle prove, affinandone la

procedura e verificandone ulteriormente l’affidabilità dei

risultati attraverso l’analisi di un quantitativo maggiore di

dati.

I materiali che, al giorno d’oggi, sembrano presentare un

miglior comportamento complessivo sono quelli a base di

leganti polimerici. Queste tipologie di

impermeabilizzazioni consentono di colmare alcune

lacune tipiche dei materiali tradizionali, come la scarsa

adesione ai supporti caratterizzati da un alto grado di

umidità (condizione facilmente riscontrabile in cantiere),

la discontinuità dell’azione protettiva e la scarsa

resistenza a carichi elevati (problematica riscontrabile in

zone maggiormente interessate dal traffico stradale

pesante). Inoltre, i prodotti polimerici possono essere

stesi in opera tramite un’operazione di spruzzatura o

stesa, senza dover ricorrere alla preformatura industriale,

garantendo un minor tempo di posa rispetto agli analoghi

prodotti a matrice bituminosa, poiché non necessitano di

calore nella posa e induriscono a temperatura ambiente

Page 103: Ct 4 3 mele

100

per mezzo di semplici agenti catalizzatori. Tuttavia, i

materiali polimerici descritti presentano, ad indurimento

avvenuto, una elevata rigidità, ben superiore a quella dei

materiali cui devono aderire, ciò che può facilitare

l’insorgere di uno stato tensionale aggiuntivo che può

indurre a fessurazione la soletta dell’impalcato e il

conglomerato bituminoso della pavimentazione. La

ricerca scientifica e tecnologica è riuscita a colmare le

lacune dei primi materiali polimerici adottati nel campo

delle impermeabilizzazioni, andando a modificare il

polimero base con altri polimeri o additivi per conferire, di

volta in volta, le proprietà chimiche e fisiche più adatte

per ogni applicazione.

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Page 105: Ct 4 3 mele

102

6 FATICA NEI PONTI STRADALI

6.1 INTRODUZIONE

Come ampiamente riportato in bibliografia, [1], [2], [3],

[4], [5], [6] e [7], i modelli di carico da traffico statici e a

fatica dell’EN1991-2 [8], adottati anche in Italia con il

DM14/01/2008, sono stati ottenuti e calibrati utilizzando i

traffici più aggressivi misurati in Europa negli anni 1980-

1994, ed in particolare il traffico registrato in Francia,

sull’autostrada A6 Parigi – Lione, in prossimità di

Auxerre.

La nuova direttiva 96/53/EC [9], che ha armonizzato

dimensioni e masse dei veicoli pesanti di cui è permessa

la libera circolazione in Europa, prevedendo limiti di

18.75 m sulla lunghezza massima e di 44 t sulla massa

limite, ha consentito anche eccezioni nazionali, su basi

paritetiche e non discriminanti. Tra queste eccezioni,

particolarmente importante è quella relativa ai cosiddetti

trasporti modulari, che impiegano veicoli di massa totale

lorda fino a 60 t, lunghi fino a 25.25 m, denominati veicoli

lunghi e pesanti (LHV). Per aumentare l’efficienza del

trasporto su strada, sia in termini di riduzione dei costi,

sia di riduzione delle emissioni di inquinanti, questa

possibilità di trasporto è ampiamente sfruttata in molti

paesi dell’Europa centro-settentrionale, quali la

Germania, la Finlandia, l’Olanda e la Svezia, nei quali il

traffico su lunga distanza tende ad essere caratterizzato

da percentuali via via crescenti di LHV.

Ovviamente, le registrazioni di traffico impiegate per

definire i modelli dell’EN1991-2 e quindi delle NTC2008

non contenevano veicoli LHV ed erano tutti basati sugli

usuali veicoli pesanti da trasporto (HGV), la cui massa

totale limite, come già ricordato, è 44 t. È necessario,

peraltro, considerare, che zone fortemente urbanizzate

e/o industrializzate possono essere soggette a traffici

anche più severi di quello di Auxerre: ma tali situazioni

sono talmente peculiari da richiedere studi specifici, che

non possono essere generalizzate; tipico in tal senso è

l’esempio del Boulevard Périférique di Parigi.

A dispetto della loro efficacia, sia in termini di economia

del trasporto su strada sia in termini di riduzione delle

emissioni inquinanti, i veicoli LHV potrebbero

determinare incrementi inaccettabili delle prestazioni

richieste alle infrastrutture esistenti, in particolari ai ponti.

È opportuno pertanto studiare l’impatto di traffici

caratterizzati da elevate percentuali di LHV sui ponti

esistenti e, soprattutto, stabilire se i modelli di carico da

traffico dell’Eurocodice EN1991-2 sono in grado di

coprire gli effetti di tali traffici.

Ci si propone di confrontare il danneggiamento prodotto

nei ponti stradali dal traffico registrato a Auxerre (F) il 29

e 30 maggo 1986, usato per la calibrazione dei modelli di

carico dell’EN1991-2, con quello prodotto dai modelli di

carico a fatica delle NTC2008 e con quello prodotto dal

modello di carico a fatica, abbastanza grossolano,

previsto in Italia dal previgente DM1990 [10]. Il confronto

è completato considerando anche il danneggiamento

prodotto dai veicoli lunghi e pesanti in riferimento al

traffico registrato a Moerdijk (NL) nel 2007, caratterizzato

da un’alta percentuale di LHV.

Lo studio considera gli spettri di tensione normale in

mezzeria di travate semplicemente appoggiate di luce

compresa tra 1 m e 100 m, in riferimento alle curve S-N

bilatere e trilatere tipiche dei dettagli delle strutture in

acciaio, caratterizzate da limite da fatica e da limite per i

calcoli di fatica (cut-off limit), rispettivamente, date

nell’EN1993-1-9 [11], e alle curve bilatere per dettagli

d’armatura in c.a. e c.a.p. date negli Eurocodici EN1992-

1-1 [12] e EN1992-2 [13]. A partire da detti spettri di

tensione sono determinati anche i corrispondenti

coefficienti di danneggiamento equivalente λ, che sono

confrontati con quelli, analoghi, proposti negli EN1992-2

e EN1993-2 [14], al fine di proporne eventuali

affinamenti.

6.2 REGISTRAZIONI DI TRAFFICO CON LHV

Registrazioni di traffico contenenti un’alta percentuale di

LHV sono state effettuate sistematicamente in Olanda,

utilizzando moderni sistemi di pesatura in marcia dei

veicoli (WIM), soprattutto al fine di indagare le cause di

alcune premature crisi per fatica di moderni ponti in

acciaio [15]. Nel seguito si fa riferimento in particolare

alle registrazioni effettuate presso Moerdijk (NL) nella

prima settimana di aprile del 2007.

Le caratteristiche salienti del traffico di Moerdijk dedotte

dalle registrazioni sono ampiamente discusse in [16], per

cui ci si limita, in questa sede, a ricordare quelle più

significative:

- i veicoli possono essere suddivisi in 53 sottoclassi,

con un numero di assi variabile tra due e nove;

- il massimo numero di assi registrato per un singolo

veicolo è stato tredici, il massimo carico totale,

Page 106: Ct 4 3 mele

103

relativo a un veicolo a dieci assi lungo 19.50 m, è

stato circa 1140 kN;

- il massimo carico asse registrato è stato 292 kN, per

il terzo asse di un autoarticolato a 6 assi, di peso

totale 636 kN, con trattore a tre assi, con secondo e

terzo asse in tandem, e semirimorchio a tre assi in

tridem;

- il massimo carico equivalente uniformemente

distribuito, infine, pari a 63 kN/m, è stato rilevato

ancora per un autoarticolato a sei assi di peso totale

813 kN, con trattore a tre assi, con secondo e terzo

asse in tandem, e semirimorchio a tre assi, con il

primo e il secondo asse in tandem;

- il confronto tra il traffico di Auxerre e il traffico di

Moerdijk, riportato in termini di distribuzione dei

carichi-asse e dei carichi totali nelle figure 1 e 2,

rispettivamente, dimostra che, a dispetto del fatto

che sia caratterizzato da massimi giornalieri più

elevati, il traffico di Moerdijk è meno severo di quello

di Auxerre se si considerano tempi di ritorno più

elevati, per cui i modelli di carico da traffico dell’EC1-

2 per le verifiche statiche sembrano coprire

soddisfacentemente anche traffici con LHV.

