Crocevia Continuita

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HTTP://PELLEGRININELLAVERITA.COM/ Articoli scelti dal blog Croce-via Ermeneutica della Continuità AA. VV. TEMPONAUTICA Dove realismo tomista e Magistero Cattolico disputano con la contemporaneità.

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Nato da un’esigenza sentita da alcuni commentatori del blog di Tornielli di poter approfondire alcune tematiche, che in sede di commento non è possibile ne auspicabile fare, il blog Croce-Via si offre come piattaforma di discussione, di informazione e proposta per argomenti prevalentemente di carattere cattolico.

Transcript of Crocevia Continuita

HTTP://PELLEGRININELLAVERITA.COM/

Articoli scelti dal blog Croce-via

Ermeneutica della Continuità

AA. VV.

TEMPONAUTICA

Dove realismo tomista e Magistero Cattolico disputano con la contemporaneità.

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Sommario L’ermeneutica della continuità dimostrata (I) ..................................................................................................... 3

L’Ermeneutica della continuità dimostrata (II) .................................................................................................... 6

In PaceAlcune domande del Sig. Nessuno al dott. Arnaldo Xavier da Silveira .................................................... 7

Alcune domande del Sig. Nessuno al dott. Arnaldo Xavier da Silveira ................................................................ 8

L’ERMENEUTICA DELLA CONTINUITÀ DIMOSTRATA (III) : Prima sintesi ........................................................... 12

Livi e la “luce del criterio” di continuità ............................................................................................................ 15

E se Mic chiede dialogo… .................................................................................................................................. 17

ECCLESIAM SUAM: Per quali vie la Chiesa cattolica debba oggi adempiere al suo mandato. .......................... 20

Ermeneutica della continuità: un altro punto di vista ....................................................................................... 26

Il Magistero di Francesco: La Tradizione come via per Adorare ....................................................................... 29

Francescani dell’Immacolata, Papa Francesco e l’ermeneutica della continuità .............................................. 30

Grande Mons. Antonio Livi ! .............................................................................................................................. 32

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L’ermeneutica della continuità dimostrata (I)

By Simon de Cyrène on 29 agosto 2013 • ( 35 )

Continuity or Severance?

In un commento al post sui Francescani dell’Immacolata, accennando all’ermeneutica della (riforma

nella) continuità Kerygmatico ricorda che “le posizioni tradizionaliste pare chiedano dove sia questa

continuità, la quale – dicono – è più apoftegma che verità: è insomma tutta da dimostrare.”

Personalmente, sono convinto che ci troviamo in realtà più davanti al caso di uno slogan per

nascondere la miseria dei propri ragionamenti che di fronte ad una sincera richiesta di chiarezza: ciò

nonostante questo ritornello è ripreso dai difensori di un’ermeneutica della rottura per chiudere il

becco rapidamente a chi non condivide il loro punto di vista.

In realtà, S.S. Benedetto XVI stesso, quando illustrò il significato di quest’ermeneutica in un suo

discorso magistrale dato in occasione degli auguri natalizi alla Curia romana del 22 dicembre 2005 (

leggibile qui

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/speeches/2005/december/documents/hf_ben_xvi_sp

e_20051222_roman-curia_it.html ) dette il seguente esempio concreto di applicazione e, quindi, di

dimostrazione.

Applicazione che, a mia conoscenza, non ha mai ricevuto una smentita formale: a questo stadio,

siamo tutti in diritto di dire, che, in realtà, lo slogan su rimembrato sia proprio esso, invece, tutto

da dimostrare…

Questo insegnamento del Santo Padre riguardava proprio l’esempio il più sovente citato come

paradigmatico della rottura, anzi, della contraddizione con l’insegnamento del Magistero del XIX

secolo circa la nozione di libertà religiosa.

Come tutti ben sappiamo la questione si pone in questi termini: da un lato abbiamo il terzo paragrafo

dell Syllabus promulgato dal Beato Pio IX che condanna la seguente affermazione, citata e già

condannata dalla Lettera Apostolica Multiplices inter del 10 giugno 1851: “È libero ciascun uomo di

abbracciare e professare quella religione che, sulla scorta del lume della ragione, avrà reputato

essere vera.”

Da un altro lato v’è affermata nella Dichiarazione Conciliare Dignitatis Humanae, al secondo

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paragrafo, la proposizione seguente “Questo Concilio Vaticano dichiara che la persona umana ha il

diritto alla libertà religiosa.”

Vi è indubbiamente apparente contraddizione e non è per caso che S.S. Benedetto XVI ha preso

questa asserzione come luminoso esempio dell’applicazione del principio ermeneutico di riforma

nella continuità.

La dimostrazione procede in quattro tappe che sono programmatiche per chiunque voglia accingersi

a questo tipo esercizio:

(1) Per cominciare, il Papa ci rimembra un principio di filosofia perenne che tutti dovremmo

ricordare: se un giudizio riguarda materia circostanziale ed accidentale allora questo giudizio è lui

stesso circostanziale ed accidentale.

Quindi va da essere separato in un insegnamento dato dal Magistero passato quel che è

principio da quel che è mutevole. Ecco il testo esatto:

“ Bisognava imparare a riconoscere che, in tali decisioni, solo i principi esprimono l’aspetto

duraturo, rimanendo nel sottofondo e motivando la decisione dal di dentro. Non sono invece

ugualmente permanenti le forme concrete, che dipendono dalla situazione storica e possono quindi

essere sottoposte a mutamenti”

(2) In seguito, il Papa ricorda che ci sono possono essere discontinuità tra Magistero antecedente e

Quello successivo, a condizione ovviamente di verificarsi solo nelle materie circostanziali e non a

livello di principi: se ciò fosse avremmo rottura e non più riforma nella continuità dei principi.

“È chiaro che … si era manifestata di fatto una discontinuità, nella quale tuttavia, fatte le diverse

distinzioni tra le concrete situazioni storiche e le loro esigenze, risultava non abbandonata la

continuità nei principi…”

Ed ancora:

“Così le decisioni di fondo possono restare valide, mentre le forme della loro applicazione a

contesti nuovi possono cambiare. “

(3) Il Santo Padre spiega allora perché la sentenza del Syllabus fa sempre senso e in quale contesto:

“se la libertà di religione viene considerata come espressione dell’incapacità dell’uomo di trovare

la verità e di conseguenza diventa canonizzazione del relativismo, allora essa da necessità sociale e

storica è elevata in modo improprio a livello metafisico ed è così privata del suo vero senso, con la

conseguenza di non poter essere accettata da colui che crede che l’uomo è capace di conoscere la

verità di Dio”

Ecco cosa ha condannato il Syllabus: la canonizzazione del relativismo che impropriamente

eleva a livello metafisico l’incapacità dell’uomo di trovare la verità. Questa affermazione è e sarà

sempre inaccettabile.

Oltre al contesto storico in generale e quello letterario di Quanta Cura e del Syllabus, l’espressione

stessa “Reputare essere vera” esprime di per sé una concezione relativista che, quando è

assolutizzata, cozza con l’oggettiva capacità di conoscenza di Dio professata dalla Chiesa.

(4) In fine il Santo Padre ci ricorda di cosa parla Dignitatis Humanae:

“ Una cosa completamente diversa è invece il considerare la libertà di religione come una necessità

derivante dalla convivenza umana, anzi come una conseguenza intrinseca della verità che non può

essere imposta dall’esterno, ma deve essere fatta propria dall’uomo solo mediante il processo del

convincimento”

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E cioè vi si considera la libertà religiosa non come un assentimento al credo relativista

dell’impossibilità di conoscere la verità su Dio, ma in quanto processo di convincimento

proprio all’uomo, processo dal quale non si scampa, ma che in sé garantisce il raggiungimento

dello scopo, cioè la conoscenza della verità su Dio.

Che questa conoscenza sia realmente possibile e non solo reputata essere vera lo esprime senza

mezzi termini la stessa Dignitatis Humanae nel seguente paragrafo “ E [gli esseri umani, ndr] sono

pure tenuti ad aderire alla verità una volta conosciuta e ad ordinare tutta la loro vita secondo le

sue esigenze.”

Non ci sono quindi contraddizioni sui principi stabiliti dal Syllabus e quelli enunciati da Humanae

Dignitatis, ma solo sviluppo coerente della dottrina con continuità a livello dei principi anche se con

riforma del giudizio in funzione del mutato significato dell’espressione “libertà religiosa” tra il

1851 e il 1965 nella società e nei documenti magistrali stessi.

Spiriti malevoli diranno che queste spiegazioni intervengono a posteriori per giustificare un discorso

che questo non intendeva: per rispondere a ciò ci vorrebbe un altro post. Per adesso sia sufficiente

riportare questa frase alla fine del prologo di Dignitatis Humanae:

“ Inoltre il sacro Concilio, trattando di questa libertà religiosa, si propone di sviluppare la dottrina

dei sommi Pontefici più recenti intorno ai diritti inviolabili della persona umana e all’ordinamento

giuridico della società.”

In Pace

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L’Ermeneutica della continuità dimostrata (II)

By Simon de Cyrène on 4 settembre 2013 • ( 3 )

Rottura o continuità….

Nel primo post su questo soggetto in risposta alla critica sollevata superficialmente in certi

ambienti tradi-protestanti quanto al fatto che l’ermeneutica della riforma nella continuità non era

mai stata dimostrata, abbiamo voluto mostrare quanto falsa fosse quest’affermazione dando

come esempio la dimostrazione stessa che aveva fatto in suo tempo l’attuale Papa Emerito

Benedetto XVI di un’applicazione concreta di questo principio ermeneutico al caso specifico della

questione sulla libertà religiosa.

Per illustrare la fondatezza di questa ermenutica della riforma nella continuità il Santo Padre non si

era, però, limitato a darne un esempio applicativo, ma aveva anche mostrato che essa non era giusto

un’idea peregrina e casuale ma una realtà coscientemente ben fondata nell’intenzione stessa del

Magistero eppoi ne aveva anche inquadrato le ragioni filosofico-teologiche che la rendevano non

solo plausibile ma addirittura necessaria come anche ben fondata teologicamente.

Nel suo discorso del 22 dicembre 2005, S.S. Benedetto XVI procedette nel senso inverso con il quale

con il quale presentiamo la sua dimostrazione dell’ermeneutica della continuità su questo blog:

dapprima dette le ragioni ontologiche, poi ricordò che tale è ben stato l’atteggiamento del Magistero

ed infine illustrò il suo proposito con il caso particolare della libertà religiosa.

Per illustrare quanto il fatto che la l’ermeneutica della continuità sia stata realizzata nei

documenti del Magistero non fosse solo fortuita o una “costruzione a posteriori” ma il risultato

di un’intenzione esplicita, Benedetto XVI ricorda come quest’intenzione di continuità sia stata

espressa prima, durante e dopo la celebrazione del Sacro Santo Concilio Vaticano II.

Prima: Papa Giovanni XXIII nel suo discorso d’apertura del Concilio l’11 ottobre 1962 dice che il

Concilio “vuole trasmettere pura ed integra la dottrina, senza attenuazioni o travisamenti” e

continua: “Il nostro dovere non è soltanto di custodire questo tesoro prezioso, come se ci

preoccupassimo unicamente dell’antichità, ma di dedicarci con alacre volontà e senza timore a

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quell’opera, che la nostra età esige… È necessario che questa dottrina certa ed immutabile, che

deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che corrisponda alle

esigenze del nostro tempo. Una cosa è infatti il deposito della fede, cioè le verità contenute nella

nostra veneranda dottrina, e altra cosa è il modo col quale esse sono enunciate, conservando ad

esse tuttavia lo stesso senso e la stessa portata”

Vi troviamo quindi la stessa distinzione operata da Benedetto XVI circa i principi che non possono

essere intaccati, chiamata qui dottrina certa ed immutabile e gli elementi circostanziali che possono

cambiare senza intaccare il senso e la portata del deposito della fede.

