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CRIMINOLOGIA, RIASSUNTO (manca parte a scelta che è sul quaderno) CAPITOLO IV, GLI STUDI BIO-ANTROPOLOGICI 1) La questione eredità-ambiente La dicotomia tra antropologia criminale e sociologia criminale ha prodotto due correnti di pensiero: l’una imperniata sulla vis generativa, ereditaria ed individuale, l’altra sulla vis nutritiva, sociale (concetto di nature and nurture). Tale concetto fu influenzato particolarmente dalla teoria della tabula rasa di John Locke che, insieme alla prima psicologia sperimentale, dava enfasi al ruolo dell’esperienza. La sociologia, se dapprima accoglie la teoria evoluzionista darwiniana applicandola ai fenomeni sociali ed economici, poi inizia a prendere le distanze dai contributi sull’ereditarietà e sul determinismo biologico dettati dal darwinismo sociale. Quest’ultimo riguarda le teorie psicologiche e sociologiche che, utilizzando la concezione evoluzionista di Darwin, studiarono le trasformazioni dei sistemi sociali e ne interpretarono i conflitti (concetti di razza superiore e inferiore e di sopravvivenza del più adatto). Da qui nasce anche il collegamento con i primi sostenitori dell’eugenetica. Tuttavia, la confusione tra obiettivi politici e di propaganda e aspetti scientifici portò a diversi effetti deleteri (es. igiene della razza, leggi sulla sterilizzazione degli individui). Alcune teorie sostengono l’idea che il comportamento deviante debba esser messo in relazione con le caratteristiche fisiche dell’individuo, altre danno importanza all’ereditarietà e alla genetica. In ogni caso, per comprendere l’atto criminale si deve considerare sempre l’interazione tra l’uomo e l’ambiente (teorie bio-sociali). La ricerca biologica ha evidenziato in definitiva l’influenza sul comportamento deviante di fattori genetici, bio-chimici e neuro-fisiologici. Infine, con gli ulteriori sviluppi delle neuroscienze e della genetica si è riportato alla luce l’eterno dilemma sull’esistenza o meno del cosiddetto “gene del male” e la sua importanza nel campo del comportamento antisociale. 2) Antropo-biologia e criminalità. Le tipologie costituzionali La genetica del comportamento è una scienza che cerca di spiegare il livello e la natura della determinazione genetica nelle somiglianze e differenze del comportamento dei singoli soggetti. Ereditario -> caratteri morfologici e fisiologici trasmessi alla progenie Innato -> derivante dai geni, ma non necessariamente ereditato Congenito -> ciò che è presente alla nascita, ma non necessariamente innato Costituzionale -> riferito alla costituzione fisiologica e al substrato biologico

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CRIMINOLOGIA, RIASSUNTO

(manca parte a scelta che è sul quaderno)

CAPITOLO IV, GLI STUDI BIO-ANTROPOLOGICI

1) La questione eredità-ambiente

La dicotomia tra antropologia criminale e sociologia criminale ha prodotto due correnti di

pensiero: l’una imperniata sulla vis generativa, ereditaria ed individuale, l’altra sulla vis nutritiva,

sociale (concetto di nature and nurture). Tale concetto fu influenzato particolarmente dalla teoria

della tabula rasa di John Locke che, insieme alla prima psicologia sperimentale, dava enfasi al ruolo

dell’esperienza.

La sociologia, se dapprima accoglie la teoria evoluzionista darwiniana applicandola ai fenomeni

sociali ed economici, poi inizia a prendere le distanze dai contributi sull’ereditarietà e sul

determinismo biologico dettati dal darwinismo sociale. Quest’ultimo riguarda le teorie

psicologiche e sociologiche che, utilizzando la concezione evoluzionista di Darwin, studiarono le

trasformazioni dei sistemi sociali e ne interpretarono i conflitti (concetti di razza superiore e

inferiore e di sopravvivenza del più adatto). Da qui nasce anche il collegamento con i primi

sostenitori dell’eugenetica. Tuttavia, la confusione tra obiettivi politici e di propaganda e aspetti

scientifici portò a diversi effetti deleteri (es. igiene della razza, leggi sulla sterilizzazione degli

individui).

Alcune teorie sostengono l’idea che il comportamento deviante debba esser messo in relazione

con le caratteristiche fisiche dell’individuo, altre danno importanza all’ereditarietà e alla genetica.

In ogni caso, per comprendere l’atto criminale si deve considerare sempre l’interazione tra l’uomo

e l’ambiente (teorie bio-sociali).

La ricerca biologica ha evidenziato in definitiva l’influenza sul comportamento deviante di fattori

genetici, bio-chimici e neuro-fisiologici. Infine, con gli ulteriori sviluppi delle neuroscienze e della

genetica si è riportato alla luce l’eterno dilemma sull’esistenza o meno del cosiddetto “gene del

male” e la sua importanza nel campo del comportamento antisociale.

2) Antropo-biologia e criminalità. Le tipologie costituzionali

La genetica del comportamento è una scienza che cerca di spiegare il livello e la natura della

determinazione genetica nelle somiglianze e differenze del comportamento dei singoli soggetti.

Ereditario -> caratteri morfologici e fisiologici trasmessi alla progenie

Innato -> derivante dai geni, ma non necessariamente ereditato

Congenito -> ciò che è presente alla nascita, ma non necessariamente innato

Costituzionale -> riferito alla costituzione fisiologica e al substrato biologico

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Genotipo -> comprende sia i caratteri innati sia quelli ereditari, è il patrimonio genetico

dell’individuo

Fenotipo -> comprende le caratteristiche morfologiche e funzionali dell’individuo prodotte

dall’interazione dei geni tra loro e con l’ambiente.

Partendo dall’affermazione che il comportamento umano è il risultato di alcune caratteristiche

fisiche e biologiche, i primi criminologici studiarono tali caratteristiche per arrivare a definire i

connotati distintivi del “tipo criminale”. Cesare Lombroso fu il primo che si spinse in questa

direzione trovando in alcuni delinquenti caratteristiche fisiche inferiori comuni (asimmetria

facciale, naso schiacciato, orecchie a sventola con lobo allungato, labbra carnose, braccia lunghe).

Tra la fine dell’800 e i primi del ‘900 ci furono i primi tentativi di individuare le determinanti

biologiche della deficienza mentale e di varie forme di comportamento deviante e criminale che

iniziarono con gli studi sulle famiglie criminali.

Tra i nomi da citare ricordiamo:

- Charles Goring, pur negando l’esistenza di un tipo fisico criminale, rilevò dai suoi studi che

coloro che erano meno intelligenti e meno dotati sul piano fisico presentavano una

predisposizione più elevata per il crimine;

- Earnest Albert Hooton sostenne che i delinquenti erano inferiori in quasi tutte le

misurazioni corporee e che tale inferiorità era dovuta all’ereditarietà.

Molti studiosi poi hanno collegato il tipo somatico con il temperamento tentando di dimostrare

l’esistenza di una relazione tra determinati tipi costituzionali e vari aspetti della personalità. Ernst

Kretschmer ne distinse tre:

- Il tipo leptosomo: snello, testa piccola, torace ristretto, spalle esili, ossatura delicata,

carattere rigido, freddo, riservato e poco socievole;

- Il tipo atletico: muscoloso, ossatura grossa, torace ampio, temperamento stabile, non

nervoso, ma a volte esplosivo;

- Il tipo picnico: corpo tozzo, viso largo, carattere allegro, socievole e affabile

- Il tipo displastico differente dagli altri tre, ma caratterizzato da disturbi ghiandolari.

Kretschmer individuò poi se vi fosse una relazione tra i tipi costituzionali e la predisposizione verso

alcune malattie mentali: egli definì schizotimici i tipi leptosomi e atletici (=avrebbero più

facilmente sviluppato una schizofrenia se avessero contratto una malattia mentale) e ciclotimici i

picnici (=più probabilità di diventare maniaco-depressivi). Successivamente, mise in relazione tali

tipologie con il delitto rilevando come i tipi costituzionali si distribuissero proporzionalmente nei

delinquenti come nella popolazione in generale: i leptosomi erano più frequenti tra ladri e

truffatori, gli atletici tra coloro che commettevano delitti contro la persona e sessuali, i picnici fra

gli autori di frodi e i displastici tra i delinquenti sessuali.

William Sheldon rilevò un’elevata correlazione tra tre tipi corporei e un determinato tipo

temperamentale:

- Gli ectomorfi (leptosomi) in cui prevale inibizione, riflessione e ipersensibilità;

- I mesomorfi (atletici) in cui prevale piacere per l’attività muscolare, aggressività verso gli

altri e l’autoimporsi; -> sembrano, per Sheldon, quelli più coinvolti nel comportamento

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criminale per via di alcuni loro tratti predisponenti ad atti aggressivi, ma giocano un forte

ruolo (come noteranno autori successivi) anche l’apprendimento e i condizionamenti

ambientali.

- Gli endomorfi (picnici) in cui prevale l’amore per le comodità, socievolezza, affettività,

ghiottoneria.

Per ultimo va citato Eysenck che ha ipotizzato nei criminali l’eredità di un sistema nervoso centrale

che non si fa condizionare dai processi di socializzazione e dall’apprendimento sociale e tali

caratteristiche predispongono poi l’individuo verso condotte antisociali.

3) Studi genetici sui gemelli e sui soggetti adottati

Si è studiata la relazione tra il tipo di comportamento antisociale dei gemelli monozigoti e quello

dei gemelli dizigoti. Assumendo che l’ambiente sociale sia lo stesso per entrambi i gemelli, se

l’ereditarietà gioca un ruolo importante nel determinare il comportamento criminale, si dovrebbe

giungere al risultato che i gemelli monozigoti dovrebbero averlo simile rispetto ai gemelli dizigoti.

Dai diversi studi effettuati è emerso che nei gemelli monozigoti c’è una caratteristica genetica che

aumenta la probabilità che loro siano coinvolti in azioni criminali. Tuttavia, la somiglianza rilevata

nel comportamento di tali gemelli potrebbe essere dovuta a una maggiore conformità di

esperienze nel processo di socializzazione e nell’ambiente di appartenenza come ad un loro

identico substrato ereditario.

Gli studi sui soggetti adottati hanno analizzato se il loro comportamento fosse più simile a quello

dei genitori adottivi (influenza dei fattori ambientali) oppure a quello dei genitori biologici

(influenza dei fattori genetici); è emersa una maggiore concordanza della delinquenza con la

condotta deviante dei genitori biologici.

Il problema rimane comunque aperto perché da altre ricerche è emerso il ruolo svolto dai fattori

ambientali.

4) Il cromosoma criminale

Dalle ricerche effettuate sulla relazione tra caratteristiche genetiche innate e criminalità è emerso

che coloro che possiedono una mutazione genetica relativa al cromosoma extra Y sono

maggiormente predisposti a comportarsi in maniera antisociale e violenta. Da notare le

implicazioni relative a tali soggetti sul piano dell’imputabilità e della pericolosità sociale ai fini della

punibilità; essi, infatti, non avrebbero alcuna possibilità di interventi riabilitativi e rischierebbero

l’ergastolo o di essere internati a vita in ospedali di massima sicurezza. Studi successivi hanno poi

disconfermato la relazione tra l’anomalia cromosomica XYY e la malattia mentale o il

comportamento deviante.

5) I fattori biochimici

Molti studiosi hanno rilevato differenze significative sul comportamento in base al tipo di

nutrizione, disfunzioni cerebrali e agire deviante.

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- Un elevato contenuto di zucchero o al contrario un significativo basso contenuto di

zucchero, basso consumo di triptofano e carenze vitaminiche sono state associate a

condotte criminali.

- Altri ricercatori hanno collegato i livelli di androgeni e testosterone con l’antisocialità; più

sono elevati tali livelli più frequenti sono i comportamenti violenti.

- Altre analisi hanno associato le attività devianti delle donne con le variazioni ormonali

legate al ciclo mestruale.

- Ulteriori studi si hanno sulle cerebro e neuro allergie in rapporto alle condizioni ambientali;

quando una sostanza (es. serotonina) è presente in eccesso la persona attua

comportamenti che potrebbero trasformarsi in criminali.

- Non vanno trascurati gli effetti dei prodotti chimici sul comportamento (inquinamento

ambientale).

- Sostanze stupefacenti, alcool e droghe provocano violenza, aggressione, irritabilità,

agitazione che potrebbero trasformarsi in condotte criminali.

6) Neuroscienze e crimine

Biologi e neuroscienziati hanno cercato di analizzare il ruolo svolto dai fattori neurofisiologici

nell’agire deviante servendosi dell’EEG, ovvero si è cercato di capire se vi fosse o meno una

relazione tra alcuni tipi di onde cerebrali anomale e il comportamento antisociale. I risultati

mettono in evidenza la presenza di anormalità nei tracciati dei criminali violenti con discontrollo

degli impulsi. -> Disturbo da deficit di attenzione\iperattività: disturbo del neurosviluppo che porta

a difficoltà di concentrazione ed a manifestazioni impulsive che determinano disadattamento

sociale e a volte comportamenti a rischio di devianza. Caratteristiche: carenza dell’attenzione,

manifestazioni impulsive e iperattive prima dei 12 anni di età, ostinazione, ribellione, negativismo,

prepotenza, labilità d’umore, scarsa tolleranza alle frustrazioni, bassa autostima… Fattori

predisponenti: ritardo mentale lieve o moderato, epilessia, forme di paralisi cerebrale. Cause:

esposizione a neurotossine, stress prenatale, abuso.

Anche disfunzioni e danni cerebrali possono essere collegati al comportamento deviante;

attraverso raggi X, TAC e RM, si sono associati deficit funzionali e strutturali soprattutto nella

regione della corteccia prefrontale con comportamenti antisociali e violenti.

Medicinali, sostanze chimiche o stupefacenti, lesioni cerebrali come traumi cranici e neoplasie

spesso causano una modificazione nella personalità e nel comportamento che implica labilità

emotiva, apatia, idee paranoidi, poco controllo degli impulsi, comportamenti socialmente

sconvenienti. -> Disturbo organico di personalità\modificazione della personalità dovuta ad una

condizione medica generale: sindrome prefrontale con deficit cognitivi e\o disturbi

comportamentali, emotivi e motori. Un comportamento impulsivo o esplosivo può essere di

pericolo per il soggetto stesso e per gli altri fino a diventare causa di gravi delitti.

Soggetti affetti da tumore cerebrale potrebbero trasformarsi in aggressivi e violenti proprio a

causa di una forma tumorale nel cervello e sviluppare atteggiamenti sociopatici e sessuali alterati.