6.3 LA VERIFICA A FATICA DEI PONTI

La verifica a fatica dei ponti a partire da spettri di carico

convenzionali segue una procedura ben definita, che

influenza la modellazione e la definizione stessa degli

spettri di carico convenzionali, essendo necessario

distinguere gli spettri equivalenti, da impiegare per il

calcolo del danneggiamento, da quelli frequenti, da

utilizzare per il calcolo del Δσmax da confrontare con il

limite di fatica ad ampiezza costante, ove quest’ultimo

esista.

Per la verifica a danneggiamento, il procedimento si

articola sinteticamente come segue:

i. assegnazione dello spettri carico di fatica;

ii. individuazione dei dettagli strutturali sensibili alla

fatica, loro classificazione in termini di resistenza a

fatica, precisando le curve S-N appropriate, e

determinazione delle appropriate superfici di

influenza;

iii. scelta dei coefficienti parziali per le verifiche a fatica

γMf, in funzione della facilità di ispezione ed

eventuale riparazione del dettaglio e delle

conseguenze della crisi per fatica;

iv. calcolo dell’oscillogramma di tensione, σ=σ(t),

indotto nel dettaglio considerato dal traffico reale

oppure da un appropriato spettro di carico

equivalente, in grado di riprodurre il

danneggiamento prodotto dal traffico reale;

v. analisi della storia di tensione mediante un

appropriato metodo di conteggio di cicli - nella

fattispecie il metodo del serbatoio (reservoir

method) o il metodo del flusso di pioggia (rainflow

method) - sì da ottenere lo spettro di tensione di

progetto, ossia il numero di ripetizioni di ciascun

delta di tensione Δσ nell'intervallo di tempo

considerato;

vi. calcolo del danneggiamento cumulativo D con la

legge di Palmgren-Miner,

∑= ii

i

Nn

D (1)

dove: ni è il numero di cicli di ampiezza γMfΔσi,

Ni il numero di cicli di ampiezza γMfΔσi letti

sulla curva S-N caratteristica

e la sommatoria è estesa a tutti i cicli dello spettro.

Se D≤1 la verifica è soddisfatta, altrimenti è

necessario aumentare la resistenza a fatica del

dettaglio, riducendo i Δσ, aumentando, cioè, le

dimensioni, oppure aumentando la sua classe di

resistenza a fatica.

Nel caso in cui, invece, la curva S-N del dettaglio sia

caratterizzata da un limite di fatica ad ampiezza costante,

e solo in quel caso, è possibile eseguire una verifica a

vita illimitata, controllando che il massimo delta di

tensione di progetto significativo ai fini della verifica a

fatica sia non maggiore del limite di fatica ad ampiezza

costante ΔσD.

Noto l’oscillogramma di tensione indotto da uno spettro di

traffico frequente, il massimo delta di tensione

significativo ai fini della verifica a fatica Δσmax può essere

calcolato semplicemente come differenza tra il massimo

assoluto, σmax, e il minimo assoluto, σmin, della storia di

tensione, cosicché la verifica si riduce a controllare che:

( ) DMfMf σΔ≤σ−σγ=σΔγ minmaxmax (2) Ovviamente, in questo caso l’equivalenza tra modello di

carico e traffico reale va intesa in termini di Δσmax. Si

segnala che la determinazione di Δσmax a partire dal

traffico reale non è banale, perché dipende dalla

Page 107: Ct 4 3 mele

104

definizione di Δσmax. Nell’EN1991-2 sono state adottate

due definizioni alternative, che conducono a valori

paragonabili. Una prima definizione fa coincidere Δσmax

con il valore Δσ corrispondente al frattile superiore 1%

del danneggiamento cumulativo, nell’ipotesi di curve S-N

rettilinee di pendenza costante m=5, cosicché:

01.0|max

max =σΔ ∑σΔ≥σΔ i i

i

Nn (3)

mentre la seconda identifica Δσmax con il valore che ha

un periodo di ritorno di circa 12 ore, che, considerando

250 giorni lavorativi all’anno, corrisponde a circa 50000

ripetizioni in 100 anni. La denominazione spettro

frequente è conseguenza naturale di quest’ultima

definizione.

È importante sottolineare che la verifica a vita illimitata e

la verifica a danneggiamento sono verifiche distinte, che

non conducono necessariamente allo stesso risultato, e

che il risultato corretto non è necessariamente quello più

conservativo. Così può accadere che, in ponti

caratterizzati da elevati flussi di traffico, dettagli associati

a superfici di influenza di lunghezza base ridotta, quali

quelli delle piastre ortotrope, possano soddisfare la

verifica a vita illimitata, e quindi la verifica a fatica, pur

non soddisfacendo la verifica a danneggiamento, che si

conduce in riferimento ad una diversa curva S-N, quella

convenzionale trilatera. All’aumentare della lunghezza

base della linea di influenza, al contrario, la verifica a vita

illimitata perde importanza pratica, perché diviene

eccessivamente conservativa, e la verifica a fatica, ove

rilevante, è governata dalla verifica a danneggiamento.

6.4 SPETTRI DI CARICO PER PONTI STRADALI

6.4.1 Spettri di carico per ponti stradali dell’EN1991-2 e delle NTC2008

I modelli di carico per le verifiche a fatica dei ponti

stradali in acciaio dell’EN1991-2 e delle NTC2008 sono

cinque e tengono conto del fatto che le curve S-N

possono essere caratterizzate da limite di fatica.

I modelli 1 e 2 sono espressamente concepiti per le

verifiche a vita illimitata, per cui sono significativi soltanto

per ponti in acciaio: il modello 1, derivato dal modello di

carico principale, è estremamente rozzo e conservativo e

non è qui trattato, mentre il modello n. 2, riportato in

Figura 92, è uno spettro di carico costituito da cinque

veicoli-tipo, caratterizzati da valori frequenti dei carichi-

asse. I modelli 3, veicolo equivalente, e 4, spettro di

veicoli equivalenti, sono concepiti per le verifiche a

danneggiamento: il modello 4, più raffinato, è costituito

da un insieme di cinque veicoli standard equivalenti, in

proporzione variabile in funzione del tipo di traffico che

interessa il ponte (Fig.93), mentre il modello di carico 3 è

un modello semplificato costituito da un veicolo

equivalente di fatica, simmetrico, con quattro assi da 120

kN, ipotizzato, viaggiante secondo l’asse longitudinale

del ponte e avente la geometria illustrata in Figura 94. Il

numero di veicoli da considerare dipende dalla vita a

fatica, generalmente 100 anni, e dal flusso annuo di

veicoli pesanti sulla corsia lenta, che, in assenza di studi

specifici, può essere scelto, come suggerito dall’EN1991-

2, in accordo con la Tabella 22.

Il modello di carico a fatica n. 5, infine, è costituito dal

traffico registrato ed è il più raffinato in assoluto: esso è

di applicazione generale, anche se richiede alcune

precauzioni.

Figura 90 - Confronto degli spettri degli assi singoli di

Auxerre (1986) e Moerdijk (2007)

Page 108: Ct 4 3 mele

105

Figura 91 - Confronto degli spettri del peso totale di

Auxerre (1986) e Moerdijk (2007)

Figura 92 - Modello di fatica n. 2 delle NTC2008

Figura 93 - Modello di fatica n. 4 delle NTC2008

Figura 94 - Modello di fatica n. 3 delle NTC2008

Tabella 22 - Flussi annui di veicoli per corsia

 

asse  longitudinale                  del  ponte  

160  

40  

200  

40  

 600  

160    200  

40    80  120  120  

40  

40  

40  

40   40    80  

Categorie di traffico Nobs

1 Strade e autostrade a due o più corsie per senso di marcia caratterizzate da flussi elevati di veicoli pesanti

2·106

2 Strade e autostrade soggette a flussi medi di veicoli pesanti

0.5·106

3 Strade principali caratterizzate da bassi flussi di veicoli pesanti

0.125·106

4 Strade locali caratterizzate da flussi medi di veicoli pesanti

0.05·106

Page 109: Ct 4 3 mele

106

6.4.2 Il modello di carico del DM1990

Il modello di carico a fatica del DM1990 era un modello

estremamente semplificato, da adottare in mancanza di

specifiche analisi, e derivato dal modello statico, ed è

stato in vigore fino all’adozione definitiva dei modelli

dell’EN1991-2 nelle NTC 2008.