Benché nel suo discorso alla Curia Benedetto XVI citi direttamente Papa Giovanni XXIII in

relazione alla continuità ermeneutica e Paolo VI per il posizionamento del Concilio nel contesto

storico culturale nel quale è stato celebrato, non si possono non ricordare le parole seguenti di Papa

Paolo VI nello stesso discorso di conclusione del 7 dicembre 1965 :

“Ma non possiamo trascurare un’osservazione capitale nell’esame del significato religioso di questo

Concilio: esso è stato vivamente interessato dallo studio del mondo moderno … fino al punto da

suggerire ad alcuni il sospetto che un tollerante e soverchio relativismo al mondo esteriore, alla

storia fuggente, alla moda culturale, ai bisogni contingenti, al pensiero altrui, abbia dominato

persone ed atti del Sinodo ecumenico, a scapito della fedeltà dovuta alla tradizione e a danno

dell’orientamento religioso del Concilio medesimo. Noi non crediamo che questo malanno si debba

ad esso imputare nelle sue vere e profonde intenzioni e nelle sue autentiche manifestazioni.”

Mostrata quale era l’intenzione di chi aveva convocato il Concilio e di chi l’aveva celebrato e rato,

Benedetto XVI ricorda l’errore teologico fondamentale di chi vuole vedere una rottura tra

l’insegnamento del Concilio ed i principi che fondano la Chiesa:

Costoro affermerebbero che “ Proprio perché i testi rispecchierebbero solo in modo imperfetto il

vero spirito del Concilio e la sua novità, sarebbe necessario andare coraggiosamente al di là dei

testi, facendo spazio alla novità nella quale si esprimerebbe l’intenzione più profonda, sebbene

ancora indistinta, del Concilio” : questo errore lo fanno sia i progressisti che i tradizionalisti non

tradizionali, i primi per tirare la coperta a sé e introdurre novità a-cattoliche, i secondi per far portare

le “colpe” di tali novità al Concilio stesso dal quale si vogliono esimere dall’obbedire.

Risponde Benedetto XVI: “ I Padri non avevano un tale mandato e nessuno lo aveva mai dato loro;

nessuno, del resto, poteva darlo, perché la costituzione essenziale della Chiesa viene dal Signore … I

Vescovi, mediante il Sacramento che hanno ricevuto, sono fiduciari del dono del Signore. Sono

“amministratori dei misteri di Dio” (1 Cor 4,1); come tali devono essere trovati “fedeli e saggi”

(cfr Lc 12,41-48) … In queste parabole evangeliche si esprime la dinamica della fedeltà, che

interessa nel servizio del Signore, e in esse si rende anche evidente, come in un Concilio dinamica e

fedeltà debbano diventare una cosa sola.”

Dopo aver ricordato il Magistero di Benedetto XVI l’ermeneutica della riforma nella continuità e la

dimostrazione che ne ha fatto, nei prossimi interventi riporteremo e commenteremo altre

dimostrazioni fatte da emeriti autori che la giustificano teologicamente e filosoficamente come anche

che l’applicano a certi casi particolari: così che mai più sia ripetuto in buona fede che non è stata

dimostrata!

In Pace

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Alcune domande del Sig. Nessuno al dott. Arnaldo Xavier da Silveira

By minstrel on 9 settembre 2013 • ( 5 )

Magistero.exe: fatal error

Ceci n’est pas un Magritte.

Gentile Dott. Arnaldo Xavier da Silveira,

ho letto per tramite del blog Chiesa e post concilio, il suo ultimo articolo dedicato al “sentre cum

Ecclesia” e ai Frati dell’Immacolata. Leggendolo sono nate in me, sig. Nessuno che non può vantare

molti titoli se non quello di essere un animale razionale, molte domande che desidererei esternare

pubblicamente, certo che tali domande chiariscano ai competenti la mia ignoranza in merito alle

tematiche trattate. Ovviamente chiedo risposte, non accontentandomi della bellezza di domandare. E

se le domande sono errate mi piacerebbe sapere dove lo sono. Grazie.

Rileggiamo insieme l’articolo, nella sua traduzione italiana gentilmente concessaci dal sito unavox.it

Quando lei scrive:

i numerosi commenti sull’argomento, pubblicati nei siti antimodernisti, indicano che il fondatore e

Superiore generale, P. Stefano Mannelli, stava orientando l’Istituto in senso tradizionale.

L’intervento, quindi, non mirerebbe tanto ad allontanare i frati dalla celebrazione della Messa di

San Pio V, quanto, e soprattutto, a porre fine alle resistenze di molti di essi nei confronti delle

controverse dottrine del Vaticano II e delle inaudite novità del post-Concilio.

mi sembra che non specifichi cosa intende per “senso tradizionale”. Se Manelli vuole orientare

l’istituto da lui fondato in senso tradizionale e il risultato è che il Magistero non riconosce questo

senso come “sentire cum” significa che:

a) quello che per lei è “senso tradizionale” non lo è per il Magistero e ha ragione il Magistero

b) quello che per lei è “senso tradizionale” non lo è per il Magistero e ha ragione lei

Delle due l’una. Ora, da sig. Nessuno qual io sono, mi chiedo: se è il Magistero a stabilire cosa

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significa da oggi e da sempre “sentire cum Ecclesia” perché è sbagliata la prima proposizione? E se

invece è giusta la seconda proposizione, mi spiega perché lei identificherebbe il Vero Magistero e

non il Magistero stesso? Ovvio che mi può rispondere con un bel: “io ripeto quello che diceva il

Magistero preconciliare dogmato!”. Ma allora mi sorge un’altra domanda: che razza di Magistero è

un Magistero che può errare sempre se non quando dogma in modo infallibile? Cioè deve essere

credibile un Magistero che si può sempre sbagliare, tranne quando lui dice che non sta sbagliando?

Lei mi dice che è perché è Dio che in quei casi lo dice. Ma io le chiedo a questo punto come fa ad

essere sicuro che Dio ha parlato? Perché glielo dice un Magistero passibile di errore che le impone di

credere che in quel momento quel che dice viene da Dio? Ma in tutta questa autoreferenzialità, dove

sta la ragionevolezza, la coerenza interna? Io ce la vedrei se il Magistero, per voce della Chiesa

Gerarchica, si dichiara come unica voce autorevole per stabilire cosa è il Magistero stesso. Perché io,

sig. Nessuno, dovrei avere la legittima pretesa che quanto ho appreso del Magistero sia più

autorevole del Magistero stesso? Lei certamente ha più titoli di me per parlare del Magistero, ma mi

spiega perché dovrebbe possedere titoli per criticare come erroneo il Magistero stesso del Magistero

stesso? E’ forse lei in contatto con il divino più del Magistero stesso? Ovvio che no, sono ignorante,

ma nessuno qui è fesso. Quindi è chiaro che lei critica e procede a ritenere erroneo il Magistero per

motivi ben più profondi. A questo punto le chiedo: quali? Grazie.

Ah, mi corre l’obbligo qui di sottolinearle con mio piacere come il suo parere sia del tutto simile a

quello di Wolfgang Boekenfoerde. Egli però prevede la fallibilità delle encicliche papali (cfr.

Boekenfoerde Wolfgang, Roma ha parlato, la discussione è aperta Struttura comunionale della

Chiesa e parresia del cristiano, Il Regno – Attualità, n.22, 2005, pp.739-744) e il risultato è giusto

l’esatto opposto del suo e come lei non distrugge alcun dogma. Perché lei e la sua critica ad un

Magistero erroneo è più credibile rispetto a Boekenfoerde?

Ancora: io non sto dicendo che non sia possibile quello che lei dice, cioè che il Magistero possa

essere, diciamo così, imprudente. Si figuri che anche Benedetto XVI scrisse che il Magistero,

nell’ambito biblico, ha compiuto decisioni imprudenti. Rilegga quanto disse nel 2003 in un discorso

di sicuro da lei conosciuto: “Rimane vero che il Magistero, con le decisioni citate, ha allargato

troppo l’ambito delle certezze che la fede può garantire; per questo resta vero che è stata con

ciò diminuita la credibilità del Magistero“

Ratzinger, Joseph. Il rapporto fra Magistero della Chiesa ed Esegesi, 2003, Pontificia

Commissione Biblica, 10 maggio 2003

Però noto delle differenze! Qui si da per scontato che in termini di fede e morale, cioè negli ambiti

CERTI DELLA FEDE (gli unici che per Ratzinger Papa il Magistero può GARANTIRE!), il

Magistero non può ERRARE. E si dice: se il Magistero travalica questi ambiti… beh, non si può

pretendere che non sbagli! Accidenti: mi spiega dove sbaglio a ritenere questa affermazione

perfettamente lecita, coerente con il Magistero stesso e credibile? Posizione che trovo sia all’opposto

della sua, o mi sbaglio? E se non lo è, dove la mia ignoranza sta agendo e mi sta ingannando?

Quanto piuttosto alla sua sicurezza che il Commissariamento derivi dalle resistenze di molti di essi

nei confronti delle controverse dottrine del Vaticano II e delle inaudite novità del post-Concilio , mi

chiedo che fonti autorevoli possiede per questa affermazione e a questo punto se le può mettere

pubblicamente a disposizione.

Grazie per il sunto del “sentire cum Ecclesia” di Sant’Ignazio, anche e soprattutto per aver

sottolineato questo punto che sta molto a cuore a me, sig. Nessuno, e al blog che mi ospita:

“9a regola – Lodare tutti i precetti della Santa Chiesa ed essere disposti a cercare le ragioni in loro

difesa e mai per criticarli.”

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Benvenuti nell’ermeneutica della continuità! Ma allora mi chiedo: perché poi lei fa di tutto per

criticare i precetti magisteriali fino tentare di minare l’ermeneutica della continuità nel Vaticano II?

Mi sono risposto perché in fondo questa nona regola non è un dogma infallibile della Chiesa…

Poi inizia il percorso logico che prevede in conclusione la dimostrazione che esista “in relazione sia

ai Papi, sia ai concilii ecumenici, una dottrina attenuata e solida secondo la quale il Magistero

possa cadere in errore e perfino nell’eresia, quando non rispetta le condizioni dell’infallibilità.” Al

che mi sta benissimo, perché è quello che a quanto pare diceva anche Ratzinger nel discorso che le

ho (ri)citato. Però egli lo inquadrava nel fatto che il Magistero, che in materia di fede e morale NON

PUO’ ERRARE, è andato OLTRE IL MAGISTERO STESSO ergo può anche errare (ma questo non

significa che è errore certo!).

Mi ripeto: perché lei è nel giusto e non lo è Ratzinger? Perché ci sono vent’anni di studi

“antimodernisti” che lo “provano”? Posso chiederle se è al corrente che altrettanti decenni di studi

che lei considererebbe “modernisti” dicono l’esatto opposto? Perché loro sono nell’errore (anche se

molti in linea con il Magistero di oggi) e lei e i suoi studi “antimodernisti” no? Lei magari mi chiede:

quali studi?! Di chi?! E io allora le chiedo: “ma come! Se c’è un dibattito significa che ci sono due

posizioni antitetiche a confronto. Che ci siano studi in tal senso è sicuro come e quanto l’esistenza

del dibattito in corso! E l’esistenza di tale dibattito ne è la prova. Io sono il sig. Nessuno, che non

conosce nulla, per questo non mi permetto di citarle studi, ma certo pretendere, da grande professore

che è, che lei li conosca e li tenga in considerazione. E cioè: dando per scontato che esistono studi

contrari, perché non li cita e fa passare l’idea che il dibattito oramai è chiuso e sepolto e gli studi

“antimodernisti” hanno “vinto”? Se è così, perchè si ritrova a scrivere il risaputo con articoli come

questo suo, del quale ringrazio di nuovo?