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Dalle diverse indagini formulate anche più recentemente è emerso come l’origine degli

atteggiamenti devianti sia per metà da attribuire a fattori genetici e per l’altra metà a fattori

ambientali.

Si è poi cercato di trovare il gene specifico che potrebbe essere legato all’origine di tali

comportamenti: il MAO-A potrebbe essere il gene ed è ereditario soprattutto in soggetti

maltrattati durante l’infanzia. La questione ha una sua importanza anche se si guardano i risvolti in

campo forense di tutto ciò: un soggetto affetto da un disturbo psicopatologico potrebbe vedersi la

pena ridotta o potrebbe anche venire assolto.

In conclusione, molte ricerche genetiche e neuroscientifiche sono entrate a pieno titolo anche

nella letteratura criminologica senza dimenticare che si deve considerare un paradigma biosociale

riferito al crimine che permetta di comprendere i legami tra ambiente sociale, cervello e

comportamento. La presenza di una patologia organica o anomalia cerebrale o alterazione

genetica può provocare un comportamento deviante ed essere considerata determinante

indipendentemente dalle condizioni ambientali, ma si deve comunque ricordare che tali teorie

non offrono una spiegazione valida per la maggior parte degli atti criminali commessi da persone

normodotate. Si auspica un cammino di integrazione tra diverse discipline: le neuroscienze che

servono per comprendere il funzionamento del sistema nervoso e di conseguenza individuare

adeguati trattamenti terapeutici e le scienze umane che servono per conoscere e spiegare le

esperienze e i significati che il soggetto attribuisce alle proprie azioni.

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CAPITOLO V, PSICOLOGIA E DELITTO

1) Alcuni concetti fondamentali

Ci sono numerose interpretazioni del crimine in ambito psicologico in cui è enfatizzato il ruolo

dell’autore nella criminogenesi e nella criminodinamica→ in questo approccio si da maggior

rilevanza ai tratti di personalità nei comportamenti e azioni devianti.

È necessario definire e distinguere 3 concetti:

Temperamento→ deriva dal greco “temperamentus” = mescolanza, in questo caso mescolanza

dei

vari umori del corpo.

In generale il temperamento ha una base innata e biologica e si può definire come disposizioni

e tendenze innate peculiari che ogni individuo ha e utilizza nell’operare nel mondo e nell’agire

nell’ambiente.

Ippocrate e Galeno distinguono 4 tipi di temeperamento:

Collerico o bilioso

Sanguigno o nervoso

Flemmatico o linfatico

Melanconico o atrabiliare

Kretschmer identifica 2 tipi di temperamento:

- Schizotimico

- Ciclotimico

Altri autori (Birnbaum)→ il temperamento è un aspetto formale della personalità nei fattori

istintivo-affettivi che condizionano il comportamento

Il temperamento si differenzia dal carattere poiché non comprende le qualità dell’individuo che

orientano le direttive della sua condotta.

Carattere→ per Kahn si divide in 2 elementi principali:

La valutazione dell’io rispetto al mondo

Lo scopo delle direttive

In altre parole, il carattere è visto come un’interazione fra il temperamento e l’ambiente in

cui il soggetto è inserito, mostrandosi come una componente dinamica che si modifica nel il

tempo e con gli eventi che ne plasmano gli effetti. Queste modificazioni non avvengono ad

un livello profondo e si riducono man a mano che si invecchia.

In generale il carattere deriva dal greco e significa scalfire, impronta, segno impresso e lo si può

definire come la particolarità, l’impronta, che la persona lascia nelle sue azioni e che si manifesta

in

determinati tipi di esperienza sistematizzati come totalità→ costituisce un aspetto della

personalità.

- In filosofia, Kant suddivide in mondo:

fenomenico→ con carattere empirico (azioni determinate)

noumenico→ con carattere intellegibile (libero)

Personalità→ deriva dal latino e significa maschera; in generale si può definire come la totalità

affettivo-volitivo del soggetto, compresi la tendenza istintiva, il temperamento e il carattere.

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• Allport definisce la personalità come “l’organizzazione dinamica all’interno dell’individuo di

quei sistemi psicofisici che determinano il suo adattamento unico all’ambiente”.

• L’approccio sistemico vede la personalità all’interno del processo di “causalità circolare”, in

cui la personalità interagisce e reagisce con l’ambiente in una dinamica di reciprocità.

Mettendo insieme queste visioni si può quindi definire la personalità come “l’organizzazione di

attitudini, credenze, abitudini e comportamenti, oltre ad altre caratteristiche, che si sviluppa

nell’individuo attraverso l’interazione sociale.”

Dalla prospettiva psicologica, quindi, è un’acquisizione che si ha dopo la nascita essendo la

risultante della socializzazione e delle relazioni sociali.

Le teorie Psicologiche della criminalità possono avere focus diversi:

➢ Alcune danno rilevanza all’influenza di:

Processi mentali

Esperienze dell’infanzia

Pensieri inconsci

➢ Alcune danno attenzione:

Apprendimento sociale

Percezione

➢ Alcune invece pongono l’attenzione:

⸰ Inadeguatezza o immaturità della personalità

⸰ Senso di frustrazione

2) Psicoanalisi: Freud e il delinquente per senso di colpa

Per molto tempo psicologi e psichiatri si sono interrogati attorno alle personalità criminali senza

giungere ad una spiegazione esaustiva.

Freud diede un contributo importante alla criminologia grazie alle sue teorie sulla

personalità, aiutando a spiegare il comportamento antisociale.

Nei suoi scritti, egli definisce la personalità come il risultato dell’esperienza sociale

evidenziando l’importanza dell’esperienze dell’infanzia e i conflitti derivanti dalle richieste

che la società avanza con i bisogni individuali.

Freud nella personalità distingue tre parti:

Io→ è la parte razionale che frena gli impulsi biologici dell’es; parte della struttura

psichica conscia e razionale; è il mediatore tra l’es (pulsioni) e il super-io (imperativi).

Fattore di legame dei processi psichici, zona difensiva della personalità dove risiedono i

meccanismi di difesa

Es→ costituisce la parte pulsionale, più istintiva che risiede nella nostra coscienza; in

parte è innata/ ereditaria in parte è acquisita/rimossa; riconducibili a Eros (istinto vita) /

Thanatos (istinto morte) che possono essere rivolti anche all’esterno; non ha il senso del

tempo, dell’ordine e della morale, solo spinta verso il piacere

Super-io→ è l’insieme delle regole etiche e morali che sovrastano l’es e la ragione (io);

interiorizzazione delle norme, regole, divieti dei genitori e della società; funzione di

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coscienza sociale, auto-osservazione; è la componente che permette la messa in atto di

comportamenti accettati socialmente e reprime gli istinti asociali; da una visione dell’io

ideale secondo l’aspettativa sociale.

Freud ricollega la criminalità ad un inconscio senso di colpa che prova il soggetto, infatti

ritiene che alcuni criminali mentre commettono l’atto hanno una percezione persistente del

senso di colpa che è la motivazione scatenante del comportamento criminale→ secondo lui

infatti, il comportamento criminale potrebbe essere il risultato di “un conscio iperattivo che

causa un potente senso di colpa”, e che viene messo in atto per poi essere arrestati e puniti

in modo da ottenere un sollievo mentale dal senso di colpa.

Le condotte antisociali sono il senso di colpa che insorge come risultato tra il conflitto del

super-io con i desideri aggressivi e sessuali infantili.

Questa ipotesi non si può estendere a tutti i criminali.

La tesi freudiana del senso di colpa del delinquente viene rivista e ripresa da varie teorie

psicoanalitiche (e sono quelle esposte nei paragrafi successivi).

3) Reik e la coazione a confessare

T. Reik nella sua teoria parla della “Coazione a confessare” ovvero la “manifestazione attraverso atti

di dimenticanza (lapsus) e di trascuratezza sulla scena del delitto, oppure con atteggiamenti di

disprezzo e arroganza, quasi provocatori, in sede di interrogatorio di polizia e di giudizio”. Sono

come delle forme di auto-accusa che reik dice essere dovute al bisogno di punizione per il senso di

colpa, poiché il sollievo da senso di colpa lo si ottiene solo se il delitto viene scoperto (secondo

Mannheim un es. è “delitto e castigo”).

Rispetto alle teorizzazioni di Freud e Reik ci sono 2 ipotesi:

1- Il senso di colpa porta a commettere un delitto, ricercando la punizione per ottenere sollievo

ma che in un secondo momento spinge la persona a reiterare il delitto per ottenere un’altra

punizione→ possibile interpretazione per criminali recidivi.

2- In questo caso il desiderio della punizione e il senso di colpa sono così intensi che il soggetto

non volendo liberarsi facilmente e rischiando di vedere diminuita la pena, decide di non

confessare

In questo caso Reik sostiene che la punizione sia inefficace e anzi controproducente, poiché

invece che avere effetto deterrente sul delinquente potrebbe attrarlo nel commettere altre

azioni criminali, portando ad essere mancante la funzione preventiva.

Musatti sostiene che le funzioni superiori della pena derivino da una razionalizzazione

secondaria operata dal pensiero giuridico.

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4) La diagnostica criminale di Alexander e Staub

Contributi importanti sono dati alla psicocriminogenesi da studi psicoanalitici. Freud mette in

evidenza due tratti fondamentali per la psicologia criminale: 1) l’egoismo e 2) una forte tendenza

distruttiva.

Alexander, Staub e Healy formulano una nuova teoria dove viene riconosciuto il ruolo importante

dell’es nell’agire e negli impulsi criminali ma viene anche mostrato il ruolo fondamentale dell’io,

infatti quando quest’ultimo è fragile è più probabile che si mettano in atto comportamenti devianti.

In questa teoria, gli autori classificano la criminalità gradualmente in relazione alla partecipazione

che avviene dell’Io:

a) Criminalità fantastica→ l’io partecipa in minima parte e le azioni criminali, qui, rimangono a

livello di sogni e fantasie→ il super-io è molto forte e non permette all’aggressività di realizzarsi

mentre l’io compie una dislocazione portando gli istinti a livello di fantasia

b) Criminalità accidentale→ qui la partecipazione da parte dell’io aumenta e avviene ad opera di

persone non criminali→ il super-io non permette che vi sia un’aggressività diretta ma si

manifesta attraverso l’io che mette in atto con condotte imprudenti

c) Criminalità cronica→ la partecipazione dell’io risulta totale e avviene ad opera di personalità

criminali→ gli autori ne distinguono 4 sottocategorie:

➢ Azioni criminose per processi tossici o biopatologici→ sono reati prodotte da persone

affette da patologie mentali su base biologica, con gravi ritardi mentali o dovuti ad

intossicazione cronica da sostanze

➢ Azioni criminose dovute da motivazioni inconsci→ vi è un forte conflitto tra ES e Super-io

che trova soluzione nell’azione deviante, non è una scelta dell’io criminale ma è una

riduzione della tensione conflittuale. (es. piromani, cleptomania, ecc..)→ collegate a nevrosi

ossessivo-compulsiva e a razionalizzazioni psicotiche in cui la colpa viene proiettata

all’esterno sugli altri

➢ Azioni criminose del delinquente normale con Super-io criminale→ la formazione del

super-io avviene con un’identificazione con modelli criminali; in questa sottocategoria

rientrano vagabondi, capibanda, professionisti criminali, ovvero soggetti che si sono

integrati e adattati ad una sottocultura criminale

➢ Azioni criminose da delinquente genuino senza Super-io →il soggetto è inadatto alla vita

sociale e traduce i suoi impulsi istintivi in azioni immediate; è quindi privo di un controllo

interiore e di un’interiorizzazione.

In questa teoria viene anche messa in evidenza l’importanza del super-io nella

manifestazione di comportamenti criminali.

5) Antisocialità per impulsi proibiti dei genitori di Johnson

Bowlby ha evidenziato l’importanza dei legami affettivi e come la carenza affettiva da parte dei

genitori o la troppa severità possa creare nel figlio conflitti irrisolti e sensi di colpa insoddisfatti

provocando il bisogno di creare situazioni che comportino delle punizioni. In questi casi il Super-io

dei bambini si è sviluppato in maniera discontinua e incostante creando delle lacune che avranno

delle ripercussioni anche a livello antisociale o scolastico.

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Johnson crea la teoria eziologica della delinquenza individuale inconscia che parte dal presupposto

che il le modalità antisociali del figlio siano inconsciamente sia sanzionata che incoraggiata dai

genitori, che ottengono attraverso le azioni del figlio la soddisfazione a dei loro impulsi proibiti e

poco integrati. Questo elemento genitoriale può essere la causa dei comportamenti antisociali del

minore, da cui si possono anche individuare il tipo di comportamento deviante e le tecniche che

saranno adottate.

L’autore, infatti sostiene che passare da un completo permissivismo (dato dall’approvazione

inconscia) a punizioni e proibizioni farà sentire il figlio ingannato e tradito e insegnandogli a sua volta

ad ingannare.

Personalità psicopatiche sono ritenute dall’autore, lo sviluppo e maturazioni di una coscienza etica

difettosa.

Le lacune presenti nel Super-io sono sia nei figli che nei genitori, e quest’ultimi attraverso i primi

possono ottenere la soddisfazione inconscia alle proprie tendenze devianti.

Secondo Johnson, però, questa teoria può spiegare solo comportamenti devianti di giovani che

appartengono a classi agiate; altri autori, invece, ritengono che questa teoria valga anche per ragazzi

appartenenti a classi sociali basse visto che gli atteggiamenti genitoriali e la formazione del super-

io sono precedenti all’entrata nelle gang in cui invece verrà acuita la personalità antisociale.

6) Mailloux e la teoria della “pecora nera”

In criminologia un altro concetto molto importante è quello di identità, definita come

“organizzazione costante nel tempo, nello spazio e nei contesti sociali, della rappresentazione

mentale del soggetto, della sua presentazione pubblica della percezione e del sentimento del sé.”

Quindi si possono ritrovare 2 dimensioni rispetto all’identità:

- Quella intrapsichica

- Quella culturale-relazionale

Nelle analisi di devianza ci si è riferiti molto alla “scelta dell’identità negativa” durante l’adolescenza

proposta da Erikson.