Detto ϕ il coefficiente dinamico, dato da

10max min 1.4 , 1.4 , 1150L⎛ − ⎞⎛ ⎞ϕ = −⎜ ⎟⎜ ⎟

⎝ ⎠⎝ ⎠ (4)

ove L è la lunghezza base della linea d’influenza, lo

spettro di carico da considerare nei ponti di Ia categoria

era costituito da 2·106 ripetizioni del 50% del carico·q1a

dinamizzato, rappresentato quindi da tre assi da 10 t

oltre l’effetto dinamico, e del 50% del carico q1b non

dinamizzato, rappresentato da un carico uniformemente

distribuito di 1.5 t/m (vedi Figura 95) per le verifiche a

fatica degli elementi principali, oppure da 2·106

ripetizioni del carico q1c dinamizzato, composto da

un’unica ruota da 10 t oltre l’effetto dinamico, oppure, in

alternativa se più severo, dell’intero carico

uniformemente distribuito da 3.0 t, q1b non dinamizzato,

per le verifiche degli elementi secondari. Poiché il

numero di cicli da considerare era indipendente dalla

tipologia di strada servita e dalla vita nominale dell’opera,

il danneggiamento risultava indipendente dall’effettivo

volume di traffico.

6.5 IPOTESI DI CALCOLO

6.5.1 Schema statico e linee d’influenza

Nello studio si è fatto riferimento al momento in mezzeria

e alla relativa linea d’influenza di travi semplicemente

appoggiate, di luce variabile tra 1 m e 100 m (1, 2, 3, 4,

5, 6, 8, 10, 12, 16, 20, 25, 30, 35, 40, 45, 50, 60, 70, 80,

90, 100 m), considerando il caso di veicoli transitanti su

un’unica corsia e trascurando l’interazione tra veicoli

transitanti simultaneamente su più corsie, peraltro

rilevante soltanto per luci maggiori di 30 - 40 m [2].

Figura 95 - Modello di fatica del DM1990

6.5.2 Determinazione dello spettro di tensione e calcolo della vita a fatica

Nei casi considerati, facendo transitare i diversi spettri di

carico e le diverse registrazioni di traffico sulla linea

d’influenza e, ipotizzando proporzionalità tra tensioni e

sollecitazioni, si sono determinati gli oscillogrammi di

tensione nei diversi dettagli, dai quali sono stati ricavati

gli spettri di tensione, impiegando come metodo di

conteggio il metodo del flusso di pioggia (rainflow

method).

6.5.3 Curve S-N di riferimento per ponti in acciaio

Come detto, per le verifiche a fatica, si sono considerate

le curve S-N bi e trilatere fornite nell’EN1993-1-9 e dalla

Circolare 617 [17] per i dettagli delle strutture in acciaio.

Le curve S-N bilatere sono caratterizzate da un tratto di

pendenza m=3 per N < 5⋅106 cicli e da un tratto

orizzontale, corrispondente al limite di fatica per N ≥

5⋅106 cicli, mentre le curve trilatere, tipicamente

impiegate nelle verifiche a danneggiamento, sono

caratterizzate da un tratto di pendenza m=3 per N<5⋅106

cicli, da un tratto di pendenza m=5 per 5⋅106≤N<108 cicli

e da un tratto orizzontale, corrispondente al limite per i

calcoli di fatica (cut-off limit) per N ≥ 108 cicli. In ciascun

caso considerato si è determinata la classe minima del

particolare da adottare per soddisfare la verifica a fatica.

6.5.4 Curve S-N di riferimento per ponti in c.a. e c.a.p.

Per le verifiche a fatica dei ponti e delle solette in c.a. e

c.a.p. si sono considerate le sette diverse curve S-N date

dall’EC2-1-1 per i vari dettagli d’armatura, rappresentate

in Figura 94. Dette curve S-N sono caratterizzate

 

600   150   150   600  

1500  

1.5  t/m  1.5  t/m  

10  t   10  t   10  t  

200  

30x30  

Page 110: Ct 4 3 mele

107

dall’assenza di limite di fatica e sono costituite da due

tratti rettilinei di pendenza k1, per Δσ≥ΔσRsk, e k2 per

Δσ≤ΔσRsk, ove ΔσRsk, che identifica la classe del

dettaglio è la resistenza caratteristica a fatica a N* cicli,

essendo N* uguale a 106 o a 107 cicli, secondo i casi.

Le curve S-N di Figura 96 sono associate ai diversi

dettagli d’armatura in Tabella 23, ove sono riportati

anche i corrispondenti valori di k1, k2, ΔσRsk e N*.

Figura 96 - Curve S-N per dettagli d’armatura dell’Eurocodice EN1992-1-1

Armature ordinarie Curva S-N

(fig. 4) N* k1 k2 ΔσRsk(N*)

[MPa]

barre rettilinee 2 106 5 9 162.5

barre saldate e reti 4 107 3 5 58.5

dispositivi di giunzione 7 107 3 5 35

Armature da precompressione

Armature pretese 1 106 5 9 185

Armature post-tese

-­‐ trefoli singoli in guaine di plastica 1 106 5 9 185

-­‐ trefoli rettilinei (tutti)

-­‐ trefoli curvi in guaine di plastica 3 106 5 10 150

-­‐ trefoli curvi in guaine di acciaio 5 106 5 7 120

-­‐ dispositivi di giunzione 6 106 3 5 80

Tabella 23 – Curve SN per dettagli d’armatura

Page 111: Ct 4 3 mele

108

6.5.5 Vita di progetto e calcolo del danneggiamento

Ai fini del confronto, si è considerata una vita di progetto

di riferimento di 100 anni e un flusso annuo di 2⋅106

veicoli pesanti, per un flusso totale di 2⋅108 veicoli,

mentre il danneggiamento D è stato calcolato utilizzando

la legge di danneggiamento di Palmgren e Miner:

i

i i

nDN

=∑ (5)

dove ni è il numero di cicli dello spettro di tensione con

escursione di tensione Δσi, Ni è il corrispondente numero

di cicli a rottura, e la sommatoria è estesa a tutti i delta di

tensione dello spettro. Per tener conto della presenza del

limite di fatica, per ciascun dettaglio si sono considerate,

ove rilevanti, entrambe le curve S-N, bilatera e trilatera,

in relazione ai pertinenti modelli di carico, sì da saggiare

l’effettiva rilevanza del danneggiamento D ai fini della

verifica.

6.5.6 Spettri di carico

Nel calcolo si sono considerati, per ciascun caso

studiato, sette diversi spettri di carico, considerando un

flusso effettivo, ove necessario, di 104 assi:

- traffico pesante della corsia lenta di Auxerre, come

registrato, assunto a riferimento;

- traffico pesante della corsia lenta di Moerdijk, come

registrato;

- traffico costituito dal modello di carico 4 dell’EC1-2

(Fig. 93), con possibilità di interazione tra veicoli

transitanti simultaneamente sulla stessa corsia,

generato in maniera casuale con il metodo

Montecarlo: nella generazione si è considerata la

composizione di traffico relativa a trasporti su lunga

percorrenza, mentre le distanze interveicolari sono

state generate considerando un flusso annuo di

2·106 veicoli/corsia;

- traffico costituito dal modello di carico 2 dell’EC1-2

(Fig. 92), con possibilità di interazione tra veicoli

transitanti simultaneamente sulla stessa corsia,

generato in maniera casuale con il metodo

Montecarlo, come sopra;

- traffico costituito da 104 assi del modello di carico 4

- dell’EC1-2, generato come sopra, ma caratterizzato

- da distanze interveicolari maggiori della lunghezza

della linea d’influenza considerata, sì da escludere

interazioni tra veicoli;

- spettro costituito dal solo modello di carico 3

dell’EC1-2 (Fig. 94), veicolo di fatica equivalente,

considerato isolato;

- spettro di carico del DM04/05/1990.