Un’ultima cosa perché il sig. Nessuno ha purtroppo altro nella vita da fare, anche se in fondo mi

piace l’idea di non disturbarla più con le mie domande ignoranti.

Quando lei scrive:

“Per comprendere come tale possibilità di fallo magisteriale non si opponga alle promesse di

Nostro Signore, è importante osservare che, secondo la vera dottrina del Magistero ordinario (6),

una condizione essenziale per l’infallibilità dei suoi insegnamenti è che essi siano accettati

pacificamente dalla Chiesa universale, entro un tempo sufficiente ad essere ritenuti come

appartenenti alla Fede, e quindi essere doverosamente professati dai fedeli.”

mi sovvengono queste domande:

– le promesse di Nostro Signore? Ma che promesse? Quelle forse scritte in un Vangelo che non

esiste in originale, scelto da un Magistero che può errare anche in materia di fede?

– accettati pacificamente? Scusi, ma secondo lei cosa si intende per pacificamente? Io sono

ignorante, ma da quello che so ad ogni Concilio c’è sempre stato un bel caos nella Chiesa! Sempre e

a tutti i concili. E a volte c’era bisogno di un secondo Concilio ravvicinato per… accertare di uno

scisma certo. Dove è questa “pacificazione” vista come la vede lei dopo Trento? E dove dopo

Costanza? Sa invece dove la vedo in Trento, Costanza e Vaticano II? Nei fedeli semplici che

semplicemente accettano e si affidano e si fidano. Lei vede la Chiesa spaccata completamente in due.

Lo dimostra anche quando scrive “È evidente che le novità eretizzanti del Vaticano II, anche dopo

cinquant’anni di aggiornamento conciliare, non hanno mai contato sul consenso nella Santa Chiesa,

sia da parte del corpo docente sia da parte del discente.”. Ma al che mi chiedo: ma lei come fa ad

essere sicuro che di quello che è il consenso della Santa Chiesa?! Che sondaggi ha in mano? Quanti

sono quelli che la pensano come lei? Siete un miliardo e cinquanta milioni di cattolici più uno per

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dire che un miliardo e quantanoveenovecentonovantanove milioni di cattolici stanno

spadroneggiando eresie che la maggioranza non approva?! E’ sempre la sua fonte autorevole che le

da queste certezze statistiche?

Interessante la sua lettura di Kasper. Mi piacerebbe sapere dallo stesso Cardinale se questa lettura del

suo scritto sia giusta. E soprattutto desidererei capire come il Card. Kasper stesso, dopo aver

constatato che il Magistero di cui fa parte non è che una burla di pessimo gusto, possa ancora essere

Cardinale di Santa Romana Chiesa ed essere in pace con la sua coscienza e con il principio di non

contraddizione. Ma avremo modo di tornare anche su questaltre domande, temo ignoranti quanto

quelle precedenti.

Buon cammino Dott. Arnaldo.

Il suo

Sig. Nessuno

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L’ERMENEUTICA DELLA CONTINUITÀ DIMOSTRATA (III) : Prima sintesi

By Simon de Cyrène on 14 settembre 2013 • ( 12 )

Magistero che combacia

Chi si è dato la pena di leggermi, e lo ringrazio d’avanzi, avrà notato il mio ripetuto richiamo a

cercare sempre soluzioni nel dialogo che non vadano alla ricerca di un minimo comune

denominatore ma, al contrario, di un massimo comune moltiplicatore, affinché le differenze

diventino forze e che i nostri concetti siano sinergistici.

Ho cercato di darne un’esempio nell’approccio delle due forme dell’unico rito romano dove ho

tentato di dimostrare che la loro forza è nell’essere davvero differenti e che lo sforzo dei pastori

dovrebbe essere quello di aiutare le due forme a vivificarsi, non in un’ottica di competizione tra

loro come vorrebbe P. Augé ed alcuni, a lui speculari, estremisti del tradi-protestantesimo, ma in

un’ottica di ecclesiale ricerca dell’eccellenza per ognuna delle due forme.

Grazie al dialogo stabilito con alcuni cari utenti come Kerygmatico, Marchesini e non ultimo

Giuseppe sarei felice di proporre un sunto dell’applicazione del concetto “di ermeneutica della

riforma nella continuità” al principio della libertà religiosa, in un’ottica dinamica che ricerca il

famoso massimo comune moltiplicatore di cui sopra.

Nei post precedenti abbiamo presentato le riflessioni di Benedetto XVI specifiche all’ermeneutica

della riforma nella continuità, l’esempio di applicazione che lui ne fa nel caso della libertà religiosa e

anche l’inquadramento magisteriale generale del S.S. Concilio Vaticano II sulla voluta continuità dei

Papi allora in carica.

Analisi e argomenti accessibili direttamente in linea sul web e che potete trovare nella nostra

bliblioteca che andrà allargandosi sempre più nelle prossime settimane e mesi , mostrano senza

ombra di dubbio che le critiche di Gherardini e De Mattei sono state magistralmente smontate in loro

tempo in particolare da Valuet , Rhonheimer e Ocariz per citarne alcuni, mentre gli stessi hanno

provveduto analisi di e a livello accademico che dimostrano, seppur con angolature diverse,

l’oggettiva continuità tra il Magistero su questo soggetto del XIX secolo e quelle della Chiesa dal

Concilio Vaticano II fino ad oggi.

Oggi però, vorrei ripresentare, la continuità della dottrina della Chiesa sulla materia in un

modo nuovo, non analitico, ma sintetico, riassumendo le discussioni su citate e incorporandone

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l’essenza, sperando essere abbastanza provocatorio per sollevare interesse e mandare avanti un

contraddittorio costruttivo.

Il punto di partenza di questa sintesi è quello di considerare che, ambo il Syllabus ( e Quanta Cura) e

la Dignitatis Humanae chinandosi sulla relazione tra gli individui e lo stato, sono nell’ambito proprio

della dottrina sociale della Chiesa intesa in senso generale. Ci sono due principi fari nella dottrina

sociale della Chiesa: il principio di sussidiarietà e quello di solidarietà.

Il principio di sussidiarietà è antico quanto Aristotele stesso e recepito pienamente da San Tommaso

d’Aquino: quindi, in quanto linguaggio tradizionale, dovrebbe “informare” perfettamente sia gli

insegnamenti del B. Pio IX che quello di Dignitatis Humanae almeno implicitamente e essere

“accettabile” anche per le sensibilità le più tradizionali. Questo principio è stato utilizzato

autenticamente nei vari magisteri pontificali fin la Leone XIII nella Rerum Novarum e senza

discontinuità fino al giorno d’oggi. Esso doce in Quadragesimo Anno: “Come è illecito togliere agli

individui ciò che essi possono compiere con le loro forze … così è ingiusto rimettere ad una

maggiore e più alta società quello che dalle minori ed inferiori comunità si può fare [...] perché è

l’oggetto naturale di qualsiasi intervento nella società stessa è quello di aiutare in maniera

suppletiva le membra del corpo sociale, non già di distruggerle e assorbirle.”

A questo principio di sussidiarietà fa contrappeso quello di solidarietà che ci viene da Cristo stesso e

ben descritto in Solicitudo Rei Socialis “Quando l’interdipendenza viene così riconosciuta, la

correlativa risposta, come atteggiamento morale e sociale, come “virtù”, è la solidarietà. Questa …

è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di

tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti. “

E’ dottrina tradizionale che non c’è immunità per l’essere umano dal dovere di ciascuno di

cercare e trovare la verità: questo dovere è proprio all’individuo. Applicando il principio di

sussidiarietà, immediatamente se ne deduce che è illecito togliere agli individui quello che costoro

possono e devono compiere con le loro forze: cioè lo stato non può impedire gli individui in

questa ricerca che rimane loro propria.

D’altro canto lo stato deve anche controbilanciare quest’atteggiamento di rispetto della

sussidiarietà con una vigorosa politica di solidarietà e impegnarsi per il bene comune, cioè di tutti e

ciascuno favorendo in particolare la ricerca della verità che ognuno individualmente deve

percorrere.

La novità di Dignitatis Humanae è che accoglie, nel suo secondo paragrafo, nella definizione di

natura umana le nozioni di libertà psicologica e l’immunità dalla coercizione esterna come

assolutamente strumentali affinché la verità sia cercata e trovata. Questo dato antropologico è

alquanto moderno e, in questo, introduce un elemento supplementare nelle considerazioni magistrali:

esso rompe una simmetria nel ragionamento del Magistero e Lo obbliga a trovare una

generalizzazione alle Sue affermazioni precedenti al fine di ritrovarne una nuova.

In effetti, senza questo dato antropologico, in materia di libertà religiosa, il principio di

solidarietà e quello di sussidiarietà combaciavano perfettamente nella loro relazione

simmetrica: lo stato perfettamente solidale propone a tutti i suoi sudditi tutti gli strumenti

considerati necessari affinché loro possano trovare la verità e, al suddito, basta fare lo sforzo di

associarsi all’impegno dello stato che si occupa del bene comune incluso l’aiuto all’individuo per

trovare la verità.

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In questo contesto, manifestare pubblicamente un’errore o dissociarsi da quel che lo stato presenta

come via regale per trovare la verità diventa proprio un atto che va contro il principio di solidarietà e

in quanto tale, e solo per motivi prudenziali, può essere tollerato entro certi limiti dallo stato per

evitare un male maggiore. E’ quindi ovvio che, in questo contesto, la libertà religiosa intesa

come deviazione dall’aiuto dello stato è un crimine contro lo stesso stato perché contro il principio

di solidarietà. E’ un semplice lemma che la proposizione “È libero ciascun uomo di abbracciare e

professare quella religione che, sulla scorta del lume della ragione, avrà reputato essere vera” va,

allora, da essere condannata come eretica nel Syllabus.

Il nuovo dato antropologico, riconosciuto come oggettivo nella Dignitatis Humanae, introduce

una nuova simmetria nel Magistero , cioè che uno stato perfettamente solidale propone a tutti i suoi

sudditi tutti gli strumenti necessari affinché possano trovare la verità il che include libertà

psicologica e immunità da coercizione garantita, quanto al suddito egli deve associarsi all’impegno

dello stato che si occupa del bene comune nella misura nella quale la sua natura umana è

perfettamente rispettata al fine di cercare e trovare la verità.

Sembra niente, ma in realtà il significato dell’insegnamento di Dignitatis Humanae generalizza

quello dell’insegnamento del Beato Pio IX: infatti ritorniamo nel’insegnamento del Syllabus se

siamo in uno stato perfettamente solidale e che si occupa per davvero del bene comune e che offre

tutti i mezzi rispettosi dei (nuovi) dati antropologici che definiscono la natura umana, allora la

tolleranza di chi desidera professare un’altra religione ridiventa una considerazione puramente

prudenziale.

Invece, se siamo in una situazione storica dove lo stato non è solidale con i suoi sudditi nella loro

ricerca del bene comune, allora l’affermazione di Dignitatis Humanae che “la persona umana ha il

diritto alla libertà religiosa” è vera e la tolleranza non ne è più l’accettazione di un male minore, ma

proprio un diritto buono in sé che si deduce direttamente dall’essenza della natura umana.

E questi due esempi corrispondono alle due spiegazioni date dal Papa Benedetto XVI per illustrare la

continuità tra i due magisteri autentici a due epoche differenti sulla libertà religiosa.