Strettamente connessa al concetto di identità, vi è la teoria sulla personalità del delinquente “tipico”

proposta da Mailloux. L’autore sostiene che il giovane delinquente si caratterizzi per una percezione

di sé negativa che deriva dall’interiorizzazione di aspettative negative rispetto a se date dai genitori

o da figure significative, in altre parole l’ambiente invia messaggi negativi al ragazzo che poi li

assimila e in cui poi s’identifica, e che lo portano poi a compiere azioni devianti reiterandole e a cui

seguiranno punizioni che confermeranno l’immagine negativa di sé, creando un circolo vizioso.

Il sentimento che insorge nel ragazzo è di inferiorità e disagio sociale che lo porterà a creare

un’immagine di se come cattivo compensando così l’inadeguatezza e avvicinandolo a sottoculture

delinquenti dove sarà accettato. Secondo lo studioso P.A. Achille la ricerca d’identità in questi

ragazzi si ha grazie alla socializzazione con il gruppo e dove l’identità negativa troverà sostegno e

dove prenderà il sopravvento il super-io di gruppo e portando quindi il ragazzo a diventare da adulto

un criminale professionista che, quando condannato pubblicamente avrà una riconferma della sua

identità negativa.

In questi casi la rieducazione dovrebbe consistere in un percorso a ritroso dove il soggetto arriva a

rielaborare le varie fasi fino al giudizio della “pecora nera” dato dalle figure significative.

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Tra studi sociologici interazionisti-simbolici vi è la teoria dell’etichettamento di Becker che sostiene

che “è il significato sociale dell’esperienza che porta alla stabilizzazione della devianza.”

7) I meccanismi di difesa

I meccanismi di difesa stanno alla base del comportamento sia conforme che deviante e si possono

definire come “operazioni psichiche, in parte inconsce e a volte coatte , adottate per ridurre o

sopprimere qualunque elemento che possa turbare l’integrità e l’equilibrio dell’io e che si

oppongono alle esigenze dell’ES in modo da evitare la possibilità di conflitti con il Super-io e la

realtà.”

I meccanismi di difesa più rilevanti e d’ interesse per la criminologia sono i seguenti:

❖ Identificazione→ processo psicologico per cui l’individuo assimila e s’identifica con un

aspetto, una proprietà, un attributo di un soggetto o “oggetto” piacevole trasformandosi

totalmente o in parte sul modello di questo. Questo meccanismo è anche detto “introiezione

o incorporazione”. Dal punto di vista criminologico è interessante perché:

- ci possono essere scelte criminali basate sull’identificazione con soggetti reali o fantastici

- ci può essere un’identificazione con l’aggressore, portando il soggetto ad assumere la

stessa funzione aggressiva, imitandolo e adottando nuovi simboli distintivi (es. l’adulto

che abusa il minore dopo essere stato da piccolo abusato a sua volta)

- ci può essere un’identificazione con l’aggressore che sta alla base della sindrome di

Stoccolma

❖ Proiezione→ operazione psichica con cui il soggetto sposta da sé nell’altro (cosa o persona)

sentimenti, qualità, desideri che non riconosce o rifiuta. Aiuta ad evitare l’angoscia per

sentimenti non socialmente accettati o negativi soprattutto nel caso di un super-io rigido

(spesso pregiudizi, superstizioni e opinioni si basano su proiezioni).

Per la criminologia è d’interesse perché attraverso la proiezione della colpa possono

verificarsi delle forme di comportamenti delinquenti e devianti poiché la motivazione

dell’atto avviene in base all’attribuzione a persone o oggetti esterni di comportamenti

emotivi e tendenze che in realtà sono interni al soggetto (es. omicidio, deliri persecutori,

gelosia).

❖ Razionalizzazione→ processo in cui il soggetto cerca di dare una spiegazione logica e

coerente o moralmente accettabile rispetto ad un’azione un atteggiamento, un sentimento

o un’idea di cui non si percepiscono le vere motivazioni. Questo processo può avvenire anche

durante i deliri.

È un meccanismo di difesa in cui si trovano rispetto alla situazione motivazioni che sono

apparentemente accettabili e fondate per il super-io, e quindi può comportare la messa in

atto di comportamenti antisociali poiché avvallati come leciti nonostante non lo siano.

A livello criminologico possiamo riscontrare questo processo soprattutto i soggetti che

hanno compiuto delitti politici o a sfondo ideologico, in cui i motivi razionali nascondono

inconsce tendenze aggressive. Questa interpretazione è collegata strettamente alla teoria

del simbolismo psicoanalitico il quale sostiene che ogni oggetto, persona azione può avere

un valore inconscio che rappresenta qualcosa di diverso. Quest’ultima teoria sostiene,

quindi, che nell’inconscio rimangono cariche spiacevoli che possono in qualche momento

riemergere influenzando pensieri e azioni ma mascherandosi dietro una simbolizzazione

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irriconoscibile e dove il vero significato rimane inconscio (es. la persona che viene aggredita

può rappresentarne simbolicamente un’altra)

❖ Rimozione→ l’io cerca di respingere o mantenere nell’inconscio rappresentazioni legate ad

una pulsione che invece di procurare piacere comporterebbe un dispiacere. Si origina da un

conflitto di desideri opposti inconciliabili. I “rappresentanti ideativi” possono riemergere

producendo una situazione di angoscia- aggressione che può comportare la messa in atto di

comportamenti aggressivi e devianti. In ambito criminologico sono interessanti le forme di

amnesia:

- Dopo aver commesso un delitto in soggetti affetti da isteria

- Da parte della vittima dopo un evento traumatico (es. abusi sessuali infantili)

❖ Formazione reattiva→ atteggiamento o stato psicologico contrario ad un desiderio rimosso

e formato in reazione contro di esso (es. la crudeltà repressa è mantenuta inconscia da

un’eccessiva compassione verso gli altri). La sovracompensazione e il formarsi di reazioni

sono misure difensive dell’io contro tendenze inconsce represse, finché tali misure

funzionano (es. odio per la persona amata può improvvisamente esplodere, perché si si

sente traditi, e diventare spietato). Spesso questo meccanismo avviene nei delitti passionali.

Le teorie psicoanalitiche permettono lo studio di comportamenti e azioni criminali, analizzandoli

come un sogno e considerandoli come il modo con cui il delinquente cerca di ridurre delle tensioni

interiori e di soddisfare bisogni inconsci.

La criminogenesi ha derivazione da un’impulsività egocentrica in cui il comportamento

dell’individuo rappresenta una reazione sintomatica poiché il soggetto prova un malessere che lo

blocca dall’aspirare a integrarsi socialmente.

In generale le interpretazioni psicoanalitiche, nonostante gli approfondimenti rispetto alle

motivazioni e alle dinamiche che portano il soggetto a compiere comportamenti devianti, data la

loro indimostrabilità scientifica e visto che sono considerate speculazioni filosofiche nel campo della

giustizia penale non è possibile utilizzarle; però possono offrire un mezzo diagnostico differenziale

rispetto alla delinquenza e possono apprestarsi come strumento terapeutico per il riadattamento

sociale. Inoltre, queste interpretazioni e questi studi sono utili nell’analisi delle testimonianze, infatti

si è potuta notare una tendenza razionalizzatrice che opera sul ricordo introducendo la massima

unità e coordinazione nell’evento. La deformazione dell’evento avviene non solo nella fase del

ricordo (fase mnestica) ma anche quando lo si vive e assimila (fase percettiva).

I processi deformatori delle testimoniane sono:

Il processo di unificazione→ funzione per cui il troppo complesso viene semplificato

riducendo così gli elementi.

Il processo di sdoppiamento→ qui si ha la sensazione di ricchezza e complessità della scena

ma gli elementi ricordati sono effettivamente pochi e quindi si ha la necessità di riempire la

scena.

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8) Comportamentismo e teorie dell’apprendimento sociale Le TEORIE DEL COMPORTAMENTISMO nascono nei primi del Novecento con l’idea di basarsi su dati obiettivi, per cui come dati di osservazione saranno ammessi solo quegli eventi che possono essere verificabili da uno sperimentatore. Di conseguenza l’attenzione sarà spostata sui concetti di stimolo, risposta e di comportamento. Watson Ci si deve limitare allo studio del comportamento, controllabile e misurabile in base al sistema di risposte date agli stimoli dell’ambiente. Il suo maggior interesse riguardava l’eliminazione della soggettività e dell’imprecisione.

Di interesse per la criminologia è il suo concetto di “dottrina estrema dell’importanza degli influssi ambientali”.

Spiega le differenze individuali per mezzo dei processi di apprendimento. In base al meccanismo del condizionamento, l’associazione ripetuta di uno stimolo ad una risposta faceva in modo che dopo un periodo di tempo, a quello stimolo seguiva la risposta condizionata.

Tolman

Descrive il comportamento sul piano molare, cioè ogni atto della condotta ha caratteri del tutto specifici, identificabili e descrivibili indipendentemente dai processi muscolari e neurali

Ogni comportamento è considerato come finalizzato agli obiettivi

L’individuo non impara sequenze di movimenti, ma aspettative sorte da precedenti esperienze

Al posto del rinforzo subentra il principio della conferma

Variabili intervenienti: intervengono tra stimolo e risposta modificandone il rapporto

Per studiare un comportamento è necessario considerare, oltre alle condizioni dello stimolo, la storia evolutiva dell’organismo

Hull Il suo principio fondamentale stabilisce che lo stimolo iniziale è solo il primo anello di una catena di avvenimenti che portano alla fine alla reazione. Tra stimolo e reazione ci sono molte variabili intervenienti. Skinner Il concetto di base è che si ha una condotta di partenza che può essere modificata e controllata attraverso una variazione sistematica di stimoli che hanno una funzione di rinforzo. Si può quindi plasmare mediante rinforzo, premiando ogni inclinazione verso la direzione desiderata e non premiando ogni propensione indesiderata. Di conseguenza la condotta è controllabile e perciò modificabile per mezzo di stimoli. Il suo scopo è di prevedere e controllare ogni condotta indipendentemente da qualsiasi processo. → Dalle teorie del comportamentismo ha origine la convinzione che il comportamento sia appreso ed il rifiuto dell’idea che l’aggressività sia l’espressione di una pulsione innata. I comportamenti criminali, compresi quelli più violenti, sono perciò considerati come risposte (apprese) alle condizioni sociali ed alle situazioni di vita.

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Da tenere in considerazione però il fatto che i presupposti del comportamentismo si basano su esperimenti fatti in laboratorio mentre nella vita reale la situazione è differente perché manca:

- Sequenza temporale - Frequenza con cui sono presentati ricompensa/punizione o stimolo condizionato

Quindi in mancanza di un controllo del processo di condizionamento, non è detto che esso funzioni nella realtà e questo permette di mettere in discussione le terapie comportamentali. TEORIE PSICOLOGICO-SOCIALI Bandura – Teoria dell’apprendimento sociale

Secondo questa teoria i controlli interiorizzati si basano sulle conseguenze anticipate di azioni future che portano all’aspettativa che un certo modo di comportarsi sia premiato, ignorato o punito.

Viene sottolineato inoltre come non si nasca già con la capacità di comportarsi in modo violento, quanto piuttosto si apprenda nel corso della socializzazione (tratti di personalità che si acquisiscono e meccanismi psicologici che sono alla base).

Questa teoria si basa sull’idea che il comportamento aggressivo o violento viene appreso dai bambini osservando e imitando i modelli di ruolo, che vengono rinforzati con ricompense e poi assumendo quei ruoli. Ciò che è importante nel determinare tale apprendimento è il grado di violenza o non violenza dei modelli in natura.

Si è giunti poi a capire che sebbene il modello aggressivo venga emulato, i suoi attributi sono valutati negativamente → Disimpegno morale: elevati valori morali possono essere compatibili con il commettere atti riprovevoli perché possono intervenire meccanismi psicologici che bloccano il senso di autocondanna. Esso opera sotto varie forme:

- Giustificazione morale - Etichettamento eufemistico - Confronto vantaggioso - Spostamento della responsabilità - Diffusione della responsabilità - Distorsione delle conseguenze - Deumanizzazione - Attribuzione di colpa

Viene messo in evidenza come aggressività e violenza vengano apprese non solo attraverso l’interazione con gli altri, in particolare nell’ambiente familiare, ma anche in altri setting sociali (film, programmi televisivi). L’esposizione a mezzi di comunicazione di massa può produrre 3 differenti reazioni:

- Risposte imitative non presenti nel soggetto - Effetto inibitorio o disinibitorio su risposte precedentemente acquisite - Risposte simili, ma effetto di un apprendimento precedente. Quindi i media

possono influenzare i bambini in modo che abbandonino, modifichino, rafforzino o si creino stili di vita e modelli di comportamento.

Il problema di una socializzazione non conforme o deviante non può essere quindi addebitata ad una singola fonte.

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Dollard – Teoria della frustrazione-aggressività

Frustrazione: condizione del soggetto che si vede rifiutare o rifiuta a se stesso il soddisfacimento di una domanda pulsionale. In psicologia ha 3 accezioni:

- Situazione frustrante: impossibilità di soluzione, impossibilità di uscirne, forte motivazione all’azione.

- Stato di frustrazione: provocato dalla situazione frustrante, il cui grado varia negli individui.

- Reazione alla frustrazione: può essere di varia natura ad esempio aggressione, regressione, fissazione

Comportamento aggressivo: caratterizzato dall’intenzione di distruggere un oggetto, inanimato od umano, e l’intento può concretizzarsi in un atto o rimanere inattuato. L’aggressività, essendo un comportamento sociale, non sempre ha una connotazione negativa e distruttiva, può infatti anche essere positiva e costruttiva.

L’aggressività è sempre conseguenza di una frustrazione

L’esistenza di una frustrazione conduce sempre a qualche forma di aggressività

L’inclinazione all’aggressività diminuisce in rapporto all’intensità delle punizioni attese come conseguenza dell’agire.

Per quanto riguarda l’aspetto criminologico: il criminale è sottoposto ad una frustrazione maggiore della media e dispone di una capacitò di previsione della punizione inferiore alla media, quindi sente più facilmente le frustrazioni ed è meno facilmente condizionato dall’aspettativa di una punizione.

Il delinquente agisce sempre secondo un meccanismo psicologico che lo porta a giustificare la propria condotta di base al proprio sentimento di aver subito un’ingiustizia. Quindi mette in atto il meccanismo di difesa della razionalizzazione o una tecnica di neutralizzazione.