Ovviamente, il modello di carico 2 ha significato soltanto

per ponti in acciaio, i cui dettagli sono caratterizzati da

limite di fatica.

A causa delle specificità della linea di influenza

considerata, il danneggiamento prodotto dal modello 4 in

assenza di interazioni risulta prossimo a quello indotto

dallo stesso modello considerando le interazioni [18],

come del resto illustrato al successivo §6, pertanto per i

ponti d’acciaio si fa riferimento soltanto a questo secondo

caso.

Naturalmente, il massimo delta di tensione Δσs,Ec indotto

nel dettaglio considerato dal modello di carico 3 ha

costituito anche il valore di riferimento per l’applicazione

del metodo dei coefficienti λ e, quindi, per la loro

determinazione.

6.6 ANALISI E DISCUSSIONI DEI RISULTATI PER PONTI IN ACCIAIO

I risultati dello studio [19] sono sintetizzati in Figura 97,

nella quale gli effetti dei diversi spettri di carico sono

confrontati con quelli indotti dal traffico di Auxerre sotto

forma di curve:

( )min min

min( ) min( )

c c

c Auxerre c Auxerre

LΔσ Δσ=

Δσ Δσ (6)

Nella (6) Δσcmin è la minima classe del particolare che

garantisce il soddisfacimento della verifica a

danneggiamento sotto lo spettro di carico considerato e

Δσcmin(Auxerre) è la corrispondente classe per il traffico di

Auxerre.

Come già detto, si sono considerate, ove rilevanti,

entrambe le possibilità, verifica a vita illimitata con curva

bilatera e verifica a danneggiamento con curva trilatera,

assumendo come classe minima Δσcmin quella minore

risultante dalle due verifiche.

Page 112: Ct 4 3 mele

109

Figura 97 - Curve Δσcmin/Δσcmin(Auxerre)-L per travate semplicemente appoggiate (flusso totale 2⋅108 veicoli)

L’esame delle curve di Figura 97 dimostra chiaramente

che:

- i modelli di carico 2 e 4 dell’EC1-2 sono ben calibrati

e sono in grado di cogliere con soddisfacente

precisione il danneggiamento prodotto dal traffico di

Auxerre in tutto l’intervallo di luci considerato,

essendo in genere lievemente conservativi;

- il modello di carico 3, anche se in genere

sufficientemente accurato, non è in grado di

riprodurre il danneggiamento effettivo nel caso delle

piccole luci, minori di 7÷8 m, che è anche quello

maggiormente rilevante, si pensi, per es. agli

impalcati a piastra ortotropa, nella pratica progettuale;

- a dispetto dell’elevata percentuale di veicoli LHV

presenti, il traffico di Moerdijk appare meno severo di

quello di Auxerre ed i suoi effetti sono coperti dai

modelli dell’EC1-2;

- come atteso, il modello convenzionale del DM1990

appare eccessivamente semplificato e inadeguato:

esso, infatti, sottostima sistematicamente il

danneggiamento effettivo, con errori particolarmente

marcati nel campo delle luci medie.

6.7 ANALISI E DISCUSSIONI DEI RISULTATI PER PONTI IN C.A. E C.A.P.

I risultati dello studio sono sintetizzati, per le diverse

tipologie di curve S-N di figura 94, nelle figure 98, 99,

100, 101 e 102 sotto forma di curve Δσcmin/Δσcmin(Auxerre),

in accordo con l’equazione (6).

Più precisamente, la Figura 98 fa riferimento ad

armature pretese, a trefoli singoli in guaine di plastica e

ad armature ordinarie in barre rettilinee (curve 1 e 2 di

figura 96), la figura 99 a trefoli rettilinei in guaine di

plastica o d’acciaio (curva 3 di fig. 96), la figura 100 a

trefoli curvi in guaine d’acciaio (curva 5 di fig. 96), la

figura 101 a dispositivi di giunzione per armature post-

tese (curva 6 di fig. 96) e la figura 102, infine, ad

armatura ordinaria in barre saldate o a dispositivi di

giunzioni per armatura ordinaria (curve 4 e 7 di fig. 96).

0.5

0.6

0.7

0.8

0.9

1.0

1.1

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100L [m]

Δσ

cmin

/Δσ

cmin

(Aux

erre

)

Moerdijk

EC1-2 (LM 2 e 4)

EC1-2 (LM 2 e 3)DM90

Page 113: Ct 4 3 mele

110

Figura 98 - Curve Δσcmin/Δσcmin(Auxerre)–L (curve S-N n. 1 e n. 2 - fig. 96)

Figura 99 – Curve Δσcmin/Δσcmin(Auxerre)–L (curva S-N n. 3 - fig. 96)

 

0.7

0.8

0.9

1

1.1

1.2

1.3

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100

Δσcm

in  /Δσ c

min(A

uxerre)

L  [m]

MoerdijkEC1-­‐2  LM4  EC1-­‐2  LM4  isolatiEC1-­‐2  LM3DM90

 

0.7

0.8

0.9

1

1.1

1.2

1.3

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100

Δσcm

in  /Δσ c

min(Au

xerre)

L  [m]

MoerdijkEC1-­‐2  LM4  EC1-­‐2  LM4  isolatiEC1-­‐2  LM3DM90

Page 114: Ct 4 3 mele

111

Figura 100 – Curve Δσcmin/Δσcmin(Auxerre) – L (curva S-N n. 5 - fig. 96)

Figura 101 – Curve Δσcmin/Δσcmin(Auxerre)–L (curva S-N n. 6 - fig. 96)

   

0.6

0.7

0.8

0.9

1

1.1

1.2

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100

Δσcm

in  /Δσ c

min(Au

xerre)

L  [m]

MoerdijkEC1-­‐2  LM4  EC1-­‐2  LM4  isolatiEC1-­‐2  LM3DM90

 

0.5

0.6

0.7

0.8

0.9

1

1.1

1.2

1.3

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100

Δσcm

in  /Δσcm

in(Auxerre)

L  [m]

MoerdijkEC1-­‐2  LM4  EC1-­‐2  LM4  isolatiEC1-­‐2  LM3DM90

Page 115: Ct 4 3 mele

112

Figura 102 – Curve Δσcmin/Δσcmin(Auxerre)–L (curve S-N n. 4 e n. 7 - fig. 96)

I risultati ottenuti dimostrano che:

• il modello di carico n. 4 dell’EC1-2, costituito da

cinque veicoli equivalenti, benché

originariamente calibrato per i dettagli delle

strutture metalliche, riproduce in maniera molto

soddisfacente il danneggiamento prodotto dal

traffico di Auxerre: per dettagli caratterizzati da

curve S-N tipo 1, 2 e 3 di figura 96 - armature

ordinarie rettilinee, armature pretese e armature

post-tese costituite da trefoli rettilinei o da trefoli

curvi in guaine di plastica;

• il modello sottostima il delta di tensione

equivalente Δσcmin(Auxerre) per luci fino a 15

m circa, ma l’errore massimo è contenuto entro

il 5%, mentre per luci superiori risulta

leggermente cautelativo, essendo l’errore del 3-

4% circa; per gli altri dettagli risulta, invece,

sempre cautelativo: l’errore, che è minimo per

luci minori di 15 m, aumenta lievemente per luci

superiori, stabilizzandosi intorno ad un valore

prossimo al 7% se si considerano curve S-N del

tipo 5 di figura 96 – trefoli curvi in guaine

d’acciaio – e al 10% per gli altri dettagli;

• i risultati forniti dal predetto modello n. 4 non

cambiano in maniera significativa passando dal

caso con veicoli interagenti al caso con veicoli

isolati, essendo la differenza apprezzabile soltanto

per luci molto grandi;

• questo risultato non è inaspettato stante la

particolarità della linea d’influenza presa in esame:

considerando linee d’influenza di travi continue, le

differenze dovrebbero essere molto più marcate;

• il modello di carico n. 3 dell’EC1-2, veicolo di fatica

equivalente, considerato isolato, generalmente

sottostima il delta equivalente Δσcmin(Auxerre) per

luci minori di 5-6 m, con errori massimi dell’ordine

del 10-12%, eccezion fatta per le barre saldate e le

reti e per i dispositivi di giunzione (curve 4, 6 e 7 di

fig. 96): per tali dettagli, infatti risulta sempre

cautelativo;

• per luci maggiori di 5-6 m, il modello n. 3

sovrastima il delta equivalente Δσcmin(Auxerre), essendo logicamente più cautelativo del modello n.