Il fatto di mostrare che Dignitatis Humanae ha, in atto, generalizzato l’insegnamento del

Syllabus rompendone l’iniziale simmetria concettuale tra i principi di sussidiarietà e di

solidarietà che vi erano implicitamente, per stabilirne un’altra che include la prima come caso

particolare, sembra, secondo il mio umile parere, un passo in avanti per superare le apparenti

controversie semantiche, storiche e culturali tra i due tempi del Magistero in questa materia.

E’ intanto certo che ai progressisti ed ai tradi-protestanti non è, da tempo, più permesso sul piano

intellettuale, affermare che le riforme magistrali proposte dal S.S. Concilio Vaticano II siano

l’espressione di una rottura nei contenuti del Magistero invece che un’ovvia evoluzione in

continuità che rende conto delle problematiche attuali. Evoluzione che, secondo me, procede per

generalizzazioni prima ancora che per differenziazioni.

Infatti, vedendosi e sapendosi confutati, gli ideologhi della rottura spostano ormai i loro discorsi

dal campo del Magistero autenticamente annunciato a quel che avviene de facto nella Chiesa

quotidianamente , scendendo così dall’universale al particolare, dal ragionamento al

pettegolezzo, impresa molto più facile, in quanto ci sarà sempre chi, circostanziatamente,

contraddirà il Magistero passato e presente ed esprimerà una rottura.

In Pace

15

Livi e la “luce del criterio” di continuità

By minstrel on 19 settembre 2013 • ( 4 )

Paul Ricoeur riconosce ogni contesto…

Con questo breve post segnaliamo il nuovo articolo di Mons. Livi reperibile su “La Nuova Bussola

quotidiana” che analizza i fatti concernenti la lettera di Papa Francesco a Scalfari e il baillame nato

da questa.

L’articolo è condivisibile in toto poiché oltre a fornire una sintesi perfetta dei problemi in campo –

ad esempio quando spiega cosa intendano con il termine “dialogo” gli atei alla Scalfari o gli anti-

assolutisti come Ferrara – chiarisce, è il caso di dirlo DI NUOVO, l’unico metodo

didattico/ermeneutico per la lettura di certe uscite ecclesiali. UNICO Metodo ermeneutico che a

questo punto, è ora di dirlo chiaro, deve sempre più caratterizzare l’azione di coloro che si

definiscono cattolici su web e nella apologetica pratica.

Indovinate? Esatto: continuità.

Con-ti-nui-tà. Punto.

“il criterio” unico e valido “non può che essere quello della «riforma nella continuità», non quello

della «rottura»” scrive Livi. Come a dire che non tutte le letture ermeneutiche sono valide, non può

esserci relativismo ermeneutico!

E’ esattamente quanto ha sempre sostenuto Simon.

Ma Livi non si ferma qui. E chiarisce un altro punto del “criterio” di continuità: la lettura

INTEGRALE di ogni documento alla luce del suo CONTESTO (dove scrive “se si legge il testo del

documento nella sua interezza” ecc)

16

Ecco dunque cosa offre questo splendido articolo che invitiamoa a leggere. Esplica in modo

magistrale due punti cari al blog Croce-via: continuità e contestualizzazione.

Quella continuità che non viene ricercata o che spesso viene accantonata per teorie di rottura

(sedevaticaniste o ultraprogressiste che siano) tanto affascinanti quanto campate per aria.

Quella contestualizzazione (detta anche “Referenza”) che viene bellamente ignorata da moltissimi

che scrivono testi con ermeneutiche “di rottura”, senza nemmeno rendersi conto di usare le armi che

le teorie della comunicazione studiano e che noi chiediamo siano comprese per un preciso atto

ermeneutico in continuità.

Perché tutti noi scriviamo, involontariamente o meno, usando categorie quali “lettore implicito”,

“autore reale” o, in caso di narrazione (come quella evangelica) “narratario” e “narratore” e così via.

Conoscere un minimo di teoria della comunicazione è fondamentale per la comprensione di ogni

scritto. La conoscenza di tale argomento poi è fondamentale in questo periodo di confusione

terminologica e ignoranza dei principi, soprattutto per noi cristiani dove un termine rettamente inteso

nasconde un preciso principio veritativo.

Su tutti consiglio un libro: Ricoeur, Paul, Dal testo all’azione, saggi di ermeneutica, anteprima di

Google. (aggiunto in biblioteca del blog)

Inoltre mi permetto di linkare questi appunti dell’amico Don Barbaglia, biblista in quel di Novara,

che all’inizio di ogni suo corso di esegesi biblica è solito esplicare in modo preciso e netto la teoria

dell’opera letteraria di Ricoeur.

Strepitose a mio dire anche queste lezioni mp3 sullo stesso argomento:

– Spiegazione della intra-testualità e introduzione alle teorie di Ricoeur

– Metodologia esegetica di matrice sincronica di Paul Ricoeur (I)

– Metodologia esegetica di matrice sincronica di Paul Ricoeur (II)

– Metodologia esegetica di matrice sincronica di Paul Ricoeur (III)

I file linkati sono estrapolati da un corso di esegesi biblica dell’anno universitario 2008/2009 di

Teologia in Novara. L’intero semestre in formato audio è reperibile qui mentre gli appunti scritti

sono qui.

Mi si potrebbe rispondere che è puro buon senso sapere che il Papa quando scrive “coscienza”

intende un atto della “retta ragione”, in linea con il Magistero e la dottrina cattolica.

Eh… ad una considerazione tanto banale quanto vera, non posso che sorridere e alzare le braccia al

cielo.

17

E se Mic chiede dialogo…

By minstrel on 23 settembre 2013 • ( 10 )

Towards C

… noi siamo prontissimi.

Il fatto: Mic nel suo ultimo post dedicato all’intervista del Papa (a breve anche noi metteremo

qualche cosa, sapete com’è, abbiamo anche una gran bella vita a cui rendere conto) scrive sul finale

due precisazioni secche. La prima suona così:

«Essere fedeli alla Tradizione non significa essere chiusi alle novità o essere ancorati alla chiesa

pre-conciliare. Non esiste la chiesa pre e quella post conciliare: esiste la Chiesa punto. Essa è corpo

mistico di Cristo e Popolo di Dio in cammino. E noi non rifiutiamo il concilio. Solo che non lo

vediamo come un nuovo superdogma e ci limitiamo a metterne in discussione alcuni punti

controversi. Su questo vorremmo si potesse instaurare un fruttuoso dialogo con i nostri pastori,

che sembrano aborrire l’odore delle pecore che amano la Tradizione, sia pur se esse non sono

affette chiusure né da deformazioni ideologiche. Vogliamo dunque parlarne? Noi non apparteniamo

ad un altro gregge, così come non facciamo parte di nessuna lobby, ché non ci riguarda!»

Pare proprio una richiesta di dialogo. Con i pastori ovviamente, non con noi di Croce-via.

Ma abbiamo l’ardire di sentirci chiamati in causa.

Non sarebbe male infatti tentare di instaurare un dialogo proficuo nel tentativo di comprendere le

difficoltà che emergono dai moltissimi studi sul Vaticano II che Mic conosce (e ne conosce

davvero tanti) e riconosce come autorevoli. Non per smontarli, quanto piuttosto per comprenderne

insieme la portata ed eventualmente la validità. E confrontarli con gli altri innumerevoli che dicono

l’esatto contrario di quelli che lei spesso cita.

Mi ha colpito nell’affermazione, la riga in cui Mic esprime ciò che è la Chiesa. Perfetta. E dove dice

che la Chiesa non predica una morale ma è sacramento? Ma se è la stessa cosa che continua ad

esprimere Papa Francesco!

Ed è su queste fondamenta che il dialogo va costruito.

18

Ma con un ma.

O meglio, con una precisazione.

Non si può assolutamente (!) prescindere dalla ricerca continua e senza scrupoli della continuità! Il

Concilio va letto con “intenzione di continuità”! Non può essere letto, soprattutto nei punti

controversi, né come rottura né come possibile rottura né come probabile errore di Magistero.

Sono tre condizioni che non devono essere previste nell’ermeneutica conciliare perché

decontestualizzano gli scritti, rendendoli facili prede di riletture tese a sottolinearne la possibile

erranza.

E non lo diciamo perché è la nostra idea o per ingannarci. Ma perché è l’ermeneutica richiesta da

chi ha avuto, aveva, e ha in custodia il deposito della cosidetta Tradizione.

Mic probabilmente mi dirà che se gli scritti fossero stati chiari non ci sarebbe stata bisogno di

ermeneutica di continuità. Va innanzitutto analizzato un’ovvietà di fondo che questo argomento

tralascia: l’ermeneutica è metodologia presente sempre e comunque, in ogni forma di

comunicazione, metodologia spesso (ahimé) applicata in modo distorto e ignorandone l’esistenza.

Esempi di errori ermeneutici causa decontestualizzazione:

– Togliere contesto alle narrazioni evangeliche è distruggerne il significato: i Testimoni di Geova,

per fare un esempio banale, ne sono la dimostrazione.

– Non tener conto dell’uditorio di alcune frasi, porta alcune critiche ad annullarsi perché

completamente avulse dall’uditorio stesso. Non si può ad esempio lamentarsi del modo semplice (a

tratti semplicistico) con il quale si parla della fede cristiana con i bambini di 6 anni.

– Una lettera ha dei contesti, narratari e narratori.

– Un’intervista ha contesto diverso, intervistatore che sceglie le parole da pubblicare, intervistato che

può anche permettersi i voli pindarici dell’oralità.

– Un saggio accademico deve sottostare alle regole della scienza moderna per essere accettato,

lamentarsi che un biblista in questa sede possa rileggere un dogma è non aver compreso il contesto.

E così via. Di esempi ce ne sarebbero a iosa poiché ogni comunicazione necessita, per essere

comunicazione, di ermeneutica.

Questo significa che gli scritti conciliari sono chiari? No, significa al massimo che gli scritti

Conciliari sono volutamente senza anathema sit (ed è un metodo di procedere che l’ermeneutica

degli stessi DEVE tener conto!) e presentano un approfondimento dottrinale di una fede già molto

profonda. Insomma non sono facili da comprendere.

La dimostrazione l’ha fornita il dibattito avvenuto su queste pagine fra Simon, Marco e Beppe sulla

libertà. Dibattito che non è certo finito, ma che di fondo possiede quella ricerca di continuità da

parte di tutti gli intervenuti. E’ questo che rende proficuo il lavoro. E difatti è su questo terreno che

lavorano alcuni degli intellettuali cui è solita affidarsi Mic come Livi o Lanzetta. Il primo soprattutto

appalesa la sua chiara intenzione ogni due per tre.

Mi si conceda questa analogia marina, la quale va presa ovviamente con le pinze (ed è l’ermeneutica

dell’analogia ad obbligarci!).

Su una stessa barca nessuno dei rematori è interessato a remare contro gli altri con il rischio di

ribaltare la barca stessa. Un rematore libero di pensare potrà invece chiedersi dove si sta andando,

quindi smettere di remare e chiedere al vicino che rema forsennatamente perché lo fa. E se la risposta

biascicata e senza argomenti che porta non soddisfa, potrà chiedere ad un altro che sorridendo rema

tranquillo.

19

Ma lo fa sapendo che la barca deve proseguire e che c’è bisogno anche della sua remata.

E che più le remate si fanno simili, più la barca viaggia spedita.

Tutti dunque dobbiamo pensarla allo stesso modo?

Naturalmente no. L’analogia fa riferimento ai principi cardine del dialogo che poi sono il cardine del

Magistero stesso.

La continuità, appunto.

20

ECCLESIAM SUAM: Per quali vie la Chiesa cattolica debba oggi adempiere al

suo mandato.

By minstrel on 2 ottobre 2013 • ( 4 )

Anche Paolo ci fa volare!