Questa teoria è stata inoltre utilizzata per spiegare l’influenza dei mass media sul comportamento antisociale: tali reazioni non sono solo il frutto della visione di messaggi a contenuto violento, ma anche di quelli a contenuto neutro. Il sottoporre le persone a miti di facile successo e di invidiata condizione socio-economica equivale a provocare forti frustrazioni connesse all’impossibilità di raggiungere gli stessi traguardi. Perciò alcuni possono reagire esprimendo aggrssività

Zimbardo

Ha studiato le dinamiche di Gruppo in un contest penitenziario con lo scopo di analizzare quanto tale situazione avrebbe influenzato atteggiamenti e comportamenti dei partecipanti.

Si è dimostrato come il male possa essere commesso da chiunque si trovi in particolari situazioni. Ciò a dimostrare quanto sia sottile la linea di confine tra bene e male, quando entrano in gioco certe dinamiche sociali.

9) La così detta “personalità criminale”

La letteratura si è sempre posta il problema del rapporto tra personalità e delitto tanto che la Scuola Positiva sosteneva la teoria del valore sintomatico del reato, secondo cui il reato è rivelatore della personalità e di conseguenza nasce la necessità di adeguare la pena al fatto criminoso inteso come espressione della personalità dell’autore.

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Da ciò deriva un altro problema che riguarda la colpevolezza e imputabilità di quella categoria di delinquenti che non sono infermi di mente. Esiste una categoria di delinquenti che ha una personalità non malata ma abnorme, soffrendo una psicopatia. Si tratta di personalità psicopatiche il cui valore criminologico si sostanzia in due enunciazioni:

tra gli elementi della loro personalità è possibile staccare quelli che rompono l’equilibrio dell’insieme, mentre dalla psicosi deriva la disorganizzazione della personalità completa;

nelle personalità psicopatiche non è assente la moralità dell’atto Gli psicopatici vengono esclusi dalla legge dalla definizione di infermi perché nulla incide sulla normalità dell’intelletto. DSM 5, CRITERI DEL DISTURBO DI PERSONALITA’/PERSONALITA’ PSICOPATICHE

• CRITERIO A: Pattern abituale di esperienza interiore e di comportamento che devia marcatamente rispetto alle aspettative della cultura dell’individuo e si manifesta in almeno due delle seguenti aree: cognitività, affettività, funzionamento interpersonali o controllo degli impulsi

• CRITERIO B: questo pattern abituale risulta inflessibile e pervasivo in un’ampia varietà di situazioni personali e sociali

• CRITERIO C: determina disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti

• CRITERIO D: il pattern è stabile e di lunga durata e l’esordio avviene nell’adolescenza o nella prima età adulta

• CRITERIO E: il pattern non risulta meglio giustificato come manifestazione o conseguenza di un altro disturbo mentale

• CRITERIO F: non è attribuibile a effetti fisiologici di una sostanza o di un’altra condizione medica

Caratteristiche dei soggetti psicopatici:

alloplastici, poiché tendono a soddisfare i propri bisogni attraverso la manipolazione dell’ambiente esterno e sono

egosintonici, in quanto le alterazioni sono accettate e condivise dal soggetto, quindi il suo comportamento non gli provoca sentimenti di colpa per la sofferenza causata agli altri

comportamento cronicamente anomalo

abnorme struttura del carattere che rende difficile il modificarsi I disturbi di personalità non rientrano quindi tra le anomalie del carattere e della personalità. Lo psicopatico è responsabile del disagio provocato con la sua condotta alla società, la cui relazione è diversa da quella che si verifica nei confronti del malato di mente. I disturbi di personalità non provocano alterazioni delle funzioni psichiche fondamentali come nei disturbi psicotici. Si distinguono per le alterazioni della condotta e per i comportamenti disadattati e socialmente disturbanti. È quindi importante la diagnosi differenziale, sia sul piano clinico, sia per quanto riguarda la valutazione dell’imputabilità. Infatti non essendo considerati malati di mente, i delinquenti con disturbo di personalità vengono ritenuti capaci di intendere e di volere e perciò imputabili e punibili.

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DSM 5: 3 cluster in riferimento ai Disturbi di personalità Gruppo A:

- Disturbo paranoide Diffidenza e sospettosità, con costante aspettativa di essere ingannati. Sempre vigili, dubitano della correttezza e lealtà degli altri. Iperattivazione dell’attenzione e incapacità a rilassarsi. Attribuiscono agli altri pensieri malevoli che sono proiezioni delle loro paure. La realtà non è distorta, ma lo è il significato di realtà come appare. Prospettiva criminologica: litigiosità legale, che può sfociare in battaglie giudiziarie. Le caratteristiche di questo disturbo possono portare a condotte etero-aggressive.

- Disturbo schizoide Distacco nelle relazioni e gamma ristretta di espressioni emotive. Freddezza emotiva, prediligono l’isolamento e hanno difficoltà ad inserirsi. Apparente mancanza di interesse verso gli altri, con desiderio nascosto di relazioni. Prospettiva criminologica: autori di reati aggressivi e violenti che spesso sono perpetrare in una condizione emotiva di distacco e freddezza.

- Disturbo schizotipico Stravagante e bizzarro, sospettoso con distorsioni cognitive e percettive e credenze magiche. Pensiero e linguaggio molto elaborati, metaforici ed eccentrici. Limitati interessi sentimentali.

Gruppo B: - Disturbo antisociale

Comportamento caotico e scarsamente in sintonia con le richieste della realtà. Irresponsabile e senza rispetto per i sentimenti altrui. Incapace di apprendere dall’esperienza. Inosservanza e violazione dei diritti altrui. Privi del sentimento del rimorso, adottando un meccanismo di razionalizzazione superficiale. Prospettiva criminologica: anomalie di carattere e di comportamento che portano a reiterati atti possibili di arresto, disonesti, esperti nel manipolare, utilizzano la menzogna, aggressivi e rissosi.

- Disturbo borderline Instabilità e intensità nelle relazioni interpersonali. Immagine di sé alterata, inadeguato a livello affettivo, umore variabile e paura dell’abbandono. Impulsivo, con episodi di rabbia immotivata e intensa, anche autodiretta. Stabiliscono relazioni esclusive con un0unica persona, con cui non vi siano rischi di abbandono. Stabilita un’intimità vengono attivate due tipologie di ansia:

Il soggetto teme di essere fagocitato dall’altro e finisce con il perdere la propria identità

Vive nell’angoscia all’idea di poter essere abbandonato Prospettiva criminologica: reati contro la persona, connessi agli stupefacenti o alla circolazione stradale, dissipare denaro, avere rapporti non protetti.

- Disturbo istrionico Emotività pervasiva ed eccessiva, comportamenti drammatici. Attira su di sé l’attenzione con atteggiamenti seducenti. Incline a gesti e condotte manipolatorie, facilmente influenzabile, bugiardo patologico. Maggiore labilità emotiva e teatralità, seduttività più scoperta. Prospettiva criminologica: truffatori, abusano di titoli o funzioni e simulano di essere stati vittima di reato o minacciano il suicidio per attirare attenzione.

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- Disturbo narcisistico Le forme patologiche sono più facilmente identificabili per la modalità pervasiva di grandiosità e necessità di ammirazione e la qualità delle relazioni interpersonali. Tendenza a rapportarsi in modo manipolatorio e funzionale ai propri interessi. Convinzione di avere diritto a trattamenti di favore, difficoltà a sviluppare relazioni affettive profonde, mancanza di empatia, atteggiamenti arroganti. Prospettiva criminologica: può indurre il soggetto ad abusare di sostanze, a perpetrare truffe.

Gruppo C: - Disturbo evitante

Ritiro sociale, modalità pervasiva di inibizione sociale, sentimenti di inadeguatezza e ipersensibilità al giudizio altrui. Desidera relazioni strette, ma ne è spaventato. Evita occasioni sociali perché teme l’umiliazione, connessa al fallimento. Bassi livelli di autostima.

- Disturbo dipendente Non sono in grado di prendere decisioni da soli, sottomessi, bisognosi di rassicurazioni. Prospettiva criminologica: questa categoria prevale tra le vittime, ma può anche costituire l’elemento succube di una coppia criminale.

- Disturbo ossessivo compulsivo Ansia e paura. Eccessiva attenzione a dettagli, ordine, organizzazione a tal punto da perdere di vista lo scopo dell’attività. Perfezionista, scrupoloso, rigido, ostinato, è avaro con se e con gli altri. Prospettiva criminologica: si può caricare di rabbia, quando perde il controllo della situazione o subisce critiche, può reagire con aggressività, ma raramente passa all’atto. Quando questo avviene, pianifica tutto in modo dettagliato.

Due categorie diagnostiche interessanti a livello criminologico:

- Disturbo sadico Abile comportamento aggressivo, crudele, umiliante verso gli altri. Trae godimento dalla sofferenza fisica o psichica inflitta agli altri. Si compiace nel ferire le persone e spaventa le sue vittime con l’intimidazione. Sono autori di feroci torture, omicidi con lesioni, maltrattamenti in famiglia.

- Disturbo esplosivo intermittente Frequente ricorrenza di reazioni imprevedibili e molto violente, per la perdita di controllo inibitorio, possono sfociare in attentati all’incolumità altrui. È necessaria una significativa reiterazione di tali manifestazioni di acting out.

In conclusione, molti disturbi di personalità, in particolare quello antisociale, portano a comportamenti devianti in conflitto con le regole sociali, ma va tenuto presente che non tutte le persone affette da questi disturbi diventano criminali e solo una parte di delinquenti ha una personalità disturbata.

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10) I disturbi parafilici Alcuni di essi, per venire soddisfatti, comportano azioni che, a causa della loro nocività o potenziali pericoli per altre persone, vengono definite come reati. Parafilia: qualsiasi interesse intenso e persistente di natura sessuale diverso da quello per la stimolazione genitale o per i preliminari sessuali con partner fenotipicamente normali, fisicamente maturi e consenzienti. Si trasforma in disturbo parafilico quando causa disagio o compromissione nel soggetto o quando la soddisfazione della parafilia arreca o rischia di arrecare danno al soggetto stesso o ad altri. Freud: parla di parestesie, cioè di perversioni dello stimolo sessuale, in cui rappresentazioni psichiche, normalmente indifferenti o addirittura spiacevoli, si accompagnavano a sensazioni di piacere. Divise le perversioni in due gruppi:

- Primo gruppo: in cui è perverso lo scopo dell’azione - Secondo gruppo: in cui è perverso l’oggetto e di conseguenza l’azione stessa.

DSM 5 divide i Disturbi parafilici in alcune categorie. Tutti i seguenti disturbi implicano:

- eccitazione sessuale ricorrente e intensa, manifestata attraverso fantasie, desideri o comportamenti,

- per un periodo di almeno 6 mesi, - nonché causano un disagio significativo sul piano clinico o una compromissione del

funzionamento nel contesto sociale e lavorativo: Disturbi del corteggiamento:

Voyeuristico Osservare una persona nuda o che si spoglia, a sua insaputa e non consenziente. Non c’è contatto fisico, ma è il più diffuso tra i comportamenti sessuali potenzialmente criminali.

Esibizionistico Esibizione dei propri genitali a persona che non se lo aspetta, senza cercare contatto diretto.

Frotteuristico Toccare una persona non consenziente.

Disturbi algolagnici

Masochismo Farsi infliggere umiliazioni, percosse o sofferenza in vario modo o con pratiche autoerotiche (automutilazione). Il masochista può rimanere vittima di morte accidentale.

Sadismo sessuale Infliggere umiliazioni o sofferenze fisiche o psicologiche ad altri. Soggetto più pericoloso.

Predilezione per l’atipicità dell’oggetto sessuale:

Pedofilico Interesse sessuale per bambini al di sotto dei 13 anni. Per la diagnosi di questo disturbo il soggetto deve avere almeno 16 anni ed essere di almeno 5 anni maggiore della vittima.

Feticistico

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Usare oggetti inanimati o avere interesse molto specifico per parti del corpo non genitali. In campo criminale questo soggetto viene spesso arrestato per furto o violazione di domicilio.

Travestitismo Indossare indumenti del sesso opposto.

→ Tutti questi comportamenti sessuali inusuali, se esperiti con partner non consenzienti, possono inibire l’eccitazione sessuale e caricare il soggetto di aggressività e rabbia, fino a sfociare in certi casi nella commissione di atti criminali e a volte omicidi, stupri e aggressioni a sfondo sessuale.

11) Brevi riflessioni Un filone interessante per la ricerca delle origini della malvagità è quello relativo al Circuito dell’empatia (Cohen). Viene messo in luce come la mancanza totale di empatia sia dovuta non solo a fattori sociali, ma anche a fattori biologici, associando alcuni geni con il quoziente di empatia. La mancanza di empatia è un aspetto molto importante nei disturbi di personalità, soprattutto in quelli narcisistico e antisociale, ma è anche un elemento che spesso è presente in chi commette un delitto. Essere empatici vuol dire immedesimarsi nell’altro, fino a cogliere i pensieri e gli stati d’animo e questa capacità si impara fin da bambini. È fondamentale quindi che il processo di socializzazione sia accompagnato dallo sviluppo del processo empatico L’analisi sulla capacità empatica costituisce un buon inizio per capire quanto del male commesso sia dovuto alla sua carenza o assenza.