4: l’errore massimo occorre per luci di circa 10 m ed

è circa il 12% per dettagli caratterizzati da curve S-

N tipo 1, 2 e 3, di circa il 20% per trefoli curvi in

 

0.4

0.5

0.6

0.7

0.8

0.9

1

1.1

1.2

1.3

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100

Δσcm

in  /Δσcm

in(Auxerre)

L  [m]

MoerdijkEC1-­‐2  LM4  EC1-­‐2  LM4  isolatiEC1-­‐2  LM3DM90

Page 116: Ct 4 3 mele

113

guaine d’acciaio e di circa il 30% negli altri casi; per

luci maggiori di 30 m l’errore è pressoché costante

ed è circa il 10% considerando curve tipo 1 e 2, il

7% considerando curve tipo 3, il 14% considerando

curve tipo 5 e circa il 20% negli altri casi;

• il traffico di Moerdijk è generalmente meno severo,

anche significativamente, del traffico di Auxerre;

• per luci molto piccole, fino a 4-5 m, il delta

equivalente Δσcmin indotto dal traffico di Moerdijk

è fino al 30-40% minore di quello di Auxerre; per

luci superiori, fino a 14-16 m, la differenza

diminuisce fin quasi ad annullarsi, se si considerano

curve tipo 1, 2 e 3, oppure fino a un minimo di circa

5% per curve tipo 5 e del 10-13% negli altri casi;

per luci maggiori di 25-30 m, infine, la differenza

risulta pressoché costante e pari al 4-5% per le

curve 1, 2 e 3, al 10% per la curva 5 e al 15% nei

casi rimanenti;

• il modello di carico a fatica della previgente

normativa italiana (DM 1990) non è in grado di

cogliere l’effettivo danneggiamento;

• se si considerano curve S-N tipo 1, 2 e 3, il delta

equivalente Δσcmin prodotto dal modello del DM

1990 è minore del Δσcmin(Auxerre) nell’intervallo di

luci compreso tra 10 m e 70 m circa, con differenze

massime dell’ordine del 20% per L≅30 m, al di fuori

di questo intervallo il modello sovrastima il delta di

tensione equivalente; le differenze massime sono di

circa il 20% per luci minori di 10 m e di circa il 30%

per luci prossime a 100 m;

• per curve S-N tipo 5 il comportamento è analogo: il

delta equivalente Δσcmin è minore del

Δσcmin(Auxerre) nell’intervallo di luci compreso tra

10 m e 80 m circa, con differenze massime

dell’ordine del 30% in prossimità di 30 m, al di fuori

di questo intervallo il modello sovrastima il delta di

tensione equivalente, ma le differenze non sono

particolarmente rilevanti;

• considerando curve S-N tipo 4 e 7, il delta

equivalente Δσcmin prodotto dal modello del DM

1990 è costantemente inferiore al Δσcmin(Auxerre): la differenza è di circa il 35% per luci fino a 10 m,

aumenta con la luce fino ad un massimo di circa

55% intorno ai 30 m per poi ridursi via via fino a un

minimo del 26% per L=100 m;

• considerando curve S-N tipo 6, il delta equivalente

del modello DM 1990 è ancora costantemente

minore del Δσcmin(Auxerre): la differenza è di circa

il 30% per L=3 m, si riduce a circa il 20% per luci

prossime a 10 m, aumenta poi con la luce fino a un

massimo di circa 45% intorno ai 30 m per poi ridursi

via via fino ad un minimo del 15% per L>90 m;

• il modello DM 1990, peraltro, non può essere

adattato al variare del flusso annuo o della vita di

progetto.

6.8 DETERMINAZIONE DEI COEFFICIENTI λ

Utilizzando i risultati ottenuti, sono stati anche calcolati i

coefficienti di danneggiamento equivalente λ1 associati

ai traffici di Auxerre e Moerdijk e ai traffici derivati dal

modello di carico a fatica n. 4 dell’EC1-2 con veicoli

interagenti, sì da poterli confrontare con quelli

dell’EN1993-2.

La verifica con il metodo λ consiste nel controllare

che risulti:

, , , ,,

Δ Δ cF fat s equ F fat s s EC

s fat

σγ Δσ = γ λ σ ≤

γ (7)

per ponti in acciaio e

fats

RsksECssfatFequsfatF

,

,,,,,

ΔΔ

γ

σσλγσγ ≤=Δ (8)

per ponti in c.a. e c.a.p., dove γF,fat e γs,fat sono i

coefficienti parziali di sicurezza, Δσs,equ è il delta di

tensione equivalente, Δσs,EC è il delta di tensione

massimo indotto nel dettaglio considerato dal modello di

fatica n. 3, λs è il coefficiente di danneggiamento

equivalente e Δσc e ΔσRsk rappresentano la classe del

dettaglio per ponti in acciaio e in c.a., rispettivamente.

Il coefficiente λs può essere calcolato come:

1 2 3 4 s fatλ = ϕ λ λ λ λ (9) essendo λ1 il coefficiente che tiene conto dello schema

statico e della luce del ponte e della forma della curva S-

N, λ2 il coefficiente che tiene conto del volume annuo di

traffico, λ3 il coefficiente che tiene conto della vita di

progetto, λ4 il coefficiente che tiene conto dell’eventuale

interazione dovuta al transito simultaneo di veicoli su più

corsie, che vien qui riportato a fini informativi, e ϕfat il

coefficiente dinamico equivalente.

Page 117: Ct 4 3 mele

114

Determinazione dei coefficienti λ per ponti in acciaio

Per i ponti in acciaio il valore di λs è limitato

superiormente; deve, infatti, risultare:

maxsλ ≤ λ (10)

essendo λmax il valore massimo che può assumere λs, in

considerazione della presenza del limite di fatica.

Determinazione dei coefficienti λ1

I risultati ottenuti nell’ambito del presente studio sono

rappresentati in Figura 103, nella quale sono riportate le

curve λ1 e λmax fornite nell’EN1993-2 e le analoghe curve

relative al traffico di Auxerre e a quello di Moerdijk. È

interessante notare che nell’EC19933-2 il coefficiente λ1

è sistematicamente minorato da λmax, se si eccettua il

campo L>80 m.

Nel presente studio, come già detto, per il traffico di

Auxerre e quello di Moerdijk si è ipotizzato un traffico di

riferimento complessivo, con il quale sono stati

determinati i λ1, di 2⋅108 veicoli, mentre il valore massimo

assoluto per il traffico complessivo, in riferimento al quale

è stato calcolato λmax, è stato assunto uguale a 4⋅108

veicoli.

L’esame delle curve di figura 101, se da un lato

conferma che il danneggiamento traffico di Auxerre copre

anche gli effetti del traffico di Moerdijk, dall’altro

evidenzia che i coefficienti λ1 e λmax forniti nell’EN1993-2

appaiono eccessivamente conservativi, soprattutto per le

piccole luci, laddove gli effetti di interazione per traffico

simultaneo su più corsie sono meno significativi. Occorre

ancora osservare che l’EN1993-2 non fornisce

indicazioni per elementi di luce minore di 10 m,

determinando ulteriori difficoltà applicative.