Sentendo personalmente il dovere di formulare una risposta degna di questo nome a DR che mi ha

omaggiato di una replica su MiL, risposta che purtroppo necessita di tempo che ora non ho causa

impegni di lavoro e di studio;

personalmente stanco di dover rincorrere tutti i qui pro quo che alcuni leggono nelle parole di Papa

Francesco – come fanno ad esempio coloro che il termine “proselitismo” in modo positivo ed

evangelico, quando è palese che il Papa lo citi come nozione protestante, da setta americana di turno

(il cristianesimo non fa proselitismo, fa apostolato!) – ;

Spinto dall’ennesima rilettura di Mic della Mortalium animos, enciclica che oramai anche i sassi

conoscono a memoria nella sua traduzione italiana visto che ogni mese viene riproposta da qualcuno

con grande spreco di memoria fisica dei server web;

ho deciso ieri di leggermi una Enciclica, citata da Papa Francesco nel suo discorso all’incontro

internazionale per la pace del 30 settembre 2013, sulla quale non mi ero mai soffermato e che ho

trovato davvero attuale!

Ecclesiam Suam. Paolo VI scrive ai Padri che a breve si riuniranno nella seconda sessione del Vaticano II.

E’ il 6 agosto 1964.

Ci state a leggerla insieme?

Estrapolerò, a rischio di essere tacciato di fondamentalismo, solo le parole della traduzione offerta

dal sito del Vaticano che mi più mi appaiono interessanti.

Non commento, consapevole che si può discutere tramite i commenti in calce circa il valore

contemporaneo (“Francescano” per così dire) di alcune frasi.

Cito, consapevole che si può riprendere l’intera frase e il suo contesto semplicemente leggendosi

l’intera Enciclica.

Suddividerò l’enciclica in

21

- TITOLI (miei personali)

ed eventualmente in ulteriori

- Titoli (come pensati da Paolo VI stesso.)

Buona lettura!

PREMESSA

7. Non vuole questa Nostra Enciclica rivestire carattere solenne e propriamente dottrinale, né

proporre insegnamenti determinati, morali o sociali, ma semplicemente vuol essere un messaggio

fraterno e familiare.

I TRE DESIDERI E UN PENSIERO ALLA PACE

9. Vi diremo subito, Venerabili Fratelli, che tre sono i pensieri, che vanno agitando l’animo [...]

10. Il pensiero che sia questa l’ora in cui la Chiesa deve approfondire la coscienza di se stessa,

meditare sul mistero che le è proprio, esplorare a propria istruzione ed edificazione la dottrina, già a

lei nota e già in questo ultimo secolo enucleata e diffusa, sopra la propria origine, la propria natura,

la propria missione, la propria sorte finale, ma dottrina non mai abbastanza studiata e compresa,

come quella che contiene il piano provvidenziale del mistero nascosto da secoli in Dio… affinché sia

manifestato… per mezzo della Chiesa [...]

12. E deriva perciò un bisogno generoso e quasi impaziente di rinnovamento, di emendamento

cioè dei difetti, che quella coscienza, quasi un esame interiore allo specchio del modello che Cristo di

sé ci lasciò, denuncia e rigetta. [...]

13. Terzo pensiero Nostro, e vostro certamente, sorgente dai primi due sopra enunciati, è quello

delle relazioni che oggi la Chiesa deve stabilire col mondo che la circonda ed in cui essa vive e

lavora.[...]

15. Si presenta cioè il problema, così detto, del dialogo fra la Chiesa ed il mondo moderno. È

problema questo che tocca al Concilio descrivere nella sua vastità e complessità, e risolvere, per

quanto è possibile, nei termini migliori. [...]

Assiduo e illimitato zelo per la pace 17. Alla grande e universale questione della pace nel mondo Noi diciamo fin d’ora che Ci sentiremo

particolarmente obbligati a rivolgere [...] l’interessamento altresì più assiduo ed efficace [...]

premuroso di contribuire alla educazione dell’umanità a sentimenti ed a procedimenti contrari ad

ogni violento e micidiale conflitto, e favorevoli ad ogni civile e razionale pacifico regolamento dei

rapporti fra le nazioni; e sollecito parimenti di assistere, con la proclamazione dei principi umani

superiori, che possano giovare a temperare gli egoismi e le passioni donde scaturiscono gli

scontri bellici, l’armonica convivenza e la fruttuosa collaborazione fra i popoli; e d’intervenire, ove

l’opportunità ci sia offerta, per coadiuvare le parti contendenti a onorevoli e fraterne soluzioni.

LA COSCIENZA

19. Noi pensiamo che sia doveroso oggi per la Chiesa approfondire la coscienza ch’ella deve avere di

sé [...]

20. Pare infatti a Noi che tale atto di riflessione possa riferirsi al modo stesso scelto da Dio per

rivelarsi agli uomini e per stabilire con essi quei rapporti religiosi di cui la Chiesa è al tempo stesso

strumento ed espressione. [...]

28. È a tutti noto che la Chiesa è immersa nell’umanità, ne fa parte, ne trae i suoi membri, ne deriva

preziosi tesori di cultura, ne subisce le vicende storiche, ne favorisce le fortune. Il suo [dell'umanità]

22

pensiero, la sua cultura, il suo spirito sono intimamente modificati sia dal progresso scientifico,

tecnico e sociale, sia dalle correnti di pensiero filosofico e politico che la invadono e la

attraversano.[...] Ora pare a Noi che, per immunizzarsi da tale incombente e molteplice pericolo

proveniente da varie parti, buono e ovvio rimedio sia l’approfondimento di coscienza della Chiesa in

ciò ch’essa veramente è [...]

30. [il pensiero dell'uomo moderno] si curva facilmente su se stesso, e allora gode di certezza e di

pienezza, quando s’illumina nella propria coscienza. Non è che questa abitudine sia senza pericoli

gravi; correnti filosofiche di grande nome hanno esplorato e magnificato questa forma di attività

spirituale dell’uomo come definitiva e suprema, anzi come misura e sorgente della realtà, spingendo

il pensiero a conclusioni astruse, desolate, paradossali e radicalmente fallaci; ma ciò non toglie che

l’educazione alla ricerca della verità riflessa nell’interno della coscienza sia di per sé altamente

apprezzabile e oggi praticamente diffusa come espressione squisita della moderna cultura; come

non toglie che, bene coordinata con la formazione del pensiero a scoprire la verità dove essa

coincide con la realtà dell’essere obbiettivo, l’esercizio della coscienza riveli sempre meglio a chi

lo compie il fatto dell’esistenza del proprio essere, della propria spirituale dignità, della propria

capacità di conoscere e di agire.

32. [...]il Concilio Ecumenico Vaticano II altro non è che una continuazione e un completamento del

Vaticano I

35. Noi ci asteniamo di proposito dal pronunciare qualsiasi Nostra sentenza, in questa Nostra

Enciclica, sopra i punti dottrinali relativi alla Chiesa, posti ora all’esame del Concilio stesso, cui

siamo chiamati a presiedere: a così alto e autorevole consesso vogliamo ora lasciare libertà di studio

e di parola

39. Il mistero della Chiesa non è semplice oggetto di conoscenza teologica, dev’essere un fatto

vissuto, in cui ancora prima d’una sua chiara nozione l’anima fedele può avere quasi connaturata

esperienza

40. Che se noi sapremo accendere in noi stessi e educare nei fedeli, con alta e vigilante pedagogia,

questo corroborante senso della Chiesa, molte antinomie che oggi affaticano il pensiero di studiosi

di ecclesiologia

IL RINNOVAMENTO

44. Questo studio di perfezionamento religioso e morale è stimolato anche esteriormente dalle

condizioni in cui la Chiesa svolge la sua vita. [...] Da un lato la vita cristiana, quale la Chiesa difende

e promuove, deve continuamente e strenuamente guardarsi da quanto può illuderla, profanarla,

soffocarla, quasi cercasse di immunizzarsi dal contagio dell’errore, e del male; dall’altro lato la vita

cristiana deve non solo adattarsi alle forme di pensiero e di costume, che l’ambiente temporale le

offre e le impone, quando siano compatibili con le esigenze essenziali del suo programma religioso e

morale, ma deve cercare di avvicinarle, di purificarle, di nobilitarle, di vivificarle, di

santificarle: altro compito questo che impone alla Chiesa un perenne esame di vigilanza morale, che

il nostro tempo reclama con particolare urgenza e con singolare gravità. [...]

In quale senso intendere la riforma 46. [...] A voi, perciò, Venerabili Fratelli, spetterà indicarci quali provvedimenti saranno da prendere

per mondare e ringiovanire il volto della santa Chiesa [...] per infondere nuovo spirituale vigore nel

Corpo Mistico di Cristo, in quanto società visibile, purificandolo da difetti di molti suoi membri e

stimolandolo a nuove virtù.

48. [La riforma] non può riguardare né la concezione essenziale, né le strutture fondamentali della

Chiesa cattolica. La parola riforma sarebbe male usata se in tale senso fosse da noi impiegata.

49. Così che, su questo punto, se si può parlare di riforma, non si deve intendere cambiamento, ma

23

piuttosto conferma nell’impegno di mantenere alla Chiesa la fisionomia che Cristo le impresse, anzi

di volerla sempre riportare alla sua forma perfetta

Danni e pericoli della concezione profana della vita 51. [...] il relativismo, che tutto giustifica e tutto qualifica di pari valore, attenta al carattere assoluto

dei principi cristiani; [...] talvolta il desiderio apostolico d’avvicinare ambienti profani o di farsi

accogliere dagli animi moderni, da quelli giovani specialmente, si traduce in una rinuncia alle forme

proprie della vita cristiana e a quello stile stesso di contegno [non rumoreggiate voi ai primi banchi,

vi sento che sparlate dei Vescovi a Rio... n.d.r], che deve dare a tale premura di accostamento e di

influsso educativo il suo senso ed il suo vigore. Non è forse vero che spesso il giovane Clero, ovvero

anche qualche zelante Religioso guidato dalla buona intenzione di penetrare nelle masse popolari o

in ceti particolari cerca di confondersi con essi invece di distinguersi, rinunciando con inutile

mimetismo all’efficacia genuina del suo apostolato?

Non immobilità, ma « aggiornamento » 52. Ciò non vuol dire che debba essere nostra intenzione credere che la perfezione sia l’immobilità

delle forme, di cui la Chiesa s’è, lungo i secoli, rivestita;

Obbedienza, energie morali, sacrificio 53. Ma sia ancora una volta ripetuto a nostro comune ammonimento e profitto: non tanto cambiando

le sue leggi esteriori la Chiesa ritroverà la sua rinascente giovinezza, quanto mettendo

interiormente il suo spirito in attitudine di obbedire a Cristo, e perciò di osservare quelle leggi

che la Chiesa nell’intento di seguire la via di Cristo prescrive a se stessa: qui sta il segreto del suo

rinnovamento, qui la sua « metanoia » [...] la vita cristiana, quale la Chiesa viene interpretando e

codificando in sapienti disposizioni, esigerà sempre fedeltà, impegno, mortificazione e sacrificio;

sarà sempre segnata dalla via stretta, di cui nostro Signore ci parla;(34) domanderà a noi cristiani

moderni non minori, anzi forse maggiori energie morali che non ai cristiani di ieri, una

prontezza all’obbedienza, oggi non meno che in passato doverosa e forse più difficile. [...]Non

molle e vile è il cristiano, ma forte e fedele.