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CAPITOLO VI, SOCIOLOGIA DELLA DEVIANZA: STRUTTURAL-FUNZIONALISMO E COMPORTAMENTO DEVIANTE

1) Introduzione

Quando si parla di crimine e devianza, importante considerare i fattori sociali, culturali e ambientali; negli studi si analizza la società nel suo complesso e l’impatto degli avvenimenti sociali e dei singoli gruppi sul comportamento individuale. Si passa da una visione sul singolo (caratteri fisici, psichici e ambientali) al considerare la globalità della struttura sociale. Oggetto della sociologia è la coesione sociale, i suoi equilibri e le sue variabili principali. Si parla di agire sociale inteso come continuo cambiamento delle caratteristiche individuali e delle condizioni ambientali. La sociologia della devianza indaga queste condizioni per valutare fino a che punto sono necessarie perché si verifichi un comportamento deviante/ delittuoso. 1748→ Montesquieu afferma che le leggi che governano gli uomini devono rifarsi a: caratteristiche fisiche del paese, clima, qualità, situazione, ampiezza del suolo; devono rifarsi agli usi e costumi, alle loro ricchezze, alla religione e la libertà che gli è permessa. Come ultima cosa devono essere considerati anche in base alle relazioni che hanno tra di loro. Si arriva così a distinguere l’ambiente sociale in 3 modi: 1. Generale= come le condizioni fisiche, sociali ed economiche influiscono sul comportamento individuale. 2. Immediato e specifico= considera l’uomo nell’interazione con i gruppi sociali di cui fa parte. 3. Occasionale= riguarda ciò che non è abituale per il soggetto ma che può influenzarlo (collegio, carcere, ospedale). Studiosi importanti per la Criminologia: KURT LEWIN—Teoria del campo nella quale vengono messi in rapporto persona-ambiente-spazio vitale e affermato che “una delle principali funzioni delle teorie e dei sistemi è quella di collegare tutti i campi”. TALCOTT PARSONS— vede alla base l’azione o atto che richiede: attore, fine a cui l’atto è indirizzato, situazione di partenza e mezzi utilizzati dall’attore. Il sistema è visto come insieme di parti che svolgono funzioni differenti necessarie al funzionamento dell’intero sistema che deve svolgere 4 funzioni: 1. Adattamento all’ambiente 2. Definizione dei propri obiettivi 3. Conservazione della propria organizzazione 4. Integrazioni delle parti con i sottosistemi giuridico e religioso. NIKLAS LUHMANN – ruolo centrale al rapporto sistema-ambiente in quanto la dinamica dei sistemi si spiega in rapporto alla dinamica ambientale. L’andamento della criminalità in un gruppo sociale va analizzato in rapporto all’ambiente di riferimento e le variazioni nella criminalità vanno interpretate sulla base dei mutamenti socio-ambientali intervenuti. Si parla invece di devianza per indicare i comportamenti moralmente illeciti, un comportamento che si discosta dalla regolarità, da controllare e reprimere se negativo. Risulta difficile spiegare il fenomeno deviante a causa dei continui cambiamenti delle normative. Il crimine viene considerato come qualsiasi comportamento dannoso per la società. La criminalità è anche vista come il risultato delle disuguaglianze sociali ed economiche a favore delle classi dominanti. In questo capitolo si affronta il tema dello STRUTTURAL- FUNZIONALISMO che riguarda il problema dell’integrazione dei membri della società basandosi su un sistema di valori; alla base vi è l’assunto dell’esistenza di valori, norme comuni e il prevalere del consenso sociale.

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2) Disorganizzazione sociale: la Scuola di Chicago

Focus della disorganizzazione sociale fa riferimento alle numerose e differenti condizioni ambientali e urbane che incidono sui tassi di criminalità. Ogni società è soggetta a mutamenti: 3 dimensioni → temporale (lenta e graduale o veloce e radicale), spaziale (piccoli gruppi o comunità) e generale (coinvolge il contesto sociale). A conseguenza di questi repentini mutamenti si possono verificare fenomeni di disorganizzazione sociale che vanno a rivoluzionarne l’ordine, gli atteggiamenti e le regole che mettono in risalto nuovi comportamenti devianti. Per comprendere la relazione tra devianza e disorganizzazione sociale, importante prendere in riferimento il concetto di organizzazione sociale che fa riferimento all’insieme di norme e aspettative che guidano il comportamento. Si parla di dipendenza reciproca fra le persone per la sopravvivenza e il raggiungimento degli scopi. Questa reciprocità di aspettative è generata dall’interdipendenza: ognuno sa cosa può aspettarsi dall’altro e da sé stesso come sa cosa gli altri si aspettano da lui. Le leggi definiscono quali comportamenti sono desiderabili e quali no, quando tali norme vengono riconosciute e percepite come valide, le persone vi si conformano e le assimilano automaticamente; il problema viene quando molte norme non sono più in grado di gestire la loro funzione e viene meno la coesione di gruppo. Robert Park → marginal man: tipo di personalità che delinea un uomo che non è mai pienamente accettato e non riesce a trovare il suo posto a causa dei pregiudizi razziali, vive al confine fra due culture e due società ancora mai fuse tra loro. In questa categoria rientrano tutti i soggetti emarginati e al margine della società. William I. Thomas e Florian Znaniecki → parlano di disorganizzazione sociale intesa come scarsa influenza delle regole sui membri di un gruppo. Venendo meno il consenso delle norme si riducono anche il senso di solidarietà e aumentano i conflitti che fanno scaturire sentimenti di paura e incertezza. R.K Merton → profezia che si autoadempie: il singolo si riflette nel mondo in cui vive sulla base di ciò che tramette al gruppo → nessuno è potenzialmente deviante se prima non valuta la situazione come tale Mead e Blumer → social problems: devianza come frutto di un processo di definizione collettiva, esiste in base a come la società lo definisce e considera. Scuola di Chicago: Henry D. McKay e Clifford R. Shaw → Studiarono il fenomeno criminale giovanile rilevando il comportamento deviante come prodotto delle condizioni ecologiche urbane Modello delle zone concentriche di Shaw e McKay : vennero studiati i tassi di criminalità in rapporto alle diverse zone evidenziando una maggiore criminalità nelle zone di transizione contenente un maggior numero di immigrati. Tassi di criminalità più elevati persistevano nelle stesse aree nonostante cambiasse la loro composizione etnica → venne smentito il fatto che la criminalità sia caratteristica di alcune minoranze etniche e razziali, rafforzando l’idea del forte impatto delle condizioni socio-ambientali sull’agire deviante. Questa ricerca pone le basi per diversi programmi di trattamento e prevenzione sociale della delinquenza, in particolare quella minorile.

3) La teoria della tensione: dall’anomia di Durkheim ai modelli di adattamento di Merton

Durkheim → importanza e influenza dei fattori sociali. Per essere analizzata appieno, un’azione deve essere inserita all’interno di un sistema di norme e valori che ne regolano i comportamenti. Ogni comportamento dipende sia dalla personalità dell’attore che dalla struttura del sistema sociale in cui si manifesta. Oggetto della sociologia durkheimiana è condizionato dall’idea che la

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coscienza collettiva possa influire sulla natura del legame sociale che ha come base la solidarietà. → il comportamento deviante inevitabile in ogni struttura sociale, considerato in negativo qualora vengano superati certi limiti. L’autore lo considera utile in quanto contribuisce all’evoluzione della coscienza morale Anomia come perdita di intensità delle norme. 1893, “La divisione del lavoro sociale”: 2 forme di solidarietà= 1) meccanica, riferita alle società tradizionali 2) organica, riferita alle società moderne. Durkheim considera crimine l’azione che offende la coscienza collettiva sostenendo che: “ un atto urta la coscienza comune non perché è criminale, ma è criminale perché urta la coscienza comune” Boudon e Bourricaud → conformità per somiglianza, tipica delle società primitive/tradizionali dove l’individualismo è visto come pericoloso per il gruppo.

➢ Società= costruite da un insieme di sentimenti e valori comuni che vanno a formare la coscienza collettiva

➢ Anomia= disgregazione di valori e assenza di punti di riferimento , è indicatore di una situazione sociale e presenta forte riferimento alle conseguenze sui singoli. Si manifesta maggiormente nelle società dove c’è un’alta divisione del lavoro, nei periodi di crisi economica e rapido mutamento.

- Durkheim “Le regole del metodo sociologico”→ il criminale non è più un essere non-socievole ma un agente regolare della vita sociale.

- Robert k. Merton → anomia= risultato di una non-integrazione tra le mete prescritte e la disponibilità di mezzi per raggiungerle. → messaggio culturale della società di ottenere successo economico, così i membri dei gruppi svantaggiati subiscono diverse frustrazioni e vivono tensioni che li portano a deviare dalle mete/mezzi legittimi della società

Modelli di adattamento individuale di Merton 1) Innovazione 2) ritualismo 3) rinuncia 4) ribellione rappresentano risposte devianti, criminali

dovute a inadeguatezza o indisponibilità dei mezzi . 5) conformità , quando il soggetto accetta sia i mezzi a disposizione che le mete socio-culturali poiché si trova in una condizione che ne permette l’accesso.

- Categoria dei retreatists (che vanno in ritirata) e aliens (estranei, ritirati) sono tra le forme più diffuse di risposta deviante: vagabondaggio, abuso di sostanze, suicidio ecc.

Le persone possono rifiutare e ribellarsi contro l’ordine sociale, introducendo nuove mete e utilizzando nuovi mezzi – tale risposta deviante è tipica dei gruppi radicali e rivoluzionari che vogliono cambiare la società Ritualismo= adattamento delle persone che falliscono nel raggiungere il successo , si adattano all’uso dei mezzi considerati legittimi. Merton definisce tale atteggiamento come mancante di aspirazioni al successo e un modo di ritirarsi alla lotta per raggiungerlo. Robert Agnew→ tensione positiva: è più probabile che si produca una risposta deviante quando vi è un’attribuzione da parte del soggetto delle sue colpe alle azioni altrui Strain theories: spiegano forme di devianza giovanile ma hanno anche dei limiti in quanto non si riesce a interpretare il fatto che certi tipi di tensione favoriscono atti devianti e altri no, quindi, non si può sapere con certezza perché alcune persone sono più portate di altre a reagire alle tensioni con azioni delittuose.

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4) Comportamento deviante ed apprendimento sociale: dalle associazioni differenziali di Sutherland alle identificazioni differenziali di Glaser

Edwin H. Sutherland→ Teoria delle associazioni differenziali = il delitto è una costruzione socialmente definita. L’individuo rimane interesse centrale per capire il motivo per cui tale comportamento si trasmetteva di generazione in generazione. Meccanismo di trasmissione culturale è costituito dall’apprendimento, era fondamentale comprendere l’impatto delle influenze sociali nell’individuo. → limiti: difficoltà di prevenire ad una dimostrazione empirica per l’impossibilità di individuare, valutare e quantificare il peso delle associazioni differenziali, siano esse di un tipo o dell’opposto. Sutherland e Cressey: la causa che spinge un soggetto ad essere delinquente è la prevalenza di definizioni favorevoli alla violazione della legge su quelle sfavorevoli. L’apprendimento si sviluppa su 2 fronti: motivazioni ideologiche o culturali e tecniche operative

- Gustav Yung (1916)= la società è organizzata non tanto dalla legge quanto dalla Carl tendenza all’imitazione.

- Burgess e Akers: Teoria dell’associazione- rinforzo differenziale= basata sulle definizioni dei comportamenti che possono produrre rinforzo positivo, negativo o neutro. I modelli di ogni condotta si traggono sia dai comportamenti di amici e familiari sia delle forze culturali. → La devianza appresa può rafforzarsi con ricompense sia interne che esterne ma può anche indebolirsi con la punizione

- C. Ray Jeffery: il comportamento deviante può avere conseguenze negative e implicare un indebolimento del comportamento stesso

Teoria dell’organizzazione sociale differenziale = un elevato indice di criminalità urbana si configura come prodotto finale di una situazione. Le condizioni sociali sono esse stesse una forma di organizzazione differenziale.

5) Thorsten Sellin e i conflitti culturali > Il conflitto è causa di criminalità Teoria dei conflitti culturali ruolo giocato dal contrasto tra norme di condotta. I comportamenti criminali o meno dei singoli attori sono imputabili alla qualità delle regole di cui si è avuto esperienza

➔ Un conflitto di cultura tra i singoli, tra individuo e comunità o tra gruppi diversi, può generare criminalità – difficili condizioni di adattamento delle diverse persone rispetto al contesto

Sellin: 2 forme di conflitto, primario quando un comportamento è rilevante in maniera opposta per 2 culture differenti. Secondario quando si formano sottogruppi nelle norme di condotta rispetto alla cultura più ampia. Simmel: conflitto come parte del processo di interazione sociale: se ogni forma di interazione è una “sociazione”, lo è anche il conflitto, modo per raggiungere unità e risolvere dualismi divergenti. Leopold von Wiese: conflitto come dissociazione, separazione dei gruppi con funzione negativa. Max Weber: una relazione sociale deve essere definita lotta quando l’agire è orientato in base al proposito di affermare il proprio volere contro la resistenza di altri.

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6) La frustrazione di status e le sottoculture criminali

Per spiegare la delinquenza giovanile si è sviluppato, all’interno della teoria della tensione, il

concetto di frustrazione di status riferendosi ai soggetti che non potendo arrivare a mete di status

desiderate con canali legittimi si sentono frustrati. Le reazioni a questa frustrazione possono essere

diverse:

Atti delinquenti

Scaricando la frustrazione sugli altri (violenza)

Uso di sostanza illecite

scegliendo mete più facili da raggiungere (anche attraverso il delitto).

Nella seconda metà degli anni ’50 negli USA partendo dal concetto di frustrazione di status e dai

modelli di Merton si crea la teoria della sottocultura giovanile.

Oltre al concetto di frustrazione di status per questa teoria è centrale anche il concetto di

sottogruppo, ovvero numerosi sottogruppi esistenti nelle società complesse che sono similari alla

cultura generale ma che al tempo stesso presentano e stabiliscono regole specifiche distintive (ex.

sottoculture religiose, sottoculture etniche, ecc..), e data la numerosità di questi è inevitabile che

alcuni abbiano norme devianti e conflittuali rispetto alla cultura dominante→ Spiegazione

sottoculturale della devianza.

Per questa corrente il comportamento deviante si apprende individualmente dall’associarsi con gli

altri e considera i livelli di criminalità come riflesso dell’apprendimento, condivisione e ripetizione

nel tempo delle regole della sottocultura deviante.

La teoria è nata dall’attenzione per la formazione e lo sviluppo delle bande giovanili delinquenziali:

A. Cohen→ la devianza minorile come problematica di classe sociale, ovvero è la risposta

alle frustrazioni e ai problemi di status che vivono i ragazzi di basso livello, essi aspirano a

stili di vita migliori ma il loro background culturale non crea opportunità adeguate ad arrivare

agli standard indispensabili per avere successo. Questo comporta la formazione di una

sottocultura con valori, costumi specifici e una nuova forma di status, e implica:

▪ Condotta non utilitaristica (non pragmatica)

▪ Essere irrazionale (fine a se stessa)

▪ Essere negativa (contro il sistema- rifiuto di ogni valore della classe media).

Questa sottocultura permette di avere un ruolo e un prestigio non consentito nella cultura

dominante.

Cohen aggiunge una spiegazione diversa per le sottoculture delinquenziali di ragazzi

appartenenti a classe media, in cui le azioni devono essere rivalutate all’interno di un preciso

contesto sociale importante per il soggetto, infatti sostiene che l’azione delinquenziale sia la

negazione dei buoni comportamenti (associati alla figura materna) e contemporaneamente

l’affermazione della propria mascolinità. Egli aggiunge che lo stretto controllo familiare sulle

ragazze ne comporta una limitazione dei comportamenti delinquenziali.

Questa teoria ha la criticità di non prestare molta attenzione a fenomeni macroscopici ma

focalizzandosi primariamente sulla delinquenzialità dei giovani di classi inferiori come

risposta di adattamento.