Figura 103 - Curve λ1-L (2⋅108 veicoli) e λmax-L (4⋅108 veicoli) per travate semplicemente appoggiate

Coefficienti di danneggiamento equivalente λ2 e λ3

Come è noto, le variazioni di flusso totale sono

considerate mediante i coefficienti λ2 e λ3 o, meglio,

mediante il loro prodotto, che nelle tabelle dell’EN1993-2

è coerente con l’espressione:

*52 3 = t

rif

NN

λ = λ ⋅λ (11)

dove l’esponente della radice è uguale alla pendenza del

secondo ramo della curva S-N, Nt è il flusso totale

attuale e Nrif è il traffico totale di riferimento, pari a 2·108

veicoli.

Allo scopo di controllare la coerenza dei valori di λ*

assegnati nell’EC3-2, sono stati determinati i valori dei

coefficienti λ*, relativi a flussi totali di 2⋅107, 1⋅108 e 4⋅108

veicoli pesanti, associati ai traffici di Auxerre e di

Moerdijk. I risultati sono sintetizzati nei diagrammi delle

figure 15 e 16, rispettivamente.

L’analisi dei diagrammi delle figure 104 e 105, ove sono

rappresentate per facilitare l’interpretazione, anche le

1.2

1.4

1.6

1.8

2.0

2.2

2.4

2.6

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100L [m]

λ 1, λ

max

lambda 1 (EC3-2)lambda max (EC3-2)AuxerreMoerdijkMoerdijk (max)Auxerre (max)

Page 118: Ct 4 3 mele

115

curve λ*-L dell’EC3-2, dedotte dalla (11), evidenzia che

l’impiego dell’espressione (8) porta, in generale, a

sovrastimare l’effettivo danneggiamento nel caso di flussi

totali superiori al flusso di riferimento e a sottostimarlo in

caso contrario, sia considerando il traffico di Auxerre, sia

considerando il traffico di Moerdijk, con errori massimi

nella zona delle piccole luci. Fa parziale eccezione il

caso del traffico di Moerdijk con flusso totale di 2⋅107

veicoli, nel campo di luci maggiori di 7 m.

Figura 104 - Confronto delle curve λ*-L relative al traffico di Auxerre con le curve λ*-L dell’EC3-2

Figura 105 - Confronto delle curve λ*-L relative al traffico di Moerdijk con le curve λ*-L dell’EC3-2

Determinazione dei coefficienti λ per ponti in c.a.

Per i ponti in c.a. ci si è limitati a valutare il solo

coefficiente λ1, dato che per i coefficienti λ* si ottengono

risultati analoghi a quelli già visti per i ponti in acciaio.

Conformemente a quanto previsto nello stesso EN1992-

2 per travate semplicemente appoggiate, il delta di

tensione di riferimento, Δσs,EC, è stato calcolato

incrementando del 40% i carichi asse del modello di

fatica n. 3.

Determinazione dei coefficienti λ1

I coefficienti λ1 relativi ai diversi dettagli d’armatura, per i

quattro traffici considerati, sono rappresentati in funzione

della luce L, nelle figure 106-110, nelle quali sono

confrontati con le corrispondenti curve fornite dall’EC2-2,

ove rilevanti. In particolare, la figura 106 fa riferimento ad

armature pretese, a trefoli singoli in guaine di plastica e

ad armature ordinarie in barre rettilinee (curve 1 e 2 di

fig. 96), la figura 107 a trefoli rettilinei in guaine di

plastica o d’acciaio (curva 3 di fig. 96), la figura 108 a

0.6

0.7

0.8

0.9

1.0

1.1

1.2

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100L [m]

λ2λ

3

Auxerre (400 Mveicoli)EC3-2 (400 Mveicoli)Auxerre (200 Mveicoli)Auxerre (100 Mveicoli)EC3-2 (100 Mveicoli)Auxerre (20 Mveicoli)EC3-2 (20 Mveicoli)

0.6

0.7

0.8

0.9

1.0

1.1

1.2

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100L [m]

λ2λ

3

Moerdijk (400 Mveicoli)EC3-2 (400 Mveicoli)Moerdijk (200 Mveicoli)Moerdijk (100 Mveicoli)EC3-2 (100 Mveicoli)Moerdijk (20 Mveicoli)EC3-2 (20 Mveicoli)

Page 119: Ct 4 3 mele

116

trefoli curvi in guaine d’acciaio (curva 5 di fig. 96), la

figura 109 a dispositivi di giunzione per armature post-

tese (curva 6 di fig. 96) e la figura 110, infine, ad

armatura ordinaria in barre saldate o a dispositivi di

giunzioni per armatura ordinaria (curve 4 e 7 di fig. 96).

L’esame delle curve dimostra che i coefficienti λ1

forniti dall’EC2-2 per le armature, ancorché limitati

all’intervallo di luci compreso tra 10 m e 50 m, non

sembrano sufficientemente ben calibrati: essi, infatti,

conducono in tutti i casi, eccetto che per dettagli

caratterizzati da curve tipo 4 e 7, a una sottostima

sistematica del danneggiamento effettivamente indotto

dal traffico di Auxerre, soprattutto per luci piccole, anche

se gli errori massimi sono contenuti entro il 10-12%;

viceversa, l’errore appare eccessivo quando si fa

riferimento ai dispositivi di giunzione per armature

ordinarie (curva tipo 7) - e alle armature ordinarie

saldate, alle reti (curva tipo 4): questa contraddizione si

spiega con il fatto che nell’EC2-2 queste due curve, che

hanno rami di pendenza k1=3 e k2=5 con ginocchio

corrispondente a N*=107 cicli, sono trattate alla stessa

stregua della curva 6, che ha sì rami della stessa

pendenza, ma ginocchio a N*=106 cicli.

Il coefficiente λ4

Il coefficiente λ4, che, come detto, tiene conto delle

interazioni di simultaneità, può essere espresso come:

mi i

mcombcomb

mii

NN

NN

NNNl ∑ ∑

⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎡⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⋅+

⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎡⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⋅+=

1111

*

1

*1

14 ),(ηη

ηη

λ (12)

in cui N1 è il flusso di veicoli sulla corsia principale, Ni

il flusso di veicoli sull’i-esima corsia, N i∗ il flusso di

veicoli isolati sulla i-esima corsia, ηi l’effetto indotto nel

dettaglio dal carico transitante sull’i-esima corsia,

Nc bom il flusso di veicoli interagenti e ηc bom l’effetto

complessivo dei veicoli interagenti, essendo la seconda

sommatoria estesa a tutte le combinazioni significative di

veicoli su più corsie.

Il coefficiente dinamico equivalente ϕfat

Il coefficiente dinamico equivalente per le verifiche a

fatica ϕ fat , infine, è definito come rapporto tra il

danneggiamento indotto dalla storia di tensioni dinamica

ed il danneggiamento indotto dalla storia di tensioni

statica,

( )( )

mm

statistati

mdymidymi

fatn

n

∑∑

Δ⋅

Δ⋅=

,,

,,

σ

σϕ (13)

In definitiva detta Δσ c la classe del particolare, la

verifica è soddisfatta se risulta:

cpfateq σσϕλσ Δ≤Δ⋅⋅=Δ (14)

Page 120: Ct 4 3 mele

117

Figura 106 - Curve λ1–L (curve S-N n. 1 e n. 2 - fig. 96)

Figura 107 – Curve λ1–L (curva S-N n. 3 - fig. 96)

 

0.9

1

1.1

1.2

1.3

1.4

1.5

1.6

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100

λ 1

L  [m]

MoerdijkEC1-­‐2  LM4  EC1-­‐2  LM4  isolatiAuxerreEC2-­‐2  (curve  1  e  2)

 

0.9

1

1.1

1.2

1.3

1.4

1.5

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100

λ 1  

L  [m]

MoerdijkEC1-­‐2  LM4  EC1-­‐2  LM4  isolatiAuxerreEC2-­‐2  (curva  3)

Page 121: Ct 4 3 mele

118

Figura 108 – Curve λ1–L (curva S-N n. 5 - fig. 96)

Figura 109 – Curve λ1–L (curva S-N n. 6 - fig. 96)

 

1

1.1

1.2

1.3

1.4

1.5

1.6

1.7

1.8

1.9

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100

λ 1  

L  [m]

MoerdijkEC1-­‐2  LM4  EC1-­‐2  LM4  isolatiAuxerreEC2-­‐2  (curva  5)

 

1.3

1.4

1.5

1.6

1.7

1.8

1.9

2

2.1

2.2

2.3

2.4

2.5

2.6

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100

λ1  

L  [m]

MoerdijkEC1-­‐2  LM4  EC1-­‐2  LM4  isolatiAuxerreEC2-­‐2  (curva  6)

Page 122: Ct 4 3 mele

119

Figura 110 – Curve λ1–L (curve S-N n. 4 e n. 7 - fig. 96)

6.9 I COEFFICIENTI PARZIALI γM

I coefficienti parziali γf, relativo alle azioni, e γ

m, relativo

alla resistenza a fatica, che amplificano le ampiezze di

tensione, coprono le incertezze nella valutazione dei

carichi e delle tensioni e la possibile presenza di difetti

nel dettaglio. Essi sono generalmente conglobati in un

unico fattore mfM γγγ ⋅= . Il valore numerico di γM

dipende sia dalla possibilità di individuare e riparare

eventuali lesioni, e quindi dalla maggiore o minore

accessibilità dei dettagli, sia dalle conseguenze della

rottura per fatica del dettaglio.