Lo spirito di povertà, l’ora della carità

56. Accenniamo dapprima allo spirito di povertà. Pensiamo che esso sia così proclamato nel santo

Vangelo, che sia così insito nel disegno della nostra destinazione al regno di Dio, che sia messo così

in pericolo dalla valutazione dei beni nella mentalità moderna, che sia così necessario per farci

comprendere tante nostre debolezze e rovine nel tempo passato [...] Noi attendiamo che voi, quale

voce autorevole che interpreta gli impulsi migliori, onde palpita lo Spirito di Cristo nella santa

Chiesa, diciate come debbano Pastori e fedeli alla povertà educare oggi il linguaggio e la condotta:

57. [...] non Ci esonera dal ricordare che tale spirito non Ci preclude la comprensione e l’impiego, a

Noi consentito, del fatto economicoPensiamo anzi che l’interiore liberazione, prodotta dallo spirito

della povertà evangelica, ci renda più sensibili e più idonei a comprendere i fenomeni umani

collegati con i fattori economici. [...] Tutto quanto si riferisce a questi beni economici, inferiori a

quelli spirituali ed eterni, ma necessari alla vita presente, trova l’alunno del Vangelo capace di

valutazione sapiente e di cooperazione umanissima

58. Noi pensiamo [...] che la carità debba oggi assumere il posto che le compete, il primo, il

sommo, nella scala dei valori religiosi e morali, non solo nella teorica estimazione, ma altresì nella

pratica attuazione della vita cristiana. Ciò sia detto della carità verso Dio, che la sua Carità riversò

sopra di noi, come della carità che di riflesso noi dobbiamo effondere verso il nostro prossimo, vale a

dire il genere umano. La carità tutto spiega. La carità tutto ispira. La carità tutto rende possibile. La

carità tutto rinnova.

Chi di noi ignora queste cose? E se le sappiamo, non è forse questa l’ora della carità?

24

IL DIALOGO

60. Vi è un terzo atteggiamento che la Chiesa cattolica deve assumere in quest’ora della storia del

mondo, ed è quello caratterizzato dallo studio dei contatti ch’essa deve tenere con l’umanità. [...]

61. Il Vangelo, che conosce e denuncia e compatisce e guarisce le umane miserie con penetrante e

talora straziante sincerità, non cede tuttavia né all’illusione della bontà naturale dell’uomo

64. Ecco come san Paolo medesimo educava i cristiani della prima generazione: Non unitevi… [...]

65. Ma questa distinzione non è separazione. Anzi non è indifferenza, non è timore, non è

disprezzo. Quando la Chiesa si distingue dall’umanità non si oppone ad essa, anzi si congiunge.

Come il medico, che, conoscendo le insidie d’una pestilenza, cerca di guardare sé e gli altri da tale

infezione, ma nello stesso tempo si consacra alla guarigione di coloro che ne sono colpiti, così la

Chiesa non fa della misericordia a lei concessa dalla bontà divina un esclusivo privilegio. [...] è

annuncio da diffondere. È il dovere dell’evangelizzazione. È il mandato missionario. È l’ufficio

apostolico.

67. La Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola; la

Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio.

CARATTERISTICHE DEL DIALOGO DELLA SALVEZZA

74. Il dialogo della salvezza fu aperto spontaneamente dalla iniziativa divina [...]

75. Il dialogo della salvezza partì dalla carità, dalla bontà divin [...]

76. Il dialogo della salvezza non si commisurò ai meriti di coloro a cui era rivolto [...]

77. Il dialogo della salvezza non obbligò fisicamente alcuno ad accoglierlo [...] Così la Nostra

missione, anche se è annuncio di verità indiscutibile e di salute necessaria, non si presenterà

armata di esteriore coercizione, ma solo per le vie legittime dell’umana educazione, dell’interiore

persuasione, della comune conversazione offrirà il suo dono di salvezza, sempre nel rispetto della

libertà personale e civile.

78. Il dialogo della salvezza fu reso possibile a tutti; a tutti senza discriminazione alcuna [...]

79. Il dialogo della salvezza ha conosciuto normalmente delle gradualità

80. Sembra a Noi invece che il rapporto della Chiesa col mondo, senza precludersi altre forme

legittime, possa meglio raffigurarsi in un dialogo, e neppure questo in modo univoco, ma adattato

all’indole dell’interlocutore e delle circostanze di fatto 81. Questa forma di rapporto indica un proposito di correttezza, di stima, di simpatia, di bontà da

parte di chi lo instaura; esclude la condanna aprioristica, la polemica offensiva ed abituale, la

vanità d’inutile conversazione.

83. Il colloquio è perciò un modo d’esercitare la missione apostolica; è un’arte di spirituale

comunicazione. Suoi caratteri sono i seguenti. La chiarezza [...] la mitezza [...] la fiducia [...] e la

prudenza pedagogica la quale fa grande conto delle condizioni psicologiche e morali di chi

ascolta

SIMON… ECCOCI AL MASSIMO COMUN MOLTIPLICATORE?

86. Nel dialogo si scopre come diverse sono le vie che conducono alla luce della fede, e come sia

possibile farle convergere allo stesso fine. Anche se divergenti, possono diventare complementari,

spingendo il nostro ragionamento fuori dei sentieri comuni e obbligandolo ad approfondire le sue

ricerche, a rinnovare le sue espressioni. La dialettica di questo esercizio di pensiero e di pazienza

ci farà scoprire elementi di verità anche nelle opinioni altrui, ci obbligherà ad esprimere con

grande lealtà il nostro insegnamento e ci darà merito per la fatica d’averlo esposto all’altrui

obiezione, all’altrui lenta assimilazione. Ci farà sapienti, ci farà maestri. [...]

91. L’arte dell’apostolato è rischiosa. La sollecitudine di accostare i fratelli non deve tradursi in una

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attenuazione, in una diminuzione della verità. [...]

92. E solo chi vive in pienezza la vocazione cristiana può essere immunizzato dal contagio di

errori con cui viene a contatto.

Con chi il dialogo 97. [... ] la Chiesa cattolica oggi deve assumere con rinnovato fervore, vogliamo semplicemente

accennare che essa dev’essere pronta a sostenere il dialogo con tutti gli uomini di buona volontà,

dentro e fuori l’ambito suo proprio.

98. Nessuno è estraneo al suo cuore. [...]

101. Dovunque è l’uomo in cerca di comprendere se stesso e il mondo, noi possiamo comunicare con

lui; dovunque i consessi dei popoli si riuniscono per stabilire i diritti e i doveri dell’uomo, noi siamo

onorati, quando ce lo consentono, di assiderci fra loro. Se esiste nell’uomo un’anima naturalmente

cristiana, noi vogliamo onorarla della nostra stima e del nostro colloquio.

TRE “CERCHI”: GLI ATEI,I CREDENTI IN DIO, I FRATELLI SEPARATI

La negazione di Dio: ostacolo al dialogo

103. Noi sappiamo però che in questo cerchio sconfinato sono molti, moltissimi purtroppo, che non

professano alcuna religione; sappiamo anzi che molti, in diversissime forme, si professano atei. [...]

106. L’ipotesi d’un dialogo si fa assai difficile in tali condizioni, per non dire impossibile, sebbene

nel nostro animo non vi sia ancor oggi alcuna preconcetta esclusione verso le persone che

professano i suddetti sistemi e aderiscono ai regimi stessi. Per chi ama la verità, la discussione è

sempre possibile.

109. [...] Noi non disperiamo che essi [i movimenti atei] possano aprire un giorno con la Chiesa

altro positivo colloquio, che non quello presente della Nostra deplorazione e del Nostro obbligato

lamento.

Secondo cerchio: i credenti in Dio 111. Noi non possiamo evidentemente condividere queste varie espressioni religiose, né possiamo

rimanere indifferenti, quasi che tutte, a loro modo, si equivalessero [...]

112. Ma non vogliamo rifiutare il nostro rispettoso riconoscimento ai valori spirituali e morali delle

varie confessioni religiose non cristiane, vogliamo con esse promuovere e difendere gli ideali, che

possono essere comuni nel campo della libertà religiosa, della fratellanza umana, della buona

cultura, della beneficenza sociale e dell’ordine civile. In ordine a questi comuni ideali un dialogo da

parte nostra è possibile; e noi non mancheremo di offrirlo là dove, in reciproco e leale rispetto, sarà

benevolmente accettato

Terzio cerchio: i Cristiani Fratelli Separati 113. In questo campo il dialogo, che ha assunto la qualifica di ecumenico, è già aperto; in alcuni

settori è già in fase di iniziale e positivo svolgimento [...] mettiamo in evidenza anzitutto ciò che ci

è comune, prima di notare ciò che ci divide. È questo un tema buono e fecondo per il nostro

dialogo. Siamo disposti a proseguirlo cordialmente. Diremo di più: che su tanti punti differenziali,

relativi alla tradizione, alla spiritualità, alle leggi canoniche, al culto, Noi siamo disposti a studiare

come assecondare i legittimi desideri dei Fratelli cristiani, tuttora da noi separati.

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Ermeneutica della continuità: un altro punto di vista

By minstrel on 7 ottobre 2013 • ( 12 )

Un altra mano per il puzzle.

Riceviamo e pubblichiamo molto volentieri un articolo di Giuseppe gibici dedicato all’ermeneutica

della continuità, che tratta anche della possibile fallibilità delle Encicliche Papali; fallibilità che

personalmente non escludo, ma non nei termini indicati da Giuseppe stesso. Se ne parlerà nei

commenti, ovviamente.

Grazie Giuseppe!

_____________________________________

1. L’ermeneutica della continuita’

Vorrei comunicare alcune riflessioni che spero possano essere utili per la discussione

sull’ermeneutica della continuita’ raccomandata da Benedetto XVI a proposito dell’interpretazione

dei documenti del Vaticano II, e contrapposta all’ermeneutica della rottura.

L’ermeneutica riguarda i principi che devono essere applicati nell’interpretazione, e di essa si puo’

parlare nel contesto teorico di una teoria dell’interpretazione o in contesti meno tecnici come quello

in cui si esprimeva il papa, che non voleva certamente delineare una teoria ermeneutica, ma

contrastare tendenze interpretative “di rottura” fatte dentro e fuori della Chiesa.

E’ chiaro che nell’interpretazione dei testi da un punto di vista teorico non puo’ esserci che un’unica

ermeneutica corretta, cio’ quella che giunge a stabilire cio’ che e’ stato espresso nel testo al termine

di un percorso interpretativo e non prima di esso. Infatti, non si puo’ stabilire a priori se il testo

interpretato sara’ o no in continuita’ con il senso di precedenti testi sullo stesso argomento.

Ma il papa non voleva evidentemente dichiare illegittimo il lavoro di interpreti onesti e coscienziosi,

lavoro di cui non parla, quanto invece ricordare cio’ che ogni cattolico dovrebbe sapere e cioe’ che i

vescovi del Vaticano II non volevano certo contraddire la tradizione della Chiesa e che gli ampi

dibattiti prima di ogni approvazione dei testi miravano ad assicurare la continuita’ con quella

tradizione, oltre che a chiarire gli argomenti e a spiegare i testi proposti. Quindi i testi vanno

affrontati ricercando in primo luogo in che senso le novita’ portate dal concilio siano sostanzialmente

in continuita’ con le dottrine precedenti.

La seconda osservazione riguarda la precisazione di cio’ che deve essere in continuita’, essendo

chiaro che discontinuita’ ce ne sono. E’ cio’ che ho indicato con “sostanzialmente”, che deve far da

limite alla continuita’. Anche il papa accenna ad un limite, rifacendosi ad una distinzione classica del

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linguaggio ecclesiastico ufficiale, quella tra principi ed applicazioni concrete, i primi immutabili, le

seconde contingenti e percio’ non suscettibili di definizioni immutabili. Ma questa distinzione mi

sembra improponibile e di fatto non e’ stata utilizzata con rigore dal papa, che ha preferito indicarla e

poi abbandonarla. La sua improponibilita’ deriva da due carenze, una di carattere epistemologico,

perche’ non e’ vero che noi procediamo nella conoscenza e nella valutazione della realta’ attraverso

deduzioni da principi quindi la loro enunciazione astratta non sarebbe di grande aiuto in funzione dei

casi concreti, come invece si riteneva. L’altra carenza e’ di carattere fattuale, perche’ se noi

escludessimo le materie “contingenti” metteremmo a rischio tutte le principali dottrine della Chiesa,

a iniziare dall’esistenza di Gesu’ , degli apostoli e dei discepoli, della salvezza da lui portata, della

fondazione della Chiesa per opera sua, ecc. In tutti questi casi infatti si ha a che fare con fatti

contingenti e non con principi teorici, ma se non fosse possibile parlare infallibilmente su questi fatti,

non ci sarebbe.