Sykes e Matza→ concordano con Cohen sul fatto che l’affiliazione a sottoculture

delinquenziali avvenga come risposta alle problematiche di status ma ritengono che non ci

sia un assoluto rifiuto dei valori della classe media, ma che anzi i membri di tali sottoculture

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presentino un atteggiamento ambivalente rispetto a questi, che viene risolto da tecniche di

neutralizzazione in cui si giustifica le azioni antisociali, ovvero: processi di razionalizzazione

che precedono i comportamenti criminali e che invalidano le regole e il codice legale;

autogiustificazioni create ad hoc durante e dopo il comportamento criminale (ripresa

meccanismi di difesa di Freud). Queste tecniche vengono apprese attraverso il gruppo

criminale.

Matza successivamente incorporò queste tecniche nella sua analisi sulla deriva della

delinquenza giovanile, utilizzate come liberazione momentanea dalla morale imposta,

permettendo di non commettere azioni devianti in modo continuativo. Egli, inoltre, ritiene

che conformità e devianza siano in continua relazione modificandosi reciprocamente e che

la pluralità di delitti dipenda dai singoli e dalle situazioni.

Scott e Lyman →rielaborano la teoria di Matza e Sykes→ distinguono tra: le scuse

dell’autore dell’atto in cui vi è un’ammissione di aver fatto qualcosa di sbagliato; e le

giustificazioni in cui l’autore dell’atto si prende la responsabilità delle azioni ritenendole però

non sbagliate.

La negazione si divide come conscia o inconscia→ la negazione conscia è definita come un

rifiuto retorico una fuga dalla verità e secondo M. Douglas è una strategia forense in cui le

spiegazioni date tendono a manipolare l’attribuzione di responsabilità o a deviarla dal

soggetto.

Cohen sostiene che la negazione potrebbe riguardare:

▪ Un fatto

▪ Una interpretazione (es. se le azioni rappresentano una violenza o solo una pressione)

▪ Le implicazioni o conseguenze degli atti (il danno causato).

La negazione inconscia è l’espressione di processi psicologici di difesa in cui il soggetto crea

una sorta di autoinganno per falsare o evitare la realtà:

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Negazione o smentita

Blocco psichico → dissociazione (riduzione capacità di provare emozioni) o scissione

(creazione di un’identità diversa).

Cohen ha ampliato l’analisi di negazione ampliandola, oltre che ai singoli, anche come

processo collettivo (es. negazione violazione diritti umani).

Negli anni ’60 Cloward e Ohlin → teoria delle opportunità differenziali → riprendo il

concetto di subcultura criminale e l’analisi della devianza come discrepanza tra mezzi e mete

per le classi inferiori, tuttavia partono dall’assunto che i giovani vedono l’impossibilità di

credere nei mezzi legittimi perché non ne hanno l’accesso a causa delle condizioni di

ingiustizia economica. I due autori postulano che gli obiettivi di successo proposti dalla

società siano più diffusi e uniformi di quello che diceva Cohen. Le tendenze verso la devianza,

quindi, sono modi di adattamento a tensioni dovute da l’incompatibilità alla struttura e

all’ordinamento sociale. Importante fu anche l’introduzione del concetto di struttura di

opportunità differenziali, ovvero si ha una variabilità della disponibilità dei mezzi sia di quelli

legittimi che di quelli illegittimi con conseguente variazione di possibilità di accesso ai diversi

ruoli e possibilità di acquisire valori e abilità. Emerge, anche, l’idea che strutture di possibilità

illegali abbiano la possibilità di affiorare solo quando vi è un accomodamento di modelli che

riguardi adulti con valori legittimi e adulti devianti, cosicché per l’adolescente vi sia

possibilità di fare carriera nell’ambito criminale ma tenendo comunque una posizione di

relativa immunità rispetto ai provvedimenti giudiziari.

Cloward e Ohlin, sostenendo che il tipo di subcultura che si verrà a formare dipende dalle

opportunità di esposizione a modelli, distinguono tre tipologie di subculture giovanili:

o Criminale: qui i modelli criminali sono diffusi senza che si sia un’opposizione anzi

venendo accettati all’interno del microambiente→ i giovani diventando professionisti

criminali

o Banda conflittuale: non vi sono modelli criminali ma la comunità è disgregata senza una

struttura illecita organizzata, mettendo in atto azioni imprevedibili, incontrollate e fini a

se stesse.

o Astensionista: sono i giovani che fanno abuso e spaccio di sostanze (alcol e droghe), non

sono riusciti ad inserirsi ne nella struttura legale ne nelle strutture criminali o conflittuali,

portando ad avere un “doppio fallimento”.

Le subculture possono avere una forma mista rispetto alle tre tipologie sopracitate ma

mantenendo sempre orientamenti differenti.

Riassumendo questa teoria, quindi, la devianza è “fondamentalmente una scelta di mezzi

illegittimi per raggiungere mete culturali condivise, anche se prescritte da una classe

superiore, quando vi siano opportunità facilitanti in tale direzione”.

Queste ricerche sottoculturali ebbero una grande rilevanza a livello sociale mettendo in risalto come

la delinquenza giovanile è una gamma di soluzioni collettive e culturali rispetto alla mancanza di

opportunità e alla disuguaglianza delle classi sociali→ diventano base teorica per molti programmi

di prevenzione (ex. Mobilitazione per la gioventù).

➢ Secondo W. Miller, invece, la devianza non è dovuta al rifiuto di valori delle classi medio-alte

ma è la stessa cultura della classe bassa che produce, possiede e mantiene il suo sistema di

valori; infatti, le subculture delinquenziali vivono delineando la propria struttura e le proprie

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regole secondo lo stile di vita dei ceti più bassi. Miller, inoltre, delinea una serie di interessi

focali criminogeni su cui si concentra l’attenzione delle classi più basse:

Egli sostenne, anche, che i ragazzi non avendo un modello maschile familiare, ma avendo

spesso le donne come capofamiglia, si univano alle bande con cui avveniva

un’identificazione.

➢ O. Lewis nella ricerca “cultura sulla povertà” sostiene che i valori delle classi povere sono

diversi dal resto della società e cerca di creare un modello basato su l’inter-correlazione di

fattori con al centro la povertà→ da questo modello evidenzia che la cultura della povertà

porta ad una mancanza di aspirazione verso l’appartenenza alle istituzioni e ad una tendenza

ad accettare comportamenti considerati dalla cultura dominante come devianti (ex

promiscuità, illegalità, violenza, ecc..)

➢ I situazionisti sostengono che i modelli comportamentali poveri riflettono un mezzo di

adattamento all’ambiente rifiutando al tempo stesso un sistema unico di valori, ognuno crea

il proprio modello, il proprio modo di pensare e agire.

Ferracuti e Wolfgang affrontano due problemi basilari:

Uno metodologico rispetto sull’integrazione nella ricerca criminologica→ sviluppo che alle

ricerche interdisciplinari è stato dato nel dopo guerra→ Ricerca Cross-culturale, apporti da

parte: dell’antropologia rispetto ai concetti di cultura, sottocultura, valori, norme ecc..; della

sociologia rispetto alla tecnica di approccio alla tematica dell’omicidio di Ferracuti e

Wolfgang, e rispetto alla tematica dell’omicidio i contributi di Parsons, Thompson, Ray,

ecc..in cui si evidenzia una frequenza piuttosto alta di questo fenomeno rispetto a

determitati gruppi sociali; della psicologia attraverso delle scale standardizzate (ex. le

continue e diverse frustrazioni possono diventare stimoli aggressivi).

Rispetto alla sottocultura della violenza→ tematica centrale.

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CAPITOLO VII, SOCIOLOGIA DELLA DEVIANZA: CONTROLLO SOCIALE, CONFLITTO,

ETICHETTAMENTO

1) Le Teorie del controllo sociale

Molte teorie, come quella dell’etichettamento, si basano sull’assunto che sia l’ambiente a creare

sia le motivazioni che le opportunità per commettere azioni antisociali.

In questa prospettiva:

• Crimine: considerato un concetto moralmente neutro

• Persone: considerate prive di predisposizioni innate verso i comportamenti devianti.

Dall’altra parte le impostazioni biologiche e psicologiche sostengono l’importanza delle forze bio-

psicologiche, oltre che di quelle sociali, nell’indirizzare un soggetto nel crimine.

1950 – Si sviluppano le teorie del controllo sociale che partono dal presupposto che la natura

umana sia essenzialmente deviante.

Secondo questa prospettiva il motivo del comportamento criminale va ricercato nel fatto che è

parte stesso della natura umana e che tutti commetterebbero crimini se fossero lasciati liberi di

agire.

L’interrogativo chiave passa da:

• Perché lo fanno? Perché la maggior parte delle persone non commette reati?

A questa domanda i teorici del controllo rispondono che nella società esistono forze repressive e

condizionamenti che vengono imposti dagli attori.

Le persone quindi commettono crimini a causa della debolezza delle forze che li trattengono e, di

contro, la maggior parte delle persone non commette crimini perché è sufficientemente legata alla

comunità così da tenere sotto controllo i propri impulsi negativi.

Quindi: senza legami sociali, sensibilità o interesse verso gli altri chiunque correrebbe il rischio di

delinquere.

È importante ricordare che già nel 1895 Durkheim aveva sostenuto che l’anomia (assenza di

ordine sociale) fosse l’effetto di un controllo insufficiente.

È nelle società a solidarietà organica che, con la suddivisione del lavoro, nasce la necessità di una

cooperazione tra le diverse parti la quale sta alla base del progresso e dell’ordine sociale.

La condotta delle persone diviene quindi governata da un sistema organico di norme per cui i

desideri di ciascuno vengono sottoposti al controllo e alle esigenze della coscienza collettiva

(ovvero al giudizio degli altri).

Quando gli individui si ritrovano privi di legami socialmente significativi anche il controllo perde

vigore: insorge così l’anomia e, di conseguenza, la devianza.

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Secondo Durkheim però la devianza non ha solo una funzione negativa; in ogni società infatti è

presente la devianza la cui funzione positiva consiste nel rafforzare la coscienza collettiva,

disegnare i confini tra lecito e illecito ed incoraggiare i mutamenti sociali desiderabili.

Albert J. Reiss individuò all’origine della fragilità dell’Io e della devianza la carenza di alcune

componenti del controllo sociale.

Queste sono.

1. Mancato sviluppo nell’infanzia di un adeguato autocontrollo

2. Allentarsi dell’autocontrollo

3. Assenza (o conflitto) di regole sociali interiorizzate attraverso il contatto con gruppi

significativi

→ la devianza criminale scaturisce da un’inadeguata socializzazione e da un deficit dei meccanismi

di controllo interni.

F. Ivan Nye sostiene che tutti gli umani sono guidati da istinti animali e che nascono con una

tendenza naturale a violare le norme sociali, tendenza tenuta sotto controllo dalla società.

Individua 4 fattori di controllo facilitanti o inibenti il comportamento delinquenziale:

1. Controllo Interno: esercitato dalle norme interiorizzate e dai valori acquisiti dalla

famiglia e da altre figure significative

2. Controllo Indiretto: derivato dal rispetto e dall’affetto verso i genitori per cui non si

vuole ferire chi si ama e si rispetta; questo controlla il comportamento.

3. Controllo Diretto: esercitato dalla famiglia, dalle istituzioni attraverso disciplina,

restrizioni, punizioni; ha delle modalità fortemente condizionanti.

4. Soddisfazione dei bisogni legittimi: la società esercita il controllo soddisfacendo i bisogni

legittimi delle persone. Se ciò non avviene il controllo risulta di difficile attuazione e le

persone utilizzano mezzi alternativi per conseguire i fini.

Walter C. Reckless elabora la teoria dei contenitori che tenta di delineare in modo più specifico

l’azione dei controlli interiori ed esteriori sul comportamento conformista, approfondendo quanto

già rilevato in precedenza.

I contenitori sono rappresentati da quei fattori che favoriscono il contenimento della condotta

nell’ambito della legalità ed occupano un nucleo centrale tra le pressioni e le influenze ambientali

e gli stimoli interiori.

Questi sono:

1. Pressioni e Influenze: forze esterne che spingono l’individuo a commettere atti

delinquenziali (es. povertà, opportunità limitate, esposizione a sottoculture criminali…)

2. Contenitori Esterni: forze di controllo esterne che rappresentano al soggetto una

coerente linea di condotta morale; sistemi di controllo istituzionali o informali;

opportunità di consenso…

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3. Stimoli Interni: pulsioni, frustrazioni, irrequietezza, delusioni, sentimenti di inferiorità,

ostilità, scarsa autostima

4. Contenitori Interni: legati alle caratteristiche psicologiche dell’individuo: autocontrollo,

buon concetto di sé, alta tolleranza alle frustrazioni, ecc..

Ovviamente se i contenitori sono deboli prevarranno le pressioni e gli stimoli che porteranno più

facilmente ad agire in senso deviante.

→ se il contenitore esterno è debole, pressioni ed influenze ambientali dovranno essere

controllate da quello interno.

→ se i controlli interni sono fragili, un efficace sistema di controllo esterno può aiutare a non

oltrepassare i limiti della legalità.

Questa teoria pone due interrogativi:

1. Quanto deve essere forte il contenitore interno in una società in cui i contenitori esterni

sono molto labili?

2. Quale deve essere il livello massimo di debolezza del contenitore interno per poter essere

controllato da quello esterno?

Questa teoria non è esente da critiche:

• Vede l’uomo come un manichino sociale

• Non tengono conto dei processi definitori e di quelli selettivi del controllo sociale

• Non tengono conto dei criteri attraverso cui i fattori si combinano nell’azione umana

1.2 Il legame sociale di Hirschi

Tra le prospettive del controllo sociale ricordiamo in particolare la prospettiva del legame sociale

di Hirschi.

La prospettiva del legame sociale parte dal presupposto che i desideri devianti siano normali e la

maggior parte delle persone infrangerebbero le regole, se non vi fossero circostanze particolari

che glielo impediscono.

→ è quindi meno probabile che un individuo legato alla famiglia, al gruppo dei pari o alla scuola

commetta crimini.

Esiste un legame tra il soggetto e la società convenzionale; più esso è forte, più intensa risulterà

l’interiorizzazione delle norme sociali e meno probabile la deviazione da esse.