Una struttura si dice poco sensibile alla rottura per

fatica se la crisi del dettaglio non comporta il collasso

totale o parziale e se la struttura stessa è facilmente

ispezionabile e riparabile. Nella Tabella 24 sono riportati i

valori dei fattori di sicurezza parziali suggeriti

dall'EN1993-1-9.

Tabella 24 – Fattori di sicurezza parziali γM=γf⋅γm

(EN1993-1-9)

Sensibilità della struttura

Conseguenze della rottura per fatica

moderate significative

Struttura poco sensibile 1.00 1.15

Struttura sensibile 1.15 1.35

È importante sottolineare che l’adozione dei valori dei

coefficienti γM riportati in tabella 24 è subordinata

all’adozione di un piano di ispezioni e manutenzione

periodiche, pertanto, in assenza di ispezioni debbono

essere opportunamente maggiorati. A parere dello

scrivente, poiché la frequenza e il numero delle ispezioni

periodiche non modificano la sensibilità della struttura

alla rottura per fatica, in nessun caso un loro incremento

giustifica una riduzione del coefficiente parziale.

 

0.8

0.9

1

1.1

1.2

1.3

1.4

1.5

1.6

1.7

1.8

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100

λ 1

L  [m]

MoerdijkEC1-­‐2  LM4  EC1-­‐2  LM4  isolatiAuxerreEC2-­‐2  (curva  7)

Page 123: Ct 4 3 mele

120

6.10 INFLUENZA DELLA POSIZIONE TRASVERSALE DEI CARICHI

Allo scopo di illustrare le modalità di applicazione dei

modelli di carico e di verifica a fatica, si fa riferimento ad

un esempio applicativo, costituito da un ponte a trave

continua a tre campate di luci 60.0+80.0+60.0 m (Fig.

111), avente la sezione trasversale illustrata in Figura

112 e portante una sezione stradale di larghezza

complessiva 11.0 m, con due corsie da 3.50 m e due

banchine da 2.00 m, già adottato come riferimento in un

workshop sugli Eurocodici [21], [22].

Figura 111 – Esempio di ponte in sistema misto

Figura 112 – Sezione trasversale Le travi metalliche, composte per saldatura, hanno

sezione a doppio T simmetrica di altezza costante 2800

mm. Le ali, di larghezza costante 1000, hanno spessore

40 mm tra l’appoggio di estremità e la sezione x=35 m,

55 mm nell’intervallo [35, 40 m], 80 mm nell’intervallo

[40, 50 m], 120 mm nell’intervallo [50, 68 m], 80 mm

nell’intervallo [68, 76 m], 55 mm nell’intervallo [76, 86 m]

e 40 mm nel tratto centrale. Le ali hanno spessore 18

mm tra l’appoggio di estremità e la sezione x=40 m, 26

mm nell’intervallo [40, 76 m] e 18 mm nella zona

centrale.

Le sezioni critiche per quanto riguarda la verifica a fatica

sono le sezioni di estremità, le sezioni x=51 m e x=72 m

e la sezione di mezzeria per il taglio e quindi per la

verifica dei connettori, e le sezioni x=35 m, x=72 m, la

sezione di mezzeria e quella sull’appoggio centrale per il

momento flettente e quindi per la verifica dell’acciaio

strutturale e dell’acciaio da c.a.

I dettagli in acciaio strutturale possono essere classificati

in accordo con le tabelle 8.1÷8.4 dell’EN1993-1-9.

Nel caso specifico, quelli maggiormente sensibili sono

rappresentati dalle saldature trasversali a piena

penetrazione tra le ali, superiore e inferiore, dei profili,

che possono essere assimilate al dettaglio tipo 11,

classe 80, della citata tabella 8.3 (Fig. 113 a),

considerando che la zona di raccordo sia distante dalla

saldatura; dalle ali superiori delle sezioni correnti, che, a

causa della saldatura dei pioli corrispondono al dettaglio

9, classe 80, della tabella 8.4 (Fig. 113 b); dalle ali

inferiori correnti dei profili, che a causa della saldatura di

composizione, sono assimilabili al dettaglio 7, classe

100, della tabella 8.2 (Fig. 113 c).

In riferimento al dettaglio tipo 11 si osserva che la classe

si riduce se lo spessore t è maggiore di 25 mm, e che:

( ) CefC t σΔ=σΔ 2.0, 25 (12)

per cui nella sezione x=35 m, dove t=40 mm, la classe

efficace è ΔσC,ef=72.8 MPa.

Le curve S-N così identificate sono riportate nel

diagramma S-N di Figura 114.

 

 

2800

7000

1500

2500 7000

12000

2500

Page 124: Ct 4 3 mele

121

(a) ΔσC=80 MPa

(b) ΔσC=80 MPa

(c) ΔσC=100 MPa

Figura 113 – Classificazione dei dettagli del ponte

40

104

50

807060

100

510 610 710N 108

160140120

180

240

320 Δσ, Δτ [MPa]

200

109

30

20

80

m=5

100

72.8

m=3

90

162.5

58.5

k  =31

k  =51

k  =92

k  =52

A

B

Cm=8

Figura 114 – Curve S-N dei dettagli

Le barre da c.a. non presentano limite di fatica ad

ampiezza costante e sono caratterizzate da curve S-N

bilineari, con rami di pendenza k1 e k2: le curve

differiscono a seconda che si tratti di barre diritte (curva

A di Figura 114) o di barre saldate e reti (curva B di

Figura 114). Infine, l’attacco del piolo è classificato in

termini di tensione tangenziale nominale come dettaglio

di classe ΔτC=90 MPa, associato ad una curva S-N a

pendenza costante m=8 (curva C di Figura 114).

Ai fini della verifica si è considerata una vita utile del

ponte di 100 anni e un traffico annuo di 5⋅105 veicoli

commerciali per corsia, per un totale di 5⋅107 veicoli,

mentre il coefficiente γMf è stato assunto pari a 1.15,

stimando la struttura poco sensibile al danneggiamento e

considerevoli le conseguenze della crisi, in accordo con

la Tabella 24.

Nell’esempio, oltre ai già citati traffici di Auxerre (F) e di

Moerdijk (NL), è stato considerato anche il traffico

registrato in Spagna nell’anno 2000 sull’autostrada A43

Estremadura – Comunità Valenziana in prossimità

dell’innesto con la N310 ad Argamosilla de Alba (E).

Per evidenziarne i parametri statistici maggiormente

significativi, nelle Figure 115 e 116 sono confrontati,

rispettivamente, gli spettri dei carichi asse Q e dei carichi

totali W dei predetti traffici registrati, dai quali emerge

che il traffico di Auxerre è comunque quello più

aggressivo, soprattutto in termini di carichi asse: la

presenza di veicoli molto pesanti nel traffico di Moerdijk

appare, infatti, molto mitigata dalla loro maggiore

lunghezza.