In che cosa e’ percio’ da cercare la continuita’? Nella continuita’ con la tradizione, continuita’ che

non esclude sviluppi ed approfondimenti nei secoli.

Tradizione e tradizioni

Il punto principale sul quale verte la polemica cd “tradizionalista” e’ proprio la mancanza di

continuita’ di alcune innovazioni del concilio con la tradizione precedente il Vaticano II.

L’errore di questa polemica e’ che non si tiene presente quanto delle tradizioni vigenti nel periodo

preconciliare fossero in accordo con l’autentica tradizione evangelica. In questa polemica si da’

infatti per scontato che l’accordo con la tradizione autentica sia garantito automaticamente quando

qualcosa sia proposto o accettato da parte dell’autorita’ ecclesiastica, cioe’ di qualche papa o anche

dell’episcopato. Il secondo presupposto che si da’ per scontato e’ che in questi campi le espressioni

dell’autorita’ ecclesiastica siano infallibili.

Si dimentica pero’ che papa, vescovi, concili possono essere considerati infallibili solo quando le

loro dichiarazioni sottostanno ad alcuni canoni formali, ma anche ad una condizione sostanziale

ineludibile, quella della conformita’ al messaggio evangelico. Quindi bisogna che sia accertato il

legame tra le spiegazioni dell’autorita’ ecclesiastica e la Tradizione evangelica, non basta che questo

legame sia stato ritenuto esistente dall’autorita’ che ha emanato un qualche documento.

Di fatto considerando la storia della Chiesa si vede che la tradizione evangelica e’ stata sempre

incorporata e tramandata all’interno di tradizioni culturali locali, e che talora queste ultime hanno

oscurato almeno in parte il messaggio evangelico, come quelle legate al paternalismo, a concezioni

sociali classiste, feudali, addirittura allo schiavismo, ecc. In sintesi accanto al nucleo della Tradizione

evangelica e dei suoi autentici sviluppi, si sono sempre anche sviluppate tradizioni con altre origini

culturali, spesso non compatibili con il vangelo. Come gli individui hanno un continuo bisogno di

conversione, cosi’ la Chiesa “semper reformanda est”.

Bisogna percio’ distinguere cio’ che e’ in accordo con l’autentica Tradizione ecclesiale, da cio’ che

e’ tradizione ecclesiale non autenticamente evangelica, nei confronti della quale la rottura e’

doverosa. Per non restare nella pura teoria, mi sembra che si possa tranquillamente dire che un caso

di rottura simile e’ avvenuto con il documento “Dignitatis humanae”, che ha accolto il principio della

liberta’ di coscienza e di espressione, cambiando gli indirizzi dati dai papi, dall’ottocento fino a quel

momento. Non mi sembra che in questo caso possano avere fortuna i tentativi di negare la novita’ del

Vaticano II per affermare invece la continuita’di quel concilio con gli insegnamenti dei 130 anni

precedenti.

Un aspetto molto delicato nel richiamo all’autentica Tradizione evangelica riguarda la

determinazione di chi debba dare il giudizio di autenticita’. C’e’ infatti nel campo cattolico un

riflesso condizionato di fiducia nei confronti del papato: e’ il papa, eventualmente con la

collaborazione dei vescovi, a dover prendere una decisione valida per tutti. Quindi si aspetti la sua

decisione e vi si adegui. Questo riflesso condizionato pero’ e’ figlio di una semplificazione teologica

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dei compiti e della figura del papato e rischia di portare alla papolatria, per l’attribuzione al papa di

poteri di origine soprannaturale che non gli competono. Si puo’ sbagliare per eccesso o per difetto.

Nella Chiesa ci sono varie competenze e ritengo che esse non possano essere adeguatamente

utilizzate e salvaguardate senza il ricorso al principio di sussidiarieta’. E’ vero che questa opinione e’

finora in minoranza, ma non ne ce n’e’ finora un’altra concorrente.

In breve, il papa e’ l’ultima risorsa, proprio perche’ e’ la suprema ed entra in funzione quando le

risorse dei livelli inferiori non possono rispondere piu’ in modo adeguato. Non ha percio’ senso

tarpare prematuramente le ali, ad esempio, della ricerca teologica, in primo luogo di carattere

esegetico e storico, ma anche di carattere sistematico. Cosi’ come non ha senso il non far precedere

ad un intervento papale la discussione ed elaborazione al livello locale, della quale hanno dato un

ottimo esempio le chiese degli USA qualche anno fa’, prima di essere fermate da Roma.

2. La pretesa infallibilita’ delle encicliche

Una questione collegata a quella della tradizione e’ quella dello stato teologico dei documenti

pontifici in particolare delle encicliche, ma anche antiche bolle (la forma dei documenti pontifici che

ha preceduto le encicliche).

Come abbiamo detto nella nota precedente la Tradizione e’ individuata dai tradizionalisti con il

semplice rinvio ad un documento autoritativo del papa, documento che si considera spesso come

infallibile e pertanto per definizione come esplicitazione della fede apostolica, quindi della vera

tradizione. Non importa che il legame con il messaggio evangelico non sia evidente o che si tratti di

encicliche che per lo piu’ non vengano considerate documenti formalmente infallibili.

Si ricordi che Newman, oppositore del dogma dell’infallibilita’ pontificia prima della sua

promulgazione, che tuttavia accetto’, si consolo’ con l’osservazione che per lo meno la dichiarazione

d’infallibilita’ non poteva applicarsi alla “Quanta cura” e al Sillabo allegato.

Come ha osservato H.Kueng nel famoso opuscolo “Infallibile?” Paolo VI era stato probabilmente

mosso a contraddire le conclusioni della commissione teologica da lui nominata sulla contraccezione

dal fatto che le precedenti prese di posizione dei suoi predecessori e con loro della gerarchia cattolica

erano state contrarie, cosi’ che l’argomento potesse ormai ritenersi definito irrevocabilmente. Lo

stesso ragionamento sembra essere stato alla base del documento di Giovanni Paolo II

sull’ordinazione delle donne.Infatti, c’e’ stato un allargamento dell’applicazione dell’infallibilita’ al

di la’ dei casi limitatissimi previsti dal Vaticano I per il magistero straordinario, per includere,

sembrerebbe senza limiti, il magistero ordinario. Cio’ di cui non si discute e’ la limitazione

contenutistica che, come abbiamo detto e’ applicabile a qualsiasi attribuzione d’infallibilita’, cioe’

che la dichiarazione sia ricollegabile alla verita’ rivelata, cioe’ della vera Tradizione ecclesiale

risalente a Cristo.

Nello specifico, ho l’impressione che una normale enciclica non possieda i requisiti formali per

essere considerata infallibile e che molte delle encicliche degli ultimi cento e cinquanta anni non

possedessero il requisito sostanziale della conformita’ alla Tradizione evangelica nel modo nel quale

affrontavano i problemi del loro tempo, spesso inadeguato dal punto di vista filosofico o teologico.

Giuseppe Gibici

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Il Magistero di Francesco: La Tradizione come via per Adorare

By Simon de Cyrène on 10 gennaio 2014 • ( 2 )

Pastore della Chiesa

Insegnamento magnifico impartito da Papa Francesco oggi durante la messa a Santa Marta:

” «La fede è confessare Dio, ma il Dio che si è rivelato a noi, dal tempo dei nostri padri fino ad ora;

il Dio della storia. E questo è quello che tutti i giorni noi recitiamo nel Credo. E una cosa è recitare

il Credo dal cuore e un’altra come pappagalli, no? Credo, credo in Dio, credo in Gesù Cristo,

credo… Io credo in quello che dico? – ha domandato Francesco – Questa confessione di fede è vera

o io la dico un po’ a memoria, perché si deve dire? O credo a metà?».

«Confessare la fede! – ha esortato – Tutta, non una parte! Tutta! E questa fede custodirla tutta,

come è arrivata a noi, per la strada della tradizione: tutta la fede! E come posso sapere se io

confesso bene la fede? C’è un segno: chi confessa bene la fede, e tutta la fede, ha capacità di

adorare, adorare Dio».”

Grazie, Santo Padre di confermarci nella fede.

In Pace

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Francescani dell’Immacolata, Papa Francesco e l’ermeneutica

della continuità

By Simon de Cyrène on 23 giugno 2014 • ( 133 )

Papa Francesco coi FFI la scorsa settimana

Ribadiamo che ciò che conta sono e saranno solo ed esclusivamente le conclusioni, espresse in documenti

ufficiali, che la Santa Sede indicherà al termine del Commissariamento apostolico e quindi, sin da ora siamo

pronti ad accettarle in pieno. Fino a quando la Chiesa non si pronuncerà ufficialmente come è lecito che i

discepoli di Manelli ne parlino sempre e solo in termini di esaltazione e di elogio, in questo momento e fino

alla conclusione delle indagini è altrettanto lecito, per chi ne ha esperienza o conoscenza, produrre

testimonianze, riflessioni, documentazioni e opinioni personali sui punti negativi dell’Istituto e sostenere

con vigore la necessità, la giustezza e la piena legittimità del commissariamento, opponendosi anche ad una

illecita canonizzazione in vita che non rientra nella Tradizione della Chiesa.

Un paio di settimane fa il Santo Padre ha ricevuto ben 60 frati dell’Immacolata a Santa Marta ed

impariamo da un articolo odierno del sempre ottimo Dr Tornielli i seguenti elementi:

a) I problemi all’origine del commissariamento erano i seguenti: “dissidi interni legati al governo,

all’amministrazione, al rapporto con il ramo femminile e all’uso divenuto ormai quasi esclusivo del

messale antico e all’interpretazione dell’ultimo Concilio”

b) Quanto al numero dei disertori in seguito al commissariamento: “Su 400 religiosi nel mondo sono

una quarantina quelli che hanno chiesto la dispensa dai voti, circa la metà dei quali sono

seminaristi e dunque ancora studenti che avevano emesso soltanto voti temporanei.”

c) Rispetto all’uso del rito nella sua forma straordinaria : ” ci deve essere libertà, sia per chi vuole

celebrare con l’antico, sia per chi vuole celebrare col nuovo rito, senza che il rito diventi una

bandiera ideologica”

d) Riguardo l’interpretazione del Sacro Santo Concilio Vaticano II: ” pur essendo stato pastorale,

contiene elementi dottrinali ed è un concilio cattolico, ribadendo la linea dell’ermeneutica della

riforma nella continuità dell’unico soggetto Chiesa presentata da Benedetto XVI nel discorso alla

Curia romana del dicembre 2005″

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e) A chi domanda, anche tra alcuni utenti di questo blog, se l’istanza veritativa nella Chiesa cattolica

siano le Scritture e/o la Tradizione, : ” Ha poi precisato che l’ortodossia viene garantita dalla

Chiesa attraverso il successore di Pietro”.

f) Che i frati che non stanno bene tra i FFI sono quelli che non stanno bene colla Chiesa Una, Santa,

Cattolica ed Apostolica: “Uno di questi due seminaristi alcuni giorni dopo l’incontro ha annunciato

la sua decisione di lasciare il noviziato perché si è detto contrario al Concilio Vaticano II.”