Il comportamento criminale quindi dipende dal vincolo con la società che, secondo Hirschi, si

compone di

4 elementi:

1. Attaccamento: sentimenti di affetto e sensibilità verso i legami significativi

2. Coinvolgimento: assunzione delle mete approvate culturalmente dalla società

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3. Impegno: in attività convenzionali nella comunità

4. Convinzione: fede nella validità morale delle regole sociali

• Se il grado di attaccamento è debole l’individuo sarà insensibile alle opinioni altri e si

sentirà libero di deviare rispetto alle pressioni del contesto di riferimento.

• Maggiore è il coinvolgimento a lungo termine in scopi socialmente approvati minore sarà il

rischio di devianza

• Maggiore sarà l’impegno in attività conformiste e socialmente approvate minore sarà il

rischio di devianza

• Maggiore è la convinzione nella bontà delle regole sociali minore sarà il rischio di devianza

Hirschi afferma che le convinzioni che rendono l’uomo libero di commettere azioni devianti, sono

non-motivate, nel senso che egli non se le crea o adotta per facilitare la realizzazione di scopi

illeciti.

Inoltre, la variabile della convinzione risulta essere particolarmente importante in quanto, come

precedentemente detto, meno si crede nel valore morale delle regole più probabile è che si

violino.

Le teorie del controllo non sono però esenti da critiche:

• Negli studi hanno generalmente utilizzato un solo tipo di metodologia (self-report)

• Teoria del controllo sociale offre una buona interpretazione per le forme meno gravi di

delinquenza minorile, mentre risulta insufficiente per studiare le forme più gravi e la

criminalità degli adulti.

Hirschi e Gottfredson hanno proposto la teoria del basso autocontrollo secondo cui i crimini

costituiscono atti di forza o frode intrapresi nel perseguimento di uno scopo individuale e, perciò,

vanno studiate anche le caratteristiche più comuni come ad esempio gratificazioni immediata,

eccitazione, rischio, dolore o disagio procurato alla vittima.

Con questa concettualizzazione i due autori raggiungono due scopi:

1. Ampliare la definizione di reato fino a farvi rientrare anche i reati dei colletti bianchi

2. Aderiscono alla teoria del controllo sociale

Il basso autocontrollo quindi, è il meccanismo fondamentale che spinge verso il comportamento

deviante e trova origine in un difetto di socializzazione nei primi sei-otto mesi anni di vita del

bambino, come conseguenza della carenza di vigilanza e supervisione da parte della famiglia.

→ tutti i soggetti hanno le stesse motivazioni: ciò che varia è la capacità di autocontrollo.

Un’educazione inadeguata e carente e uno stile di vita difforme dal comune possono determinare

tratti caratteriali negativi che inducono alla devianza, cioè a comportamenti socialmente

indesiderati, ed alla criminalità per il raggiungimento di gratificazione a breve termine.

→ unica soluzione possibile: incidere sulla famiglia e migliorare la sua attività di socializzazione nei

confronti dei bambini.

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2) Le teorie del conflitto

1960/1970 – si affermano le teorie sociologiche sul conflitto in un clima di agitazione politica che

metteva in discussione i valori della classe media e lo stile di vita conformista della società

americana.

Elemento fondamentale è l’idea di conflittualità che viene vista come connotato capace di

caratterizzare la società molto più del contesto.

Le teorie sociologiche del conflitto vengono anche definite: criminologia del conflitto, criminologia

critica o criminologia radicale.

Per i teorici del conflitto consenso e unione sociale sono solo temporanei, destinati in futuro a

trasformarsi in un inevitabile conflitto.

La prospettiva delle teorie conflittuali non è incentrata sui comportamenti individuali ma sullo

studio oggettivo della società, dove diviene essenziale l’analisi della formazione e applicazione

delle norme, viste come mezzo esclusivo al servizio di coloro che mirano a promuovere i loro

interessi e ad affermare i loro valori come unici.

In questa prospettiva i devianti sono manifestazione del fallimento della società nel venire

incontro ai bisogni degli individui.

Le teorie del conflitto si basano sull’ide anche molti valori sociali siano in contrasto fra di loro ed

in ciò si radichi la maggior parte della devianza.

I diversi settori della società infatti lottano per ottenere il potere, la ricchezza, un elevato status, le

scarse risorse: perciò la competizione rappresenta la forma fondamentale di interazione.

→ è necessario esaminare la relazione tra i valori in gioco e l’interesse del potere economico e

politico per comprendere appieno i problemi sociali, poiché è tale interazione che conduce ai

conflitti e, di conseguenza, al comportamento antisociale.

Il modello conflittuale sostiene che chi stabilisce le regole e le norme giuridiche è anche colui che

decide ciò che è deviante o criminale e quali categorie sociali risultino perdenti o vincenti in base a

tale decisione.

In esso è centrale il concetto di potere e predominio: i gruppi dominanti hanno il potere sia di

definire le regole e le leggi che governano la società, sia di garantirsi che queste difendano i loro

interessi e siano conformi ai loro standard di moralità.

Riassumendo: criminalità e violenza sono presenti in tutte le classi sociali ma quelle inferiori, cioè

prive di potere, vengono definite come criminali con maggior facilità.

Il gruppo dominante emana leggi e stabilisce le regole per difendere e sostenere i propri interessi;

i suoi membri in caso di violazione delle leggi sono in una posizione tale per cui non vengono

puniti.

La giustizia non viene applicata in modo eguale a tutti, i gruppi sociali svantaggiati sono più

soggetti ad ingiustizie.

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La legge non è uno strumento neutrale ma un mezzo con cui i detentori del potere riescono ad

imporre la loro volontà ed i propri interessi sui più deboli.

Karl Marx viene riconosciuto come primo teorico del conflitto in quanto riconosce il conflitto tra i

detentori dei mezzi di produzione ed i lavoratori come causa fondamentale di tutti i problemi

sociali, compresa la criminalità.

Per Marx la società è l’insieme dei rapporti interindividuali e, fra questi, egli enuclea come

fondamentali quelli entro cui ha luogo via via la produzione e riproduzione della vita immediata

degli individui.

Nel Manifesto del Partito Comunista scritto Marx e Engels nel 1848 la prospettiva è quella di una

trasformazione della società che dovrà passare per la presa di potere da parte della classe operaia

per ottenere una graduale estinzione dello Stato come organo separato dalla società.

In quest’ottica il comportamento deviante può essere considerato come originato dai conflitti di

classe ed economici nel sistema capitalistico.

La povertà quindi non lascerebbe altra scelta che morire o rubare per sopravvivere.

Di conseguenza la spiegazione del crimine va ricercata nelle condizioni materiali che

caratterizzano le singole esistenze.

La criminalità perciò è il risultato non solo del conflitto di classe ma anche del fatto che vengano

definiti devianti o criminali, da parte dei ricchi, comportamenti che potrebbero minacciare i loro

interessi economici.

William Adrian Bonger sostiene che le incertezze della mente di una persona in cui è nata un’idea

criminale possono essere comparate alle oscillazioni di una bilancia ed è alla sociologia che

bisogna rimettere il compito di esaminare le forze che fanno spostare il peso da una parte all’altra.

Per Bonger il sistema di produzione basato sulla proprietà privata e sul profitto blocca lo sviluppo

dell’istinto sociale e dei legami di reciprocità; è lo stesso meccanismo economico, con gli interessi

di tutti in conflitto che porta all’egoismo e all’essere più propensi al delitto.

→ Secondo Bonger c’è sempre un fattore economico come causa primaria e determinante!

In conclusione, Bonger non negò l’esistenza di differenze innate, ma la maggiore propensione di

alcuni a divenire criminali era determinata dall’ambiente.

→ per alcuni questa fu la massima espressione del determinismo sociale.

2.1 I teorici del conflitto non marxisti

Uno dei primi approcci conflittuali si deve a Lewin Coser.

Il conflitto viene visto come dinamica sociale tra i gruppi in lotta per la divisione del potere e del

controllo; si può inoltre distinguere:

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• Conflitti realistici: inseriti in ogni sistema sociale nella misura in cui la gente solleva

contrastanti rivendicazioni per conseguire posizioni sociali, potere e risorse

• Conflitti non realistici: dovuti a rinunce e frustrazioni inerenti al processo di integrazione

sociale

→ questi ai manifestano come sfogo di tensione attraverso azioni aggressive contro oggetti

interscambiabili e sono caratteristici della criminalità e dell’emarginazione.

In questa prospettiva importante è la figura del nemico intero il quale può essere scovato o

semplicemente inventato al fine di provocare attraverso l’ostilità comune contro di lui un

rinvigorimento di quella solidarietà sociale, di cui il gruppo ha un così forte bisogno.

In Psicologia sociale viene anche definito capro espiatorio.

I comportamenti criminali possono servire per rafforzare l’identità, in termini di ideologia, dei

membri conformisti e per dirottare l’aggressività sui membri devianti come capro espiatorio o

nemico interno.

Un’approfondita analisi di questo fenomeno la si deve a Dennis Chapman che parla di falsa

coscienza borghese. Secondo lui infatti il capro espiatorio è il risultato di particolari processi sui

quali la falsa coscienza si fonda, in parte, come manifestazione deviata delle tensioni, che essa

nasconde, e come espediente per rinforzarsi.

L’ideologia dello stereotipo fa si che il criminale non possa sfuggire al suo ruolo di vittima

sacrificale della società, anche grazie al sistema giudiziario, produttore del vero crimine sociale e

primo responsabile delle disuguaglianze sociali.

Erving Goffman sostiene che l’elemento comune a determinate categorie sociali è l’esistenza di

una macchia o stigma che, se conosciuto, assegna all’individuo un ruolo socialmente svalutato.

Tale stigma si configura come aspetto importante delle interazioni sociali in cui si manifesta.

La stigmatizzazione attribuita al comportamento deviante può giocare un ruolo fondamentale nel

suo nascere e nel suo mantenimento e controllo.

Il tema centrale della questione criminale per le teorie conflittuali è il rapporto tra potere e

legiferazione.

George Vold considera la società come struttura in gruppo in competizione tra loro, che entrano in

conflitto quando i differenti interessi e scopi tendono a sovrapporsi. La crescita dei contrasti

rafforza la solidarietà all’interno di ogni gruppo fino al punto da farlo lottare, anche con la forza,

per difendere i propri interessi.

→ poiché le minoranze non sono in grado di influenzare il processo normativo, ne consegue la

criminalizzazione dei loro comportamenti da parte delle leggi.

La criminalità perciò è la conseguenza dell’azione di gruppi conflittuali che agiscono con la stessa

logica di minoranze politiche e culturali, per ottenere reciproci aggiustamenti al fine di consolidare

i propri interessi.

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Austin Turk sostiene l’esigenza di analizzare la criminalità avendo prevalentemente come base la

legge penale e di esaminarne la relazione con lo status di criminale. Si conferma così la relazione

autorità-soggetto.

→ Analizzando il comportamento criminale si notò che più semplici e deboli erano i singoli più alta

era la probabilità di una relazione conflittuale con le autorità.

Il controllo della società può avvenire in 2 modi:

1. Coercizione e uso della forza fisica

2. Controllo dei tempi di vita: i vecchi membri della società vengono meno e restano in vita

solamente quelli che hanno vissuta nella nuova organizzazione sociale con leggi ad hoc e, in

questo modo, il nuovo ordine sociale non verrà messo in discussione.

È importante ricordare il concetto di sophistication ovvero il livello di raffinatezza con cui un

gruppo è in grado di organizzarsi per opporsi alle norme, senza arrivare ad una forma di ostilità

aperta.

→ ne consegue che il conflitto con l’autorità diventa più significativo se i gruppi sono organizzati e

sofisticati e si possono, così, determinare futuri mutamenti sociali.

2.2 Quinney e la realtà sociale del crimine

Richard Quinney è uno studioso che finisce con il collocarsi su una posizione più radicale di

impostazione marxista tanto che arriva infatti a sostenere che l’unica soluzione per il crimine

risieda nella creazione di una società basata sui principi socialisti piuttosto che su quelli capitalistici

La sua teoria sulla realtà sociale del crimine analizza le relazioni tra:

• Società

• Potere

• Criminalità

E si fonda su 6 proposizioni:

1. Definizione di crimine: crimine= condotta stabilita da attori autorizzati in una società

politicamente organizzata ovvero un giudizio costruito da alcune persone riguardo alle

azioni, ai comportamenti ed alle caratteristiche di altre.

2. Formulazione delle definizioni penali: che descrivono quei comportamenti che confliggono

con gli interessi dei settori della società che hanno il potere di decidere la politica pubblica.

Quindi, qualunque gruppo sociale riesca ad ottenere la maggioranza dei voti determinerà se

emanare o meno una nuova legge per ostacolare o reprimere gli interessi del gruppo sociale

di opposizione.

3. Applicazione delle definizioni penali: le quali sono applicate da quei settori della società che

hanno il potere di indirizzare la politica criminale, applicare le leggi penali ed amministrare la

giustizia penale. Coloro che hanno la maggioranza parlamentare ottengono il controllo del

potere di polizia e dominano le politiche che decidono chi probabilmente verrà coinvolto

nella violazione della legge.

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4. Sviluppo dei modelli comportamentali in relazione alle definizioni penali: i modelli di

comportamento si strutturano nella società organizzata in classi in relazione alle definizioni

penali e, in tale contesto, le persone si coinvolgono in azioni che hanno una relativa

probabilità di essere definite criminali. I diversi settori della società hanno diversi modelli

comportamentali e sistemi normativi ognuno dei quali è espresso nel proprio ambiente

culturale e sociale. La probabilità che un individuo violi la legge dipende da quanto potere o

influenza possieda il suo settore sulle leggi.

5. Costruzione dei concetti di crimine: costruiti e diffusi nelle diverse parti sociali dai messi di

comunicazione di massa. Il termine crime può riferirsi ad un avvenimento concreto come ad

una concezione della realtà creata e comunicata dagli individui con varie forme di

interazione.

6. La realtà sociale del crimine: è costruita secondo la formulazione e applicazione delle

definizioni penali, lo sviluppo del comportamento si modella in base alle definizioni penali e

alla costruzione dei relativi concetti. In conclusione quindi il mondo in cui viviamo è

primariamente soggettivo e socialmente costruito.

Viene quindi sostenuto il carattere dualistico della società:

• Fattualità oggettiva

• Significato soggettivo

→ è in questa dialettica tra soggettività umana ed oggettività istituzionale si colloca anche la

questione devianza.

Ogni individuo subisce una tipicizzazione e gli viene attribuito un ruolo per cui il singolo subisce

una costruzione sociale che ne elimina la facoltatività. Se tali schemi e tali ruoli vengono infranti, la

società risponde con sanzioni.