Ci si limita nel prosieguo ad illustrare le verifiche relative

alla sezione x=35 m, non fessurata, che è quella in cui il

danneggiamento per fatica è massimo.

Poiché nei casi considerati la lunghezza base della linea

d’influenza è rilevante, la verifica significativa è

evidentemente quella a danneggiamento, che è stata

t ≤0.2 b b

Page 125: Ct 4 3 mele

122

condotta impiegando, per il flusso totale sopra

determinato, il modello di carico 3, il modello di carico 4

nella sua composizione rappresentativa del traffico su

lunga distanza e le tre registrazioni di traffico.

Per quanto concerne la disposizione trasversale del

carico si è ipotizzata una linea d’influenza trasversale

rettilinea, considerando due possibili numerazioni delle

corsie convenzionali, come illustrato in Figura 117: nel

caso 1 si sono adottati criteri cautelativi, ispirati alle

usuali modalità di verifica statica, mentre nel caso 2, più

realistico, si è tenuto conto della numerazione fisica delle

corsie. Nel calcolo sono state escluse interazioni dovute

a simultaneità.

Figura 115 – Spettri dei carichi asse dei traffici di riferimento

Figura 116 – Spettri dei carichi totali dei traffici di riferimento

Page 126: Ct 4 3 mele

123

Figura 117 – Numerazioni alternative delle corsie convenzionali per le verifiche a fatica

Impiegando il modello di carico 3 e considerando che

ogni suo passaggio provoca due cicli di momento

flettente di ampiezza γMf η⋅6818 kNm e γMf η⋅412 kNm,

essendo η l’ordinata della linea d’influenza trasversale, il

danneggiamento a fatica risulta trascurabile ovunque

eccetto che nella saldatura trasversale d’intradosso

(Wi=0.193 m3), ove D=3.717 se si considerano le corsie

disposte come nel caso 1 e D=0.788, se la disposizione

è quella del caso 2.

Come detto, il calcolo del danneggiamento è stato

ripetuto considerando, come specificato sopra, oltre che

lo spettro di carico equivalente (LM4) anche tre diversi

modelli di carico n. 5, costituiti dai traffici registrati. Le

verifiche della saldatura trasversale d’intradosso

forniscono, in funzione della numerazione delle corsie, i

valori di danneggiamento riportati nella tabella 25.

Tabella 25 - Danneggiamento a fatica della saldatura all’intradosso, ΔσC,ef=72.8 MPa, x=35 m Modello di carico a fatica

LM3 LM4 Auxerre (F) Moerdijk (NL) Argamosilla de Alba (E)

D (caso 1) 3.717 1.602 0.275 0.099 0.064

D (caso 2) 0.788 0.257 0.027 0.011 0.003

 

3,50

2,00

3,50

1,50

3,00 3,00

2,50

Caso 1

1.07

14

0.64

29

1,50 2,00

3,00 3,00

0.78

57

1 0.28

57

1

Caso 2

3,50

2,50

3,50

Page 127: Ct 4 3 mele

124

Gli spettri di momento flettente indotti nella sezione x=35

m dai modelli 3 e 4 dell’Eurocodice EN1991-2 e dai

traffici registrati sono riportato in figura 118, ove si è

considerato per semplicità γMf=1.0 e η=1.0, e si è

considerato il traffico su una sola corsia.

Diagrammi analoghi a quelli di Figura 118 si sono

ottenuti anche negli altri casi considerati; a titolo

esemplificativo in Figura 119 sono illustrati gli spettri del

taglio nella sezione d’estremità.

Figura 118 – Confronto degli spettri ΔM – sezione x=35 m

Conclusioni

Ai fini delle verifiche a fatica dei ponti stradali, i modelli di

carico a fatica dell’Eurocodice EN1991-2,

sostanzialmente coincidenti con quelli delle NTC2008,

sono stati confrontati sia con il traffico registrato ad

Auxerre, su cui sono basati i modelli stessi, sia con il

modello di carico a fatica della previgente normativa

italiana (DM1990), sia con il traffico registrato

recentemente a Moerdijk, caratterizzato dalla presenza di

una significativa percentuale di veicoli lunghi e pesanti

(LHV), non solo al fine di valutarne l’impatto in termini

progettuali, ma anche allo scopo di valutare la capacità

dei modelli stessi di coprire anche le nuove tendenze

evolutive del traffico.

 

1.E+04

1.E+05

1.E+06

1.E+07

1.E+08

0 6500 13000

N

ΔM [kNm]

Auxerre (F)Moerdijk (NL)Argamasilla (E)EC1-2 LM4EC1-2 LM3

Page 128: Ct 4 3 mele

125

Figura 119 - Confronto degli spettri ΔV – sezione x=0

Il confronto è stato eseguito considerando ponti a

travata, di luce variabile tra 1 m e 100 m, nello schema di

semplice appoggio, in riferimento a ponti in acciaio e a

ponti in c.a. e c.a.p..

Per i dettagli dei ponti metallici sono state considerate le

tipiche curve S-N bi- e trilatere, sì da poter effettuare le

verifiche sia in termini di danneggiamento, sia, ove

rilevante, in termini di vita illimitata.

Per i dettagli d’armatura dei ponti in c.a., che sono

caratterizzati da assenza di limite di fatica, sono state

considerate, invece, le curve S-N bilatere date

dall’EN1992-1-1 e dall’EN1992-2.

Lo studio è stato completato determinando anche i

coefficienti di danneggiamento equivalente λ1, λ2 eλ3,

relativi ai diversi spettri di carico considerati.

L’analisi dei risultati ottenuti evidenzia che:

- i modelli di carico a fatica dell’EC1-2 sono ben

calibrati e coprono ampiamente anche il traffico di

Moerdijk;

- i coefficienti λ1 dell’EC3-2 sono eccessivamente

conservativi e possono essere affinati anche sulla

base dei risultati qui presentati;

- i coefficienti λ1 dell’EC2-2 sono forniti

limitatamente all’intervallo 10÷50 m e

sottostimano, generalmente, l’effettivo

danneggiamento;

- i coefficienti λ2 e λ3 dell’EC3-2 sono anch’essi

suscettibili di affinamenti: essi, infatti, portano, in

genere, a sottostimare il danneggiamento per

flussi totali minori di quello di riferimento e a

sovrastimarlo per flussi superiori;

- come atteso, il modello del DM 1990,

eccessivamente semplificato e scarsamente

flessibile, conduce a stime del danneggiamento

assolutamente inattendibili.

Nel caso studio è stato considerato anche il traffico

registrato in Spagna, ad Argamosilla de Alba. Il traffico

spagnolo, benché complessivamente meno severo degli

altri due, tende comunque ad uniformarsi a quello

continentale.

Nel caso studio si è evidenziato come le verifiche a fatica

siano fortemente influenzate dalle assunzioni riguardo

alla numerazione delle corsie, che deve quindi essere

considerata con estrema attenzione. Infatti,

l’individuazione di scenari di traffico sul ponte più

realistici, meno severi di quelli da considerare per le

verifiche statiche, può portare a significative riduzioni del

danneggiamento calcolato, con le ovvie conseguenze.

 

1.E+04

1.E+05

1.E+06

1.E+07

1.E+08

1.E+09

0 500 1000

N

ΔV [kN]

Auxerre (F)Moerdijk (NL)Argamasilla (E)EC1-2 LM4EC1-2 LM3

Page 129: Ct 4 3 mele

126

Nel caso in esame, per la verifica dei dettagli in acciaio, i

modelli di carico a fatica LM3 e LM4 risultano molto

cautelativi: tale tendenza, come del resto atteso, è più

evidente per il modello 3. Questo risultato non è

sorprendente se si considera, da un lato, che i modelli di

carico sono stati calibrati impiegando curve S-N prive di

limite di fatica, dall’altro, che, nello specifico, gran parte

dello spettro di tensione si situa in prossimità del limite

per i calcoli di fatica o cut-off limit ΔσL, per cui piccole

variazioni dei Δσ dello spettro determinano grandi

variazioni di D.

Lo studio è ovviamente suscettibile di approfondimenti,

considerando una casistica più ampia e, in particolare,

schemi statici più complessi.

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