Non possiamo su Croce-Via che rallegrarci di queste informazioni in quanto:

1) è confermata dal Santo Padre stesso la nostra linea ermeneutica circa il Concilio Vaticano

II (espressa qui)

2) è confermata dal Santo Padre il nostro punto di vista sulla liturgia e cioè che si deve lasciare

piena libertà a chi vuole celebrare il rito antico (espresssa qui)

3) è completamente confermata la nostra linea di fiducia nel Santo Padre per le decisioni prese

al riguardo dei FFI e di prudenza nelle nostre esternazioni al soggetto limitandoci a rilevare le

incongruità e ovvie disonestà intellettuali ( ad esempio qui)

Oremus et pro Pontefice nostro.

In Pace

EDIT: Il Dr Tornielli ha corretto l’articolo citato togliendo nell’ ultimissima frase l’espressione

“perché si è detto contrario al Concilio Vaticano II”. Speriamo in effetti che questa non sia la

ragione, in quanto non è possibile per un cattolico dirsi ancora tale se rifiuta il dovuto religioso

ossequio dell’intelligenza e della volontà a parte o alla totalità del Magistero Autentico in

materia di fede e di morale espresso da un Concilio Ecumenico di Santa Romana Chiesa

dovutamente convocato, celebrato e rato . E se ciò non è possibile per un cattolico, a fortiori per

un religioso o un sacerdote.

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Grande Mons. Antonio Livi !

By Simon de Cyrène on 18 settembre 2014 • ( 0 )

Mons. Antonio Livi a sinistra

Come sanno coloro che hanno seguito questo blog fin dall’inizio, siamo tra coloro che condividono l’approccio di questo vero maestro in filosofia che è

Mons. Antonio Livi , il cui sito è da sempre presente tra quelli che consigliamo. Quel che ci ha sempre convinto è proprio il “metodo” Livi, che con

spirito squisitamente epistemologico costruisce la metafisica sulla logica che diventa per lui, e in questo lo seguiamo assoluatmente, “aletica” e d’altro

lato sul “senso comune” che è il punto di partenza di ogni pensiero sensato.

Alcuni ambienti de facto fuori della Chiesa cattolica come quelli tradi-protestanti hanno cercato di appropriarselo ancora una volta torcendo la verità,

come sempre loro incancrenato vizio, citandone frasi fuori contesto secondo loro abitudini e commentandolo a torto e a casaccio. Già in gennaio di

quest’anno abbiamo avuto occasione nel nostro post “Sculacciata di Mons. Antonio Livi ai filo-tradi-protestanti di ogni risma” di mostrare quanto egli

fosse lontano da quelle posizioni che sono il tarlo di quel pensiero para-cattolico.

Oggi abbiamo il piacere di rinviare caldamente i nostri lettori ad un’intervista di Mons Livi apparsa sul sito Cooperatores Veritatis, dove questo

maggiore filosofo cattolico si esprime esattamente su tutti i principali soggetti che da sempre sono a cuore a Croce-Via come la metafisica, l’ermeneutica

della continuità, l’obbedienza al Magistero , l’incombente Sinodo sulla Famiglia. Ne diamo qualche citazione e rinviiamo i lettori al sito originale per la

lettura completa e contestualizzata

Circa la Metafisica e la Teologia:

“La metafisica non è un optional per l’intelligenza. Essa è l’essenza stessa della filosofia, in quanto

esigenza razionale dell’uomo che desidera orientarsi nel mondo in cui vive e si domanda da dove

viene, dove va e che ruolo gli spetta nella vita. La filosofia è ricerca di quella sapienza che è molto

più necessaria per l’uomo di quanto non siano le conoscenze tecniche offerte dalle scienze

particolari. Questa sapienza l’uomo la trova in sé stesso, inizialmente, nelle certezze fondamentali

che costituiscono il “senso comune”, e poi anche nella religione naturale, che è presente in forme

diverse tutte le civiltà. Ma un approccio propriamente scientifico (ossia rigoroso e dimostrativo) ai

grandi temi della sapienza è pure necessario, e per questo la civiltà greca classica elaborò una

“scienza dell’intero” che è appunto la metafisica. Essa fu ed è tuttora talmente ricca di vera

sapienza naturale che il cristianesimo, quando si diffuse nel modo ellenistico, ne fece lo strumento

privilegiato dell’interpretazione razionale della verità rivelata. “

… la dignità dell’uomo è stata difesa e attuta nella prassi sociale proprio dalla teologia cristiana,

che ha elaborato già nell’età patristica l’originale e feconda nozione dell’uomo come “persona”. E

questa preziosa nozione è di natura schiettamente metafisica, tant’è che coloro che la mettono da

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parte non hanno più argomenti per difendere la vita dalla prassi abortista e dalle leggi che la

giustificano.

La vera teologia è quella scienza che fa un cristiano che crede alla rivelazione divina, formalizzata

nei dogmi della Chiesa, e tenta di illustrare razionalmente i contenuti di questa rivelazione,

svolgendo così una missione culturale preziosa al servizio della fede di tutti noi. Quando invece uno

studioso, cattolico o luterano che sia, prescinde dalla verità della rivelazione divina e mette i dubbio

o interpreta arbitrariamente i dogmi della fede, le sue tesi sono mera “filosofia religiosa”. La

“filosofia religiosa” si riconosce subito, perché è sempre un discorso ambiguo, spesso soltanto

retorico, che tenta di imporre anche ai credenti una sapienza meramente umana, con la pretesa di

possedere una conoscenza superiore rispetto alla fede dei “semplici” e persino rispetto al

magistero della Chiesa (tecnicamente questo si chiama “gnosticismo”).

…. Pierre Teilhard de Chardin, Karl Rahner, Edward Schillebeeckx, Bernhard Häring, Johann

Baptist Metz e Hans Küng sono tutti autori di teorie teologiche false, in quanto contrarie allo spirito

e talvolta anche alla lettera del dogma cattolico. Le loro opere sono tutte espressioni della medesima

filosofia religiosa di stampo immanentistico e progressistico, anche se ciascuno di essi ha lavorato

in campi diversi. [Di Henri de Lubac, Jean Daniélou, Hans Urs von Balthasar, John Courtney

Murray; Yves Congar, Dominique Chenu, Louis Bouyer] si può dire che sono teologi seri, autori di

opere importanti, anche se alcuni di loro hanno aderito talvolta a correnti di pensiero di

orientamento fideistico. Ci sono poi altri nomi da ricordare tra i veri teologi, ad esempio lo svizzero

Charles Journet e naturalmente il tedesco Joseph Ratzinger.”

Circa il Magistero della Chiesa:

“… il criterio cattolico per discernere il vero profeta dal falso profeta e il buon maestro dal cattivo

maestro è la fedeltà ai dogma cattolico. … . Poi Gesù ha voluto affidare la rivelazione dei misteri

della salvezza agli Apostoli, dicendo: «Chi ascolta voi, ascolta me; chi disprezza voi disprezza me».

Quindi, noi cattolici dobbiamo dare retta sempre e soltanto al magistero della Chiesa, ossia alla

dottrina degli Apostoli e dei loro successori, una dottrina che costituisce una catena ininterrotta di

fedele trasmissione degli insegnamenti e dei comandamenti di Cristo Maestro. …”

Circa l’ermeneutica della continuità: Sono state dette tante cose sul Vaticano II in questi cinquant’anni. Io, come cattolico, non voglio

parlarne se non come un momento di quella «evoluzione omogenea del dogma» (secondo

l’espressione felice di Marin Sola) che assicura sempre ai fedeli la trasmissione fedele della dottrina

di Cristo e la sua opportuna applicazione pastorale in ogni tempo. Questo concilio ecumenico non

ha voluto introdurre alcuna variazione sostanziale nel dogma, ma solo aprire la strada a una nuova

evangelizzazione, nei modi ritenuti più confacenti alla situazione culturale del mondo moderno. Le

riforme conciliari, come quella della liturgia, sono state viste come utili alla pastorale anche da

personalità ecclesiastiche di profonda spiritualità e di sicura ortodossia, come il cardinale Siri (vedi

Giuseppe Siri, Dogma e liturgia, a cura di Antonio Livi, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma

2014). Certo, ci sono stati anche tanti orribili abusi liturgici, ma sono tutti contrari alla lettera e

allo spirito dei decreti conciliari. Como sono contrari alla lettera e allo spirito dei decreti conciliari

i discorsi di chi manipola il Vaticano II per imporre, sotto l’etichetta di “teologia conciliare”, la

propria ideologia. Il Vaticano II è un momento del magistero ecclesiastico, che ha come unici

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titolari i vescovi in comunione con il Papa. Un concilio è autorevole perché un Papa lo ha

convocato, un Papa lo ha presieduto e infine un Papa lo ha promulgato. Il Concilio non è

un’assemblea di teologi, con una maggioranza (i progressisti) che ha vinto e una minoranza (i

conservatori) che è stata sconfitta. Lo ha spiegato bene papa Benedetto XVI, quando ha voluto

distinguere opportunamente tra il vero Concilio e il «concilio dei media». E qui torniamo al discorso

dei falsi profeti e dei cattivi maestri, il cui imperdonabile peccato è di essersi sostituiti

arbitrariamente, con l’uso accorto della retorica, a chi nella Chiesa ha autorità (divina) per

insegnare, dirigere e santificare.”

Circa Papa Francesco :

“… Papa Francesco, quando ha parlato come maestro della fede, non ha mai contraddetto i suoi

predecessori. I suoi due unici documenti dottrinali (l’enciclica Lumen fidei e l’esortazione

apostolica Evangelii gaudium) non contengono alcun insegnamento in contrasto con quelli di

Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. “

Circa l’obbedienza :

“ Preciso solo una cosa: la disobbedienza al papa si ha solo quando si agisce contro ciò che è

stabilito dal Diritto canonico o è stato formalmente ordinato dall’autorità pontificia attraverso uno

dei dicasteri della Santa Sede. Non c’è disobbedienza se un fedele cattolico assume opinioni e attua

iniziative all’interno di quei precisi margini di libertà che la Chiesa gli riconosce.”

Circa i prossimi Sinodi

“Se da una parte il cardinal Kasper (che come teologo è assai ambiguo e incoerente) vaneggia di

una presunta “pastorale” che di fatto mette da parte il dogma sacramentario e il diritto canonico,

altri cardinali teologicamente molto più credibili (tra gli altri, Carlo Caffarra, Mauro Piacenza e

Walter Brandmüller) hanno chiarito a più riprese che nella Chiesa la pastorale è un’applicazione

fedele e intelligente del dogma all’opera di santificazione dei fedeli. Non è una mera prassi di

“accoglienza” e di benevolenza umana con le persone che sono in stato di peccato mortale e non ne

vogliono uscire, cambiando vita e ricorrendo al sacramento della riconciliazione. La pastorale è

incoraggiamento alla conversione, non connivenza con il peccato altrui (forse per rendere la

propria coscienza meno avvertita circa i peccati propri).”

Escludo nel modo più categorico la possibilità che il Papa avalli un sinodo dei vescovi nel quale

venga abolita la dottrina sacramentaria e canonica sul matrimonio e l’Eucaristia. … La Chiesa è

di Cristo, ripeteva Benedetto XVI negli ultimi giorni del suo pontificato. Ciò significa che noi,

semplici fedeli, nel tempo del nostro pellegrinaggio terreno non dobbiamo fare altro che essere

personalmente fedeli, cioè vivere uniti a Cristo con la grazia santificante, e poi adoperarci con tutti

i mezzi dell’apostolato affinché anche gli altri (quelli che possiamo orientare con il nostro esempio e

la nostra parola) lo siano. Poi, lasciamo tutto nella mani della Provvidenza, e non pretendiamo di

sostituirci ad essa.”

In Pace