In sintesi: la teorizzazione di Quinney pone l’accento su un’ideologia del crimine determinata dalla

classe dominante e basata su alcuni assunti:

• i reati di strada rappresentano la forma peggiore di delinquenza;

• i crimini sono commessi prevalentemente dalle classi inferiori o dalle minoranze

• esiste un delinquente tipo

• le classi medio-alte sono prevalentemente non criminali

2.3 La criminologia radicale

Fine anni 60 del Novecento le teorie del conflitto subirono una svolta radicale.

Si iniziò a considerare i comportamenti devianti come una risposta razionale significativa e di

carattere politico al controllo prodotto dalle autorità.

Secondo la prospettiva radicale:

Devianza = diversità da preservare e rispettare; è la società che deve mutare per rendersi adatta a

sopportare una grande varietà di stili di vita.

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Per le correnti più estremiste poi, devianza significa opposizione più o meno consapevole al

sistema dominante, con origine dalle sue contraddizioni e repressa in quanto pericolosa per la

stabilità del sistema stesso.

Devianti = risultato di contrasti non componibili all’interno della struttura sociale; appaiono quasi

come rivoluzionari.

William Chambliss fu uno dei primi esponenti della teoria radicale e, analizzando il sistema penale

americano, notò che le classi dominati controllavano quelle inferiori attraverso la gestione della

legge; questo avveniva tramite:

• L’emanazione di norme dirette a sanzionare i comportamenti dei segmenti più disagiati

della società

• La diffusione del mito della legge come strumento al servizio di tutti e plagiando le classi

inferiori in modo che cooperassero al loro stesso controllo

La mistificazione della legge uguale per tutti è quindi radicata in ogni sistema capitalistico, in cui i

soldi comandano e danno privilegi.

Steven Spitzer studiò il problema del plus-lavoro nelle società capitalistiche.

Egli individuò 5 categorie sociali problematiche che rappresentano una minaccia per le classi al

potere:

1. Poveri che rubano ai ricchi

2. Persone che si rifiutano di lavorare

3. Persone dedite al consumo di stupefacenti

4. Soggetti che rifiutano scolarizzazione o famiglia

5. Attivisti fautori di una società non capitalistica

Quindi finchè queste categorie vengono definite:

• Spazzatura sociale se rimangono calme e non rappresentano una minaccia per le classi

dominanti

• Dinamite sociale se iniziano a rappresentare un pericolo per l’ordine politico, la proprietà

privata o la sicurezza individuale vengono definite; in queste secondo caso sarebbe

necessario un forte controllo con l’utilizzo di rilevanti risorse e severe punizioni.

Uno dei più importanti approcci radicali è quello del movimento della new left (nuova sinistra) e

della Scuola di Criminologia di Berkeley le quali denunciarono le violenze della polizia nei

confronti delle parti sociali prive di mezzi per difendersi dal potere delle classi superiori.

Lo scopo era quello di:

• sollevare un sentimento di protesta a favore delle minoranze

• produrre un’indignazione morale

• contrapporre al diritto positivo un diritto naturale ovvero un codice non scritto degli

uomini di buona volontà

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Tra gli esponenti della Scuola di Berkeley ricordiamo Anthony Platt che, analizzando il child saving

movement rilevò che i minori devianti subivano maggiormente, rispetto ai coetanei, un processo

discriminatorio e coercitivo ad opera delle istituzioni.

Un altro approccio alla criminologia radicale è quello della National Deviance Conference (N.D.C.)

che sottolinearono la complessità della devianza e l’impossibilità di ricondurla alla semplice idea di

lotta di classe.

I teorici della N.D.C sostennero le necessità di rivalutare il significato dell’azione deviante,

considerandola dal punto di vista di chi l’ha commessa.

La devianza è entro dei limiti normale dal momento che si è consapevolmente impegnati

nell’affermazione della propria diversità umana.

Il compito perciò non è solo capire questi problemi ma porre in essere una società in cui le

diversità personali o sociali non sono oggetto di criminalizzazione da parte del potere.

Questa quindi viene definita come una visione dell’underdog (gruppi marginali) di tipo labeling sul

modello Becker in quanto l’interesse si sposta sul singolo con la sua soggettività e condizione

marginale, sulla razionalità del crimine per cui l’attore si riappropria del suo agire.

→ l’azione deviante viene valutata come controreazione ad una reazione verificatesi per una

precedente infrazione da intendersi come scelta libera.

Tra gli orientamenti radicali è poi da ricordare la criminologia anarchica il cui scopo è quello di

opporsi ad ogni forma di gerarchia.

L’autorità viene considerata come strumento preposto a servire i gruppi di potere nella difesa dei

loro interessi a danno dei gruppi minoritari.

Secondo questa prospettiva si devono quindi demitologizzare i concetti alla base del sistema

penale, costruendo un’interazione sociale che appressi la diversità e la tolleranza, una società ove

siano ammesse relazioni libere e le persone possano vivere in armonia al di là delle differenze

razziali e culturali.

2.4 Critiche alle teorie conflittuali: il realismo di sinistra

I teorici radicali si sono mossi lungo due direzioni:

1. Rivolta all’elaborazione critica di una sociologia giuridica di tipo storico: con il compito di

segnare le origini e le funzioni del diritto penale nell’economia politica del capitalismo

2. Rivolta ad indagare l’origine del crimine: le cause della devianza vanno ricercate

nell’ineguaglianza, nel lavoro degradante, nella disoccupazione e nell’alienazione

MA è importante sottolineare che le tesi conflittuali sono state tutte criticate anche all’interno

della stessa scuola perchè:

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• Non si sono dimostrate correlazioni significative tra devianza e capitalismo

• Insufficiente spiegazione dei processi che portano un individuo a divenire un criminale

• Non è vero che le leggi siano dirette ad esclusivo beneficio delle elites di potere

• Difficoltà a trovare validi supporti empirici alle affermazioni espresse utilizzando i

convenzionali metodi di ricerca

→ Nonostante le critiche le teorie del conflitto hanno avuto un loro logico fondamento nel terreno

politico dal quale sono nate anche se non hanno superato il rischio di un approccio romantico al

fenomeno deviante.

Sul finire degli anni Settanta si diffonde in molti paesi occidentali un clima politico e culturale di

stampo conservatore (neoliberale).

Nasce così la politica della tolleranza zero a causa del dilagare della criminalità e del conseguente

sentimento di insicurezza nei cittadini. Questa politica si basa su una concezione neoretributiva

della pena e del criminale come soggetto razionale da punire severamente.

Si afferma così il movimento definito Realismo di Sinistra che:

• rivaluta la componente rational choice (scelta razionale) come presupposto dell’azione

• formula una politica penale ispirata soprattutto alla ricerca di misure deterrenti.

Questa prospettiva spiega la criminalità partendo dai processi di provazioni relativa e di

marginalizzazione. Integrando in pratica la teoria marxista con quella mertoniana.

Secondo il Realismo di Sinistra infatti non è la povertà assoluta a determinare la criminalità quanto

piuttosto la povertà e la disuguaglianza vissute come ingiustizia.

Anche questa prospettiva non è esente da critiche:

• preoccupazione sulla potenzialità dei comportamenti devianti a minare la comunità ricorda

le teorie del realismo di destra

• eccessiva enfasi rivolta alla correlazione tra criminalità di strada e giovani neri (anche

questo ricorda teorie del realismo di destra)

• critica alle politiche neolaburiste sul tema dell’esclusione sociale e dell’ideologia “legge ed

ordine”

3) La teoria dell’etichettamento (labeling theory)

Metà degli anni Settanta del Novecento – svolta importante nella sociologia della devianza: la

società fu studiata in modo nuovo e più approfondito rispetto al passato, alla luce dei mutamenti

sociali sviluppatisi a partire dagli anni 50, tra cui lotte per le disuguaglianze razziali e per i diritti

civili e sociali.

Gli scienziati sociali si impegnarono a studiare e combattere fenomeni come quello della

stigmatizzazione.

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I sociologi della devianza si resero conto che era ormai tempo di estendere i loro studi alla ricerca

applicata sugli effetti che l’appartenenza ad una classe sociale e ad una etnia avevano su coloro

che venivano a contatto con il sistema penale.

Si sviluppò così il programma Great Society con l’obiettivo di lavorare per costruire una società in

cui tutti avrebbero dovuto essere uguali.

In questo modo si sviluppò e si diffuse la teoria dell’etichettamento che portò alle sue estreme

conseguenze la logica della sociologia del conflitto asserendo che:

• I gruppi sociali creano la devianza, stabilendone le norme definitorie

• La devianza non è una qualità dell’atto commesso o dell’individuo ma una conseguenza

dell’applicazione da parte degli altri di norme e sanazioni ad un soggetto etichettato.

Tannenbaum parla della devianza come il risultato di un processo di interazione sociale.

In particolare, per questo autore il comportamento deviante era un conflitto tra un gruppo e la

società nel suo complesso, per la contrapposizione di definizioni antitetiche di una stessa

condotta.

La tesi principale dei teorici dell’etichettamento considerava come variabile fondamentale nello

studio della devianza la pubblica opinione e la reazione sociale invece che l’attore con le sue

componenti individuali.

→ la devianza è creata dalla società; i gruppi sociali creano la devianza stabilendo le regole la cui

infrazione costituisce la devianza e applicando queste regole a persone particolari, che etichettano

come outsiders.

In sintesi quindi:

> La devianza quindi non è una qualità dell’azione commessa ma, piuttosto, la conseguenza

dell’applicazione da parte di altri di regole e sanzioni al trasgressore.

> Il deviante è uno cui l’etichetta è stata applicata con successo.

> Il comportamento deviante è il comportamento così etichettato dalla gente.

La teoria dell’etichettamento non cerca quindi di individuare e spiegare le cause della devianza

ma integra lo studio del comportamento con quello della relazione sociale, centrando l’attenzione

sull’etichettamento che segue la commissione di un atto deviante e sulle conseguenze sociali di

tale qualifica, una volta conferita.

• Etichetta: definizione che attiene ad un atto, un attore o un gruppo, data da una comunità

che la crea in base alle percezioni che ha di quell’atto, attore o gruppo.

• Processo di etichettamento: processo tramite cui le etichette vengono create ed applicate

all’atto, attore o gruppo.

→ ne consegue che quando un individuo viene etichettato come deviante da una comunità questa

stessa qualifica ne causa una reazione negativa. Se forti e prolungate queste reazioni negative

possono alterare lo stato emotivo del soggetto e spingerlo ad intensificare l’agire delinquenziale:

l’etichettamento si trasforma nell’etichetta.

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Becker a tele proposito dice: non sono le motivazioni devianti che conducono al comportamento

deviante ma, al contrario, è il comportamento deviante che produce, nel corso del tempo, la

motivazione deviante.

→ La scelta del comportamento deviante quindi, in un secondo momento dipende da un processo

di apprendimento sociale.

Dai concetti chiave della teoria si evince quindi che i soggetti vengono etichettati devianti solo se i

loro comportamenti non conformi vengono scoperti, secondo una profezia che si autoadempie.

Il processo di etichettamento porta la persona ad interiorizzare un’immagine di sé condizionata

dalla reazione altri e di conseguenza ad identificarsi con l’immagine negativa rinviata da altri.

Questo rafforza gli etichettati nel reiterare azioni devianti fino, in certi casi, all’incapsulamento in

una subcultura.

In sintesi:

Concetti chiave della teoria dell’etichettamento:

1. Le azioni in sé e per sé non sono devianti

2. Gli attori non sono devianti finchè non vengono definiti come tali dalla comunità e dalle

autorità

3. L’etichettamento è un processo sociale che inizia con la scoperta di un qualche vero o

immaginario atto deviante e riguarda l’interazione tra il “pubblico non deviante” e

l’attore “deviante”.

4. Nel processo di etichettamento le caratteristiche del soggetto sono più importanti

dell’atto in sé

5. L’etichetta di deviante può essere data anche senza che sia stato commesso l’atto

deviante

6. L’età, la razza, il sesso e la classe sociale sono fattori importanti nell’influenzare la

riuscita di un etichettamento

7. L’etichetta di deviane può avere conseguenze sfavorevoli per l’attore cui è applicata:

chiusura delle opportunità, spinta verso una sottocultura, sviluppo di un’identità

deviante, avviamento ad una carriera criminale

La teoria di Becker è stata poi ulteriormente sviluppata da Lemert che fa una distinzione tra:

1. Devianza primaria: violazione di una norma con un atto non conforme, di solito di tipo

reattivo e dovuto a fattori occasionali.

Questa è dunque una devianza:

o Sintomatica: ovvero dovuta a fattori variamente stimolanti al non conformismo

o Situazionale: forma di adattamento a situazioni impreviste e nuove a cui non

corrispondono modelli tradizionali validi

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2. Devianza secondaria: o sistematica, quando interviene la reazione sociale attraverso un

atto definitorio di un gruppo, che dichiara disfunzionale il comportamento diverso rispetto

al sistema di mezzi-fini della società

La stigmatizzazione porta l’individuo a continuare a commettere atti devianti sempre più

gravi e di conseguenza la tolleranza della comunità viene meno e la reazione sociale si

inasprisce fino ad applicare l’etichetta di deviante all’attore.

→ il soggetto etichettato reagisce in base alla sua soglia di vulnerabilità

Per Lemert il processo di etichettamento si conclude quando l’attore ha interiorizzato del tutto la

propria definizione, ha accettato lo status di deviante a lui assegnato ed emerge l’identità

deviante.

Edwin Schur allargando il concetto di devianza secondaria ha argomentato che gli effetti del

processo di etichettamento sono così significativi che perfino chi vuole abbandonare un gruppo

deviante e ritornare ad una vita convenzionale trova difficoltà a farlo poiché lo stigma portato

tende a separarlo permanentemente dalla cultura dominante.

Anche la teoria dell’etichettamento non è esente da critiche:

• Eccessivo relativismo: non affronta la questione della motivazione e della causazione

• Eccessivo potere causale all’etichettamento

• Non tutti gli etichettati come delinquenti continuano poi a delinquere

• Non spiega perché la persona commetta il primo atto deviante

• Non spiega perché solo alcune condotte sono considerate devianti in un determinato

contesto storico politico

• Teoria dell’etichettamento non può essere considerata una teoria compiuta

Backer a questo risponde che l’etichettamento va visto come una prospettiva sulla devianza e che

lui non ha mai preteso di offrire un’alternativa alle spiegazioni convenzionali sul comportamento

deviante.